Garibaldi, padre della Patria. - Parrocchie.it · 2011. 11. 7. · Il mito di Garibaldi finisce...

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Garibaldi, padre della Patria! Ma, sarà poi vero? Come al solito in Italia gli storici son coloro che non hanno mai letto un libro di storia né sanno come indagare su fonti e documenti. 01/08/2007

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Garibaldi, padre della Patria! Ma, sarà poi vero? Come al solito in Italia gli storici son coloro che non hanno mai letto un libro di storia né sanno come indagare su fonti e documenti. 01/08/2007

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Giuseppe Garibaldi ci è stato presentato come l'eroe dagli occhi az-

zurri, biondo, alto, coraggioso, romantico, idealista; colui il quale metteva

a repentaglio la propria vita per la libertà altrui. Non esiste città d'Italia

che non gli abbia dedicato una piazza o una strada. Garibaldi non era alto,

era biondiccio e pieno di reumatismi, camminava quasi curvo e dovevano

alzarlo in due sul suo cavallo. Portava i capelli lunghi, si dice nel sud, per-

ché violentando una ragazza questa gli staccò un orecchio. Questo signo-

re non era un eroe; oggi lo si chiamerebbe delinquente, terrorista, mer-

cenario. Era alto 1,65, aveva le gambe arcuate e curava molto la sua per-

sona. Fra il 1825 ed il 1832 fu quasi sempre imbarcato intraprendendo

viaggi nel Mediterraneo. Nel 1833, durante un viaggio a Taganrog ebbe

modo di conoscere dei rivoluzionari che lo affascinarono all'idea della fra-

tellanza umana ed universale e all'abolizione delle classi, idee che si rifa-

cevano al Saint Simon. Cominciò, pertanto, a pensare all'idea dell'unifica-

zione italiana da realizzare con l'abbattimento di tutte le monarchie allora

dominanti e la fondazione di una repubblica. Accrebbe codesta convin-

zione quando incontrò Giuseppe Mazzini nei sobborghi di Marsiglia e, af-

fascinato dalle idee del genovese, si iscrisse alla setta segreta "Giovine Ita-

lia". Nel dicembre del 1833 si arruolò nella marina piemontese per sobil-

lare e per praticare la propaganda della setta tra i marinai savoiardi. Nel

1834 tentò un'insurrezione a Genova contro il Piemonte; scoperto riuscì a

fuggire in Francia. Processato in contumacia a Genova, fu condannato a

morte per alto tradimento dal governo piemontese. Nel 1835 fuggì in Bra-

sile, considerato una specie d'Eldorado dagli emigranti piemontesi che in

patria non trovavano lavoro, ed erano tantissimi; da lì e dalle altre provin-

ce del nord, ogni anno un milione di emigranti raggiungevano le terre Su-

damericane. Fra i 28 e 40 anni Garibaldi visse come un corsaro ed imitò i

grandi pirati del passato assaltando navi, saccheggiando e, come dice De-

nis Mack Smith a pag. 14 (1) "...si abituò a vedere nei grandi proprietari

delle pampas un tipo ideale di persona delle pampas". Al diavolo la lotta

di classe! il danaro era più importante - diciamo noi. A Rio de Janeiro si i-

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scrisse alla sezione locale della Giovine Italia. Nel 1836 chiese a Mazzini se

poteva cominciare la lotta di liberazione affondando navi piemontesi ed

austriache che stazionavano a Rio. Il rappresentante piemontese nella ca-

pitale brasiliana rapportò al governo sabaudo che nelle case di quei rivo-

luzionari sventolava la bandiera tricolore, simbolo di rivoluzione e sovver-

sivismo. Nel maggio del 1837, con i soldi della carboneria, Garibaldi mise

in mare una barca di 20 tonnellate per predare navi brasiliane; non a caso

fu battezzata Mazzini. Quest'uomo, condannato a morte per alto tradi-

mento e poi pirata e corsaro nel fiume Rio Grande, è il nostro eroe nazio-

nale; anzi, non lo è più! Ora è eroe della nazione Nord. In Uruguay si bat-

teva per assicurare il monopolio commerciale all'Impero Britannico con-

trastando l'egemonia cattolico-ispanica. Nel 1844, a Montevideo iniziò la

sua vera carriera di massone dopo l'iniziazione avuta con l'iscrizione alla

Giovine Italia del Mazzini. In Italia i pennivendoli di regime continuano ad

osannare le imprese banditesche del pirata nizzardo offendendo la storia

e la dignità delle nazioni Sudamericane. L'indignazione della gente è rac-

chiusa in un articolo di un giornale, il Pais che vende 300.000 copie gior-

naliere e che così si è espresso il 27-7-1995 a pag. 6: "... Garibaldi. Il presi-

dente d'Italia è stato nostro illustre visitante...... Disgraziatamente, in un

momento della sua visita, il presidente italiano si è riferito alla presenza di

Garibaldi nel Rio della Plata, in un momento molto speciale della storia

delle nazioni di questa parte del mondo. E, senza animo di riaprire vecchie

polemiche e aspre discussioni, diciamo al dott. Scalfaro che il suo compa-

triota (ndr, Giuseppe Garibaldi) non ha lottato per la libertà di queste na-

zioni come (Scalfaro) afferma. Piuttosto il contrario". La carriera massoni-

ca di Garibaldi culminò col 33°gr. ricevuto a Torino nel 1862, la suprema

carica di Gran Hierofante del Rito Egiziano del Menphis-Misraim nel 1881.

Il Grande Oriente di Palermo gli conferì tutti i gradi dal 4° al 33° e a con-

durre il rito fu mandato Francesco Crispi accompagnato da altri cinque fra

massoni.

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Il mito di Garibaldi finisce quando si apprende che la spedizione dei

Mille fu finanziata dalla massoneria inglese con una somma spaventosa di

piastre turche equivalenti a milioni di dollari in moneta attuale (2). Con

tale montagna di denaro poté corrompere generali, alti funzionari e mini-

stri borbonici, tra i quali non pochi erano massoni. Come poteva vincere

Francesco II, se il suo primo ministro, Don Liborio Romano era massone

d'alto grado? (3). Appena arrivato a Palermo, Garibaldi saccheggiò il Ban-

co di Sicilia di ben cinque milioni di ducati come fece saccheggiare tutte le

chiese e tutto ciò che trovava sulla sua strada. In una lettera Vittorio E-

manuele II ebbe a lamentarsi con Cavour circa le ruberie del pirata nizzar-

do (4): "…Come avrete visto, ho liquidato rapidamente la sgradevolissima

faccenda Garibaldi, sebbene - siatene certo - questo personaggio non è af-

fatto così docile né così onesto come lo si dipinge, e come voi stesso rite-

nete. Il suo talento militare è molto modesto, come prova l'affare di Ca-

pua, e il male immenso che è stato commesso qui, ad esempio l'infame

furto di tutto il denaro dell'erario, è da attribuirsi interamente a lui, che

s'è circondato di canaglie, ne ha seguito i cattivi consigli e ha piombato

questo infelice paese in una situazione spaventosa". Ma erano mille i gari-

baldini? Certamente. Ma ogni giorno sbarcavano sulla costa siciliana mi-

gliaia di soldati piemontesi congedati dall'esercito sabaudo per l'occasio-

ne dall'altro massone Cavour ed arruolati in quello del generale nizzardo.

Una spedizione ben congegnata, raffinata, scientifica, appoggiata dalla

flotta inglese ed assistita da valenti esperti internazionali. La massoneria

siciliana, da anni, stava preparando la sollevazione e mise a disposizione

di Garibaldi tutto l'apparato mafioso della Trinacria. A Bronte (5) fece fu-

cilare per mano di Nino Bixio i contadini che avevano osato "usurpare" le

terre concesse agli inglesi dai Borbone. Ecco chi era il vero Garibaldi! Ami-

co e servo dei figli d'Albione, assassino e criminale di guerra per aver fatto

fucilare cittadini italiani a Bronte. Il socialismo, l'uguaglianza, la libertà po-

tevano anche andare a farsi benedire di fronte allo sporco danaro e al suo

servilismo massonico. Suo fine non era dare libertà alle genti del Sud ma

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togliere loro anche la vita. Scopo della sua missione fu quello di distrugge-

re la chiesa cattolica e sostituirla con quella massonica guidata da Londra.

Garibaldi, questo avventuriero, definiva Pio IX "...un metro cubo di leta-

me" (6) in quanto lo riteneva - acerrimo nemico dell'Italia e dell'unità"(7).

Considerava il papa "...la più nociva di tutte le creature, perché egli, più di

nessun altro, è un ostacolo al progresso umano, alla fratellanza degli uo-

mini e dei popoli"(8), inoltre affermò che: "...Se sorgesse una società del

demonio, che combattesse dispotismo e preti, mi arruolerei nelle sue file"

(9). Era chiaro l'obiettivo della massoneria: colpire il potere della chiesa e

con esso scardinare le monarchie cattoliche per asservirle ad uno stato

laico per potere finalmente mettere le mani sui nuovi mercati, sulle loro

immense ricchezze umane, sulle loro ricche industrie, sui loro demani

pubblici, sui beni ecclesiastici, sulle riserve auree del Regno delle Due Sici-

lie, sulle banche. Con la breccia di Porta Pia finì il potere temporale dei

papi con grande esultanza dei fra massoni. Roma divenne così capitale d'I-

talia e della massoneria, come aveva stabilito Albert Pike, designando

come suo successore Adriano Lemmi, massimo esponente del Rito Palla-

dio.

*****

Non c’è un solo Comune, in Italia, grande o piccolo che sia, privo di una piazza o di una via dedicata a Giuseppe Garibaldi. È sicuramente il perso-naggio storico del XIX secolo rimasto più popolare, certamente più degli altri due monumenti del Risorgimento, Cavour e Vittorio Emanuele II. È solo con l’avvento del leghismo che si inizia a rendere Carlo Cattaneo un più degno concorrente dell’Eroe dei Due Mondi.

Ma l’uno è uomo d’azione, l’altro è essenzialmente di scienza e di lettere. L’uno agiva con grande impeto militare ma con scarsissime capacità lette-rarie (non era Giulio Cesare), l’altro possedeva zero qualità guerresche ma aveva autentiche capacità di progettare il futuro di una nazione. Un vero peccato che fra i due non si sia potuta stabilire un’intesa, nemmeno quando Cattaneo corre a Napoli per seguire la dittatura garibaldina.

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Eroe dell’Ottocento borghese, Garibaldi rispecchia l’animo di una borghe-sia in gran parte ancora pionieristica e avventurosa, romantica al di là del bene e del male. Presto si trasforma in un “mito” per chi sta seduto tutto il giorno dietro una scrivania, non si concede il minimo sgarro alle regole, non rischia nemmeno il proprio pennello da barba e si limita a sognare mondi da conquistare, viaggiando con la fantasia. Garibaldi evoca un San-dokan in carne e ossa, ma non ha la purezza irreale del personaggio crea-to da Emilio Salgari. Di suo, aggiunge l'essere un autentico tombeur de femmes. Donne ne ha avute così tante nella vita che la sua fama potrebbe stare in piedi solo per il vissuto privato. E forse è anche per questo è sim-patico a Vittorio Emanuele II, che si onora di averlo come amico.

Dalla visione disincantata di Gilberto Oneto, che ha scritto L’Iperitaliano, Eroe o cialtrone? edito dal Cerchio (24 euro), l’Eroe dei Due Mondi esce mito pompato dalla letteratura giornalistica di ispirazione massonica pri-ma ancora che tornasse in Italia dopo i 12 anni trascorsi in America latina, nessuno dei quali svolgendo un lavoro onesto e normale che sia uno.

Da questa biografia “senza censure”, o non autorizzata, il giovane Gari-baldi esce con le ossa rotte: già massone mazziniano poco più che ven-tenne, per tutta la vita non farà altro che collaborare con i servizi inglesi, protetto ben oltre il limite della decenza, svolgendo di fatto una pesante attività di pirateria al soldo dei potentati locali.

L’INIZIO FRA RAPINE E SACCHEGGI

Oneto ricorda che ricorrerà spesso alla rapina, al saccheggio e al pluriomi-cidio - particolare quest'ultimo che lo vede personalmente coinvolto - mediante bande armate spesso costituite da delinquenti e ladroni, reclu-tati da oriundi italiani da lui guidati e lasciati liberi di scorrazzare intorno ai grandi fiumi e ai mari che lambiscono i confini dell'Uruguay, dell'Argen-tina e del Brasile. perfino le vicende amorose con la moglie Anita hanno un romantico risvolto noir, dal momento che non si è mai compreso come sia morto e dove sia stato seppellito il primo marito della donna, dopo il colpo di fulmine che trafisse la donna e il futuro generale dei Savoia.

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Tuttavia, prima del suo ritorno in Italia, Garibaldi non riuscirà ad arricchir-si, anche perché in questa fase della sua vita il denaro non sembra inte-ressarlo molto. Un particolare che alla fine lo salva, facendone una figura più complessa, allontanata dal comune criminale.

I primi veri patrioti al suo comando, eroi pronti a sacrificare la vita per un ideale, li avrà soltanto durante le vicende della repubblica romana, quan-do, circondato ai vertici da una schiera di incompetenti e presuntuosi proverà a mettere a disposizione la sua indiscussa esperienza con le armi e con le tattiche guerrigliere. Sarà anche la prima volta che si scontrerà drammaticamente con un esercito di valore e ben altrimenti organizzato rispetto a quelli incontrati in America Latina, dove l’essere “eroi” è ordine del giorno.

IL FALLIMENTO DEL GUERRIGLIERO

Qui ha a che fare con l’esercito francese, ben organizzato e meglio civiliz-zato: nulla a che vedere con i comandi militari latinoamericani. L'impatto è durissimo: non solo fallirà l'intento di radicare la latitanza "politica" nel-le campagne, ma nella fuga affannosa muore di stenti Anita, molto amata sebbene spessissimo tradita con una intera collezione di donne. Un "Che" Guevara ante litteram non può nascere nello stato pontificio. Anzi, seb-bene i sostenitori posteri abbiano messo in campo di tutto per presentar-lo alla stregua di un guerrigliero buono, non può nascere in nessuna parte d'Italia, men che meno nel Mezzogiorno, dove nel fenomeno definito co-me “brigantaggio” c’è una paradossale reazione opposta da parte di con-tadini. Non c’è tutto questo conclamato entusiasmo per l’unità politica della Penisola, Garibaldi se ne rende ben conto.

Ma se le cose stanno così, come mai riesce la missione dei Mille? Enorme è l’intreccio di corruzione, massoneria, mafia, camorra, fra una rete di complotti interni e internazionali. In questo contesto nascerà l’Italia che ogni cittadino ha imparato a conoscere.

Quando l’Eroe dei Due Mondi sbarcherà a Marsala (le pagine in cui Oneto descrive il viaggio verso la Sicilia sono sicuramente tra le più belle del li-bro) è già stato ampiamente preceduto dagli emissari di Cavour che non si

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sono fatti scrupoli nell’investire ingenti somme di denaro per corrompere alti ufficiali dell’esercito napoletano e autorità pubbliche. L’appoggio della massoneria è totale. E tra i primi ad ingrossare le file dei Mille ci sono i picciotti, particolarmente sanguinari, legati alla mafia, già allora ramifica-ta nelle campagne nonostante fosse efficacemente combattuta dalle au-torità del Regno delle Due Sicilie, almeno all’interno delle città. Lo stesso succederà con la camorra a Napoli, che si mette al servizio di Garibaldi.

L’INTRECCIO DI MAFIA E COMPLOTTI

Con il Regno d’Italia mafia e camorra non conosceranno più limiti alla loro espansione. Naturalmente, l’intera operazione di conquista è seguita dal-la flotta inglese, che ha l’ordine di accogliere Garibaldi qualora le cose gli andassero male. Ne “L’Iperitaliano”, Oneto cita con precisione fatti, nomi, circostanze; riscostruite le somme elargite, le promesse di carriera nell’esercito italiano, gli episodi dei numerosi saccheggi ad opera di gari-baldini e furbacchioni aggregati all’ultimo momento.

NINO BIXIO CRIMINALE DI GUERRA

Per i siciliani non è solo un triste avvio della nuova unità nazionale, un cambio di sovrano, un’annessione senza consenso al Piemonte, ma una nuova sottomissione ben peggiore della precedente. Ai contadini, cui ini-zialmente era stata promessa la terra, fu tolta ogni speranza: le terre ec-clesiastiche requisite e addirittura quelle demaniali concesse solo ai soliti baroni che potevano acquistarle all’asta. In alcuni dei villaggi che osarono ribellarsi - quelli di Bronte, Niscemi e Ragabulto, dove i latifondisti erano inglesi - fu mandato il generale Nino Bixio: un pazzo sfrenato, vero e pro-prio criminale di guerra che non esitò a far fucilare decine di innocenti. Oggi uno come lui sarebbe sotto processo all’Aja, ma la retorica risorgi-mentale ha trovato comunque il modo di dedicargli una via in ogni città.

Anche il passaggio sullo Stretto, in Calabria, avviene più o meno con le stesse modalità, con la marina napoletana e gli alti ufficiali dell’esercito misteriosamente sordi e ciechi, tanto da spingere in più occasioni marinai e soldati a rivoltarsi contro la palese (e interessata) viltà dei comandi. In Calabria, circa 1500 garibaldini ebbero ragione di 17 mila soldati napole-

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tani, che o non spararono un colpo, o si arresero in massa o abbandona-rono l’uniforme o passarono con Garibaldi.

L’ingresso a Napoli del generale col poncho avviene ancora una volta sen-za colpo fierire, auspice la potente flotta della marina britannica e la ca-morra, unica capace di garantire una parvenza di ordine pubblico. Dopo l’unificazione, gli ufficiali passeranno in massa con l’esercito italiano con ampie promozioni, ma pochissimi furono quelli della truppa che seguiro-no lo stesso esempio. Tra Milano, Alessandria e Bergamo il Regno dei Sa-voia allestirà veri e propri lager destinati ai meridionali riottosi: 32 mila prigionieri tenuti in condizioni terrificanti, molti dei quali moriranno di stenti. Il governo di Garibaldi a Napoli resta a tutt’oggi una delle peggiori espe-rienze cui sia toccato di passare alla città lungo tutta la sua storia. Fu ca-ratterizzato da provvedimenti spesso insensati, come l’abolizione tout court dei dazi, che mandò in rovina l’industria del Sud, o di pura rapina, talvolta vendicativi e crudeli. C’è anche una forte elargizione di denaro pubblico alla camorra affinché provveda alle “esigenze del popolo”; alle mogli, alle sorelle, alle cognate dei più potenti camorristi sono assegnate ricche pensioni. Nel giro di due mesi non c’è più un soldo nelle casse dello Stato napoletano: sparisce l’equivalente di duemila miliardi di euro, gran parte del quale in modo misterioso e ingiustificato. Le prove di ruberie e sprechi, o parte di esse, giacciono a tremila metri in fondo al mare, insie-me ai relitti di una nave che doveva essere diretta a Genova ma che è naufragata in circostanze più che sospette.

UN CONFUSO MASSONE DI SINISTRA

La storia d’Italia inizia così, nel 1861. Garibaldi guida un’impresa più gran-de di lui ed è totalmente privo delle qualità di uno statista. Fallisce anche l’ultimo tentativo di fondare uno Stato diverso, come gli suggeriva l’entourage repubblicano e lo stesso Carlo Cattaneo, che insisteva sui principi federalisti.

Dopo l’impresa dei Mille, nonostante l’acquisizione dei massimi gradi del-la massoneria, che comunque non sarà disposta a seguirlo, Garibaldi as-sumerà posizioni politiche sempre più sinistrorse, fino a presenziare

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all’Internazionale socialista con Marx e Bakunin, accentuando un anticle-ricalismo viscerale, impensabile oggi. Ma quando gli offrono il rischioso comando militare della Comune di Parigi, gentilmente rifiuta.

Per tutta la vita, l’Eroe dei Due Mondi, proprio in virtù delle sue capacità guerrigliere, mai sostenute da una effettiva cultura politica, si è lasciato sempre strumentalizzare da poteri forti e fortissimi, dai quali si dissocia solo a parole, dirigendo la sua azione contro malcapitati comunque desti-nati a essere fatti a pezzi dalla storia.

di Roberto Schena

Un uomo dalla fantasia fervidissima: questo era Giuseppe Garibaldi. Per

sincerarsene basta dare uno sguardo alla sua dimenticata produzione let-

teraria. Si tratta di romanzi in cui eroine e manigoldi vengono a confronto

per la sconfitta dei secondi e la vittoria dei primi. Chi sono i manigoldi?

Una domanda così ingenua può venire in mente solo ai nostri giorni. Ov-

vio che malfattori, violentatori, incestuosi, bugiardi siano i preti in genera-

le, i gesuiti in particolare.

Il credo di Garibaldi è infatti il seguente: il prete è "il vero rappresentante

della malizia e della vergogna, più atto assai a la corruzione e al tradimen-

to dello schifoso e strisciante abitatore delle paludi"; il gesuita è "il subli-

mato del prete": "quando sparirà - si domanda - dalla faccia della terra

questa tetra, scellerata, abominevole setta, che prostituisce, deturpa, im-

bestialisce l’esser umano?". Tanto è lo schifo che Garibaldi nutre per tutto

quanto ricorda Santa Romana Chiesa e i suoi rappresentanti, che per i

preti arriva ad immaginare un rimedio attuato circa un secolo dopo nei

confronti degli odiati "borghesi" dalla fantasia malata di un altro grande

della storia: Mao Tse-Tung.

Come Mao ha inventato per gli intellettuali un rimedio sicuro (mandarli

nelle campagne ad imparare come si vive dai contadini), così Garibaldi ha

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ideato per i preti la bonifica delle paludi pontine: "i preti alla vanga" di-

ranno i suoi seguaci. Ardente benefattore dell’Umanità (con la U rigoro-

samente maiuscola come i massoni - di cui Garibaldi è autorevolissimo

esponente - scrivono), liberatore degli italiani dalla schiavitù del cattolice-

simo, Garibaldi è uomo che non si tira indietro di fronte al commercio di

carne umana. Mentre combatte per la liberazione dei popoli latino-

americani, l’eroe dei due mondi tira a campare come può: col furto di ca-

valli si procura il taglio dei padiglioni auricolari, ma col commercio marit-

timo le cose gli vanno meglio. Il 10 gennaio del 1852 Garibaldi, coman-

dante della "Carmen" di proprietà dell’armatore ligure Pietro Denegri,

salpa dal Callao, in Perù, diretto verso Canton; la nave trasporta guano,

preziosa qualità di letame. Giustamente convinto di vivere una vita me-

morabile, il generale è molto preciso nel racconto delle proprie gesta che

descrive in dettaglio nelle Memorie. Del viaggio Callao-Canton-Lima sap-

piamo praticamente tutto: giorni di traversata, carichi trasportati, traver-

sie. Manca solo un particolare: non viene specificato con che tipo di mer-

ce Garibaldi, dopo aver venduto a condizioni vantaggiose il guano, faccia

ritorno in Perù. A questa dimenticanza provvede fortunatamente

l’armatore Denegri che, per encomiare le qualità umane del generale,

racconta all’amico e biografo Vecchj il dettaglio mancante: Garibaldi

"m’ha sempre portati i Chinesi nel numero imbarcati e tutti grassi e in

buona salute; perché li trattava come uomini e non come bestie".

Romanziere e negriero, Garibaldi ha un cuore tenero. È pieno di compas-

sione per l’amara sorte capitata agli animali che vivono in un paese catto-

lico. I figli di Santa Romana Chiesa si ostinano a non credere

all’inconfutabile verità della loro discendenza dalla bestie ed è per questo

che le tormentano in ogni modo senza nessuno scrupolo.

Non sto scherzando: i liberali sono assolutamente certi della verità di

questo assunto. Da sempre tenero con le donne, il cuore del generale è

attratto dall’amara sorte toccata agli animali italiani da una nobildonna

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inglese che, in viaggio per l’Italia, constata di persona i gravi maltratta-

menti inflitti dai superstiziosi e ignoranti cattolici alle bestiole. È sull’onda

dello sdegno che Garibaldi fonda nel 1871 la Società per la protezione de-

gli animali. Forse che i cattolici del secolo scorso sono davvero così spieta-

ti nei confronti delle bestie? A leggere i documenti dell’epoca non si di-

rebbe. Sembra anzi il contrario. Proprio i cattolici si fanno paladini degli

animali caduti sotto il bisturi positivista di provetti scienziati umanitari.

Un gruppo di scienziati stranieri ha iniziato a Firenze la pratica della vivi-

sezione "per sorprendere i misteri della vita nei suoi recessi" ma una

campagna stampa sostenuta dal "partito cattolico" impedisce che simili

sperimentazioni continuino in Italia. Gli scienziati positivisti sono costretti

ad emigrare a Ginevra, patria del calvinismo progressista.

Protettore degli animali, romanziere e negriero? Garibaldi non è passato

alla storia con questo clichet. Tutti lo conosciamo come impavido eroe dei

due mondi, libertador, disinteressato condottiero, esule volontario, uomo

puro e scevro da compromessi. Garibaldi con questa immagine è cono-

sciuto e rispettato in tutto il mondo. Basti dire che nella centralissima

piazza George Washington di New York, nuova capitale mondiale, la sta-

tua di Garibaldi è una delle due che accompagna, con minor magnificenza

e con dimensioni molto più ridotte è vero, ma nondimeno con grande va-

lore simbolico, la statua a cavallo del generale Washington, padre della

patria americana.

Di Angela Pellicciari

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Note

(1) DENIS MACK SMITH: Garibaldi, una grande vita in bre-

ve, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1993.

(2) Intervento di Giulio di Vita, pp. 379-80-81 atti di con-

vegno "La liberazione d'italia nell'opera della massoneria"

svoltasi a Torino il 24-25 settembre 1988, Edizioni Bastogi,

Foggia, 1990. .

(3) Bollettino del Grande Oriente del 1867, II, pag. 190.

(4) DENIS MACK SMITH - Garibaldi, una grande vita in

breve, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1993, pag. 285.

(5) L'eccidio di Bronte così come è raccontato dal garibal-

dino Cesare Abba nel libro

(6) G. GARIBALDI - Scritti politici e militari, Ricordi e pen-

sieri inediti, Voghera, Roma, 1907, a cura di Domenico

Ciampoli, pp. 523-525.

(7) G. GARIBALDI - Scritti e discorsi politici e militari, Ed.

Cappelli 1935, vol. II, pag. 397. (8) Ivi, Vol. III, Ed. Cap-

pelli, Bologna, 1937, pag. 334.

(9) opera citata, pag. 664.