Gaia Serena Simionati

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1 TORINO FILM FESTIVAL di Gaia Serena Simionati Gaia Serena Simionati è critico d’arte e cinematografico, giornalista, curatore. Collabora con Cinematografo su RAI UNO come critico per arte e cinema. Scrive su diverse riviste di lusso e arte in Italia e all’estero. Dopo una prima laura in Lingue e Letterature Straniere Moderne, specializzandosi in teatro inglese e una seconda, in Beni Culturali, diviene consulente finanziario e collabora con una multinazionale svizzera, acquisendo un master. Numerologa per passione, insegna saltuariamente in Università, tiene conferenze, scrive libri. Parla sei lingue e sceglie l’arte contemporanea con un interesse particolare per artisti internazionali, spesso di matrice pan- araba, iraniana e israeliana, target di investimento e cultura di cui cura mostre in tutto il mondo. Venti anni di viaggi nei paesi arabi, sfociano nel 2009, nel libro edito da Skira, AISH: Pane e vita. Un altro Islam. Un’altra arte, prima originale indagine su alcuni fra migliori artisti del Moyenne Orient. Il catalogo, Al Ghaib, Estetica della Sparizione, pubblicato da Silvana editoriale, è il frutto di una mostra itinerante nel 2012 in un Museo negli Emirati Arabi, poi spostata a New York. I penetranti occhi azzurri di Kim Novak e del suo gatto Cagliostro, che faranno innamorare James Stuart, protagonisti di BELL, BOOK AND CANDLE (Una strega in paradiso) di Richard Quine, diventano quest’anno l’emblema e il poster della 35esima edizione del Film Festival di Torino che si è svolto dal 24 novembre al 02 dicembre. Il frame è utile anche per omaggiare una sezione tutta dedicata alla storia dei felini nel cinema dal titolo NON DIRE GATTO… che include altre cinque pellicole e conseguenti gatti, come RHUBARB, (Il gatto milionario) del 1951, commedia assurda di Arthur Lubin dove Orangey (già protagonista in Colazione da Tiffany) eredita dall’affezionato padrone una fortuna e una squadra di baseball. Poi troviamo ALICE IN THE WONDERLAND, (Alice nel paese delle meraviglie), rilettura del romanzo di Lewis Carroll, il lisergico cartone animato sempre del 1951, vede la presenza di Stregatto, eccentrico e dispettoso a strisce rosa e fucsia. Dopo dieci anni, confezionato da John Gilling, maestro dell’horror britannico, appare THE SHADOW OF THE CAT, (L’ombra del gatto) ed è il 1961. Qui assurge a protagonista una soriana che si trasforma in una tremenda vendicatrice dopo aver assistito all’assassinio della sua padrona. Arriviamo al 1981 con BLACK CAT, (Gatto Nero). Ed è proprio dal racconto Black Cat di Poe e dal suo felino minaccioso che l’horror di ambientazione britannica di Lucio Fulci parte per costruire un thriller a sfondo medianico. Infine CHAT ÉCOUTANT LA MUSIQUE (Gatto che ascolta la musica) del 1990, dove Chris Marker riprende il suo gatto soriano, mentre assorto, ascolta note di un pianoforte.

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TORINO FILM FESTIVAL

di

GaiaSerenaSimionatiGaia SerenaSimionatiècriticod’arteecinematografico,giornalista,curatore.CollaboraconCinematografosuRAIUNOcomecriticoperarteecinema.ScrivesudiverserivistedilussoearteinItaliaeall’estero.DopounaprimalaurainLingueeLetteratureStraniereModerne,specializzandosiinteatroingleseeunaseconda,inBeniCulturali,divieneconsulentefinanziarioecollaboraconunamultinazionalesvizzera,acquisendounmaster.Numerologaperpassione,insegnasaltuariamenteinUniversità,tieneconferenze,scrivelibri.Parlaseilingueescegliel’artecontemporaneaconuninteresseparticolareperartistiinternazionali,spessodimatricepan-araba,iranianaeisraeliana,targetdiinvestimentoeculturadicuicuramostreintuttoilmondo.Ventiannidiviaggineipaesiarabi,sfocianonel2009,nellibroeditodaSkira,AISH:Paneevita.UnaltroIslam.Un’altraarte,primaoriginaleindaginesualcuniframiglioriartistidelMoyenneOrient. Ilcatalogo,AlGhaib,EsteticadellaSparizione,pubblicatodaSilvanaeditoriale,èilfruttodiunamostraitinerantenel2012inunMuseonegliEmiratiArabi,poispostataaNewYork.

I penetranti occhi azzurri di Kim Novak e del suo gatto Cagliostro, che faranno innamorare James Stuart,

protagonisti di BELL, BOOK AND CANDLE (Una strega in paradiso) di Richard Quine, diventano quest’anno l’emblema e il poster della 35esima edizione del Film Festival di Torino che si è svolto dal 24 novembre al 02 dicembre.

Il frame è utile anche per omaggiare una sezione tutta dedicata alla storia dei felini nel cinema dal titolo NON DIRE GATTO… che include altre cinque pellicole e conseguenti gatti, come RHUBARB, (Il gatto milionario) del 1951, commedia assurda di Arthur Lubin dove Orangey (già protagonista in Colazione da Tiffany) eredita dall’affezionato padrone una fortuna e una squadra di baseball.

Poi troviamo ALICE IN THE WONDERLAND, (Alice nel paese delle meraviglie), rilettura del romanzo di Lewis Carroll, il lisergico cartone animato sempre del 1951, vede la presenza di Stregatto, eccentrico e dispettoso a strisce rosa e fucsia.

Dopo dieci anni, confezionato da John Gilling, maestro dell’horror britannico, appare THE SHADOW OF THE CAT, (L’ombra del gatto) ed è il 1961. Qui assurge a protagonista una soriana che si trasforma in una tremenda vendicatrice dopo aver assistito all’assassinio della sua padrona.

Arriviamo al 1981 con BLACK CAT, (Gatto Nero). Ed è proprio dal racconto Black Cat di Poe e dal suo felino minaccioso che l’horror di ambientazione britannica di Lucio Fulci parte per costruire un thriller a sfondo medianico.

Infine CHAT ÉCOUTANT LA MUSIQUE (Gatto che ascolta la musica) del 1990, dove Chris Marker riprende il suo gatto soriano, mentre assorto, ascolta note di un pianoforte.

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Nella sezione After Hours i film da ricordare sono innanzitutto THE DISASTER ARTIST dell’esplosivo James

Franco, forse la pellicola più accattivante del festival: indimenticabile e geniale. Si narra la storia vera e assurda di un uomo ricchissimo, il cui denaro ha una provenienza incerta che, oltre a

essere un attore malvisto, un produttore milionario, un eccentrico sceneggiatore, nonché regista di flop, rende il suo film un masterpiece inspiegabile. E, la stessa cosa, riesce a fare con grande sensibilità James Franco. Un film originale che narra una storia assurda, seppur vera, di meta-cinema, cinema nel cinema, a discapito di giudizio e creazione, spesso binari paralleli che forse e per fortuna, non si toccheranno mai.

Si racconta di Tommy Wiseau, la cui passione artistica lo ha trasformato nel più famigerato degli outsider di Hollywood grazie alla realizzazione di The room, dove interpretava il protagonista Ed Wood, definito il peggior film mai realizzato nella storia del cinema, che incassò solo 1800 dollari a fronte di un costo di sei milioni. Interpretazione da Oscar di James Franco che, con una risata sincopata, una parlata senza articoli, una camminata da stalker, i capelli lunghi e neri in versione Morticia Addams, rende il suo personaggio uguale all’originale, Wiseau - Ed Wood, che sembra ed è già un clone di se stesso. Di sicuro il doppiaggio in italiano non renderà omaggio alla potenza dei dialoghi in lingua madre. Ma questo ormai è un classico in Italia, un paese che non sa le lingue e che non si vuole abituare a impararle, (magari proprio iniziando a guardare i film in lingua) che fa di little Italy, un piccolo stivale provinciale che prende a calci il resto del mondo. The disaster artist è un film a spirale che inghiotte e ripete, dove si resta ingabbiati senza vie di uscita e in cui, entrambi i fratelli Franco, James e Dave nel film "Angel Face", ti assorbono in un gioco recitativo familiare e amichevole che ti fa stare bene. Sono convincenti, belli, reali, carismatici nell’interpretare la rincorsa al talento e al successo, seppur i traguardi di entrambi saranno ad andature totalmente diverse. E, la stessa cosa, con o senza talento, riesce a fare James Franco usando grande sensibilità e attrici oggi irriconoscibili come Melanie Griffith e Sharon Stone.

RICCARDO VA ALL’INFERNO di Roberta Torre. Vi siete mai chiesti se si girerebbe nella tomba o si lancerebbe da una Torre, (in questo caso Roberta), il povero Shakespeare vedendo tutte le riedizioni, rivisitazioni, riadattamenti fatti alle sue meravigliose tragedie/commedie? Io si, ma questo non lo sapremo mai! Non c'è conoscenza senza sofferenza, E se Shakespeare sapesse, soffrirebbe?

Certo è che con Riccardo va all'inferno, il musical tratto dalla storia malefica di Riccardo terzo, a Shakespeare, uomo avezzo alle passioni, di sicuro sarebbero piaciuti gli attori, il setting, i sorprendenti onirici costumi e una regia impeccabile.

E anche l'inizio folgorante, fatto di toni bianchi, malati, sfuocati in una clinica psichiatrica dove lo studio dei due emisferi cerebrali di bene e male, viene fatto da un medico che straparla di Freud in tedesco. La pellicola originale rivisitazione della tragedia shakespeariana in toni moderni e romani di cattiveria odierna, sgretolandone un classicismo tradizionale, ora supportato da zingari coi denti d’oro, tirate di cocaina, bare contemporanee trasparenti al neon, pistole di diamanti e musiche che variano da opere a Verdi a Ranieri, sempre cattivi si è. Anche nel Regno del tiburtino, quello della tangenziale!

E il male ha sempre il suo fascino, qui soprattutto visivo, con veri e propri quadri in ogni scena, un pò David Lachapelle, un pò Matteo Basile, un pò Joel-Peter Witkin o Garrone.

Tutto bellissimo comunque, come se stessimo entrando in un museo di arte contemporanea.

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IN CONCORSO i più interessanti da non perdere sono: À VOIX HAUTE / SPEAK-UP di Stéphane De Freitas,

un film intelligente. Una sorta di documentario sociale sul potere della parola. Una trentina di giovani, di varia estrazione ed etnia, all’università di Saint Denis si confrontano con un corso di espressione verbale e arte oratoria. Analisi per capire come la poesia, i versi, aiutino a esprimersi nel profondo. Esempio commovente: una ragazza siriana che racconta come siano state tagliate le corde vocali a un esponente della rivoluzione che osò manifestare e parlare contro il regime. Anche a questo serve la parola; per denunciare.

THEY di Anahita Ghazvinizadeh (Qatar, Usa, Iran). Un film illuminante sul fascino del doppio che alberga latente in ognuno di noi, di cui già Tod Browning nel ‘32 aveva capito la forza visiva e anche mediatica realizzando il capolavoro di Freaks. La storia è quella di J, un quattordicenne, soprannominato “they” (“loro”) a causa di quel maschile e femminile che si nascondono nella sua anima ancora indecisa.

J è un adolescente sensibile che cura amorevolmente le piante, si lega a una gatta rossa della vicina, recita e raccoglie poesie; apparentemente sembra condurre una vita normale, come quelle però di chi è condannato a un’ipersensibilità presente spesso in chi possiede un’anima doppia. In realtà soffre d’identità di genere e non sa collocarsi sessualmente. I medici per far si che abbia tempo per attuare una scelta bloccano la sua pubertà con terapie ormonali e procedure mediche per due anni.

Il film, coprodotto da Qatar e Stati uniti con regia iraniana, è poetico e narra l’assurdità di appartenenza a un genere che solo nel mondo degli artisti non viene giudicata con cattiveria o come un freak (mostro); già Tod Browning nel 1932 realizzando il capolavoro di Freaks, incentrato sulla diversità, ne aveva capito la forza visiva e anche mediatica.

Infatti la sorella Lauren, molto attaccata a J, è una performer, scultrice pittrice; il suo ragazzo Araz è un artista e fotografo che delicatamente si preoccupa come rivolgersi a J.

Nel film si mette in luce e si aprono interrogativi morali sull’assurdità di accanimenti terapeutici, l’ibernazione di uno sviluppo fisico con le ovvie conseguenze che ne possono derivare sia fisiche che mentali, anziché magari fornire un valido percorso e aiuto psicologico per scegliere la via di sviluppo più giusta.

I genitori di J rimangono sempre lontani o in ombra e non vengono mai ripresi dalla telecamera, come a non essere ritenuti responsabili; il protagonista è veramente bravissimo, misterioso e adatto perfettamente al ruolo. Un film illuminante sul fascino del doppio che alberga latente in ognuno di noi.

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AL TISHKECHI OTI / DON’T FORGET ME di Ram Nehari (Israele/Francia/Germania) Stay hungry, stay foolish.

Steve Jobs

Alice: Sto diventando matta, papà? Padre: Ho paura di sì, Alice: sei matta, svitata, hai perso la testa… Ma ti dirò un segreto: tutti i migliori sono matti.

Alice in Wonderland

Purtroppo Tom, brava protagonista del film israeliano, non ha avuto la fortuna di incontrare Steve Jobs. E tantomeno ha avuto un padre incoraggiante come quello di Alice Nel Paese delle Meraviglie.

Si perchè certe nevrosi, malattie, disturbi alimentari o psichici come quelli rappresentati nel film dai due protagonisti, spesso sono causati dall'interazione e dalla dinamiche che si creano fin dall'infanzia con i genitori o con chi contribuisce allo sviluppo di quei bambini e di come vengono aiutati a crescere sani.

Nel caso di Tom e la sua anoressia, abbiamo una madre ossessiva e vegana, dedita più all' andamento, crescita e sviluppo delle verdure biologiche da ingerire "assolutamente organiche" che alla propria figlia. E un padre durissimo, non in grado di leggere le debolezze, gli usi e i costumi di una figlia fragile.

Non ti dimenticare di me, illustra quindi per potentissime metafore, la realtà israeliana e la sua dicotomia; un paese in crisi, pieno di conflitti sia dentro che fuori le mura domestiche, sia nel collettivo che nel privato, sia nel sociale che nell'intimo personale o familiare che sia. Che deve fare i conti con se stesso e forse per questo così affascinante come questa opera.

D'altro canto quando si chiede: “hai letto Nahamide?”, esegeta e cabbalista, il riferimento al paese e alla sua mistica è evidente.

Nehari riesce perfettamente a emanare la tensione privata e la follia a tratti comica, anche attraverso l'uso della musica, con l'incessante ripetizione monocorde di sole tre note suonate dal protagonista Neil. Con il suo ottone viene continuamente "rigurgitato" il tema della diversità, della follia. Persino la canzone di chiusura del film è simpaticissima e delinea tutta quella stranezza di cui il film, noi o loro siamo pregni.

"Tesoro non sono un leone, sono solo un cavallo sfigato, un topo avvelenato, e sconfitto" Matti o non, il film ha vinto premi plurimi sia per regia che per miglior attrice del Film Festival.

Altro film valido è BEAST (di Micheal Pierce) UK, 2017 che narra di una giovane e problematica donna che vive in una comunità isolata di Jersey. Si trova divisa tra una famiglia oppressiva e il fascino di un misterioso outsider, sospettato di una serie di brutali omicidi.

E’ un film ben fatto. Ha pieghe e anse che ti travolgono. Ben girato, con uno script valido e interpretazioni magnifiche di un’intensità rara, nonostante gli attori non siano così conosciuti; ricordiamo la protagonista Jessie Buckley con Charles Palmer Rothwell.

L’importanza di un casting perfetto sui protagonisti (lei, lui e la madre di lei) spesso viene sottovalutata. In realtà proprio questo film grazie al casting, crea quell’alchimia indimenticabile di erotismo, cattiveria, freddezza, giudizio e pregiudizio che soprattutto questi tre personaggi sanno far vivere all’audience.

Ovviamente con l’aggiunta di una regia ottima, questa di Micheal Pierce che sa intervallare scenari mozzafiato, fatti di coste a strapiombo sul mare, zone boschive, grandi spiagge e scenari paesaggistici come vie di fuga dalla tematica di un killer seriale che uccide bambine e adolescenti. Bel film. Da vedere tanto che si è aperto con il primo vero applauso sentito dalla critica.

THE DEATH OF STALIN Morto Stalin, se ne fa un altro (di Armando Iannucci) Francia/UK. 1953. Joseph Stalin, l'uomo che aveva governato l'Unione Sovietica per 33 anni, ebbe un ictus il 2 marzo del

1953. Morto il dittatore inizia una lotta spietata per definire chi prenderà il suo posto. Diversi i contendenti che scatenano una riuscitissima commedia nera che diviene farsa e satira sul tema del potere e del totalitarismo.

Il film è tutto in inglese pur narrando una storia russa ed essendo tutti russi. Già questo è comico. Si aggiungano poi battute esilaranti, freddure British, un continuo e raccapricciante alternarsi di titoli al potere, dove ognuno è pronto a “fare le scarpe” all’altro.

Figure che nell'immaginario collettivo vivono come rigide e severe, qui divengono marionette napoletane, tutto fuorché integerrime.

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Tra i film della sezione Festa Mobile ricordiamo TITO E GLI ALIENI di Paola Randi

Uno zio scienziato, due nipotini napoletani e orfani, l’area 51, il deserto del Nevada, un divano verde, lo spazio, gli alieni e una fotografia elegante che catapulta su altri livelli. Tutti questi elementi apparentemente non collegati tra loro, intessono e puntellano come palafitte, Tito e gli alieni, facendolo sembrare un film d'arte per la bellezza che ne scaturisce.

La trama si dipana con queste trovate originali, tipo un acchiappa suoni, delle cuffie con trecce bionde, un divano blu nel mezzo del nulla desertico, maschere da alieni, una bolla di casa gonfiabile comprata su internet che va richiusa se no si sgonfia.

Il film è fatto da un grande scenografo, un’ottima fotografia e trovate ironiche, divertenti oltre che la profondità con cui si parla di morte, persone scomparse e memoria. Si piange e si ride e anche se la trama vira un pò al melodrammatico, il film convince per i suoi tocchi inaspettati e originali come solo Napoli sa dare.

E' un film originale, con trovate simpatiche, di grande gusto cromatico, immagini raffinate e sorprendenti, alla fine racconta che, in un'epoca difficile come questa, sembrano essere alieni i napoletani, tutti quelli che hanno un cuore, quelli che vivono di amore e creatività.

Altro film eccezionale è TESNOTA – CLOSENESS. Cosa sareste disposti a fare per salvare qualcuno che amate? E a non fare? Ve lo siete mai chiesti? Ecco Tesnota - Closeness parla proprio di questo e di quel ponte sano che si può riuscire a creare tra etnie diverse, religioni diverse, uomini diversi. Il film è intelligente, sapientemente girato da un ventiseienne con l'anima di un sessantenne, che raggiunge una tensione perenne che tiene sulle spine e fa riflettere sulle diverse forme di amore. Tutti i personaggi qui ne sono assetati. Amore disperato quello di una madre per il figlio rapito. Passionale quello della protagonista, Ilana, bravissima, la giovane attrice Darya Zhovner, appena diplomatasi al Moscow Art Theatre per un ragazzo Cabardo. Quasi dipendente del ragazzo David rapito, per la propria promessa sposa. Silenzioso e remissivo di un padre per la figlia. Il film affronta poi la tematica del confronto e diversità tra Ebrei e Cabardi e di come possano essere al contempo complementari e distanti. La società caucasica è di stampo patriarcale. Quella ebrea invece è matriarcale. Gli Ebrei più dinamici e intraprendenti, i Cabardi più lenti e malinconici. Entrambi i popoli hanno in comune l'attenzione e dedizione alla famiglia e a proteggere le proprie radici, tanto che nel nazismo i secondi cercarono di salvare i primi. E proprio su questo ponte si basa questo interessante film. Diretto da Kantemir Balagov e sceneggiato con Anton Yarush, CLOSENESS, Tesnota,Russia, 2017, è ambientato nel 1998 a Nalchik, nel Caucaso del nord, e racconta la storia della ventiquattrenne Ilana, che lavora nell'officina del padre. Una sera, la sua famiglia e gli amici si riuniscono per festeggiare il fidanzamento del fratello minore David, quando questi viene rapito con la fidanzata. E da li si apre un vortice di ricerca e dipendenza di denaro tanto attuale, quanto schifoso oggi. Altro tema sotterraneo del film.

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WIND RIVER di Taylor Sheridan agghiacciante thriller ambientato nei ghiacci. Potente. Ricordiamo BALON di Scimeca e DARKEST HOUR di Joe Wright.

L'ora più buia ha un tocco di luce. Nella splendida fotografia, nelle scene di magistrale eleganza, negli interni

sontuosi, negli abiti, nei luoghi accattivanti di scenografia. Rimane però buio il film nell'insieme della storia, non galvanizzante, non valorizzata la figura di pregio. Vediamo perchè.

La parlata biascicata di Churchill lo rende apparentemente un mentecatto e toglie tutto il fascino alla famosa e storica intelligenza dell'uomo che lo ha reso innanzitutto giornalista, abile retore, ottimo scrittore, (tanto da vincere il premio Nobel per la letteratura) oltre che politico, storico, militare britannico. Cose che si conoscevano già. Quello che non si sa e che non emerge dal film è che era un uomo che soffriva di depressione maniacale, passava giorni a letto e temeva il proprio suicidio più dei tedeschi. Per questo prendeva pillole di anfetamina per curarsi, che lo facevano schizzare di energia fino al susseguente tracollo; in sostanza era bipolare e ci conviveva.

Non viene messo in luce che amava follemente i gatti come il suo caro felino Jock e nemmeno che ha subito miriadi di incidenti prima di morire a 90 anni con un ictus.

Amava la scienza, scriveva saggi, credeva negli alieni e in forme di vita superiore. Un uomo strano per molti, geniale per pochi, almeno mentre in vita.

In ordine ebbe una commozione cerebrale, si ruppe un rene, mentre giocosamente si lanciava da un ponte. In un lago svizzero è quasi annegato, è caduto più volte da cavallo, si è slogato la spalla, si è schiantato con un aereo, mentre imparava a volare ed è stato investito da un'auto attraversando la Fifth Avenue di York. In Africa riuscì persino, dopo essere stato catturato dai guerriglieri boeri, a scappare e a sopravvivere nel buco di una miniera per tre giorni.

Quello che non si sa è che inventò aforismi e frasi celebri nella storia come "Cortina di ferro", “Il successo non è mai definitivo, il fallimento non è mai fatale; è il coraggio di continuare che conta” e “Una mela al giorno leva il medico di torno… se hai una buona mira”.

Ecco dal film non emerge tutta questa genialità di vita, di pensiero, questo anticonformismo e creatività rarissime per un politico, legato alla cultura tanto che vinse un Nobel, (anche questa, fantascienza per un politico), ma neppure la somiglianza fisica sembra essere azzeccata.

Il pregio è l'idea di un film su un uomo così speciale. Il difetto, non essere stati in grado di METTERLO IN LUCE, appunto.

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Stanley Tucci in FINAL PORTRAIT affronta il genio di Giacometti nell’ultimo interminabile e sofferto ritratto

della sua vita.

Infine due parole sui film di apertura e chiusura festival che, come una doppia cerniera, aprono e chiudono le età dalla vita.

Il primo è il divertente FINDING YOUR FEET comico racconto che esplora la terza età, i pregi e difetti che se ne possono ricavare, soprattutto quando una donna, per prestigio e abitudine dedica se stessa e tutta la sua vita a un uomo ricco e importante dal quale scopre di essere tradita con la sua migliore amica. Da lì una rinascita con reazione e rivoluzione, dentro e fuori se stessa.

Il film di chiusura, invece: THE FLORIDA PROJECT, narra le vicende vivaci di piccoli ragazzini, come scugnizzi napoletani, ambientate in un motel per persone poco abbienti, con ironia, spensieratezza, ma anche quella profondità di vita dei ceti meno fortunati che usano maggiore creatività per sopravvivere. Si copre infanzia, gioventù e vecchiaia, soddisfacendo tutte le età presenti al Torino Film Festival.