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DIREZIONE REDAZIONE E SEDE LEGALE: VIA G. NICOTERA, 29 - 00195 ROMA Tel. 06.3242351 - 06.3242354 Fax 063242356 - Sito: www.gazzettaamministrativa.it Autorizzazione del Tribunale di Roma n. 374/2010 Gazzetta Amministrativa GAZZETTA AMMINISTRATIVA DELLA REPUBBLICA ITALIANA TRIMESTRALE DI INFORMAZIONE E DI AGGIORNAMENTO DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE IN QUESTO NUMERO pareristica a cura dell’ Fondatore Enrico Michetti Numero 1 Anno 2016 Numero 1 Anno 2016 LA TEORIA DELLA LEGITTIMITÀ NELLA BUROCRAZIA ARTIFICIALE: LA NUOVA FRONTIERA DELLA “DIGITALIZZAZIONE GIURIDICA” LA SORTE DEL CONTRATTO A SEGUITO DELL’ANNULLAMENTO DELL’AGGIUDICAZIONE: PROBLEMATICHE RELATIVE ALLA GIURISDIZIONE UN RECENTE ORIENTAMENTO GIURISPRUDENZIALE IN MATERIA DI APPELLO TRIBUTARIO E LA SUA PROBLEMATICA CONNESSIONE CON ALCUNI PARAMETRI COSTITUZIONALI L’ETERNO DILEMMA CIRCA LA DISTINZIONE FRA RIFIUTI O SOTTOPRODOTTI. IL CASO SPECIFICO DEI RESIDUI DI PRODUZIONE E L’INTERVENTO ESPLICATIVO DELLA SUPREMA CORTE (SENT. CASS. PEN. SENTENZA N. 40109/2015) IL PRINCIPIO DI PRECAUZIONE IN DIRITTO AMBIENTALE COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE I COSTI INTERNI AZIENDALI SULLA SICUREZZA SUL LAVORO DEVONO ESSERE INDICATI NELLE OFFERTE ECONOMICHE ANCHE NELLE GARE DI APPALTO DI LAVORI, LA LORO OMISSIONE NON È SANABILE NEANCHE MEDIANTE IL SOCCORSO ISTRUTTORIO LINEE GUIDA PER L’AFFIDAMENTO DI SERVIZI A ENTI DEL TERZO SETTORE E ALLE COOPERATIVE SOCIALI LA NUOVA MEDIAZIONE TRIBUTARIA IL TENTATO FURTO DI BENI DI MODICO VALORE ALL’INTERNO DI UN’“ISOLA ECOLOGICA” COMUNALE NON È PUNIBILE: PRIME APPLICAZIONI GIURISPRUDENZIALI DEL NUOVO ART. 131 BIS C.P.

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Autorizzazione del Tribunale di Roma n. 374/2010

Gazzetta Amministrativa

GAZZETTA AMMINISTRATIVADELLA REPUBBLICA ITALIANA

TRIMESTRALE DI INFORMAZIONE E DI AGGIORNAMENTO DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

IN QUESTO NUMERO

pareristica a cura dell’

Fondatore Enrico Michetti

DIREZIONE REDAZIONE E SEDE LEGALE: VIA G. NICOTERA, 29 - 00195 ROMATel. 06.3242351 - 06.3242354 Fax 063242356 - Sito: www.gazzettaamministrativa.it

Autorizzazione del Tribunale di Roma n. 374/2010

Gazzetta Amministrativa

GAZZETTA AMMINISTRATIVADELLA REPUBBLICA ITALIANA

TRIMESTRALE DI INFORMAZIONE E DI AGGIORNAMENTO DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

IN QUESTO NUMERO

pareristica a cura dell’

Fondatore Enrico Michetti

Numero 1

Anno 2016

Numero 1 Anno 2016

� LA TEORIA DELLA LEGITTIMITÀ NELLA BUROCRAZIA ARTIFICIALE: LA NUOVA FRONTIERADELLA “DIGITALIZZAZIONE GIURIDICA”

� LA SORTE DEL CONTRATTO A SEGUITO DELL’ANNULLAMENTO DELL’AGGIUDICAZIONE: PROBLEMATICHE RELATIVE ALLA GIURISDIZIONE

� UN RECENTE ORIENTAMENTO GIURISPRUDENZIALE IN MATERIA DI APPELLO TRIBUTARIO E LA SUA PROBLEMATICA CONNESSIONE CON ALCUNI PARAMETRI COSTITUZIONALI

� L’ETERNO DILEMMA CIRCA LA DISTINZIONE FRA RIFIUTI O SOTTOPRODOTTI. IL CASO SPECIFICO DEI RESIDUI DI PRODUZIONE E L’INTERVENTO ESPLICATIVO DELLA SUPREMACORTE (SENT. CASS. PEN. SENTENZA N. 40109/2015)

� IL PRINCIPIO DI PRECAUZIONE IN DIRITTO AMBIENTALE COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE

� I COSTI INTERNI AZIENDALI SULLA SICUREZZA SUL LAVORO DEVONO ESSERE INDICATINELLE OFFERTE ECONOMICHE ANCHE NELLE GARE DI APPALTO DI LAVORI, LA LORO OMISSIONE NON È SANABILE NEANCHE MEDIANTE IL SOCCORSO ISTRUTTORIO

� LINEE GUIDA PER L’AFFIDAMENTO DI SERVIZI A ENTI DEL TERZO SETTORE E ALLE COOPERATIVE SOCIALI

� LA NUOVA MEDIAZIONE TRIBUTARIA

� IL TENTATO FURTO DI BENI DI MODICO VALORE ALL’INTERNO DI UN’“ISOLA ECOLOGICA”COMUNALE NON È PUNIBILE: PRIME APPLICAZIONI GIURISPRUDENZIALI DEL NUOVO ART. 131 BIS C.P.

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Presidente Onorario: Dott. Pasquale de Lise (Presidente emerito del Consiglio di Stato)

Presidente del Comitato dei Saggi: Avv. Ignazio Francesco Caramazza

(Avvocato Generale emerito dello Stato)

CONSIGLIO SCIENTIFICO Presidente: Prof. Alberto Romano Vice Presidenti: Avv. Massimo Mari e Dott. Ing. Massimo Sessa Componenti del Consiglio Scientifico Nazionale: Prof. Edoardo Ales, Dott. Andrea Baldanza, Prof. Enzo Baldini, Prof. Antonio Bartolini, Prof. Salvatore Bellomia, Pres. Franco Bianchi, Prof. Antonio Briguglio, Prof. Roberto Caranta, Prof. Agostino Cariola, Prof.ssa Lucia Cavallini, Prof. Roberto Cavallo Perin, Prof. Guido Corso, Prof. Enrico Follieri, Prof. Fabio Francario, Prof. Carlo Emanuele Gallo, Prof. Vincenzo Caputi Iambrenghi, Prof. Giovanni Leone, Prof. Fiorenzo Liguori, Prof. Bernardo Giorgio Mattarella, Prof. Francesco Merloni, Prof. Fabio Merusi, Pres. Filippo Paone, Prof. Nino Paolantonio, Pres. Calogero Piscitello, Prof.ssa Paola Piras, Prof. Aristide Police, Dott. Giuseppe Rotondo, Prof. Mario Sanino, Prof. Salvatore Raimondi, Dott. Alfredo Storto, Prof. Antonio Romano Tassone, Dott. Andrea Paolo Taviano, Prof. Luciano Vandelli. Componenti del Consiglio Scientifico Internazionale: Prof. Vicente Alvarez Garcìa, Prof. Rodolfo Carlos Barra, Prof. Andrea Biondi, Prof. Alejo Hernandez Lavado, Prof. Emanuele Lobina, Prof. Dimitris Xenos.

COMITATO DI REFEREE Componenti: Prof.ssa Francesca Angelini, Prof. Raffaele Bifulco, Prof.ssa Paola Chirulli, Prof. Alfredo Contieri, Pres. Dott. Pasquale de Lise, Prof. Francesco De Leonardis, Prof. Roberto Miccù, Prof. Fulvio Pastore, Prof. Marco Prosperetti, Prof. Emilio Paolo Salvia, Prof. Filippo Satta, Prof.ssa Elisa Scotti, Prof. Stefano Vinti.

COMITATO DI DIREZIONE

Direttore: Prof. Enrico Michetti Vicedirettori: Avv. Valentina Romani, Avv. Paolo Pittori e Avv. Rodolfo Murra Coordinatore Ufficio di Direzione: Avv. Domenico Tomassetti Caporedattore: Avv. Emanuele Riccardi Componenti: Dott.ssa Anna Cinzia Bartoccioni, Dott. Antonio Cordasco, Dott. Michele de Cilla, Dott. Angelo Domini, Dott. Federico Mazzella, Prof. Salvatore Napolitano, Prof. Stefano Olivieri Pennesi, Dott. Francesco Palazzotto, Dott. Paolo Romani.

REDAZIONE Direttore Responsabile: Dott.ssa Marzia Romani Responsabile Organizzazione: Dott. Filippo Gai Redattori: Dott. Davide Ambroselli, Prof. Maurizio Asprone, Avv. Luca Baccarini, Avv. Giulio Bacosi, Dott. Filippo Barbagallo, Dott. Marco Benvenuti, Avv. Sergio Caracciolo, Avv. Gaetano Cammarano, Avv. Fabrizio Casella, Dott. Francesco Colacicco, Avv. Maria Cristina Colacino, Dott. Pasquale Colafemmina, Avv. Fulvio Costantino, Dott. Paolo Cortesini, Dott.ssa Flora Cozzolino, Avv. Anna Maria Crescenzi, Avv. Ilaria de Col, Ing. Andrea Di Stazio, Dott. Fabrizio De Castris, Avv. Giovanna De Maio, Avv. Maurizio Dell’Unto, Avv. Stefano Di Giovan Paolo, Avv. Paolo Ermini, Dott.ssa Matilde Esposito, Dott. Daniele Fabbro, Avv. Fabio Falco, Avv. Enrico Gai, Avv. Riccardo Gai, Avv. Antonino Galletti, Avv. Andrea Grappelli, Avv. Andrea Iacobini, Avv. Livio Lavitola, Avv. Francesco Lettera, Dott. Massimiliano Mignanelli, Avv. Carmine Medici, Dott. Fabrizio Pagniello, Avv. Giuseppe Petretti, Avv. Gianluca Piccinni, Avv. Enrico Pierantozzi, Avv. Andrea Pistilli, Avv. Luigi Marcelli, Dott. Adriano Marini, Avv. Tiziana Molinaro, Avv. Simone Morani, Prof. Gianluca Montanari Vergallo, Dott. Gennaro Napolitano, Avv. Mario Nigro, Avv. Andrea Perrotta, Avv. Giuseppe Petrillo, Avv. Marcello Anastasio Pugliese, Avv. Anna Romano, Prof.ssa Maria Rosaria Salerni, Dott. Fernando Santoriello, Avv. Stefano Sassano, Avv. Francesco Scittarelli, Dott. Michele Scognamiglio, Dott.ssa Claudia Tarascio, Avv. Michela Urbani.

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- sommario -

Gazzetta Amministrativa -1- Numero 1- 20166

SOMMARIO

SEZIONE RISERVATA AI SAGGI ED AI CONTRIBUTI SCIENTIFICI

LA TEORIA DELLA LEGITTIMITÀ NELLA BUROCRAZIA ARTIFICIALE: LA NUOVA FRONTIERA DELLA "DIGITALIZZAZIONE GIURIDICA" del Prof. Avv. Enrico Michetti ......................................................................................................................................... 5 LA SORTE DEL CONTRATTO A SEGUITO DELL’ANNULLAMENTO DELL’AGGIUDICAZIONE: PROBLEMATICHE RELATIVE ALLA GIURISDIZIONE del Prof. Antonino Ilacqua .................................................................................................................................. 25

PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO E RIFORME ISTITUZIONALI

NOTIZIE ED AGGIORNAMENTI ............................................................................................................................ 42 REDAZIONALI ............................................................................................................................................................ 46 UN RECENTE ORIENTAMENTO GIURISPRUDENZIALE IN MATERIA DI APPELLO TRIBUTARIO E LA SUA PROBLEMATICA CONNESSIONE CON ALCUNI PARAMETRI COSTITUZIONALI del Dott. Roberto Savarese ............................................................................................................................................. 46 GIURISPRUDENZA .................................................................................................................................................... 49 RASSEGNA DI GIURISPRUDENZA IN MATERIA DI DISCIPLINA DEL PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO (L. N. 241/1990) E SUGLI ENTI LOCALI ........................................................................................................................................................................................ 49 PARERI - AVVOCATURA DELLO STATO ............................................................................................................ 55

USO DEL TERRITORIO: URBANISTICA, AMBIENTE E PAESAGGIO

NOTIZIE ED AGGIORNAMENTI ............................................................................................................................ 60 REDAZIONALI ............................................................................................................................................................ 63 L’ETERNO DILEMMA CIRCA LA DISTINZIONE FRA RIFIUTI O SOTTOPRODOTTI. IL CASO SPECIFICO DEI RESIDUI DI PRODUZIONE E L’INTERVENTO ESPLICATIVO DELLA SUPREMA CORTE (SENT. CASS. PEN. SENTENZA N. 40109/2015) della Dott.ssa Francesca Romana Marcacci Balestrazzi ................................................................................................ 63 LA VALORIZZAZIONE DEI BENI CULTURALI dell’Avv. Paolo Turco ..................................................................................................................................................... 72 GIURISPRUDENZA .................................................................................................................................................... 75 PARERI - AVVOCATURA DELLO STATO ............................................................................................................ 80

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- sommario -

Gazzetta Amministrativa -2- Numero 1- 2016

UNIONE EUROPEA E

COOPERAZIONE INTERNAZIONALE NOTIZIE ED AGGIORNAMENTI ............................................................................................................................. 89 REDAZIONALI ............................................................................................................................................................ 92 IL PRINCIPIO DI PRECAUZIONE IN DIRITTO AMBIENTALE COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE dell’Avv. Paolo Turco ...................................................................................................................................................... 92 GIURISPRUDENZA ..................................................................................................................................................... 94 PARERI - AVVOCATURA DELLO STATO ............................................................................................................ 98

CONTRATTI, SERVIZI PUBBLICI E CONCORRENZA

NOTIZIE ED AGGIORNAMENTI ............................................................................................................................. 101 REDAZIONALI ............................................................................................................................................................ 109 I COSTI INTERNI AZIENDALI SULLA SICUREZZA SUL LAVORO DEVONO ESSERE INDICATI

NELLE OFFERTE ECONOMICHE ANCHE NELLE GARE DI APPALTO DI LAVORI, LA LORO

OMISSIONE NON È SANABILE NEANCHE MEDIANTE IL SOCCORSO ISTRUTTORIO dell’Avv. Andrea Grappelli ............................................................................................................................................. 109 LINEE GUIDA PER L’AFFIDAMENTO DI SERVIZI A ENTI DEL TERZO SETTORE E ALLE

COOPERATIVE SOCIALI dell’Avv. Maurizio Dell’Unto .......................................................................................................................................... 112 GIURISPRUDENZA ..................................................................................................................................................... 121 PARERI - AVVOCATURA DELLO STATO ............................................................................................................ 136

PUBBLICO IMPIEGO E RESPONSABILITÀ

DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE NOTIZIE ED AGGIORNAMENTI ............................................................................................................................. 140 REDAZIONALI ............................................................................................................................................................ 143 LAVORARE E’ ANCHE SENTIMENTO… EMPATICO del Prof. Dott. Stefano Olivieri Pennesi .......................................................................................................................... 143 GIURISPRUDENZA ..................................................................................................................................................... 147 PARERI - AVVOCATURA DELLO STATO ............................................................................................................ 150

PATTO DI STABILITÀ, BILANCIO E FISCALITÀ

NOTIZIE ED AGGIORNAMENTI ............................................................................................................................. 153 GIURISPRUDENZA ..................................................................................................................................................... 157 PARERI - AVVOCATURA DELLO STATO ............................................................................................................ 163

GIUSTIZIA E

AFFARI INTERNI

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- sommario -

Gazzetta Amministrativa -3- Numero 1- 20166

NOTIZIE ED AGGIORNAMENTI ............................................................................................................................ 167 REDAZIONALI ............................................................................................................................................................ 195 LA NUOVA MEDIAZIONE TRIBUTARIA del Dott. Valerio Antognarelli e del Prof. Massimiliano Nisati ...................................................................................... 195 GIURISPRUDENZA .................................................................................................................................................... 205 PARERI - AVVOCATURA DELLO STATO ............................................................................................................ 209

INCENTIVI E SVILUPPO

ECONOMICO NOTIZIE ED AGGIORNAMENTI ............................................................................................................................ 217 GIURISPRUDENZA .................................................................................................................................................... 220 PARERI - AVVOCATURA DELLO STATO ............................................................................................................ 224

COMUNICAZIONE E INNOVAZIONE NOTIZIE ED AGGIORNAMENTI ............................................................................................................................ 228 REDAZIONALI ............................................................................................................................................................ 230 IL TENTATO FURTO DI BENI DI MODICO VALORE ALL’INTERNO DI UN’“ISOLA ECOLOGICA” COMUNALE NON È PUNIBILE: PRIME APPLICAZIONI GIURISPRUDENZIALI DEL NUOVO ART. 131 BIS C.P. degli Avv.ti Luca Petrucci e Giulio Vasaturo.................................................................................................................. 230 GIURISPRUDENZA .................................................................................................................................................... 232

SANITÀ E SICUREZZA SOCIALE

NOTIZIE ED AGGIORNAMENTI ............................................................................................................................ 237 GIURISPRUDENZA .................................................................................................................................................... 239 PARERI - AVVOCATURA DELLO STATO ............................................................................................................ 241 DICHIARAZIONE SULL’ETICA, SULLE PRATICHE SCORRETTE E REGOLAMENTO SULLE MODALITÀ DI VALUTAZIONE DEI CONTRIBUTI SCIENTIFICI PUBBLICATI IN GAZZETTA AMMINISTRATIVA DELLA REPUBBLICA ITALIANA ........................................................................................................................................................................................ 244

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Sezione riservata ai Saggi ed ai Contributi Scientifici

Gazzetta Amministrativa -4- Numero 1- 2016

SEZIONE RISERVATA AI SAGGI ED AI CONTRIBUTI SCIENTIFICI

SOMMARIO LA TEORIA DELLA LEGITTIMITÀ NELLA BUROCRAZIA ARTIFICIALE: LA NUOVA FRONTIERA DELLA "DIGITALIZZAZIONE GIURIDICA" del Prof. Avv. Enrico Michetti ......................................................................................................................................... LA SORTE DEL CONTRATTO A SEGUITO DELL’ANNULLAMENTO DELL’AGGIUDICAZIONE: PROBLEMATICHE RELATIVE ALLA GIURISDIZIONE del Prof. Antonino Ilacqua ..............................................................................................................................................

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Gazzetta Amministrativa -5- Numero 1- 2016

LA TEORIA DELLA LEGITTIMITÀ NELLA BUROCRAZIA ARTIFICIALE: LA NUOVA FRONTIERA DELLA "DIGI-TALIZZAZIONE GIURIDICA" del Prof. Avv. Enrico Michetti La rivoluzione digitale in atto permea e rimodella la vita sociale, imponendo nuove regole che avviano ad un definitivo e rapido cambiamento culturale. La "teoria della legittimità nella buro-crazia artificiale" prefigura uno scenario completamente nuovo in cui informatica e diritto non si sommano, ma si fondono teorizzando un innovativo metodo di applicazione della scienza esatta al diritto amministrativo che, attraverso la sperimentazione concreta, ha consentito di raggiunge-re l'obiettivo di prestabilire in un sistema esperto la sequenza giuridica dinamica necessaria all'avvio, lavorazione e conclusione dei procedimenti amministrativi. Si tratta di una nuova tecnica denominata "Digitalizzazione giuridica" che - sulla base degli ap-prodi raggiunti dalle precedenti discipline empiriche, in primis dalla giurimetrica - vuole rappre-sentare oggi un nuovo simbolo semantico diretto a riassumere le istanze emergenti dal nuovo contesto di riforma della Pubblica Amministrazione, con la quale si dà luogo alla formalizzazio-ne digitale non del mero diritto, ma alla traduzione in linguaggio giuridico-giurisprudenziale dei procedimenti amministrativi in algoritmi. The digital revolution underway permeates and reshapes the social life, imposing new rules that start with a definitive and rapid cultural change. The "theory of legitimacy in artificial bureaucracy" foreshadows a completely new scenario in which computer science and law do not add up, but merge theorizing an innovative method of application of exact science to the administrative law which, through concrete experimentation, has allowed us to achieve the 'goal of preset in an expert system dynamics legal sequence needed at startup, processing and completion of administrative procedures. It is a new technique called "legal Digitization" - on the basis of the ap-mighty achieved by the previous empirical disciplines, primarily from giurimetrics - now wants to represent a new direct semantic symbol to summarize the emerging issues in the new context of reform of the Public administration, with which it gives rise to digital formalization not the mere right, but the translation into legal language-judicial administrative proceedings algorithms. Sommario: 1. Introduzione. 2. La "Teoria della legittimità nella burocrazia artificiale". Dalla giurimetrica passando per la giuscibernetica fino ad arrivare alla "Digitalizzazione Giuridica". 2.1. La genesi: "Lo schema conformativo". 2.2 "TALETE”. 3 . La "Digitalizzazione Giuridica": il nuovo simbolo semantico per la dematerializzazione, standardizzazione e semplificazione della P.A. La costruzione del nuovo sistema esperto. 4. La trasformazione dei procedimenti ammini-strativi in algoritmi giuridici dinamici. Il Formulario dinamico e la Mappatura dei Processi. 4.1. L'approccio metodologico nella "digitalizzazione giuridica" dei procedimenti amministrativi. 5. Conclusioni.

1. Introduzione1. La Pubblica Amministrazione, nell'innova-

1 Saggio sottoposto con esito positivo alla procedura di referaggio ai sensi del Regolamento interno della Rivista.

to contesto introdotto dalle riforme, oggi più che mai è al centro di una profondo cambia-mento che segna lo spartiacque tra il vecchio ed ormai definitivamente superato retaggio burocratico e procedurale insito nella tradi-

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Gazzetta Amministrativa -6- Numero 1- 2016

zionale concezione di una P.A. in posizione di supremazia rispetto al cittadino e l'avvento della rivoluzione digitale che permea e assi-cura l'attuazione concreta del nuovo rapporto paritario e paritetico tra pubbliche ammini-strazioni e cittadini.

In questo passaggio obbligato la digi-talizzazione, la dematerializzazione, la sem-plificazione e la trasparenza introdotte dal le-gislatore resterebbero parole vuote qualora non vengano tradotte in uno strumento con-creto in grado di scardinare la resistenza, spesso anche solo psicologica, che emerge con forza ogni qualvolta ci si accinge ad ab-bandonare pregresse e consolidate situazioni per iniziare un nuovo e, per molti versi, sco-nosciuto percorso verso il futuro.

Lo stesso principio del "Digital First" ov-vero "innanzitutto digitale" introdotto nella L. 7.8.2015, n. 124 recante "Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle ammini-strazioni pubbliche"2, affinché possa essere concretamente attuato, necessità di un gri-maldello in grado di traghettare non solo i cit-tadini, ma anche i dipendenti pubblici al di là di quella porta che in passato, salvo timide e veloci aperture, è rimasta sempre chiusa se-gnando quel confine invalicabile tra cittadino e pubblica amministrazione.

2 Al fine di garantire ai cittadini e alle imprese, anche attraverso l'utilizzo delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, il diritto di accedere a tutti i dati, i documenti e i servizi di loro interesse in modali-tà digitale, nonché al fine di garantire la semplifica-zione nell'accesso ai servizi alla persona, riducendo la necessita' dell'accesso fisico agli uffici pubblici, l'art. 1 della legge n. 124/2015 delega il Governo ad adotta-re, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge, con invarianza delle risorse umane, finan-ziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente, uno o più decreti legislativi volti a modificare e inte-grare, anche disponendone la delegificazione, il co-dice dell'amministrazione digitale (CAD) di cui al d.lgs 7.3. 2005, n. 82, nel rispetto di principi e criteri direttivi puntualmente predeterminati. Tra questi, alla lettera b) espressamente si stabilisce di "ridefinire e semplificare i procedimenti amministrativi, in rela-zione alle esigenze di celerità, certezza dei tempi e trasparenza nei confronti dei cittadini e delle impre-se, mediante una disciplina basata sulla loro digita-lizzazione e per la piena realizzazione del principio «innanzitutto digitale» (digital first), nonché l'organiz-zazione e le procedure interne a ciascun amministra-zione".

Su questo percorso si innesta l'idea di crea-re uno strumento, appunto un "grimaldello" infallibile, rielaborando ed ottimizzando i pregressi approdi della giurimetrica e giusci-bernetica, al fine di scardinare qualsivoglia resistenza e far dialogare con facilità cittadini ed amministrazioni pubbliche.

La digitalizzazione dei procedimenti am-ministrativi della Pubblica Amministrazione ovvero la possibilità codificata ex lege per il cittadino di presentare on line le proprie i-stanze, infatti, non può attuarsi attraverso un mero strumento informatico, asettico e rigido, senza vulnerare le finalità di semplificazione, di qualità, efficacia ed efficienza dell'azione amministrativa insite nella riforma e senza a-limentare il sopracitato disequilibrio nei rap-porti inter partes.

Per sgretolare le rendite di potere, le prati-che clientelari, le indebite pressioni sulle qua-le più volte la cronaca ha posto l'accento e non mortificare al contempo il merito, lo strumento informatico doveva essere pensato e realizzato in uno, con funzionalità ad alta qualificazione professionale, capacità ammi-nistrative, trasparenza, monitoraggio in tempo reale e verifiche di legittimità.

Inoltre, nell'ottica del principio del conte-nimento della spesa pubblica, un mero stru-mento informatico una volta realizzato è so-stanzialmente già vecchio, soprattuto nell'at-tuale contesto legislativo di frenetica produ-zione normativa. Ecco perché, al fine di ab-battere le spese per gli aggiornamenti softwa-re, nella ricerca si è avuto attenzione ad ana-lizzare le migliori soluzioni per agganciare ai procedimenti il fattore dinamico.

Su tale base si innesta il percorso metodo-logico che ha permeato la ricerca diretta a proceduralizzare digitalmente i procedimenti amministrativi degli Enti Locali e che si è conclusa con la realizzazione di un inedito strumento con funzionalità evolute al quale ho dato il nome "TALETE".

2. "La teoria della Legittimità nella Bu-

rocrazia artificiale". Dalla giurimetrica passando per la giuscibernetica fino ad ar-rivare alla "digitalizzazione giuridica".

L'attività di studio, di ricerca e sperimen-tazione ha condotto alla realizzazione di un

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Gazzetta Amministrativa -7- Numero 1- 2016

sistema complesso nel quale la digitalizzazio-ne delle procedure amministrative, introdotta obbligatoriamente dal legislatore nazionale3 e ribadita con la riforma della P.A., è stata rea-lizzata attraverso un'inedito strumento giuri-dico denominato "TALETE" di ausilio agli operatori della P.A. che facilita il regolare svolgimento del procedimento amministrativo attraverso formule giuridiche già standardiz-zate che semplificano l'attività amministrativa interna con percorsi segmentati e monitorabili coerenti con la normativa nazionale.

La ricerca ha preso le mosse dalla consta-tazione che a livello nazionale la digitalizza-zione dei procedimenti amministrativi, laddo-ve realizzata nelle amministrazioni, è circo-scritta ad applicazioni elementari che parten-do dalla profilazione (tramite registrazione sul portale istituzionale, ovvero tramite CNS e/o SPID) del cittadino consentono da un lato a quest'ultimo l'invio on line via pec della ri-chiesta e, dall'altro alle amministrazioni la protocollazione, gestione ed archiviazioni dei documenti.

Non v'è chi non veda come queste modali-tà elementari frustrano lo spirito della rifor-ma, di qui l’esigenza di indirizzare la ricerca nello sviluppo di un sistema operativo che va-lorizzasse i valori giuridici nella base di co-noscenza.

Sul punto già Borruso, magistrato e ricer-catore, direttore del CED della Corte di Cas-sazione, coautore del sistema di ricerca "Ital-giure Find" per la ricerca automatica della giurisprudenza alla domanda su cosa sia il di-ritto e su cosa sia la norma risponde che non si può intendere il diritto senza intendere la vita, che non si può separare la norma dalla vita, come non è possibile scindere la forma dal contenuto4.

La legge, infatti, può essere intesa come un

3 Già il DPCM 13.11.2014 che detta le regole tecniche per la “formazione, trasmissione, copia, duplicazione, riproduzione e validazione temporale dei documenti informatici nonché di formazione e conservazione dei documenti informatici delle pubbliche amministrazio-ni” impone la dematerializzazione di documenti e pro-cessi entro 18 mesi dall'entrata in vigore, quindi entro l'11.8.2016. 4 cfr Agata C. Amato Mangiameli, Informatica giuri-dica, Seconda edizione, riveduta ed aggiornata, Giap-pichelli Editore 2015.

"immenso reticolato classificatorio e la sua applicazione consiste nell'inquadrare il par-ticolare nel genere, il concreto nell'astratto, la species nel genus risalendo attraverso i rami arboriformi di tutti gli schemi, giuridici e non, di classificazione più coscienti ed ac-cettati" di guisa che spetta al giurista di cono-scere a fondo "natura, funzione, caratteristi-che salienti, perché solo in base ad esse si possono stabilire le identità o le differenze decisive agli effetti delle classificazioni cui il legislatore fa riferimento e, quindi, decisive agli effetti della stessa applicazione della legge"5.

Attraverso la "teoria della legittimità nella burocrazia artificiale" ho voluto, quindi, non solo inquadrare il particolare nel genere, il concreto nell'astratto, la species nel genus, ma altresì valorizzare il fattore dinamico necessa-rio per ancorare i procedimenti amministrativi al mutevole contesto giuridico e giurispru-denziale al fine addivenire ad un sistema che algoritmizza i procedimenti legandoli alla concreta applicazione con l’esaustivo inqua-dramento della fattispecie astratta alla casisti-ca concreta.

Il pensiero di fondo che ha guidato la ri-cerca è stato quello di seguire una via diversa ed inesplorata in quanto, mentre "Nella storia dell'Intelligenza artificiale e diritto si distin-gue tradizionalmente fra lo sviluppo dei si-stemi esperti basati su regole (rule-based System) e dei sistemi basati sui casi (case-based System)"6, si è teorizzata la necessità di unire i due ambiti creando un sistema esperto, un'intelligenza artificiale7, in cui le regole non

5 R. Borruso, Computer e diritto, I, Analisi giuridica del computer, Milano 1988, in part. 5 6 In tal senso "L'Informatica giuridica in Italia. Cin-quant'anni di studi, ricerche ed esperienze" a cura di Ginevra Peruginelli e Mario Ragona in Edizioni scien-tifiche Italiane, Collana dell'Istituto di Teoria e tecni-che dell'Informazione Giuridica del Consiglio Nazio-nale delle Ricerche, Serie “Studi e documenti”N 12, pag. 107. 7 D. Tisconia, Intelligenza artificiale e diritto, in Nan-nucci Roberta (a cura di), Lineamenti di informatica giuridica: teoria, metodi e applicazioni, Edizioni Scientifiche italiane, Napoli, 2002, pag. 123 e ss se-condo cui "la più nota definizione di Intelligenza arti-ficiale è quella che fornì Marvin Minsky, da più parti considerato uno dei fondatori della disciplina: l'intel-ligenza artificiale sarebbe dunque quel settore dell'in-

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fossero sganciate dai casi concreti. La necessità di un rinnovamento profondo

della Pubblica Amministrazione, anche e so-pratutto nell'innovato rapporto con i cittadini, è stata, infatti, la spinta propulsiva dell'ambi-zioso tentativo di creare un sistema artificiale, la cd "macchina burocratica artificiale" che, in applicazione della sopra riportata teoria della legittimità, fosse in grado di attuare concretamente la digitalizzazione giuridica standardizzata delle amministrazioni secondo una metodologia idonea a coadiuvare effica-cemente il dipendente pubblico nella gestione completa dei procedimenti amministrativi.

L'idea era quella di realizzare un sistema intelligente integrato dove il linguaggio giuri-dico permea e dirige lo strumento informati-co, supportando ed accompagnando il respon-sabile del procedimento nell'intero percorso giuridico, che va dall'acquisizione dell'istanza alla conclusione del procedimento ammini-strativo con l'adozione di un provvedimento espresso, passando attraverso la temporaliz-zazione giuridica di ogni singola sequenza e la previa predisposizione dei modelli giuridici di cui si compone.

Non doveva, quindi, trattarsi di un mero servizio informatico, ma di funzionalità giu-rimetriche evolute con le quali - sulla base degli approdi della giuscibernetica - superare i pregressi limiti insiti nei sistemi esperti di-retti alla formazione di atti all'interno del giu-dizio.

A tal fine ho ritenuto di spostare a monte il campo d'azione per ancorarlo alle procedure della pubblica amministrazione quali fonti generatrici proprio di quei giudizi su cui la giuscibernetica vorrebbe intervenire. Ritengo, infatti, che i nodi ed i limiti intrensicamente connessi alle soluzioni pregresse possono tro-vare una soluzione laddove si intervenga spo-stando la ricerca su un diverso capo di azione.

La creazione di un sistema esperto a mon-te, infatti, quale strumento di sburocratizza-

formatica che cerca di riprodurre nei computer quel tipo di comportamenti che, quando sono assunti dagli esseri umani, vengono generalmente considerati frutto della loro intelligenza. Tale scienza studia dunque tutti quei processi emulativi delle prestazioni del cervello umano finalizzati a produrre nuova conoscenza, ovve-ro conoscenza generata dalla macchina".

zione, dematerializzazione, standardizzazione e semplificazione, consente di generare pro-cedimenti amministrativi dinamici on line modulabili coerentemente alla normativa vi-gente e alle interpretazione giurisprudenziale.

Al fine di chiarire il quadro giuridico-informatico su cui si innesta la presente pro-gettualità giova evidenziare, seppur breve-mente, come la dottrina8 distingua la giuri-tecnica dalla giurimetrica9 10 e dalla giusci-bernetica.

La giuritecnica è un'applicazione dell'in-formatica al diritto rivolta all'interpretazione della legge e si differenzia dalla giurimetrica e dalla giuscibernetica che sono dirette rispet-tivamente allo sviluppo di sistemi informatici per il calcolo di determinazione quantitative e alla progettazione di sistemi esperti per la formazioni di atti all'interno del giudizio.

In Italia il termine giuriscibernetica viene coniato sul finire degli anni 60 per definire questa nuova scienza11. In particolare Mario G. Losano articola "la nuova disciplina in quattro settori, corrispondenti ad approcci

8 cfr Federico Puppo, Informatica giuridica e metodo retorico. Un approccio "classico" all'uso delle nuove tecnologie, Tangram Edizioni Scientifiche, Trento 2012. 9 il termine giurimetrica appare per la prima volta nel 1949, in un articolo di Lee Loevinger pubblicato sulla rivista "Minnesota Law Review" che utilizzò il termine «jurimetrics» per designare l’utilizzo dei metodi delle scienze cosiddette esatte e specialmente dell’in-formatica nel campo del diritto. L'autore in quel caso auspicava l’uso dell’informatica nell’applicazione del-le leggi antitrust per elaborare l’enorme mole di dati che le agenzie antitrust dovevano studiare al fine di accertare se determinate imprese avessero o meno una posizione dominante. Successivamente il termine viene assunto all’inizio degli anni 60 da Hans Baade per in-dicare l’applicazione della scienza informatica al dirit-to. 10"L'Informatica giuridica in Italia. Cinquant'anni di studi, ricerche ed esperienze" a cura di Ginevra Peru-ginelli e Mario Ragona in Edizioni scientifiche Italia-ne, Collana dell'Istituto di Teoria e tecniche dell'In-formazione Giuridica del Consiglio Nazionale delle Ricerche, Serie "Studi e documenti", n. 12 dove a pag. 42 si precisa che "Il termine per le sue componenti d'o-rigine latina e greca passò senza problemi anche nella lingua italiana, in cui venne tradotto prima con "giu-rimetrica" e poi con "giurimetria". 11 Mario G. Losano, Giuscibernetica. Macchine e mo-delli cibernetici nel diritto, Torino, 1969.

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metodologici distinti".12 Nel 1975 Vittorio Frosini introduce

l’espressione giuritecnica come "nuovo sim-bolo semantico, riassuntivo delle istanze e-mergenti nel dominio della nuova esperienza giuridica"13, ma neppure quest’ultima sembra riscuotere un gran successo. In effetti, il ter-mine ormai comunemente accettato in Italia per definire lo studio delle applicazioni in-formatiche alle scienze giuridiche è quello di informatica giuridica14.

Qualunque sia la definizione utilizzata per tale scienza, lo stesso suo fondatore ha sem-pre insistito sul carattere empirico della giu-rimetria. Così, ancora nel 1963, Lee Loevin-ger scriveva: «Non è necessario, e forse è im-possibile, dare una precisa definizione dell’ambito della giurimetria. Come in ogni disciplina empirica, la definizione verrà data dall’attività dei suoi cultori e di certo si mo-dificherà ed estenderà, man mano che espe-rimenti ed esperienze risolveranno problemi specifici» 15.

Ebbene partendo da tale presupposto, l'at-tività di ricerca ha individuato - attraverso un percorso evolutivo frutto dello sviluppo dell'esperienza pregressa quale passaggio in-defettibile per adeguare gli approdi raggiunti alle nuove esigenze sociali e alla nuove ri-forme che hanno innovato la pubblica ammi-nistrazione - un modello procedimentale in-novativo ed inesplorato, che si pone sulla li-nea di confine tra la burocrazia legiferatrice e l'innovazione tecnologica, che ha aperto una fase nuova consistente nello sviluppo ulterio-re della giurimetrica, in termini di scoperta scientifica di un consistente segmento inedito, autonomo ed aggiuntivo. 12 In tal senso e per approfondire si Veda "L'Informati-ca giuridica in Italia. Cinquant'anni di studi, ricerche ed esperienze" op.cit pag. 46 e ss. che rinvia a M. G. Losano, Giuscibernetica in R. Treves (a cura di), "Nuovi sviluppi della sociologia del diritto 1966-1967", Milano, Comunità, 1968 e "Giuscibernetica" voce nell'Appendice al Novissimo Digesto Italiano (Torino, UTET, 1982). 13 Cfr V. Frosini, "La giuritecnica: problemi e propo-ste" in "Informatica e Diritto", 1975 n. 1, pag. 26 e ss e "Informatica, diritto e società", Giuffrè, 1988, pag. 161 e ss. 14 Cfr Giacomo Oberto, Appunti per un corso di infor-matica giuridica, Edizione 1998-2006 e ed. 2013 15 Giacomo Oberto, op.cit.

Il nuovo scenario, quindi, introdotto a se-guito di analisi scientifica legata a processi giuridici, ha reso necessario distinguere e formalizzare ogni passaggio della ricerca e della sperimentazione ed ha coniare un nuovo metodo di indagine e di risoluzione delle cri-ticità nell'innovato mondo della digitalizza-zione delle procedure amministrative delle Pubbliche Amministrazioni, relativamente al quale non ho trovato termine migliore per de-finirlo che "Teoria della Legittimità nella bu-rocratica artificiale" sulla cui base - come in seguito verrà esposto - ho ritenuto di coniare una nuova espressione, quella di "Digitaliz-zazione Giuridica", per sintetizzare l'innovata disciplina empirica diretta alla digitalizzazio-ne delle Pubbliche amministrazioni.

Solo il confronto tra la tradizione teorica della scienza giuridica e le soluzioni tecnolo-giche dell'intelligenza artificiale già avanzate consentono, infatti, di superare i limiti che hanno condotto a ritenerle utopiche o mere chimere.

I limiti anzidetti riguardano soprattutto la “macchina cibernetica”, relativamente alla quale molti studiosi escludono che sia in gra-do di elaborare sentenze con valore di giudi-cato in quanto incapace di tenere conto della contraddittorietà e dell'evoluzione continua della società che si fonda su forme di logica dialettica16.

Tali problematiche svaniscono laddove l'indagine e l'intervento vengano anticipati e circoscritti ad un ambito determinato, quale il diritto amministrativo applicato alla P.A., og-gi più che mai possibile in ragione della già avviata riforma della Pubblica Amministra-zione improntata al sopracitato principio “Digital First” .

La scelta di questo ambito di azione è il frutto della pregressa sperimentazione effet-

16 R. Borruso, Informatica giuridica, Enciclopedia del diritto, Milano, Giuffrè, 1997, pp. 664-665. Egli ritiene che il giudizio non può che scaturire “dal libero con-vincimento personale del giudice, basato su doti, cer-tamente non algoritmizzabili, quali la sensibilità, il buon senso, la cultura generale, l'esperienza, la capa-cità di introspezione psicologica”. Si legga anche G. Sartor, Introduction: Judicial Applications of Artificial Intelligence, in Sartor G., Branting K. (eds.) “Judicial Applications of Artificiale Intelligence”, Dordrecht, Kluwer, 1998, p. 105.

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tuata dalla Gazzetta Amministrativa con lo "Schema conformativo"17.

Tale sperimentazione, come meglio rap-presentato nel paragrafo seguente, era diretta ad individuare la migliore e più efficace mo-dalità per superare le problematiche connesse all'interpretazione ed attuazione delle senten-ze del giudice amministrativo da parte delle Pubbliche Amministrazione.

In particolare, per superare quei limiti in-dividuati dalla dottrina sulla "macchina-giudice", attraverso lo "schema conformati-vo" si è inteso rimettere direttamente al magi-strato con l'utilizzo di parole chiavi definite nella redazione della sentenza l'indicazione della modalità di attuazione del dictum giudi-ziale.

Con lo "schema conformativo" si vuole in prima battuta facilitare la lettura delle deci-sioni giurisdizionali da parte della Pubblica Amministrazione, agevolandone per tal via l'esecuzione per poi coadiuvare il Giudicante nell'adozione delle decisioni.

La "Teoria della Legittimità nella buro-crazia artificiale" - posta alla base della di-sciplina empirica della "digitalizzazione giu-ridica" - è stata, come sopra anticipato, ela-borata dallo scrivente a seguito dei positivi esiti di questa pregressa ricerca giuridico-tecnologica denominata "Schema conformati-vo" - sperimentata con successo presso il TAR Piemonte, che ha posto le basi scientifi-che-giurimetriche per la successiva realizza-zione di TALETE in quanto i relativi approdi hanno consentito di comprendere l'importan-za di un intervento a monte, in sede di digita-lizzazione dei procedimenti amministrativi, oltre che a valle sulle statuizioni giudiziali.

In questa sede ritengo utile, seppur in sin-tesi, rappresentare di seguito l'idea che ha condotto al tempo a sperimentare lo "Schema conformativo" al fine di evidenziare le moti-vazioni del successivo spostamento del cam-po di lavoro dalla Giustizia alla Pubblica Amministrazione.

2.1 La genesi: "Lo Schema Conformati-

vo" . 17 E. Michetti, "Lo Schema conformativo ed il futuro della giurimetrica", Gazzetta Amministrativa Editore, giugno 2015.

L'azione di esatto adempimento consente al ricorrente di chiedere al giudice di condan-nare l'amministrazione ad un facere specifico, in altre parole ad un comportamento inequi-voco, in ragione della lamentata lesione di in-teressi legittimi pretensivi.

Il giudice, quindi, laddove chiaramente possibile, a seguito dell'attento esame della vicenda che gli si para dinanzi, spinto dalla sollecitazione di parte ricorrente, in pieno os-sequio allo sperimentato "Schema conforma-tivo" ben può esplicitare con chiarezza, nel campo contrassegnato, quali siano i compor-tamenti che la P.A. dovrà assumere per con-formarsi perfettamente al disposto giudiziale.

In termini concettuali di fatto poco cambia, in quanto, comunque, il giudice a prescindere dall'esplicita indicazione, in una parte puntua-le del testo della sentenza, nella lettura com-binata fatto/diritto, già evidenzia quali po-trebbero essere i comportamenti da assumere per un corretto adempimento del provvedi-mento giudiziale, anche se chiaramente tale ipotesi risulta soggetta ad interpretazioni suc-cessive al giudizio che non sempre potranno rivelarsi conformi a quanto il giudice avrebbe potuto rappresentare se avesse formalmente ed esplicitamente indicato, quale autore della sentenza, l'esatto rimedio comportamentale.

Il disagio di dover interpretare l'elaborato altrui si rivela foriero di evidenti problemati-che:

A. errori di valutazione dovuti a defi-cit logici, deficienze cognitive e di competenza;

B. difficoltà oggettiva emergente dal-la complessità della vicenda esami-nata;

C. immobilismo, volontà fraudolente di chi dovrebbe eseguire la sentenza, pressioni esterne.

Fermo restando che il percorso avviato sin dalla genesi del processo amministrativo ha inteso ingabbiare l'attività del giudice nel ver-so di una tutela fondamentalmente demolito-ria, ora diversamente il giudice quando acco-glie il ricorso nei limiti della domanda dispo-ne le misure idonee ad assicurare l'attuazione del giudicato e delle pronunce non sospese, compresa la nomina di un commissario ad ac-ta, che può avvenire anche in sede di cogni-

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zione con effetto dalla scadenza di un termine assegnato per l'ottemperanza. È qui che si in-serisce lo schema dell'azione esecutiva senza trasbordare nel tradizionale giudizio di meri-to.

Peraltro, è assolutamente pacifico che il giudice, accertata l'invalidità dell'atto e le ra-gioni che la provocano, statuisce quale sia il corretto modo di esercizio del potere e fissa la regola alla quale l'amministrazione si deve at-tenere nella sua attività futura. Partendo da tale caposaldo, si giunge laddove chiaramente possibile, sino al limite del giudizio di ottem-peranza. All'interno di tale ambito fissato dal-le suddette labili linee di confine, il giudice nella sua piena discrezionalità ben potrebbe esplicitare con chiarezza, al fine di evitare di-spendiosi e fuorvianti equivoci, gli indirizzi che la Pubblica amministrazione dovrà osser-vare per evitare l'ulteriore giudizio di ottem-peranza.

Sebbene la ricerca sia sia mossa sul pre-supposto che in sede di "schema conformati-vo" il giudice non possa imporre alla P.A. di assumere uno specifico comportamento, nella pratica poi in casi particolari, all'indirizzo conformativo non può che corrispondere sol-tanto un determinato comportamento. Il giu-dice infatti, accerta attraverso la sentenza se sussiste un determinato potere in capo all'amministrazione e se questo viene eserci-tato in modo legittimo, ma se all'indirizzo se-gue un unico ed inequivoco comportamento, sarebbe ipocrita pensare che il giudice non possa indicarlo in maniera esplicita. In tal ca-so è del tutto evidente che non si tratterebbe di una improvvida invasione di campo, quan-to di un utile contributo di chiarezza. Poi semmai sarà cura dell'amministrazione, nel rispetto delle vigenti prescrizioni normative adottare il comportamento nei modi e nei tempi che riterrà opportuni.

Il pregiudizio che l'indicazione esplicita dell'indirizzo conformativo costituisca una sorta di sconfinamento, o pur in maniera più lieve, una anticipazione della eventuale fase di merito, evidenziando in termini dicotomici una sospetta posizione mediana tra legittimità e merito degrada e risulta impoverito in una ottica che vede il cittadino sempre più meri-tevole di una posizione paritaria rispetto a

quella dello Stato, chiaramente considerato nel suo complesso, e del tutto avulsa dal con-testo in cui si sta muovendo il legislatore, ove promuove a piè sospinto ogni azione, ancor-ché legittima, tesa a sostenere la semplifica-zione dell'attività processuale, nonché l'effi-cientamento e l'economicità procedurale.

In termini molto chiari, nel caso in cui il giudice non indicasse in maniera esplicita l'indirizzo conformativo e da ciò ne derivasse una ulteriore, e più dispendioso segmento giudiziale e, comunque, una inevitabile posti-cipazione del raggiungimento del risultato sperato dal cittadino, che si sarebbe potuta e-vitare con l'indicazione conformativa, non vi è chi non veda di fatto, e non chiaramente in termini di diritto, una condotta omissiva dell'organo giudicante, indubbiamente non censurabile, ma incontestabilmente rilevante sui tempi di effettiva e corretta esecuzione del disposto giudiziale.

Ritengo po che sarebbe del tutto erroneo, inoltre, pensare che l'indirizzo conformativo possa limitare il potere legiferativo della bu-rocrazia a vantaggio di quello dei giudici, che già di per sè parrebbe trasbordante laddove si consideri che, ad esempio, il Consiglio di Sta-to, già organo consultivo e quindi incidente sulla formazione dei provvedimenti normativi adottati dal Governo, già organo giurisdizio-nale capace, quindi, di dettare orientamenti da cui far discendere principi vincolanti, già pre-sente con propri membri in posizione di apice nei gabinetti e negli uffici legislativi dei mini-steri con tutto ciò che ne consegue in termini di influenze sugli atti amministrativi adottati dai diversi dicasteri.

L'inconsistenza di tale posizione si rende palese nel momento in cui risulta evidente che di fatto l'indirizzo conformativo, coeren-temente con il suo concepimento, non ag-giunge nulla, ma semplicemente chiarisce at-traverso una migliore, o forse sarebbe più op-portuno dire, attraverso una nuova e più am-pia esplicitazione, utile ed in alcuni casi fon-damentale per un corretto ed efficiente eser-cizio del servizio di amministrazione della giustizia.

In questo lo schema conformativo rappre-senta nel suo genere una vera e propria rivo-luzione in grado di traghettare l'attività giudi-

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ziale nell'inesplorato, ma ormai ineludibile campo dell'intelligenza artificiale e più in ge-nerale delle nuove tecnologie digitali.

Gli obiettivi sopra esposti potranno essere raggiunti solo ove la Giustizia Amministrati-va, che peraltro si avvia alla messa a regime del processo amministrativo telematico, fac-cia propri i risultati conseguiti attuando con-cretamente lo schema conformativo nella ste-sura delle sentenze, superando le criticità ma-nifestate afferenti ad una presunta "anticipa-zione delle valutazioni riservate al giudizio di ottemperanza, con conseguente grave vultus rispetto al fisiologico svolgimento dell'attività dell'istituto"18.

2.2 "TALETE" . Gli esiti ed i risultati della prima fase di

sperimentazione sono risultati decisivi per l'e-laborazione della "Teoria della legittimità nella burocrazia artificiale" quale nuovo me-todo d'indagine diretto a superare le attuali difficoltà concrete di intervento nell'ambito giurisdizionale.

A questo scopo, ampia ed approfondita ri-flessione è stata dedicata ad individuare le re-ali problematiche che spesso determinano una vera e propria stasi della Pubblica ammini-strazione.

Sul punto, sorvolando su possibili criticità di natura clientelari, di corruttela, nella prati-ca concreta tale stasi spesso è determinata dalla difficoltà di interpretare la normativa, finanche di conoscerla visto il proliferare sempre crescente di leggi, decreti-leggi, de-creti legislativi, circolari ministeriali ecc. co-sicché il dipendente pubblico nell'incertezza preferisce non sbagliare e, quindi, spesso sce-glie la via del "non fare" per evitare anche eventuali aggressioni da parte del Giudice contabile.

Va da sé, che dinanzi a tale criticità, si è

18 Il Consiglio di Presidenza della Giustizia Ammini-strativa con nota prot. 43564000 del 2.11.2011 ha evi-denziato come l'indirizzo conformativo cui le ammini-strazioni interessate dovrebbero attenersi "siccome ri-chiesto ai magistrati del medesimo ufficio giudiziario che ha pronunciato la decisione da massimare, po-trebbero implicare un'impropria anticipazione delle valutazioni riservate al giudizio di ottemperanza, con conseguente grave vultus rispetto al fisiologico svol-gimento dell'attività dell'istituto".

venuta progressivamente configurando l'idea di incentrare - nelle more della risoluzione delle problematiche connesse al giudizio di ottemperanza19 - altrove il campo d'azione, giungendo a valorizzare l'ambito di origine delle criticità foriere di possibili giudizi pres-so la giustizia amministrativa e contabile. In-fatti, qualora a monte quegli atti che sono po-tenzialmente destinati, in caso di impugna-zione, ad essere cassati dal giudice ammini-strativo, vengano digitalizzati giuridicamente secondo sequenze in cui sia la normativa in uno con la giurisprudenza è intrinsecamente strutturata nel procedimento on line, si ridu-cono in modo esponenziale i rischi connessi ad erronee e fuorvianti interpretazioni e si fa-cilita al contempo il processo di trasforma-zione digitale dei provvedimenti giudiziari.

In tali casi l'utilizzazione di un sistema e-sperto globale, che costruisce il procedimento amministrativo secondo dati certi individuati anteriormente (norme e giurisprudenza con-solidata), modulabile e dinamico rispetto agli interventi legislativi e giurisprudenziali suc-cessivi, insensibile a possibili sollecitazioni distorsive propri di fenomeni corruttivi, non potrà che portare benefici in termini di cer-tezza del diritto e di reale garantismo20.

La teorizzazione di questo innovativo me-todo di applicazione dell'informatica al diritto amministrativo elaborato sulla base della "teoria della legittimità nella burocrazia arti-ficiale" si pone dunque l'obiettivo di prestabi-lire, attraverso un sistema esperto, la sequen-za giuridica dinamica (ovvero aggiornata in tempo reale al mutamento della normativa e della giurisprudenza) necessaria all'avvio, la-vorazione e conclusione di un procedimento amministrativo.

Non a caso le perplessità in dottrina ven-gono indicate nella concreta realizzabilità di “sistemi decidenti” e di “sistemi legislatori” diretti a creare la “macchina-giudice” la “macchina-legislatore” in considerazione della complessità conseguente sia all'attività interpretativa sia all'attività giurisdizionale legata a variabili che sarebbero difficilmente inquadrabili in algoritmi. Se, invece, il siste- 19 Si veda nota precedente. 20 Si veda sul punto L. Lombardi Vallauri, Verso un sistema esperto giuridico integrale, op.cit.

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ma è diretto a creare la "macchina burocra-tica artificiale della P.A." in grado di digita-lizzare le procedure amministrative è chiaro che cadono a monte quei palesati limiti logici, quantitativi, qualitativi e ideologici della scienza informatica nella sua applicazione al diritto21.

Infatti, dal punto di vista tecnico-giuridico lo strumento consente di ottenere procedure giuridiche dinamiche utilizzando il metodo dell'algoritmo giuridico applicato alle proce-dure amministrative.

In dottrina si afferma che ogni istituto giu-ridico può essere algoritmizzato, ma non può essere mai ridotto completamente ad un algo-ritmo. Vi è sempre in ogni istituto, una parte interpretativa che non si risolve in un proce-dimento meccanico, ma richiede un vero e proprio processo di adattamento e di comple-tamento della norma22.

È questo il momento più alto dell'attività del giurista che non si limita ad un meccanico accertamento dei fatti o a una interpretazione meccanica e letterale delle norme, ma assume la figura di vero e proprio costruttore o artefi-ce dell'ordinamento23.

Nel diritto però vi sono settori che pur non presentando operazioni di calcolo, assumono dei tratti meccanici tali da poter essere trattati con procedimenti automatizzati. Sono quegli ambiti in cui il ripetersi continuo degli stessi casi fa sì che si sviluppino delle schematizza-zioni atte a semplificare il metodo di lavoro.24

Si sviluppa una sorta di pianificazione25 dove vengono trovate delle soluzioni automa-tiche che risolvono quei procedimenti dove, da precise e definite premesse, vengono tratte sempre le stesse conclusioni.

In questo caso la procedura semplificata ci dice solo che la decisione delle conseguenze giuridiche in alcuni fatti segue un iter sempli-ficato.

21 Per i limiti epistemologici dell'informatica v. G. Taddeo Elmi, Les limites epistemologi-ques de l'infor-matique, in “Informatica e diritto”, 3, 1988, pp. 67-72 22 In tal senso Giannantonio Ettore, Manuale di diritto d'informatica, CEDAM, Padova, 1994, pag. 11. 23 Giannantonio op. cit. 24 Amato Mangiameli Agata C., Diritto e Cyberspace, Giappichelli, Torino, 2000 pag. 169. 25 cfr Knap Victor, L'applicabilità della cibernetica al diritto, Einaudi, Torino, 1978 pag. 141.

Anche in questo caso si è resa comunque indispensabile una prima valutazione giuridi-ca, cioè se un determinato fatto rientra o me-no tra quelli per i quali la legge prevede una procedura semplificata26.

Proprio alla luce di tali considerazioni, at-traverso la "Teoria della legittimità nella bu-rocrazia artificiale", si è giunti a creare il si-stema "TALETE" che, oltre a trasformare i procedimenti amministrativi vincolati in algo-ritmi, consente a regime per quelli discrezio-nali l'indicazione delle possibili soluzioni at-traverso una pianificazione armonica, logica e coerente operata a monte diretta ad ausiliare l'operatore interno della P.A. responsabile del procedimento.

Non si tratta, quindi, di una mera semplifi-cazione digitale delle procedure amministra-tive, in quanto TALETE consente che la e-ventuale parte interpretativa venga a monte pianificata con soluzione definite con indica-zione di tutte le variabili, di guisa con l’utilizzo della “macchina burocratica”, le dif-ferenti fattispecie vengono automaticamente algoritmizzate.

TALETE, quindi, consente proprio quello che in dottrina si riteneva impossibile ovvero consente di algoritmizzare qualsiasi procedi-mento amministrativo degli Enti Locali in quanto, una volta individuate a monte le va-riabili, individua i diversi percorsi discrezio-nali che l'operatore può scegliere.

Si tratta pertanto di un sistema esperto ba-sato sulla conoscenza.

Più precisamente, dal concetto di algorit-mo, pur desunto dal linguaggio matematico, viene data una sommaria indicazione come di quel sistema di regole di trasformazione di dati in entrata in altri in uscita27.

Sulla modellistica dotata di finalità prati-che ed in particolare la modellistica applicata a parte del diritto amministrativo, è stato evi-denziato come questa abbia comportato la modificazione normativa allo scopo di ridurre il più possibile la discrezionalità di certi pas-saggi che sarebbero stati inadeguati alla algo-

26 Cfr Amato Mangiameli Agata C., Diritto e Cyberne-tica, op. cit. 27 Cfr Gabriele Rossi, Marta Rossi, Paolo Sommaggio, La legge nella Società dell'immortalità, Milano 2000 pag. 105.

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ritmizzazione ed in tal senso si precisa che "le applicazioni della modellistica finora realiz-zate si riferiscono soprattutto alla ammini-strazione pubblica. È stato notato che, per algoritmizzare certe parti dell'ordinamento (per esempio imposizione fiscale o il paga-mento delle pensioni) la legislazione ha dovu-to essere modificata. Questa modificazione è sempre volta a ridurre le decisioni discrezio-nali del funzionario che svolge la mansione destinata ad essere automatizzata; il progres-sivo estendersi dell'uso degli elaboratori nel-la Pubblica Amministrazione finirà per influi-re profondamente sulle tecniche della legisla-zione"28.

Senza alcuna modificazione della legisla-zione vigente, ma attraverso adattamenti mo-dulabili giuridicamente, con TALETE i pro-cedimenti amministrativi vengono "intrinse-camente" algoritmizzati.

L'approccio metodologico è stato quello di adeguare i procedimenti amministrativi alle nuove esigenze di celerità, efficienza e traspa-renza della P.A., dando così vita a quello che FROSINI chiamava "diritto artificiale" che, in contrapposizione al diritto naturale, indica un ambito del diritto "dovuto a ragionamento perfettamente obiettivo anzi totalmente tecni-cizzato"29.

Infatti, "l'automazione giuridica non deve essere redatta ed appiattita a quella di un procedimento tassonomico meccanico. Il cal-colatore compie, infatti, operazioni che mi-mano le funzioni psicologiche come quelle di ricordare, dimenticare (volutamente), analiz-zare, differenziare, decidere una soluzione"30.

A ciò si aggiunga che la disciplina dei si-stemi esperti, detta altresì disciplina della co-noscenza, deve poter soddisfare - secondo la proposta di McCARTHY31 - tre requisiti: 1. Adeguatezza ontologica (descrizione dei

fatti principali); 2. Adeguatezza epistemologica (manifesta-

28 cfr Losano, Giuscibernetica in R. Treves, Nuovi svi-luppi di sondaggio del diritto Milano 1968, pag. 1087. 29 Cibernetica diritto e Società, Milano 1968 ora in In-formatica e diritto e Società, Milano 1992, pag. 6. 30 Cibernetica diritto e Società, op. cit. pag. 17-18. 31 J.M. - P, Some philosophical problems of artificial intelligence, in B.L.. Webber - N.J, Nilson (Cal) 1987, pag. 431.

zione della conoscenza rilevante); 3. Adeguatezza euristica (compimento del-

le inferenze pertinenti). Nello specifico secondo la terminologia

proposta da McCharthy (1977)32 vengono ca-ratterizzate due distinte aree di problemi per l'Intelligenza artificiale:

1. epistemologica: riguarda la natura del-la conoscenza e quindi dell'osservazione della realtà, la rappresentazione opportuna di tali osservazioni e l'esistenza di regole che con-sentano di trarre adeguate conclusioni da es-se;

2. euristica: riguarda l'elaborazione e l'u-so efficiente di tale conoscenza, cioè come esplorare spazi di soluzioni, quali strategie da seguire.

Entrambe le suddette aree sono state ap-profondite ed innestate all'interno del sistema TALETE che consente di eseguire compiti anche laddove possano essere svolti solo da persone dotate di notevoli competenze giuri-dico-amministrative e "mediante il quale ci si propone di usare in modo intelligente le in-formazioni trasformando i dati in conoscen-za"33.

3. La "Digitalizzazione giuridica": il

nuovo simbolo semantico per la demate-rializzazione, standardizzazione e semplifi-cazione della P.A. La costruzione del nuo-vo sistema esperto.

Il lavoro sinergico di giuristi ed informati-ci ha condotto a concretizzare l'elaborazione teorica che, nel corso dell'attività sperimenta-le, si è evoluta ed ottimizzata mediante l'effet-tuazione di una mole enorme di test applicati-vi, nell'ambito dei quali l'Intelligenza artifi-ciale ed il diritto si sono fusi inscindibilmente dando vita ad una metodologia inedita nella

32 MCCARTHY JOHN (1977) " Epistemological Pro-blems of artificial intelligence" in Procedings of the 5th IJCAI, Cambridge MA, richiamato da Fabrizio Se-bastiani, Alcuni approcci alla rappresentazione della conoscenza, Istituto di Linguistica computazionale - CNR, 1986 link: http://puma.isti.cnr.it/download.php?DocFile=1986-TR-002.pdf&langver=it&idcode=1986-TR-002&authority=cnr.ilc&collection=cnr.ilc&check=, pag. 20 e ss. 33 M. Iaselli, Sistemi esperti legali, in http.www.micheleiaselli.it/SEL.pdf, pag. 13-15.

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quale l'informatica è lo strumento di diretta applicazione del diritto amministrativo nella P.A.

I problemi maggiori si sono riscontrati nel-la progettazione e nella costruzione della base di conoscenza stante le difficoltà tecniche de-rivanti dalla trasformazione giurimetrica dei procedimenti amministrative secondo formule standardizzate che fossero in grado di auto-generarsi in coerenza con norme, principi e pronunce giudiziali.

In tale contesto, si è deciso di realizzare TALETE non come un semplice programma basato su un algoritmo di risoluzione, ma procedendo nella costruzione di un sistema che contiene34:

1. la base di conoscenza (Knowledge Base)35 parte statica del sistema, ov-vero il modulo che contiene le in-formazioni che sono necessarie ad affrontare e risolvere i problemi che riguardano l'ambito;

2. il motore inferenziale (Inference Engine), elemento dinamico, ossia componente che, combinando ed or-dinando secondo un processo logico le informazioni contenute nella base di conoscenza, costruisce il percorso procedimentale;

3. L'interfaccia utente (interna ed e-sterna), il medium che consente all'utente di interagire con il motore inferenziale ed aggiornare la base di conoscenza con nuovi dati."36

Dal punto di vista giuridico, un software di questo tipo - cioè un programma di tipo de-duttivo che svolge un'attività di confronto fra

34 cfr Agata C. Amato Mangiameli, Informatica giuri-dica, Seconda edizione, riveduta ed aggiornata, Giap-pichelli Editore 2015, op. cit. 35 P.L.M. Lucatuorto, Intelligenza artificiale e diritto: le applicazioni giuridiche dei sistemi esperti, in Ciber-spazio e diritto, vol. 7 n. 2/2006 in http://is.gd/1SH2K. 36 Sul punto si veda D. Tiscornia, secondo la quale il motore inferenziale se viene interrogato tramite l'inter-faccia utente su una questione giuridica - dopo aver consultato e collegato le informazioni contenute nella base di conoscenza secondo regole procedurali prede-terminate - è in grado di fornire "una consulenza da esperto rispondendo alle domande dell'utente come potrebbe fare un'avvocato" da Intelligenza artificiale e diritto, in R. Nannucci, Lineamenti di informatica giu-ridica, Napoli 2002, op. cit., pag. 128.

la fattispecie in esame e le "strutture rappre-sentative contenute nella base di conoscen-za"37 - si dimostra utile ogniqualvolta sia ne-cessario individuare la disciplina che deve es-sere applicata. "Maggiori difficoltà si verifi-cano, invece, quando sia necessario operare una scelta tra differenti regole giuridiche tut-te ugualmente applicabili e dunque quando la soluzione richieda l'insostituibile capacità di giudizio dell'esperto umano. In questi casi, infatti, si prospetta la cd esplosione combina-toria: l'interferenza ...che conduce alla solu-zione del problema... pone come necessaria la scelta fra più assiomi e/o regole ciascuno egualmente applicabili" 38.

Sulla base di tale presupposto si è, quindi, deciso di superare le difficoltà connesse all'e-splosione combinatoria, attraverso la Ricerca euristica, ovvero laddove esiste più di un per-corso che dallo stato iniziale (problema) con-duce allo stato finale (soluzione) si muove dalla valorizzazione dell'indirizzo giurispru-denziale consolidato e/o dall'orientamento ul-timo del giudice amministrativo cosicché il procedimento viene guidato secondo criteri di scelta ancorati al dato oggettivo che permet-tono di giungere alla soluzione concreta.

I metodi euristici, inoltre, scegliendo la via più veloce e/o quella con più alta probabilità di successo delimitano l'ambito d'indagine39.

In quest'ottica, nell'attività di creazione di TALETE, il motore euristico si muove all'in-terno della cd "conoscenza pubblica"40 ovve-ro di nozioni specialistiche desumibili dalla lettura di fonti scritte (normativa e giurispru-denza), conoscenza che viene in rilievo con un'interconnessioni permanente con i casi pratici cui si ricollegano le decisioni del giu-dice amministrativo, individuando l'orienta-mento giurisprudenziale aggiornato in tempo

37 M.Iaselli, Sistemi esperti legali, op. cit., pag. 10. 38 cfr M.Iaselli op.cit., richiamato in Informatica giuri-dica: Seconda edizione riveduta ed aggiornata, Di A-gata C. Amato, Giappichelli Editore. 39 Informatica giuridica op. cit.. 40 Fameli E., Nannucci R, I sistemi esperti nel diritto. Strumenti e metodi di sviluppo, in http://www.ittig.cnr.it/EditoriaServizi/AttivitaEditoriale/InformaticaEDiritto/1988_03_15-31_Fameli Nan-nucci.pdf, pag. 15 che richiama sul punto F. Hayes-Roth, D. A. Waterman, D. B. Lenat, Building Expert System, Addison-Wesley, Reading, cap. I.

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reale. Per tal via il sistema consente al dipenden-

te pubblico che utilizza TALETE nella ge-stione dei procedimenti amministrativi digita-li di ancorare il procedimento stesso all'inter-no di una struttura che si modella in funzione della stretta interconnessione tra fatto, norme e giurisprudenza.

Il sistema, che si muove più secondo il modello tecnico-giuridico decisionista ovvero TALETE, presuppone che il concetto di dirit-to sia inteso non solo sotto l'angolo visuale delle disposizioni prodotte dal legislatore, ma anche sotto quello delle pronunce dei giudici, che vengono però in rilievo come insieme di decisioni capaci di acquisire un carattere d'in-dirizzo vincolante.

Il cuore del sistema si innesta su un lavoro di intensa collaborazione tra giuristi e infor-matici che ha condotto a realizzare il cd "ge-neratore di formule giuridico-amministra-tive".

La collaborazione tra le professionalità dei due gruppi ha avuto lo scopo di individuare una metodologia che permettesse di descrive-re in maniera semplice un qualsiasi procedi-mento giuridico e di generare, in automatico, la trasformazione in un flusso di lavoro (wor-kflow) adatto alla lavorazione tramite una piattaforma software.

Nel dibattito italiano, svoltosi alla fine de-gli anni 60, Losano sostiene la priorità della cibernetica e così argomenta: "vero problema è la ricerca di tecniche sempre più avanzate, cioè dovute alla formulazione di una legge che al momento della sua approvazione, non poteva tener conto di un imprevedibile futuro. Le difficoltà che si presentano nel corso dell'applicazione di metodi cibernetici al di-ritto vanno quindi superati attraverso il PUNTO DI MINOR RESISTENZA, che è la modifica della legge. Se non si segue questa via, si corre il rischio di spezzare ogni lega-me fra mondo giuridico e mondo cibernetico, la frattura tra mondo reale e mondo legale diverrà tanto più profonda tanto più evolverà la tecnologia"41.

Con TALETE, anche in mancanza della

41 Losano, Giuscobernetica. macchine e modelli ciber-netici nel diritto, Torino 1969, in part. 25.

sopra auspicata modifica della legge, si risol-vono comunque i problemi applicativi in quanto lo strumento si muove in base alla di-versa "Teoria della Legittimità nella burocra-zia artificiale" che lega la legge alla sua ap-plicazione concreta promanante dalle pronun-ce giurisdizionali.

L'analisi del sistema delle norme secondo la logica giuridica deve essere intrinsecamen-te connesso all'applicazione giurisprudenziale che lega l'indagine di diritto alla pratica.

Per tal via si supera il problema connesso al suddetto "punto di minor resistenza" in quanto, pur in assenza di modifiche legislati-ve, l'ipotizzato rischio di una frattura tra mondo reale e mondo legale viene meno in considerazione del concreto ancoraggio del dato giuridico al mutevole contesto sociale consacrato nelle pronunce giurisdizionali.

Di qui la nuova tecnica utilizzata, per la quale ritengo di coniare il nome di "Digitaliz-zazione giuridica" che non vuole sostituire le precedenti discipline empiriche, ma che, in linea con quanto già fatto da Vittorio Frosini nel 1975 che introdusse l’espressione "giuri-tecnica"42, vuole rappresentare oggi un nuovo simbolo semantico diretto a riassumere le i-stanze emergenti dal nuovo contesto di rifor-ma della Pubblica Amministrazione, nella quale si dà luogo alla formalizzazione digitale non del mero diritto, ma alla traduzione in linguaggio giuridico-giurisprudenziale dei procedimenti amministrativi in algoritmi.

Questa nuova via di ritraduzione evita di omettere aspetti importanti non previamente indicati dalla norma, in quanto la semplifica-zione della realtà giuridica non viene legata unicamente al dato giuridico sancito dalla norma, ma alla norma come applicata dal giudice alla realtà sociale.

TALETE, quindi, adempie ad una funzio-ne che è insieme giuridica e pratico-applicativa quale strumento di trasformazione dinamica dei procedimenti amministrativi co-erentemente alla legislazione e alla giurispru-denza.

42 Cfr V. Frosini, "La giuritecnica: problemi e propo-ste" in "Informatica e Diritto", 1975 n. 1, pag. 26 e ss e "Informatica, diritto e società", Giuffrè, 1988, pag. 161 e ss.

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4. La trasformazione dei procedimenti amministrativi in algoritmi giuridici dina-mici. Il Formulario dinamico e la Mappa-tura dei Processi.

L'ideazione di un nuovo linguaggio codifi-cato con il termine di "digitalizzazione giuri-dica" è il frutto di un percorso di ricerca spe-rimentale che ho portato avanti con la Gazzet-ta Amministrativa43 ed è stato realizzato in virtù delle competenze acquisite durante l'ul-timo quinquennio in ambito istituzionale, at-traverso il percorso di ausilio al governo che, senza soluzione di continuità dal 2010 ad og-gi, è realizzato per coadiuvare le P.A. nel de-licato processo di attuazione delle nuove ri-forme.

In particolare, la novità metodologia del

43 Cfr Protocollo d'Intesa sulla "digitalizzazione e l'uti-lizzo di internet nella P.A." sottoscritto in data 19.10.2010 tra la Gazzetta Amministrativa (di seguito G.A.) e il Ministro della Pubblica Amministrazione e innovazione, il Ministro dello Sviluppo economico e l'UPI; il Protocollo per "l'accrescimento dei canali del-la comunicazione istituzionale" sottoscritto in data 23.6.2011 dalla G.A. con l'Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato; Il Protocollo d'Intesa sull'"Ottimizzazione della formazione, informazione, aggiornamento ed as-sistenza della P.A." sottoscritto in data 28.10.2011 dal-la G.A. con l'Avvocatura Generale dello Stato; l'accor-do sottoscritto in data 23.4.2013 dalla G.A. con il Mi-nistro della Pubblica Amministrazione e semplifica-zione per l'integrazione del precedente Protocollo ai fini della divulgazione e attuazione concreta della normativa sulla "Trasparenza Amministrativa"; il Pro-tocollo d'Intesa sottoscritto in data 8.10.2013 dalla G.A. con il Ministro per la Pubblica Amministrazione e semplificazione per "l'ottimizzazione dei rapporti dei cittadini con la P.A. Attraverso il coordinamento, la standardizzazione e la diffusione di modelli e strumenti di innovazione tecnologica diretti allo sviluppo del Paese"; il Protocollo d'Intesa per "l'ottimizzazione e l'implementazione della diffusione delle informazioni giuridiche al personale della P.A." sottoscritto in data 4.11.2013 dalla G.A. con l'Agenzia per la Rappresen-tanza negoziale delle Pubbliche Amministrazioni (ARAN); il Protocollo d'Intesa sottoscritto in data 2.4.2014 dalla G.A. con l'Agenzia Nazionale per le nuove tecnologie, l'energia e lo sviluppo economico sostenibile (ENEA); il Protocollo d'Intesa sottoscritto in data 7.8.2014 dalla G.A. con la Presidenza del Con-siglio dei Ministri, Dipartimento per gli Affari Regio-nali e le Autonomie per "ottimizzazione dell'attività di coordinamento tra Stato ed Autonomie nei processi di trasformazione derivanti dall'attuazione delle riforme attraverso l'ideazione e la diffusione di strumenti ine-diti e Centri di Competenza al supporto delle Regioni e degli Enti Locali".

diritto derivante dalla trasformazione dei pro-cedimenti amministrativi in algoritmi e, quin-di il metodo dell'algoritmo giuridico applicato alle procedure amministrative degli Enti Lo-cali è stata inventata per consentire di creare procedure amministrative dinamiche.

Per la prima volta, da un lato i diversi pro-cedimenti vincolati sono stati algoritmizzati attraverso il "Formulario dinamico" con il quale è possibile autonomamente ed automa-ticamente effettuare il percorso amministrati-vo e dall'altro, per i procedimenti amministra-tivi che presentano un'alea di discrezionalità, TALETE mette a disposizione dell'operatore della P.A. una pianificazione con soluzioni automatiche che risolvono quei procedimenti dove, da precise e definite premesse, vengono tratte le conseguenti conclusioni.

Al fine di far comprendere il ruolo centrale che nell'attività ricerca ha avuto il binomio sinergicamente interconnesso dell'informatica e del diritto amministrativo anche nelle sue applicazioni concrete da parte della giuri-sprudenza, si reputa opportuno in questa sede seppur in sintesi - nei limiti non coperti dal segreto dell'opera d'ingegno realizzata - evi-denziare come l’applicazione sia costituita da due principali moduli di cui uno squisitamen-te giuridico denominato ‘Formulario Dina-mico’ e l'altro strettamente informatico ‘Map-patura dei Processi’.

Più precisamente: 1. Il "Formulario dinamico" è lo strumento

software inedito realizzato per la crea-zione di formule standard per la gestione di qualsiasi procedimento attuabile all’interno di un Ente pubblico o privato. Tali formule standard sono generate at-traverso un lavoro preliminare di analisi giuridica con il quale dapprima si identi-ficano tutti i processi che regolano la vita dell’Ente per poi procedere alla loro formalizzazione in un linguaggio giuri-metrico ad hoc che ne permette la ge-stione informatica tramite il motore di “Mappatura dei Processi”. Il lavoro pre-liminare di identificazione dei procedi-menti amministrativi con contestuale censimento delle formule viene realizza-to avendo cura di identificare per ciascun singolo procedimento quelle informazio-

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ni che la normativa (d.lgs. n. 33/2013 e s.m.i., orientamenti dell'A.N.AC. ecc...) obbliga a rendere pubbliche e fruibili alla cittadinanza. In tal senso sono state elaborate delle apposite linee guida giuridiche dirette a fissare le modalità operative-metodologiche necessarie alla successiva stesura della descrizione del flusso del processo con indicazione di tutte le fasi e per ciascuna di esse di ogni input ed output. A titolo esemplificativo, ma non esaustivo, l'approfondimento giuridico, la raccolta dei dati e l'elaborazione del linguaggio giurimetrico si è incentrato, tra l'altro, nella individuazione e stesura delle seguenti informazioni:

• Nome del procedimento • Settore competente • Fonti normative • Modulistica • Breve descrizione del procedimento

con indicazione di tutti i riferimenti normativi utili (art. 35 co. 1 lett. a) D.lgs n. 33/2013);

• Unità organizzativa responsabile dell'istruttoria (art. 35 co. 1 lett. B) D.lgs n. 33/2013);

• Responsabile del procedimento con recapiti telefonici e casella di posta elettroni-ca istituzionale (art. 35 co. 1 lett. c) D.lgs n. 33/2013) e verifica, ove diverso, dell'ufficio competente all'adozione del provvedimento finale, per l'indicazione del nome del respon-sabile dell'Ufficio unitamente ai rispettivi re-capiti telefonici e pec (art. 35 co. 1 lett. c) D.lgs n. 33/2013);

• Modalità con le quali gli interessati possono ottenere le informazioni relative ai procedimenti in corso che li riguardano (per la fase diretta MONITORAGGIO on line) (art. 35 co. 1 lett. e) D.lgs n. 33/2013);

• Termine di conclusione del procedi-mento con l'adozione di un provvedimento espresso e ogni altro termine procedimentale rilevante (art. 35 co. 1 lett. f) D.lgs. n. 33/2013);

• Strumenti di tutela (ricorso TAR ecc..) previsto dalla legge a favore dell'interessato (art, 35 co. 1 lett. h) D.lgs n. 33/2013);

• Modalità per l'effettuazione dei paga-menti eventualmente previsti, con codici

IBAN identificativi del conto di pagamento, ovvero imputazione del versamento in tesore-ria ovvero c/c postale per effettuazione pa-gamenti (art. 35 co. 1 lett. L) D.lgs n. 33/2013);

• Indicazione del soggetto a cui è attri-buito, in caso di inerzia, il potere sostitutivo, nonché modalità per attivare tale potere (art. 35 co. 1 lett. m) D.lgs n. 33/2013);

• Atti e documenti da allegare all'istan-za compresi i fac-simile per le autocertifica-zione (art. 35 co. 1 lett, d) D.lgs n. 33/2013);

• Indicazione degli uffici a cui rivolger-si se il cittadino vuole informazioni in loco (art. 35 co. 1 lett. D) D.lgs n. 33/2013).

• Indicazione per ciascun procedimento amministrativo delle singole sequenze giuri-diche;

• Predisposizione del form precompilato di risposta in riferimento a ciascuna singola istanza e molto altro.

Si è, quindi, passati da una relazione de-scrittiva ad una formalizzazione del linguag-gio giurimetrico realizzata con appositi sche-mi grafici semplificati per la gestione infor-matica tramite il motore di “Mappatura dei Processi" nel quale, oltre alle indicazioni so-pra indicate, sono confluiti i dati e le infor-mazioni elaborate dai giuristi nel Formulario dinamico.

Più precisamente, i giuristi hanno avuto cura di ricostruire i procedimenti secondo se-quenze conformi alle disposizioni sancite dal-la Legge n. 241/90 s.m.i. con la conseguenza che ciascun modulo rispetta il paradigma giu-ridico-amministrativo di volta in volta esami-nato44.

In tale ambito, inoltre, al fine di superare i problemi derivanti da errate o fuorvianti in-terpretazioni e non compromettere la certezza del diritto, sono state predisposte apposite re-gole guida da seguire nell'Analisi tecnico normativa. 44Si pensi a titolo esemplificativo al preavviso di riget-to ex art. 10 bis della legge n. 241/90 s.m.i., il giurista nella costruzione informatica del procedimento ha, tra l'altro, predisposto il testo della apposita mail di rispo-sta che deve essere inoltrata via pec al cittadino per i casi tipizzati dalla citata norma di guisa che l'operatore interno alla P.A., nell'utilizzo dello strumento, viene guidato secondo sequenze già prestabilite a monte e conformi alla normativa vigente.

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Nell'attività di trasformazione dei proce-dimenti in algoritmi, infatti, a titolo esempli-ficativo e non esaustivo il giurista deve in primis procedere secondo l'iter indicato dall'art. 12 delle preleggi45 per poi, utilizzare il motore euristico (meglio in seguito descrit-to) individuando l'applicazione concreta at-traverso la valorizzazione dell'indirizzo giuri-sprudenziale consolidato. Le finalità di tale modus operandi sono da un lato di circoscri-vere l'ambito che usualmente viene rimesso all'interprete e dall'altro, assicurare l'ottimiz-zazione dei procedimenti all’interno dei prin-cipi e criteri che sorreggono l'ordinamento46

45In tal senso Corte di Cassazione Civile, Sez. L, sen-tenza n. 1111 pubblicata in data 26.1.2012 a tenore della quale è fondamentale canone di ermeneutica, sancito dall'art. 12 delle preleggi, che la norma giuridi-ca deve essere interpretata, innanzi tutto e principal-mente, dal punto di vista letterale, non potendosi al te-sto "attribuire altro senso se non quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connes-sione di esse"; pertanto, nell'ipotesi in cui l'interpreta-zione letterale di una norma di legge sia sufficiente ad individuarne, in modo chiaro ed univoco, il relativo significato e la connessa portata precettiva, l'interprete non deve ricorrere ai criterio ermeneutico sussidiario costituito dalla ricerca, mercé l'esame complessivo del testo, della mens legis, specie se, attraverso siffatto procedimento, possa pervenirsi al risultato di modifica-re la volontà della norma, così come inequivocabil-mente espressa dal legislatore; soltanto qualora la lette-ra della norma medesima risulti ambigua (e si appalesi altresì infruttuoso il ricorso al predetto criterio erme-neutico sussidiario), l'elemento letterale e l'intento del legislatore, insufficienti in quanto utilizzati singolar-mente, acquistano un ruolo paritetico in seno al proce-dimento ermeneutico, cosicché il secondo funge da cri-terio comprimario e funzionale ad ovviare all'equivoci-tà del testo da interpretare (cfr, ex plurimis, Cass., nn. 3359/1975; 2454/1983; 3495/1996; 5128/2001; non-ché, in applicazione dei medesimi principi, ex pluri-mis, Cass., nn. 12081/2003; 3382/2009; 12136/2011) 46 P. Maddalena, I percorsi logici per l'interpretazione del diritto davanti alla Corte Costituzionale, Relazione alla XV Conferenza delle Corti Costituzionali europee "La Giustizia costituzionale e rapporti con le altre pubbliche Autorità", Bucharest 23-25.5.2011 pag. 11 in http://www.cortecostituzionale.it/documenti/relazioni_internazionali/Bucarest_2011.pdf che richiamando Pie-rangeli, Il diritto civile nella legalità costituzionale, Napoli, 2006 pag. 592 afferma che "la norma non è, e non può essere, il risultato dell'esegesi puramente let-terale, ma è l'individuazione della sua logica e della sua giustificazione assiologica; e questo è impossibile senza alzare lo sguardo verso il resto dell'ordinamento e dei principi che lo sorreggono"

secondo coerenza e adeguatezza.47 2. Attraverso la "Mappatura dei Processi",

vengono poi istanziate e rese fruibili le for-mule coerentemente alla sequenza ordinata e definita giuridicamente nel formulario dina-mico.

La "Mappatura dei processi" sostanzial-mente definisce il processo diretto alla stan-dardizzazione della elaborazione giurimetrica dei procedimenti, tramite use case uml affian-cati da schede descrittive per una univoca in-terpretazione del flusso e delle informazioni, necessaria anche al fine di ridurre al minimo la possibilità di errori nell’informatizzazione della procedura e velocizzare al massimo il processo di inserimento nella piattaforma te-lematica.

In generale sono state ideate tre diverse schede tecniche-informatiche-giuridiche del Formulario on Line con altrettante schede si-nottiche per la creazione della mappatura su Workflow così suddivise:

• scheda A - informazioni generali; • scheda B - informazioni interne della

pubblica amministrazione; • scheda C - informazioni per il Cittadi-

no; • scheda sinottica per la creazione della

mappatura su Workflow per la scheda A; • scheda sinottica per la creazione della

mappatura su Workflow per la scheda B;

47 M. Ruotolo, L'incidenza della Costituzione Repub-blicana sulla lettura dell'art. 12 delle preleggi in http://www.gruppodipisa.it/wp-content/uploads/2011/01/Ruotolo2.pdf pag. 4 che nel richiamare G. Zagrebelsky, La legge e la sua giustizia, Bologna, 2008, 243 afferma che "L'art. 12 si completa significativamente indicando la strada del ricorso al criterio sistematico ove l'interprete sia giunto a con-statare che «manca la precisa disposizione» che per-metta di risolvere il caso («se una controversia non può essere decisa con una precisa disposizione, si ha riguardo alle disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe; se il caso rimane ancora dubbio, si decide secondo i principi generali dell'ordinamento giuridico dello Stato»: art. 12, 2° co.). E non v'è dub-bio che il richiamo alla analogia legis e alla analogia iuris abbia alla base una idea di «coerenza»: «se hai regolato così una certa fattispecie, non puoi regolare diversamente quest'altra fattispecie analoga, pena la contraddizione; se ti sei ispirato a un principio, non puoi distaccartene in un caso del medesimo genere; se hai dettato una regola per un caso, essa varrà ugual-mente per un altro caso del medesimo genere, ecc.»".

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• scheda sinottica per la creazione della mappatura su Workflow per la scheda C.

Sulla base dei risultati conseguiti con la "Mappatura dei procedimenti" ed in conside-razione della trasformazione del procedimen-to amministrativo da cartaceo a digitale, l'at-tività di ricerca si poi è incentrata sull'appro-fondimento delle tematiche afferenti la sem-plificazione dell'azione amministrativa on li-ne. Di qui l'approccio metodologico, in segui-to meglio esplicitato, che è stato improntato alla creazione di sottosezioni nelle quale sono confluiti quei procedimenti amministrativi unificabili per materia e per singolo argomen-to. Innumerevoli sono stati i test di collaudo che, su una mappatura di 284 procedimenti amministrativi, hanno riguardato oltre 100 procedure degli Enti Locali afferenti i settori anagrafe, stato civile ed elettorale nonché par-te del settore tributi e politiche sociali. Ciò ha consentito di generare un numero di formule utili per assicurare il regolare funzionamento ed ottimizzazione delle stesse all’interno della piattaforma telematica in un lavoro di conti-nuo scambio di informazioni e confronto del gruppo di lavoro giuridico-informatico.

4.1 L'approccio metodologico nella "di-

gitalizzazione giuridica" dei procedimenti amministrativi.

La novità nell'approccio metodologico, nella creazione del nuovo linguaggio sopra descritto in sintesi, si rinviene in primis nella stretta collaborazione tra risorse umane con competenze altamente informatiche e profes-sionisti altamente specializzati in ambito giu-ridico-amministrativo.

Nella Pubblica Amministrazione la digita-lizzazione di procedimenti amministrativi non può, infatti, attuarsi esclusivamente da un punto di vista informatico, essendo necessario generare formule intrinsecamente legate e co-erenti alla normativa nazionale e/o regionale e finanche comunale (si pensi ai singoli e di-versi regolamenti comunali che regolano la vita degli Enti Locali) vigente per ciascun procedimento, avendo al contempo cura di permeare e modulare dinamicamente questi ultimi anche sulla base della giurisprudenza sia amministrativa che contabile di volta in volta intervenuta in ciascuna materia.

A tal fine l'attività di ricerca si è svolta con un interscambio continuo, sinergico e perma-nente tra informatica e diritto amministrativo indissolubilmente legati nella generazione dei processi digitali.

La sperimentazione effettuata ha tradotto, infatti, le informazioni giuridiche in processi digitali (workflow) per la gestione delle pro-cedimenti amministrativi nei quali l’output è costituito da un censimento puntuale che i-dentifica più formule possibili corredate da tutte le informazioni necessarie (step necessa-ri, input ed output di ogni step, interfacce ver-so soggetti esterni all’Ente, tempistiche, fina-lità, contenuto dati, input di partenza ed output atteso, ecc.).

Completata la fase di censimento delle formule, sono state analizzate tutte le infor-mazioni raccolte e formalizzate in un lin-guaggio idoneo alla creazione di istanze di ogni singola formula all’interno del modulo “Mappatura dei Processi” (workflow). Lo scopo è stato quello di costruire una metodo-logia in grado di trasformare qualsiasi proce-dimento in un tracciato digitale utilizzabile per la configurazione di un motore di wor-kflow automaticamente.

Il formulario mette, quindi, a disposizione una interfaccia web che consente, tramite dei semplici form di inserimento dati, la descri-zione formale del processo in maniera tale che l’operatore non ha necessità di avere al-cuna conoscenza informatica.

Una volta descritto il procedimento tramite il formulario dinamico, le procedure automa-tizzate si occupano di trasformare i dati giuri-dici inseriti in linguaggio formale standard (BPMN) che permette l’utilizzo e la genera-zione di istanze su un qualsiasi motore di workflow presente sul mercato in grado di in-terpretare il linguaggio BPMN.

In seguito alla creazione delle istanze rife-rite ai procedimenti descritti, il risultato viene dato come input al modulo ‘Mappatura dei processi’ che fa parte dell’applicazione.

La mappatura dei processi è stata, quindi, costruita per realizzare un motore di wor-kflow in grado di gestire qualsivoglia proce-dimento amministrativo costituito da passaggi giuridici nei quali operatori eterogenei inter-vengono completandone la sequenza.

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Gazzetta Amministrativa -21- Numero 1- 2016

L’applicazione inedita realizzata consente, infatti, la gestione dell’intero iter di un proce-dimento, dall’input, passando per tutti gli step intermedi, coinvolgendo tutti gli attori inte-ressati, fino ad arrivare all’output finale, oc-cupandosi anche di interfacciarsi con qualsia-si piattaforma esterna che debba essere coin-volta nell’espletamento del compito.

L’applicazione realizzata consta di: • un motore di workflow; • una interfaccia utente interna di gestione; • un’interfaccia utente pubblica di accesso e

monitoraggio dei processi da per l’end u-ser;

• moduli per la generazione di statistiche e l’accesso ai dati introdotti per la lavorazio-ne delle istanze. Il motore di workflow prende in input i da-

ti generati dal modulo ‘Formulario Dinamico’ per rendere possibile la creazione di istanze del flusso di lavoro descritto e di portarlo a compimento tramite l’accesso a semplici pas-si atomici con i quali interagiscono gli opera-tori.

Una volta istanziato un processo, l’Ente può accedere alla lavorazione dei passi neces-sari al compimento dello stesso tramite un’interfaccia interna di gestione semplice ed immediata. Questa interfaccia permette di in-teragire con i passaggi intermedi fornendo e/o richiedendo le informazioni necessarie agli

attori coinvolti, permette di monitorare tutti i procedimenti in corso, di effettuare statistiche sui tempi di lavorazione e sugli esiti, etc..

L’utente finale ha a disposizione una inter-faccia pubblica di accesso che, coerentemente alle regole di Cupertino, si caratterizza per in-tuitività e semplicità tramite la quale può ri-chiedere l’avvio di una qualsiasi istanza mes-sa a disposizione dall’Ente, può verificare in ogni momento lo stato di avanzamento delle pratiche avviate, può interagire con l’Ente con il quale si sta interfacciando, può valutare oggettivamente l’operato dell’Ente fornendo un feedback in termini numerici e testuali.

L'ottimizzazione a regime di TALETE consente sul versante degli Enti Locali di cre-are procedimenti amministrativi on line attra-verso l'utilizzo di un semplice mouse che mo-dula, a seconda delle sequenze giuridiche, la procedura informatica attraverso il generatore di formule di seguito graficamente riportato, mentre sul versante del cittadino di procedere on line in modo semplice all'inoltro delle i-stanze ed al monitoraggio dello stato del pro-cedimento.

In tal senso, per quanto attiene al versante interno della Pubblica Amministrazione, a ti-tolo esemplificativo si riporta di seguito il Workflow del procedimento amministrativo comunale di richiesta di duplicato della tesse-ra elettorale:

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5. Conclusioni. .

La rivoluzione digitale in atto permea e rimo-della la vita sociale, imponendo nuove regole che avviano ad un definitivo e rapido cam-biamento culturale. Su tali basi gli approdi raggiunti con TALETE - strumento la cui o-peratività rimane circoscritta al mondo degli Enti Locali - aprono ad un nuovo ed ambizio-so obiettivo, qual'è quello di creare uno stru-mento ancor più evoluto in grado di generare un linguaggio universale standardizzato tec-nico-giuridico-economico ed informatico per la stesura di atti e provvedimenti valevole per qualsiasi pubblica amministrazione. Su tale ambito, la ricerca sarà diretta a realizzare "ARCHIMEDE", quale generatore di formule giurimetriche standardizzate universali, in grado di costruire i procedimenti amministra-tivi, redigendo provvedimenti od atti ed a-vendo la possibilità, in pochissimi secondi, di esaminare atti e di eseguire ricerche, comple-te e rigorose, in ordine ad una mole di dati e documenti, che per l'essere umano probabil-mente non sarebbero sufficienti giorni e gior-

ni di lavoro. La mole enorme di dati e docu-menti, dall'esame dei quali scaturiscono provvedimenti giuridici, necessita sempre di più di risorse tecnologiche evolute le quali, riducendo drasticamente i tempi di conclusio-ne delle fasi che precedono la decisione di merito, renderanno tali fasi sempre meno vi-sibili. In questo senso si può intendere il ter-mine "burocrazia artificiale" in quanto, ele-vando considerevolmente la velocità delle operazioni, il controllo umano risulterà sem-pre meno necessario, riuscendo gli automati-smi di contenimento dell'errore attraverso la logica, l'armonia del sistema e l'ossequio ri-goroso, direi scientifico, della norma e degli orientamenti giurisprudenziali ad offrire ga-ranzie di legittimità di gran lunga superiori rispetto ad un lavoro artigianale che si rivele-rà sempre più parziale nei procedimenti di na-tura vincolata. Fino ad una visione in linea con la legittimità dettata dagli orientamenti costanti e dalla norma vigente, il fenomeno scientifico in via accademica potrebbe essere codificato ed automatizzato, con il limite del-la correzione umana soltanto relativamente

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alle questioni di opportunità, che dovranno essere assunte in maniera assolutamente mar-ginale ed episodica.

Questa intrinseca ed inscindibile connes-sione tra diritto ed informatica ritengo sia, di fatto, il frutto di un atto di filosofia.

Questo processo evolutivo nella cd "Teo-ria della Legittimità nella burocrazia artifi-ciale" comporterà che la macchina arresterà la propria marcia al termine di un rigoroso ed esaustivo lavoro istruttorio che sarebbe in-concepibile paragonarlo, per completezza e varietà di dati e documenti esaminati in un arco temporale di qualche centesimo di se-condo, ad un lavoro manuale finanche assisti-to dalle attuali tecnologie da ritenersi, a bre-ve, assolutamente obsolete.

La decisione di merito spetterà sempre all'umano che potrà avvalersi, comunque, del-la completissima istruttoria che costituirà par-te integrante dell'atto finale, anche se l'intelli-genza artificiale potrà spingersi sino alla for-mulazione automatica della decisione finale, sempre in ordine ad una programmazione del-la macchina svolta dall'uomo, subordinando quindi, il controllo umano alla sola ed even-tuale fase di impugnazione dell'atto.

In una fase emancipata del processo di in-novazione e di attuazione della "Teoria della Legittimità", infatti, il soggetto deputato ad assumere la decisione, qualora intendesse di-scostarsi dalla soluzione proposta dalla mac-china, dovrà adeguatamente motivare l'atto in quanto la prestazione intellettuale in un si-stema perfetto, corretto anche dalle coniate soglie di tolleranza armonica (la perfetta ade-renza al precetto della macchina) potrebbe in-cappare in rigidità sciocche le quali, mitigate da scale di tolleranza in ragione di equilibri predeterminati, potranno sdoganare immedia-tamente una decisione corretta, anche se con-temperata. Le soglie di tolleranza saranno in grado di adattare sempre di più e meglio le decisioni a casi singolari anche a fronte di programmazioni a monte del sistema dettate dalle diverse caratteristiche delle aree di ap-plicazione della norma.

Tali soglie rappresentano sempre e co-munque una criticità del sistema e, quindi, i processi di correzione tenderanno sempre di più a marginalizzarle rendendo più efficiente

e fluido il sistema decisionale. A regime tali soglie verranno continuamente soffocate e ri-create laddove esigenze interpretative delle nuove norme o delle scale dinamiche di dati lo richiedano.

La creazione di macchine intelligenti sem-pre più adeguate ai processi di digitalizzazio-ne si innesteranno in una fase successiva in una diffusa cultura digitale e consentiranno quindi, di formulare soluzioni intelligenti che non rappresentano altro che uno sviluppo co-erente, logico, armonico, ad errore prossimo allo zero in termini di analisi di dati, a fronte di input impressi dall'umano che nemmeno la più alta onestà intellettuale potrebbe garanti-re, a cui va aggiunta non soltanto la margina-lizzazione dell'errore, ma soprattutto la radi-cale riduzione delle tempistiche.

La nuova teoria, infatti, prefigura uno sce-nario completamente nuovo in cui informati-ca e diritto non si sommano ma si fondono. L'informatica sarà in grado di recepire i mu-tamenti legislativi e giurisprudenziali automa-ticamente ed il provvedimento che verrà esa-minato dalla macchina giudice sarà già scritto coerentemente ad un linguaggio informatico in grado di comprendere ogni evoluzione e dinamica nell'accostamento tra fatto e diritto. La chiave è nella redazione del fatto in cui debbono essere esplicitati aspetti tecnici pun-tuali, tempistiche, luoghi, garanzie ed even-tuali disposizioni contenute in negoziazioni pregresse. La parte in diritto automaticamen-te, alla luce della normativa e dei principi giu-risprudenziali, fornirà un rapporto degli sco-stamenti individuati nella comparazione. O-gni scostamento (censura) in grado di demoli-re l'atto sarà armonizzato dalle indicazioni della giurisprudenza e della prassi che la macchina di volta in volta individuerà ed a-datterà. Se l'atto supererà automaticamente il vaglio delle censure con scostamenti compa-tibili con le soglie di legittimità verrà decreta-to dalla macchina legittimo. A questo punto soltanto il giudice potrà intervenire con ade-guata motivazione per discostarsi dalla deci-sione della macchina.

La macchina poi, potrà essere utilizzata ancor di più, ed ancor meglio, in sede preven-tiva ossia potrà verificare scientificamente a monte la legittimità di un atto che, ancorché

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redatto, prima di essere licenziato potrà essere quindi, vagliato ed eventualmente corretto nelle parti non conformi alla normativa vi-gente ed ai prevalenti orientamenti giurispru-denziali.

Pur tuttavia l'atto potrà, comunque, essere licenziato anche in presenza di scostamenti significativi dalla norma o dal diritto pretorio, motivando adeguatamente ogni aspetto di-scordante che, se nell'eventuale fase trovasse accoglimento, amplierebbe sul punto l'oriz-zonte giurisprudenziale.

Corollario conseguente è che ogniqualvol-ta il provvedimento che si discosti dalle citate soglie prestabilite di legittimità, supera il va-glio in sede giurisdizionale, quella Pubblica Amministrazione che l'ha redatto creerà il di-ritto che, a sua volta, verrà consacrato e, quindi "codificato" dal giudice.

Il processo dinamico delle norme, dei provvedimenti e delle decisioni dei giudici, trova nella teoria della legittimità sempre una decisione coerente, aggiornata, armonica, conforme e soprattutto sempre imparziale.

Il Giudice amministrativo resterà padrone esclusivamente di decisioni motivate legate all'opportunità ed alla interpretazione origina-le e nuova, divenendo così, secondo la "teoria della legittimità nella burocrazia artificiale"

sempre più legislatore e meno giudice, perché in quel ruolo tradizionale la macchina - con le dovute cautele, affiancamenti e supervisioni dell'umano - potrà sostituirlo integralmente in un contesto di perfetta ordinarietà.

Chiaramente lo "schema conformativo" a valle e la "digitalizzazione giuridica" della P.A. a monte, attraverso la "teoria della legit-timità della burocrazia artificiale", rappre-sentano le due facce di una stessa medaglia con la quale si avvia soltanto un primo passo verso il processo di integrazione/sostituzione uomo/macchina.

Un passo indubbiamente significativo nel verso di una nuova filosofia improntata all'u-tilizzo sempre più massivo delle nuove tecno-logie alle procedure giuridiche in un'ottica, improntata al Digital First, che studia il fe-nomeno a metà strada tra la scienza e l'inge-gneria, in cui la sensorialità artificiale alimen-tata dall'energia sempre di più sostituirà l'u-mano anche nel campo del diritto: il Giudice digitale (un giudice, non sempre filosofica-mente perfettamente giusto, ma certo infalli-bile) quale approdo dello "Schema conforma-tivo" e la "digitalizzazione giuridica" della P.A., attraverso Talete dapprima e Archimede poi, quale modello giurimetrico evoluto nell'innovato contesto di riforme.

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LA SORTE DEL CONTRATTO A SEGUITO DELL’ANNUL-LAMENTO DELL’AGGIUDICAZIONE: PROBLEMATICHE RELATIVE ALLA GIURISDIZIONE del Prof. Antonino Ilacqua L’autore si sofferma su uno dei temi più scottanti del diritto amministrativo, processuale e sostanziale: l’esistenza e la sorte del contratto stipulato sulla base di un provvedimento di aggiudicazione annullato dal giudice amministrativo. E ciò ponendo l’attenzione su entrambi i profili centrali del tema e del dibattito: il riparto di giurisdizione e le forme di invalidità e/o inefficacia del contratto. In questo contesto, l’Autore mette in rilievo le varie interrelazioni esistenti tra l’invalidità degli atti amministrativi che compongono le procedure di aggiudicazione e i contratti a valle. The author dwells on one of the most pressing issues of administrative law , procedural and substantive : the existence and fate of the contract concluded on the basis of an award decision annulled by the administrative courts . And that focusing on both central profiles of the issue and of the debate : the division of jurisdiction and forms of disability and / or ineffectiveness of the contract . In this context, the author highlights the various interrelations between the invalidity of administrative acts that make up the procedures for the award and downstream contracts. Sommario: 1. Introduzione. 2. La tesi dell’annullabilità. 3. La tesi della nullità. 4. La tesi dell'i-nefficacia. 5. La tesi della caducazione automatica. 6. Il riparto di giurisdizione. 7. La Direttiva 66/2007/CEE. 8. Il vizio del contratto stipulato a seguito di un’aggiudicazione illegittima dopo la Direttiva 66/2007/CE. 9. L’inefficacia del contratto alla luce del D.lgs. n. 53/2010 e del nuovo Codice del processo amministrativo. 10. Le prime applicazioni dei giudici amministrativi. 11. Conclusioni.

1. Introduzione1. Il tema della esistenza e della sorte giuridi-

ca del contratto stipulato sulla base di un provvedimento di aggiudicazione annullato dal giudice amministrativo è stato ed è tuttora oggetto di un acceso ed intenso dibattito in-terpretativo2.

1 Saggio sottoposto con esito positivo alla procedura di referaggio ai sensi del Regolamento interno della Rivista 2 Sul piano scientifico, il nesso tra invalidità ammini-strativa e invalidità del contratto è stato assunto da au-torevoli teorie v. F. SATTA, L’annullamento dell’aggiudicazione e i suoi effetti sul contratto, Dir.

amm., 2003, 643 ss.; S.S. SCOCA, Evidenza pubblica e contratto: profili sostanziali e processuali, Milano, 2008; A. ANGIULI, Contratto pubblico e sindacato del giudice amministrativo, Dir. amm., 2010, 865 ss.; G. GRECO, Illegittimo affidamento dell’appalto, sorte del contratto e sanzioni alternative nel d.lgs. 53/2010, Giust. Amm. n. 7 , 2010; E. FOLLIERI, I poteri del giudice amministrativo nel d.lgs 20.3.2010 n. 53 e ne-gli artt. 120-124 del Codice del processo amministra-tivo, Dir. proc. amm., 2010, 1067; E. STICCHI DAMIANI; Annullamento dell’aggiu-dicazione e inef-ficacia funzionale del contratto, Dir. proc. amm., 2011, 240. Sul piano concreto, il nesso ha conseguenze pratiche, colte soprattutto come effetto dei poteri del giudice amministrativo – v. M. LIPARI; Le sanzioni

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Gazzetta Amministrativa -26- Numero 1- 2016

La questione, infatti, pone due problemi. Uno riguarda il riparto di giurisdizione, l’altro la validità del contratto. In particolare, la que-stione assume rilievo nelle interrelazioni tra la fase pubblicistica e quella regolata dal di-ritto civile, trattandosi di stabilire in che ter-mini gli atti amministrativi che compongono il procedimento di evidenza pubblica siano in grado di condizionare validità ed efficacia dell’accordo contrattuale medio tempore rag-giunto. Se da un lato, infatti, è necessario tu-telare la posizione del soggetto che abbia vit-toriosamente proposto ricorso avverso l’atto di gara, dall’altro occorre garantire tutela all’aggiudicatario, vittima di illegittimità spesso verificatesi nel corso della procedura di evidenza pubblica e addebitabili alla Sta-zione appaltante.

La problematica è stata ricostruita attraver-so quattro diverse letture dell’invalidità3, che finiscono con il condizionare il riparto di giu-risdizione. In tale sede si cercherà di riassu-mere, sia pur brevemente, i percorsi seguiti, per arrivare a delineare un punto di arrivo, che si risolve nei poteri del Giudice e nelle sanzioni alternative.

2. La tesi dell’annullabilità. Secondo la dottrina tradizionale, dall’an-

nullamento dell’aggiudicazione discendeva l’annullabilità relativa del contratto stipulato medio tempore, ai sensi dell’art. 1441 c.c..

Tale ricostruzione traeva spunto dalla con-siderazione che la procedura ad evidenza pubblica era essenzialmente finalizzata a ga-rantire la scelta del miglior contraente tra tutti i partecipanti, a tutela esclusiva degli interessi pubblici4.

Sulla scorta del menzionato orientamento dottrinario, la Corte di Cassazione inquadrava

alternative alla inefficacia del contratto,Libro dell’anno, 2012, 862 ss.; P. CARPENTIERI, Sorte del contratto (nel nuovo rito sugli appalti), Dir. proc. amm., 2011, 664; V. LOPILATO, Categorie contrattuali, contratti pubblici e nuovi rimedi previsti dal d.lgs n. 53/2010 di attuazione della direttiva ricorsi, Dir. proc. amm., 2010, 1326. 3 La teoria dell’annullabilità del contratto, quella della nullità, quella della caducazione automatica e quella dell’inefficacia dello stesso. 4 M. D’Alberti, Interesse pubblico e concorrenza nel codice dei contratti pubblici, Dir. amm., 2008, 297 ss.

il fenomeno descritto nella tematica del vizio della legittimazione a contrarre da parte dell’organo che aveva espresso la volontà dell’ente5.

Da allora, e per lungo tempo, la tesi dell’annullabilità relativa del contratto ex art. 1441 c.c. ha caratterizzato, in misura univoca, la giurisprudenza del giudice ordinario, tro-vando significativi riscontri anche nella giuri-sprudenza amministrativa6.

La tesi muoveva dal presupposto che gli atti amministrativi adottati nella procedura di evidenza pubblica, i quali precedono la stipu-lazione del contratto iure privatorum, rappre-sentano mezzi di integrazione della capacità e della volontà dell’ente pubblico; con la con-seguenza che i loro vizi, traducendosi in un difetto di capacità della P.A., sono deducibili, in via di azione o di eccezione, soltanto dalla Stazione appaltante7, al fine di ottenere l’annullabilità del contratto.

Siffatta posizione, oltretutto, era quella che meglio si attagliava ad assicurare la certezza dei rapporti giuridici; atteso che, diversamen-te opinando, aderendo cioè all’orientamento della nullità assoluta, qualunque terzo escluso dall'aggiudicazione poteva far valere, anche a distanza di tempo, l'invalidità radicale del contratto, travolgendone perciò gli effetti.

Pur nella unitarietà della soluzione rag-giunta (l’annullabilità ex art. 1441 c.c.), dot-trina e giurisprudenza ne discutevano il fon-damento.

Per alcuni, l’annullabilità era riconducibile ad un vizio del consenso per errore essenziale e riconoscibile dell’Amministrazione sulla qualità di legittimo aggiudicatario del privato- contraente (artt. 1428 e 1429, n. 3 c.c.); per altri, in una sorta di incapacità a contrattare dell’amministrazione, ai sensi dell’art. 1425, co. 1 c.c., ove fosse caducata la delibera a

5 Cfr. Cassazione civile, Sez. II, 21.2.1995 n. 1885 e 8.5.1996, n. 4269. 6Cfr. Cass. 17.11.2000, n. 14901; Cass. 8.5.1996, n. 4269, Cass. 28.3.1996, n. 2842; CdS., Sez. VI, 1.2.2002, n. 570; T.A.R. Puglia, Lecce, 28.2.2001, n. 746; TAR Lombardia, Brescia, 9.5.2002, n. 823; TAR Lombardia, Milano, 29.11.1999, n. 4070; TAR Lombardia, Milano, 23.12.1999, n. 5049; TAR Lombardia, Milano, 11.12.2000, n. 7702; TAR Campania, Napoli, 20.10.2000, n. 3890. 7 Cfr. Cass. 8.5.996, n. 4269.

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contrattare8. Altri ancora rinvenivano l’annullabilità in

un difetto di legittimazione negoziale della pubblica amministrazione, intesa come ipote-si concreta di incapacità rispetto allo specifi-co negozio9.

Di recente, specie a seguito del consolidar-si dell’opinione secondo cui le regole dell’evidenza pubblica sono poste, non solo a tutela degli interessi della P.A., ma anche a garanzia del più generale interesse alla par condicio competitorum10, tale orientamento è stato superato.

3. La tesi della nullità. Secondo una differente interpretazione,

prevalentemente giurisprudenziale11, l’annul-lamento dell’aggiudicazione comportava la nullità del contratto di appalto.

Nel nostro sistema giuridico, le cause di nullità del contratto non sono tutte tipizzate.

Dal dato testuale dell’art. 1418 c.c. emer-ge, infatti, che solo il co. 3 allude alle cosid-dette nullità testuali, le quali si configurano quando è la stessa norma a dichiarare nullo il contratto od una singola clausola; mentre in-vece i primi due commi fanno riferimento alle cosiddette nullità virtuali (art. 1418, co. 1) e strutturali (art. 1418, co. 2).

Traendo spunto proprio dal sistema codici-stico, la tesi de qua fondava la nullità del con-tratto sul disposto del primo comma del men-zionato articolo, che sanziona appunto con la nullità il contratto contrario a norme impera-tive (c.d. nullità virtuale o extratestuale): nel-lla specie, a quelle norme di azione caratte-rizzanti la procedura ad evidenza pubblica.

Le disposizioni che disciplinano le modali-tà di scelta del contraente esprimono - asseri-vano i fautori della menzionata tesi - un im-plicito divieto di stipulare con soggetti che non siano risultati legittimi vincitori della ga-ra12. 8 Cass., sez. I, 28.3.1996, n. 2842. 9 Cass., sez. II, 21.2.1995, n. 1885 e Cass., sez. I, 13.10.1985 n. 5712. 10 Cfr, F. SCOCA, Annullamento dell’aggiudicazione … op. loc. cit.. 11 Cfr., ex plurimis, CdS - Sez. IV, ordinaza n. 3355/2004. 12 Cfr. CdSt, sez. V, 13.11.2002, n. 6281; TAR Calabria, 26.11.2002, n. 2031; TAR Campania,

Più in particolare, la fase pubblicistica dell’evidenza pubblica configura una fatti-specie complessa (in cui convergono meri at-ti, operazioni materiali e provvedimenti), del-la quale la stipulazione del contratto rappre-senta solo l’effetto finale.

Ne seguiva che l’invalidità degli atti pro-cedimentali, facendo venir meno ex tunc il provvedimento di aggiudicazione, impediva alla suddetta fattispecie di conseguire il pro-prio perfezionamento giuridico, ed in primo luogo di determinare l’idem consensus (ovve-ro l’accordo) che costituisce elemento essen-ziale di ogni contratto.

E’ noto, infatti, che il vizio radicale del consenso, nel senso del suo difetto genetico originario, produce la nullità del contratto ai sensi dell’art. 1418 co. 2 c.c.13.

Una tesi minoritaria, relativamente all’ipotesi particolare dell’originaria mancan-za o dell’annullamento ex tunc della delibera-zione a contrarre, riteneva che l’inosservanza del principio della necessità della copertura finanziaria determinasse la nullità del contrat-to per mancanza della causa ex art. 1418, co. 2 e 1325, n. 2.

Altra parte della dottrina, nel caso in cui i vizi della serie procedimentale ad evidenza pubblica fossero tali da determinare l’inidoneità del contratto a perseguire il vin-colo di scopo assegnato all’amministrazione, riconduceva la nullità del contratto alla gene-rale previsione della violazione di norme im-perative ex art. 1418, co. 1.

Tuttavia, anche la tesi della nullità è stata superata per effetto dell’emanazione del Co-dice dei contratti pubblici, il quale traccia, all’art. 11, co. 7, una netta separazione tra la fase pubblicistica della procedura e quella negoziale in cui si perfeziona il consenso per la conclusione del contratto, stabilendo che “ l’aggiudicazione definitiva non equivale ad

Napoli, 29.5.2002, n. 3177 in cui viene valorizzato il richiamo alla normativa sull’evidenza pubblica, diretta, attraverso la salvaguardia della par condicio tra i concorrenti, ad assicurare i fondamentali valori di imparzialità e di efficienza ed efficacia dell’azione amministrativa - art. 97 Cost. - nonché di tutela dell'effettività della concorrenza ex artt. 2, 3, par. 1, lett. g), e 4 Trattato CE. 13Cfr. TAR Puglia, Bari, 23.10.2002, n. 394; Cass. Civ. 9.1.2002, n. 193.

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accettazione dell’offerta”. 4. La tesi dell’inefficacia. La terza tesi è quella dell’inefficacia, che

vede la caducazione, in sede sia giurisdizio-nale che amministrativa, degli atti della fase della formazione della volontà dell’ammini-strazione di concludere un contratto, quale momento in cui l’amministrazione stessa vie-ne privata, ex tunc, della legittimazione a ne-goziare.

In base alla menzionata ricostruzione, è come se la P.A., in caso di annullamento dell’aggiudicazione, avesse negoziato in iure, priva di legittimazione negoziale per fare ciò.

Di conseguenza, secondo il descritto orien-tamento, il contratto diventa ab origine inef-ficacie, se uno degli atti del procedimento viene meno per qualsiasi causa.

5. La tesi della caducazione automatica Secondo un’ultima ricostruzione giuri-

sprudenziale14, l’annullamento dell’aggiu-dicazione comportava la caducazione auto-matica degli effetti della stipulazione.

Secondo tale orientamento, infatti, l'annul-lamento dell'aggiudicazione poneva nel nulla l'intero effetto-vicenda da esso derivato, a cominciare dal contratto di appalto, il quale non aveva una propria autonomia ma si limi-tava a riprodurre formalmente quanto già sta-bilito nell’atto di aggiudicazione.

Detto indirizzo traeva fondamento dall’art. 16, co. 4 R.D. 2440/23, ai sensi del quale “(…) i verbali di aggiudicazione definitiva, in seguito ad incanti pubblici o a private lici-tazioni, equivalgono per ogni effetto legale al contratto (…)”15.

La tesi fu però oggetto di pesanti critiche: la norma sopra richiamata avrebbe valore di-spositivo più che precettivo, con la conse-guenza che la P.A. risulterebbe libera non so-lo di meglio definire l’oggetto dell’accordo all’atto della stipulazione del contratto (sia pur senza mutarne nella sostanza il contenu-

14 Cfr. CdS – Sez. VI, n. 2992/2003 e n. 244/2000. 15 Benché la norma sopra richiamata sia dettata in ma-teria di amministrazione del patrimonio e contabilità generale dello Stato, la giurisprudenza ne ha tratto un principio di portata generale valevole anche per le gare esperite da enti territoriali.

to), ma finanche, ove ragioni oggettive lo im-pediscano, di non addivenire ad alcuna stipu-lazione16.

Nella prassi, inoltre, sempre più spesso ac-cadeva che gli enti locali inserissero nei di-sciplinari di gara deroghe espresse all'art. 16 R.D. 2440/23.

I giudici amministrativi furono quindi co-stretti a rivisitare la ricostruzione interpretati-va, partendo non più dal citato art. 16, quanto piuttosto dall’art. 246, co. 4 del d.lgs. n. 163/2006.

Secondo il nuovo indirizzo, l’annul-lamento giurisdizionale dell'aggiudicazione comportava la caducazione automatica del contratto stipulato, “sub specie” di ineffica-cia successiva dichiarata dal giudice ammini-strativo, in quanto il negozio pienamente effi-cace al momento della nascita, diviene ineffi-cace per il sopravvenire di una inidoneità funzionale in cui venga a trovarsi il pro-gramma negoziale per l'incidenza esterna di interessi giuridici preminenti, incompatibili con l'interesse interno negoziale17.

La tesi è stata però superata, ancor prima della novella di cui al d.lgs. n. 53/2010, dalle Sezioni unite della Corte di Cassazione, la quale ha espressamente statuito nel senso che: “ la decisa caducazione degli effetti dei con-tratti (…) determina l'eccesso dei limiti ester-ni del potere giurisdizionale, non potendo il giudice amministrativo sostituirsi nelle de-terminazioni dell'amministrazione in ordine agli effetti del contratto stipulato in base ad una gara illegittimamente espletata e doven-do su tali effetti decidere solo il giudice ordi-nario”18 .

6. Il riparto di giurisdizione.

16 Salvo poi a verificare la sussistenza di eventuali responsabilità, anche precontrattuali, in capo alla P.A. 17 Cfr. CdS n. 5201/2007 e n. 2332/2003; CdS - Sez. V, n. 5194/2005; CdS - Sez. VI, n. 4295/2006. 18 Cfr. Cass. civ. Sez. Un., n. 10443/2008. Nella sentenza si legge testualmente; “La scelta del Consiglio di Stato in ordine alla caducazione degli effetti del contratto costituisce eccesso di potere esterno dei giudici amministrativi che, con tale statuizione, si sono sostituiti alla P.A. in una prerogativa di essa, che è quella di determinare l'annullamento del contratto da essa stessa stipulato e la caducazione dei suoi effetti in sede di autotutela o con domanda al giudice ordinario”.

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Una delle più importanti questioni inter-pretative, relative alla disciplina dell’attività contrattuale della P.A., riguarda la giurisdi-zione sulla “sorte” del contratto in caso di annullamento del provvedimento di aggiudi-cazione.

Occorre premettere che l'art. 244 del Codi-ce dei contratti pubblici devolve alla giurisdi-zione esclusiva del giudice amministrativo tutte le controversie, ivi comprese quelle ri-sarcitorie, relative alle procedure di affida-mento di lavori, servizi e forniture, svolte da soggetti comunque tenuti, nella scelta del contraente, al rispetto dei procedimenti di e-videnza pubblica previsti dalla normativa comunitaria, statale e regionale.

Sulla scorta del fondamento legislativo appena citato, erano state inizialmente le Se-zioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 27169/2007 (cui si è adeguato l’orientamento successivo della Corte)19, a perimetrare il raggio di cognizione del giudi-ce amministrativo in materia di appalti pub-blici ed a frenarne la tendenza espansiva in-cludente la sorte del contratto dopo l’aggiudicazione della gara.

Secondo i giudici di merito, infatti, l'art. 244, nell'attribuire alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo tutte le controver-sie riguardanti le procedure di affidamento di lavori, servizi e forniture, confermerebbe, in linea di principio, che rientra invece nella giurisdizione ordinaria qualsivoglia valuta-zione dei riflessi, sul contratto di appalto, del-le irregolarità-illegittimità del procedimento amministrativo; ciò in ragione del fatto che l’art. 103, co. 1, Cost. stabilisce un criterio di riparto della giurisdizione basato unicamente sulla separazione tra il piano del diritto pub-blico (affidato al G.A.) e quello negoziale, in-teramente retto dal diritto privato.

Tale indirizzo, del resto, appariva in linea con quanto più volte ribadito dalla stessa Cor-te Costituzionale: quando la controversia ine-risce esclusivamente ai diritti soggettivi e la P.A. agisce con poteri di natura privatistica, la cognizione sulla stessa appartiene sicura-mente al giudice ordinario.

Siffatta impostazione non era però risultata

19 Cfr. sentenza in nota 11.

esente da critiche, alcuni autori avevano infat-ti opinato come la stessa fosse in realtà pre-giudizievole per l’effettività e la celerità della tutela giurisdizionale del concorrente escluso, il quale si trovava costretto ad adire il giudice amministrativo per l'annullamento dell'aggiu-dicazione e quello ordinario per l’invalidazione del contratto, con inutile du-plicazione di giudizi.

La questione del riparto di giurisdizione in materia di appalti pubblici era stata affrontata anche dall'Adunanza Plenaria20 del Consiglio di Stato la quale, pur formalmente aderendo all'orientamento delle Sezioni Unite della Cassazione secondo cui deve ritenersi sottrat-ta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo la domanda volta a far valere l'invalidità del contratto stipulato a seguito di aggiudicazione illegittima, aveva tuttavia pre-servato – con evidente soluzione di compro-messo – la cognizione del giudice ammini-strativo in subiecta materia in sede di giudi-zio di esecuzione del giudicato21.

Attraverso la valorizzazione del giudizio di ottemperanza, l'Adunanza Plenaria recupera-va al giudice amministrativo quella compe-tenza che gli sarebbe invece preclusa dall’ordinario criterio di riparto della giuri-sdizione.

Tale orientamento, invero, si inseriva in un preciso filone giurisprudenziale teso alla mas-sima estensione dei poteri del giudice ammi-nistrativo in sede di ottemperanza (c.d. teoria 20 Cfr. decisione n. 9 del 30.7.2008. 21 Cfr. S. BACCARINI, Annullamento dell’aggiu-dicazione e sorte del contratto in Foro Amm. - CdS, 2009, pagg. 2189 e ss., secondo cui la questione della sorte del contratto, pur non attenendo al fatto costitutivo della situazione soggettiva fatta valere in giudizio (nel qual caso si tratterebbe di pregiudiziale in senso logico, antecedente logico della questione finale, come tale ricompresa nell’accertamento principale con effetto di giudicato implicito), viene sempre esaminata dal g.a. incidenter tantum, senza efficacia di giudicato, giacché proprio l’efficacia del contratto potrebbe determinare – e in genere determina – quell’eccessiva onerosità per l’amministrazione che induce il giudice a disattendere la domanda di reintegrazione in forma specifica e a disporre il risarcimento per equivalente. Si tratterebbe, quindi, di una pregiudiziale in senso tecnico esaminata in via incidentale dal giudice amministrativo già nel giudizio di cognizione, si svolga esso in ambito di giurisdizione esclusiva o di legittimità.

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del giudicato progressivo). Secondo questo indirizzo, il giudice

dell’ottemperanza aveva il potere di integrare, in sede di attuazione, il contenuto della sen-tenza di annullamento dell'aggiudicazione, fino al punto da vagliare, incidenter tantum e senza efficacia di giudicato, anche la validità del contratto di appalto, dando così luogo al c.d. giudicato progressivo.

Parte della dottrina, tuttavia, era rimasta critica anche rispetto a siffatta impostazione, rilevando come fosse impossibile sostenere l'esistenza di una giurisdizione di “esecuzio-ne” in difetto di una giurisdizione di cogni-zione sul contratto di appalto: la sentenza di annullamento dell'aggiudicazione non può pronunciarsi sulla sorte del contratto di appal-to, con conseguente difetto di ogni possibile effetto conformativo della pronuncia impu-gnatoria sul giudizio di merito (il futuro giu-dizio di ottemperanza).

Di recente la Corte di Cassazione, , con ordinanza n. 2906/2010 sottoponendo a rivisi-tazione il proprio precedente orientamento di-cotomico in materia di appalti pubblici fonda-to sulla distinzione tra interessi legittimi e di-ritti soggettivi (con conseguente necessità della celebrazione di due distinti processi: di-nanzi al giudice amministrativo per l’annullamento della gara d’appalto, dinanzi al giudice ordinario per la rimozione del con-tratto oggetto dell’appalto), ha stabilito che è il giudice amministrativo l’organo giurisdi-zionale deputato a garantire la tutela piena in tema di aggiudicazione illegittima, dovendosi radicare in capo a detto giudice anche i poteri caducatori del contratto concluso sulla base di una aggiudicazione siffatta.

Tale revirement è sostanzialmente antici-patorio della disciplina sugli appalti pubblici posta con il d.lgs. n. 53 del 20.3.2010, con cui si è data attuazione alla Direttiva 2007/66/CE.

Ad ogni modo, il nuovo indirizzo interpre-tativo delle Sezioni Unite, estendendo la co-gnizione del G. A. anche alle controversie re-lative all’invalidità del contratto stipulato sul-la base di una aggiudicazione ritenuta illegit-tima, sembra avallare le posizioni di quanti ritengono ormai superato o recessivo il crite-rio di riparto di giurisdizione fondato sulle posizioni soggettive.

Il tradizionale criterio di riparto fra le giu-risdizioni, invero, si erigeva sulla natura delle posizioni giuridiche soggettive dedotte in giudizio ed aveva fondamento giuridico nell’art. 103 Cost.: “Il Consiglio di Stato e gli altri organi di giustizia amministrativa hanno giurisdizione per la tutela nei confronti della pubblica amministrazione degli interessi le-gittimi e, in particolari materie indicate dalla legge, anche dei diritti soggettivi”.

Con il tempo, tuttavia, si è assistito al su-peramento del tradizionale criterio di riparto di giurisdizione a vantaggio di quello più in-novativo fondato sulla distinzione per mate-rie.

E’ stato il d.lgs. 80/98, in particolare l’art. 33 (sostanzialmente riconfermato nel conte-nuto dalla L. 205/00) che, muovendosi in tal senso, ha finito col generalizzare il modello della giurisdizione esclusiva.

La richiamata ordinanza n. 2906/2010, e-stendendo oltremodo l’ambito di cognizione del G. A. in tema di appalti pubblici, induce ad affermare che il criterio di riparto per ma-terie non è più un’ipotesi eccezionale, ciò an-che in ragione dei principi di concentrazione, effettività e ragionevole durata del processo, che caratterizzano la nostra Carta costituzio-nale.

Nel novembre 2014 la stessa Corte22, riba-dendo la sua precedente posizione, statuisce che l’affermata giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo sulla domanda di di-chiarazione di inefficacia o nullità del con-tratto “postula inevitabilmente che le doman-de conseguenti ad una tale declaratoria deb-bano essere conosciute dallo stesso giudice al quale è riconosciuta la giurisdizione sul con-tratto. Le domande di ripetizione d’indebito o arricchimento senza causa, infatti, si presen-tano come effetti restitutori conseguenti alla declaratoria di inefficacia (o nullità) del con-tratto… E se le controversie di natura risarci-toria rientrano nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ai sensi dell'art. 133 co. 1 lett. e) del d.lgs. n. 104 del 2010, a maggior ragione un tale riconoscimento me-ritano quelle restitutorie che, non solo sono connesse ma sono strettamente conseguenti

22 Sez. Un. ordinanza n. 14260 dell’8.8.2012.

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alla declaratoria di inefficacia del contratto. D’altra parte, la soluzione del problema de-riva da un evidente argomento logico: se la giurisdizione esclusiva si applica alle que-stioni legate da connessione indiretta ed e-ventuale alla declaratoria di inefficacia del contratto, a maggior ragione deve applicarsi a quelle connesse direttamente, cioè conse-guenti”.

Secondo le Sezioni Unite, insomma, la giurisdizione non è determinata solo dalla e-sigenza di assicurare la concentrazione e la speditezza del processo. Anche argomenti di ordine sistematico - si potrebbe dire: ragioni di coerenza interna - militano a favore della giurisdizione esclusiva del giudice ammini-strativo su tutte le questioni connesse alla in-validazione di una gara ed alla conseguente caducazione del contratto stipulato in base a quella.

La Corte rammenta, del resto, che il giudi-ce amministrativo “è l’organo indipendente dalla amministrazione (indicato dalla Diret-tiva) che ha, nell’ordinamento interno, il po-tere di pronunciare l’annullamento della ag-giudicazione”, e proprio per tale ragione deve essere anche tributario di una giurisdizione esclusiva su tutte le vicende che da tale an-nullamento possono conseguire.

Si spiega così la ragione per cui la Corte, precisando ulteriormente il proprio pensiero in uno dei passaggi finali della richiamata or-dinanza, afferma esplicitamente che “deve dissentirsi dall’affermazione per cui la giuri-sdizione del giudice amministrativo possa ri-conoscersi soltanto in ipotesi di proposizione congiunta della domanda di invalidità della aggiudicazione e di privazione degli effetti del contratto concluso”: se la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in mate-ria di appalti deve estendersi, per ragioni di coerenza, a tutte le questioni connesse e con-seguenti all’annullamento di una decisione di aggiudicazione, allora non v’è ragione per negare tale giurisdizione per il solo fatto che vengano in considerazione domande proposte separatamente da quella avente ad oggetto l’annullamento della aggiudicazione.

Anzi, neanche il fatto che la declaratoria di inefficacia di un contratto a seguito di illegit-tima aggiudicazione consegua ad annulla-

mento della aggiudicazione pronunciato in autotutela è idoneo a spostare la giurisdizio-ne, che permane in capo al Giudice Ammini-strativo.

7. La Direttiva 66/2007/CE. La recente Direttiva 66/2007/CE ha intro-

dotto rilevanti innovazioni in tema di miglio-ramento dell’efficacia delle procedure di ri-corso in materia di aggiudicazione degli ap-palti pubblici, non senza conseguenze, come si vedrà in seguito, sul piano del riparto giuri-sdizionale e del vizio inficiante il contratto d’appalto.

In via preliminare, giova evidenziare come la decisione di procedere alla stesura di una nuova direttiva in materia di appalti pubblici sia nata a seguito di uno studio della Com-missione sull'impatto delle direttive di prima generazione (dir. 89/655/CEE e dir. 92/13/CEE).

I risultati dello studio hanno dimostrato come l'impianto apprestato non riusciva a dis-suadere le amministrazioni pubbliche dalla stipula di contratti aggiudicati illegittimamen-te, con la conseguenza di rendere non solo ir-reversibili gli effetti dell'aggiudicazione an-nullata, ma anche di scoraggiare, dall’im-pugnazione dell’aggiudicazione, le imprese illegittimamente pretermesse in ragione della notevole difficoltà di provare la c.d. spettanza del contratto e, per l’effetto, di conseguire il risarcimento del danno almeno per equivalen-te.

La Commissione, quindi, al fine di garanti-re l'enforcement del diritto comunitario degli appalti, ha proposto l’introduzione di nuovi rimedi in grado di superare le riscontrate ca-renze in tema di tutela dei concorrenti.

Il fulcro della Direttiva 2007/66/CE ruota intorno alla c.d. clausola stand still, vale a di-re un termine minimo “sospensivo” non infe-riore a 10 giorni (cfr.. art. 2-bis.2 dir. 89/655/CEE e art. 2-bis.2 dir. 92/13/CEE) che deve necessariamente intercorrente tra la noti-fica dell'aggiudicazione a tutti i concorrenti e la stipula del contratto23.

23 Invero il nostro Codice dei Contratti, all'art. 11 co. 10, già contiene la previsione del termine minimo (30 giorni) tra la comunicazione dell'aggiudicazione e la

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Viene altresì introdotto un articolato si-stema sanzionatorio, che va dalla privazione degli effetti del contratto alle sanzioni c.d. al-ternative, in tutti i casi in cui le amministra-zioni pubbliche procedano alla stipula del contratto in pendenza di tale periodo, o anche dispongano l'affidamento diretto dell'appalto al di fuori delle ipotesi consentite dal diritto comunitario.

Il termine di sospensione, peraltro, non opera in alcuni casi espressamente contem-plati dalla direttiva comunitaria:

a) nei casi di non obbligatorietà della pre-ventiva pubblicazione del bando di gara nella Gazzetta Ufficiale della Comunità europea, ossia nei casi di urgenza;

b) nei casi in cui unico offerente (interes-sato) sia l’aggiudicatario dell'appalto;

c) qualora la procedura di evidenza pub-blica consista in un accordo quadro o in un sistema dinamico di acquisizione (v. art. 2-ter dir. 89/655/CEE e art. 2-ter dir. 92/13/CEE).

Vengono introdotte delle prescrizioni an-che in merito al termine di impugnazione: il dies a quo decorre dalla data di notifica, da parte della stazione appaltante, dei motivi di esclusione o di mancata comunicazione, noti-fica che va fatta a ciascun partecipante alla gara.

Al riguardo, si segnala che il terzo corret-tivo24 al Codice dei contratti, modificando il D.Lgs. 163/’06 nella parte in cui subordinava siffatta comunicazione all’istanza di parte, con conseguente menomazione della tutela dei concorrenti che non avevano avanzato in termini utili detta richiesta, aveva di fatto già immesso nel nostro sistema giuridico il prin-cipio della notifica generalizzata.

Analogo recepimento è intervenuto, sia pure con delle modifiche, anche per la clauso-la c.d. stand still.

Infatti, il d.lgs. n. 53/2010 stabilisce, all’art. 1 lett. c), che: “(…) il contratto non può comunque essere stipulato prima di tren-tacinque giorni dall'invio dell'ultima delle comunicazioni del provvedimento di aggiudi-cazione definitiva (…)”.

Il suddetto termine dilatorio, tuttavia, non stipula del contratto, siffatta disposizione, nel caso di sua inosservanza, ad oggi è sfornita di sanzione. 24 D.lgs. n. 152/’08.

si applica nei seguenti casi: a) se, a seguito di pubblicazione di bando

o avviso con cui si indice una gara o inoltro degli inviti nel rispetto del Codice dei contrat-ti, è stata presentata o è stata ammessa una sola offerta e non sono state tempestivamente proposte impugnazioni del bando o della let-tera di invito o queste impugnazioni risultano già respinte con decisione definitiva;

b) nel caso di un appalto basato su un ac-cordo quadro di cui all'art. 59 del Codice dei contratti e in caso di appalti specifici basati su un sistema dinamico di acquisizione di cui all'art. 60 del d.lgs. 163/’06.

Se è proposto ricorso avverso l'aggiudica-zione definitiva con contestuale domanda cautelare, il contratto non può essere stipula-to, dal momento della notificazione dell'istan-za cautelare alla stazione appaltante e per i successivi venti giorni, a condizione che entro tale termine intervenga almeno il provvedi-mento cautelare di primo grado o la pubblica-zione del dispositivo della sentenza di primo grado in caso di decisione del merito all'u-dienza cautelare ovvero fino alla pronuncia di detti provvedimenti se successiva. L'effetto sospensivo sulla stipula del contratto cessa quando, in sede di esame della domanda cau-telare, il giudice si dichiara incompetente ai sensi dell'art. 14, co. 4, del codice del proces-so amministrativo, o fissa con ordinanza la data di discussione del merito senza concede-re misure cautelari o rinvia al giudizio di me-rito l'esame della domanda cautelare, con il consenso delle parti, da intendersi quale im-plicita rinuncia all'immediato esame della domanda cautelare.

La Direttiva 2007/66/CE dispone anche in merito agli effetti del contratto in caso di an-nullamento dell’aggiudicazione stabilendo come “(…) la carenza di effetti non dovrebbe essere automatica ma dovrebbe essere accer-tata da un organo di ricorso indipendente o dovrebbe essere il risultato di una decisione di quest’ultimo (…)”.

La citata Direttiva consente comunque agli Stati membri di prevedere ipotesi in cui l'or-gano di ricorso abbia la facoltà di “conserva-re” il contratto di appalto stipulato a seguito di aggiudicazione illegittima: sono i casi in cui il giudice rileva l’esistenza di esigenze

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imperative connesse ad un interesse generale. In tali casi vengono comunque applicate san-zioni alternative.

Non possono considerarsi "esigenze impe-rative" gli interessi economici legati al con-tratto (i costi derivanti dal ritardo nell'esecu-zione del contratto, quelli relativi all'indizione di una nuova procedura di aggiudicazione o al subentro dell'operatore economico). Quanto alle sanzioni alternative, esse consistono o nell'irrogazione di sanzioni pecuniarie all’Amministrazione aggiudicatrice, ovvero nella riduzione della durata del contratto.

La Direttiva stabilisce inoltre che le san-zioni alternative che gli Stati membri dovran-no prevedere debbano essere effettive, pro-porzionate e dissuasive, precisando come il risarcimento del danno non rappresenti una sanzione adeguata e come sia invece necessa-rio conferire all'organo di ricorso un'ampia discrezionalità nell'irrogazione delle sanzioni (in modo tale che possa tener conto di tutte le circostanze del caso concreto, quali la gravità della violazione, il comportamento dell'am-ministrazione aggiudicatrice e la misura in cui il contratto resta in vigore).

8. Il vizio del contratto stipulato a segui-

to di un’aggiudicazione illegittima dopo la Direttiva 66/2007/CE.

La Direttiva 2007/66/CE stabilisce, al con-siderando 13, che un contratto stipulato a se-guito di un’aggiudicazione illegittima è da considerarsi, in linea di principio, privo di ef-fetto.

La stessa normativa, all’art. 2, co. 6 dispo-ne che “(…) Gli Stati membri possono preve-dere che l’organo di ricorso indipendente dall’amministrazione aggiudicatrice abbia la facoltà di non considerare un contratto privo di effetti, sebbene lo stesso sia stato aggiudi-cato illegittimamente per le ragioni di cui al paragrafo 1, se l’organo di ricorso, dopo a-ver esaminato tutti gli aspetti pertinenti, rile-va che il rispetto di esigenze imperative con-nesse ad un interesse generale impone che gli effetti del contratto siano mantenuti (…)”.

Dalle norme richiamate, dunque, sembra essersi finalmente risolto, nel senso dell’inefficacia (l’organo di ricorso indipen-dente dall’amministrazione aggiudicatrice ha

la facoltà di non considerare un contratto privo di effetti), la questione interpretativa re-lativa alla sorte del contratto in caso di annul-lamento giurisdizionale del provvedimento di aggiudicazione.

9. L’inefficacia del contratto alla luce

del d.lgs. n. 53/2010 e del nuovo Codice del processo amministrativo.

Sulla sorte del contratto a seguito dell’annullamento dell’aggiudicazione è da ultimo intervenuto il Codice del processo amministrativo con gli articoli da 120 a 125.

Si tratta, nella sostanza, di disposizioni già in vigore in virtù della novella operata, al co-dice dei contratti pubblici, dal decreto di re-cepimento della cd. direttiva ricorsi (d.lgs. 20.3.2010, n. 53).

Per comprendere la portata dell’inno-vazione, conviene partire dall’art. 121, co. 1 del Codice del processo amministrativo, il quale attribuisce al giudice amministrativo la giurisdizione in merito alla dichiarazione di inefficacia del contratto stipulato sulla base di una aggiudicazione definitiva preventivamen-te annullata.

Quattro sono le ipotesi, dal legislatore ri-tenute più gravi, in cui l’inefficacia del con-tratto consegue “necessariamente” alla cadu-cazione dell’aggiudicazione: a) quando la ga-ra non abbia avuto la dovuta pubblicità, b) quando la gara abbia seguito una procedura meno competitiva, senza i dovuti avvisi e fuori dai casi previsti, c) quando si sia stipula-to un contratto senza lasciar tempo ai compe-titors di contestare la procedura, d) quando in presenza di un ricorso, cioè di una concreta doglianza dei competitors, si sia comunque stipulato il contratto.

In tali casi, tutti invero riconducibili alla violazione del principio della concorrenza, il giudice può solo stabilire l’estensione tempo-rale dell’inefficacia, se cioè la stessa sia limi-tata alle prestazioni ancora da eseguire alla data di pubblicazione del dispositivo oppure operi in via retroattiva, ciò valutando la gravi-tà della condotta della stazione appaltante e la situazione di fatto che si è venuta a creare.

Ogni regola, tuttavia, contempla delle ec-cezioni; e così nel co. 2 dello stesso art. 121 la concorrenza, e con essa la sua tutela, cede

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rispetto a superiori interessi pubblici che il legislatore definisce in positivo, con un ri-chiamo esemplificativo e non esaustivo alle esigenze tecniche di continuità e completa-mento dell’opera da parte dell’aggiudica-tario25.

Ancora, la concorrenza risulta cedevole di fronte ad evenienze economiche sproporzio-nate, ove, cioè si rischi di pagare eccessiva-mente l’opera in ragione dell’indirizzarsi del ricorrente verso il risarcimento del danno per equivalente, anziché verso il subentro nel contratto, quando l’annullamento dell’aggiudicazione non comporta la riedizio-ne della gara.

Una annotazione a parte merita ancora il quinto co. dell’art. 121 del Codice, che sem-bra porre una deroga all’automatismo dell’inefficacia del contratto a seguito della caducazione dell’aggiudicazione.

In due dei casi previsti dal primo comma (a. quando la gara non abbia avuto la dovuta pubblicità; b. quando la gara abbia seguito una procedura meno competitiva, senza i do-vuti avvisi e fuori dai casi previsti), infatti, la inefficacia del contratto non trova applicazio-ne se la P.A. abbia posto in essere la seguente procedura: a) adottato prima dell’avvio della procedura un atto motivato con cui dimostri di non essere tenuta alla procedura di eviden-za pubblica; b) reso noto questo suo orienta-mento con le stesse procedure che avrebbe avuto il bando, cioè con un avviso volontario ai sensi dell’art. 79 bis del D.lgs. 163/2006; c) atteso dieci giorni decorrenti dal giorno suc-cessivo alla pubblicazione dell’avviso di cui alla lettera precedente prima di concludere il contratto.

L’art. 122 del Codice del processo ammi-nistrativo pone infine una norma di chiusura: “Fuori dai casi indicati nell’art. 121 e nell’art. 123, co. 3, il giudice che annulla l’aggiudicazione definitiva stabilisce se di-chiarare inefficace il contratto, fissandone la decorrenza, tenendo conto, in particolare, degli interessi delle parti, dell’effettiva possi-

25 Cfr. M. FRACANZANI, Annullamento dell’aggiudicazione e sorte del contratto nel nuovo processo amministrativo: dall’onere di impugnazione alla pronuncia di inefficacia, in www. giustizia-amministrativa.it.

bilità per il ricorrente di conseguire l’aggiudicazione alla luce dei vizi riscontrati, dello stato di esecuzione del contratto e della possibilità di subentrare nel contratto, nei ca-si in cui il vizio dell’aggiudicazione non com-porti l’obbligo di rinnovare la gara e la rela-tiva domanda si stata proposta”.

Due sono gli aspetti singolari della richia-mata disposizione: la facoltà del giudice di dichiarare l’inefficacia del contratto, fissan-done la decorrenza ed i criteri di valutazione su cui fondare la decisione, imperniati sugli effetti caducatori della pronuncia.

L’inefficacia del contratto non sembra nemmeno dover essere eccepita dal ricorren-te26, giacché la domanda di subentro nel con-tratto è solo uno degli elementi che il giudice terrà in considerazione per decidere sull’an, sul quantum e sul quando dell’inefficacia.

10. Le prime applicazioni dei giudici

amministrativi. E’ stato per primo il Consiglio di Stato,

con decisione n. 5823 del 18.8.2010, a dare applicazione al Codice del processo ammini-strativo27.

Con la suddetta pronuncia, infatti, l’alto Consesso, in conformità alla novella normati-va, ha annullato l’aggiudicazione definitiva, dichiarato inefficace il contratto disponendo-ne la decorrenza, riconosciuto il diritto al ri-sarcimento del danno per il mancato svolgi-mento dell’appalto (danno da lucro cessante), disposto l’aggiudicazione in favore del ricor-rente (in presenza di oggettivi presupposti in capo allo stesso per la continuazione del ser-vizio) e, in relazione allo stato non avanzato di esecuzione del contratto, il subentro28 nello 26 Sul punto l’orientamento dottrinario è controverso. Si vedano, a titolo esemplificativo, G. GRECO, Illegittimo affidamento dell’appalto, sorte del contratto e sanzioni alternative nel d.lgs. 53/2010… op. loc. cit. , nonché A. CACCIARI, Prime riflessioni sull’inefficacia del contratto a norma del D.Lgs. 20.3.2010, n. 53 in Giustamm.it. 27 M. NUNZIATA, I nuovi poteri del giudice amministrativo in tema di annullamento dell’aggiudicazione e sorte del contratto. 28Il subentro nel contratto di appalto, concretando una successione a titolo particolare nel rapporto negozia-le, opera in relazione alle condizioni del contratto ori-ginario dichiarato inefficace (CdS, Sez. V, 5.11.2012, n. 5591).

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Gazzetta Amministrativa -35- Numero 1- 2016

stesso. Di notevole rilievo è il punto 7.1 della de-

cisone “(…) dai vizi che hanno determinato l’annullamento dell’aggiudicazione, e che non comportano il rinnovo della gara, deriva che l’appellante ha titolo ed effettiva possibi-lità, sotto le condizioni di legge, di consegui-re l’aggiudicazione (…)”.

Dall’inciso, pare desumersi che sia proprio la necessità di rinnovare la gara a fare da di-scrimen tra la conservazione del contratto e la dichiarazione della sua inefficacia.

L’intuizione è stata recentemente confer-mata dagli stessi giudici di Palazzo Spada che, con sentenza n. 6638 del 19.12.2011, hanno accolto la domanda della ricorrente, volta ad ottenere l’aggiudicazione definitiva dell’appalto ed il subentro nel relativo con-tratto, in considerazione del fatto che: “ …il vizio dell’aggiudicazione non comporta l’obbligo per la stazione appaltante di rinno-vare la gara ma la scorrimento della gradua-toria, nella quale la ricorrente si è classifica-ta seconda… ”.

La menzionata decisione è interessante an-che perché pone in risalto, risolvendola nel senso di estendere il potere di cognizione del giudice dell’ottemperanza, la questione se l’inefficacia del contratto, quale condizione logica, necessaria ed imprescindibile per con-seguire il subentro nel contratto d’appalto (sub specie di risarcimento in forma specifica legittimamente perseguibile in sede di ottem-peranza) possa essere dichiarata, su domanda dell’interessato, dal giudice dell’esecuzione in sede di individuazione delle misure di at-tuazione del giudicato ritenute più opportune per la soddisfazione dell’interesse del ricor-rente che abbia proposto domanda di tutela in forma specifica.

Al riguardo, il Consiglio di Stato si è e-spresso nel senso che segue: “ …una volta che il legislatore stesso ha espressamente at-tribuito al giudice dell’ottemperanza anche la cognizione della pretesa a conseguire l’aggiudicazione dell’appalto in termini di risarcimento in forma specifica, non [può] dubitarsi che la cognizione dello stesso si e-stenda in tal caso anche all’accertamento co-

stitutivo della relativa condizione, data dall’inefficacia del contratto a séguito dell’annullamento dell’aggiudicazione, di-sposto nella precedente fase di cognizione; tanto perché la richiesta di tutela risarcitoria in forma specifica si esplica e realizza appun-to con la domanda di caducazione del con-tratto d’appalto concluso in attuazione della gara svoltasi con procedura illegittima (Cass., n. 2906/2010 ). Invero, nella materia di cui si tratta, il giudizio amministrativo di ottemperanza mira, con l’individuazione delle misure attuative del giudicato, alla reintegra effettiva del bene della vita in concreto pro-tetto dagli interessi legittimi riconosciuti co-me lesi nella sentenza di cognizione, che ha pronunciato sulla domanda di annullamento dell’affidamento dell’appalto; ed attiene ap-punto a tale reintegra la domanda del con-corrente, pretermesso dal contratto illecita-mente, di essere reintegrato nella sua posi-zione, con la privazione di effetti del contrat-to eventualmente stipulato tra l’Ammi-nistrazione aggiudicatrice con il concorrente alla gara scelto in modo illegittimo. Del re-sto, il giudizio di ottemperanza si caratterizza ( anche ) per essere giurisdizione di mérito ( v. art. 134, co. 1, lett. a), c.p.a. ), alla quale dunque ben possono essere ricondotti gli in-cisivi poteri attribuiti al Giudice dall’art. 122 c.p.a. in ordine alla valutazione, all’op-portunità ed alla convenienza di mantenere l’efficacia del contratto ovvero di porla nel nulla, eventualmente anche con effetto retro-attivo… ” .

Fermo restando l'arresto giurisprudenziale su tale posizione, si evince chiaramente dalle sentenze sopra menzionate come sino ad ora, salvo qualche pronuncia isolata, la determi-nazione in ordine alla sorte del rapporto ne-goziale sia stata rimandata in sede di giudizio di merito. Si tratta, infatti, di un apprezza-mento particolarmente delicato in quanto coinvolge diversi interessi, di natura sia pub-blica che privata, e può avere ad oggetto: le esigenze imperative connesse a un interesse di carattere generale, i meccanismi alternativi a tutela della concorrenza nel caso delle vio-lazioni previste dall’art. 121, co. 1, lett. a) e b), c.p.a., l’influenza di una violazione del cd. termine di standstill procedimentale e proces-

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suale sulle possibilità del ricorrente di ottene-re l’affidamento, l’entità del vizio riscontrato, lo stato di esecuzione del contratto, gli inte-ressi della pubblica amministrazione e del privato, l’effettiva possibilità per il ricorrente di conseguire l’aggiudicazione e di subentrare nel rapporto. Ci si è chiesti, pertanto, se la grande ampiezza del potere valutativo richie-sto al giudice ai fini di una pronuncia sull’inefficacia del contratto, da alcuni persi-no ritenuto riconducibile a un potere di meri-to29, sia compatibile con la cognizione som-maria propria della fase cautelare. Infatti, una volta venuta meno la ricostruzione del rap-porto tra l’annullamento dell’aggiudicazione e la sorte del contratto in termini di caduca-zione automatica, l’esito dell’assetto di inte-ressi stabilito nel regolamento negoziale è ri-messo alla valutazione del giudice ammini-strativo, in sede di giurisdizione esclusiva30.

Un’interpretazione letterale delle norme del codice – sia dell’art. 121, co. 1, secondo cui “il giudice che annulla l’aggiudicazione definitiva dichiara l’inefficacia del contratto” sia dell’art. 122, secondo cui “il giudice che annulla l’aggiudicazione definitiva stabilisce se dichiarare inefficace il contratto” – po-trebbe far ritenere che la cognizione del giu-dice amministrativo in merito alla sorte del contratto richieda necessariamente un previo intervento, avente contenuto demolitorio dell’aggiudicazione, da effettuare nell’ambito del compiuto approfondimento tipico della fase di merito.

L’avvenuta conclusione del contratto nelle more della proposizione del ricorso giurisdi-zionale ha tradizionalmente rappresentato un forte ostacolo alla concessione della tutela

29 Come è stato evidenziato da alcuni dei primi commentatori, l’esercizio di questo ampio potere di valutazione potrebbe comportare, in alcuni casi, quasi una sostituzione del giudice all’amministrazione: cfr. E. STICCHI DAMIANI, Annullamento dell’aggiudicazione e inefficacia funzionale del contratto … cit. 30 In caso di annullamento giudiziale dell’aggiudicazione di una pubblica gara, spetta al giu-dice amministrativo il potere di decidere discrezional-mente, anche nei casi di violazioni gravi, se mantenere o meno l’efficacia del contratto nel frattempo stipulato (CdS, Sez. V, 5.11.2012, n. 5591, TAR Friuli Venezia Giulia, Sez. I, 29.11.2013, n. 616).

cautelare31. Successivamente, eccetto che per le con-

troversie relative alla cd. infrastrutture strate-giche – in relazione alle quali si è espressa-mente previsto che la sospensione o l’annullamento dell’affidamento non compor-ta la caducazione del contratto già stipulato – tale orientamento è stato oggetto di un signi-ficativo ripensamento anche se, nella preva-lenza dei casi, la pronuncia dell’autorità giu-diziaria è circoscritta alla sospensione degli effetti del provvedimento di aggiudicazione oppure al generico accoglimento dell’istanza cautelare annessa al ricorso, rimettendo alla fase di amministrazione attiva la determina-zione in merito alla sorte del rapporto nego-ziale sino alla pronuncia di merito32.

A fronte della iniziale timidezza del giudi-ce amministrativo a intervenire direttamente sul contratto sin dalla fase della sospensiva33, nell’ultimo periodo sono state adottate deci-sioni cautelari con cui, anche in sede mono-cratica34, il giudice si pronuncia sugli effetti del contratto, disponendone espressamente la sospensione.

La disciplina sovranazionale non offre in-dicazioni particolari in merito, rimettendo la conformazione dei rimedi giurisdizionali alla scelta degli Stati membri, se pur con il faro del principio di effettività della tutela.

Nel nostro ordinamento, il potere del giu-dice amministrativo di sospendere il contratto ha trovato il proprio fondamento essenzial-mente nell’argomento della atipicità del ri- 31 In quest’ottica, infatti, la misura cautelare è conside-rata lo strumento più opportuno proprio per inibire all’amministrazione la stipula del contratto: «appaiono sussistere profili di gravità e urgenza tali da giustifica-re l’accoglimento dell’appello cautelare, atteso che è stata disposta l’aggiudicazione definitiva della gara de qua ma non risulta ancora stipulato il relativo contrat-to» (cfr., ex plurimis, CdS, Sez. V, ord. 30.11.2011, n. 5207). 32 Per un esempio di tale ultima ipotesi, tra le più recenti, si vedano: CdS, Sez. IV, ord. 8.5.2013, n. 1680; Id., Sez. VI, ord. 20.12.2010, n. 5815. 33 Fra le prime ordinanze cautelari con cui il giudice amministrativo si è pronunciato anche sugli effetti del contratto, sospendendoli, si veda: Cons. Stato, Sez. V, ord. 24.10.2011, n. 4677, pronunciata in sede di giudi-zio di ottemperanza; TAR Lombardia, Sez. I, 14.10.2010, n. 1097. 34 Da ultimo, ad esempio, CdS, Sez. IV, decreto 2.5.2013, n. 1590.

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medio cautelare, intesa quale corollario del principio fondamentale dell’effettività della tutela, nonché sul dato positivo di cui all’art. 125, co. 3, c.p.a. ai sensi del quale, al di fuori dei casi contemplati dagli art. 121 e 123 c.p.a., la sospensione o l’annullamento dell’affidamento non comporta la caducazio-ne del contratto già stipulato35.

Come noto, il codice del processo ha codi-ficato il progressivo ampliamento dei poteri riconosciuti al giudice nella fase cautelare che può disporre, ex art. 55 c.p.a., le misure “più idonee ad assicurare interinalmente gli effetti della decisione sul ricorso”; ciò del resto, conformemente all’estensione dello spettro dei poteri decisori riconosciuti al giudice dal-le norme del codice, siccome interpretate e sviluppate dalla giurisprudenza.

Di conseguenza, una pronuncia cautelare che, ravvisando profili di illegittimità dell’aggiudicazione di un affidamento, so-spenda anche gli effetti del contratto che sulla base di essa è stato stipulato consente di con-servare lo status quo sino alla decisione di merito che, laddove confermasse il contenuto dell’ordinanza, potrebbe disporre il subentro del ricorrente nel rapporto negoziale cui, co-me si è rilevato, la dichiarazione di ineffica-cia è funzionale. In questi termini, la misura cautelare si confermerebbe nella sua tipica in-terinalità e strumentalità rispetto alla pronun-cia di merito. Sul punto, va senz’altro men-zionata la posizione di parte della dottrina che, riconoscendo una grandissima ampiezza al potere cautelare in questa materia, ha af-

35 Il potere di statuire in merito all’efficacia del con-tratto è esercitabile dal giudice amministrativo anche in sede cautelare, deponendo in tal senso sia l’atipicità del contenuto delle misure cautelari di cui all’art. 55, c. 1, del codice del processo amministrativo sia la na-turale finalizzazione della misura cautelare ad antici-pare in via interinale l’adozione delle misure adottabi-li con la decisione definitiva. A sostegno dell’assunto depone anche il disposto dell’art. 125, c. 4, del codice del processo amministrativo, che, nell’assunto della generale idoneità della misura della sospensione dell’aggiudicazione a riverberarsi sul dispiegarsi degli effetti del contratto nelle more stipulato, stabilisce, in via di eccezione, che, solo con riguardo alle contro-versie relative alle infrastrutture strategiche, la so-spensione dell’aggiudicazione non comporta la cadu-cazione del contratto già stipulato (CdS, sez. V, ord. 24.11.2011, n. 4677).

fermato che il giudice possa, in presenza di un consistente fumus boni iuris, anche asse-gnare in via provvisoria al ricorrente l’aggiudicazione e il contratto, sospendendo l’efficacia di quello sottoscritto, sulla base del presupposto che i contenuti decisori dei poteri cautelari, strumentali rispetto a quelli di meri-to, possono produrre, salva la loro provviso-rietà, gli stessi effetti delle sentenze36.

La sospensione degli effetti del contratto, tendendo a garantire un subentro remunerati-vo nell’esecuzione, soddisferebbe non solo l’interesse del ricorrente a ottenere una tutela piena ed effettiva della posizione lesa37, ma anche l’interesse pubblico generale all’attuazione della libera concorrenza nel mercato dei contratti pubblici cui le nuove norme dettate in sede sovranazionale sono preordinate.

La funzionalizzazione della declaratoria di inefficacia alla pronuncia di subentro assume rilevanza sotto un altro duplice profilo.

In primo luogo, anche in sede cautelare, l’apprezzamento giudiziale relativo all’in-cidenza della sospensione dell’aggiudicazione sull’efficacia della statuizione contrattuale deve essere condotto sulla base dei parametri di cui agli artt. 121 e 122 c.p.a.38: in caso con-trario, ne risulterebbe compromesso lo stesso principio di effettività della tutela, sotto il profilo di un’asimmetria del criterio di giudi-zio tra la fase cautelare e quella di merito.

In secondo luogo, non potrà disporsi la so-spensione del contratto, e forse neanche del provvedimento di aggiudicazione se il con-tratto è già stato concluso, nel caso in cui, es-sendo state azionate censure demolitorie nei

36 E. FOLLIERI, I poteri del giudice amministrativo nel d.lgs 20.3.2010 n.53 e negli artt. 120-124 del codice del processo amministrativo… cit. 37Sul punto, è interessante richiamare la recente Cons. Stato, Sez. V, 18.2.2013, n. 966, secondo cui la reintegrazione in forma specifica rappresenta l’obiettivo tendenzialmente primario da perseguire e il risarcimento per equivalente costituisce invece una misura residuale, di norma subordinata all’impossibilità parziale o totale di giungere alla correzione del potere amministrativo, come dimostra, d’altra parte, proprio la vicenda giurisprudenziale e normativa relativa alla dichiarazione di inefficacia del contratto d’appalto. 38 Il principio è stato affermato anche da Cons. Stato, Sez. V, ord. 24.10.2011, n. 4677.

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confronti della gara, la posizione del ricorren-te possa essere tutelata unicamente mediante la riedizione del procedimento concorsuale. In questo caso, infatti, la concessione della tutela cautelare accorderebbe un’utilità mag-giore di quella che potrebbe derivare dalla sentenza di merito.

In un’ottica di certezza del diritto e di con-tenimento della responsabilità della stazione appaltante, va senz’altro accolta con favore una pronuncia cautelare del giudice che, a fronte della stipula del contratto, non si limiti a sancire l’illegittimità dei provvedimenti del-la procedura, ma statuisca espressamente sul-la sorte dell’assetto di interessi risultante dal contratto. In assenza di tale pronuncia, po-trebbe verificarsi una situazione di incertezza in ordine alla concreta portata conformativa della decisione soprattutto in quei casi in cui il giudice ritenga tutelabile il pregiudizio del ricorrente unicamente attraverso la sollecita fissazione dell’udienza di merito senza di-sporre specifiche misure cautelari39.

In siffatte ipotesi, infatti, un’autonoma de-cisione della pubblica amministrazione in or-dine al successivo corso del contratto, oltre a porsi in un problematico rapporto con gli artt. 158 e 159, D.P.R. n. 207/2010 (cd. Regola-mento di attuazione del Codice dei contratti) che individuano alcune tassative ipotesi di so-spensione, esporrebbe la Stazione appaltante a un duplice rischio di azioni risarcitorie: nel caso di sospensione del contratto, da parte dell’originaria aggiudicataria in ragione dell’ingiustificata immobilizzazione di mezzi e risorse, nell’ipotesi di esito ad essa favore-vole del giudizio di merito; nel caso di omes-sa sospensione, da parte della ricorrente in ragione del mancato utile derivante dall'o-messo svolgimento di parte delle prestazioni contrattuali40.

Il potere del giudice amministrativo di so-

39 Il riferimento è, ovviamente, alle previsioni di cui all’art. 55, co. 10, e all’art. 119, co. 3, c.p.a. in cui il giudice supera ogni esigenza di cautela attraverso l’anticipazione e l’accelerazione del successivo corso del giudizio. 40 Sul punto, CdS, Sez. V, 7.7.2011, n. 4089, secondo cui l’annullamento della gara e la declaratoria di inef-ficacia del contratto può comportare il recupero delle somme versate all’aggiudicatario illegittimo. In tal senso, anche Cass., sez. un., 8.8.2012, n. 14260.

spendere il contratto costituisce, quindi, un grande passo in avanti nell’ambito dell’evoluzione ordinamentale nel campo dei contratti pubblici e, più in generale, del diritto amministrativo, essendo volto ad assicurare, per un verso, l’attuazione del principio di li-bera concorrenza tra operatori economici e, per altro, una tutela piena ed effettiva delle situazioni giuridiche degli amministrati.

Del resto, l’esperienza empirica conferma che, anche in sede cautelare, non è sempre possibile garantire l’effettività della tutela o-ve, nelle more del giudizio, la stazione appal-tante stipuli comunque il contratto, vanifican-do così le aspettative del ricorrente vittorioso di conseguire il contratto stesso.

Tuttavia, nonostante le grandi potenzialità del rimedio in commento, potrebbero residua-re alcune perplessità in merito alla sua com-patibilità con la tradizionale connotazione bi-fasica della vicenda contrattuale della p.a., con le esigenze di intangibilità del negozio e con la necessità di assicurare una sollecita e-secuzione delle prestazioni.

Per poter disporre la sospensione cautelare del contratto, dopo aver vagliato positivamen-te la sussistenza del fumus boni iuris, il giudi-ce dovrà compiere una complessa attività va-lutativa in merito alla ricorrenza del pregiudi-zio grave e irreparabile, ponderando l’interesse del ricorrente al subentro, tutelato prioritariamente dalla norma in quanto sotteso al perseguimento dell’interesse generale alla concorrenza, con quello alla sollecita esecu-zione dell’appalto e, nel caso in cui quest’ultimo risulti recessivo, potrà darsi luo-go alla sospensione degli effetti del contratto.

In altri termini, pur nell’approfondimento sommario proprio della fase cautelare, do-vranno essere attentamente valutati tutti i molteplici interessi coinvolti, quale quello ad assicurare la libera concorrenza nel mercato dei contratti pubblici, quello dei partecipanti alla gara a una tutela giurisdizionale piena ed effettiva, e quello della collettività alla solle-cita esecuzione del contratto e a una sana e corretta gestione del denaro pubblico, oltre che quello della singola amministrazione al mantenimento del contratto.

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11. Conclusioni41. Prima della novella del D.lgs. 53/2010, poi

recepita nel Codice del processo amministra-tivo, pur nel variare degli orientamenti dottri-nari e delle relative argomentazioni sul carat-tere dell’invalidità che si poteva configurare, vi era sempre l’idea, unitaria, per cui l’invalidità della fase amministrativa deter-minasse una menomazione del contratto.

Ora, invece, la struttura dell’inefficacia concepita nel nuovo Codice lascia intravedere una vera e propria frattura fra validità della procedura di gara e validità del contratto; ciò in quanto la fase amministrativa non incide più sempre sul momento genetico del contrat-to.

Secondo una ricostruzione, nel nuovo or-dinamento del Codice, la inefficacia del con-tratto sarebbe concepita come sanzione, pe-raltro alternativa, che il giudice amministrati-vo può comminare in caso di violazione delle norme sulla concorrenza.

Concorrerebbero ad avallare detta opzione ermeneutica sia il dato testuale - “Nei casi in cui, nonostante le violazioni, il contratto sia considerato efficace o l’inefficacia sia tempo-ralmente limitata, si applicano le sanzioni al-ternative di cui all’art. 123” (art. 121, co. 4 del Codice), sia la disciplina sistematica – giacché le sanzioni sono alternative, i criteri

41 Per completezza di trattazione, si fa presente che è attualmente all’esame della Camera la “Delega al Governo per l'attuazione delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26.2.2014, sull'aggiudicazione dei contratti di concessione, sugli appalti pubblici e sulle procedure d'appalto degli enti erogatori nei settori dell'acqua, dell'energia, dei trasporti e dei servizi postali, nonché per il riordino della disciplina vigente in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture” (A.C. n. 3194). Il testo normativo, benché non apporti alcuna modifica all’art. 44 della L. n. 88/2009 che reca, invece, “Delega al Governo per l’attuazione della direttiva 2007/66/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11.12.2007, che modifica le direttive 89/665/CEE e 92/13/CEE del Consiglio per quanto riguarda il miglioramento dell’efficacia delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici”, all’art. 1, lettera pp) prevede la: “razionalizzazione dei metodi di risoluzione delle controversie alternativi al rimedio giurisdizionale, anche in materia di esecuzione del contratto, limitando il ricorso alle procedure arbitrali, ma riducendone il costo”.

per la determinazione della sanzione dell’inefficacia richiamano quelli previsti per l’irrogazione della pena, non vi è automati-smo tra caducazione dell’aggiudicazione e i-nefficacia del contratto, la sanzione pecunia-ria può essere comminata alternativamente o cumulativamente all’inefficacia del contratto.

Pertanto, secondo l’orientamento richia-mato, il d.lgs. n. 104/2010 non avrebbe inteso devolvere al giudice amministrativo la cogni-zione sul contratto (ampliando così le materie di giurisdizione esclusiva), quanto piuttosto fornire allo stesso un ulteriore strumento san-zionatorio (l’inefficacia), discrezionalmente applicabile nell’an e nel quantum.

Questo va a discapito dell’effettività di tu-tela del concorrente che, anziché contare sulla possibilità d’invalidare il contratto da parte del giudice ordinario, dovrebbe sperare nell’uso del potere del giudice amministrati-vo, chiamato a sanzionare la violazione delle regole di evidenza pubblica.

Vi anche un diverso indirizzo dottrinale42. Secondo esso, con il Codice del processo il giudice amministrativo avrebbe acquisito nuovi e più incisivi poteri rispetto a quelli propri della giurisdizione esclusiva, potendo “decidere” in ordine all’assetto degli interessi stabilito dalle parti (cioè agli effetti del con-tratto).

In particolare, il Giudice amministrativo può valutare l’opportunità e la convenienza di mantenere l’efficacia del contratto, ovvero di porla nel nulla, eventualmente anche con ef-fetto retroattivo.

42 Cfr. E. Follieri, I poteri del giudice amministrativo … cit..

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Le nuove competenze del giudice ammini-

strativo, tuttavia, per quanto più penetranti, per una precisa scelta legislativa che trova fondamento giuridico nell’art. 133, lett. e del d.lgs. n. 104/2010, non sono state estese al merito43.

Il rilievo, tuttavia, non ha convinto chi, in dottrina44, continua a sostenere che si sarebbe al cospetto di un’ipotesi innominata di giuri-sdizione di merito, qualificazione ritenuta conciliabile con la scelta “pan-proces-sualista” o “giudice-centrica” fatta dal legi-slatore del 2010, preoccupato più di assicura-re una tutela processuale effettiva e rapida al ricorrente, che non di disciplinare puntual-mente il regime sostanziale da applicare all’ inefficacia del contratto.

Nella disputa sopra delineata si inserisce una recentissima sentenza del TAR Piemon-te45 che, mettendo in luce il collegamento funzionale tra la procedura di aggiudicazione ed il contratto addiviene alla conclusione - già peraltro sostenuta da un precedente orienta-mento giurisprudenziale46 - secondo cui l’annullamento dell’aggiudicazione, che ha effetto retroattivo, agisce in realtà sulla causa del contratto facendola venir meno. “Quest’ultima rappresenta, in definitiva, la causa esterna del contratto e proprio tale

43 La legge delega n. 88/’09 (di recepimento della Direttiva 2007/66/CEE) prevedeva “la giurisdizione esclusiva e di merito” del giudice amministrativo anche sulle sorti del contratto. Il legislatore delegato, in conformità al parere del Consiglio di Stato n. 1/’10, non ha esercitato la delega nella parte in cui essa prevedeva la giurisdizione di merito. 44 M. LIPARI, Il recepimento della “direttiva ricorsi”: il nuovo processo super-accelerato in materia di appalti e l’inefficacia “flessibile del contratto, in Giustamm.it. 45 TAR Piemonte, Sez. II, 24.11.2014, n. 1906 46, I Giudici torinesi prendono spunto dal consolidato orientamento giurisprudenziale in base al quale: “..in virtù della stretta consequenzialità tra l’aggiudicazione della gara pubblica e la stipula del relativo contratto, l’annullamento giurisdizionale ovvero l’annullamento a seguito di autotutela della procedura amministrativa comporta la caducazione automatica degli effetti negoziali del contratto successivamente stipulato, stante la preordinazione funzionale tra tali atti” (cfr., ex plurimis, CdS, sez. VI, n. 6374 del 12.12.2012 e sez. II, n. 2802 del 23.5.2013.

constatazione spiega perché l’aggiudicazione ed il contratto ‘simul stabunt simul cadunt’: l’annullamento della aggiudicazione deter-mina, ipso facto, la nullità del contratto per mancanza di causa, essendo irrilevante, a tali fini, il fatto che l’annullamento della aggiudi-cazione intervenga in via giurisdizionale o a seguito di autotutela”.

Il fatto poi che il contratto stipulato sulla base di una aggiudicazione annullata possa esplicare effetti (il d.lgs. n. 53/2010 si espri-me, appunto, in termini di effica-cia/inefficacia), quantomeno fintantoché non intervenga il giudice ad accertare il contrario, non costituisce (secondo i Giudici piemonte-si) un elemento indicativo di una patologia del contratto diversa dalla nullità, posto che nell’attuale sistema normativo è ben possibile rinvenire fattispecie di contratti dichiarata-mente nulli ai quali, tuttavia, vengono annessi determinati effetti (tali, ad esempio, la dona-zione nulla, il contratto di lavoro nullo, le nullità cd. di protezione).

Secondo l’ordinanza all’esame, quindi, il d.lgs. n. 53/2010, in linea di continuità con i principi desumibili dall’ordinamento giuridi-co precedente, sottenderebbe la nullità quale patologia che colpisce il contratto stipulato sulla base di una aggiudicazione annullata. Il punto di innovazione starebbe nel trattamento giuridico sostanziale che il legislatore avreb-be inteso riservare a tale nullità, evidentemen-te sulla constatazione che privare il contratto degli effetti ex tunc sempre ed in ogni situa-zione può rilevarsi inopportuno: “occorre in-nanzitutto non annettere conseguenze auto-matiche all’annullamento dell’aggiudica-zione; poi accettare la possibilità di recupe-rare, in tutto o in parte, il contratto nullo; quindi affidare la decisione relativa alla sorte del contratto ad un terzo imparziale, e cioè il giudice al quale è stato sollecitato il controllo sugli atti della gara”.

In questa prospettiva, l’eventuale decisione del giudice di mantenere fermi gli effetti del contratto, per un tempo o per tutta la durata inizialmente prevista, diventa il mezzo me-diante il quale si attua una operazione di “salvataggio” del contratto nullo, “salvatag-gio” che prima dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 53/2010 giammai avrebbe potuto a-

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Sezione riservata ai Saggi ed ai Contributi Scientifici

Gazzetta Amministrativa -41- Numero 1- 2016

ver luogo. La pronuncia giudiziale con cui viene di-

chiarata l’efficacia parziale o totale del con-tratto, ai sensi degli artt. 121 e 122 c.p.a., po-

trebbe quindi essere riguardata come uno di quei casi particolari, cui rinvia l’art. 1423 c.c., nei quali è ammessa la convalida del contratto nullo.

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procedimento amministrativo - riforme istituzionali

Gazzetta Amministrativa -42- Numero 1- 2016

PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO E RIFORME ISTITUZIONALI

NOTIZIE E AGGIORNAMENTI OMICIDIO STRADALE: IN GAZZETTA UFFICIALE LA LEGGE N. 41/2016 È stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 70 del 24.3.2016 la l. 23.3.2016, n. 41 recan-te "Introduzione del reato di omicidio strada-le e del reato di lesioni personali stradali, nonche' disposizioni di coordinamento al d. lgs. 30.4.1992, n. 285, e al d.lgs. 28.8.2000, n. 274". (legge 23.3.2016 n. 41 pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 70 del 24.3.2016).

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PROCESSO AMMINISTRATIVO TELE-MATICO: IN GAZZETTA UFFICIALE LE REGOLE TECNICO-OPERATIVE Entra in vigore il 5.4.2016 il Regolamento recante le regole tecnico-operative per l'at-tuazione del processo amministrativo telema-tico contenuto nel decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 16.2.2016, n. 40. Il provvedimento è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, Serie Generale n.67 del 21.3.2016. (d.P.C.M. pubblicato sulla Gaz-zetta Ufficiale n. 67 del 21.3.2016).

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CONSIGLI REGIONALI: IN GAZZET-TA UFFICIALE LA LEGGE N. 20/2016 SULLL'EQUILIBRIO NELLA RAPPRE-SENTANZA TRA DONNE E UOMINI Entra in vigore la legge 15.2.2016 n. 20 -

pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 46 del 25.2.2016 - sulla "Modifica all'art. 4 della l. 2.7.2004, n. 165, recante disposizioni volte a garantire l'equilibrio nella rappresentanza tra donne e uomini nei consigli regionali". (L. 15.2.2016 n. 20 in G.U. n. 46 del 25.2.2016).

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ANAC: PER GLI ADEMPIMENTI SU-GLI OBBLIGHI DI PUBBLICAZIONE LA SCADENZA VA AL 1 FEBBRAIO L'ANAC ha pubblicato la delibera n. 39 del 20.1.2016 con cui si forniscono indicazioni alle Amministrazioni pubbliche sull’assol-vimento degli obblighi di pubblicazione e tra-smissione dei dati in formato aperto, ai sensi dell’art. 1 co. 32 l. 190/2012. Resta invariata la modalità di comunicazione via PEC dell’avvenuta pubblicazione dei dati entro il 31 gennaio di ogni anno. Quest’anno, poiché il 31 gennaio cade di domenica, la scadenza è da intendersi 1 febbraio. (delibera Anac n. 39 del 20.1.2016).

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SCIOGLIMENTO DEL CONSIGLIO CO-MUNALE PER INFILTRAZIONE MA-FIOSA: NESSUNA REALTÀ LOCALE DEVE SCONTARE LA MERA APPAR-TENENZA A UN PIÙ VASTO TER-RITORIO RITENUTO INTERESSATO DALLA PRESENZA DI FENOMENI

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procedimento amministrativo - riforme istituzionali

Gazzetta Amministrativa -43- Numero 1- 2016

CRIMINALI RADICATI E ORGA-NIZZATI NEL TERRITORIO L’art. 143 del d. lgs. 18.8.2000 n. 267 (Testo unico degli Enti locali), disciplina lo “scio-glimento dei consigli comunali e provinciali conseguente a fenomeni di infiltrazione e di condizionamento di tipo mafioso o similare. Responsabilità dei dirigenti e dipendenti”. In particolare, per quel che interessa nella pre-sente sede, esso dispone: “1. Fuori dai casi previsti dall'art. 141, i consigli comunali e provinciali sono sciolti quando, anche a se-guito di accertamenti effettuati a norma dell'art. 59, co. 7, emergono concreti, univoci e rilevanti elementi su collegamenti diretti o indiretti con la criminalità organizzata di tipo mafioso o similare degli amministratori di cui all'art. 77, co. 2, ovvero su forme di condi-zionamento degli stessi, tali da determinare un'alterazione del procedimento di formazio-ne della volontà degli organi elettivi ed am-ministrativi e da compromettere il buon an-damento o l'imparzialità delle amministra-zioni comunali e provinciali, nonché il rego-lare funzionamento dei servizi ad esse affida-ti, ovvero che risultino tali da arrecare grave e perdurante pregiudizio per lo stato della si-curezza pubblica. 2. Al fine di verificare la sussistenza degli elementi di cui al co. 1 an-che con riferimento al segretario comunale o provinciale, al direttore generale, ai dirigenti ed ai dipendenti dell'ente locale, il prefetto competente per territorio dispone ogni oppor-tuno accertamento, di norma promuovendo l'accesso presso l'ente interessato. In tal caso, il prefetto nomina una commissione d'indagi-ne (. . .) 3. Entro il termine di quarantacinque giorni dal deposito delle conclusioni della commissione d'indagine, ovvero quando ab-bia comunque diversamente acquisito gli e-lementi di cui al co. 1 ovvero in ordine alla sussistenza di forme di condizionamento degli organi amministrativi ed elettivi, il prefetto, sentito il comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica integrato con la parte-cipazione del procuratore della Repubblica competente per territorio, invia al Ministro dell'interno una relazione nella quale si dà conto della eventuale sussistenza degli ele-menti di cui al co. 1 anche con riferimento al segretario comunale o provinciale, al diretto-

re generale, ai dirigenti e ai dipendenti dell'ente locale. Nella relazione sono, altresì, indicati gli appalti, i contratti e i servizi inte-ressati dai fenomeni di compromissione o in-terferenza con la criminalità organizzata o comunque connotati da condizionamenti o da una condotta antigiuridica. Nei casi in cui per i fatti oggetto degli accertamenti di cui al presente articolo o per eventi connessi sia pendente procedimento penale, il prefetto può richiedere preventivamente informazioni al procuratore della Repubblica competente, il quale, in deroga all'art. 329 del codice di procedura penale, comunica tutte le informa-zioni che non ritiene debbano rimanere se-grete per le esigenze del procedimento. 4. Lo scioglimento di cui al co. 1 è disposto con de-creto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell'interno, previa de-liberazione del Consiglio dei ministri entro tre mesi dalla trasmissione della relazione di cui al co. 3, ed è immediatamente trasmesso alle Camere. Nella proposta di scioglimento sono indicati in modo analitico le anomalie riscontrate ed i provvedimenti necessari per rimuovere tempestivamente gli effetti più gra-vi e pregiudizievoli per l'interesse pubblico; la proposta indica, altresì, gli amministratori ritenuti responsabili delle condotte che hanno dato causa allo scioglimento. Lo scioglimento del consiglio comunale o provinciale compor-ta la cessazione dalla carica di consigliere, di sindaco, di presidente della provincia, di componente delle rispettive giunte e di ogni altro incarico comunque connesso alle cari-che ricoperte, anche se diversamente disposto dalle leggi vigenti in materia di ordinamento e funzionamento degli organi predetti. 5. An-che nei casi in cui non sia disposto lo scio-glimento, qualora la relazione prefettizia ri-levi la sussistenza degli elementi di cui al co. 1 con riferimento al segretario comunale o provinciale, al direttore generale, ai dirigenti o ai dipendenti a qualunque titolo dell'ente locale, con decreto del Ministro dell'interno, su proposta del prefetto, è adottato ogni provvedimento utile a far cessare immedia-tamente il pregiudizio in atto e ricondurre al-la normalità la vita amministrativa dell'ente, ivi inclusa la sospensione dall'impiego del dipendente, ovvero la sua destinazione ad al-tro ufficio o altra mansione con obbligo di

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procedimento amministrativo - riforme istituzionali

Gazzetta Amministrativa -44- Numero 1- 2016

avvio del procedimento disciplinare da parte dell'autorità competente . . .” . La giurispru-denza del giudice amministrativo (ampiamen-te richiamata dalla sentenza impugnata, non-chè dalle parti nel presente giudizio di appel-lo) ha avuto modo di indicare sia la natura giuridica della misura dello scioglimento ed i presupposti che la legittimano, sia i termini del sindacato giurisdizionale di legittimità sul provvedimento adottato. In tal senso si è ri-badito (anche di recente, v. Cons. Stato, sez. III, 25.1.2016 n. 256), con considerazioni che il Collegio fa proprie nella presente sede, che: - l' istituto dello scioglimento, nel vigen-te sistema normativo, si configura quale "mi-sura di carattere straordinario" per fronteg-giare "una emergenza straordinaria" (in ter-mini, Corte cost., 19.3.1993 n. 103); - la ratio sottesa alla disposizione è quella di offrire uno strumento di tutela avanzata in partico-lari situazioni ambientali nei confronti del controllo ed ingerenza delle organizzazioni criminali sull'azione amministrativa degli en-ti locali, in presenza anche di situazioni e-stranee all'area propria dell'intervento pena-listico o preventivo. Ciò nell'evidente consa-pevolezza della scarsa percepibilità, in tempi brevi, delle varie concrete forme di connes-sione o di contiguità - e dunque di condizio-namento - fra organizzazioni criminali e sfera pubblica, e della necessità di evitare con im-mediatezza che l'amministrazione dell'ente locale rimanga permeabile all'influenza della criminalità organizzata (CdS, Sez. III, 9.7.2012 n. 3998); - la disposizione di legge riconosce alla P.A. ampi margini sulla valu-tazione degli elementi che possano costituire indice di collegamenti diretti o indiretti fra i vertici dell'Ente e la criminalità organizzata, o forme di condizionamento (CdS, Sez. III, 3.11.2015 n. 5023); - gli elementi sintomatici del condizionamento criminale devono carat-terizzarsi per concretezza (essere cioè assisti-ti da un obiettivo e documentato accertamen-to nella loro realtà storica), per univocità, che sta a significare la loro chiara direzione agli scopi che la misura di rigore è intesa a prevenire e per rilevanza, che si caratterizza per l'idoneità all'effetto di compromettere il regolare svolgimento delle funzioni dell'ente locale (CdS, Sez. III, 19.10.2015 n. 4792); - in particolare, la qualificazione della concre-

tezza, univocità e rilevanza dei fatti accertati, va riferita non atomisticamente e partitamen-te ad ogni singolo elemento, accadimento, circostanza cui l'istruttoria compiuta abbia ricondotto la sussistenza dei presupposti di cui dall' art. 143 del d.lgs. n. 267 del 2000 , ma ad una valutazione complessiva del coa-cervo di elementi acquisiti, che nel loro com-plesso siano riferibili a fatti di cui è stato ac-certato l'accadimento storico (requisito di concretezza); che in base al prudente apprez-zamento dell' Amministrazione esprimano, con adeguato grado di certezza, le situazioni di condizionamento e di ingerenza nella ge-stione dell'ente che la norma ha inteso preve-nire (requisito dell' univocità) e siano pertan-to "rilevanti" agli effetti predetti; - quanto al sindacato giurisdizionale, stante l' ampia sfe-ra di discrezionalità di cui l'Amministrazione dispone in sede di valutazione dei fenomeni connessi all'ordine pubblico ed in particolare alla minaccia rappresentata dal radicamento sul territorio delle organizzazioni mafiose, con ogni effetto sulla graduazione delle misu-re repressive e di prevenzione, il controllo sulla legittimità dei provvedimenti adottati si caratterizza come estrinseco, e cioè nei limiti del vizio di eccesso di potere quanto all'ade-guatezza dell'istruttoria, della ragionevolezza del momento valutativo, della congruità e proporzionalità al fine perseguito. Giova precisare, a completamento dei principi in-terpretativi ora esposti, che gli elementi sin-tomatici del condizionamento criminale de-vono caratterizzarsi non già come meri so-spetti ovvero costituire solo “voci correnti”, ma devono consistere in fatti concreti e, sul piano soggettivo, ricollegarsi direttamente ai soggetti operanti nell’ente locale (in cariche elettive o aventi incarichi gestionali), come individuati dall’art. 143. Gli elementi sinto-matici devono essere tali da sorreggere una valutazione che, pur frutto di un apprezza-mento latamente discrezionale, risulti non il-logica, tale cioè da dimostrare con ragione-volezza: - il collegamento degli amministra-tori con la criminalità organizzata; - ovvero “forme di condizionamento degli stessi”; - laddove, sia i collegamenti – in disparte la loro eventuale rilevanza penale – sia le forme di condizionamento devono essere tali (di ri-lievo/idoneità tale) da “determinare

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procedimento amministrativo - riforme istituzionali

Gazzetta Amministrativa -45- Numero 1- 2016

un’alterazione del procedimento di formazio-ne della volontà degli organi elettivi ed am-ministrativi”, nonché da “compromettere il buon andamento e l’imparzialità” delle am-ministrazioni ed il regolare funzionamento dei servizi; - ovvero “tali da arrecare grave e perdurante pregiudizio per lo stato della si-curezza pubblica”. Il complesso degli ele-menti evidenziati, consistenti - in aderenza al principio di concretezza - in fatti, e non già in sospetti o voci correnti, deve presentarsi tale da essere diretto in modo non equivoco a di-mostrare il collegamento o il condizionamen-to - in ossequio al principio di univocità - de-gli amministratori, ed essere altresì tale - nel-la propria rilevanza – da giungere alle forme di malfunzionamento dell’ente descritto dalla norma e quindi non tollerabile dall’ordina-mento giuridico. Ne consegue che, il pur am-pio potere discrezionale, del quale è titolare l’amministrazione, deve essere esercitato con estremi rigore ed attenzione, non solo per a-dempiere alle indicazioni offerte dalla norma (che costituiscono anche i “confini” entro i quali detto potere discrezionale può e deve esercitarsi), ma in quanto l’esercizio del po-tere di scioglimento incide non solo – come pure è stato affermato in giurisprudenza – sui rapporti tra Stato ed Enti territoriali, quanto e soprattutto sul diritto di elettorato attivo (art. 48 Cost.), rendendo temporaneamente inefficace l’indirizzo politico espresso dal suo

primo depositario, e cioè il corpo elettorale. In sostanza, l’esercizio del potere discrezio-nale di scioglimento, conferito alla ammini-strazione al suo più alto livello (e non a caso coinvolgente a vario titolo organi costituzio-nali), si colloca tra più valori costituzional-mente espressi e garantiti: - quelli dell’ordine e sicurezza pubblica e della libera esplica-zione del diritto di voto (e dei suoi effetti), senza pressioni e condizionamenti da parte delle comunità locali, principi alla cui tutela l’esercizio del potere, sussistendone i presup-posti di legge, è teleologicamente diretto; - quelli della piena ed effettiva esplicazione del diritto di voto, con conseguente tutela della rappresentanza democraticamente eletta da ingerenze esterne, nonché della autonomia degli enti territoriali; valori che, invece, ri-sulterebbero compromessi da un esercizio il-legittimo del suddetto potere di scioglimento. Né, infine, può costituire parametro utile, in difetto di ulteriori elementi, la collocazione territoriale dell’ente locale. Come condivisi-bilmente affermato in sentenza (pag. 20), nes-suna realtà locale deve “scontare in linea di principio ovvero pregiudizialmente la mera appartenenza a un più vasto territorio ritenu-to, sotto il profilo giuridico, ma anche sotto quello storico, pervasivamente interessato dalla presenza di fenomeni criminali radicati e organizzati nel territorio” (Consiglio di Stato, Sezione IV del 3.3.2016 n. 876).

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procedimento amministrativo - riforme istituzionali

Gazzetta Amministrativa -46- Numero 1 - 2016

REDAZIONALI

UN RECENTE ORIENTAMENTO GIURISPRUDENZIALE IN MATERIA DI APPELLO TRIBUTARIO E LA SUA PRO-BLEMATICA CONNESSIONE CON ALCUNI PARAMETRI COSTITUZIONALI

del Dott. Roberto Savarese

L’inammissibilità della produzione, per la prima volta nel processo di appello, delle relate di no-tifica di cartelle esattoriali, stante la preclusione di cui all’art. 58 d.lgs. n. 546/92. The inadmissibility of production , for the first time in the appeal process , the notification relate to tax assessments , given the foreclosure of art. 58 Legislative Decree . N . 546/92 Sommario: 1. Introduzione. 2. Conclusioni.

1.Introduzione. Con una recente decisione, la Sezione Tri-

butaria della Corte di Cassazione1 ha cassato con rinvio una sentenza della Commissione tributaria regionale di Palermo con cui era stata dichiarata inammissibile la produzione, per la prima volta nel processo di appello, delle relate di notifica di cartelle esattoriali, stante la preclusione di cui all’art. 58 d.lgs. n. 546/92, che vieta alle parti la produzione di nuove prove, ferma restando la facoltà di produrre nuovi documenti.

Con la richiamata ordinanza, i giudici della Suprema Corte hanno osservato che “in tema di contenzioso tributario, il d.lgs. 31.12.1992, n. 546, art. 58, fa salva la facoltà delle parti di produrre nuovi documenti anche al di fuori degli stretti limiti consentiti dall'art. 345 cod. proc. civ. - Cass. n. 665/2014; Cass. n. 20109/2012; Cass. n. 18907/2011”.

Inoltre, si è aggiunto che “ in materia di appello nel processo tributario, alla luce del principio di specialità espresso dal d.lgs.

1 Cass. civ. Sez. VI – 5, Ord., 27.10.2015, n. 21909

31.12.1992, n. 546, art. 1, co. 2, - in forza del quale, nel rapporto fra norma processuale civile ordinaria e norma processuale tributa-ria, prevale quest'ultima - non trova applica-zione la preclusione alla produzione docu-mentale di cui all'art. 345 c.p.c. , co. 3, po-tendo le parti provvedervi anche per docu-menti preesistenti al giudizio svoltosi in pri-mo grado”.

Nell’appello tributario, quindi, è possibile produrre (per la prima volta) documenti pree-sistenti alla instaurazione del processo di primo grado, senza che il giudice sia tenuto ad indagare sulle ragioni della pretermissione nel grado precedente.

In aggiunta, l’art. 58, co. 2, d.lgs. n. 546/92, non richiede alla parte la prova libe-ratoria della non imputabilità del ritardo nella produzione.

La decisione fonda su una ‘singolare’ in-terpretazione della disposizione, non certa-mente coerente con l’impianto ‘processual-tributario’ .

Se tra i ‘nuovi documenti’ sono annovera-bili anche i documenti pretermessi, ergo non

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procedimento amministrativo - riforme istituzionali

Gazzetta Amministrativa -47- Numero 1- 2016

‘nuovi’, la fase del gravame finisce per ‘occa-sionare’ strategie non conformi ai più noti principi costituzionali che permeano certa-mente la disciplina processualtributaria.

La parte che detiene il documento, infatti, potrà decidere di ‘tenerlo per sé omettendo di versarlo agli atti del processo di primo grado, al sol fine di privare le altre parti della possi-bilità di proporre ricorso per motivi aggiunti, o per evitare di incorrere nella declaratoria di tardiva produzione, ove mai risultasse decor-so il relativo termine.

Nel caso di specie, giova ricordarlo, si trat-tava di relate di notifica di cartelle di paga-mento che il Concessionario della riscossio-ne, ai sensi dell’art. 26, co. 4, d.P.R. n. 602/1973, è obbligato a conservare per 5 an-ni.

Nessuna ragione, pertanto, ostava alla pro-duzione nel processo di primo grado, trattan-dosi di documento nella disponibilità del Concessionario prima e indipendentemente dall’instaurazione del processo.

Posta in disparte la circostanza che il do-cumento che incarta la relazione di notifica-zione (ossia la conoscenza legale in capo al notificatario), è ‘prova documentale’ e, in quanto tale, assoggettata al divieto di nuove prove ex art. 58 cit., la pronuncia in commen-to costituisce l’occasione per rilevare un già presente profilo di illegittimità costituzionale della disciplina ‘speciale’ sull’appello tributa-rio.

Per un’agevole comprensione, è opportuno richiamare, in estrema sintesi, la disciplina sulla produzione documentale in primo grado, contenuta nel d.lgs. n. 546/92.

Il deposito del ricorso debitamente notifi-cato e la costituzione della controparte costi-tuiscono ‘occasioni non definitive’ per la pro-duzione di documenti.

L’art. 24, d.lgs. n. 546/92, infatti, discipli-na il ricorso per motivi aggiunti conseguente al “tardivo” deposito di documenti non cono-sciuti dalle altre parti costituite, assicurando un pieno contraddittorio ad armi pari.

Tale disciplina, inoltre, appare ossequiosa del principio giusta il quale l’ambito della controversia può essere modificato solo con la presentazione dei motivi aggiunti (Cass. civ. Sez. V, 12.2.2016, 2808).

Un tale bilanciamento difensivo non è pre-visto per il grado di appello.

La specialità della disciplina di cui agli 57 e 58 d.lgs. cit., rispetto all’art. 345 c.p.c., sta nel fatto che nell’appello tributario è ammes-sa la produzione di nuovi documenti, ma non è consentita la possibilità di proporre ecce-zioni in senso stretto (oltre che, ovviamente, nuove domande).

Nel giudizio civile, viceversa, l’impos-sibilità di proporre nuove eccezioni in senso stretto (e mezzi di prova) rinviene la logica giustificazione nel divieto di produzione do-cumentale, superabile soltanto ove la parte in-teressata dimostri di non aver potuto produrli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile (art. 345 c.p.c.).

Nell’appello tributario, viceversa, è data facoltà alle parti di produrre nuovi documenti connessi o presupposti, idonei a concorrere nella formazione del convincimento del giu-dice e, ancor più grave, a sovvertire l’esito della decisione di primo grado, senza che alle altre parti, contro cui i documenti sono pro-dotti, sia consentita ogni possibile contesta-zione.

2.Conclusioni. Volendo sintetizzare, può dirsi che il nuo-

vo documento è ammesso ed è utilizzabile i-naudita altera parte.

Se questo è lo stato dell’arte, mi pare che vi siano giusti motivi per ritenere che la scelta del legislatore, risalente al 1992, contrasti nettamente con i noti principi costituzionali del giusto processo in contraddittorio tra le parti ad armi pari (Corte cost., sent. n. 109/2007).

Il concreto rischio di un abuso della dispo-sizione in commento, sembra essersi concre-tizzato con il richiamato orientamento della Cassazione che, nell’ammettere, tra i nuovi documenti producibili ed utilizzabili in appel-lo, documenti finanche preesistenti alla in-staurazione del processo di primo grado, sen-za alcuna possibilità per le altre parti di di-fendersi, impone un non più procrastinabile ripensamento della disciplina.

In attesa dell’auspicato intervento riforma-tore, il Giudice a cui la Suprema Corte ha rinviato la decisione in forza dell’ordinanza

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procedimento amministrativo - riforme istituzionali

Gazzetta Amministrativa -48- Numero 1- 2016

in commento, potrebbe sollevare questione di legittimità costituzionale dell’art. 58, co. 2,

d.lgs. n. 542/1992 per contrasto con gli artt. 3 e 111 Cost.

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Gazzetta Amministrativa -49- Numero 1- 2016

GIURISPRUDENZA

Consiglio di Stato Sez. V 18.3.2016 n. 1119 Processo amministrativo - presentazione di una querela di falso - sospensione obbligato-ria. Ai sensi dell'art. 77, co. 1, del c.p.a., la sospen-sione del processo è obbligatoria solo quando sia stata presentata una vera e propria querela di falso; inoltre, ai sensi del co. 2 di detto arti-colo, quando la controversia non possa essere decisa indipendentemente dal documento di cui è stata dedotta la falsità, per avere la questione di falso carattere di pregiudizialità e per non apparire manifestamente infondata o dilatoria (cfr, CdS, Sez. V, 25.1.2016, n. 221) Quindi nel caso che occupa, in cui risulta essere stata proposta una “denuncia querela” e non la tipi-ca “querela di falso” di cui all’art. 221 del c.p.c. e all’art. 355 del c.p.c. (relativo alla pro-posizione della querela di falso nel giudizio d'appello) non può comunque disporsi la so-spensione del giudizio ai sensi dell’art. 77 del c.p.a.. Va rammentato in secondo luogo, con riguardo all’invocato art. 79 del c.p.a. (secon-do il primo co. del quale la sospensione del processo è disciplinata dal codice di procedura civile, dalle altre leggi e dal diritto dell’Unione Europea), che l’art. 295 del c.p.c. (relativo alla sospensione necessaria del processo) nel testo novellato, è stato interpretato nel senso che si possa disporre essa sospensione solo nel caso in cui debba essere risolta "una controversia dalla cui definizione dipenda la decisione della causa", con la conseguente necessità di verifi-care, nel concreto, la sussistenza di un rappor-to di pregiudizialità tra le due cause, idoneo a giustificare l'applicazione del citato art. 295 c.p.c. (cfr, Cass. Civ., sez. I, 29.5.2000, n. 7057). La sospensione del giudizio amministra-tivo ai sensi di detto art. 79 del c.p.a. presup-pone quindi che il rapporto di pregiudizialità tra due cause sia concreto ed attuale, non giu-stificandosi diversamente la sospensione, che si tradurrebbe in un inutile intralcio all'esercizio

della giurisdizione (cfr, Cassazione civile sez. III 10.11.2015 n. 22878). Anche secondo la giurisprudenza amministrativa non è sufficiente l'esistenza di un "mero collegamento tra le due emanande statuizioni" per sospendere il pro-cesso amministrativo, occorrendo piuttosto "un vincolo di consequenzialità, per cui l'altro giu-dizio, oltre ad essere in concreto pendente ed a coinvolgere le stesse parti, deve investire una questione di carattere pregiudiziale, determi-nante, in tutto o in parte, per l'esito della causa da sospendere" (cfr., CdS, Sez. VI, 29.9.2006, n. 5701; sez. IV, 28.1.2011, n. 693). TAR Basilicata sentenza 3.3.2016 n. 169 Notificazioni degli atti del processo ammini-strativo - notificazione alla persona giuridica effettuata presso un ufficio che non è sede le-gale - nullità. Il TAR Basilicata con sentenza del 3.3.2016 n. 169 ha affermato che "ai sensi dell’art. 39, n. 2, cod. proc. amm., le notificazioni degli atti del processo amministrativo sono disciplinate dal codice di procedura civile e dalle leggi speciali concernenti la notificazione degli atti giudiziari in materia civile." Sulla base di tale premessa il Collegio ha dichiarato inammissibile il ricorso avverso gli atti afferenti l'aggiudicazione di una gara comunale per nullità della notificazione in quanto non effettuata presso la sede legale del-la controinteressata aggiudicataria. Più preci-samente, trattandosi di notificazione a persone giuridiche, - precisa il TAR - trova applicazione l’art. 145 cod. proc. civ., secondo cui essa va eseguita presso la “loro sede” mentre nel caso di specie, alla data di spedizione per la rinotifi-cazione del ricorso in questione, la sede legale della società controinteressata era già stata trasferita, per atto pubblico rogato presso la nuova sede legale. Tale variazione di sede è stata iscritta al registro delle imprese. A fronte di ciò, il Collegio ha rilevato come il ricorso risulta essere stato notificato presso una “unità

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Gazzetta Amministrativa -50- Numero 1- 2016

locale” della società ove risulta essere presente un ufficio. Inoltre, dalla relata risulta che l’atto non è stato notificato a persona addetta all’ufficio, bensì “al portiere dello stabile, in assenza del destinatario e delle persone abilita-te”. Corollario conseguente è, per il giudican-te, la nullità della notificazione, posto che la sede legale della controinteressata è ubicata in luogo differente. Sul punto, il Collegio ha ri-chiamato il costante orientamento secondo il quale le notificazioni alle persone giuridiche, ai sensi dell’art. 145 c.p.c. deve avvenire nel luo-go in cui hanno concreto svolgimento le attività amministrative e di direzione dell’Ente ed ove operano i suoi organi amministrativi o i suoi dipendenti, ossia il luogo deputato o stabilmen-te utilizzato per l'accertamento dei rapporti in-terni e con i terzi, degli organi e degli uffici in vista del compimento degli affari e della pro-pulsione dell’attività dell’ente, non essendo suf-ficiente il luogo in cui essa abbia un proprio stabilimento e vengano svolte altre attività ine-renti all’oggetto sociale (cfr. CdS, Sez. II, par. 16.11.2005 n. 1777; id., sez. V, 20.12.2001, n. 6319; Cass. civ. 28.7.2000, n. 9978; id. 18.1.1997 n. 497). Inoltre, in giurisprudenza si è altresì affermato che, ove la notifica venga eseguita in un luogo diverso da quello in cui la società destinataria dell’atto ha la sede legale, quale risultante dalla visura della locale Came-ra di commercio, e non risultando dalla relata in alcun modo che in tale luogo la società ab-bia la sua sede effettiva e che colui che ha rice-vuto l’atto sia stato incaricato dalla società di riceverlo, è onere della parte attrice, quale soggetto interessato, dimostrare che tale luogo costituisce la sede effettiva della società (cfr. Cass., sez. II civ., 17.12.2012, n. 23200). Consiglio di Stato Sez. V 25.2.2016 n. 784 Incarichi dirigenziali - atti di conferimento - giurisdizione. La vicenda giunta all'attenzione del Consiglio di Stato riguarda il conferimento dell'incarico di direttore generale dell'Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale (ARPA) del La-zio. Con la sentenza del 25.2.2016 n. 784 il Collegio ha rigettato l'appello avverso la nomi-na confermando la statuizione del Giudice di prime cure in ordine al difetto di giurisdizione del giudice amministrativo. Nella motivazione

della sentenza si precisa che "La giurispruden-za della Corte di Cassazione e quella del Con-siglio di Stato, infatti, convergono nel ritenere che gli atti di conferimento di incarichi dirigen-ziali rivestono la natura di determinazioni ne-goziali (cfr. Cass., 24.9.2015, n. 18972) e non quella di atti di alta amministrazione. Mentre i primi evidenziano l’esercizio di poteri analoghi a quelli del datore di lavoro privato, in settori nei quali il rapporto di lavoro con la pubblica amministrazione è stato equiparato dalla legge al lavoro privato; i secondi, invece, possono es-sere adottati anche sotto forma di nomina dei vertici delle amministrazioni, in settori nei qua-li l’ordinamento stima opportuno mantenere una disciplina giuridica sottratta al fenomeno della privatizzazione. Quest’ultimi sono, quindi, espressione di un’ampia discrezionalità ammi-nistrativa (CdS, IV, 21.9.2015, n. 4375; 17.3.2014, n. 1321), il che ne impone la sotto-posizione al sindacato del giudice amministra-tivo secondo l’ordinario criterio di riparto. Da ciò deriva che in omaggio alla disciplina dell’art. 63 d.lgs. 30.3.2001, n. 165, la giurisdi-zione amministrativa sussiste solo in relazione all’impugnazione degli atti di macroorganizza-zione presupposti a quelli di conferimento degli incarichi dirigenziali, secondo un meccanismo di riparto che non può essere alterato neanche per ragioni di connessione (Cass., SS.UU., 7.6.2012, n. 9185). Non è utile dunque alle ra-gioni dell’appellante il precedente di questa Se-zione di cui a CdS, V, 3.2.2015, n. 508. Infatti, in quella sentenza, la giurisdizione amministra-tiva viene ribadita in ragione dell’impu-gnazione dell’atto di macroorganizzazione pre-supposto all’atto di conferimento dell’incarico dirigenziale. Ipotesi quest’ultima che nella fat-tispecie non ricorre, poiché il ricorso di primo grado contesta i soli decreti di nomina. Né ad una diversa conclusione può giungersi in ra-gione della peculiare legittimazione degli ori-ginari ricorrenti o delle censure proposte, dal momento che la natura giuridica degli atti di conferimento di incarichi dirigenziali non muta in ragione della veste giuridica del soggetto che ne contesta la legittimità o della tipologia delle censure sollevate. Si tratta infatti di ele-menti che non contribuiscono a qualificare la natura giuridica del potere esercitato dall’amministrazione".

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Consiglio di Stato Sez. V 25.2.2016 n. 785 Processo amministrativo - utilizzo da parte del giudice dell'istituto della verificazione - sussistenza. "Secondo la disciplina del Codice del processo amministrativo, infatti, la verificazione è uno strumento istruttorio che può essere utilizzato al fine di acquisire fatti non desumibili diretta-mente dai documenti acquisiti al fascicolo di causa ovvero per coadiuvare il giudice nella valutazione degli elementi acquisiti o nella so-luzione di questioni necessitanti specifiche co-noscenze. In nessun caso la verificazione può essere adoperata quale strumento di valutazio-ne diretta delle doglianze oggetto di ricorso". È questo il principio sancito dalla Quinta Sezione del Consiglio di Stato nella sentenza del 25.2.2016 n. 785 sulla cui base ha riformato la sentenza del giudice di prime cure avendo quest'ultimo adoperato in modo scorretto le conclusioni raggiunte dal verificatore, che ha utilizzato quale delegato per l’accertamento delle censure di legittimità sottoposte al suo vaglio. Ad avviso del Collegio la sentenza di prime cure è erronea nella misura in cui ha uti-lizzato quale strumento di accertamento della consistenza dei vizi di legittimità le risultanze della verificazione, invece, di utilizzare l’accertamento dei fatti rilevati dal verificatore quale argomento di propria decisione. In que-sto modo - precisano i giudici di Palazzo Spada - risulta oscuro l’iter argomentativo che ha condotto il Tribunale amministrativo a ritenere sussistenti i vizi di difetto di istruttoria e di mo-tivazione. Consiglio di Stato Sez. V 17.2.2016 n. 640 Processo amministrativo - sospensione del giudizio - pregiudizialità. La Quinta Sezione del Consiglio di Stato nella sentenza del 17.2.2016 n. 640 si è occupata del-la sospensione del processo ai sensi della di-sposizione processualcivilistica di cui all’art. 295 cod. proc. civ. applicabile al processo am-ministrativo in virtù del richiamo ad esso ope-rato dall’art. 79, co. 1 del codice di cui al d.lgs. n. 104/201). In particolare, il Supremo Conses-so evidenzia come la sospensione da essa pre-vista è consentita solo per la c.d. pregiudiziali-tà tecnica (o necessaria). "Questa sussiste

quando una controversia (pregiudiziale) costi-tuisca l’indispensabile antecedente logico-giuridico dal quale dipenda la decisione della causa pregiudicata, in ragione del fatto che il rapporto giuridico della prima rappresenta un elemento costitutivo della situazione sostanziale dedotta nella seconda, per cui il relativo accer-tamento si imponga nei confronti di quest’ultima con efficacia di giudicato, al fine di assicurare l’uniformità di decisioni (ex mul-tis: Cass., Sez. un., ord. 27.7.2004, n. 14060, sent. 5.6.2000, n. 408, 11.4.1994, n. 3354; Sez. I, ord. 2.8.2007, n. 16995, 27.1.2006, n. 1741; Sez. III, ord. 28.12.2009, n. 27426, 25.5.2007, n. 12233 , 30.6.2005, n. 13950; Sez. lav., 24.1.2006, n. 1285; Sez. VI, ord. 29.7.2014, n. 17235, 8.2.2012, n. 1865, 9.12.2011, n. 26469, 18.2.2011, n. 3059; CdS, Sez. IV, 18.11.2014, n. 5662, 8.1.2013, n. 39; Sez. V, 16.2.2015, n. 806; Sez. VI, 12.3.2012, n. 1386). 5. Come chiarito da questo Consiglio di Stato (Sez. IV, 14.5.2014, nn. 2483 e 2484), la pregiudizialità necessaria si pone tra rapporti giuridici diver-si, collegati in modo tale per cui la situazione giuridica della causa pregiudiziale si pone co-me elemento costitutivo, modificativo, impediti-vo o estintivo del distinto rapporto dedotto nel-la causa dipendente, la cui esistenza è dunque necessariamente presupposta dalla prima. Il rapporto di pregiudizialità in senso tecnico è pertanto configurabile quando il petitumdella domanda pregiudiziale costituisce al contempo la causa petendi o, per converso fatto paraliz-zante (impeditivo, modificativo, estintivo), della domanda dedotta nella causa dipendente (al riguardo, nella citata ordinanza delle Sezioni unite della Cassazione n. 14060 del 27.7.2004 si è fatto l’esempio della qualità di erede del creditore rispetto alla domanda di pagamento del prezzo oggetto del contratto di compraven-dita stipulato dal defunto; in senso conforme la medesima Suprema Corte si è espressa in una fattispecie analoga, nell’ordinanza della Sez. II, 18.1.2008, n. 3936; ed ancora nell’ordinanza della medesima Sezione 5.12.2002, n. 17317, la quale ha confermato la sospensione di un giu-dizio promosso per il riconoscimento di diritti derivanti da titolo, in ragione del fatto che in separato giudizio era stata dedotta l’inesistenza o la nullità assoluta del medesimo titolo). In e-strema sintesi, il nesso di pregiudizialità-

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dipendenza intercorre tra distinti rapporti giu-ridici quando l’esistenza di uno dipende dall’esistenza o inesistenza dell’altro ed in base a ciò il fondamentale principio di unità dell’ordinamento giuridico impone la conformi-tà tra giudicati. Al di fuori di questa ipotesi la sospensione non è obbligatoria, perché come debitamente evidenziato dalla Suprema Corte nella più volte citata ordinanza del 27.7.2004, n. 14060, essa determina l’arresto del processo dipendente per un tempo indeterminato «e cer-tamente non breve (…) fino al passaggio in giudicato della decisione sulla causa pregiudi-ziale(…) onde evitare il rischio di conflitto tra giudicati» (§ 5.1 della parte “in diritto”), così dilatando i tempi della decisione finale del giu-dizio e le aspettative ad una sua rapida defini-zione che le parti che si oppongono alla so-spensione legittimamente possono vantare. 6. Occorre poi segnalare che l’ordinamento pro-cessuale interno, ivi compreso quello ammini-strativo, conosce la c.d. sospensione impropria del giudizio, adottabile dal giudice qualora in altro giudizio sia stata sollevata una questione di legittimità costituzionale di una norma ap-plicabile nel primo (Ad. plen., ord. 15.10.2014, n. 28). Come infatti puntualizzato nella pronun-cia ora richiamata, questa statuizione sospensi-va produce a sua volta effetti di economia dei mezzi processuali e di ragionevole durata del processo, evitando che la Corte Costituzionale sia nuovamente investita della medesima que-stione già sollevata nell’altro giudizio ed il conseguente rischio prolungare la durata del giudizio di costituzionalità, e di riflesso di quel-lo a quo. Tuttavia, deve del pari precisarsi che la sospensione impropria costituisce oggetto di una facoltà del giudice, per l’esercizio della quale egli deve avere appunto riguardo alle conseguenze sulla durata e sull’esito del giudi-zio di cui è chiesta la sospensione. 7. Effettuata questa ricognizione, va in primo luogo escluso che il giudizio davanti alla Corte europea sia pregiudiziale rispetto a quello presente. E’ in-fatti vero che il petitum azionabile davanti al Giudice convenzionale, ovvero l’«equa soddi-sfazione» ai sensi dell’art. 41 della Convenzio-ne, si fonda su una comunanza di causa petendi con la controversia interna, consistente nell’esistenza o meno di un contrasto tra il «di-ritto interno» (art. 41 citato) e le norme del

medesimo trattato. Ma è del pari vero che que-sta questione è già stata accertata, ed in modo vincolante per questo giudice, dalla Corte Co-stituzionale, con la sentenza dichiarativa della legittimità costituzionale della legge regionale marchigiana in epigrafe. Attraverso il giudizio incidentale di costituzionalità è stato quindi e-sperito il rimedio processuale riconosciuto dall’ordinamento nazionale per dedurre il con-trasto tra la legge interna e la Convenzione eu-ropea, e cioè il sindacato “accentrato” della Corte Costituzionale, attraverso il parametro fornito dall’art. 117, co. 1, Cost., ed in partico-lare il vincolo da esso discente per il legislatore ordinario al rispetto dei trattati internazionali (art. 117, co. 1, Cost.), tra cui appunto la Con-venzione europea per i diritti dell’uomo (cfr., ex plurimis, sentenze della Corte Costituzionale nn. 348 e 349/2007 in materia espropriativa; n. 39/2008; nn. 311 e 317 del 2009; nn. 138 e 187 del 2010; nn. 1, 80, 113, 236, 303, del 2011; si veda anche l’Adunanza plenaria di questo Con-siglio di Stato, ord. 14.7.2015, n. 7 e 4.3.2015, n. 4). 8. Pertanto, una volta esperito questo ri-medio, il valore e la forza riconosciuta alla legge, alla quale i giudici sono soggetti (art. 101, co. 2, Cost.), impone a questi ultimi di ap-plicarla. Per contro, con la sospensione del giudizio interno per via della pendenza di quel-lo in sede convenzionale si attuerebbe un’integrazione dei due ordinamenti giuridici che la citata giurisprudenza costituzionale ha costantemente escluso ed a fronte della quale separatezza ha elaborato il rimedio del sinda-cato di costituzionalità ai sensi del citato art. 117, co. 1, Cost., ponendo le norme convenzio-nali al livello “sub-costituzionale” di norme interposte rispetto a quest’ultima (in tal senso: Corte cost., 4.10.2007, n. 348). Consiglio di Stato Sez. IV 18.2.2016 n. 653 Silenzio inadempimento della P.A. - giudizi sul silenzio - giudice declaratoria di illegitti-mità dell’inerzia - illegittimità dell’ordine di provvedere. La controversia all’esame della Quarta Sezione del Consiglio di Stato è stata introdotta quanto al regime giuridico sostanziale e processuale, ai sensi dell’art. 31 del codice del processo amministrativo che disciplina l’azione avverso il silenzio-rifiuto (rectius silenzio- inadempi-

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mento ), istituto finalizzato a porre un rimedio alle ipotesi di comportamento inerte della pub-blica amministrazione. Nella sentenza del 18.2.2016 n. 653 il Supremo Consesso rileva come "Il legislatore, già con il previgente art.21 bis della l. 6.12.1971 n.1034 ha configu-rato in favore del soggetto interessato un’azione articolata su due domande: una , di tipo dichiarativo, volta ad ottenere l’accertamento dell’obbligo dell’Ammini-strazione destinataria di un’apposita istanza ad essa rivolta a definire il procedimento nei ter-mini previsti; l’altra, di condanna, con cui si impone alla P.A. l’adozione di una determina-zione esplicita in ordine a quanto alla medesi-ma viene chiesto. Sempre in linea di massima, va pure osservato che nei giudizi sul silenzio il giudice non può andare oltre la declaratoria di illegittimità dell’inerzia e l’ordine di provvede-re , essendogli precluso il potere di accertare la fondatezza sostanziale sottesa alla richiesta a-vanzata dal soggetto, giacchè se così non fosse si andrebbe a sostituire indebitamente alla stes-sa P.A. (cfr CdS., Sez. IV 25.9.2012 n. 5088; idem 24/572010 n. 3270 ). Inoltre perché si configuri un silenzio-inadempimento è necessa-rio che l’Amministrazione contravvenga ad un preciso obbligo di provvedere e tanto sia in ba-se ad espresse previsioni di legge sia nelle ipo-tesi che discendono dai principi generali o dal-la peculiarità del caso. Consiglio di Stato Sez. VI 19.2.2016 n. 667 La trasposizione del ricorso straordinario in sede giurisdizionale – immodificabilità dell’originario contenuto del ricorso straordinario - inammissibilità delle nuove censure. Si segnala la sentenza del Consiglio di Stato Sez. VI del 19.2.2016 n. 667 a tenore della qua-le "Costituisce principio giurisprudenziale pa-cifico che in sede di trasposizione del ricorso straordinario in sede giurisdizionale, l’ori-ginario contenuto del ricorso straordinario non può essere modificato e non possono essere prodotte censure nuove. La trasposizione, infat-ti, costituisce (nella forma e nella sostanza) una riassunzione dell’originario ricorso straordina-rio, rispetto al quale l’atto depositato presso il giudice amministrativo non può contenere mo-tivi diversi (cfr. CdS, V, 29.3.2011, n. 1926). Il

ricorso trasposto (e, dunque, la sua delimita-zione oggettiva) è il medesimo originariamente avanzato in sede straordinaria, verificandosi con la trasposizione unicamente uno sposta-mento della sede decisoria. Ammettere, tra l’altro, la possibilità di nuove doglianze deter-minerebbe l’elusione del termine di decadenza cui l’azione impugnatoria del privato avverso provvedimenti amministrativi è soggetta. Non può, inoltre, a giudizio del Collegio, attribuirsi rilevanza, al fine dell’ammissibilità delle dedot-te nuove censure, al comportamento tenuto dal giudice in sede cautelare (il quale avrebbe at-tribuito rilievo alle stesse nel concedere la tute-la cautelare) ed alla ritenuta mancata contesta-zione in proposito da parte dell’Università. Quanto al primo aspetto, va evidenziato che la misura cautelare ha carattere interinale e provvisorio, con la conseguenza che essa non può pregiudicare una diversa determinazione del giudice assunta in sede di decisione finale della controversia. L’inammissibilità della qua-le in questa sede si discute è, poi, rilevabile dal giudice di ufficio. Tale ultima circostanza priva di rilevanza in radice le considerazioni operate dall’appellante in ordine alla mancanza di una contestazione sul punto da parte della difesa dell’amministrazione; considerandosi comun-que che quest’ultima ha eccepito l’inammis-sibilità del ricorso (si veda l’atto di costituzio-ne, la memoria del 30.6.2009 prodotti dinanzi al Tar e l’appello cautelare dinanzi al Consi-glio di Stato) e che tale eccezione, pur se non rinnovata nei successivi scritti difensivi, non risulta essere stata espressamente rinunciata. Da ultimo, osserva la Sezione che non pare pertinente il richiamo operato dall’appellante al principio di “non contestazione”, conside-randosi che i “fatti non contestati” sui quali il giudice deve fondare la sua decisione è concet-to che si riferisce al dato sostanziale dei fatti storici e non anche al profilo della loro rituale introduzione in giudizio attraverso la proposi-zione in sede giurisdizionale di censure nuo-ve.". Consiglio di Stato Sez. V 30.12.2015 n. 5864 Sovvenzioni pubbliche - atti di decadenza – giurisdizione giudice ordinario. La Quinta sezione del Consiglio dei Stato nella sentenza del 30.12.2015 n. 5864 ha rilevato che

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per la giurisprudenza (cfr., ex plurimis e da ul-timo, Cass., Sez. un., ord. 25.1.2013, n. 1776; Sez. un., 24.1.2013, n. 1710; Sez. un., 7.1.2013, n. 150; Sez. un., 26.1.2011, n. 1775; Sez. un., 16.1.2007, n. 757; Sez. un., 24.5.2006, n. 12215; Sez. un., 23.12.2004, n. 23830; CdS, Ad. plen., 29.1.2014, n. 6; Ad. plen., 29.7.2013, n. 13; nonché successivamente Sez. V, 16.4.2014, n. 1971 e Sez. V, 21.6.2013, n. 3409) sussiste la giurisdizione del giudice ordinario, quando vi sia stata una sovvenzione pubblica e si contesti un atto di decadenza.A maggior ragione, la giurisdizione del giudice ordinario sussiste quando, come è avvenuto nella specie, l’Amministrazione ritenga di essere creditrice di una somma di denaro, in quanto erogata a chi non la doveva percepire. Consiglio di Stato Sez. V 30.12.2015 n. 5868 Procedimento amministrativo - procedimenti attivati d'ufficio - nessun obbligo di preavvi-so di rigetto. Nel giudizio in esame la Quinta Sezione del Consiglio di Stato nella sentenza del 30.12.2015 n. 5868 ha richiamato i principi consolidati dalla giurisprudenza in ordine alla dedotta violazione delle garanzie procedimen-

tali partecipative e dell’obbligo di preavviso di rigetto sancito dall’art. 10 bis, l. n. 241 del 1990, (cfr., ex plurimis, CdS, Sez. V, n. 2548 del 2012; Cons. giust. amm., 4.7.2011, n. 472, cui si rinvia ai sensi dell’art. 88, co. 2, lett. d), c.p.a.), per la quale: I) non vi è l’obbligo di preavviso in relazione ai procedimenti attivati d’ufficio; II) non ha carattere tassativo l’elenco delle ipotesi, di cui all’ultimo periodo dell’art. 10 bis, l. n. 241 del 1990, per le quali non è ne-cessaria la comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento della domanda; sotto tale an-golazione, la mancata comunicazione del pre-avviso di rigetto non comporta ex se l’illegittimità del provvedimento finale, in quanto la norma sancita dall’art. 10 bis cit., va interpretata alla luce del successivo art. 21 oc-ties, co. 2, l. n. 241 del 1990, il quale, nell’imporre al giudice di valutare il contenuto sostanziale del provvedimento e di non annulla-re l’atto nel caso in cui le violazioni formali non abbiano inciso sulla legittimità sostanziale del medesimo, rende irrilevante la violazione delle disposizioni sul procedimento o sulla for-ma dell’atto allorché il contenuto dispositivo non sarebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.

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PARERI

Questa sezione della Gazzetta Amministrativa raccoglie la pare-ristica redatta dall’AVVOCATURA DELLO STATO

DOMANDA Verso una nuova concezione dell’alloggio di servizio: l’“housing sociale”. Parere 15/02/2016-70512, Al 31865/15, Avv. Marco Corsini RISPOSTA Con nota 18.8.2015 n. 40/169-11-2-1976 co-desto Comando chiede il parere della Scri-vente in merito ad un’operazione immobilia-re, con risvolti urbanistici, diretta a realizza-re una caserma ed annessi appartamenti de-stinati a militari dell’Arma in Roma, località Infernetto. L’operazione è dichiaratamente finalizzata a risolvere il gravoso e costante problema del reperimento di abitazioni a condizioni soste-nibili per il proprio personale nelle grandi città, in presenza delle attuali gravose condi-zioni di mercato. E come tale, chiaramente, esso incontra il forte interesse di codesta Amministrazione. L’intervento, sulla scorta degli elementi de-sumibili dalla bozza di convenzione qui tra-smessa e dal successivo documento fatto per-venire per le vie brevi, dovrebbe articolarsi secondo le seguenti fasi: a) un soggetto privato, proprietario di un’area sita in Roma, si impegna: - a progettare, e costruire su quell’area e con risorse esclusivamente proprie, secondo le prescrizioni e le esigenze dell’Ammini-strazione, un edificio da adibire a caserma ed uno o più edifici contenenti un certo numero di alloggi ad uso abitativo; - a cedere solo ad appartenenti all’Arma dei

Carabinieri individuati dall’Arma stessa, per un prezzo concordato con l’Amministrazione, il diritto di superficie - di durata limitata - dei costruendi alloggi; - a cedere gratuitamente allo Stato la pro-prietà piena della caserma; - a cedere gratuitamente allo Stato la nuda proprietà dell’area su cui insisteranno le re-sidenze. b) l’Amministrazione dal canto suo, sulla ba-se del riconosciuto carattere di pubblica utili-tà dell’operazione, si impegna ad attivare le procedure di cui al d.P.R. 383/1994 relativa-mente alla conformità urbanistica dell’in-tervento. Viene delineato in sostanza un procedimento negoziale complesso, che presenta elementi propri di distinte fattispecie negoziali, e che nel suo complesso mira a realizzare gli inte-ressi eterogenei di tutti coloro che partecipa-no al procedimento, beneficiando dei suoi ef-fetti sia immediati che differiti nel tempo. Si tratta di un tema di interesse generale che pu. riguardare diverse pubbliche amministra-zioni (oltre alla Difesa ed ai Vigili del Fuoco, anche le Forze di Polizia e gli Agenti di Cu-stodia) e che come tale va trattato con il do-vuto approfondimento. Per analizzarne i contenuti e la portata, sem-bra indispensabile partire dal dato normati-vo. Con riferimento all’Amministrazione della Difesa, l’art. 398 del d.P.R. 90/2010 (Testo Unico delle disposizioni regolamentari in ma-teria di ordinamento militare), al fine di assi-curare la mobilità del personale militare e

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civile e di provvedere alle connesse esigenze alloggiative in funzione del nuovo modello organizzativo delle Forze Armate, prevede un programma infrastrutturale in cui la costru-zione di alloggi di servizio, oltre che secondo lo schema realizzativo proprio dei lavori pubblici (anche in finanza di progetto), e quindi in alternativa ad esso, pu. essere at-tuata “… attraverso altre forme negoziali previste dal diritto privato”. Il successivo art. 401 include espressamente tra le forme del diritto privato “la stipula di atti negoziali con soggetti … privati che si impegnano a realizzare, a proprie spese e senza oneri per l’Amministrazione, su aree ad essi appartenenti e contestualmente cedute in proprietà all’Amministrazione, alloggi da a-lienare, unitamente al diritto di superficie al personale dipendente dal Ministero della Di-fesa e da questi individuato, con vincolo di destinazione ad alloggio di servizio… per la durata massima di novanta anni, al termine dei quali gli alloggi confluiscono nella piena proprietà e disponibilità dell’amministra-zione”. Si tratta di tutta evidenza di uno sfor-zo che il legislatore ha compiuto, facendo ri-corso a risorse e iniziative private e a schemi inusuali rispetto a quelli tradizionalmente conosciuti, per superare l’attuale congiuntu-ra in cui massima è l’esigenza abitativa del proprio personale (peraltro, in linea con la generale crisi di disponibilità di alloggi a prezzo o canone sostenibili) e nel contempo minima, per non dire inesistente, è l’esistenza di risorse pubbliche. Si potrebbe definire in-somma come una forma negoziale alternativa di realizzazione di alloggi di servizio. Viene cos. ad essere (emergenzialmente?) ampliata la tradizionale concezione dell’alloggio di servizio come definita dalla giurisprudenza, connotata essenzialmente dall’essere il bene di proprietà pubblica, de-stinato funzionalmente e temporaneamente ad esigenze di servizio e come tale oggetto nor-malmente di concessione o locazione (CdS, VI, 16.9.2004 n. 5999; CdS, VI, 14.10.2004 n. 6669; TAR Puglia, Bari, 27.6.2011 n. 990). Di tal che, deve ritenersi che alloggi costruiti ai sensi delle norme ora ricordate, anche se realizzati da privati e con risorse private, su aree inizialmente private ma contestualmente cedute in proprietà all’Amministrazione, e

vendute in diritto di superficie a personale dipendente di quella Amministrazione sulla base di titolo convenzionale con l’Ammini-strazione stessa per soddisfare esigenze abi-tative del suo personale, possono a buon tito-lo essere considerati - in quanto espressa-mente definiti alloggi di servizio - opere ri-spondenti a fini di interesse pubblico. Occorre tuttavia valutare se tale normativa specificamente dettata per le Forze Armate - che per. non si applicherebbe ex se all’Arma dei Carabinieri in forza del limite contenuto nel co. 3 dell’art. 398 del DPR 90/2010 - possa costituire paradigma generale utilizza-bile anche a favore di altri enti. Come s’è detto in precedenza, lo schema de-lineato dalle norme sull’ordinamento militare realizza una fattispecie negoziale atipica, da valutare alla stregua delle regole di autono-mia di cui all’art. 1322 del codice civile, e da ritenere coerente con esse purché diretto a realizzare interessi meritevoli di tutela se-condo l’ordinamento giuridico. Le considerazioni che precedono inducono a ritenere l’interesse perseguito indubbiamente lecito, e quindi meritevole di riconoscimento e di tutela. Quanto all’Amministrazione, la costruzione degli alloggi senza oneri e spese risponde al canone organizzativo del “buon andamento” consacrato nell’art. 97 della Costituzione, tenuto conto che l’attuale con-giuntura economica non consente con certez-za la loro realizzazione con l’utilizzo di risor-se pubbliche. E d’altra parte, il soddisfaci-mento delle esigenze abitative del personale dipendente rientrante in fasce di reddito me-dio basse, per migliorarne le condizioni di vi-ta ma soprattutto di lavoro in funzione dell’espletamento del servizio nelle grandi città, dove notoriamente l’offerta di abitazio-ni a basso costo è estremamente scarsa, co-stituisce una finalità di interesse pubblico storicamente già perseguita dallo Stato. Trat-tasi nella fattispecie di un interesse specifi-camente intestato all’Amministrazione stessa nella cura del benessere (non già generale e sociale, ma) del proprio personale in servizio presso una determinata località, consenten-dogli l’accesso (altrimenti non conseguibile anche per la conclamata insufficienza degli alloggi di servizio in concreto disponibili o comunque non realizzabili per la carenza di

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risorse) ad una casa dignitosa, anche se non qualificabile come alloggio di servizio in sen-so proprio. Quanto al soggetto proponente, l’intrapresa costituisce legittima esplicazione della libertà di iniziativa economica tutelata dall’art. 41, co. 1, della Costituzione, che nella fattispecie si realizza attraverso un’operazione immobi-liare in sinergia con l’Ammini-strazione ed in collaborazione con essa per il raggiungimen-to di un interesse pubblico. Quanto infine ai dipendenti assegnatari, indi-viduati attraverso una selezione guidata dall’Amministrazione secondo propri criteri, il beneficio derivante dall’operazione coinci-de con la possibilità di accesso ad una abita-zione dignitosa acquistabile con il proprio ri-sparmio (secondo il dettato dell’art. 47 della Costituzione). In questa prospettiva, la costruzione degli al-loggi in questione con le modalità esaminate realizza finalità riconducibili al c.d. “housing sociale”, istituto che - nell’evoluzione della disciplina urbanistica - si concreta nel-l’offerta di nuovi alloggi (in affitto ma anche in vendita) destinati a soggetti che per ragio-ni di reddito sono esclusi dall’accesso all’edilizia residenziale pubblica ma non so-no tuttavia in grado di sostenere i costi del libero mercato. E come è noto, nell’attuale concezione giuridica, politica e sociale è ri-tenuto di interesse pubblico l’accesso ad una casa dignitosa per coloro che non riescono a sostenere i prezzi di mercato, in una situazio-ne in cui la sostanziale assenza di sovvenzioni pubbliche impedisce allo Stato di intervenire direttamente per assicurare quell’interesse. La normativa vigente espressamente ricondu-ce l’alloggio sociale ai servizi di interesse economico generale (art. 1 DM 22.4.2008) e di conseguenza assumono valore tutte le di-sposizioni urbanistiche che assimilano l’housing sociale agli standard pubblici. La giurisprudenza ha espressamente afferma-to la connotazione di interesse pubblico negli interventi di housing sociale (CdS, AP 30.1.2014 n. 7), riconoscendo che essi posso-no essere ben realizzati con forme di partena-riato publico-privato e/o con programmi a struttura trilaterale realizzati da operatore economico, utenti e pubblica amministrazio-ne. Di tal che non sembra improprio definire

gli alloggi in questione, attesa la loro inscin-dibile connessione funzionale con il pubblico impiego, come alloggi sociali di servizio; be-ni che - se realizzati con le modalità ora in esame - sono inizialmente privati di interesse pubblico, ma sono destinati a divenire nel tempo pubblici a tutti gli effetti, anche sotto l’aspetto dominicale. E ci. sia che essi siano realizzati a vantaggio del personale delle Forze Armate in virtù del-la norma che espressamente lo consente, sia in via generale se realizzati da altre ammini-strazioni utilizzando l’esaminato schema pro-cedimentale e convenzionale. La natura esclusivamente privata dell’iniziativa immobiliare, la considerazione dell’assenza in capo all’Amministrazione di oneri finanziari (non viene infatti impegnato in nessun caso denaro pubblico, né a titolo di corrispettivo né ad altri fini, la chiara estraneità dello schema in questione rispetto alle figure dell’appalto e della concessione anche in fi-nanza di progetto - rispetto alle quali, anzi, esso si pone in aperta alternativa - sembrano escludere la necessità del previo esperimento di procedure di natura concorsuale. Tuttavia, evidenti ragioni di imparzialità e trasparenza dell’azione amministrativa, sug-geriscono l’opportunità - tutte le volte che l’area prescelta non presenti motivati carat-teri di infungibilità quanto a localizzazione - di osservare cautele procedimentali volte a garantire la preventiva pubblicità ed una possibilità di comparazione, i cui criteri de-vono essere oggettivamente determinati, fra più proposte onde consentire la scelta della soluzione complessivamente migliore. Ci. premesso, il tema che torna all’attenzione della Scrivente attiene all’utile esperibilità, nel caso di realizzazione dell’intervento da parte di un soggetto privato con le caratteri-stiche sopra descritte, dello strumento previ-sto dall’art. 3 del d.P.R. 383/1994 qualora non vi sia conformità tra l’intervento stesso e le vigenti previsioni urbanistiche. Un intervento di analoghe caratteristiche è stato attivato anche dai Vigili del Fuoco - su conforme parere di questa Avvocatura reso con nota 25.7.2009 n. 229385 - ed ha avuto esito positivo in sede di conferenza dei servi-zi, dove il Comune di Roma ha espresso pare-

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re favorevole in virtù di deliberazione dell’Assemblea Capitolina n. 10/2010. Il d.P.R. n. 383/1994, è bene ricordarlo, di-sciplina le opere da eseguirsi da amministra-zioni statali o comunque esistenti su aree del demanio statale e delle opere pubbliche di in-teresse statale, da realizzarsi dagli enti istitu-zionalmente competenti. L’art. 3 del decreto prevede (così come prevedeva con contenuto e formulazione sostanzialmente analoghi l’art. 81 del d.P.R. 616/1977) che, nel caso in cui l’opera non sia conforme agli strumenti urbanistici ed edilizi vigenti nel territorio ove essa deve essere realizzata, l’approvazione del relativo progetto è demandata ad una conferenza dei servizi cui partecipano la re-gione ed il comune interessati, e l’approvazione così intervenuta sostituisce ad ogni effetto di legge - e quindi anche in va-riante o in deroga allo strumento urbanistico stesso (CdS, VI, 12.1.2011 n. 114) – ogni in-tesa, parere, autorizzazione, approvazione e nulla osta previsti dalle leggi statali e regio-nali. Nel corso degli anni sono intervenute diverse pronunce giurisprudenziali che hanno inter-pretato l’art. 3 del d.P.R. n. 383/1994, ma nessuna con affermazioni specificamente de-dicate al suo presupposto oggettivo. Fa ecce-zione il precedente di cui a CdS, V, 19.3.1991 n. 298 che è intervenuto tuttavia in fattispecie notevolmente diversa, in cui l’interesse stata-le dell’opera realizzata dal privato per fini immediatamente propri non era stato neppure implicitamente affermato dalla Pubblica Amministrazione. Acquista dunque decisivo rilievo quanto rite-nuto dal Consiglio di Stato in sede consultiva laddove, su specifico quesito formulato dal Ministero dei lavori pubblici in merito all’analoga disposizione di cui all’art. 81 del d.P.R. 616/1977, si è affermato che la corret-ta interpretazione della norma deve privile-giare la sua ratio, dando preferenza all’aspetto funzionale piuttosto che a quello soggettivo. “Pertanto, quando l’opera sia destinata a soddisfare in modo duraturo ed esclusivo le esigenze dell’amministrazione statale pu. ap-parire secondario il fatto che essa venga ese-guita sopra un immobile attualmente non di proprietà dello Stato e ad iniziativa di altro

soggetto” (CdS, II, 20.11.1991 n. 240). Ne deriva - sempre secondo l’Organo consultivo - l’applicabilità della norma anche nei casi in cui il fabbricato sia costruito o sia in corso di costruzione da privato su terreno privato e sia poi ceduto in proprietà o semplicemente promesso in vendita all’amministrazione, purché sia garantito comunque, nelle more dell’acquisto della proprietà pubblica, la de-stinazione permanente del fabbricato alla re-alizzazione dei fini istituzionali dell’Ammini-strazione. Occorre dunque valutare se l’intervento proposto, del quale si sono trat-teggiate le caratteristiche di interesse pubbli-co, soddisfi i requisiti affermati, quali: l’acquisizione finale del bene alla proprietà pubblica, e nelle more la sua destinazione permanente ai fini istituzionali dell’Ammi-nistrazione. Sotto il primo profilo, la cessione immediata alla proprietà pubblica dell’area su cui insisterà il fabbricato e la durata defi-nita del diritto di superficie (che appare per-tanto necessaria, dovendosi evitare diritti di estensione temporale illimitata) sembrano in grado di garantire l’acquisto finale in capo al soggetto pubblico per consolidazione ex art. 954 del codice civile. Sotto il secondo profilo, a prescindere dal da-to formale (qui non trascurabile) che è la stessa Pubblica Amministrazione ad attestare il proprio interesse datoriale e a qualificarlo come conforme ai suoi fini istituzionali, le considerazioni che precedono paiono perfet-tamente in grado di attestare la funzionalità immediata dell’intervento ai fini dell’Ammi-nistrazione, ovviamente se – come si dirà ap-presso - siano garantite precise condizioni di vincolo. Onde, sembra corretto ritenere che l’interesse statale qualificante l’intervento, sia perfettamente in linea con i presupposti di applicabilità dell’art. 3 del d.P.R. 383/1994 enunciati dal Consiglio di Stato. E ci. a prescindere dall’essere (o dal dover essere) gli alloggi collegati con rapporto di accessorietà - nella pratica non sempre evi-dente nella sua effettività - ad opere tipica-mente pubbliche, quali caserme, asili, mense; opere che, se realizzate unitamente alle resi-denze, possono semmai accentuare la presen-za dell’interesse statale, ma non costituirne l’oggetto principale. È appena il caso di pre-

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cisare, per fugare ogni ombra di dubbio, che anche queste ultime opere, in quanto realiz-zate e trasferite a titolo gratuito, sono estra-nee alla disciplina dell’appalto di lavori pub-blici e non soggiacciono alle relative regole dell’evidenza pubblica. L’orientamento positivo qui espresso non può prescindere dalla rassicurante considerazio-ne che l’ap-plicazione dell’art. 3 del d.P.R. 383/1994, ancorché estensivamente inteso come nell’indicazione del Consiglio di Stato, mentre risponde a soddisfare l’interesse dell’Amministrazione statale non comprime o pregiudica in modo irreparabile il vero inte-resse urbanistico alla corretta gestione del proprio territorio che appartiene agli enti lo-cali e territoriali e che continua ad essere dai medesimi liberamente apprezzabile e tutela-bile. In ogni caso infatti, la loro partecipa-zione al procedimento mediante l’intervento alla conferenza dei servizi consente la valuta-zione finale, anche politica, della compatibili-tà dell’interesse statale perseguito con il sin-golo intervento con le esigenze del territorio, in coerenza con la naturale plasmabilità del-lo strumento urbanistico ai mutevoli bisogni della collettività locale. Conseguenza non e-ludibile di quanto sin qui detto, per tutti gli interventi e per tutte le Amministrazioni che li propongono, l’esigenza, che emerge anche da ulteriori contributi consultivi nel frattempo emersi (v. CdS., Commiss. Speciale 11.5.2009 n. 1096, tuttavia nella diversa ipotesi di al-loggi situati all’interno di infrastrutture mili-tari) che il tenore delle clausole convenziona-li tra il privato e l’Amministrazione, nonché tra lo stesso privato e i dipendenti acquirenti del diritto di superficie sulle abitazioni, sia tale da garantire - pur nella discrezionalità e nell’autonomia negoziale spettante al contra-ente pubblico - modalità che assicurino effet-tivamente il mantenimento della destinazione del bene al servizio, ed il rispetto dell’in-teresse statale così come definito dalle nor-me. In questa prospettiva vanno rivalutati, nei limiti sopra precisati, i profili di criticità espressi con i pareri precedentemente resi dalla Scrivente a codesta Amministrazione

con le note del 9.5.2012 n. 182855, e del 5.3.2013 n. 99968. Particolare rilievo, se non addirittura decisi-va rilevanza, per la sussistenza effettiva dell’interesse statale che legittima l’appli-cabilità delle norme di cui sopra, e soprattut-to dell’art. 3 del d.P.R. 383/1994, assume l’aspetto convenzionale. E così, unitamente alla definizione del prezzo di acquisto dell’alloggio (che ovviamente de-ve essere “concordato” in modo da collocar-si in una fascia inferiore ai valori di mercato tale da essere sostenibile dai livelli reddituali del personale dipendente), dovrà porsi atten-zione alla presenza di un contenuto minimo di clausole che: a) fissino una durata del diritto di superficie coerente con l’indicazione normativa laddove essa vi sia, con esclusione quindi di diritti il-limitati nel tempo, non idonei a garantire la confluenza finale del bene nella pubblica proprietà; b) demandino all’Amministrazione la deter-minazione in capo al personale dei requisiti soggettivi per l’acquisto; c) disciplinino i divieti o comunque i vincoli di modo e di tempo per le successive aliena-zioni che garantiscano la permanenza della destinazione dell’alloggio alle esigenze di servizio; d) prevedano la trascrizione ex art. 2645 ter del codice civile del vincolo di destinazione dell’alloggio alle esigenze di servizio, al fine della sua opponibilità a terzi indipendente-mente dalla durata del diritto di superficie; e) prevedano il ripristino dell’originaria de-stinazione urbanistica qualora l’iniziativa - per qualunque ragione - non dovesse arrivare a compimento. Sul punto, si riservano migliori approfondi-menti ed eventualmente ulteriori indicazioni in presenza degli schemi degli atti negoziali. Sulle questioni trattate, attesa la loro rilevan-za di massima, è stato sentito il Comitato Consultivo dell’Avvocatura dello Stato che nelle sedute dell’11.1.2016 e del 10.2.2016 si è espresso in conformità.

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Uso del Territorio: urbanistica, ambiente e paesaggio

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USO DEL TERRITORIO: URBANISTICA, AMBIENTE E PAESAGGIO

NOTIZIE E AGGIORNAMENTI

PRODOTTI AGRICOLI ED ALIMEN-TARI: IN GAZZETTA UFFICIALE I CRITERI E LE MODALITÀ PER LA CONCESSIONE DI CONTRIBUTI PER INIZIATIVE VOLTE A SVILUPPARE AZIONI DI INFORMAZIONE È stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 68 del 22.3.2016 il decreto 1.3.2016 del Mi-nistero delle Politiche agricole e forestali re-cante "Determinazione dei criteri e delle mo-dalita' per la concessione di contributi con-cernenti iniziative volte a sviluppare azioni di informazione per migliorare la conoscenza, favorire la divulgazione, garantire la salva-guardia e sostenere lo sviluppo dei prodotti agricoli ed alimentari contraddistinti dal ri-conoscimento U.E., ai sensi del Regolamento (UE) n. 1151/2012, del Regolamento (UE) n. 1308/2013 e del Regolamento (CE) n. 607/2009" (decreto del Ministero delle Poli-tiche agricole e forestali in G.U. n. 68 del 22.3.2016).

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AMBIENTE: APPROVATO IL MODEL-LO UNICO DI DICHIARAZIONE PER IL 2016 È stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Serie Generale n.300 del 28.12.2015 il decre-to del Presidente del Consiglio dei Ministri 21.12.2015 recante "Approvazione del model-lo unico di dichiarazione ambientale per l'anno 2016". (D.P.C.M. pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 300 del 28.12.2015).

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VARIANTE PUNTUALE: PER IL REGIME DI CONOSCENZA LEGALE NON BASTA LA PUBBLICAZIONE SULL'ALBO PRETORIO DELLA DE-LIBERA CONSIGLIARE MA È NE-CESSARIA LA NOTIFICAZIONE AL PROPRIETARIO DEL SUOLO INCISO DALLA VARIANTE, E DA QUESTA DECORRE IL TERMINE PER L’IMPU-GNAZIONE . La Quarta Sezione del Consiglio di Stato nella sentenza del 18.2.2016 n. 650 ha affermato "di non dover condividere l’avviso delle parti appellanti, le quali escludono senza meno che la notificazione individuale della delibera consiliare fosse necessaria, o comunque che potesse avere qualsiasi rilevanza ai fini della decorrenza del termine per l’impugnazione, dovendo all’uopo farsi riferimento in ogni caso all’ultimo giorno di pubblicazione dell’atto nell’Albo Pretorio. Infatti, se è vero che per gli atti di pianificazione e per le loro varianti la legge di regola prevede la formalità della pubblicazione, tuttavia la prevalente giurisprudenza – dalla quale in questa sede non si ravvisa ragione per discostarsi – pone alla regola enunciata una rilevante eccezione, con riferimento all’ipotesi di c.d. variante puntuale, ossia destinata a incidere su uno specifico suolo o bene: in quest’ultimo caso, si rende necessaria la notificazione al destinatario del provvedimento, ossia al proprietario del suolo o del bene inciso dalla variante, e da questa decorre il termine per l’impugnazione (cfr. CdS., Sez. IV, 12.5.2014, nr. 2403; id., 3.3.2014, nr. 965; id.,

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Uso del Territorio: urbanistica, ambiente e paesaggio

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20.9.2005, nr. 4836; id., 4.3.2003, nr. 1196). Pertanto, poiché nel caso che qui occupa trattasi di variante non solo incidente su un suolo specifico e individuato, ma richiesta dagli stessi proprietari di esso al fine di realizzarvi un impianto produttivo, deve ritenersi corretto l’operato del Comune che ha proceduto a comunicazione individuale della determinazione adottata su di essa: comunicazione la quale, perciò stesso, va considerata astrattamente idonea a far decorrere il termine dell’impugnazione. Si evidenzia altresi come il Consiglio di Stato, nella sentenza in esame, abbia affrontata to poi la problematica afferente la corretta modalità di notificazione, In particolare si legge nella parte motiva come "Tutt’altra questione, però, è se la comunicazione effettuata alle società odierne appellanti, per le modalità con cui in concreto è avvenuta, sia stata effettivamente idonea a integrare la conoscenza legale del provvedimento, a sua volta tale da costituire dies a quo per il termine di impugnazione: a tale ulteriore quesito, la Sezione reputa di dover dare risposta negativa. Al riguardo, giova premettere che se è vero, come assume il Comune appellato, che per la comunicazione dei provvedimenti amministrativi ai destinatari non devono sempre e necessariamente applicarsi in toto le disposizioni in materia di notificazioni nel processo civile, va però richiamato il prevalente indirizzo giurisprudenziale in materia di comunicazione alle persone giuridiche, laddove si assume che debba applicarsi l’art. 145 cod. proc. civ., e quindi la notifica vada eseguita presso la sede sociale e nelle mani del legale rappresentante, ovvero di persona abilitata alla ricezione; solo in ipotesi di impossibilità della notifica presso la sede, potendo procedersi a notificazione presso la residenza o il domicilio del legale rappresentante (cfr. ad esempio CdS., Sez. VI, 15.6.2015, nr. 2913; id., sez. V, 1.6.1998, nr. 701; id., 14.11.1996, nr. 1364). 5.2.1. Se questo è vero, quanto meno per una delle società odierne appellanti, Industrie Giorgini S.r.l., le anzi dette formalità non risultano rispettate, essendo incontestato che il luogo ove fu eseguita la notificazione non

corrisponde alla sede sociale: a nulla rileva, peraltro, che l’indirizzo in questione fosse stato indicato dalla stessa società per le eventuali comunicazioni endoprocedimentali, potendo ciò ascriversi a ragioni di comodità o speditezza ma non certo assimilarsi a una sorta di “elezione di domicilio” idonea a elidere i piani principi testé richiamati. Né può ritenersi provata, in ogni caso, la piena conoscenza del provvedimento da parte della società de qua sulla scorta della notificazione così effettuata, non risultando contestato ex adverso neanche che la persona che materialmente ricevette il plico non solo non rivestiva cariche sociali, ma, di più, non aveva alcun rapporto con la società in questione (tale non potendo considerarsi il mero rapporto di parentela intercorrente con il legale rappresentante). Ed è appena il caso di richiamare l’ulteriore principio giurisprudenziale per cui, solo laddove la notificazione alla persona giuridica sia ritualmente eseguita presso la sede sociale, può porsi un problema di presunzione (o meno) circa la qualità del ricevente di persona abilitata alla ricezione e di relativa prova (cfr. CdS., Sez. VI, nr. 2913/2015, cit.). Le considerazioni che precedono, evidenziando l’inidoneità della notificazione a integrare conoscenza legale dell’atto, esonerano da ogni ulteriore approfondimento dei profili, su cui pure insiste parte appellante, della capacità e idoneità della persona materialmente accipiente il plico a riceversi la notificazione de qua..... Al riguardo, oltre alle circostanze evidenziate da parte appellante circa le peculiari forme dell’intestazione del plico (che, invero, valgono per entrambe le comunicazioni in discorso), appare assorbente l’ulteriore dato – anch’esso comune a entrambe le vicende - della mancanza nella comunicazione dell’indicazione del termine e dell’autorità presso cui il provvedimento poteva essere impugnato, come prescritto dall’art. 3, co. 4, della l. 7.8.1990, nr. 241; ed è jus receptum che, se certamente tale omissione non incide sulla validità del provvedimento, essa può però costituire il presupposto per il riconoscimento dell’errore scusabile e la conseguente rimessione in termini, ove ne sussistano gli ulteriori presupposti sub specie

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Uso del Territorio: urbanistica, ambiente e paesaggio

Gazzetta Amministrativa -62- Numero 1- 2016

dell’obiettiva incertezza della natura dell’atto comunicato o della comunicazione stessa (cfr. ex plurimis CdS., sez. VI, 11.9.2014, nr.

4623; id., sez. V, 25.7.2014, nr. 3964; id., sez. IV, 5.4.2013, nr. 1903)." (Consiglio di Stato Sez. IV 18.2.2016 n. 650).

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Gazzetta Amministrativa -63- Numero 1- 2016

REDAZIONALI

L’ETERNO DILEMMA CIRCA LA DISTINZIONE FRA RIFIUTI O SOTTOPRODOTTI. IL CASO SPECIFICO DEI RESIDUI DI PRODUZIONE E L’INTERVENTO ESPLI-CATIVO DELLA SUPREMA CORTE (SENT. CASS. PEN. SENTENZA N. 40109/2015) della Dott.ssa Francesca Romana Marcacci Balestrazzi

Il sottoprodotto non necessita di essere sottoposto al trattamento di recupero, altrimenti non rive-stirebbe le caratteristiche merceologiche e ambientali che lo connotano sin dall'origine, e che lo qualificano come tale, contrapponendolo e distinguendolo dal “rifiuto”. Ma, al contempo, non è più richiesto, in modo rigoroso che il sottoprodotto sia utilizzato “tal quale” in quanto sono per-messi trattamenti minimi, rientranti nella normale pratica industriale. Ove i residui della produ-zione industriale siano “ab origine” classificati da chi li produce come rifiuti, gli stessi devono ritenersi sottratti alla normativa derogatoria prevista per i sottoprodotti come definiti dall'art. 184-bis, T.U. ambiente, in quanto la classificazione operata dal produttore esprime quella volon-tà di disfarsi degli stessi idonea a qualificarli come "rifiuti" in base all'art. 183, comma primo, lett. a) del citato decreto. The byproduct recovery does not need to be treated, otherwise it wouldn’t has the environmental and sector characteristics that define from the outset, and that qualify it as such, contrasting it and distinguishing it from "waste". But, at the same time, it is no longer required, so strict that the by-product is used equal because they allowed minimum pensions, within normal industrial practice, as identified above. Where residues of industrial production are "from the source" classified from those who produce them as waste, they must be subtracted derogatory legislation planned for by-products as defined in art. 184-bis of Legislative Decree n. 152 April 3, 2006, since the classifica-tion made by the writer expresses that desire to get rid of those likely to qualify them as "waste", according to art. 183, first paragraph, lett. a) of the above mentioned Decree. Sommario: 1. Breve introduzione circa l’utilizzo efficiente delle risorse nelle politiche europee. 2. Disciplina normativa di riferimento. 3. Il sottoprodotto visto come materiale non coinvolto nel processo produttivo. 4. L’intervento innovatore della Cassazione penale, applicato al caso di specie. 5. Conclusioni.

1.Breve introduzione circa l’utilizzo efficiente delle risorse nelle politiche euro-pee.

Prima di addentrarci nel complesso intrec-cio delle definizioni giuridiche relative alla materia dei rifiuti, è opportuno effettuare una preliminare introduzione sull’utilizzo delle risorse negli ordinamenti europei, anche per-ché, se gestite in maniera efficiente, le risorse

(come lo sono i rifiuti) possono di certo esse-re un grande espediente economico.

L’economia dei Paesi industrializzati è ba-sata su un livello elevato di consumo di risor-se naturali, intese come materie prime (es. metalli, minerali, gomma o legno), combusti-bili fossili e suolo. Infatti, sulla base di dati

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EEA1, l‘utilizzo delle risorse nell’Unione eu-ropea si attesta, da circa due decenni, tra le 15 - 16 t pro-capite l’anno.

Cercando di analizzare operativamente il problema, l’EEA evidenzia come l’Europa abbia utilizzato per anni (in modo continuati-vo dal 1970 al 2008) un quantitativo sempre maggiore di risorse. Si è assistito a una dimi-nuzione nell’utilizzo delle risorse solo in pe-riodi di recessione o bassa crescita del paese: si è infatti passati da 8,3 mld di t di risorse consumate in Europa nel 2007 a 7,3 mld di t nel 20092. Nonostante ciò, le previsioni al 2030 indicano che lo sfruttamento delle risor-se nell’Unione europea, purtroppo, continuerà a crescere3. È però interessante e opportuno riscontrare che, col passare degli anni, l’Europa ha dovuto confrontarsi, sempre di più, con una richiesta di risorse proveniente dalle economie emergenti.

Tutto questo ha generato la crescita, nel corso del XX secolo, dell’impiego di combu-stibili fossili nel mondo pari a 12 volte e l’estrazione di risorse materiali di 3464.

Per quel che riguarda poi il rendimento delle risorse, si è assistito a una crescita nella maggior parte dei Paesi dell’Europa nell’ultimo decennio.

L’Europa, già nei primi anni 2000, attra-verso il Sesto programma d’Azione per l’Ambiente

(6° PAA) e la Strategia comunitaria per lo sviluppo sostenibile (SDS)5, puntava a vince-

1 The European Environmental Agency, state and out-look, 2010 Material Resources and Waste - 2012 Up-date 2 Fonte: “Rapporto Rifiuti speciali”, ISPRA, 2011, Movimento transfrontaliero rifiuti. Vedi anche Green economies around the world? - Im-plications of resource use for development and the environment, 2012. 3 Cfr. The European Environment, state and outlook, 2010 Material Resources and Waste – 2012 Update. 4 Tabella di marcia verso un’Europa efficiente nell’impiego delle risorse“ – COM (2011) 571 definitivo. 5 Il Sesto programma comunitario di azione per l'ambiente intitolato “Ambiente 2010: il nostro futuro, la nostra scelta” comprendeva il periodo tra il 22.7.2002 e il 21.7.2012. Il programma si ispirava al quinto programma di azione per l'ambiente che copriva il periodo 1992-2000, e alla decisione relativa al riesame di detto programma.

re la sfida per uno sviluppo sostenibile, disso-ciando l’impatto e il degrado ambientale dalla crescita economica. In particolare, nel 6° PAA si ritenne necessario che l’industria ope-rasse in modo più efficiente sotto il profilo ecologico (cioè che producesse la stessa o una maggior quantità di prodotti a partire da una minore quantità di risorse e generando meno rifiuti); che i modelli di consumo sarebbero divenuti più sostenibili; che il consumo delle risorse rinnovabili e non rinnovabili non su-perasse la capacità di carico dell’ambiente; che si garantisse un uso più sostenibile delle risorse (inteso anche come prevenzione degli sprechi e aumento della percentuale di risorse riciclate e reimmesse nel ciclo economico dopo l’utilizzo, in luogo di materie prime vergini).

L’importanza della tematica oggetto d’esame viene sottolineata anche dalla Diret-tiva Rifiuti 2008/98/CE6, art. 11: infatti, nel fissare gli obiettivi di riutilizzo e riciclaggio, si invitano gli Stati membri ad adottare le mi-sure necessarie “al fine di rispettare gli obiet-tivi della presente direttiva e tendere verso una società europea del riciclaggio con un alto livello di efficienza delle risorse”.

L’impegno europeo verso un uso efficiente delle risorse si è ulteriormente rafforzato nel 2010 quando a marzo, la questione è stata in-serita tra le sette iniziative prioritarie della Strategia “Europa 2020” per una crescita “in-telligente, sostenibile e inclusiva”7.

Nell’ambito di questa Strategia “Europa 2020”, la Commissione Europea, il 2.2.2011, ha pubblicato una comunicazione dal titolo “Affrontare le sfide relative ai mercati dei prodotti di base e alle materie prime”, (stret- 6 Sulla elaborazione della direttiva sui rifiuti n. 2008/98/CE, da parte del Consiglio, Parlamento e Commissione U.E, si veda David Röttgen, “La nozione di rifiuto e di sottoprodotto”, e anche F. Giampietro, “Commento alla direttiva 2008/CE sui rifiuti”, IPSOA, Milano, 2009. Sul “sottoprodotto” nel T.U. ambientale n. 152/2006, cfr. L. Ramacci, La nuova disciplina dei rifiuti, Celt–La Tribuna, 2006. 7 Europa 2020 è la strategia decennale per la crescita e l'occupazione che l'Unione europea ha varato nel 2010. L'UE si è data cinque obiettivi quantitativi da realizzare entro la fine del 2020. Riguardano l’occupazione, la ricerca e sviluppo, il clima e l'energia, l'istruzione, l'integrazione sociale e la riduzione della povertà.

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tamente correlata all’iniziativa per l’uso effi-ciente delle risorse in Europa), la quale si ba-sa su tre pilastri fondamentali:

• approvvigionamento equo e sostenibile di materie prime dai mercati mondiali;

• incentivare un approvvigionamento so-stenibile all’interno dell’UE;

• spronare l’efficienza sotto il profilo delle risorse e promuovere il riciclaggio.

Alla base di questi pilastri c’è l’esigenza di monitorare le materie prime essenziali.

Al termine dell’anno 2013, la Commissio-ne ha ritenuto opportuno, in attuazione della Tabella di marcia, attivare la “EU Resource Efficiency Transition Platform”8, al fine di monitorare il processo di transizione verso un’Europa efficiente nell’utilizzo delle risor-se9. Contestualmente, la stessa Commissione ha proposto, nel novembre 2012, un nuovo Programma di Azione per l’Ambiente (7° PAA) che definisce un quadro generale per la politica ambientale fino al 2020, individuan-do nove obiettivi prioritari che dovrebbero essere realizzati dall’UE e dagli Stati membri, tra cui: “trasformare l’Unione in un’economia a basse emissioni di carbonio, efficiente nell’impiego delle risorse, verde e competitiva”10.

In conclusione, appare evidente, sulla base dei dati e delle politiche europee finora passa-te in rassegna, che l’uso efficiente delle risor-se è di certo un obiettivo prioritario per l’Europa.

Nel concetto relativo all’impiego efficiente delle risorse primarie, bisognerebbe ricom-prendere una profonda educazione alla corret-ta valorizzazione delle materie, attraverso op-portuni schemi di impiego. In sostanza l’obiettivo perseguito è quello di riconoscere e favorire tutti i casi in cui una materia può

8 L'obiettivo della Piattaforma europea di efficienza delle risorse, è quello di fornire una guida di alto livello per la Commissione europea, gli Stati membri e gli attori privati sulla transizione verso un'economia più efficiente delle risorse. 9 http://ec.europa.eu/environment/resource_efficiency. 10 Il Programma individua 9 obiettivi prioritari fino al 2020, tra i quali: proteggere la natura e rafforzare la resilienza ecologica; incrementare una crescita sostenibile, low carbon con un uso efficiente delle risorse; affrontare efficacemente le minacce all’ambiente legate alla salute.

avere un’ottimizzazione, essendo destinata a un uso certo ed economicamente fondato, come per esempio mettere in atto misure per prevenire la produzione di rifiuti, anche attra-verso la valorizzazione dei materiali per il lo-ro impiego come sottoprodotti (ai sensi dell’art. 184 bis del d.lgs. 152 del 2006 e s.m.i., di seguito per brevità t.u. ambiente) o nuovi combustibili.

2.Disciplina normativa di riferimento. Nella complessa e controversa questione

circa la continua ricerca di una giusta defini-zione di “sottoprodotto”, le modifiche intro-dotto dal recepimento della dir. 2008/98/CE11 (c.d. direttiva rifiuti), avvenuto con il d.lgs. 205/2010, debbono certamente essere viste positivamente, dato che esse contribuiscono a correggere alcune evidente imprecisioni della previgente nozione. La dir. 2008/98/CE aveva l’obbiettivo di aiutare l’Unione europea ad avvicinarsi a una “società del riciclaggio”, cercando di evitare la produzione di rifiuti e di utilizzare i rifiuti come risorse.

La nozione di “sottoprodotto” appare, per la prima volta, in termini di diritto positivo, nell’art. 5 della nuova direttiva (mentre, come è noto, era assente nelle precedenti)12. Nell’ambito dell’annosa distinzione fra rifiuti e sottoprodotti, la Direttiva elimina dal regi-me dei rifiuti quei prodotti che, pur non costi-tuendo “lo scopo primario delle produzione”, ne formano parte integrate, possono essere e sono ulteriormente e legalmente utilizzati per sé o per altri fini, senza trattamento ulteriore o con un trattamento che rientra nella “nor-male pratica industriale”13.

Le condizioni poste dalla direttiva erano in parte già rinvenibili nella giurisprudenza co-

11 Essa stabilisce un quadro giuridico per il trattamento dei rifiuti nell’Unione europea (UE), studiato in modo da proteggere l’ambiente e la salute umana, sottolineando l’importanza di adeguate tecniche di gestione, riutilizzo e riciclaggio dei rifiuti, volte a ridurre le pressioni sulle risorse e a migliorare il loro uso. 12 Si veda A. Muratori, Sottoprodotti: la suprema corte in difesa del sistema tolemaico?, in Ambiente, 2012, 605. 13 L. Ramacci, La nuova disciplina dei rifiuti, Celt–La Tribuna, 2006.

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munitaria14 ed in parte recepite in leggi na-zionali, come nel caso dell’ordinamento ita-liano che aveva definito il sottoprodotto nella lett. n) del co. 1, dell’art. 183, del t.u. ambien-te, poi modificato dal nuovo art. 183 co. 1, lett. p), del “secondo correttivo”, ora nuova-mente novellato con l’introduzione dell’art. 184-bis15.

Si evidenzia, dunque, come la direttiva in-dichi “la sostanza o l’oggetto è sotto-prodotto” dell’impresa, in quanto “parte in-tegrante del (suo) processo produttivo”, an-che quando non sia necessariamente riutiliz-zato dalla stessa, come farebbe intendere la norma nazionale quando si esprime nei ter-mini indicati: “il loro impiego sia certo, sin dalla fase della produzione, integrale, e av-venga direttamente nel corso del processo di produzione” (caso ovviamente consentito, anche se non frequente)16.

Esaminando nel dettaglio il nuovo art. 184 bis17 del t.u. ambientale, sui sottoprodotti si rileva come vengano ora previsti criteri di in-dividuazione degli stessi in parte differenti rispetto alla formulazione precedente dell’art. 14 Cfr. CGUE, Sent. 18.12.2007, causa C- 263/5; Avesta Polarit Chrome, causa C-114/01; Niselli, causa C-416/02 Commissione/Spagna. 15 V. Paone, cfr.: Sottoprodotti: una parola chiara della Cassazione, in questa Rivista, 2012, 11; G. Amendola, Sottoprodotto e normale pratica industriale: finalmente interviene la Cassazione, in www.lexambiente.it. 16 Cfr. V. Paone, La tutela dell’ambiente e l’inquinamento da rifiuti, Milano 2008, cit. pagg. 191 e ss.. 17 Recita l’art. 184 bis: È un sottoprodotto e non un rifiuto ai sensi dell’art. 183, co. 1, lettera a), qualsiasi sostanza od oggetto che soddisfa tutte le seguenti condizioni: a) la sostanza o l’oggetto è originato da un processo di produzione, di cui costituisce parte integrante, e il cui scopo primario non è la produzione di tale sostanza od oggetto; b) è certo che la sostanza o l’oggetto sarà utilizzato, nel corso dello stesso o di un successivo processo di produzione o di utilizzazione, da parte del produttore o di terzi; c) la sostanza o l’oggetto può essere utilizzato direttamente senza alcun ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica industriale; d) l’ulteriore utilizzo è legale, ossia la sostanza o l’oggetto soddisfa, per l’utilizzo specifico, tutti i requisiti pertinenti riguardanti i prodotti e la protezione della salute e dell’ambiente e non porterà a impatti complessivi negativi sull’ambiente o la salute umana

183, co.. 1, lett. p)18. Il nuovo art. 184 bis del t.u. ambiente, pre-

vede innanzitutto che la sostanza, per essere un sottoprodotto, debba essere originata da un processo di produzione, di cui costituisce par-te integrante, ed il cui scopo primario non sia la produzione di tale sostanza od oggetto. Come è già stato chiarito dalla comunicazio-ne del 21.2.2007 della Commissione CE19, lo scopo primario, di fatto, coincide con la “pro-duzione deliberata o meno del materiale, pro-prio al fine di tener distinti i prodotti indu-striali dai c.d. “sottoprodotti”20. Ogniqualvol-ta l’oggetto o la sostanza siano classificati come prodotto intenzionalmente, essi costitui-ranno “prodotti industriali” primari, mentre ciò che è prodotto non intenzionalmente sarà, a seconda dei casi, rifiuto o sottoprodotto.

La condizione relativa al fatto che il mate-riale debba essere parte integrante del proces-so produttivo, non pone insormontabili pro-blemi interpretativi: in estrema sintesi, sono certamente “parte integrante” della produzio-ne tutte quelle sostanze che decadono in via continuativa, periodica o comunque non sal-tuaria dal processo di produzione di un de-terminato bene intenzionalmente prodotto21. Basti pensare ai materiali di scarto e ai ca-scami di una industria metallurgica, ai prodot-ti chimici generati da una reazione diretta a sintetizzare un diverso composto, ai trucioli di un mobilificio, e gli esempi potrebbero continuare all’infinito.

Al contrario, non potrebbe invece essere considerato sottoprodotto tutto ciò che non sia originato con un minimo di regolarità dal ciclo produttivo, venendo generato solo in

18 Per una prima lettura ricostruttiva della nuova disciplina, si veda P. Giampietro, Rifiuti, Sottoprodotti e M.P.S. nella nuova direttiva CE, nel sito web Ambiente Diritto. It.. 19 Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo relativa alla comunicazione interpretativa sui rifiuti e sui sottoprodotti, 21.2.2007, Com 59 definitivo. 20 Si veda P. Giampietro, Quando un residuo produttivo va qualificato “sottoprodotto (e non “rifiuto”) secondo l’art. 5, della direttiva 2008/98/CE (Per una corretta attuazione della disciplina comunitaria), pubblicato in www.lexambiente.com. 21 In tal senso, cfr. CGCE 24.6.2008, causa-C188/07, con richiami alle più significative pronunce anteriori della stessa Corte.

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modo episodico. Si pensi ad esempio ad una partita di prodotti difettosi, o ad una sostanza generata da una reazione chimica fuori con-trollo: essi rappresentano una anomalia nel ciclo produttivo, e certo non ne sono parte in-tegrante.

Per quanto attiene alla necessità dell’impiego del sottoprodotto nel medesimo o in diverso ciclo produttivo, va evidenziato come la nuova nozione non renda più neces-sario che l’oggetto o la sostanza vengano im-piegati nel medesimo ciclo che lo ha origina-to, e neppure che siano destinati a produrre un diverso bene. Anche la diretta utilizzazione del residuo (ad esempio per la produzione di energia) non fa infatti venir meno la nozione di “sottoprodotto”, in presenza delle altre condizioni di legge22.

Deve essere poi certo che la sostanza o l’oggetto saranno utilizzati, nel corso dello stesso e/o di un successivo processo di produ-zione e/o di utilizzazione, senza alcun ulterio-re trattamento diverso dalla normale pratica industriale. Infine è necessario che l’ulteriore utilizzo sia legale, ossia che la sostanza o l’oggetto soddisfi, per l’utilizzo specifico, tut-ti i requisiti pertinenti riguardanti i prodotti e la protezione della salute e dell’ambiente e non porti a impatti complessivi negativi sull’ambiente o la salute umana.

È utile richiamare la norma UNI 1066723, tra l’altro richiamata nell’allegato 1 del d.m. 5.02.1998 dove vengono specificate le norme e gli standard prescritti per ciascun tipo di ri-fiuto e per ogni attività e metodo di recupero degli stessi. La norma UNI 10667-1 (edizio-ne.8.2010) classifica le materie plastiche pri-me-secondarie ottenute da recupero e riciclo di rifiuti di plastica, e si riferisce ai sottopro-dotti di materie plastiche nonché ai materiali,

22 Così, da ultimo, G. Garzia, “Corte di Giustizia, residui di produzione e nuova definizione di sottoprodotto nel correttivo”, in Ambiente e Sviluppo 4/2008. 23 La presente norma precisa che l'utilizzo di sottoprodotti in materie plastiche e di materie plastiche prime-secondarie all'origine e l'utilizzo di materie plastiche prime-secondarie conformi alle specifiche di tali norme, consente all'operatore che le produce, le trasporta, le riceve e le utilizza secondo le finalità della norma, di non sottostare alla disciplina che regola la gestione dei rifiuti.

alle sostanze ed agli oggetti di plastica gene-rati da cicli produttivi o di preconsumo che hanno le caratteristiche delle materie plasti-che prime-secondarie sin dall’origine (indica-te nel testo come “materie plastiche prime secondarie all’origine”) che l’industria uti-lizza per la produzione di miscele di materiali e/o di manufatti, nelle forme usualmente commercializzate, o per altri fini.

La norma, coordinata con il disposto dell’art. 184 bis del t.u. ambiente, è utile per chiarire che cosa possa dirsi per normale pra-tica industriale nella parte in cui precisa che la macinazione e la riduzione volumetrica per via meccanica non costituiscono trattamento e di conseguenza, rientrano nella normale pra-tica industriale.

Pertanto si nota come il recente inquadra-mento normativo generale sui sottoprodotti operato dalla dir. 2008/98/CE (anticipato e poi recepito dal t.u. ambiente e s.m.i. – art. 184-bis) è stato finalizzato a superare una si-tuazione d’incertezza giuridica ed operativa protrattasi per lungo tempo a causa dell’assenza di una nozione chiara di sotto-prodotto e di strumenti normativi omogenei utili a definire la linea di demarcazione tra i sottoprodotti e i rifiuti.

Si ricorda come per lungo tempo, infatti, l’unico riferimento normativo utile a livello comunitario in materia era quello relativo alla normativa speciale sui sottoprodotti di origine animale non destinati al consumo umano di cui al Reg. (CE) 1774/2002, ora disciplinati dai Regolamenti (CE) 1069/2009 e (UE) 142/201124.

Ora, dopo un intenso e lungo studio sulla materia, il legislatore ha definito puntualmen-te le condizioni atte a individuare quando un bene è ancora suscettibile di un utile impiego e quindi da ritenersi sottoprodotto, e non ri-fiuto, in ragione delle sue caratteristiche in-trinseche ed estrinseche e senza ulteriore ag-

24 Recante “disposizioni di applicazione del regolamento (CE) n. 1069/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio, recante norme sanitarie relative ai sottoprodotti di origine animale e ai prodotti derivati non destinati al consumo umano, e della direttiva 97/78/CE del Consiglio per quanto riguarda taluni campioni e articoli non sottoposti a controlli veterinari alla frontiera”.

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gravio in termini di impatti ambientali. In esito al tortuoso percorso regolatorio

sopra descritto, il corretto impiego di queste risorse ha finalmente trovato un adeguato in-quadramento normativo che può consentire a molti settori di coniugare le richieste di piena valorizzazione delle proprie risorse e materie prime, con gli obiettivi di minimizzazione del ricorso allo smaltimento ed evoluzione verso un’economia circolare delle risorse.

Come in molti sostengono25, il pieno sfrut-tamento dei sottoprodotti consente, infatti, di minimizzare il costo ambientale delle materie prime a monte delle filiere produttive, am-pliandone contemporaneamente la disponibi-lità e alimentando un processo virtuoso. Al tempo stesso, evita il ricorso a costose fonti di approvvigionamento alternative e costituisce un importante ambito di sviluppo per le attivi-tà di ricerca e innovazione tecnologica, for-nendo opportunità di crescita, competitività e creazione di valore aggiunto a settori cruciali per l’economia nazionale. Si deve però pur-troppo rilevare che le imprese in diversi casi sembrano generalmente restie a intraprendere l’iter procedurale per il riconoscimento dello status di sottoprodotto, nel timore di incorrere in contestazioni da parte degli organi di con-trollo, incompetenti ad applicare le recenti normative26.

3. Il sottoprodotto visto come materiale

non coinvolto nel processo produttivo. Considerato che “lo scopo primario del

processo di produzione” può prevedere uno o più prodotti industriali prestabiliti, si deve aggiungere, a questo punto, un’ulteriore spe-cificazione, in negativo: il sottoprodotto si ca-ratterizza e consiste, propriamente, in quella 25 Cfr. V. Paone, Sottoprodotti: una parola chiara della Cassazione, in Ambiente&Sviluppo, 2012, e G. Amendola, Sottoprodotto e normale pratica industriale: finalmente interviene la Cassazione, in www.lexambiente.it. 26 Sul punto cfr. D. Röttgen, in Fresato d’asfalto: sottoprodotto o rifiuto?, cit. in Rifiuti , Diritto e pratica amministrativa, Il Sole 24 Ore, ottobre 2013, il quale rileva: “ove una sostanza o un oggetto sia soggetto ad operazioni di trattamento nel corso dello stesso processo di produzione, queste non sono da considerarsi operazioni di ulteriore trattamento con la conseguenza che la loro effettuazione non osta alla classificazione dell’articolo come sottoprodotto”.

diversa27 sostanza che si genera, di fatto, dallo stesso processo produttivo organizzato, però, per un obiettivo “primario” distinto28.

Dalle osservazioni che precedono, può de-dursi un modus operandi per l’individuazione del sottoprodotto in tutte quelle vicende in cui, contestualmente alla realizzazione di uno o più “articoli” (beni o merci) principali, vo-luti e programmati (come “scopo primario della produzione”), si generano – con riferi-mento e/o a causa delle materie prime usate e/o in ragione delle tecnologie di processo adottate - materiali (“sostanze od oggetti”) - cui non era destinato primariamente il proces-so produttivo – i quali presentano, fin dall’origine, determinati caratteri merceologi-co - ambientali29 che ne consentono l’ulteriore utilizzo, differenziandosi, pertanto, dal comune residuo-produttivo, privo nor-malmente di questi attributi, tanto da dover essere, se del caso, “recuperato”.

Attualmente, con la certezza di un ulteriore utilizzo “legale” , ex art. 5, par. 1, lett. a) - d), anche il sottoprodotto è consapevolmente previsto e voluto dall’imprenditore, ovvia-mente non come obiettivo ”primario” del processo produttivo, ma come articolo secon-dario, rispetto ed in aggiunta ai “prodotti in-dustriali” del primo tipo, per i quali si è appo-sitamente programmato il processo di produ-zione (in termini di investimento, di tecnolo-gie di lavorazione, di resa commerciale).

Tale nozione di sottoprodotto presenta un passato nell’esperienza giuridica recente, che si può leggere nella giurisprudenza della Cor-te di Giustizia europea. La stessa ha circo-scritto, nel tempo, la categoria del “sottopro-dotto” in limitate ma decisive pronunce30, con riferimento a singole fattispecie, quali, per esempio il riutilizzo del coke da raffina-zione di petrolio ovvero l’impiego del letame spagnolo, nelle due successive sentenze della

27 Rispetto al prodotto industriale. 28 Cfr. V. Paone, La tutela del’ambiente e l’inquinamento da rifiuti, Milano 2008. 29 Quelli previsti dalle “condizioni” dell’art. 5 della direttiva e che sussistono soprattutto grazie alle materie prime lavorate e/o alle tecnologie, nello specifico, adottate. 30 Si veda per es., l’Ordinanza della CGCE del 15.1.2004, causa C – 235/2002, Saetti e Frediani, in Racc.

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CGCE dell’8.9.2005, causa C- 416/2002 e C- 12/2003, ecc.31.

4. L’intervento innovatore della Cassa-

zione penale, applicato al caso di specie. Proprio a dimostrazione del fatto che la de-

finizione di “sottoprodotto” ancora oggi è fonte di dubbi applicativi ed interpretativi, in questa sede si riporta una recente pronuncia della Corte di Cassazione Penale che ha cer-cato di fare chiarezza sul tema (Sent. n. 40109/2015). Certamente il tema interessa ogni impresa manifatturiera e non, i cui resi-dui di produzione, a seconda della presenza di certi requisiti, possono essere classificati co-me non-rifiuto/sottoprodotti, appunto e, quin-di, esser sottratti alla rigorosa disciplina (e al-le sanzioni) previste per la materia dei rifiuti.

Chiamata a pronunciarsi sulla specifica qualificazione di alcuni residui plastici pro-dotti da un'impresa operante nel recupero dei rifiuti, la Corte si è concentrata sulla ormai celebre nozione di “normale pratica indu-striale” e sui requisiti merceologici che il re-siduo produttivo deve soddisfare, affinché possa qualificarsi come sottoprodotto, anzi-ché come rifiuto32. L'art. 184-bis del t.u. am-biente, prescrive che il residuo produttivo debba essere “utilizzato direttamente senza alcun ulteriore trattamento diverso dalla nor-male pratica industriale” perché possa quali-ficarsi come sottoprodotto (co. 1 lett. c).

In mancanza di norme dettagliate sul pun-to, come sopra analizzato, la giurisprudenza amministrativa e penale sono intervenute per determinare cosa rientrasse nella nozione di “normale” pratica industriale, peraltro assu-mendo posizioni contrastanti, in particolare, riguardo ad alcune operazioni di trattamento sui residui plastici33. Secondo la giurispru-

31 Sul punto cfr. anche P. Giampietro, “ I nuovi criteri di individuazione del “sottoprodotto” secondo il Giudice Comunitario”, in www.ambientediritto.it. 32 Nota a Cass. n. 17453/2012, pubblicato sul n. 7/2012, Ambiente&Sviluppo; anche G. Gavagnin, La normale pratica industriale nell’interpretazione della Cassazione: chiarezza non ancora fatta, in Riv. Giur. dell’Ambiente, 2012, 6). 33 S. Rosolen, Normale pratica industriale: i chiarimenti della Cassazione, in Ambiente & Sicurezza, 2012, 12; anche S. Maglia, Normale pratica

denza penale, operazioni quali la cernita, la vagliatura, la frantumazione o la macinazio-ne, esulerebbero dalla nozione di normale pratica industriale, dovendosi intendere come “normale pratica” solo quegli interventi che l'impresa effettua tipicamente sulla materia prima che è stata sostituita dal sottoprodot-to34.

Di diverso avviso è, invece, il Giudice amministrativo, secondo il quale le operazio-ni di cernita e di selezione, non dovendosi considerare interventi di trasformazione pre-liminare, rientrano nella normale pratica in-dustriale35.

Con questa sentenza la Cassazione si alli-nea alla posizione indicata dai giudici ammi-nistrativi, comprendendo nella “normale pra-tica industriale” tutti i trattamenti che lascia-no inalterate le caratteristiche merceologiche del materiale e che servono al suo riutilizzo (quali ad esempio il semplice lavaggio, l'essi-cazione, la selezione, la macinazione, o la frantumazione dei residui). Certamente, come fondamenta della sentenza vi sono le norme UNI 10667 che specificano i requisiti tecnici per la qualificazione dei residui plastici come sottoprodotti. In particolare, la norma UNI 10667-1 stabilisce che la semplice macina-zione o altre operazioni di riduzione volume-trica per via meccanica dei residui rientrano nella normale pratica industriale. La Corte attribuisce una particolare rilevanza alla con-formità ai requisiti della norma UNI 10667, nonostante questa non sia (ancora) giuridica-mente vincolante per i sottoprodotti (diver-samente dalle materie prime-secondarie pla-stiche, i cui requisiti sono richiamati dal DM 1998).

Un siffatto riconoscimento, pur in assenza di un atto formale di recepimento, implica al-cune conclusioni.

La prima riguarda l'applicazione della per-centuale massima di “impurezza” affinché il residuo plastico sia conforme ai requisiti merceologici rilevanti e non dia luogo a im-patti complessivi negativi sull'ambiente o la

industriale: le contraddittorie e pericolose interpretazioni della Cassazione, in Ambiente & Sicurezza, 2012, 7. 34 Vedi Cassazione Penale, Sent. n. 17126/2015. 35 Vedi TAR Lombardia, Sent. n. 2182/2012.

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salute umana, così come richiesto dall'art. 184-bis, co. 1 lett. d) del t.u. ambiente. A tal proposito, la sentenza in esame richiama e-spressamente la definizione di sottoprodotto contenuta nella norma UNI 10667-1, secondo cui “i sottoprodotti di materie plastiche devo-no conformarsi ai “requisiti merceologici del settore (con riferimento alle eventuali perti-nenti norme della serie UNI 10667)” e non devono contenere sostanze estranee al mate-riale plastico superiori al 1%”.

La seconda, invece, si riferisce allo stru-mento con cui l'operatore è legittimato a pro-vare la “compatibilità ambientale” del proprio sottoprodotto in caso di contestazione da par-te degli Enti. In particolare, la Corte di Cas-sazione, richiamando i requisiti UNI 10667 anche per il sottoprodotto, avvalora la possi-bilità di dotarsi della certificazione attestante la conformità del residuo plastico alla norma-tiva UNI 10667 e quindi la natura di sotto-prodotto.

In definitiva, il sottoprodotto non richiede di essere sottoposto al trattamento di recupe-ro, altrimenti non rivestirebbe le caratteristi-che merceologiche e ambientali che lo carat-terizzano sin dal principio e che lo qualifica-no come tale, contrapponendolo e distinguen-dolo dal rifiuto (soggetto a trattamento di re-cupero, proprio perché, come “residuo pro-duttivo”, non possiede dette caratteristiche di qualità). Ma, al contempo, non è più previsto, in modo rigoroso, che il sottoprodotto sia uti-lizzato “tal quale”, poiché sono autorizzati trattamenti minimi, rientranti nella più ampia categoria della normale pratica industriale, come sopra identificata. Ove i residui della produzione industriale siano “ab origine” classificati da chi li produce come rifiuti, gli stessi devono ritenersi sottratti alla normativa derogatoria prevista per i sottoprodotti come definiti dall’art. 184 bis, t.u. ambiente, in quanto la classificazione operata dal produtto-re esprime quella volontà di disfarsi degli stessi idonea a qualificarli come rifiuti, in ba-se all'art. 183, co. 1, lett. a) del citato t.u..

Nel caso di specie, infatti i materiali in questione, al momento dell'arrivo presso l'a-zienda, erano tutti dotati di formulari di iden-tificazione dei rifiuti, in quanto era lo stesso produttore del rifiuto a qualificare gli stessi

materiali “in uscita” come rifiuto: pertanto ri-sultava da rigettare la tesi difensiva sostenuta dalla ricorrente, che sosteneva trattarsi non dì rifiuti ma di sottoprodotti, poiché i formulari di identificazione sarebbero serviti solo per la “tracciabilità” dei materiali.

Tirando le fila del discorso, questa senten-za della Cassazione Penale conferma i princi-pi applicativi, già in parte chiariti dalla giuri-sprudenza amministrativa, finalizzati alla classificazione dei residui di produzione co-me sottoprodotti, in assenza dei quali, gli ope-ratori si sono trovati spesso ad assumere la soluzione più conservativa, ossia di qualifica-re (e trattare) come rifiuto quello che, in real-tà, rifiuto non è per nulla.

5. Conclusioni.

Appare opportuno proporre qualche breve considerazione finale, sulle eventuali e future ricadute di questo recente orientamento giuri-sprudenziale. La dinamicità manifestata dagli Ermellini, purtroppo, spesso è dimostrata solo a parole, perché di fatto l’attività di preven-zione sui rifiuti è ostacolata sia da una norma-tiva mal scritta, che dal comportamento ec-cessivamente garantista della giurisprudenza prevalente36.

Sembra sfuggire ai protagonisti della poli-tica sui rifiuti ai fini della sua concreta attua-zione (quali il Legislatore, i Ministeri sia dell’Ambiente, che dello Sviluppo economi-co, e la Magistratura) che si potrebbe intra-prendere un’attività di salvaguardia e precau-zione sui rifiuti non solo attraverso la dilata-zione del ciclo di vita dei beni e delle merci, ma anche tramite la riduzione del ciclo dell’esistenza dei rifiuti stessi, prevedendo la disciplina delle condizioni in presenza delle quali, a prescindere dai determinati trattamen-ti, avviene la fine della qualifica di rifiuto; o, stabilendo i requisiti in base ai quali determi-nati residui di produzione possano essere dall’origine identificati come sottoprodotti, anziché come rifiuti. Innegabilmente lo status di sottoprodotto ha un ruolo decisamente rile-vante per il raggiungimento degli obiettivi della gerarchia dei rifiuti, e della stessa co-

36 Cfr. G. Amendola, Gestione dei rifiuti e normativa penale, Milano 2003.

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siddetta economia circolare. Ciononostante, la normativa di riferimento

non è stata scritta proprio a regola d’arte, così da risultare esposta alle più svariate interpre-tazioni in sede giurisprudenziale.

Probabilmente si inizia a intravedere un barlume di ordine in più su una materia così complessa e delicata, infatti siamo proprio oggi alla vigilia dell’approvazione di un nuo-

vo regolamento sulla fissazione delle “rego-le” per consentire la gestione in termini di sottoprodotti.

Si confida nella realizzazione di un prov-vedimento esaustivo, nel quale siano specifi-cati e chiariti in modo definitivo, i requisiti che identifichino alcune frazioni dei residui di demolizione come sottoprodotti, e non più, come rifiuti.

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LA VALORIZZAZIONE DEI BENI CULTURALI

dell’Avv. Paolo Turco

La valorizzazione dei beni culturali: fonti, principi e indirizzi giurisprudenziali. The promotion of cultural heritage : sources , principles and case law addresses. Sommario: 1. Definire il concetto di valorizzazione. 2. La Costituzione ed il Codice dei beni culturali e del paesaggio. 3. Le posizioni della giurisprudenza. 4. Conclusioni.

1.Definire il concetto di valorizzazione. La valorizzazione del patrimonio culturale

statale consiste nell’esercizio delle funzioni volte a promuovere la conoscenza del patri-monio nazionale e far si che il pubblico possa goderne e sviluppare un senso di cultura.

La valorizzazione comprende la conserva-zione dei beni culturali ambientali, incremen-tandone la fruibilità, la promozione e lo svi-luppo.

Con particolare rifermento al paesaggio, la valorizzazione riguarda la riqualificazione degli immobili e delle aree sottoposti a tutela, come pure la realizzazione di nuovi valori pa-esaggistici.

2. La Costituzione ed il Codice dei beni

culturali e del paesaggio. Già la Costituzione all’art 9 stabilisce che

“La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tu-tela il paesaggio e il patrimonio storico e ar-tistico della Nazione”, mentre, il Codice dei beni culturali e del paesaggio, ha fissato i principi delle attività sul patrimonio culturale italiano.

In particolare: la tutela che è ogni attività diretta a riconoscere, proteggere e conservare un bene del nostro patrimonio culturale affin-ché possa essere offerto alla conoscenza e al godimento collettivi.

La conservazione che è ogni attività svolta con lo scopo di mantenere l’integrità, l’identità e l’efficienza funzionale di un bene

culturale, in maniera coerente, programmata e coordinata. La valorizzazione che è ogni attività diretta a migliorare le condizioni di conoscenza e di conservazione del patrimonio culturale e ad incrementarne la fruizione pubblica, così da trasmettere i valori di cui tale patrimonio è portatore.

Orbene, mentre la tutela è di competenza esclusiva dello Stato, che detta le norme ed emana i provvedimenti amministrativi neces-sari per garantirla, la valorizzazione è svolta in maniera concorrente tra Stato e regione, e prevede anche la partecipazione di soggetti privati.

Infatti, ai sensi del Codice dei beni cultura-li e del paesaggio (art. 111), la valorizzazione dei beni culturali si consegue mediante la “costituzione ed organizzazione stabile di risorse, strutture o reti, ovvero nella messa a disposizione di competenze tecniche o risorse finanziarie o strumentali, finalizzate all'eser-cizio delle funzioni ed al perseguimento delle finalità” .

A tali attività possono concorrere, coope-rare o partecipare soggetti privati.

Più volte è stato posto l’accento su l’intervento dei cittadini per la valorizzazione dei beni culturali.

3.Le posizioni della giurisprudenza. La giurisprudenza precisa: Sul territorio

gravano più interessi pubblici: quelli concer-nenti la conservazione ambientale e paesag-

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gistica, la cui cura spetta in via esclusiva allo Stato e quelli concernenti il governo del terri-torio e la valorizzazione dei beni culturali ed ambientali, che sono affidati alla competenza concorrente dello Stato e delle Regioni. La tutela ambientale e paesaggistica, gravando su un bene complesso ed unitario, considera-to dalla giurisprudenza costituzionale un va-lore primario e assoluto, rientrante nella competenza esclusiva dello Stato, precede e comunque costituisce un limite alla tutela de-gli altri interessi pubblici assegnati alla com-petenza concorrente delle Regioni in materia di governo del territorio e valorizzazio-ne dei beni culturali e ambientali. TAR Ro-ma, (Lazio), II, 1.4,2014, n. 3577.

La giurisprudenza, poi, precisa, che: “l'at-tività di valorizzazione del bene culturale de-ve essere il frutto di un intervento coordinato che veda coinvolti tutti i soggetti pubblici in-teressati, l'attività di tutela rappresenta pre-rogativa esclusiva dello Stato, in quanto sog-getto proprietario del bene, che è quindi re-sponsabile primario della sua conservazione; del resto tale distinzione trae, fondamento anche nell'art. 117 co. 2, Cost., che appunto riserva alla competenza esclusiva dello Stato l'attività di tutela dei beni culturali, deman-dando, invece, alla competenza concorrente Stato-Regione l'attività di valorizzazione. CdS, IV, 7.6.2012, n. 3387.

Perfino le associazioni portatici di interessi diffusi possono concorrere alla tutela ed alla valorizzazione del patrimonio storico artistico e culturale.

Sul punto sempre la giurisprudenza ha chiarito:

L'interesse alla tutela e alla valorizzazione del patrimonio storico, artistico e cultura-le costituisca un interesse diffuso che assurge al rango di interesse collettivo attraverso l'individuazione di soggetti qualificati, e quindi di organismi collettivi che agiscono istituzionalmente e statutariamente per la sua tutela, e che di conseguenza, proprio per la particolarità del fine che perseguono, emer-gono dalla collettività indifferenziata e si fanno portatori delle istanze del gruppo so-ciale di cui sono esponenziali, sicché dall'in-teresse diffuso - in cui ciascun membro del gruppo che fruisce del bene di uso collettivo è

titolare di un interesse omogeneo rispetto a quello facente capo agli altri - si passa all'in-teresse collettivo, nel quale emerge un'orga-nizzazione che agisce a tutela di quell'inte-resse e che, come tale, diviene portatrice di una posizione soggettiva giuridicamente rile-vante che la legittima ad impugnare provve-dimenti amministrativi o ad opporsi a com-portamenti della pubblica Amministrazione che siano lesivi della posizione giuridica pro-tetta, sicché, in ordine ai requisiti che gli or-ganismi collettivi devono possedere perché siano legittimati a ricorrere avverso provve-dimenti lesivi dell'interesse collettivo di cui sono portatori, l'interesse diffuso si trasforma in interesse collettivo, e diventa quindi inte-resse legittimo tutelabile in giudizio, nel mo-mento in cui, indipendentemente dalla sussi-stenza della personalità giuridica, l'ente di-mostra la sua rappresentatività rispetto all'interesse che intende proteggere; rappre-sentatività che deve essere desunta da una se-rie di indici: occorre, dunque, in primo luo-go, che lo statuto preveda come fine istituzio-nale la protezione di un determina-to bene a fruizione collettiva, cioè di un dato interesse diffuso o collettivo; occorre poi, in secondo luogo, che, per organizzazione e struttura, l'ente sia in grado di realizzare le proprie finalità ed essere dotato di stabilità, nel senso che deve svolgere all'esterno la propria attività in via continuativa, assumen-do l'azione connotazioni tali da creare in ca-po all'ente una situazione sostanziale merite-vole di tutela, al fine di escludere la legitti-mazione a ricorrere delle c.d. "associazioni di comodo", la cui attività non riflette effetti-ve esigenze collettive; occorre, infine, che l'organismo collettivo sia portatore di un in-teresse localizzato, nella forma di uno stabile collegamento territoriale tra l'area di affe-renza dell'attività dell'ente e la zona in cui è situato il bene a fruizione collettiva che si as-sume leso, in applicazione del criterio della c.d. vicinitas. TAR Bologna, (Emilia-Romagna), I, 5.4.2016, n. 378.

4.Conclusioni. Pertanto, la valorizzazione dei beni cultu-

rali nella sua complessità trova ampia tutela non solo legislativa ma anche attraverso i

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pronunciati giurisprudenziali in materia, per realizzare in tutte le sue forme la valorizza-

zione dei beni culturali, che è un bene costi-tuzionalmente garantito.

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GIURISPRUDENZA

Consiglio di Stato Sez. III 11.3.2016 n. 980 Permesso di costruire - inutile decorso del termine entro cui i lavori si sarebbero dovuti iniziare e concludere - decadenza. È jus receptum (cfr., per tutti, CdS, IV, 7.9.2011 n. 5028; id., 11.4.2014 n. 1747; ma cfr. pure id., III, 4.4.2013 n. 1870), che la decadenza co-stituisce l’effetto automatico dell’inutile decor-so del termine entro cui i lavori si sarebbero dovuti iniziare e concludere. Pertanto, essa ha natura non già costitutiva, bensì dichiarativa con efficacia ex tunc d’un effetto verificatosi ex se e direttamente (giurisprudenza prevalente: cfr. CdS, IV, 4.3.2014 n. 1013). In tal modo va letto l’art. 15, c. 2, II per. del d.P.R. 380/2001, in virtù del quale, inutilmente decorsi detti ter-mini, «…il permesso decade di diritto per la parte non eseguita, tranne che, anteriormente alla scadenza, venga richiesta una proroga…». Restano così assorbite tutte le questioni su tal natura dichiarativa, nonché sulla necessità dell’avviso d’avvio del procedimento di deca-denza —del tutto superfluo nel caso in esame—, sulle quali il Collegio non può che condividere quanto statuito dal TAR. il co. 4, stabilisce che «… il permesso decade con l'entrata in vigore di contrastanti previsioni urbanistiche, salvo che i lavori siano già iniziati e vengano com-pletati entro il termine di tre anni dalla data di inizio…». Consiglio di Stato Sez. III 11.3.2016 n. 980 Impianto di telefonia mobile - stabile collegamento con la zona sulla quale sarà eseguita l’opera - legittimazione a ricorrere. In materia urbanistica e ambientale contro i provvedimenti abilitativi sono legittimati a ri-correre tutti coloro che hanno uno stabile col-legamento con la zona della quale fa parte il sedime sul quale sarà eseguita l’opera. In que-sto senso è la giurisprudenza consolidata sull’art. 31 della legge urbanistica n. 1150/1942, nel testo modificato dalla l. n. 765/1967 (cfr. da ultimo CdS n. 1210/2014);

ed è significativo che questa giurisprudenza si sia formata interpretando restrittivamente la formulazione della norma sopra citata, la quale attribuiva la legittimazione a ricorrere a «chi-unque». Si può aggiungere che in questo conte-sto s’intende avere uno «stabile collegamento» con una determinata zona il soggetto che è proprietario di immobili nella zona medesima oppure che, pur non essendo proprietario, vi ha la residenza. Questo è quanto affermato dal Consiglio di Stato Sez. III nella sentenza del 11.3.2016 n. 980 sulla cui base ha rigettato la censura proposta da un gestore di telefonia in quanto nella vicenda attenzionata "è, di fatto, questa la situazione nella quale si trovano i cinque privati cittadini ai quali la sentenza ap-pellata ha riconosciuto legittimazione ed inte-resse a ricorrere; per questa parte, dunque, la sentenza deve essere confermata.". "L’appellante, tuttavia, sostiene che i ricorrenti in primo grado non erano legittimati, in quanto le prescrizioni vincolistiche da essi invocate non erano state dettate specificamente a tutela di un qualche loro diritto o interesse individua-le, bensì genericamente a tutela di interessi “diffusi” appartenenti alla collettività indiffe-renziata. Questa tesi difensiva appare basata su un errore concettuale, in quanto ignora la di-stinzione fra l’interesse tutelato che conferisce la legittimazione a ricorrere e il vizio di legit-timità dedotto con il motivo d’impugnazione. Una volta riconosciuti la legittimazione e l’interesse a ricorrere (e questo è il caso) non è necessario che la norma che si assume violata coincida con quella da cui deriva il titolo del ricorrente. Quanto, infine, al fatto che il ricorso in primo grado era proposto da una pluralità di ricorrenti, non tutti ugualmente interessati (come ha ritenuto il TAR ritenendo ammissibile l’impugnazione solo con riguardo ad alcuni di loro) si osserva che non è questa una ragione sufficiente per giudicare inammissibile il ricor-so nel suo insieme. Una siffatta ragione d’inammissibilità si potrebbe ipotizzare solo

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qualora i soggetti che ricorrono collettivamente risultassero titolari di interessi non solo in qualche modo diversificati, ma altresì in reci-proco conflitto: tali cioè che la soddisfazione dell’uno comportasse necessariamente il sacri-ficio dell’altro. Ma non è questo il caso. Con-cludendo sul punto, il motivo di appello che ri-propone le eccezioni preliminari deve essere respinto. Nel merito, la decisione del T.A.R. – sorretta da un’ampia ed approfondita motiva-zione, che si può intendere qui riprodotta – de-ve ugualmente essere confermata. "E’ sufficien-te osservare che l’autorizzazione paesaggistica appare motivata in modo sommario e apoditti-co, senza precisi riferimenti ai valori ambienta-li e paesaggistici tutelati. Essa si sofferma semmai sulla presenza di “serre fatiscenti” quasi che si trattasse di un elemento idoneo a sminuire il valore paesaggistico del contesto ambientale, laddove appare chiaro che l’opera di cui si discute (un’antenna-torre dell’altezza di circa 10 metri) ha una visibilità e un impatto non confrontabile con quello delle vecchie ser-re, caratterizzate dalla precarietà e dalla mo-destissima altezza. D’altra parte va notato che la sentenza appellata non afferma che l’effetto dei vincoli sia tale da precludere in senso asso-luto la realizzazione dell’opera; si limita a se-gnalare che essi dovevano essere tenuti in con-siderazione e valutati ai fini del rilascio dell’autorizzazione paesaggistica, il che non è avvenuto. Quanto alla preesistenza di una simi-le antenna a breve distanza, si osserva che non è questo un elemento sufficiente per ritenere senz’altro assentibile la realizzazione di un se-condo manufatto analogo; semmai tale circo-stanza rendeva pertinente la censura – dedotta in primo grado dai ricorrenti e ritenuta fondata dal TAR – della omessa valutazione dell’ipotesi di “condivisione” o “coubicazione” degli im-pianti al fine di minimizzare l’impatto visivo. A quest’ultimo proposito l’appellante sostiene che la eventuale scelta della “coubicazione” pro-durrebbe risultati ancor meno accettabili sotto il profilo ambientale: ma si tratta evidentemen-te di argomenti opinabili e soggettivi, non ap-prezzabili nella presente sede di legittimità, mentre il vizio consiste nel fatto che nell’iter procedimentale l’ipotesi della condivisione non sia stata presa in considerazione e valutata nell’esercizio della discrezionalità amministra-

tiva." Consiglio di Stato Sez. VI 9.3.2016 n. 949 Abusi edilizi e sanatoria - rispetto dei due-cento metri dai cimiteri - salvaguardia. L’art. 338 del R.D. 27-7-1934 n. 1265 (Appro-vazione del testo unico delle leggi sanitarie) prevede, al co. 1, che “I cimiteri devono essere collocati alla distanza di almeno 200 metri dal centro abitato. E’ vietato costruire intorno ai cimiteri nuovi edifici entro il raggio di 200 me-tri dal perimetro dell’impianto cimiteriale, qua-le risultante dagli strumenti urbanistici vigenti nel comune o, in difetto di essi, comunque quale esistente in fatto, salve le deroghe e le eccezioni previste dalla legge”. L’invocato ultimo comma della norma prevede, poi, che “ All’interno del-la zona di rispetto per gli edifici esistenti sono consentiti interventi di recupero ovvero inter-venti funzionali all’utilizzo dell’edificio stesso, tra cui l’ampliamento nella percentuale massi-ma del 10 per cento e i cambi di destinazione d’uso, oltre a quelli previsti dalle lettere a), b), c) e d) del primo comma dell’art. 31 della l. 5.8.1978, n. 457”. Ciò posto, osserva in primo luogo la Sezione che la salvaguardia del rispet-to dei duecento metri prevista dal primo comma dell’art. 338 TULS costituisce un vincolo asso-luto di inedificabilità, che non consente in al-cun modo l’allocazione sia di edifici, sia di o-pere incompatibili col vincolo medesimo, in considerazione dei molteplici interessi pubblici che tale fascia di rispetto intende tutelare e che possono enuclearsi nelle esigenze di natura i-gienico sanitaria, nella salvaguardia della pe-culiare sacralità che connota i luoghi destinati alla inumazione ed alla sepoltura, nel mante-nimento di un’area di possibile espansione del-la cinta cimiteriale. Sul punto la giurisprudenza è costante ( cfr. CdS, V, 14.9.2010, n. 6671; 30.5.2007, n. 1935), affermandosi pure che es-so è tale da precludere il rilascio della conces-sione, anche qualora essa sia richiesta in sana-toria, senza necessità di compiere valutazioni in ordine alla concreta compatibilità dell’opera con i valori tutelati dal vincolo. E’ ben vero che l’art. 338 citato prevede ipotesi nelle quali la regola generale di cui al co. 1 non opera. Ciò, peraltro, determina che il vincolo assoluto di inedificabilità non sussista quando si è in pre-senza dei presupposti di operatività di tali ec-

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cezioni; ma non significa affatto che laddove le ipotesi derogatorie non siano configurabili il vincolo di cui al primo comma non conservi na-tura di inedificabilità assoluta, preclusivo, per l’effetto, al rilascio del condono edilizio ai sen-si dell’art. 33 della l. n. 47/1985. Consiglio di Stato Sez. VI 9.3.2016 n. 945 Permesso di costruire - nozione di pertinenza ai fini edilizi. L’art. 6 del d.P.R. n. 380 del 2001 prevede che occorre il permesso di costruire soltanto per gli interventi pertinenziali «che comportino la rea-lizzazione di un volume superiore al 20% del volume dell’edificio principale». La giurispru-denza del Consiglio è costante nel ritenere che a differenza della nozione civilistica di perti-nenza, ai fini edilizi il manufatto può essere considerato una pertinenza quando è non solo preordinato ad un’oggettiva esigenza dell’edificio principale e funzionalmente inseri-to al suo servizio ma anche sfornito di un’autonomo valore di mercato e non incida sul “carico urbanistico” mediante la creazione di un “nuovo volume” (CdS, Sez. IV, 2.2.2012, n. 615; Id. 31.12.2008, n. 6756; Id., 13.6.2006, n. 3490). Consiglio di Stato Sez. VI 9.3.2016 n. 944 Edificazione nella fascia di rispetto demania-le marittima - competenze dell’autorità ma-rittima - competenze del Comune. La vicenda giunta all'attenzione del Consiglio di Stato vede gli appellanti titolari di diritti rea-li di un immobile adibito a civile residenza im-pugnare il provvedimento emesso dall’Ammini-strazione comunale che ne ingiungeva la relati-va demolizione, per ritenuta violazione degli artt. 54 e 55 cod. nav. In particolare, il provve-dimento di ingiunzione è stato emesso in esito ad un sopralluogo nella proprietà degli appel-lanti nell’ambito del quale è stato rilevato che: - la particella oggetto dei diritti reali accorpe-rebbe, a mezzo di recinzione in pietra a secco, una zona demaniale marittima di circa 125 mq, con violazione dell’art. 54 del cod. nav. - il ma-nufatto adibito a civile abitazione sarebbe rica-dente per intero nella fascia di rispetto dema-niale di trenta metri, prevista dall’art. 55 del suddetto codice, dunque in una fascia ove non sono ammesse edificazioni. Il Consiglio di Stato

Sez. VI nella sentenza del 9.3.2016 n. 944 ha ritenuto fondato il motivo di appello diretto a contestare l’incompetenza del Comune ad adot-tare il provvedimento di demolizione dell’abitazione per violazione dell’art. 55 Cod. nav. (perché ricadente nella fascia di rispetto demaniale). Si legge nella parte motiva "Oc-corre evidenziare che gli artt. 54 e 55 Cod. nav. conferiscono all’autorità marittima e non al Comune il potere di ordinare la riduzione in pristino. Tale assetto di competenze, come evi-denzia lo stesso appellante, è stato in parte mo-dificato dall’art. 15, co. 4, della legge regiona-le 23.6.2006, n. 17, la quale dispone che “all’attuazione delle procedure di cui all’art. 54 del Codice della navigazione provvedono, in danno, i Comuni e, nei casi di conclamata iner-zia, la Regione attraverso le proprie strutture”. La disposizione non lascia dubbi in merito alla competenza comunale per la sola intimazione alla rimessione in ripristino nel caso previsto dall’art. 54, afferente l’occupazione di suolo demaniale. Nulla è previsto invece in relazione all’art. 55 del codice della navigazione, che di-sciplina la diversa ipotesi di edificazione nella fascia privata di trenta metri dal confine del demanio. Tale competenza comunale non può essere desunta, diversamente da quanto ritenu-to dal TAR, dall’art. 35 del d.P.R. n. 380 del 2001 che pure attribuisce ai Comuni una com-petenza in relazione alla demolizione degli a-busi edilizi realizzati sul suolo demaniale. La corretta applicazione dell’art. 35 d.P.R. n. 380 del 2001 potrebbe, al più, legittimare l’azione repressiva comunale ai fini della rimozione del muro prospiciente l’abitazione degli edifici ap-pellanti (che è l’unica opera edile asseritamen-te edificata sul demanio marittimo), non anche l’abitazione dei ricorrenti, che invece, secondo la stessa prospettazione del Comune, si trova su un terreno privato, ancorché ubicato nella fa-scia di rispetto demaniale." Il provvedimento di demolizione dell’abitazione, conclude il Colle-gio, ai sensi dell’at. 55 del Codice della navi-gazione deve, pertanto, essere annullato per in-competenza del Comune. Consiglio di Stato Sez. VI 9.3.2016 n. 936 Edilizia - variante in sanatoria - regola della doppia conformità. L’art. 36 del decreto del Presidente della Re-

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Uso del territorio: urbanistica, ambiente e paesaggio

Gazzetta Amministrativa -78- Numero 1- 2016

pubblica 6.6.2001, n. 380 (Testo unico delle di-sposizioni legislative e regolamentari in mate-ria edilizia) dispone che il permesso in sanato-ria è ottenibile soltanto «se l'intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione del-la domanda». L’amministrazione ha, pertanto, correttamente ritenuto necessario che, al fine di potere considerare la domanda come variante in sanatoria, fosse necessario la dimostrazione della doppia conformità. Né varrebbe rilevare che tale regola non sa-rebbe applicabile in presenza di “varianti pro-prie” né che fosse onere dell’amministrazione dimostrare la doppia conformità. In relazione al primo aspetto, l’art. 36 non pone limitazioni di sorta con riferimento all’ambito applicativo della regola della doppia conformità. In rela-zione al secondo aspetto, la domanda di sana-toria presuppone che la parte dimostri la con-formità delle opere alle prescrizioni urbanisti-che vigenti al momento della presentazione del-la domanda e al momento della realizzazione dell’opera. L’amministrazione valuta, poi, se la dichiara-zione è conforme a legge. Consiglio di Stato Sez. IV 18.2.2016 n. 650 Variante semplificata - esito positivo della Conferenza di servizi non è vincolante per il Consiglio Comunale. La Quarta Sezione del Consiglio di Stato nella sentenza del 18.2.2016 n. 650 ha, tra l'altro, af-fermato di "aderire al prevalente indirizzo giu-risprudenziale secondo cui, in tema di variante semplificata ex art. 5 del d.P.R. nr. 447/1998, l’eventuale esito positivo della Conferenza di servizi non è in alcun modo vincolante per il Consiglio Comunale, il quale, siccome organo titolare della potestà pianificatoria, resta pie-namente padrone della propria autonomia e di-screzionalità, potendo discostarsi dalla propo-sta di variante e respingerla senza alcun dovere di motivazione puntuale o “rafforzata”, in quanto l’esito della Conferenza non comporta il sorgere di alcun affidamento né di aspettative qualificate in capo al proponente (cfr. CdS, sez. VI, 4.11.2013, nr. 5292; id., sez. IV, 19.10.2007, nr. 5471; id., 27.6.2007, nr. 3772; id., sez. VI, 26.6.2007, nr. 3593; id., sez. IV,

14.4.2006, nr. 2170). Si aggiunge altresì che tali conclusioni non mutano neanche per il fatto che nel corso della Conferenza il rappresentan-te del Comune abbia assunto posizione favore-vole alla variante, circostanza che comunque non limita in alcun modo l’organo consiliare nelle sue determinazioni (cfr. CdS, Sez. VI, 27.7.2011, nr. 4498). Tale rigoroso indirizzo appare del tutto condivisibile, perché coerente con la natura di mera “proposta di variante” che il legislatore attribuisce alla determinazio-ne conclusiva della Conferenza, e quindi con l’ordinario assetto dei rapporti fra proposta e approvazione in sede di pianificazione urbani-stica, laddove è appunto al Consiglio Comuna-le che è di regola riconosciuta la valutazione globale e definitiva; d’altra parte, il nucleo del-la potestà pianificatoria non può essere limitato a mere valutazioni tecniche circa la compatibi-lità di determinate destinazioni urbanistiche con le caratteristiche di una specifica area, in-volgendo più complessive e globali scelte di governo del territorio, estese anche al suo as-setto generale ed al suo sviluppo de futuro ed involgenti giudizi latamente discrezionali: di modo che risulterebbe illogico e contradditto-rio, proprio in ipotesi di variante “semplifica-ta” (e, quindi, connotata da procedura accele-rata e meno garantita) menomare tale potestà riducendola alla sola possibilità di confutare nel merito le valutazioni tecniche della Confe-renza di servizi. Consiglio di Stato Sez. VI 19.2.2016 n.675 Territorio di interesse paesistico, archeo-logico o culturale - continuità dell'area ai fini dell'imposizione del vincolo indiretto. La Sesta Sezione del Consiglio di Stato nella sentenza del 19.2.2016 n. 675 ha affermato che "in base a un condiviso orientamento, ai fini dell’imposizione di un vincolo indiretto, la con-tinuità dell'area non deve essere intesa in senso solo fisico, né richiedere necessariamente una continuità stilistica o estetica fra le aree, ma può essere invocata anche a tutela della conti-nuità storica tra i monumenti e gli insediamenti circostanti; pertanto, nel caso di una vasta por-zione di territorio di interesse paesistico, ar-cheologico o culturale, non rileva il mero rap-porto di continuità fisica dei terreni ai fini della loro inclusione nell’area vincolata e il potere

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Gazzetta Amministrativa -79- Numero 1- 2016

discrezionale di cui l’amministrazione dispone nel fissare l’ampiezza del vincolo indiretto fina-lizzato a costituire una fascia di rispetto attor-no al bene archeologico oggetto di tutela diret-ta è sindacabile in sede di legittimità soltanto

per macroscopica incongruenza ed illogicità (in tal senso –ex multis -: CdS, VI, 6.9.2002, n. 4566; 17.10.2003, n. 6344; 19.1.2007, n. 111; 1.7.2009, n. 4270; 6.6.2011, n. 3354; 6.6.2011, n. 3354)".

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PARERI

Questa sezione della Gazzetta Amministrativa raccoglie la pare-ristica redatta dall’AVVOCATURA DELLO STATO

DOMANDA Acquisto e trasferimento tramite permuta di beni immobili tra Stato e Provincia Autono-ma di Bolzano. Il quadro normativo attual-mente vigente. Parere 20/11/2015-525489-525490, Al 29734/15, Avv. Massimo Savato-relli. RISPOSTA 1. Con la nota indicata in epigrafe l’Avvocatura Distrettuale di Trento, destina-taria di una richiesta di parere formulata dal-la Direzione Regionale del Trentino-Alto A-dige della Agenzia del Demanio relativamen-te all’atto di permuta di beni immobili tra Stato e Provincia Autonoma di Bolzano, ha ipotizzato per lo stesso una soluzione sulla quale, in considerazione della complessità, delicatezza e rilevanza di massima del quesi-to, chiede di conoscere l’avviso di questa Av-vocatura Generale. 1.1. Espone, in proposito, l’Avvocatura Di-strettuale che, già nel 2011, venne sottoscrit-to tra il Ministero dell'Interno, l'Agenzia del Demanio e la Provincia autonoma di Bolzano un Protocollo d'intesa per la razionalizzazio-ne e la riallocazione delle sedi della Polizia di Stato e dei Carabinieri nel Comune di Bressanone e in altri Comuni della provincia di Bolzano. L'intesa raggiunta - integrante, nella sostanza, un accordo ex art. 15 L. n. 241/90 - tendeva a far conseguire allo Stato la proprietà di immobili di soggetti terzi, pubblici e privati, attualmente condotti in lo-cazione passiva dal Ministero dell'Interno ed adibiti a caserme dell'Arma dei Carabinieri o

della Polizia di Stato; gli stessi dovevano es-sere acquistati dalla Provincia autonoma di Bolzano dai proprietari; quindi, previa even-tuale ristrutturazione e messa a norma, ceduti allo Stato a fronte della cessione alla Provin-cia stessa di immobili statali non più utilizzati per attività istituzionali. Sul piano negoziale, pertanto, l'operazione concordata si realizza-va attraverso la conclusione, in successione, di contratti tra loro funzionalmente collegati (acquisto della proprietà da parte della Pro-vincia autonoma di Bolzano degli immobili attualmente condotti in locazione dall'Ammi-nistrazione dell'Interno e successive permute con gli immobili statali). Dal punto di vista economico, l'accordo di programma risultava (e risulta) pertanto e-stremamente vantaggioso per lo Stato nella misura in cui: a) esonera lo Stato dai costi e dagli esborsi - nell'attuale contingenza economica non so-stenibili - connessi all'acquisizione diretta degli immobili in parola dai rispettivi pro-prietari - con i quali sarebbe impossibile rea-lizzare permuta alcuna, non avendo gli stessi, a differenza della Provincia, alcun interesse alla permuta con immobili statali; b) garantisce comunque, attraverso la permu-ta con la Provincia, l'acquisto, da parte dello Stato, della proprietà degli immobili in di-scorso nonché l'esecuzione, a spese e cura dell'Ente provinciale, delle opere e dei lavori eventualmente necessari per renderli piena-mente idonei e funzionali alla loro destina-zione d'uso; c) elimina ogni onere connesso alla locazione

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Gazzetta Amministrativa -81- Numero 1 - 2016

degli edifici consentendo, per il futuro, un ri-sparmio di spesa; d) assicura e rende stabile, nei termini e nella consistenza attuali, la presenza e la diffusione sul territorio provinciale delle Forze dell'Or-dine. Per altro verso, l'intervento, nel quadro di ta-le programma negoziale, appariva (e appare) di interesse per la Provincia, che - in un’ottica di collaborazione tra soggetti pub-blici - non solo consegue la proprietà di im-mobili che possono essere destinati alla sod-disfazione di già individuati interessi pubblici istituzionali, ma soddisfa anche un proprio autonomo interesse, concorrente e coinciden-te con quello dello Stato, di garantire la pre-senza delle Forze di polizia sul proprio terri-torio. 1.2. Coerentemente con il disegno perseguito con il menzionato Protocollo d’intesa, nel 2013 l'Agenzia del demanio sottoponeva al parere di legalità dell’Avvocatura distrettua-le di Trento un atto destinato a dare attuazio-ne alla prima fase del Protocollo stesso, con acquisto di quattro edifici all’epoca condotti in locazione dal Ministero degli Interni (nei quali risultano ubicati le caserme dei Cara-binieri di Badia, Chiusa e Valle Auri-na/Cadipietra e il Commissariato della Poli-zia di Stato di Bressanone ed il locale Distac-camento della Polizia stradale) e cessione di tre compendi statali (Carceri mandamentali di Bressanone, immobile "ex ANAS" di Bol-zano ed immobile "ex Villa Italia" di Merano) alla Provincia a fronte del trasferimento dei primi. L’Avvocatura distrettuale di Trento, pur introducendo alla bozza d’atto trasmessa talune integrazioni anche alla luce della normativa all’epoca vigente, lo approvava in linea legale con ampia e articolata motiva-zione. Detta ipotesi di accordo, tuttavia, non veniva mai perfezionata. 1.3. Con nota 29.4.2015 n. 2015/1313 l'Agen-zia del demanio ha ora nuovamente interes-sato l’Avvocatura distrettuale di Trento sot-toponendo ad esame di legalità una nuova bozza di atto la quale, ricollegandosi anch'essa al Protocollo d'intesa concluso nel 2011, riproduce, nella sostanza, lo (già ap-provato) schema negoziale del 2013 circo-scrivendo peraltro l'operazione a due soli immobili: l’edificio, attualmente di proprietà

della K.B. & C. s.a.s., sito in Bressanone e condotto in locazione dal Ministero dell'In-terno quale sede dei locali Commissariato della Polizia di Stato e Distaccamento della Polizia stradale, da un lato; e l'immobile di proprietà statale ubicato a Bolzano e deno-minato "Ex ANAS, via Cassa di Risparmio 21”, dall'altro. Il nuovo atto si compone di due parti, la pri-ma delle quali disciplinante l'acquisizione da parte della Provincia autonoma di Bolzano della proprietà dell'immobile privato sito in Bressanone; la seconda regolante la permuta tra detto immobile, divenuto di proprieta pro-vinciale, e quello di proprieta statale ubicato a Bolzano. A cagione del diverso valore degli immobili permutandi, lo scambio di beni tra lo Stato e la Provincia prevede un conguaglio a favore dello Stato di € 5.880,00=destinato ad essere versato dalla Provincia contestualmente alla stipula dell'atto. 2. Al fine di rendere il parere richiesto si rende pregiudizialmente necessaria una pun-tuale disamina del quadro normativo attual-mente vigente - in parte difforme da quello in vigore all’epoca in cui fu reso il precedente parere. Occorre in particolare darsi carico, per un verso, della normativa regolante l’acquisto di immobili da parte dello Stato e degli enti pubblici; per altro verso, di quella - anche di rango costituzionale - che disciplina il regime delle proprietà immobiliari dello Stato nel territorio della Regione Trentino-Alto Adige e della Provincia di Bolzano. È evidente che eventuali incertezze sulla realizzabilità in li-nea legale dell’operazione come oggi conce-pita potrebbero essere ostative al rilascio del richiesto visto in linea legale. 3.1. Sotto un primo profilo, va considerato che è oggi venuto meno, al 31.12.2013, il di-vieto di acquisto di immobili a titolo oneroso per tutte le Amministrazioni pubbliche inseri-te nel conto economico consolidato della p.A. stabilito dall'art. 12, co. 1-quater, del D.L. n. 98/2011 (norma che era stata oggetto di esa-me nel precedente parere reso dall’Avvo-catura distrettuale). La validità dell'atto ora all'esame va invece esaminata alla stregua dei limiti stabiliti, ri-spettivamente con decorrenza 1.1.2012 e

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Gazzetta Amministrativa -82- Numero 1- 2016

1.1.2014, dai commi 1, 1-bis e 1-ter del me-desimo art. 12. La prima di tali disposizioni dispone, per quanto qui interessa, che "a decorrere dal 10.1.2012 le operazioni di acquisto e vendita di immobili, effettuate sia in forma diretta sia indiretta, da parte delle amministrazioni in-serite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi del co. 3 dell'art. 1 della l. 31.12.2009, n. 196, con l'esclusione degli enti territoriali, degli enti previdenziali e degli enti del servi-zio sanitario nazionale, nonché del Ministero degli affari esteri con riferimento ai beni ubi-cati all'estero, sono subordinate alla verifica del rispetto dei saldi strutturali di finanza pubblica da attuarsi con decreto di natura non regolamentare del Ministro dell’eco-nomia e delle finanze". Il successivo co. 1-bis stabilisce invece, sem-pre per quanto qui interessa, che "a decorre-re dal 10.1.2014 nel caso di operazioni di ac-quisto di immobili, ferma restando la verifica del rispetto dei saldi strutturali di finanza pubblica, l’emanazione del decreto previsto dal co. 1 è effettuata anche sulla base della documentata indispensabilità e indilazionabi-lità attestata dal responsabile del procedi-mento. La congruità del prezzo è attestata dall'Agenzia del demanio, previo rimborso delle spese fatto salvo quanto previsto dal contratto di servizi stipulato ai sensi dell'art. 59 del d.lgs 30.7.1999, n. 300, e successive modificazioni". Il co. 1-ter dispone infine che "a decorrere dal 10.1.2014 al fine di perveni-re a risparmi di spesa ulteriori rispetto a quelli previsti dal patto di stabilità interno, gli enti territoriali e gli enti del Servizio sani-tario nazionale effettuano operazioni di ac-quisto di immobili solo ove ne siano compro-vate documentalmente l’indispensabilità e l’indilazionabilità attestate dal responsabile del procedimento. La congruità del prezzo è attestata dall'Agenzia del demanio, previo rimborso delle spese. Delle predette opera-zioni è data preventiva notizia, con l’indicazione del soggetto alienante e del prezzo pattuito, nel sito internet istituzionale dell'ente". In definitiva, e riassumendo, alla stregua della riportata disciplina: i) a decorrere dal 1.1.2012 le operazioni di

acquisto e di vendita di immobili da parte delle Amministrazioni pubbliche diverse dagli enti territoriali, dagli enti previdenziali, dagli enti del Servizio Sanitario Nazionale e dal Ministero degli Affari Esteri - limitatamente, per quest’ultimo, ai beni immobili ubicati all'estero - sono subordinate: a) alla verifica del rispetto dei saldi struttura-li di finanza pubblica (co. 1) e, a decorrere dal 1.1.2014 e relativamente alle sole opera-zioni di acquisto; b) alla documentata indispensabilità e indila-zionabilità dell'operazione attestata dal re-sponsabile del procedimento e c) alla attestazione, da parte dell'Agenzia del demanio, della congruità del prezzo (co. 1-bis); ii) a decorrere dal 1.1.2014 le operazioni di acquisto di immobili da parte degli enti terri-toriali e degli enti del Servizio Sanitario Na-zionale sono condizionate: a) alla documentata indispensabilità e indila-zionabilità dell'operazione attestata dal re-sponsabile del procedimento e b) alla attestazione, da parte dell'Agenzia del demanio, della congruità del prezzo (co. 1-ter). 3.2. Una prima indagine riguarda la validità dell’atto di compravendita che la Provincia autonoma di Bolzano andrà a concludere con il privato proprietario dell’immobile attual-mente condotto in locazione dall’Ammi-nistrazione degli Interni, e destinato alla suc-cessiva permuta. Benché, infatti, quest’ultima, sia estranea a detto negozio, è incontestabile che un eventu-ale vizio che affliggesse lo stesso - rientrando nel complesso schema negoziale costituito dai contratti funzionalmente collegati di cui si è sopra riferito - non potrebbe che ricadere sulla validità ed efficacia del connesso atto di acquisto da parte dello Stato (e, per esso, dell’Agenzia del demanio). Orbene, sembra che la validità della compra-vendita non possa essere contestata. Infatti, l'acquisto disciplinato nella Parte I dell'atto in esame è anche adesso consentito, quanto alla Provincia, dall'art. 8 della Legge provinciale 17.9.2013, n. 12, il quale esplici-tamente esclude le "acquisizioni di immobili finanziati in tutto o in parte dalla Provincia autonoma" - che pure figura anche oggi tra le

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Amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica Ammi-nistrazione (v., da ultimo, il comunicato ISTAT del 30.9.2015) - dall'applicazione dell'intero art. 12 del d.l. n. 98/2011 e, quin-di, anche dei limiti alle operazioni di acquisto degli enti territoriali ora stabiliti, con decor-renza 1.1.2014, dal co. 1-ter del citato decre-to-legge. Tutto ci consente dunque di ritenere legittima la compravendita in questione escludendo di conseguenza riflessi negativi sulla validità della permuta destinata ad essere conclusa sul presupposto di quella. Come già evidenziato nella precedente con-sultazione, appare comunque opportuno men-zionare nelle premesse dell'atto anche la L.P. n. 12/2013 la quale, come s'è detto, legittima, sul piano normativo, l'acquisizione immobi-liare finanziata dalla Provincia. 3.3. Più complessa è invece la disamina rife-rita alla (successiva) permuta progettata tra lo Stato e la Provincia auto-noma di Bolzano, posto che la legittimità del-la stessa va valutata non soltanto alla luce delle norme limitative di cui ai commi 1 e 1-bis del già citato art. 12 del d.l. n. 98/2011, ma, ancor prima, alla stregua delle previsio-ni, contenute nello Statuto, nelle relative Di-sposizioni di attuazione e nelle norme statali, che regolano il trasferimento alle Province autonome di Trento e di Bolzano dei beni immobili demaniali e patrimoniali dello Stato e della Regione. 3.3.1.1. Sotto questo profilo vengono dunque in primo luogo in considerazione gli artt. 67 e 68 del d.P.R. 31.8.1972, n. 670 - recante ap-provazione del Testo Unico delle leggi costi-tuzionali concernenti lo Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige - i quali, per quanto qui interessa, rispettivamente stabiliscono che: a) "i beni immobili patrimoniali dello Stato situati nella regione sono trasferiti al patri-monio della regione" (art. 67, co. 2); b) "nelle norme di attuazione della presente legge saranno determinate le modalità per la consegna da parte dello Stato dei beni suin-dicati" (art. 67, co. 3); c) "le province, in corrispondenza delle nuo-ve materie attribuite alla loro competenza, succedono, nell'ambito del proprio territorio,

nei beni e nei diritti demaniali e patrimoniali di natura immobiliare dello Stato e nei beni e diritti demaniali e patrimoniali della regione, esclusi in ogni caso quelli relativi al demanio militare, a servizi di carattere nazionale e a materie di competenza regionale" (art. 68). L'art. 108, co. 3, del d.P.R. n. 670/1972 ri-mette poi a specifiche norme di attuazione la determinazione dei beni di cui all'art. 68 che passano alle province, nonche le modalità per la consegna dei beni stessi. In attuazione delle norme statutarie testé ci-tate è stato perci. emanato il d.P.R. 20.1.1973, n. 115 il quale, come poi novella-to, integrato e modificato dal d.lgs. 21.12.1998, n. 495, ha appunto disciplinato il trasferimento alle province autonome di Trento e di Bolzano dei beni demaniali e pa-trimoniali dello Stato e della Regione. Le norme di attuazione identificano i beni e i diritti demaniali e patrimoniali di natura im-mobiliare dello Stato (v. artt. 1, 2, 8 e 9) non-ché i beni e i diritti demaniali e patrimoniali della Regione (v. art. 4) da trasferire alle due Province autonome nonche il procedimento amministrativo da seguire per l'individuazio-ne - mediante elenchi da formarsi d'intesa tra le parti - e il successivo trasferimento - me-diante redazione di un semplice verbale di consegna – di detti beni e diritti (v. artt. 3, 5, 6 e 8). In particolare, l’art. 9 del d.P.R. n. 115/1973 - nel testo cosi sostituito dall'art. 1 del d.lgs. n. 495/1998 - dispone che "ai sensi dell'art. 67, secondo comma, e 68 del decreto del Pre-sidente della Repubblica 31.8.1972, n. 670, i beni e i diritti di natura immobiliare costituenti il patrimonio disponibile dello Sta-to, che non siano trasferibili alla regione in corrispondenza alle funzioni ad essa attribui-te dallo statuto di autonomia, sono trasferiti alle province di Trento e di Bolzano secondo le modalità previste nell'art. 8". L'art. 11, co. 3, del d.P.R. n. 115/1973 (come novellato) prevede infine una ricognizione periodica, a cadenza quinquennale, ai sensi e per gli effetti dei citati artt. 67 e 68 dello Sta-tuto speciale di autonomia, dei "beni non più necessari per la difesa dello Stato o per ser-vizi di carattere nazionale", da trasferire alla regione o alle province territorialmente inte-ressate secondo i criteri di cui all'art. 9 con-

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siderando comunque non più necessari "i be-ni non utilizzati in tutto o in parte prevalente da almeno dieci anni, salvo che sia stata de-cisa nelle forme di legge la ripresa della loro utilizzazione per la difesa o per servizi di ca-rattere nazionale". Il quadro normativo di derivazione statutaria si completa poi con la previsione di cui all'art. 2 del d.lgs. n. 495/1998 a mente del quale, oltre ai beni immobili e ai diritti reali immobiliari dello Stato indicati negli elenchi allegati allo stesso decreto legislativo (co. 1), sono altresi trasferiti alle province autonome "i beni appartenenti alle amministrazioni del-lo Stato, anche ad ordinamento autonomo, che alla data del 1.7.1998 risultino non utiliz-zati per attività istituzionali da almeno venti anni". 3.3.1.2. Dal complesso delle riportate dispo-sizioni risulta dunque che l'individuazione dei beni e dei diritti dello Stato suscettibili di tra-sferimento alle Province autonome di Trento e di Bolzano avviene secondo due distinte modalità. 3.3.1.3. Nel primo caso, l'individuazione è operata direttamente dalle norme statutarie o da quelle di attuazione, le quali identificano non soltanto le categorie (astratte) di beni statali da trasferire, ma anche i beni stessi che vengono a tal fine indicati in appositi e-lenchi allegati allo stesso decreto presiden-ziale o legislativo di attuazione (art. 1 del d.P.R. n. 115/1973 e art. 2, co. 1, del d.lgs. n. 495/1998). In questa ipotesi pu. ritenersi che, trattandosi di beni già specificamente e pun-tualmente individuati dalla legge, il diritto delle Province al trasferimento sorga imme-diatamente, per effetto della sola e semplice inclusione dei beni negli elenchi allegati ai decreti di attuazione delle previsioni statuta-rie. In questo contesto, i verbali di consegna assolvono pertanto alla mera funzione di tra-sferire alle Province il posse sso di beni la cui proprietà, in conformità ai principi e alle regole del sistema tavolare vigente nei terri-tori dell'ex Impero austro-ungarico (v. r.d. 28.3.1929, n. 499), passerà peraltro agli Enti territoriali solo al momento dell'iscrizione del verbale - il quale, per espressa previ-sione di legge, costituisce titolo per l'intavolazione (v. artt. 6, co. 1, 8, co. 3, 11, co. 3, d.P.R. n. 115/1973 e 2, co. 2, d.P.R. n. 495/1998) - nel

libro fondiario. 3.3.1.4. Nel secondo caso, lo Statuto o le norme di attuazione si limitano invece ad in-dicare soltanto la categoria o la natura dei beni statali da trasferire. Qui, la concreta individuazione è poi rimessa ad intese tra le Amministrazioni dello Stato e le Province di volta in volta interessate ed a-gli elenchi di beni in esito a dette intese a tal fine formati (artt. 8 e 9 del d.P.R. n. 115/1973 e art. 2, co. 2, del d.lgs. n. 495/1998). In questa ipotesi, trattandosi di beni determi-nati solo nel genere (per categorie o secondo la natura), è ragionevole ritenere che il dirit-to delle Province al trasferimento sorgerà so-lo all'esito del procedimento di individuazio-ne e con riferimento ai (soli) beni effettiva-mente inclusi negli elenchi a tal fine formati d'intesa tra le parti, conformemente, del re-sto, alla regola generale di diritto comune (v. art. 1378 cod. civ.). Regola generale che, nella fattispecie, va pe-raltro coordinata con l'altra, di diritto spe-ciale, testé ricordata, di cui all'art. 2 del R.D. n. 499/1929 in base alla quale nel regime ta-volare l'acquisto del diritto di proprietà pre-suppone comunque la previa intavolazione del relativo titolo (nella specie costituito, co-me s'è detto, dal verbale di consegna). Ma non solo, poiché la stessa individuazione pu. essere per cosi dire statica o dinamica, a seconda che essa si riferisca ai beni apparte-nenti alle indicate tipologie o aventi comun-que le prescritte caratteristiche alla data di entrata in vigore delle norme statutarie o di attuazione, ovvero ad una diversa data speci-ficamente determinata (v., ancora una volta, l'art. 2, co. 2, del d.lgs. n. 495/1998 che fa ri-ferimento ai beni statali che alla data del 1.7.1998 non risultino utilizzati per attività istituzionali da almeno un ventennio), ovvero ancora a beni da identificarsi, alla stregua dei requisiti di legge, in esito a periodiche ri-cognizioni (cos. l'art. 11, co. 3, del d.P.R. n. 115/1973). 3.3.2. Il complesso normativo appena illu-strato - e la "riserva di acquisizione" dei beni statali a favore delle Province autonome san-cita dallo Statuto e dalle disposizioni di deri-vazione statutaria - trova conferma nella le-gislazione nazionale la quale ribadisce che "i beni immobili ed i diritti reali sugli immobili

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Gazzetta Amministrativa -85- Numero 1 - 2016

appartenenti allo Stato, situati nei territori delle regioni a statuto speciale, nonché delle province autonome di Trento e di Bolzano, sono trasferiti al patrimonio dei predetti enti territoriali nei limiti e secondo quanto previ-sto dai rispettivi statuti. Detti beni non pos-sono essere conferiti nei fondi di cui al co. 86, né alienati o permutati" (cos. l'art. 3, co. 114, della 1. 23.12.1996, n. 662). 4. Questo essendo il quadro normativo, oc-corre dunque ora stabilire se l'atto all'esame e, ancor prima, il Protocollo d'intesa del qua-le esso costituisce attuazione, siano o meno compatibili con le norme di rango paracosti-tuzionale - lo Statuto di autonomia e le Di-sposizioni di attuazione - od ordinario - la legge statale - in precedenza richiamate. Ove, infatti, si ritenesse che il contratto di permuta si pone in contrasto con le norme di cui sopra o perché direttamente confliggente con esse o perché strumento per eluderne l'applicazione, potrebbe ravvisarsene la nulli-tà ex art. 1418, co. 1, cod. civ. o ex artt. 1344 e 1418, co. 2, cod. civ. perché contrastante con norme imperative ovvero perché in frode alla legge. In tal caso, il contratto di permuta eventual-mente concluso rimarrebbe esposto ad azione di nullità, poiché potrebbe sostenersi che la Provincia ha acquistato a titolo oneroso un bene patrimoniale disponibile dello Stato in ipotesi non più necessario a fini pubblici sta-tali - come appunto quello, già sede degli uf-fici dell'ANAS di Bolzano, oggetto della per-muta progettata - che, ai sensi del combinato disposto degli artt. 9 e 11, co. 3, del d.P.R. n. 115/1973, la stessa aveva diritto di acquisire ex lege e a titolo gratuito: e pretendere quin-di, ex artt. 2037 e 2033 cod. civ., e salvi gli effetti dell'usucapione e della prescrizione dell'azione di ripetizione eventualmente me-dio tempore maturate (v. art. 1422 cod. civ.), la restituzione dell'immobile indebitamente trasferito in permuta allo Stato (e del con-guaglio pagato). Tale tesi appare tuttavia superabile alla luce delle considerazioni che seguono. La vicenda traslativa all'esame può infatti ragionevolmente ritenersi esulare dall'ambito di applicazione della normativa richiamata. 5. E, invero, malgrado il richiamo al d.P.R. n. 115/1973 contenuto nel preambolo del Proto-

collo d'intesa di cui essa costituisce sviluppo ed attuazione, l’atto di cui si tratta sfugge, proprio per le connotazioni contrattuali ed onerose che lo caratterizzano, all'ambito di applicazione del complesso normativo di cui al d.P.R. n. 115/1973 e al d.lgs. n. 495/1998 il quale disciplina al contrario il trasferimen-to, ex lege e a titolo gratuito, dallo Stato alle Province autonome di Trento e di Bolzano, di beni immobili statali individuati, d'intesa tra le parti, all'esito del procedimento ammini-strativo di ricognizione previsto e regolato dalla richiamata normativa di attuazione del-lo Statuto speciale di autonomia. 5.1. Per un verso, va preso atto che siffatto modulo procedimentale – destinato a conclu-dersi con l'individuazione concordata dei be-ni e dei diritti immobiliari statali da trasferire alle Province autonome e la cui attivazione resta pur sempre rimessa all'autonoma e concorde iniziativa delle parti - non si è allo stato realizzato, e in ogni caso non ha ri-guardato i beni di cui si tratta. I beni e i dirit-ti in questione debbono pertanto ritenersi pienamente e liberamente disponibili e nego-ziabili inter partes nelle forme proprie e tipi-che del diritto comune. Va infatti rammentato che, secondo quanto chiarito in precedenza, nel caso di beni, come nel caso, diversi da quelli specificamente in-dicati negli elenchi allegati ai decreti di at-tuazione dello Statuto di autonomia, il diritto al trasferimento delle Province sorge solo e soltanto al momento in cui, all'esito del pro-cedimento amministrativo all'uopo previsto, le parti provvedono, d'intesa tra loro, all'in-dividuazione e all'inclusione negli elenchi a tal fine formati dei beni in concreto da trasfe-rire. Ragion per cui prima di quel momento - prima, cioè, del perfezionamento della fatti-specie costitutiva del diritto al trasferimento - non esiste alcuna posizione giuridica sogget-tiva delle Province meritevole di tutela e i beni statali rientrano pertanto pienamente nella disponibilità dello Stato. Ci., anche alla luce del principio generale (in linea con il già rammentato disposto dell’art. 11, co. 3, del d.P.R. n. 115/1973) secondo il quale, fino all’avvenuta identificazione in contraddittorio dei beni da trasferirsi, è pur sempre consentito allo Stato di individua-re tra i beni di proprietà temporaneamente

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non utilizzati quelli che si rivelino suscettibili di (nuova) utilizzazione per fini di utilità sta-tale. Non ha poi certamente secondario rilievo la circostanza che la Provincia, nella valutazio-ne dell’interesse pubblico di propria compe-tenza, ha sempre ritenuto pacificamente non applicabili nella fattispecie le disposizioni su cui si è fin qui discusso, ritenendo il bene non solo di proprietà dello Stato, ma anche libe-ramente dallo stesso disponibile, e ravvisan-do altres. un forte interesse alla conclusione dell’operazione. 5.2. Né, per la medesima ragione, pare assu-mere valenza ostativa al divisato negozio la norma di cui al co. 114 dell'art. 3 della L. n. 662/1996 la quale, dopo aver ribadito in ter-mini generali e riferiti a tutte le Regioni a statuto speciale quanto già stabilito dallo Statuto del Trentino Alto Adige e dalle relati-ve norme di attuazione in tema di trasferi-mento alle Province autonome di Trento e di Bolzano dei beni demaniali e patrimoniali dello Stato ubicati nel territorio della Regio-ne, pone un divieto di alienazione o di permu-ta. Esso infatti, avuto riguardo alla ratio del-la disposizione e al contesto normativo-statutario cui la stessa fa esplicito riferimen-to, sembra logicamente riguardare unicamen-te l'alienazione o la permuta a favore di sog-getti terzi diversi da quelli che sono, per vo-lontà del Legislatore statutario e nazionale, gli unici, legittimi destinatari dei trasferimen-ti aventi ad oggetto le realità in esame - vale a dire, a seconda dei casi, le Regioni a Statu-to speciale o le Province autonome di Trento e di Bolzano. Un tale divieto, dunque, non preclude che al medesimo risultato le parti (e, segnatamente, la Provincia autonoma, che se ne accolla il relativo costo) decidano nella loro autonomia di pervenire - eventualmente anche a titolo oneroso, qualora l'interesse pubblico, come nel caso, consigli - secondo schemi negoziali di diritto privato, raggiun-gendo pertanto le comuni finalità in termini temporali assai più contenuti. Le argomentazioni che precedono inducono dunque a superare i dubbi di validità del ne-gozio sotto i profili ora esaminati. 6. Né appaiono in alcun modo ostativi alla apposizione del visto di legalità i problemi derivanti dai commi 1 e 1-bis dell'art. 12 del

d.l. n. 98/2011 con riguardo alla circostanza che, in ragione del diverso valore degli im-mobili permutati,lo scambio di beni tra lo Stato e la Provincia si concluderebbe con un saldo attivo a favore dello Stato di € 5.880,00= destinato ad essere ripianato dalla Provincia in numerario contestualmente alla stipula dell'atto. Effettivamente, la rilevata disparita di valori, peraltro assolutamente marginale nel quadro economico complessivo dell'operazione, esclude che la permuta in parola possa definirsi "pura", essendo co-munque previsto un sia pur modesto congua-glio a favore dello Stato. Cionondimeno questa Avvocatura ritiene che tale circostanza non sia di impedimento alla conclusione del contratto, atteso che i limiti alle operazioni di acquisto e di vendita di immobili - e la permuta è, a tutti gli effetti, un atto che comporta, contestualmente e reci-procamente, la cessione e l'acquisizione di beni - ora stabiliti dai commi 1 e 1-bis dell'art. 12 cit. ben possono ritenersi non o-peranti né relativamente alle permute a pari-tà di prezzo, né relativamente alle permute con conguaglio di prezzo a favore dell'Ammi-nistrazione pubblica. L'esclusione delle per-mute senza conguaglio dall'ambito di appli-cazione delle citate disposizioni pare invero difficilmente revocabile in dubbio per due or-dini di ragioni tra loro intimamente correlate e connesse. In primo luogo, perché le permu-te c.d. pure, essendo finanziariamente neutre, sono prive, per definizione, di qualsiasi inci-denza sui saldi strutturali di finanza pubbli-ca; in secondo luogo, perché, se le permute a parita di prezzo sfuggivano - per l'anzidetta ragione - al divieto - assoluto - di acquisto stabilito dal co. 1-quater dell'art. 12 del d.l. n. 98/2011 come autenticamente interpretato dall'art. 10-bis del d.l. n. 35/2013, a fortiori deve ritenersi che, una volta venuto meno quel divieto, esse non soggiacciano neppure ai limiti alle operazioni di acquisto e vendita ora stabiliti dai commi 1 e 1-bis del citato de-creto legge. Ma, ad avviso di questa Avvocatura, anche le permute nelle quali, e come nella fattispecie, sia previsto un conguaglio a favore dell'Am-ministrazione statale esulano dall'ambito di applicazione di quei limiti nella misura in cui, a ben vedere, risultano anch'esse finan-

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ziariamente neutre non comportando alcun esborso di denaro pubblico da parte dell'amministrazione permutante e, quindi, ancora una volta, alcun negativo riflesso sui saldi strutturali di finanza pubblica. E se è vero che il minor valore del bene ac-quisito in permuta comporta una diminuzione del valore complessivo del patrimonio immo-biliare pubblico, è per. altrettanto vero che tale diminuzione patrimoniale è integralmen-te compensata dal conguaglio previsto. Del resto, i limiti stabiliti dalle norme in commento paiono – esclusivamente - riferiti ad operazioni immobiliari - di vendita o di acquisto - che comportano non soltanto un'immediata ed effettiva incidenza negativa sui saldi strutturali di finanza pubblica, ma anche un concreto esborso di denaro pubbli-co, com'è reso evidente dal ripetuto riferi-mento in quelle norme contenuto ad un ele-mento quale il prezzo - la cui congruità deve formare oggetto di attestazione da parte dell'Agenzia del demanio ed il cui ammontare deve essere reso noto mediante pubblicazione sul sito internet istituzionale dell'ente acqui-rente - tipico della compravendita ed estra-neo allo schema negoziale della permuta. Per queste ragioni appare perci. sostanzial-mente rispettata la ratio del divieto di acqui-sto e vendita di immobili a titolo oneroso - e della correlata deroga relativamente alle permute a parità di prezzo nonche delle per-mute senza oneri a carico del bilancio dello Stato - individuabile nell'esigenza di garanti-re e presidiare l'invarianza dei saldi di bilan-cio evitando ogni operazione negoziale che comporti o possa comportare - come le com-pravendite e le permute con un conguaglio a carico dell'amministrazione pubblica - esbor-si di danaro pubblico: e per questo aspetto la permuta in parola, prevedendo un conguaglio a favore dello Stato, rappresenta perci. un'o-perazione priva, in definitiva, di impatti sui saldi strutturali di finanza pubblica del tipo di quelle contemplate dall'Allegato A del d.m. 16.3.2012 di attuazione del co. 1 dell'art. 12 del citato d.l. n. 98/2011. Il d.m. in questione prevede, tra l'altro - art. 2, co. 7 -, che "le disposizioni di cui all'art. 12, co. 1, del d.l. 6.7.2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla l. 15.7.2011, n. 111, non si applicano alle procedure di vendita e

di acquisto in corso, avviate ... per effetto di delibere assunte, entro il 31.12.2011, dai competenti organi dei predetti enti e che indi-viduino con esattezza i compendi immobiliari oggetto delle operazioni". Nulla esclude pe-raltro che l'operazione in parola - assimilabi-le, come s'è detto, a quelle prive di impatto sui saldi strutturali di finanza pubblica previ-ste dall'Allegato A al d.m. 16.3.2012 - formi oggetto, al pari di quelle, e come previsto dall'art. 2, co. 5, del d.m. citato, di preventiva comunicazione al Ministero dell'economia e delle finanze - Dipartimento del tesoro e Di-partimento della Ragioneria generale dello Stato - e di successiva attuazione in assenza di osservazioni nel termine di trenta giorni dalla relativa comunicazione. 7.1. Con riferimento, poi, alla bozza d'atto trasmessa, giova osservare che non vi si rin-viene una clausola contenente una condizione sospensiva analoga a quella contenuta nella bozza predisposta nel 2013. Tale pattuizione risulta invece, ad avviso di questa Avvocatura, necessaria, nella misura in cui essa rafforza e garantisce la posizione dello Stato subordinando l'efficacia del tra-sferimento alla Provincia del bene di proprie-tà statale alla previa intavolazione, a favore dello Stato, dell'immobile di proprietà rovin-ciale oggetto di permuta nonché all'accerta-mento, in via formale, dell'avveramento di tutte le altre condizioni allora indicate (acca-tastamento nella categoria B 1, verifica di i-doneità alla destinazione sotto il profilo ur-banistico ed edilizio, regolare esecuzione di lavori eventualmente pattuiti). 7.2. Alla luce delle osservazioni tutte svolte nella trattazione che precede appare inoltre vivamente raccomandabile che, nelle premes-se dell’atto, si indichi espressamente: • che la Provincia ravvisa nella realizzazione dell’operazione in discorso uno specifico in-teresse anche ad essa proprio con riferimento (oltre che all’acquisizione di immobili da de-stinarsi a fini pubblici) alla tutela dell’ordine pubblico, che viene meglio perseguita attra-verso una ottimale presenza sul territorio del-le Forze dell’ordine (presenza, appunto, fa-vorita dall’acquisto dell’immobile da desti-narsi poi ad uso statale mediante il previsto trasferimento in permuta); • che le parti si danno reciprocamente atto

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Uso del territorio: urbanistica, ambiente e paesaggio

Gazzetta Amministrativa -88- Numero 1- 2016

che i beni statali oggetto della successiva permuta esulano dal campo di applicazione delle norme statali e regionali, e in particola-re dello Statuto di autonomia, del d.P.R. n. 115/73 e delle norme collegate e derivate che regolano il trasferimento alla Regione e alle Province autonome di Trento e Bolzano dei beni e dei diritti immobiliari dello Stato, ri-

nunciando espressamente ad avanzare e for-mulare, anche in futuro, qualsiasi pretesa, domanda ed eccezione al riguardo. Sul presente parere, considerati i profili di massima, è stato sentito il Comitato consulti-vo dell’Avvocatura dello Stato, il quale, alle sedute del 21.9.2015 e del 26.10.2015, si è espresso in conformità.

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Unione Europea e Cooperazione Internazionale

Gazzetta Amministrativa -89- Numero 1- 2016

UNIONE EUROPEA E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

NOTIZIE E AGGIORNAMENTI

ATTUAZIONE DELLA DIRETTIVA 2013/53/UE DEL PARLAMENTO EURO-PEO E DEL CONSIGLIO, DEL 20.11.2013, RELATIVA ALLE UNITA' DA DIPORTO E ALLE MOTO D'AC-QUA E CHE ABROGA LA DIRETTIVA 94/25/CE Sulla proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con i Ministri degli affari esteri e della cooperazione internazionale, della giustizia, dell'economia e delle finanze e dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare; Emana il seguente decreto legislativo: Art. 1 Oggetto 1. Il presente decreto stabilisce i requisiti per la progettazione e la fabbricazione dei prodotti di cui all'art. 2, co. 1, e le norme sulla loro libera circolazione nell'Unione europea (UE) (D.lgs 11.1.2016 n. 5 (G.U. n. 7 del 11.1.2016).

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ATTUAZIONE DELLA DIRETTIVA 2014/100/UE CHE MODIFICA LA DI-RETTIVA 2002/59/CE, RELATIVA AL-L'ISTITUZIONE DI UN SISTEMA COMUNITARIO DI MONITORAGGIO DEL TRAFFICO NAVALE E DELL'IN-FOR-MAZIONE Sulla proposta del Presidente del Consiglio dei ministri e del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con i Ministri de-

gli affari esteri e della cooperazione interna-zionale, della giustizia, dell'economia e delle finanze, dello sviluppo economico e dell'am-biente e della tutela del territorio e del mare; E m a n a il seguente decreto legislativo: Art. 1 Modifica al decreto legislativo 19.1.2005, n. 196 1. L'allegato III di cui all'art. 13, co. 4, del d.lgs. 19.8.2005, n. 196, è sostituito dall'allegato al presente decreto (D.lgs 7.1.2016 n. 4 (G.U. n. 7 del 11.1.2016).

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ATTUAZIONE DELLA DIRETTIVA 2014/63/UE CHE MODIFICA LA DI-RETTIVA 2001/110/CE CONCERNEN-TE IL MIELE Sulla proposta del Presidente del Consiglio dei ministri e del Ministro delle politiche a-gricole alimentari e forestali, di concerto con i Ministri degli affari esteri e della coopera-zione internazionale, della giustizia, dell'eco-nomia e delle finanze, dello sviluppo econo-mico e della salute; Emana il seguente decre-to legislativo: Art. 1 Modificazioni al decreto legislativo 21.5.2004, n. 179 1. Al d.lgs 21.5.2004, n. 179, sono apportate le seguenti modificazioni: a) all'art. 3, co. 2, dopo la let-tera g) e' aggiunta la seguente: «g-bis) il pol-line non e' considerato un ingrediente, ai sen-si dell'art. 2, par. 2, lettera f), del regolamen-to (UE) n. 1169/2011 del Parlamento euro-peo e del Consiglio, dei prodotti di cui all'art. 1 del presente decreto, essendo una compo-nente naturale specifica del miele.»; b) all'art. 4, il co. 4 è sostituito dal seguente: «4.

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Unione Europea e Cooperazione Internazionale

Gazzetta Amministrativa -90- Numero 1- 2016

Fermo restando quanto previsto dall'art. 1, co. 2, lett. b), n. 6), e' vietato estrarre polline o qualsiasi altra componente specifica del miele, a meno che ciò sia inevitabile nell'e-strazione di sostanze estranee inorganiche o organiche.» (D.lgs 7.1.2016 n. 3 (G.U. n. 7 del 11.1.2016).

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ATTUAZIONE DELLA DIRETTIVA 2014/60/UE RELATIVA ALLA RESTI-TUZIONE DEI BENI CULTURALI USCITI ILLECITAMENTE DAL TER-RITORIO DI UNO STATO MEMBRO E CHE MODIFICA IL REGOLAMENTO (UE) N. 1024/2012 Sulla proposta del Presidente del Consiglio dei ministri e del Ministro dei beni e delle attivita' culturali e del turismo, di concerto con i Ministri degli affari esteri e della cooperazione internazionale, della giustizia e dell'economia e delle finanze; Emana il seguente decreto legislativo: Art. 1 Modifiche al decreto legislativo 22.1.2004, n. 42 1. All'art. 73 del d.lgs. 22.1.2004, n. 42, sono apportate le seguenti modificazioni: a) al co. 1, la lettera a) e' sostituita dalla seguente: "a) per «regolamento CE» il regolamento (CE) n. 116/2009 del 18.12.2008 del Consiglio relativo all'esportazione di beni culturali;"; b) al co. 1, la lettera b) è sostituita dalla seguente: "b) per «direttiva UE» la direttiva n. 2014/60/UE del 15.5.2014 del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla restituzione dei beni culturali usciti illecitamente dal territorio di uno Stato membro e che modifica il regolamento (UE) n. 1024/2012;". 2. All'art. 74 del d. lgs. 22.1.2004, n. 42, sono apportate le seguenti modificazioni: a) al co. 1 le parole: "regolamento CEE" sono sostituite dalle seguenti: "regolamento CE"; b) al co. 2 le parole: "regolamento CEE" sono sostituite dalle seguenti: "regolamento CE" e le parole: "Commissione delle Comunita' europee" sono sostituite dalle seguenti: "Commissione europea"; c) al co. 3 le parole: "regolamento CEE" sono sostituite dalle seguenti: "regolamento CE"; d) al co. 5 le parole: "regolamento CEE" sono sostituite dalle

seguenti: "regolamento CE". 3. All'art. 75 del d.lgs. 22.1.2004, n. 42, sono apportate le seguenti modificazioni: a) al co. 1 le parole: "direttiva CEE" sono sostituite dalle seguenti: "direttiva UE"; b) il co. 2 è sostituito dal seguente: "2. Ai fini della direttiva UE, si intende per bene culturale un bene che e' stato classificato o definito da uno Stato membro, prima o dopo essere illecitamente uscito dal territorio di tale Stato membro, tra i beni del patrimonio culturale dello Stato medesimo, ai sensi dell'art. 36 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea."; c) il co. 3 è abrogato; d) al co. 4 le parole: "regolamento CEE" sono sostituite dalle seguenti: "regolamento CE". 4. All'art. 76 del d.lgs 22.1.2004, n. 42, sono apportate le seguenti modificazioni: a) al co. 1 le parole: "dall'art. 3 della direttiva CEE" sono sostituite dalle seguenti: "dall'art. 4 della direttiva UE"; b) al co. 2, lettera d), le parole: "entro due mesi" sono sostituite dalle seguenti: "entro sei mesi"; c) dopo il co. 2 e' aggiunto il seguente: "2-bis. L'autorita' centrale, al fine di cooperare e consultarsi con gli altri Stati membri e per diffondere tutte le pertinenti informazioni correlate a casi relative ai beni culturali rubati o usciti illecitamente dal territorio nazionale, utilizza un modulo del sistema d'informazione del mercato interno, di seguito «IMI», stabilito dal regolamento (UE) n. 1024/2012, specificamente adattato per i beni culturali.". 5. All'art. 77, co. 5, del d. lgs. 22.1.2004, n. 42, sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: "utilizzando un modulo del sistema IMI stabilito dal regolamento (UE) n. 1024/2012, specificamente adattato per i beni culturali". 6. All'art. 78 del d. lgs. 22.1.2004, n. 42, sono apportate le seguenti modificazioni: a) al co. 1 le parole: "di un anno" sono sostituite dalle seguenti: "di tre anni" e le parole: "lo Stato" sono sostituite dalle seguenti: "l'Autorita' centrale"; b) al co. 3 le parole: "indicati nell'art. 75, co. 3, lettere a) e b)" sono sostituite dalle seguenti: "appartenenti a collezioni pubbliche museali, archivi, fondi di conservazione di biblioteche e istituzioni ecclesiastiche o altre istituzioni religiose". 7. All'art. 79 del d.lgs. 22.1.2004, n. 42, sono apportate le seguenti modificazioni: a) al co. 2 è aggiunto, in fine, il seguente periodo:

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Gazzetta Amministrativa -91- Numero 1- 2016

"Per determinare l'esercizio della diligenza richiesta da parte del possessore si tiene conto di tutte le circostanze dell'acquisizione, in particolare della documentazione sulla provenienza del bene, delle autorizzazioni di uscita prescritte dal diritto dello Stato membro richiedente, della qualita' delle parti, del prezzo pagato, del fatto che il possessore abbia consultato o meno i registri accessibili dei beni culturali rubati e ogni informazione pertinente che avrebbe potuto ragione-volmente ottenere o di qualsiasi altra pratica cui una persona ragionevole avrebbe fatto ricorso in circostanze analoghe."; b) al co. 4, le parole: "residente in Italia" sono soppresse. 8. All'art. 84 del d. lgs. 22.1.2004, n. 42, sono apportate le seguenti modificazioni: a) al co. 1 le parole: "Commissione delle Comunita' europee" sono sostituite dalle seguenti: "Commissione europea" e le parole: "regolamento CEE" sono sostituite dalle seguenti: "regolamento CE"; b) al co. 2 le parole: "della direttiva CEE e del regolamento CEE" sono sostituite dalle seguenti: "della direttiva UE e del regolamento CE"; c) il co. 3 è sostituito dal seguente: "3. Il Ministro, sentito il competente organo consultivo, predispone ogni tre anni la relazione sull'applicazione del regolamento CE e ogni cinque anni la relazione sull'applicazione della direttiva UE per la Commissione indicata al co. 1. Le relazioni sono trasmesse al Parlamento.". 9. All'art. 166 del d.lgs. 22.1.2004, n. 42, le parole: "regolamento CEE", Ovunque ricorrono, sono sostituite dalle seguenti: "regolamento CE" e le parole "regolamento (CEE) n. 752/93, della Commissione, del

30.3.1993, attuativo" sono sostituite dalle seguenti: "regolamento (CE) n. 1081/2012 della Commissione, del 9.11.2012,recante disposizioni d'applicazione". 10. Alla rubrica dell'allegato A del d. lgs. 22.1.2004, n. 42, le parole: "75, co. 3, lett. a)" sono soppresse. 11. La relazione sull'applicazione della direttiva UE, di cuiall'art. 84, co. 3, del d. lgs. 22.1.2004, n. 42, come sostituito dal co. 8, lett. c), del presente art., e' presentata, per la prima volta, entro il 18.12.2020 (D.lgs 7.1.2016 n. 2 (G.U. n. 7 del 11.1.2016).

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ATTUAZIONE DELLA DIRETTIVA 2014/58/UE, CHE ISTITUISCE, A NOR-MA DELLA DIRETTIVA 2007/23/CE, UN SISTEMA PER LA TRACCIABILITÀ DEGLI ARTICOLI PIROTECNICI Sulla proposta del Presidente del Consiglio dei ministri e dei Ministri dell'interno, della difesa e dello sviluppo economico, di concer-to con i Ministri degli affari esteri e della co-operazione internazionale, della giustizia e dell'economia e delle finanze; Emana il se-guente decreto-legislativo: Art. 1 Oggetto e campo di applicazione 1. Il presente decreto istituisce un sistema armonizzato di tracciabi-lita' degli articoli pirotecnici rientranti nel campo di applicazione del d.lgs. 29.7.2015, n. 123, che garantisce la loro identificazione e quella dei fabbricanti in tutte le fasi della ca-tena di fornitura (D.lgs 7.1.2016 n. 1 (G.U. n. 7 del 11.1.2016).

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Gazzetta Amministrativa -92- Numero 1 - 2016

REDAZIONALI

IL PRINCIPIO DI PRECAUZIONE IN DIRITTO AMBIENTA-LE COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE dell’Avv. Paolo Turco

Il principio precauzionale. Le fonti. Profili dottrinari e giurisprudenziali. The precautionary principle . The sources. Profiles doctrinal and jurisprudential. Sommario: 1. L’art. 174 del trattato di Amsterdam. 2. Le posizioni della dottrina con riferimento alle zone grigie di incerta applicazione del principio. 3. Il principio di precauzione nella giuri-sprudenza. 4. Conclusioni.

1. L’art. 174 del trattato di Amsterdam. Il principio di precauzione è un principio

informatore della normativa comunitaria e in-ternazionale.

L’art. 174 del Trattato di Amsterdam, ri-prendendo l’art. 130 R del Trattato di Maa-stricht, che modifica il trattato costituivo della CE, stabilisce che: La politica della Comunità in materia ambientale mira a un livello eleva-to di tutela, tenendo conto della diversità del-le situazioni nelle varie regioni della Comu-nità. Essa è fondata sui principi della precau-zione e dell'azione preventiva, sul principio della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all'ambiente, nonché sul principio "chi inquina paga"...1.

Il cennato principio non interviene solo nell’ipotesi in cui ricorra una minaccia di danni “gravi e irreversibili” , essendo suffi-ciente la semplice situazione di pericolosità presunta.

La Commissione, infatti, ha affermato che “Il fatto di invocare o no il principio di pre-cauzione è una decisione esercitata in condi-zioni in cui le informazioni scientifiche sono insufficienti, non conclusive o incerte e vi so-no indicazioni che i possibili effetti sull'am- 1 Stefano Leoni : Il principio di precauzione in diritto ambientale.

biente e sulla salute degli esseri umani, degli animali e delle piante possono essere poten-zialmente pericolosi e incompatibili con il li-vello di protezione prescelto.” 2

Più volte si richiama il diritto alla salute di cui all’art. 32 della Costituzione o all’am-biente al fine di applicare il principio di pre-cauzione.

2.Le posizioni della dottrina con riferi-

mento alle zone grigie di incerta applica-zione del principio.

La dottrina ha più volte evidenziato l’importanza di questo principio, anche per-ché non sempre è lapalissiano che ci siano tu-tele a fronte di risultati o indagini scientifiche non certe.

Le famose zone grigie sono oggetto di vi-vo dibattito.

Anche la giurisprudenza, piuttosto copiosa in materia afferma:

L’applicazione del principio di precauzione comporta che ogni qual volta non siano conosciuti con cer-tezza i rischi indotti da un'attività potenzial-mente pericolosa, l'azione dei pubblici poteri debba tradursi in una prevenzione anticipata 2 Stefano Leoni: Il principio di precauzione in diritto ambientale.

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Gazzetta Amministrativa -93- Numero 1- 2016

rispetto al consolidamento delle conoscenze scientifiche, anche nei casi in cui i danni sia-no poco conosciuti o solo potenziali (TAR Lazio Roma, III, 22.9.2015 n. 11328).

3. Il principio di precauzione nella giu-

risprudenza. Ancora: Nell'ambito del procedimento con

cui viene autorizzata l'installazione di una stazione-radio, il principio di precauzione non conduce automaticamente a vietare ogni attività che, in via di mera ipotesi, si assuma foriera di eventuali rischi per la salute delle persone e per l'ambiente, privi di ogni riscon-tro oggettivo e verificabile, richiedendo esso stesso una seria e prudenziale valutazione, alla stregua dell'attuale stato delle conoscen-ze scientifiche disponibili, dell'attività che po-trebbe ipoteticamente presentare dei rischi, valutazione consistente nella formulazione di un giudizio scientificamente attendibile. (CGA. Sicilia, sez. giurisd., 03.09.2015, n. 581).

Il principio di precauzione fa obbligo alle Autorità competenti di adottare provvedimen-ti appropriati al fine di prevenire i rischi po-tenziali per la sanità pubblica, per la sicurez-za e per l'ambiente, ponendo una tutela anti-cipata rispetto alla fase dell'applicazione del-le migliori tecniche proprie del principio di prevenzione; l'applicazione del princi-pio di precauzione comporta dunque che, o-gni qual volta non siano conosciuti con cer-tezza i rischi indotti da un'attività potenzial-mente pericolosa, l'azione dei pubblici poteri deve tradursi in una prevenzione anticipata

rispetto al consolidamento delle conoscenze scientifiche, anche nei casi in cui i danni sia-no poco conosciuti o solo potenziali (CdS, V, 18.05.2015, n. 2495).

Anche le più recenti direttive, che si ispi-rano al principio precauzionale vincolano e-spressamente gli Stati membri al rispetto del medesimo.

E’ il caso ad esempio della direttiva 2001/18/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, sull’emissione deliberata nell’am-biente di organismi geneticamente modifica-ti.

4.Conclusioni. In buona sostanza, dal quadro esposto,

anche con i significativi pronunciati giuri-sprudenziali, ci induce a ritenere che l’iniziativa economica privata debba essere recessiva rispetto alla tutela di situazioni pe-ricolose alla salute umana.

E’ tuttavia necessario un bilanciamento di interessi tra l’iniziativa economica privata e i diritti costituzionali garantiti come la salute. Più volte, infatti, è intervenuta la Corte Costi-tuzionale che ha ribadito il principio di pre-cauzione dinanzi a situazioni incerte e dubbie al fine di garantire la pretesa ai diritti fonda-mentali ed alla loro tutela.

Tuttavia, il legislatore è l’organo principe che può uniformare la tutela a livello naziona-le globale senza attuare disparità di trattamen-to, a tutela della salute e dell’ambiente, poi-ché con le pronunce giurisprudenziali già ci troviamo in un’ottica patologica che potrebbe minare siffatti diritti.

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Gazzetta Amministrativa -94- Numero 1- 2016

GIURISPRUDENZA Corte di Giustizia Europea 25.2.2016 C-520/15. Rinvio pregiudiziale - regolamento di pro-cedura della Corte – art. 53, paragrafo 2 – Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – art. 47, secondo comma, e 54 – Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamenta-li – art. 6, paragrafo 1 – Ricorso straordina-rio al Presidente della Repubblica italiana – Opposizione al ricorso proposta da una parte del procedimento – Trasposizione in sede giurisdizionale del suddetto ricorso straordi-nario – Attuazione del diritto dell’Unione – Insussistenza – Manifesta incompetenza del-la Corte. 1. La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione degli art. 47, secondo comma, e 54 della Carta dei diritti fondamenta-li dell’Unione europea (in prosieguo: la «Car-ta»), nonché dell’art. 6, par. 1, della Conven-zione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, sotto-scritta a Roma il 4.11.1950 (in prosieguo: la «CEDU»). 2. Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia pendente tra, da un lato, l’Associazione Italiana delle Unità Dedicate Autonome Private di Day Surgery e dei Centri di Chirurgia Ambulatoriale (Aiudapds) (in pro-sieguo: l’«Aiudapds») e, dall’altro, l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) (in prosieguo: l’«AIFA») e il Ministero della Salute, nei con-fronti di Roche Italia SpA, Novartis Farma SpA e Regione Marche, in merito alla decisione dell’AIFA di limitare l’impiego di un farmaco antitumorale ai soli centri ospedalieri pubblici e privati. Diritto italiano. 3. Il decreto del Presidente della Repubblica del 24.11.1971, n. 1199, relativo alla semplifi-cazione dei procedimenti in materia di ricorsi amministrativi (GURI n. 13 del 17.1.1972, in prosieguo: il «decreto n. 1199»), ha istituito un

ricorso contenzioso amministrativo denominato «ricorso straordinario al Presidente della Re-pubblica», il quale costituisce l’oggetto degli articoli da 8 a 15 di tale decreto. 4. L’autorità giurisdizionale competente a sta-tuire su un ricorso straordinario al Presidente della Repubblica è il Consiglio di Stato. 5. L’art. 10 del decreto n. 1199, intitolato «Op-posizione dei controinteressati», stabilisce quanto segue: «I controinteressati, entro il termine di sessanta giorni dalla notificazione del ricorso, possono richiedere, con atto notificato al ricorrente e all’organo che ha emanato l’atto impugnato, che il ricorso sia deciso in sede giurisdizionale. In tal caso, il ricorrente, qualora intenda insi-stere nel ricorso, deve depositare nella segrete-ria del giudice amministrativo competente, nel termine di sessanta giorni dal ricevimento dell’atto di opposizione, l’atto di costituzione in giudizio, dandone avviso mediante notificazio-ne all’organo che ha emanato l’atto impugnato ed ai controinteressati e il giudizio segue in se-de giurisdizionale secondo le norme del titolo III del testo unico delle leggi sul Consiglio di Stato, approvato con regio decreto 26 giugno 1924, n. 1054, e del regolamento di procedura, approvato con regio decreto 17 agosto 1907, n. 642. Il collegio giudicante, qualora riconosca che il ricorso è inammissibile in sede giurisdizionale, ma può essere deciso in sede straordinaria di-spone la rimessione degli atti al Ministero competente per l’istruzione dell’affare. Il mancato esercizio della facoltà di scelta, pre-vista dal primo comma del presente articolo, preclude ai controinteressati, ai quali sia stato notificato il ricorso straordinario, l’impu-gnazione dinanzi al Consiglio di Stato in sede giurisdizionale della decisione di accoglimento del Presidente della Repubblica, salvo che per vizi di forma o di procedimento propri del me-desimo».

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Gazzetta Amministrativa -95- Numero 1- 2016

6.Il codice del processo amministrativo, appro-vato con il d. lgs. del 2.7.2010, n. 104, relativo all’attuazione dell’art. 44 della l. 18.6.2009, n. 69, recante delega al governo per il riordino del processo amministrativo (GURI, supple-mento ordinario n. 156, del 7.7.2010, in prosie-guo: il «codice del processo amministrativo»), al suo art. 48, par. 1, dispone quanto segue: «Qualora la parte nei cui confronti sia stato proposto ricorso straordinario ai sensi degli articoli 8 e seguenti del decreto (...) n. 1199, proponga opposizione, il giudizio segue dinanzi al tribunale amministrativo regionale se il ri-corrente, entro il termine perentorio di sessanta giorni dal ricevimento dell’atto di opposizione, deposita nella relativa segreteria l’atto di costi-tuzione in giudizio, dandone avviso mediante notificazione alle altre parti». Procedimento principale e questione pregiudi-ziale. 7. Dalla decisione di rinvio risulta che, con de-cisione del 30 gennaio 2015, l’AIFA ha limitato l’impiego del farmaco Bevacizumab-Avastin, un antitumorale indicato per il trattamento di patologie oculari, ai soli centri ospedalieri pubblici e privati, escludendo pertanto le strut-ture di chirurgia ambulatoriale autorizzate. 8. Contro tale decisione l’Aiudapds ha propo-sto dinanzi al Consiglio di Stato un ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, denunciando gravi comportamenti anticoncor-renziali da parte di alcune case farmaceutiche nonché rilevanti omissioni dell’AI-FA. Quest’ultima avrebbe adottato la suddetta decisione nonostante l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, adita dall’Aiudapds, avesse adottato una decisione che sanzionava tali case farmaceutiche per vio-lazione delle regole di concorrenza sul fonda-mento dell’articolo 101 TFUE. 9 . Con note difensive depositate in data 1° e 3.7.2015 la Novartis Farma SpA, che commer-cializza il farmaco Lucentis, anch’esso indicato per il trattamento delle patologie oculari, ha presentato opposizione a tale procedimento e ha chiesto che il ricorso dell’Aiudapds fosse esaminato dal Tribunale amministrativo regio-nale, in applicazione dell’art. 10 del decreto n. 1199. 10. Il Consiglio di Stato afferma, in sostanza, che inizialmente il ricorso straordinario al Pre-

sidente della Repubblica non era completamen-te assimilabile a un procedimento giurisdizio-nale, dal momento che il governo, con delibera del Consiglio dei ministri, poteva disattendere il parere emesso dal Consiglio di Stato nell’ambito di tale ricorso e adottare un atto di alta amministrazione che si sostituiva a tale pa-rere. In tale contesto, il diritto alla trasposizio-ne del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica dinanzi al Tribunale amministrativo regionale, ripetendo la ratio del principio del «favor juridictionis», sarebbe stato giustificato. 11. Tuttavia, non sarebbe più così a partire dall’adozione della l. n. 69, contenente disposi-zioni per lo sviluppo economico, la semplifica-zione, la competitività nonché in materia di processo civile, del 18.6.2009 (GURI, supple-mento ordinario n. 140, del 19.6. 2009). Infatti, a seguito dell’adozione della suddetta legge, il ricorso straordinario al Presidente della Re-pubblica sarebbe divenuto a pieno titolo un ri-medio giurisdizionale. 12. Pertanto, l’esercizio del diritto di privare il Consiglio di Stato della competenza a esamina-re un ricorso straordinario al Presidente della Repubblica a favore del Tribunale amministra-tivo regionale, come previsto agli articoli 10 del decreto n. 1199 e 48 del codice del processo amministrativo, equivarrebbe a una alterazione del giudice naturale e comporterebbe una vio-lazione del diritto a un processo equo, soltanto per effetto di una richiesta avanzata unilate-ralmente da una delle parti del procedimento, anche senza una valida ed apprezzabile giusti-ficazione. L’esercizio di tale diritto determine-rebbe, inoltre, un significativo ed ingiustificato svantaggio per le parti più deboli. 13. Il Consiglio di Stato chiede inoltre l’applicazione delle disposizioni di cui all’articolo 105 del regolamento di procedura della Corte sul procedimento accelerato. 14. Alla luce di quanto sopra, il Consiglio di Stato ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale: «Se l’art. 47, secondo comma, della Carta ove prescrive che ogni individuo ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblica-mente ed entro un termine ragionevole da un giudice indipendente e imparziale, precostituito per legge e sancisce il diritto al giusto proces-

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Gazzetta Amministrativa -96- Numero 1- 2016

so, ed il successivo art. 54 là dove previene l’abuso del diritto, nonché l’articolo 6, para-grafo 1, della CEDU, là dove vi si prevede che ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un tribunale indi-pendente e imparziale, costituito per legge, o-stino ad una normativa nazionale che, ai sensi dell’articolo 10 del decreto n. 1199 e dell’art. 48 del [codice del processo amministrativo], permette ad una sola delle parti del giudizio straordinario in unico grado dinanzi al Consi-glio di Stato di ottenerne la trasposizione in primo grado dinanzi al Tribunale amministrati-vo regionale, senza il consenso od il concorso del ricorrente o di qualunque altra parte dello stesso giudizio». Sulla competenza della Corte. 15. Ai sensi dell’art. 53, paragrafo 2, del rego-lamento di procedura della Corte, quando è manifestamente incompetente a conoscere di un ricorso, la Corte, sentito l’avvocato generale, può statuire in qualsiasi momento con ordinan-za motivata, senza proseguire il procedimento. 16. La Corte ritiene che tale ipotesi ricorra nel-la causa in esame e che, tenuto conto dell’adozione della presente ordinanza, non oc-corra statuire sulla domanda di procedimento accelerato presentata dal giudice del rinvio (v., in tal senso, ordinanze Merck Canada, C-555/13, EU:C:2014:92, punto 27, nonché Striani e a., C-299/15, EU:C:2015:519, punto 20). 17. Con la sua questione il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se gli art. 47, secondo comma e 54 della Carta nonché l’articolo 6, paragrafo 1, della CEDU debbano essere in-terpretati nel senso che essi ostano a una nor-mativa nazionale in base alla quale, a seguito di un ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, per il quale è competente il Consi-glio di Stato, una delle parti del procedimento principale può ottenere, senza il consenso od il concorso delle altre parti dello stesso procedi-mento, il trasferimento della competenza di tale autorità giurisdizionale a favore del Tribunale amministrativo regionale. 18. Secondo costante giurisprudenza della Cor-te, nell’ambito di un rinvio pregiudiziale ai sen-si dell’articolo 267 TFUE, la Corte può inter-pretare il diritto dell’Unione unicamente nei

limiti delle competenze che le sono attribuite (ordinanza Sociedade Agrícola e Imobiliária da Quinta de S. Paio, C-258/13, EU:C:2013:810, punto 16; sentenza Torralbo Marcos, C-265/13, EU:C:2014:187, punto 27, e ordinanza Petrus, C-451/14, EU:C:2015:71, punto 14). 19. Relativamente alla Carta, l’art. 51, par. 1, della stessa prevede che le disposizioni della medesima si applichino agli Stati membri e-sclusivamente nell’attuazione del diritto dell’Unione. L’art. 6, par. 1, TUE nonché l’art. 51, par.o 2, della Carta precisano che le dispo-sizioni di quest’ultima non estendono l’ambito di applicazione del diritto dell’Unione al di là delle competenze dell’Unione europea quali de-finite nei Trattati. 20. Da una giurisprudenza costante della Cor-te risulta che, ove una situazione giuridica non rientri nella sfera d’applicazione del diritto dell’Unione, la Corte non è competente in meri-to e le disposizioni della Carta eventualmente richiamate non possono giustificare, di per sé, tale competenza (v. sentenza Åkerberg Fran-sson, C-617/10, EU:C:2013:105, punto 22; or-dinanze Nagy e a., da C-488/12 a C-491/12 e C-526/12, EU:C:2013:703, punto 17, nonché Pondiche, C-608/14, EU:C:2015:313, punto 21). 21. Orbene, nel caso di specie, si deve rilevare che nella decisione di rinvio non si riscontrano elementi che consentano di ritenere che il pro-cedimento principale, relativo alla decisione dell’AIFA di limitare l’impiego di un farmaco ai soli centri ospedalieri pubblici e privati, ri-guardi l’interpretazione o l’applicazione di una norma di diritto dell’Unione diversa da quelle presenti nella Carta. La menzionata decisione, peraltro, non dimostra affatto che il procedi-mento principale verta su di una normativa na-zionale di attuazione del diritto dell’Unione, ai sensi dell’art. 51, paragrafo 1, della Carta (v., in tal senso, ordinanza Burzio, C-497/14, EU:C:2015:251, punto 29). 22. Riguardo all’articolo 6, paragrafo 1, della CEDU, occorre ricordare che, in forza dell’art. 267 TFUE, la Corte è incompetente a pronun-ciarsi in materia di interpretazione di norme di diritto internazionale che vincolano gli Stati membri, ma esulano dalla sfera del diritto dell’Unione (v., in tal senso, sentenza Vande-weghe e a., 130/73, EU:C:1973:131, punto 2;

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Gazzetta Amministrativa -97- Numero 1- 2016

ordinanze Corpul Naţional al Poliţiştilor, C-134/12, EU:C:2012:288, punto 14, nonché Petrus, C-451/14, EU:C:2015:71, punto 15). 23. Ciò considerato, si deve constatare, sulla base dell’art. 53, par. 2, del regolamento di procedura della Corte, che quest’ultima è ma-nifestamente incompetente a rispondere alla questione posta dal Consiglio di Stato. Sulle spese 24. Nei confronti delle parti nel procedimento

principale la presente causa costituisce un in-cidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Per questi motivi, la Corte (Ottava Sezione) co-sì provvede: La Corte di giustizia dell’Unione europea è manifestamente incompetente a rispondere alla questione posta dal Consiglio di Stato (Italia), con decisione del 15 luglio 2015 (causa C-520/15).

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Gazzetta Amministrativa -98- Numero 1- 2016

PARERI

Questa sezione della Gazzetta Amministrativa raccoglie la pare-ristica redatta dall’AVVOCATURA DELLO STATO

DOMANDA Diniego della concessione della cittadinanza iure matrimoni: il giudice competente. Parere 14/04/2015-178316, Al 48965/14, Avv. Ilia Massarelli RISPOSTA Con la nota che si riscontra, codesto Ufficio ha richiesto alla Scrivente parere in merito alla possibilità di esperire ricorso straordi-nario al Capo dello Stato avverso i provve-dimenti di diniego di concessione della citta-dinanza per matrimonio di cui all'art. 5 l. 91/92. Più in particolare, si è chiesto di chiarire se la proponibilità del suddetto ricorso debba essere limitata ai soli casi di diniego della cittadinanza disposti ai sensi dell'art. 6 lett. c) (motivi inerenti la sicurezza della Repub-blica) della 1. 91/92 o possa essere estesa anche ai casi in cui il rigetto sia altrimenti motivato. In un'ottica di rimeditazione e superamento della posizione espressa dalla Scrivente nei precedenti pareri citati nella nota che si ri-scontra, la soluzione del citato quesito si ri-tiene debba individuarsi alla luce della non meno problematica questione relativa al ri-parto di giurisdizione in materia di contro-versie concernenti l'acquisto della cittadinan-za iure matrimonii. Con riferimento a tale questione, invero, già la Corte di Cassazione, sin dal lontano 1993 con la sentenza n. 7441, era intervenuta a qualificare l'acquisto della cittadinanza iuris

communicatione come "un diritto soggettivo dello straniero che possegga i requisiti legali e nei cui confronti non sussistano le cause preclusive indicate dalla legge", precisando a tal fine che lo stesso "affievolisce ad interesse legittimo solo in presenza dell'esercizio, da parte della pubblica amministrazione, del po-tere discrezionale di valutare l'esistenza di motivi inerenti alla sicurezza della Repubbli-ca che ostino a detto acquisto, con la conse-guenza che, una volta precluso l'esercizio di tale potere - a seguito dell'inutile decorso del termine previsto (un anno dalla presentazione dell'istanza, in base all'art. 4 co. 2, l. n. 123 del 1983, elevato a due anni per il primo tri-ennio di applicazione di detta legge, in forza dell'art. 6 legge citata, e definitivamente, in forza dell'art. 8, co. 2, l. n. 91 del 1992 -, in caso di mancata emissione del decreto di ac-quisto della cittadinanza, come di rigetto del-la relativa istanza, ove si contesti la ricorren-za degli altri presupposti tassativamente indi-cati dalla legge, sussiste il diritto soggettivo, all'emanazione dello stesso, per il richiedente che pu. adire il giudice ordinario per far di-chiarare, previa verifica dei requisiti di leg-ge, che egli è cittadino". Salvo, dunque, che nel caso di rigetto dell'i-stanza per motivi inerenti alla sicurezza della Repubblica per il quale era competente il giudice amministrativo, negli altri casi di di-niego - a detta della Corte - la giurisdizione apparteneva al giudice ordinario in virtù dell'esistenza di un vero e proprio diritto soggettivo in capo allo straniero richiedente.

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Gazzetta Amministrativa -99- Numero 1 - 2016

Il medesimo orientamento si è poi andato consolidando anche nella giurisprudenza del Consiglio di Stato laddove si è affermato che "delle cause che precludono l'acquisto della cittadinanza italiana "iuris communicatione" da parte del coniuge - straniero o apolide - di un cittadino italiano, è demandata alla valu-tazione discrezionale dell'amministra-zione, solo quella prevista dall'art. 6 co. 1 lett. c) 1. 5.2.1992 n. 91 relativa all'esistenza di com-provati motivi inerenti alla sicurezza della Repubblica, nei cui confronti il diritto del ri-chiedente si affievolisce ad interesse legitti-mo, mentre tale valutazione non ha ragion d'essere per quanto attiene alle altre cause preclusive dell'acquisto della cittadinanza; ne consegue, che in caso di diniego basato sull'esistenza di una condanna della richie-dente sussiste la giurisdizione del giudice or-dinario (CdS, Sez. IV, 15.12.2000, n. 6707). A tale proposito, infatti, il Consiglio di Stato ha precisato che l'art. 6, co. 1, lettera c) della L. n. 91/1992, nel precludere l'acquisto della cittadinanza allo straniero nell'ipotesi di sus-sistenza di comprovati motivi inerenti alla si-curezza della Repubblica, circoscrive fatti-specie ampiamente discrezionali di cause preclusive, che, implicando una valutazione dell’Anministrazione, circa la sussistenza dei motivi, risultano idonee a degradare ad inte-resse legittimo il diritto soggettivo ad acqui-stare lo status di cittadino italiano, con con-seguente sussistenza della giurisdizione del Giudice Amministrativo (V. ex multis: CdS., Sez. VI, Sent. n. 5680 del 2.11.2007; Sez. VI, sent. n. 1355 del 22.3.2007; Sez. VI, Sent. n. 1173 del 2.3.2009; Sez. VI, Sent., 31.3.2009, n. 1891; Cons. Stato Sez. VI, 24.3.2014, n. 1404). Alla luce di tali pronunce, è stato dunque tracciato un chiaro ed univoco riparto di giu-risdizione in materia di controversie concer-nenti l'acquisto della cittadinanza iure ma-trimonii, in forza del quale la giurisdizione del giudice amministrativo è circoscritta alle sole ipotesi in cui il diniego dell'istanza sia motivato ai sensi della lett. c) dell'art. 6, 1. 91/92, spettando invece al giudice ordinario la giurisdizione in tutti gli altri casi in cui il rigetto sia diversamente motivato. E proprio tale riparto deve necessariamente essere tenuto in considerazione al fine di de-

limitare i casi di esperibilità del ricorso stra-ordinario al Presidente della Repubblica av-verso i citati provvedimenti di rigetto. Considerato, infatti, che l'art. 7, co. 8 del co-dice del processo amministrativo statuisce espressamente che "il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica è ammesso unicamente per le controversie devolute alla giurisdizione amministrativa", in materia di acquisto della cittadinanza iure matrimonii, di conseguenza, solo i provvedimenti di riget-to adottati per il motivo di cui alla lett. c) dell'art. 6, 1. 91/92 saranno suscettibili di impugnazione con ricorso straordinario al Capo dello Stato, essendo le relative contro-versie devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo. Diversamente, il suddetto rimedio non sarà in alcun modo esperibile a fronte di provvedi-menti che, rigettando la richiesta di cittadi-nanza per motivi diversi, potranno, invece, essere azionati esclusivamente dinanzi al giudice ordinario. E tali conclusioni appaiono perfettamente conformi: - tanto al dettato della norma che circoscrive le ipotesi di proponibilità del ricorso straor-dinario al Capo dello Stato; - quanto alle considerazioni espresse dalla giurisprudenza in merito al riparto di giuri-sdizione in materia di acquisto della cittadi-nanza per matrimonio. Contra, non appaiono parimenti conformi al-la normativa esaminata né in alcun modo co-erenti con il contenuto delle richiamate pro-nunce quei pareri che il Consiglio di Stato, contraddicendo le proprie pronunce in sede giurisdizionale, ha reso invece in sede con-sultiva in occasione della proposizione di ri-corsi straordinari al Capo dello Stato avver-so provvedimenti di diniego della cittadinan-za pronunciati per motivi diversi da quelli di cui alla citata lett. c). In tali casi, infatti, a fronte della legittima censura mossa dal Ministero convenuto circa l'inammissibilità dei predetti ricorsi in quanto aventi ad oggetto provvedimenti impugnabili dinnanzi al giudice ordinario, il Consiglio di Stato, nel dichiarare l'ammissibilità di tali ri-corsi, ha affermato che "quando c'è un prov-vedimento amministrativo che rigetti una do-manda di concessione della cittadinanza non

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Gazzetta Amministrativa -100- Numero 1- 2016

c'è ragione perché l'interessato non possa impugnarlo con qualsiasi provvedimento con il quale la pubblica autorità decide, valendosi di pubblici poteri, su posizioni giuridiche dei privati; tanto più che nella valutazione delle condizioni per la concessione della cittadi-nanza vi è sempre, da parte dell'Amministra-zione, una valutazione relativa a motivi di si-curezza dello Stato, per cui in ogni caso essa esercita anche un potere discrezionale" (Pa-rere del C.d.S. n. 3122\14; nello stesso senso, pareri del C.d.S. n. 2181\14 e n. 4090\14). È evidente che un siffatto ragionamento del Consiglio di Stato appare quantomeno privo di fondamento logico-normativo: - da un lato, infatti, nel momento in cui af-ferma che a fronte di un provvedimento amministrativo non possa precludersi all'in-teressato di impugnarlo "come qualsiasi provvedimento con il quale la pubblica auto-rità decide, valendosi di pubblici poteri su posizioni giuridiche dei privati", si pone in contrasto con la stessa norma di legge che limita la possibilità di impugnare i provvedi-menti amministrativi con il rimedio del ricor-so straordinario al Capo dello Stato alle sole controversie devolute alla giurisdizione am-ministrativa; - dall'altro lato, ritenendo che sussista sem-pre un potere discrezionale in capo all'Am-ministrazione in sede di valutazione delle condizioni legittimanti l'acquisto della citta-dinanza italiana, si pone in netta contraddi-zione con quanto dallo stesso asserito nelle pronunce giurisdizionali in cui correttamente e logicamente ha individuato nelle sole ipote-si di rigetto di cui alla lett. c), dell'art. 6 lo spazio per una valutazione discrezionale da parte della P.A. Non ritenendo dunque condi-visibile il nuovo orientamento affermato dal Consiglio di Stato in sede consultiva ed in conformità a quanto previsto dalla vigente disciplina, ad avviso della Scrivente il rime-

dio del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica si ritiene esperibile esclusi-vamente avverso i provvedimenti di rigetto della richiesta di cittadinanza per matrimonio per il motivo di cui alla lett. c), art. 6, 1. 91/92. Sebbene l'avvenuta "giurisdizionalizzazione" dell'istituto del ricorso straordinario al Capo dello Stato - affermata dalle Sezioni Unite della Cassazione nella famosa sentenza n. 23464/2012 - consentirebbe l'impugnazione del decreto presidenziale per motivi di giuri-sdizione, ai sensi dell'art. 362 co. 1 c.p.c. si ritiene preferibile, sotto il profilo anche dell'opportunità, che il Ministero, convenuto in sede di ricorso straordinario proposto av-verso decreti di rigetto adottati per motivi di-versi da quelli previsti alla lett. C) dell'art. 6 L. 91/92, chieda la trasposizione del ricorso straordinario nella sede giurisdizionale del-TAR così come previsto dal d.lgs. n. 1199/1071 e dal codice del processo ammi-nistrativo (il cui art. 48 consente ad ogni par-te, anche all'Amministrazione statale, di chiedere la trasposizione - sul punto sent. C.d.S. n. 4650/2013). Sarà poi onere del ricorrente, qualora persi-sta il suo interesse ad una pronuncia, ripro-porre la domanda all'Autorità Giudiziaria nel termine perentorio stabilito dalla legge: scel-ta difensiva che, considerato l'orientamento dell'A.G.A. in materia, consentirà all'Ammi-nistrazione di ottenere la pronuncia di inam-missibilità per difetto di giurisdizione ovvero di proporre regolamento preventivo di giuri-sdizione per avere dalla Suprema Corte una pronuncia definitiva sul punto. Tutto ciò premesso, si resta a disposizione per eventuali ulteriori chiarimenti. Il presente parere è passato all'esame del Comitato Consultivo, che si è espresso in conformità nella seduta del 27.3.2015.

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Contratti, Servizi Pubblici e Concorrenza

Gazzetta Amministrativa -101- Numero 1- 2016

CONTRATTI, SERVIZI PUBBLICI E CONCORRENZA

NOTIZIE E AGGIORNAMENTI CONTRATTI PUBBLICI: IL COMUNI-CATO DELL'ANAC SULLE VARIANTI IN CORSO D'OPERA È stato pubblicato i data 4.3.2016 il Comuni-cato del Presidente del 17.2.2016 recante "Indicazioni sull’applicazione dell’art. 37, d.l. 24.6.2014, n. 90 convertito in l. 11.8.2014, n. 114." Nel quale si precisa che: "In ragione di sollecitazioni pervenute da soggetti operanti nel settore dei contratti pubblici ed emerse in sede di ottemperanza all’obbligo di trasmissione all’ANAC delle varianti in corso d’opera ex art. 37, co. 1, d.l. 90/2014 (conv. con l. 114/2014), ad integra-zione del Comunicato del Presidente dell’ANAC del 17.3.2015, si forniscono le se-guenti indicazioni interpretative sull’applica-zione della norma. 1- Obbligo di trasmissione delle varianti nel settore delle infrastrutture strategiche e agli impianti produttivi (l. 21.12.2001, n. 443) Con il Comunicato del Presidente del 17.3.2015, sulla base di quan-to già espresso con il Comunicato del 7.11.2014, è stato indicato che l’obbligo di trasmissione sussiste in ogni caso per le va-rianti indicate all’art. 176, co. 5, lett. a), d.lgs. 163/2006 che sono a carico del sogget-to aggiudicatore e che sono indotte da «forza maggiore, sorpresa geologica o sopravvenute prescrizioni di legge o di enti terzi o comun-que richieste dal soggetto aggiudicatore». Ad ulteriore specificazione di quanto indicato con i precedenti Comunicati, con riferimento al settore delle infrastrutture strategiche e degli impianti produttivi, si fa presente che nelle «sopravvenute prescrizioni (..) di enti terzi» devono ritenersi incluse anche le va-

rianti determinate da prescrizioni del CIPE e approvate ai sensi dell’art.169, d.lgs. 163/2006 con conseguente obbligo di tra-smissione all’ANAC ex art. 37, d.l. 90/2014. Quanto sopra anche alla luce del criterio det-tato in tema di varianti in corso d’opera alla lettera ee) dell’art. 1 del disegno di legge de-lega per l’attuazione delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE, ap-provato dal Senato in data 14.1.2016, che prevede uno specifico regime sanzionatorio per la mancata o tardiva comunicazione all’ANAC delle variazioni in corso d’opera per gli appalti di importo pari o superiore al-la soglia comunitaria senza distinzioni rispet-to alle varianti nel settore delle infrastrutture strategiche e impianti produttivi. 2- Obbligo di trasmissione delle varianti rispetto ai con-tratti di concessione, incluse le concessioni autostradali. Per quanto concerne il settore delle concessioni di cui all’art. 143 e all’art. 153 del d.lgs. 163/2006, inclusi i concessio-nari autostradali, non sussistendo deroghe di sorta, l’obbligo di trasmissione ex art. 37, d.l. 90/2014 (conv. con l. legge 114/2014) ricorre tout court. L’obbligo di trasmissione deve es-sere ottemperato entro trenta giorni dall’approvazione della variante in corso d’opera da parte dell’ente concedente. 3- Obbligo di trasmissione delle varianti nei contratti segretati L’art. 8, l. 69/2015 ha in-trodotto la lettera f-bis) all’art.2, co. 2, l. 190/2012 stabilendo che l’ANAC «esercita la vigilanza e il controllo sui contratti di cui a-gli articoli 17 e seguenti del codice dei con-tratti pubblici relativi a lavori, servizi e forni-ture, di cui al d.lgs 12.4.2006, n.163». Ne consegue che sussiste l’obbligo della trasmis-

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Contratti, Servizi Pubblici e Concorrenza

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sione delle varianti in corso d’opera anche per i contratti segretati o che esigono parti-colari misure di sicurezza. Al fine di garanti-re la segretezza e la sicurezza delle informa-zioni, la trasmissione della documentazione di cui al Comunicato del Presidente del 17.3.2015 sarà effettuata con la trasmissione del “modulo” aggiornato e di tutti gli allegati tecnico-amministrativi del progetto e della variante, essendo rimesse all’Ufficio istrutto-re le richieste specifiche riguardanti la pro-duzione della documentazione grafica del progetto originario e della variante. 5- Il cri-terio del cumulo con le varianti adottate pri-ma dell’entrata in vigore del d.l. 90/2014 In ordine alla questione attinente al cumulo del-le varianti in corso d’opera tenendo conto anche del periodo antecedente l’entrata in vigore del d.l. 90/2014, la previsione norma-tiva secondo cui la comunicazione all’ANAC deve riguardare le varianti «di importo ecce-dente il 10 per cento dell’importo originario del contratto» deve essere interpretata nel senso che devono essere considerate anche le varianti adottate prima dell’entrata in vigore del d.l. 90/2014 ai fini dell’incidenza sulla soglia di rilevanza. La cumulabilità consenti-rà di ottenere una rappresentazione corretta degli interventi in variante e dei maggiori co-sti sostenuti nella loro effettiva quantificazio-ne nella fase esecutiva del contratto. 6- Il cri-terio di valutazione delle varianti anche ri-spetto al valore assoluto delle variazioni alle lavorazioni La generica formulazione dell’art. 37, d.l. 90/2014 in ordine all’individuazione della soglia di rilevanza del 10% rende necessario chiarire se occorra tenere conto del “valore assoluto” o del “va-lore relativo” delle variazioni apportate al computo metrico e alla stima dei lavori (ca-tegorie omogenee, categorie scorporate o semplicemente lavorazioni). Se l’art. 37, d.l. 90/2014 richiama l’importo della variante ri-spetto al contratto originario, l’art.132, co. 3, d.lgs. 163/2006, per finalità diverse, fa rife-rimento a valori percentuali delle categorie di lavoro dell’appalto (entro 10% o 5% le va-riazioni non sono considerate varianti ex art.132, codice; si chiamano, infatti, infor-malmente: “varianti non varianti”). A titolo esemplificativo, nel caso si avesse una dimi-nuzione del 4 % di alcune lavorazioni e allo

stesso tempo un aumento del 9 % di altre, si avrebbe un aumento netto del contratto pari al 5%, dunque inferiore alla soglia rivelatri-ce, anche se le lavorazioni variate nel loro complesso raggiungerebbero il 13%. Così nel caso si avesse una diminuzione del 40 % e un aumento del 49 %, si verificherebbe un au-mento netto pari al 9 %, ma nel complesso si registrerebbero variazioni interne del proget-to pari all’89 %. Trattasi di circostanze che possono dar luogo a variazioni sostanziali del progetto che potrebbero non essere co-municate all’ANAC. Qualora si limitasse la trasmissione all’ANAC delle varianti che ri-spondano solo a un criterio legato alla som-ma in termini di importo economico per quanto concerne gli aumenti e le diminuzioni, potrebbe favorirsi la tendenza ad approvare varianti di natura sostanziale che non ver-rebbero comunicate all’ANAC, laddove è in-teresse generale acquisire anche la trasmis-sione di varianti che determinano un aumento delle lavorazioni superiore alla soglia di rile-vanza del 10%. In conclusione, nel silenzio della norma, si esprime l’avviso che la tra-smissione all’ANAC debba farsi anche quan-do la somma degli incrementi netti delle lavo-razioni delle varianti in corso superi il 10 % dell’oggetto del contratto originario, con la conseguente integrazione del punto 3 del Comunicato del 17.3.2015 (dopo il terzo ali-nea) con la seguente indicazione: «in alterna-tiva alla condizione che precede, le lavora-zioni in aumento siano al netto complessiva-mente superiori al 10 % del contratto origi-nario». 5. Al fine dell’acquisizione delle in-formazioni necessarie alla raccolta dei dati a cura del responsabile dell’istruttoria, si alle-ga il modulo di trasmissione, già pubblicato con il Comunicato del Presidente dell’ANAC del 17.3.2015 e con le modifiche resesi neces-sarie in ragione delle nuove indicazioni in-terpretative approvate nonché per acquisire notizie circa il servizio di verifica della pro-gettazione. Si richiama l’attenzione degli u-tenti affinché, nel rispetto delle condizioni di cui al punto 3 del Comunicato del 17.3.2015 come integrato con il presente Comunicato, siano trasmesse le sole varianti relative agli appalti sopra la soglia comunitaria. Modulo trasmissione varianti Raffaele Cantone De-positato in Segreteria del Consiglio il

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Contratti, Servizi Pubblici e Concorrenza

Gazzetta Amministrativa -103- Numero 1- 2016

3.3.2016 (comunicato dell'ANAC del 4.3.2016).

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ANAC: ENTITÀ E MODALITÀ DI VER-SAMENTO DEL CONTRIBUTO PER L'ANNO 2016 Sulla Gazzetta Ufficiale n. 49 del 29.2.2016 è stato pubblicato la delibera del 22.12.2015 dell´Autorità Nazionale Anticorruzione re-cante "Entità e modalità di versamento del contributo a favore dell´Autorità nazionale anticorruzione, per l´anno 2016. (delibera Anac pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 49 del 29.2.2016).

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AGRICOLTURA: IN G.U. IL DECRETO DI ISTITUZIONE DEL SISTEMA DI CONSULENZA AZIENDALE È stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 38 del 16.2.2016 il decreto del Ministero del-le Politiche agricole alimentari e forestali del 3.2.2016 recante "Istituzione del sistema di consulenza aziendale in agricoltura". (decre-to 3.2.2016 del Ministero delle Politiche a-gricole in Gazzetta Ufficiale n. 38 del 16.2.2016).

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CONTRATTI PUBBLICI: LA DETER-MINA DELL'ANAC SULL'INTERPRE-TAZIONE DELLE MODIFICHE AP-PORTATE ALLA DISCIPLINA DEL-L'ARBITRATO È stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale Serie Generale n.300 del 28-12-2015 la de-termina n. 13 del 10.12.2015 dell'Autorità Nazionale Anticorruzione recante "Aggior-namento della determina n. 6 del 18.12.2013 recante indicazioni interpretative concernenti le modifiche apportate alla disciplina dell'ar-bitrato nei contratti pubblici dalla legge 6.11.2012, n. 190, recante disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell'illegalita' nella pubblica amministra-

zione". Di seguito il testo della determina. La l. 6.11.2012, n. 190 (c.d. legge anticorruzio-ne) ha apportato delle modifiche alla disci-plina dell'arbitrato, come prevista dagli artt. 241-243 del d.lgs 12.4.2006, n. 163 (nel pro-sieguo, Codice). La novella è contenuta ai commi da 18 a 25 dell'art. 1, come di seguito riportato: "18. Ai magistrati ordinari, ammi-nistrativi, contabili e militari, agli avvocati e procuratori dello Stato e ai componenti delle commissioni tributarie è vietata, pena la de-cadenza dagli incarichi e la nullità degli atti compiuti, la partecipazione a collegi arbitrali o l'assunzione di incarico di arbitro unico. 19. Il co. 1 dell'art. 241 del codice di cui al d.lgs 12.4.2006, n. 163, e successive modifi-cazioni, e' sostituito dal seguente: «1. Le con-troversie su diritti soggettivi, derivanti dall'e-secuzione dei contratti pubblici relativi a la-vori, servizi, forniture, concorsi di progetta-zione e di idee, comprese quelle conseguenti al mancato raggiungimento dell'accordo bo-nario previsto dall'art. 240, possono essere deferite ad arbitri, previa autorizzazione mo-tivata da parte dell'organo di governo dell'amministrazione. L'inclusione della clau-sola compromissoria, senza preventiva auto-rizzazione, nel bando o nell'avviso con cui e' indetta la gara, ovvero, per le procedure sen-za bando, nell'invito, o il ricorso all'arbitrato, senza preventiva autorizzazione, sono nulli.». 20. Le disposizioni relative al ricorso ad ar-bitri, di cui all'art. 241, co. 1, del codice di cui al d.lgs 12.4.2006, n. 163, come sostituito dal co. 19 del presente articolo, si applicano anche alle controversie relative a concessioni e appalti pubblici di opere, servizi e forniture in cui sia parte una società' a partecipazione pubblica ovvero una società' controllata o collegata a una societa' a partecipazione pubblica, ai sensi dell'art. 2359 del codice ci-vile, o che comunque abbiano ad oggetto o-pere o forniture finanziate con risorse a cari-co dei bilanci pubblici. A tal fine, l'organo amministrativo rilascia l'autorizzazione di cui al citato co. 1 dell'art. 241 del codice di cui al d.lgs n. 163 del 2006, come sostituito dal co. 19 del presente articolo. 21. La nomina degli arbitri per la risoluzione delle contro-versie nelle quali e' parte una pubblica am-ministrazione avviene nel rispetto dei principi di pubblicita' e di rotazione e secondo le mo-

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Contratti, Servizi Pubblici e Concorrenza

Gazzetta Amministrativa -104- Numero 1- 2016

dalita' previste dai coo. 22, 23 e 24 del pre-sente articolo, oltre che nel rispetto delle di-sposizioni del codice di cui al d.lgs 12.4.2006, n. 163, in quanto applicabili. 22. Qualora la controversia si svolga tra due pubbliche amministrazioni, gli arbitri di par-te sono individuati esclusivamente tra diri-genti pubblici. 23. Qualora la controversia abbia luogo tra una pubblica amministrazio-ne e un privato, l'arbitro individuato dalla pubblica amministrazione è scelto preferibil-mente tra i dirigenti pubblici. Qualora non risulti possibile alla pubblica amministrazio-ne nominare un arbitro scelto tra i dirigenti pubblici, la nomina e' disposta, con provve-dimento motivato, nel rispetto delle disposi-zioni del codice di cui al d.lgs 12.4.2006, n. 163. 24. La pubblica amministrazione stabili-sce, a pena di nullità della nomina, l'importo massimo spettante al dirigente pubblico per l'attivita' arbitrale. L'eventuale differenza tra l'importo spettante agli arbitri nominati e l'importo massimo stabilito per il dirigente è' acquisita al bilancio della pubblica ammini-strazione che ha indetto la gara. 25. Le di-sposizioni di cui ai coo. da 19 a 24 non si ap-plicano agli arbitrati conferiti o autorizzati prima della data di entrata in vigore della presente legge". Svolti i necessari approfon-dimenti sulla novella normativa sopra ripor-tata, per quanto concerne i riflessi sulle com-petenze della Camera arbitrale, l'Autorità ha rilevato dubbi interpretativi e problemi di co-ordinamento con la vigente normativa con specifico riguardo ai seguenti profili: 1. pro-blematiche di diritto transitorio in relazione all'applicazione dei divieti dettati dal co. 18 dell'art. 1 della l. n. 190 del 2012 (entrata in vigore il 28/11/2012) che esclude determinate categorie professionali dal novero dei sogget-ti ai quali può essere affidato l'incarico di arbitro; 2. problematiche di diritto transito-rio in relazione alla autorizzazione preventi-va e motivata da parte dell'organo di governo della PA prevista dal co. 19, che sostituisce il co. 1 dell'art. 241 del Codice, anche in rela-zione alla sanzione di nullità della clausola ivi prevista; 3. rapporto tra la nuova discipli-na dettata dal Codice e l'art. 810 c.p.c.; 4. individuazione dei soggetti ai quali può esse-re affidato l'incarico di arbitro della p.a. alla luce del generico rinvio al Codice, contenuto

all'art. 1, co. 21, della l. n. 190/2012. 1) Indi-viduazione dell'ambito di estensione del di-vieto di cui al co. 18 dell'art. 1, l. n. 190/2012 e profili di diritto intertemporale Il divieto in-trodotto al co. 18 dell'art. 1, della l. 190/2012, non comprende le categorie degli avvocati dello Stato e dei magistrati a riposo, cio' in quanto, attesa l'espressa dizione della norma, la medesima deve correttamente esse-re riferita solo ai magistrati (ordinari, ammi-nistrativi, militari e contabili), agli avvocati e procuratori dello Stato ed ai componenti del-le commissioni tributarie in servizio. Tale in-terpretazione è anche coerente con la ratio legis della norma. In merito, si osserva, infat-ti, come lo scopo della norma sia quello di evitare il verificarsi di potenziali situazioni di conflitto di interesse e, dunque, sottintende verosimilmente lo svolgimento attuale delle funzioni proprie dei magistrati e degli avvo-cati dello Stato. Quanto ai profili di diritto intertemporale dell'applicazione del citato co. 18, si rileva come il suddetto divieto non ab-bia efficacia retroattiva con riguardo agli in-carichi relativi a procedimenti arbitrali in corso od a collegi arbitrali già costituiti alla data del 28.11.2012 (data di entrata in vigore della norma); a tale ipotesi deve assimilarsi anche il caso dei provvedimenti di nomina, con conseguente accettazione, intervenuti prima della data suddetta, anche ove il colle-gio non si fosse ancora costituito e sia stata presentata l'istanza di nomina del terzo arbi-tro alla camera arbitrale successivamente a tale data. Tale interpretazione è ormai conso-lidata (anche a seguito del Comunicato n. 38, del 19.12.2012 della Camera arbitrale, del parere espresso al riguardo dalla Presidenza del Consiglio dei ministri (DAGL) e degli o-rientamenti assunti dalla stessa Avvocatura Generale dello Stato). Essa è, altresì, con-forme ai principi generali in materia di effi-cacia di legge nel tempo (e, in particolare, all'art. 11 delle preleggi), attesa l'assenza di una diversa disciplina transitoria, ed è suf-fragata dalla stessa giurisprudenza della Corte EDU sulla generale irretroattività delle norme a meno di motivi imperativi di interes-se generale. Aderendo, peraltro all'orienta-mento espresso dalla Corte di Cassazione (cfr. sez. III, 16.4.2008 n. 9972), secondo cui il principio di irretroattivita' della legge im-

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plica che la norma sopravvenuta sia applica-bile agli effetti non ancora esauriti di un rap-porto giuridico sorto anteriormente solo al-lorchè la nuova legge sia diretta a disciplina-re tali effetti con autonoma considerazione dei medesimi, si rileva come tale ipotesi cer-tamente non ricorra nel caso di specie. Detta conclusione è, inoltre, coerente anche con una lettura costituzionalmente orientata della norma, giacchè l'intervento sugli arbitrati in corso - con la caducazione del collegio già nominato - si porrebbe in contrasto con l'art. 111 della Costituzione. A conferma dell'in-terpretazione sin qui fornita, giova, altresì, rilevare che il divieto de quo non è stato con-figurato dal legislatore come motivo di possi-bile ricusazione degli arbitri divenuti incom-patibili, con implicita salvezza degli incarichi gia' conferiti, bensi' come divieto di assumere l'incarico, rivolto, ragionevolmente, agli ar-bitrati nei quali non si sia ancora proceduto alla nomina dei componenti del collegio. Il divieto in esame concerne soltanto l'assun-zione dell'incarico e non il suo mantenimento. Si puntualizza che, al pregresso conferimen-to, deve essere equiparata anche la nomina ex art. 810 c.p.c., poichè la nomina effettuata dal Presidente del Tribunale ha, com'è noto, natura di provvedimento di volontaria giuri-sdizione sostitutiva di attivita' manchevole delle parti ed e', come tale, appunto equipa-rabile al conferimento ad opera delle parti. 2) Nomina dell'arbitro di elezione pubblica In ordine alle modalita' di nomina dell'arbitro di elezione pubblica, scelto a norma dell'art. 1, co. 23 della l. n. 190/2012 "preferibilmente" tra i dirigenti pubblici (nel caso di arbitrato tra p.a. e soggetti privati) si osserva quanto segue. In relazione alla disposizione normati-va appena richiamata giova precisare come l'espressa previsione della stessa porti ad e-scludere, innanzitutto, l'applicabilita' a tale ipotesi dell'art. 815, co. 1, n. 5, c.p.c. che ammette, la ricusazione dell'arbitro «se e' le-gato ad una delle parti, a una societa' da questa controllata, al soggetto che la control-la, o a societa' sottoposta a comune controllo, da un rapporto di lavoro subordinato o da un rapporto continuativo di consulenza o di pre-stazione d'opera retribuita, ovvero da altri rapporti di natura patrimoniale o associativa che ne compromettono l'indipendenza; inol-

tre, se è tutore o curatore di una delle parti». Con specifico riguardo, invece, al rinvio al Codice contenuto nel medesimo co. 23 dell'art. 1 (per il caso di impossibilita' di in-dividuare un dirigente pubblico cui affidare l'incarico di arbitro), è da ritenere che la ge-nericità di detto rinvio comporti la riferibilità al complesso delle disposizioni del Codice ivi comprese quelle relative alle modalità di no-mina degli arbitri di cui all'art. 241; la stessa genericità porta ad escludere, per contro, l'i-doneità del richiamo al Codice ad attribuire alla Camera Arbitrale il (nuovo) potere di nomina dell'arbitro della p.a. A ciò si ag-giunga che il co. 21 stabilisce, in via genera-le, che la nomina degli arbitri per la risolu-zione delle controversie nelle quali è parte una pubblica amministrazione avviene «nel rispetto dei principi di pubblicità e di rota-zione e secondo le modalita' previste dai coo. 22, 23 e 24 del presente articolo, oltre che nel rispetto delle disposizioni del codice di cui al d.lgs 12.4.2006, n. 163, in quanto applicabi-li». Detta disposizione sembrerebbe, dunque, trovare applicazione sia con riguardo alle controversie tra p.a. (co. 22) che con riguar-do alle controversie tra privati e p.a. (co. 23). Può, altresì, osservarsi che ai sensi dell'art. 19, co. 1, lett. c) del Codice, quest'ultimo non si applica ai contratti pubblici concernenti i servizi d'arbitrato e di conciliazione. La no-mina dell'arbitro di parte deve comunque av-venire nel rispetto della disciplina generale ai sensi dell'art. 241, coo. 4 e 6, del Codice, ove sono stabiliti i motivi di incompatibilità per l'affidamento dell'incarico. 3) Profili di diritto intertemporale relativi all'applicazione del co. 19 sull'autorizzazione preventiva. Sull'applicazione dell'obbligo di previa auto-rizzazione motivata dell'organo di governo ai fini del valido inserimento della clausola compromissoria nel bando, in via prelimina-re, si rammenta che, con il co. 19 del piu' vol-te citato art. 1, viene sostituito il co. 1 dell'art. 241 del Codice, prevedendo la facol-ta' di ricorrere all'arbitrato «previa autoriz-zazione motivata da parte dell'organo di go-verno dell'amministrazione. L'inclusione del-la clausola compromissoria, senza preventiva autorizzazione, nel bando o nell'avviso con cui è indetta la gara ovvero, per le procedure senza bando, nell'invito o il ricorso all'arbi-

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trato, senza preventiva autorizzazione, sono nulli». Innanzitutto, occorre rilevare che l'e-spressione «inclusione della clausola com-promissoria (...) nel bando o nell'avviso con cui e' indetta la gara ovvero, per le procedure senza bando, nell'invito» deve essere inter-pretata nel senso che il bando o l'avviso con cui e' indetta la gara o l'invito a partecipare alla gara indicheranno che il contratto con-terra' la clausola compromissoria e non con-terranno essi stessi la clausola compromisso-ria, come espressamente indicato dall'art. 241, co. 1 bis, del d.lgs. n. 163/2006. Nell'in-terpretare detta disposizione, si rileva come il co. 25 escluda dall'applicazione del co. 19 gli arbitrati conferiti o autorizzati prima della data di entrata in vigore della legge; pertan-to, l'illustrato co. 19 si applica agli altri casi, con la rilevante conseguenza che dovranno ritenersi inefficaci quelle clausole compro-missorie, ancorchè contrattualmente assunte dalle parti, non previamente autorizzate dall'organo di governo. La disposizione del co. 19 deve essere interpretata come diretta a porre, rispetto all'originario contenuto del regolamento contrattuale, una nuova norma imperativa condizionante l'autonomia con-trattuale delle parti, essendo assente una norma transitoria che preveda l'ultrattivita' della previgente disciplina normativa, sicché' la clausola compromissoria contrattualmente prevista risulta sostanzialmente privata della relativa operativita'. Ciò' che determina, in assenza di previa autorizzazione dell'organo di governo (non prevista dalla normativa previgente), la sopravvenuta inefficacia delle clausole compromissorie contenute nei bandi di gara antecedenti all'entrata in vigore della norma, con salvezza dei soli arbitrati già conferiti o autorizzati prima di detta data (art. 1, co. 25), laddove per arbitrato conferi-to deve intendersi quello in cui l'ente abbia operato la designazione (con conseguente ac-cettazione) dell'arbitro; per arbitrato autoriz-zato deve, invece, intendersi l'arbitrato per il quale, prima dell'entrata in vigore della l. n. 190/2012, sia intervenuto il consenso dell'en-te di appartenenza dell'arbitro, se del caso da parte dell'organo di autogoverno. Sul punto, la Corte Costituzionale, con la sentenza 9.6.2015, n. 108 ha fornito una lettura costi-tuzionalmente orientata del co. 19 dell'art. 1,

nel senso di attribuirgli una valenza in rela-zione alla nullita' delle clausole inserite dopo la data del 28.11.2012, escludendo che potes-se ipotizzarsi una nullità sopravvenuta per clausole antecedentemente inserite e non au-torizzate. Per queste ultime, la Corte ha e-spressamente chiarito che è invocabile la ca-tegoria dell'inefficacia sopravvenuta. Rimane irrisolta, tuttavia, una questione di non poco rilievo, vale a dire quella dell'inclusione nel potere di previa autorizzazione, riconosciuto all'organo di governo, anche del potere di autorizzazione a posteriori, motivando e-spressamente, le clausole arbitrali già inseri-te nei bandi per gli arbitrati non ricadenti nell'ipotesi di cui all'art. 1, co. 25. Nel silen-zio della norma, tale aspetto appare partico-larmente critico, anche in relazione all'inci-denza sull'autonomia negoziale delle parti: l'impossibilità di autorizzazione a posteriori delle pregresse clausole compromissorie da parte dell'organo di governo se, da un lato, puo' ritenersi conforme alla ratio della novel-la, intesa a limitare il ricorso all'arbitrato, dall'altro, si porrebbe in contrasto con il po-tere espressamente riconosciuto a quest'ulti-mo di contemplarle pro futuro. Onde evitare un'irragionevole disparità di trattamento tra i contratti futuri, per i quali è sempre possibile rendere l'autorizzazione, in conformità al co. 19, dell'art.1 della l. n. 190/2012, ed i con-tratti in corso, in ordine ai quali i relativi bandi di gara rechino clausole arbitrali (pur in assenza dell'autorizzazione alla data di en-trata in vigore della legge sopra richiamata), si ritiene ammissibile, anche per quest'ultimi il rilascio di un'autorizzazione a posteriori. Al riguardo, si richiama l'attenzione delle pubbliche amministrazioni sulla necessità che sia garantita la certezza delle posizioni giuri-diche dei diversi contraenti e che, pertanto, in ossequio ai principi di correttezza e traspa-renza nonche' di buona fede (intesa come ob-bligo di protezione, volto a garantire la sfera personale della controparte ed a prevenire quei danni che possono verificarsi nello svol-gimento del rapporto obbligatorio origina-rio),Nincombe sulle medesime l'obbligo di parlare chiaramente in ordine alla possibi-lita' o meno di compromettere in arbitri even-tuali controversie e, quindi, di attivarsi tem-pestivamente per l'eventuale rilascio dell'au-

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torizzazione postuma sulle clausole compro-missorie già' inserite. Infine, con riferimento ai casi ricadenti nella previsione di cui al co. 25, che esclude dall'applicazione del co. 19 gli arbitrati conferiti o autorizzati prima del-la data di entrata in vigore della legge, la giurisprudenza ha evidenziato che il concetto di "arbitrato autorizzato" (prima della novel-la legislativa in esame) ed il significato dell'autorizzazione ivi richiamata non puo' essere direttamente ed esclusivamente ricava-to dal regime contenuto nel precedente co. 19 che richiede, in effetti, un assenso espresso per poter attivare la clausola arbitrale, dal momento che il co. 25 riguarda, piuttosto, il regime delle clausole compromissorie inseri-te nei contratti di appalto stipulati prima dell'entrata in vigore della l. n. 190/2012. E' ragionevole, pertanto, ritenere che l'autoriz-zazione di cui al predetto co. 25 dell'art. 1 della l. n. 190/2012 possa ritenersi sussisten-te anche in tutte quelle ipotesi in cui la pub-blica amministrazione abbia comunque man-tenuto comportamenti inequivoci idonei a far emergere la volonta' di secondare la clausola arbitrale, anche prescindendo da una manife-stazione espressa in tal senso. Esempi di tali comportamenti potrebbero essere costituiti dalla nomina dell'arbitro di designazione pubblica, oppure, dal sollevamento dell'ecce-zione circa il difetto di competenza del giudi-ce ordinario in favore del giudizio arbitrale, dunque, in ogni caso, atti formali apprezzabi-li in linea di principio anche ai sensi degli artt. 1362, 2°, c.c. e 808, 1° c., c.p.c. (TAR Lazio, sez. III, 10.2.2015, n. 2423). L'univoci-tà del comportamento concludente deve esse-re desunta nel rispetto dei principi elaborati dalla più recente giurisprudenza (v. CdS, Sez. VI, n. 5887/2014), che riconosce la sussisten-za del provvedimento implicito quando «l'Amministrazione pur non adottando for-malmente un provvedimento, ne determina univocamente i contenuti sostanziali, o attra-verso un comportamento conseguente, ovvero determinandosi in una direzione, anche con riferimento a fasi istruttorie coerentemente svolte, a cui non puo' essere ricondotto altro volere che quello equivalente al contenuto del provvedimento formale corrispondente» (CdS, Sez. IV, 7.2.2011, n. 813), congiungen-dosi i due elementi di una manifestazione

chiara di volontà dell'organo competente e della possibilita' di desumerne in modo non equivoco una specifica volontà provvedimen-tale «nel senso che l'atto implicito deve esse-re l'unica conseguenza possibile della pre-sunta manifestazione di volontà» (CGA, 1.2.2012, n. 118). Per l'inserimento, invece, delle clausole compromissorie in contratti pubblici e bandi di gara, successivamente al 28.11.2012, l'autorizzazione non puo' che es-sere espressa. 4) Rapporto tra la nuova di-sciplina dettata dal Codice e l'art. 810 c.p.c. Per quanto concerne il rapporto tra la novel-la normativa in esame e l'art. 810 c.p.c., ap-plicabile anche agli arbitrati nel settore dei contratti pubblici, per quanto non disciplina-to dal Codice, si osserva quanto segue. Come noto, l'articolo citato prevede che, "Quando a norma della convenzione d'arbitrato gli arbi-tri devono essere nominati dalle parti, cia-scuna, di esse, con atto notificato per iscritto, rende noto all'altra l'arbitro o gli arbitri che essa nomina, con invito a procedere alla de-signazione dei propri. La parte, alla quale e' rivolto l'invito, deve notificare per iscritto, nei venti giorni successivi, le generalita' dell'arbitro o degli arbitri da essa nominati. In mancanza, la parte che ha fatto l'invito può chiedere, mediante ricorso [c.p.c. 125], che la nomina sia fatta dal presidente del tri-bunale nel cui circondario è la sede dell'arbi-trato. Se le parti non hanno ancora determinato la sede, il ricorso è presentato al presidente del tribunale del luogo in cui è stata stipulata la convenzione di arbitrato oppure, se tale luo-go è all'estero, al presidente del tribunale di Roma. Il presidente del tribunale competente provvede alla nomina richiestagli, se la con-venzione d'arbitrato non è manifestamente inesistente o non prevede manifestamente un arbitrato estero. Le stesse disposizioni si applicano se la no-mina di uno o piu' arbitri è demandata dalla convenzione d'arbitrato all'autorita' giudizia-ria o se, essendo demandata a un terzo, que-sti non vi ha provveduto". La perdurante ap-plicabilità della norma de qua è stata già, so-pra, implicitamente affermata, laddove si è precisato che la "nomina effettuata dal Presi-dente del Tribunale" - la quale ha com'e' noto natura di provvedimento di volontaria giuri-

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sdizione sostitutiva di attivita' manchevole delle parti - sia, appunto, equiparabile al "conferimento ad opera delle parti". Con riferimento all'applicazione della norma de qua ed al relativo coordinamento con le disposizioni della l. n. 190/2012, si osserva come, per i casi di clausole arbitrali già inse-rite nei bandi, per gli arbitrati non ricadenti nell'ipotesi di cui all'art. 1, co. 25 (arbitrati non conferiti o non autorizzati alla data di

entrata in vigore della legge), sia, in ogni ca-so, necessaria l'autorizzazione postuma. Per i casi in parola,trova, inoltre, applicazio-ne la disposizione di cui al co. 24 dell'art. 1 della l. n. 190/2012, che obbliga la pubblica amministrazione a stabilire, a pena di nullità l'importo massimo spettante al dirigente pub-blico per l'attività arbitrale. (Determina dell'Autorità Nazionale Anticorruzione pub-blicata sulla G.U. n. 300 del 28.12.2015).

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REDAZIONALI

I COSTI INTERNI AZIENDALI SULLA SICUREZZA SUL LAVORO DEVONO ESSERE INDICATI NELLE OFFERTE ECONOMICHE ANCHE NELLE GARE DI APPALTO DI LAVORI, LA LORO OMISSIONE NON È SANABILE NEANCHE MEDIANTE IL SOCCORSO ISTRUTTORIO dell’Avv. Andrea Grappelli

Con il presente commento si affronta, nei suoi aspetti peculiari, il tema degli oneri di sicurezza nel settore degli appalti, in particolare il Consiglio di Stato è dovuto intervenire nel 2015 con due Adunanze Plenarie (n. 3 del 20.3.2015 e la n. 9 del 2.11.2015) per chiarire l’orientamento inter-pretativo della normativa di settore (cfr. art. 87, co. 4 del Codice appalti), ed in particolare sull’obbligo che tutti i partecipanti alle gare di appalto di lavori devono rispettare. I Giudici dell’Alta Corte chiariscono altresì che i concorrenti devono rispettare tale obbligo a prescindere che lo stesso sia stato esplicitato o meno nella lex specialis di gara quindi dovranno sempre essere indicati nella offerta economica anche i costi interni per la sicurezza del lavoro ed in caso di omessa indicazione di tali oneri non si potrà ricorrere all’istituto del soccorso istrutto-rio per sanarne l’omissione. With this comment is faced, in her distinctive features, on the theme workers security in procure-ment, in particular we discuss about the High court decision by Plenary Meetings (no. 3, 20th March 2015 and no. 9, 2nd November 2015); the Court has clarify the interpretation of sector regulations (see article 87, paragraph 4 of the code), and about the requirement must meet by all participants in tenders of works. High Court judges also clarify that competitors must respect this obligation regardless of whether or not the same has been made explicit in the tenders’ lex specialis, so they are obligated to speci-fied the internal costs for the workers safety and in the event of a failure indication of these the participants will not be able adopt any measures to rectify the omission. Sommario: 1. L’evoluzione interpretativa della giurisprudenza sugli oneri di sicurezza nel settore degli appalti di lavori dall’Adunanza Plenaria n. 3/2015 alla n. 9/2015. 2. L’Adunanza plenaria n. 9 del 2.11.2015. 3. Conclusioni.

1.L’evoluzione interpretativa della giu-risprudenza sugli oneri di sicurezza nel set-tore degli appalti di lavori dall’Adunanza Plenaria n. 3/2015 alla n. 9/2015.

Il Consiglio di Stato a novembre 2015 (A.P. n. 9/2015), a distanza di pochi mesi ri-spetto alla Adunanza Plenaria di marzo 2015, è dovuto ritornare nuovamente sul tema dell’obbligo di indicazione dei costi interni

sulla sicurezza del lavoro anche negli appalti di lavori.

Già con l’A.P n. 3/2015 era stato afferma-to che tutti i concorrenti di una procedura di gara per l’affidamento di lavori pubblici han-no l’obbligo di indicare nelle offerte econo-miche anche i costi interni che l’azienda so-stiene per la sicurezza sul lavoro.

La questione fortemente dibattuta, ha ne-

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cessitato di un intervento dei Giudici al fine di porre chiarezza ed unicità interpretativa sul testo del co. 4, art. 87 del Codice degli Appal-ti secondo cui: “Non sono ammesse giustifi-cazioni in relazione agli oneri di sicurezza in conformità all'art. 131, nonché al piano di si-curezza e coordinamento di cui all'art. 12, d.lgs 14.8.1996, n. 494 (ora art. 100 del d.lgs. n. 81 del 2008) e alla relativa stima dei costi conforme all'art. 7, d.P.R. 3.7.2003, n. 222 (ora punto 4 dell'allegato XV al d.lgs. n. 81 del 2008). Nella valutazione dell'anomalia la stazione appaltante tiene conto dei costi rela-tivi alla sicurezza, che devono essere specifi-camente indicati nell'offerta e risultare con-grui rispetto all'entità e alle caratteristiche dei servizi o delle forniture”.

Da una prima lettura del testo emerge che ai fini della valutazione dell’anomalia dell’offerta sussiste una difficoltà interpreta-tiva ed applicativa della norma che sembre-rebbe imporre l’obbligo di indicare i costi in-terni per la sicurezza solo negli appalti di ser-vizi e forniture, lasciando fuori dalla sua ap-plicazione i lavori; in realtà detto orientamen-to è stato oggetto di differenti pronunce con-trastanti (cfr. sul punto Consiglio di Stato Sez. V n. 3443 del 7.5.2014; n. 4964 del 9.10.2013).

La questione per poter trovare una sua so-luzione applicativa, deve essere analizzata in-serendola nell’analisi di un contesto normati-vo più ampio, tra cui l’art. 86, co. 3bis ed art. 131 del Codice degli Appalti, gli art. 26 co. 6 ed art. 100 del Testo Unico sulla sicurezza sul lavoro (Dlgs 81/2008).

Difatti partendo da una lettura combina della normativa di settore l’Adunanza ha rite-nuto che per gli appalti di lavori non vi siano norme che precludano l’indicazione di tali costi interni o aziendali, ed anzi che la loro indicazione nelle offerte economiche debba essere considerata come un vero e proprio obbligo a cui il partecipante ad un appalto di lavori debba sottostare.

Si è dunque posto il tema della sanabilità o meno sull’eventuale loro omessa indicazione nell’offerta economica, anche su tale aspetto l’Adunanza Plenaria ha avuto modo di chiari-re che si tratta di una omissione non sanabile neanche tramite l’istituto del soccorso istrut-

torio. Inoltre, data la disomogeneità interpretati-

va che sempre più insistentemente si stava avvicendando, l’Adunanza Plenaria ha ritenu-to di dover condividere l’orientamento secon-do cui, a prescindere delle previsioni contenu-te nella lex specialis, i concorrenti che parte-cipano alle gare di appalti di lavori devono indicare sempre anche i costi interni di sicu-rezza sul lavoro dell’Azienda. Questa tesi ha prevalso in quanto è stato ritenuto che il pia-no di sicurezza e coordinamento predisposto dalla stazione appaltante (ai sensi dell’art. 131 del d.lgs. n. 163/06 smi) non si riferisca tanto alla quantificazione dei costi interni o aziendali delle imprese ma piuttosto ai costi da interferenze. L’indicazione di tali costi in-terni o aziendali al contrario devono essere indicati al fine di permettere una completa va-lutazione dell’eventuale anomalia dell’of-ferta.

Difatti, viene ritenuto in modo chiaro che “le stazioni appaltanti, nella predisposizione degli atti di gara per lavori e al fine della va-lutazione dell’anomalia delle offerte, devono determinare il valore economico degli appalti includendovi l’idonea stima di tutti i costi per la sicurezza con l’indicazione specifica di quelli da interferenze; i concorrenti, a loro volta, devono indicare nell’offerta economica sia i costi di sicurezza per le interferenze (quali predeterminati dalla stazione appal-tante) che i costi di sicurezza interni che essi determinano in relazione alla propria orga-nizzazione produttiva e al tipo di offerta for-mulata;

(…) la ratio del puntuale richiamo, nell’art. 87, co. 4, secondo periodo del Codi-ce, della specifica indicazione dei costi per la sicurezza per le offerte negli appalti di servizi e forniture appare individuabile, in questo quadro, in relazione alla particolare tipolo-gia delle prestazioni richieste per questi ap-palti rispetto a quelli per lavori e alla rile-vanza di ciò nella fase della valutazione dell’anomalia (cui la norma è espressamente riferita); il contenuto delle prestazioni di ser-vizi e forniture può infatti essere tale da non comportare necessariamente livelli di rischio pari a quelli dei lavori, rilevando l’esigenza sottesa alla norma in esame, pur ferma la tu-

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Contratti, Servizi Pubblici e Concorrenza

Gazzetta Amministrativa -111- Numero 1- 2016

tela della sicurezza del lavoro, di particolar-mente correlare alla entità e caratteristiche di tali prestazioni la giustificazione dei rela-tivi, specifici costi in sede di offerta e di veri-fica dell’anomalia.”

2.L’Adunanza plenaria n. 9 del

2.11.2015. L’Adunanza Plenaria n. 9 del 2.11.2015, in

definitiva ha confermato quanto già espresso nella precedente Adunanza n. 3 del 20.3.2015, tuttavia si caratterizza principal-mente per il chiarimento sul quesito sulla le-gittimità dell’uso dei poteri del soccorso i-struttorio, ed in particolare sull’eventuale ap-plicazione dell’istituto nei casi in cui la fase procedurale di presentazione delle offerte si sia perfezionata prima della pubblicazione della decisione dell’Adunanza Plenaria del 20.3.2015.

I Giudici al quesito hanno risposto in mo-do negativo, ribadendo che deve considerarsi espressamente esclusa la sanabilità con il soccorso istruttorio dell’omessa indicazione degli oneri di sicurezza aziendale, in quanto si tratterebbe di un’inammissibile integrazio-ne postuma di un elemento essenziale dell’offerta.

In particolare i giudici hanno rilevato che non sono legittimamente esercitabili i poteri attinenti al soccorso istruttorio, nel caso di omessa indicazione degli oneri di sicurezza aziendali, anche per le procedure nelle quali la fase della presentazione delle offerte si è

conclusa prima della pubblicazione della de-cisione dell’Adunanza plenaria n. 3 del 2015.

I Giudici arrivano a tale conclusione sulla base anche di precedenti interpretazioni tra cui le decisioni prese dalla Cassazione a Se-zioni Unite (in particolare con la n. 15144 del 2011; Cass. 28967/11; 12704/12, 19700/15; 20007/15).

3.Conclusioni. Alla luce delle considerazioni che prece-

dono, l’Adunanza Plenaria n. 9 del 2015 ha consolidato la decisione già assunta preceden-temente a marzo 2015, di cui non ha innovato nè modificato il precedente orientamento. Anzi lo ha ulteriormente confermato e raffor-zato, rendendo sempre più vincolate il rispet-to da parte dei partecipanti alle gare di appalti di lavori l’obbligo di indicare nell’offerta e-conomica i costi interni o aziendali sulla sicu-rezza sul lavoro, come per gli appalti servizi e fornitura.

Nell’Adunanza di novembre 2015 inoltre si chiarisce che detto obbligo debba essere ri-spettato a prescindere dalla data di pubblica-zione della Adunanza Plenaria n. 3 del 20.3.2015 e che quindi debba ritenersi vinco-lante anche per le procedure nelle quali la fa-se della presentazione delle offerte si sia con-clusa prima della suddetta data di pubblica-zione; inoltre, in caso di mancato rispetto tale dovere, non sono legittimamente esercitabili i poteri attinenti al soccorso istruttorio.

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Gazzetta Amministrativa -112- Numero 1- 2016

LINEE GUIDA PER L’AFFIDAMENTO DI SERVIZI A ENTI DEL TERZO SETTORE E ALLE COOPERATIVE SOCIALI dell’Avv. Maurizio Dell’Unto

Deliberazione n. 32 del 20.1.2016 dell’Autorità Nazionale Anticorruzione. Sulle regole da seguirsi per l’affidamento dei servizi e delle forniture nell’ambito del terzo settore e delle cooperative sociali. The rules for the assignment of services and supplies in the third sector and social cooperatives. Sommario: 1. Premessa. 2. La concorrenza nel settore dei servizi sociali. 3. La programmazione degli interventi da realizzare. 4. La co-progettazione. 5. Modalità di erogazione dei servizi socia-li. 5.1 Autorizzazione e accreditamento. 5.2 Le convenzioni con le associazioni di volontariato. 5.3. L’acquisto di servizi e prestazioni dagli organismi no-profit. 5.4 L’affidamento della gestione dei servizi alla persona. 6.Gli affidamenti dei servizi e delle forniture nel settore dell’accoglienza ai richiedenti e titolari di protezione internazionale. 7. Gli affidamenti alle cooperative sociali. 8. Oggetto della prestazione. Il valore economico del servizio. 9. I requisiti dell’erogatore del servi-zio. 10. Controlli. 11. Proroghe e rinnovi. La clausola sociale. 12. Gli obblighi in materia di tra-sparenza e anticorruzione.

1. Premessa. Con la delibera in epigrafe, l’Autorità è in-

tervenuta nell’ambito del terzo settore e delle cooperative sociali per dettare Linee Guida con lo scopo di fornire indicazioni alle ammi-nistrazioni aggiudicatrici e agli operatori eco-nomici appartenenti a tali ambiti, posta la mancanza di una specifica normativa disci-plinante in maniera organica l’affidamento di contratti pubblici.

2. La concorrenza nel settore dei servizi

sociali. Osservando come la spesa per l’erogazione

dei servizi sociali abbia un impatto conside-revole sulla politica economica del Paese, l’Autorità ha affermato la necessità che le amministrazioni, da un lato, individuino cor-rettamente il fabbisogno della propria do-manda, e, dall’altro, adottino regole di sele-zione dei prestatori di servizi idonee a garan-tire la qualità dei servizi resi e a stimolarne la produttività. Le amministrazioni devono, i-noltre, garantire effettive condizioni di con-correnza al fine di assicurare il pieno soddi-sfacimento dell’interesse che intendono per-seguire nel rispetto dei principi di universali-tà, parità di trattamento, uguaglianza e non

discriminazione. 3. La programmazione degli interventi

da realizzare. L’Autorità si sofferma, poi, sulla necessità

della programmazione, ritenuta uno strumen-to fondamentale per garantire la trasparenza dell’azione amministrativa, la concorrenza nel mercato, il corretto funzionamento della macchina amministrativa e per prevenire la corruzione. Infatti, l’assenza di un’adeguata programmazione comporta la necessità di far fronte ai bisogni emersi ricorrendo a procedu-re di urgenza che, oltre a rivelarsi poco rispet-tose dei principi che governano l’azione am-ministrativa e a non garantire la qualità dei servizi resi, possono originare debiti fuori bi-lancio.

I Comuni, d’intesa con le aziende unità sa-nitarie locali, devono definire il piano di zona dei servizi sociali secondo le indicazioni del piano regionale nell’ambito delle risorse di-sponibili per gli interventi sociali e socio-sanitari. Con i piani regionali degli interventi e dei servizi sociali, realizzati d’intesa con i Comuni interessati, le Regioni individuano i LIVEAS (livelli essenziali dei servizi sociali), che rappresentano un set di servizi indispen-

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Gazzetta Amministrativa -113- Numero 1- 2016

sabili per costruire una base unitaria ed omo-genea di offerta di servizi sul territorio regio-nale.

Di norma, il piano di zona è adottato attra-verso un accordo di programma cui parteci-pano i Comuni associati e organismi non lu-crativi di utilità sociale, organismi della coo-perazione, associazioni ed enti di promozione sociale, fondazioni ed enti di patronato, orga-nizzazioni di volontariato, enti riconosciuti delle confessioni religiose, che, attraverso l’accreditamento o specifiche forme di con-certazione, concorrono, anche con proprie ri-sorse, alla realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali previsto nel pia-no. Esso individua gli obiettivi strategici e le priorità di intervento nonché gli strumenti e i mezzi per la relativa realizzazione, le modali-tà organizzative dei servizi, le risorse finan-ziarie, strutturali e professionali, i requisiti di qualità; il piano di zona deve prevedere l’erogazione dei servizi nel rispetto dei prin-cipi di universalità, parità di trattamento e non discriminazione.

Le amministrazioni hanno l’obbligo di procedere a un’adeguata programmazione degli interventi e dei servizi sociali, da effet-tuarsi con il coinvolgimento attivo dei sogget-ti pubblici e privati a ciò deputati al fine di addivenire, in via preventiva, alla corretta in-dividuazione e quantificazione delle risorse disponibili, dei bisogni da soddisfare, degli interventi all’uopo necessari e delle modalità di realizzazione degli stessi.

L’individuazione del fabbisogno di servizi sociali deve essere effettuata partendo dall’analisi storica della domanda del servi-zio, integrata da proiezioni sui possibili fabbi-sogni futuri, anche dettati da situazioni di ur-genza/emergenza. Le amministrazioni devono verificare e valutare annualmente lo stato di realizzazione delle azioni attivate, in termini di risultati raggiunti, e apportare i cambia-menti ritenuti necessari alla programmazione (ri-pianificazione) per l’anno successivo. Tale valutazione, inoltre, deve avvenire sulla base dell’andamento storico del rapporto tra l’offerta del servizio interessato e la relativa domanda, nonché sulla base dei dati sulla soddisfazione dell’utenza acquisiti nell’ambito delle azioni di monitoraggio.

4. La co-progettazione. Oltre che nell’attività di programmazione,

le organizzazioni del terzo settore hanno, se-condo la delibera in commento, un ruolo di rilievo anche in materia di progettazione di interventi innovativi e sperimentali, ai sensi dell’art. 7 del d.P.C.M. 30.3.2001. A tal pro-posito, la co-progettazione si sostanzia in un accordo procedimentale di collaborazione che ha per oggetto la definizione di progetti inno-vativi e sperimentali di servizi, interventi e attività complesse da realizzare in termini di partenariato tra amministrazioni e privato so-ciale e che trova il proprio fondamento nei principi di sussidiarietà, trasparenza, parteci-pazione e sostegno dell’impegno privato nella funzione sociale.

Le amministrazioni devono favorire la massima partecipazione dei soggetti privati alle procedure di co-progettazione e adottare metodi di selezione che prevedano l’ac-certamento del possesso dei requisiti di affi-dabilità morale e professionale in capo ai par-tecipanti e l’adeguata valutazione delle carat-teristiche e dei costi del progetto presentato.

Inoltre, al fine di garantire la correttezza e la legalità dell’azione amministrativa, le am-ministrazioni devono mantenere in capo a se stesse la titolarità delle scelte; in particolare, devono predeterminare gli obiettivi generali e specifici degli interventi, definire le aree di intervento, stabilire la durata del progetto e individuarne le caratteristiche essenziali dei servizi da erogare.

5. Modalità di erogazione dei servizi so-

ciali. Ai fini dell’erogazione dei servizi sociali,

la l. 328 del 2000 prevede che gli enti pubbli-ci promuovano azioni per favorire la traspa-renza e la semplificazione amministrativa, nonché il ricorso a forme di aggiudicazione o negoziali che consentono ai soggetti operanti nel terzo settore la piena espressione della propria progettualità (art. 5, co. 2). L’erogazione dei servizi alla persona può av-venire mediante diversi strumenti, rimessi al-la scelta discrezionale, ma motivata, dell’amministrazione:

a) autorizzazione e accreditamento (art. 11,

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Gazzetta Amministrativa -114- Numero 1- 2016

l. 328/2000); b) convenzione con le organizzazioni di

volontariato di cui alla l. 266/1991 (art. 3, d.p.c.m. 30.3.2001);

c) acquisto di servizi e prestazioni (art. 5, d.p.c.m. 30.3.2001);

d) affidamento ai soggetti del terzo settore (art. 6, d.p.c.m. 30.3.2001).

Attraverso l’autorizzazione e l’accredi-tamento vengono individuati gli operatori e-conomici (appartenenti al terzo settore) che possono erogare il servizio, mentre è l’utente finale che sceglie la struttura cui rivolgersi, sulla base della qualità del servizio offerto (concorrenza nel mercato). Per le altre tre ti-pologie di affidamento, in deroga al Codice dei Contratti, l’amministrazione deve selezio-nare, sulla base del progetto presentato, l’operatore economico che eroga il servizio e la concorrenza si svolge per entrare nel mer-cato. In questi casi è essenziale che l’amministrazione attribuisca una rilevanza maggiore alla verifica della qualità del servi-zio effettivamente reso, non operando i mec-canismi di selezione tipici del mercato.

5.1 Autorizzazione e accreditamento. L’autorizzazione al funzionamento e

l’accreditamento sono previsti come condi-zioni imprescindibili per la conduzione delle strutture residenziali e semiresidenziali da parte di soggetti pubblici o privati.

Il sistema di autorizzazione nell’offerta dei servizi è molto diffuso nelle realtà regionali e comunali e, pertanto, può essere considerato il modello classico e tradizionale di organiz-zazione dei servizi alla persona. Al fine di ga-rantire l’affidabilità del soggetto erogatore e la qualità delle prestazioni, il rilascio dell’autorizzazione deve essere subordinato al possesso di requisiti di onorabilità e di capa-cità professionale e tecnica e deve avvenire nel rispetto del principio di trasparenza e con-correnza, individuando preventivamente le procedure e i criteri di valutazione che saran-no adottati per la selezione dei soggetti. I cri-teri di valutazione devono riguardare gli a-spetti organizzativi, gestionali e metodologi-ci, le garanzie offerte agli utenti e, soprattutto con riferimento ai servizi socioeducativi, la qualità dei progetti educativi proposti. Inoltre,

al fine di garantire la qualità delle prestazioni e il raggiungimento degli obiettivi, devono essere previste attività di monitoraggio e di verifica periodica dei fabbisogni e della quali-tà delle prestazioni.

Rispetto all’autorizzazione, l’accredita-mento richiede l’osservanza di standard quali-tativi ulteriori e, quindi, si pone come atto di abilitazione di secondo grado. Esso non rive-ste una funzione accertativa del possesso di requisiti qualificanti, quanto piuttosto una funzione collaborativa e promozionale, es-sendo volto ad instaurare un rapporto tra ac-creditato e accreditante, ispirato ad una logica di sussidiarietà. Gli enti accreditati, infatti, vengono inseriti nella rete dei servizi sociali e possono ricevere contributi e sovvenzioni per lo svolgimento di attività rivolte al pubblico.

Le procedure di accreditamento devono garantire adeguati livelli di trasparenza e di concorrenza e assicurare l’affidabilità morale e professionale dei soggetti chiamati ad ero-gare i servizi. Inoltre, tra i requisiti da prende-re in considerazione devono rientrare anche la previsione di modalità di partecipazione degli utenti e dei loro familiari alla gestione e alla valutazione del servizio, nonché il rispetto dei diritti degli utenti riconosciuti da convenzioni internazionali, da disposizioni a tutela dei consumatori e dalle carte dei servizi.

L’accreditamento deve costituire un per-corso dinamico; deve prevedere sia valuta-zioni periodiche dei fabbisogni di prestazioni e della qualità dei servizi, che verifiche del mantenimento dei requisiti e delle condizioni di accreditamento; il venir meno dei requisiti che hanno dato luogo all’accreditamento e/o l’accertamento di gravi inadempimenti nell’esecuzione delle prestazioni deve dar luogo alla decadenza dell’accreditamento e alla risoluzione dei contratti in corso.

5.2 Le convenzioni con le associazioni di volontariato.

Lo strumento individuato dalla l. 266/1991 (legge quadro sul volontariato) per attuare la collaborazione tra gli enti pubblici e le orga-nizzazioni di volontariato è la convenzione. Essa rappresenta lo strumento giuridico me-diante il quale il soggetto pubblico riconosce in capo all’organizzazione i requisiti necessa-

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Gazzetta Amministrativa -115- Numero 1- 2016

ri per il perseguimento di obiettivi di interesse pubblico, mette a disposizione di tale sogget-to le risorse necessarie per il perseguimento degli obiettivi predefiniti, controlla, verifica e valuta l’operato dell’organizzazione con rife-rimento all’attività affidata. Le convenzioni di cui alla suddetta norma, possono essere stipulate in deroga ai principi dell’evidenza pubblica soltanto ove volte a realizzare i prin-cipi di universalità, solidarietà, efficienza e-conomica e adeguatezza e a condizione che siano rispettati i principi di imparzialità e tra-sparenza. Inoltre, esse possono essere stipula-te solo con organizzazioni di volontariato se-lezionate tra soggetti moralmente affidabili che siano in possesso dei requisiti soggettivi previsti dall’art. 3 legge cit. (assenza di fini di lucro, elettività e gratuità delle cariche asso-ciative, gratuità delle prestazioni fornite dagli aderenti, obbligo di formazione del bilancio) e di adeguata attitudine e capacità tecnica e professionale.

Le prestazioni erogate dalle organizzazioni di volontariato nell’ambito di convenzioni devono essere a titolo gratuito. I rimborsi de-vono avere ad oggetto i soli costi fatturati e rendicontati, con esclusione di qualsiasi attri-buzione a titolo di maggiorazione, accanto-namento, ricarico o simili. Il rimborso dei co-sti indiretti (es. canoni di locazione, manuten-zioni, spese generali) è consentito limitata-mente alla quota parte imputabile direttamen-te all’attività oggetto di affidamento.

5.3 L’acquisto di servizi e prestazioni

dagli organismi no-profit. I Comuni, al fine di realizzare il sistema

integrato di interventi e servizi sociali garan-tendone i livelli essenziali, possono acquista-re servizi e interventi organizzati dai soggetti del terzo settore (art. 5 d.P.C.M. 30.3.2011). Tale formula consente alle amministrazioni di continuare a esercitare in via diretta la fun-zione connessa all’erogazione dei servizi so-ciali, acquistando all’esterno i servizi stru-mentali di cui necessita, senza delegarne la gestione.

Al fine di garantire la concorrenza nel mercato e il rispetto dei principi di economi-cità ed efficienza dell’azione amministrativa, l’acquisto sul mercato di servizi da soggetti

del terzo settore in deroga alle disposizioni del Codice dei Contratti deve avvenire previa adeguata pubblicità del fabbisogno presunto di servizi in un determinato arco temporale e predeterminando le tariffe e le caratteristiche qualitative delle prestazioni. Gli erogatori dei servizi devono essere selezionati tra i fornito-ri autorizzati o accreditati ai sensi dell’art. 11 L. 328/2000, iscritti nell’apposito elenco, al fine di garantire il possesso dei requisiti sog-gettivi richiesti e dei requisiti di moralità. I-noltre, per assicurare un adeguato livello di qualità delle prestazioni, per garantire una maggiore partecipazione di aziende del terzo settore alle procedure di affidamento e per prevenire rischi di corruzione, essi devono es-sere scelti in base al criterio dell’offerta eco-nomicamente più vantaggiosa di cui all’art. 4 del citato d.p.c.m..

L’Autorità evidenzia che la possibilità di acquistare sul mercato i servizi, da soggetti del terzo settore è giustificata soltanto quando sia necessaria per garantire i livelli essenziali dei servizi medesimi e a condizione di ottene-re conseguenti economie di gestione; pertan-to, le amministrazioni possono procedere in tal senso soltanto previa valutazione della ri-correnza di entrambi i presupposti suindicati, di cui deve essere fornita idonea motivazione.

5.4 L’affidamento della gestione dei ser-

vizi alla persona. I Comuni possono anche riservare la ge-

stione dei servizi sociali agli organismi del terzo settore. In ottemperanza ai principi di trasparenza, imparzialità e buon andamento dell’azione amministrativa (art. 97 Cost.) e al principio di libera concorrenza tra i privati, nel rispetto delle norme nazionali e comunita-rie sugli affidamenti dei servizi da parte della pubblica amministrazione, devono essere pri-vilegiate le procedure di aggiudicazione ri-strette e negoziate e il criterio dell’offerta e-conomicamente più vantaggiosa (art. 6 d.P.C.M. 30.3.2001).

Le stazioni appaltanti devono rispettare le norme applicabili ai servizi esclusi di cui all’allegato IIB; si applica, quindi, l’art. 27 del Codice secondo cui l’affidamento dei contratti pubblici aventi ad oggetto lavori e servizi forniture, esclusi, in tutto o in parte,

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dall’ambito di applicazione oggettiva del co-dice, avviene nel rispetto dei principi di eco-nomicità, efficacia, imparzialità, parità di trat-tamento, trasparenza e proporzionalità e deve essere preceduto da invito ad almeno cinque concorrenti, se compatibile con l’oggetto del contratto.

Inoltre, le stazioni appaltanti devono porre particolare attenzione nell’individuazione dei requisiti di partecipazione e dei criteri di va-lutazione dell’offerta, al fine di evitare l’adozione di scelte che potrebbero avere ef-fetti distorsivi della concorrenza; in particola-re, è necessario adottare particolari cautele nel richiedere, quale requisito di partecipa-zione o di prevedere, come elemento di valu-tazione dell’offerta, lo svolgimento di servizi analoghi sul territorio di riferimento o l’aver già attivato e sperimentato forme di collabo-razione con la medesima amministrazione o con altri soggetti pubblici o privati operanti sul territorio medesimo. Sul punto, si eviden-zia che la giurisprudenza, comunitaria e na-zionale, nonché gli orientamenti della stessa Autorità hanno costantemente rilevato l’illegittimità delle limitazioni territoriali nel-le procedure di aggiudicazione, anche in caso di affidamenti di valore inferiore alle soglie comunitarie, perché in contrasto con il princi-pio costituzionale di parità di trattamento di cui all’art. 3 della Costituzione.

6. Gli affidamenti dei servizi e delle for-

niture nel settore dell’accoglienza ai ri-chiedenti e titolari di protezione interna-zionale.

La prestazione oggetto dell’affidamento deve essere l’accoglienza integrata dei bene-ficiari, finalizzata alla riconquista dell’autonomia individuale degli stessi e, per-tanto, deve prevedere la messa in atto di in-terventi materiali di base (vitto e alloggio), contestualmente a servizi volti al supporto di percorsi di inclusione sociale.

Le stazioni appaltanti devono garantire l’erogazione dei servizi adottando le precau-zioni più idonee ad evitare l’introduzione di barriere all’accesso. A tal fine esse devono favorire la massima partecipazione, la rota-zione dei soggetti affidatari e l’accesso al mercato delle piccole e medie imprese, anche

prevedendo l’affidamento per lotti, la parteci-pazione in forma aggregata, il ricorso all’istituto dell’avvalimento per la dimostra-zione dei requisiti di capacità economica, tec-nica e professionale oppure la possibilità di subappaltare una parte del servizio.

Sempre in un’ottica di apertura alla con-correnza e di favor partecipationis, le ammi-nistrazioni dovrebbero assicurare la separa-zione della proprietà della struttura dalla ge-stione del servizio, prevedendo che le infra-strutture necessarie all’accoglienza siano pre-ventivamente individuate tra le strutture di proprietà dell’ente o del demanio (ad esempio ex-caserme o ospedali dismessi) o messe a disposizione mediante la locazione di fabbri-cati che non richiedano notevoli adeguamenti, l’edificazione ex novo o la ristrutturazio-ne/riconversione di fabbricati esistenti (p.es. caserme, scuole, strutture sportive). In tal modo, la selezione dei gestori è indipendente dalla proprietà della struttura e può essere ef-fettuata considerando esclusivamente l’effet-tiva capacità di esecuzione della prestazione dedotta in contratto.

Il rispetto dei principi di imparzialità, tra-sparenza e concorrenza deve essere sempre assicurato, anche in situazioni di urgen-za/emergenza. Ciò può avvenire attraverso l’utilizzo degli accordi-quadro che consento-no di selezionare preventivamente, mediante procedure ad evidenza pubblica, i possibili erogatori dei servizi con i quali sottoscrivere specifici accordi nel momento in cui si con-cretizza l’esigenza dell’accoglienza.

Le amministrazioni devono prevedere a-zioni di monitoraggio dell’esecuzione del contratto per assicurare la verifica periodica dell’efficacia, l’efficienza e la qualità delle prestazioni fornite nonché il raggiungimento degli obiettivi di accoglienza, assistenza, re-cupero e integrazione

7. Gli affidamenti alle cooperative socia-

li. La L. 381/1991 consente l’affidamento di

appalti pubblici, anche in deroga alla discipli-na generale in materia di contratti della pub-blica amministrazione, purché ricorrano le condizioni previste dall’art. 5 del citato testo normativo. Più precisamente quest’ultimo

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Contratti, Servizi Pubblici e Concorrenza

Gazzetta Amministrativa -117- Numero 1- 2016

prevede che “gli enti pubblici, compresi quel-li economici, e le società di capitali a parte-cipazione pubblica, anche in deroga alla di-sciplina in materia di contratti della pubblica amministrazione, possono stipulare conven-zioni con le cooperative che svolgono le atti-vità di cui all’art. 1, co. 1, lettera b), ovvero con analoghi organismi aventi sede negli al-tri Stati membri della Comunità Europea, per la fornitura di beni e servizi diversi da quelli socio-sanitari ed educativi, il cui importo stimato al netto dell’Iva sia inferiore agli im-porti stabiliti dalle direttive comunitarie in materia di appalti pubblici, purché tali con-venzioni siano finalizzate a creare opportuni-tà di lavoro per le persone svantaggiate di cui all’art. 4, co. 1. Le convenzioni in parola sono stipulate previo svolgimento di procedu-re di selezione idonee ad assicurare il rispet-to dei principi di trasparenza, di non discri-minazione e di efficienza”.

Si osserva che la legge citata individua due distinte tipologie di cooperative:

- quelle di tipo A, che svolgono servizi so-cio-sanitari ed educativi, volti, attraverso l’impiego di soci lavoratori, a fornire servizi socio-sanitari ed educativi a favore di persone bisognose di intervento in ragione dell’età, della condizione familiare, personale o socia-le;

- quelle di tipo B, che svolgono attività di-verse da quelle di tipo A (agricole, industriali, commerciali o di servizi), al fine di promuo-vere l’inserimento lavorativo di persone svan-taggiate.

Entrambe le tipologie in esame sono ri-conducibile alla categoria generale della «so-cietà cooperativa» di cui l’art. 2511 c.c., tut-tavia, le cooperative sociali sono incluse ex lege nell’ambito della categoria più ristretta delle cooperative a mutualità prevalente; que-sta circostanza consente a tali società di gode-re di specifici benefici fiscali, previa iscrizio-ne nell’apposito albo ministeriale, presso il quale depositano annualmente i propri bilanci ex art. 2512 c.c..

Sotto il profilo soggettivo, gli affidamenti in deroga alla disciplina generale dettata in materia di contratti pubblici sono consentiti dall’art. 5 l. 381/1991, solo se disposti a favo-re di cooperative sociali di tipo B, che abbia-

no almeno il trenta per cento dei lavoratori (soci o non) costituito da persone svantaggia-te ai sensi dell’art. 4 della stessa legge, ovve-ro di consorzi costituiti come società coopera-tive aventi base sociale formata in misura non inferiore al settanta per cento da cooperative sociali (art. 8, l. 381/1991).

La locuzione “soggetti svantaggiati” comprende un lungo elenco di soggetti tra i quali è possibile rilevare gli invalidi fisici, psichici e sensoriali, gli ex degenti di istituti psichiatrici, i soggetti in trattamento psichia-trico, i tossicodipendenti, gli alcolisti, i mino-ri in età lavorativa in situazione di difficoltà familiare; i soggetti disabili di cui all’art. 52 del Codice dei contratti non sono considerati soggetti svantaggiati.

L’affidamento avviene mediante la stipu-lazione di apposita convezione, la quale costi-tuisce la fonte delle obbligazioni delle parti. Presupposto per procedere a tale stipula è l’iscrizione della cooperativa all’albo regio-nale di cui all’art. 9, co. 1, della L. 381/1991, che viene effettuata sulla base di un insieme di elementi concernenti la capacità professio-nale ed economico-finanziaria della coopera-tiva stessa; l’iscrizione deve perdurare per tutta la durata dell’affidamento e la cancella-zione dall’albo deve essere prevista come causa di risoluzione della convenzione.

Si è visto che la deroga di cui all’art. 5 del-la legge cit. è finalizzata a creare opportunità di lavoro per i soggetti svantaggiati ed è pre-vista solo per gli affidamenti aventi ad ogget-to la fornitura di beni e servizi diversi da quelli socio-sanitari e di importo inferiore alle soglie comunitarie. Si è visto anche che il ri-corso al modulo convenzionale è ammissibile soltanto per la fornitura di beni e servizi il cui importo stimato al netto di Iva sia inferiore alle soglie comunitarie. Il valore di tali affi-damenti deve essere calcolato in conformità alla disposizione dell’art. 29 del Codice, in-cludendo, quindi, il valore di eventuali rinno-vi, che devono essere espressamente previsti già al momento in cui viene indetta la proce-dura di scelta del contraente.

Per gli affidamenti di importo superiore al-le soglie comunitarie, pur sussistendo l’interesse pubblico ad agevolare il reinseri-mento lavorativo di soggetti svantaggiati, le

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Contratti, Servizi Pubblici e Concorrenza

Gazzetta Amministrativa -118- Numero 1- 2016

stazioni appaltanti non possono prevedere «affidamenti preferenziali» per le cooperative di tipo B, ma devono osservare le disposizio-ni del Codice dei Contratti. In particolare, queste ultime consentono di soddisfare even-tuali esigenze sociali o mediante gli affida-menti a laboratori protetti ai sensi dell’art. 52 del Codice, o mediante l’inserimento nei ban-di di criteri di selezione premianti concernenti l’impiego di lavoratori svantaggiati, ovvero mediante la previsione di specifiche clausole di esecuzione.

Si evidenzia, inoltre, che gli affidamenti previsti dall’art. 5 L. 381/1991, generano di fatto una contrazione della concorrenza. Con-seguentemente, le stazioni appaltanti devono individuare nell’ambito della programmazio-ne le esigenze di approvvigionamento di beni e servizi e di reinserimento dei soggetti svan-taggiati che giustificano tali affidamenti e de-vono indicare chiaramente, nella determina a contrarre, gli obiettivi sociali che l’ente si propone di perseguire. Successivamente, in fase di esecuzione della convenzione, devono essere previsti appositi controlli onde verifi-care il raggiungimento degli obiettivi prefis-sati.

Poiché la stazione appaltante deve poter valutare l’effettivo perseguimento dell’obiet-tivo di reinserimento dei lavoratori, giustifi-candosi per tale fine la compressione della concorrenza, l’unico criterio di selezione del-le offerte che appare compatibile con l’oggetto degli affidamenti alle cooperative sociali di tipo B è quello dell’offerta econo-micamente più vantaggiosa.

Le stazioni appaltanti, inoltre, devono co-stantemente vigilare sulla permanenza dei presupposti e dei requisiti previsti dal legisla-tore per procedere legittimamente all’affidamento di servizi e forniture a coope-rative sociali di tipo B in deroga al Codice dei Contratti. Le suddette stazioni devono verifi-care anche la corretta esecuzione della con-venzione secondo gli standard indicati nell’offerta, nonché il permanere delle condi-zioni di partecipazione, tra cui l’iscrizione all’albo regionale ex art. 9, co. 1, della l. n.381 del 1991. In particolare, va controllato l’impiego per singolo affidamento di almeno il trenta per cento di lavoratori svantaggiati; il

venir meno di tali presupposti e requisiti de-termina la risoluzione della convenzione. A-nalogamente si deve procedere alla risoluzio-ne del contratto qualora la stazione appaltante accerti che non siano rispettati gli obblighi relativi alla realizzazione dell’inserimento la-vorativo, previsti nella convenzione.

8. Oggetto della prestazione. Il valore

economico del servizio. L’affidamento del servizio deve necessa-

riamente prevedere, a carico dell’affidatario, l’organizzazione e l’impiego dei mezzi e del-le risorse necessarie (personale, capitali, mac-chine e attrezzature), nonché l’assunzione del rischio d’impresa. Le stazioni appaltanti, nel-la determinazione dell’importo a base di gara per l’affidamento dei servizi, non possono li-mitarsi ad una generica e sintetica indicazione del corrispettivo, ma devono indicare con ac-curatezza e analiticità i singoli elementi che compongono la prestazione e il loro valore. Le stazioni appaltanti, quindi, già in fase di programmazione, devono procedere alla sti-ma del fabbisogno effettivo in termini di nu-mero di ore di lavoro/interventi/prestazioni e alla predeterminazione del costo complessivo di ciascuna prestazione.

9. I requisiti dell’erogatore del servizio. Le amministrazioni aggiudicatrici devono

affidare la gestione dei servizi sociali a sog-getti che offrono serie garanzie di moralità professionale, anche per gli affidamenti in de-roga al Codice dei Contratti. Esse, inoltre, hanno facoltà di richiedere requisiti minimi di idoneità tecnica ed economica, al fine di ga-rantire un determinato livello di affidabilità dell’aggiudicatario sul piano economico-finanziario e tecnico-organizzativo.

Sempre nell’ottica di garantire l’affi-dabilità del soggetto erogatore e di assicurare che la prestazione affidata venga svolta nel rispetto della legalità, le stazioni appaltanti devono verificare l’osservanza, da parte degli organismi no-profit, delle disposizioni di cui al d.lgs. n. 231/2001.

Gli enti no-profit devono dotarsi di un modello di organizzazione che preveda: a) l’individuazione delle aree a maggior rischio di compimento di reati; b) la previsione di i-

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Contratti, Servizi Pubblici e Concorrenza

Gazzetta Amministrativa -119- Numero 1- 2016

donee procedure per la formazione e l’attuazione delle decisioni dell’ente nelle at-tività definite a maggior rischio di compimen-to di reati; c) l’adozione di modalità di ge-stione delle risorse economiche idonee ad impedire la commissione dei reati; d) la pre-visione di un appropriato sistema di trasmis-sione delle informazioni all’organismo di vi-gilanza; e) la previsione di misure di tutela dei dipendenti che denunciano illeciti; f) l’introduzione di sanzioni per l’inosservanza dei modelli adottati.

Gli enti no-profit, inoltre, devono procede-re alla nomina di un organismo deputato alla vigilanza sul funzionamento e sull’osservanza del modello; le stazioni appaltanti devono ve-rificare l’osservanza, da parte degli organismi no-profit, delle disposizioni di cui al d.lgs. n. 231/2001.

Un ulteriore requisito di cui deve essere dotato il soggetto erogatore del servizio è la carta dei servizi. Quest’ultima rappresenta l’impegno assunto dai soggetti erogatori nei confronti dei Comuni che li accreditano e de-gli utenti, nonché un elemento essenziale di valutazione nell’ambito dell’offerta economi-camente più vantaggiosa. Nella carta dei ser-vizi devono essere definiti i criteri per l’accesso ai servizi, le modalità del relativo funzionamento, le condizioni per facilitare le valutazioni del servizio da parte degli utenti e le procedure per assicurare la tutela degli stessi beneficiari. Essa è un efficace strumen-to di garanzia della qualità delle prestazioni, vincola l’ente erogatore al rispetto di livelli minimi delle prestazioni e legittima l’utente a pretendere il rispetto degli standard predefini-ti. Il mancato rispetto delle previsioni conte-nute nella stessa è fonte di responsabilità con-trattuale che può essere sanzionata con penali e, in casi di particolare gravità, anche con la risoluzione del contratto.

Al fine di tutelare le posizioni soggettive e rendere immediatamente esigibili i diritti ri-conosciuti, la carta dei servizi deve prevedere la possibilità per gli utenti di attivare ricorsi, reclami e segnalazioni nei confronti dei re-sponsabili preposti alla gestione dei servizi.

10. Controlli. Per quanto riguarda i servizi sociali, la par-

ticolare natura delle prestazioni, la rilevanza sociale degli obiettivi perseguiti e l’esigenza di giustificare la deroga in favore dei soggetti del terzo settore, rendono ancora più rilevante la necessità di prevedere ed attuare adeguate forme di controllo e di verifica delle presta-zioni. Le amministrazioni devono verificare la sussistenza dei requisiti soggettivi dei sog-getti affidatari, la qualità delle prestazioni, il raggiungimento degli obiettivi sociali prefis-sati e il rispetto delle particolari condizioni di esecuzione, tra cui rientra, nel caso di affida-menti alle cooperative sociali di tipo B, l’effettivo utilizzo dei lavoratori svantaggiati nell’esecuzione delle prestazioni.

Conseguentemente, le stazioni appaltanti devono prevedere nei contratti di affidamento una compiuta e dettagliata descrizione delle prestazioni da erogare (contenuta anche nella carta dei servizi), nonché la specificazione delle modalità di erogazione, del numero mi-nimo di addetti da utilizzare, della struttura organizzativa da mettere a disposizione, de-gli obiettivi da raggiungere e dei controlli da effettuare. I contratti devono anche prevedere l’applicazione di penali e, per i casi più gravi, la risoluzione in caso di inadempimento o mancato rispetto degli standard qualitativi concordati. Infine, deve essere periodicamen-te valutato il grado di soddisfazione degli u-tenti, mediante la somministrazione di que-stionari di gradimento.

11. Proroghe e rinnovi. La clausola so-

ciale. In nessun caso le carenze nella fase della

programmazione possono giustificare la pro-roga dei contratti in essere, mentre, per il rin-novo degli stessi, è necessario che tale possi-bilità sia già stata prevista nel bando di gara (e, quindi, in sede di programmazione).

L’esigenza di salvaguardare il rapporto in-stauratosi tra l’addetto alla prestazione del servizio e il destinatario dello stesso, insieme alla necessità di garantire i livelli occupazio-nali, deve essere valutata dalla stazione appal-tante ai fini dell’inserimento della cosiddetta «clausola sociale» nei bandi di gara, piuttosto che costituire motivo per il mantenimento in vita del contratto con l’impresa affidataria, oltre i limiti temporali dell’affidamento origi-

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Gazzetta Amministrativa -120- Numero 1- 2016

nario. Tale ultima possibilità si tradurrebbe, in-

fatti, in un’ingiustificata compressione della libera concorrenza.

E’ consentita, quindi, l’apposizione della clausola sociale ma, come afferma chiara-mente il Consiglio di Stato, essa «deve essere interpretata conformemente ai principi na-zionali e comunitari in materia di libertà di iniziativa imprenditoriale e di concorrenza, risultando, altrimenti, la clausola in questio-ne, senz’altro lesiva della concorrenza”.

12. Gli obblighi in materia di trasparen-za e anticorruzione.

Le stazioni appaltanti sono tenute a garan-tire un adeguato livello di pubblicità che con-senta l’apertura degli appalti di servizi sociali alla concorrenza, nonché il controllo sull’imparzialità delle procedure di aggiudi-cazione.

A tal fine, gli affidamenti di servizi sociali devono essere preceduti dalla pubblicazione di un avviso o bando sul sito informatico del-la stazione appaltante, sui siti informatici di cui al D.M. n. 20 del 6.4.2001 e sui quotidia-

ni, non escludendo la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale e su quella dell’Unione eu-ropea per appalti di consistente rilevanza e-conomica. Inoltre, le stazioni appaltanti che hanno aggiudicato un contratto pubblico o concluso un accordo quadro per l’affidamento di servizi sociali devono rispettare le disposi-zioni del Codice dei Contratti in materia di pubblicità applicabili ai servizi esclusi.

Le stesse, inoltre, sono tenute alla corretta applicazione della normativa in materia di prevenzione della corruzione di cui alla l. n. 190 del 2012, con particolare riferimento agli obblighi di pubblicazione previsti agli artt. 15, 16 e 32 in relazione ai provvedimenti di autorizzazione e concessione, scelta del con-traente per l’affidamento di lavori, forniture e servizi nonché di concessione ed erogazione di sovvenzioni, sussidi, ausili finanziari e vantaggi economici di qualunque genere a persone ed enti pubblici e privati.

L’Autorità ha, infine, precisato che agli acquisti, agli affidamenti di servizi sociali nonché agli affidamenti alle cooperative so-ciali di tipo B si applica la disciplina sulla tracciabilità dei flussi finanziari.

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Gazzetta Amministrativa -121- Numero 1- 2016

GIURISPRUDENZA Consiglio di Stato Sez. III del 10.3.2016 n. 962 Anomalia dell'offerta - giudizio di inattendi-bilità - immodificabilità postuma. Se è vero che il giudizio sull’anomalia postula un apprezzamento globale e sintetico sull’affidabilità dell’offerta nel suo complesso (Cfr. ex multis CdS, Sez. IV, 26.2.2015, n.963) e che, nel contraddittorio procedimentale affe-rente al relativo segmento procedurale, sono consentite compensazioni tra sottostime e so-vrastime di talune voci dell’offerta economica, ferma restando la sua strutturale immodificabi-lità (CdS, Sez. VI, 10.11.2015, n. 5102), è anche vero che l’applicazione di tali principi incontra il duplice limite, in generale, di una radicale modificazione della composizione dell’offerta (da intendersi preclusa), che ne alteri l’equilibrio economico (allocando diversamen-te rilevanti voci di costo nella sola fase delle giustificazioni), e, in particolare, di una revi-sione della voce degli oneri di sicurezza azien-dale, che, quale elemento costitutivo dell’offerta, esige una separata identificabilità ed una rigida inalterabilità, a presidio degli in-teressi pubblici sottesi alla relativa disciplina legislativa, per come interpretata e valorizzata dalle citate decisioni dell’Adunanza Plenaria (nn. 3 e 9 del 2015). Ne consegue, per un verso, che il giudizio di inattendibilità dell’offerta può legittimamente investire specifiche voci di costo (Cons. St., sez. V, 15.1.2015, n.89), quando le stesse assumano una rilevanza tale da inficiare, di per sé, la serietà dell’offerta, e che, per un altro, la valutazione di quest’ultima possa legit-timamente appuntarsi sulla congruità dei soli oneri di sicurezza aziendale, quale segmento dell’offerta che ha ricevuto dal legislatore una peculiare e specifica regolazione (art.87, co. 4, d.lgs. n. 163 del 2006), che implica, a sua volta, una autonoma rilevanza della relativa voce, a protezione delle incomprimibili esigenze pub-blicistiche soddisfatte dal regime normativo di

riferimento. Diversamente opinando, si perver-rebbe, invero, all’inaccettabile conseguenza di consentire un’indiscriminata ed arbitraria mo-difica postuma della composizione dell’offerta economica (nella fase del controllo dell’anomalia), con il solo limite del rispetto del saldo complessivo, il che si porrebbe in contrasto con le esigenze conoscitive, da parte della stazione appaltante, della sua struttura di costi, e, segnatamente, degli interessi sottesi al-la specifica individuazione degli oneri di sicu-rezza aziendale (la cui necessaria integrità vie-ne espressamente sancita dall’art. 87, co. 4, d.lgs. cit.), che resterebbero in tal modo irri-mediabilmente vanificati. Non solo, ma, acce-dendo alla prospettazione difensiva articolata nell’atto d’appello, si finirebbe per snaturare completamente la funzione e i caratteri del su-bprocedimento di anomalia, trasformando i-nammissibilmente le giustificazioni, che, nella disciplina legislativa di riferimento, servono a chiarire le ragioni della serietà e della congrui-tà dell’offerta economica, in occasione, secun-dum eventum, per una sua libera rimodulazio-ne, per mezzo di una scomposizione e di una diversa ricomposizione delle sue voci di costo (per come dettagliate nella domanda di parte-cipazione originaria), che implicherebbe, pe-raltro (oltre ad una evidente lesione delle esi-genze di stabilità ed affidabilità dell’offerta), anche una violazione della par condicio tra i concorrenti. Consiglio di Stato Sez. III 9.3.2016 n. 957 Graduatorie nelle procedure di gara -interesse a ricorrere del concorrente - annul-lamento dell'esclusione. L’annullamento dell’esclusione di un concor-rente determina, come effetto diretto, unica-mente la riammissione in gara dello stesso, e che pertanto il suo interesse a ricorrere deve essere valutato in relazione al posizionamento in graduatoria che conseguirebbe da tale ri-

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Gazzetta Amministrativa -122- Numero 1- 2016

ammissione. In altri termini, il giudicato sull’illegittimità dell’esclusione non si estende alla posizioni di altri concorrenti esclusi, an-corché pienamente coincidente con quella del ricorrente vittorioso. Il riscontro dell’illegittimità di una esclusione può indurre la stazione appaltante ad interveni-re in autotutela nei confronti di altri concorren-ti, con ogni conseguente impugnazione dei rela-tivi provvedimenti. Ma, se ciò non accade in corso di giudizio, le vicende degli altri concor-renti, meglio graduati e parimenti esclusi, non entrano nella valutazione dell’interesse a ricor-rere, a meno che costoro (ma ciò non si verifica nel caso in esame) abbiano a loro volta impu-gnato la propria esclusione. Il principio secon-do il quale l’utilità cui aspira il ricorrente deve porsi in rapporto di prossimità, regolarità ed immediatezza causale rispetto alla domanda di annullamento proposta e non restare subordi-nata ad eventi solo potenziali e incerti (cfr. A.P. n. 8/2014) - invocato dall’appellante per esclu-dere la rilevanza di una futura impugnazione nei confronti della concorrente originariamente prima in graduatoria – esclude, prima ancora, la rilevanza di un futuro, ipotetico esercizio dell’autotutela volto al ripristino della gradua-toria originaria. Consiglio di Stato Sez. VI 7.3.2016 n. 917 Durc - regolarizzazione postuma delle irre-golarità contributive - ritiro dell’aggiudica-zione della gara. La questione giuridica giunta all'attenzione della Sesta Sezione del Consiglio di Stato attie-ne alla sanabilità delle irregolarità contributive emerse subito dopo la stipula del contratto d’appalto e riscontrate dalla stazione appaltan-te a seguito della espressa richiesta agli istituti previdenziali delle condizioni di esistenza della regolarità contributiva dell’impresa aggiudica-taria. La tesi della società appellante, già ag-giudicataria della gara, la quale non contesta di non essere stata in regola con il pagamento dei contributi previdenziali già alla data di sti-pula del contratto inter partes è che la stazione appaltante, prima dell’eventuale ritiro in auto-tutela dell’aggiudicazione, avrebbe dovuto ri-chiedere alla società interessata la regolarizza-zione della propria posizione contributiva, e tanto ai sensi dell’art. 31, co. 8, del d.l.

21.6.2013 n. 69, convertito nella l. n. 98 del 2013, recante semplificazioni in materia di DURC. Il Collegio con la sentenza del 7.3.2016 n. 917 è del parere che la tesi non meriti condi-visione. "La disposizione normativa appena ci-tata dispone che ai fini della verifica per il rila-scio del documento unico di regolarità contri-butiva (DURC), in caso di mancanza dei requi-siti per il rilascio di tale documento gli Enti preposti al rilascio, prima dell'emissione del DURC o dell'annullamento del documento già rilasciato, invitano l'interessato, mediante po-sta elettronica certificata o con lo stesso mezzo per il tramite del consulente del lavoro ovvero degli altri soggetti di cui all'art. 1 della l. 11.1.1979, n. 12, a regolarizzare la propria po-sizione entro un termine non superiore a quin-dici giorni, indicando analiticamente le cause della irregolarità. Tuttavia, come è agevole de-sumere già dalla portata letterale della disposi-zione, la norma trova applicazione, come cor-rettamente ritenuto del giudice di primo grado, nei casi di richiesta del DURC da parte dell’impresa interessata ( sia in sede di prima emissione del documento, sia in sede di rinno-vo) nell’ambito delle attività di normale gestio-ne dell’impresa;ma non certo nei casi, quale quello di specie, in cui la richiesta del DURC provenga da una stazione appaltante e sia fun-zionale ad acclarare se il concorrente ( che ha dichiarato in sede di gara di essere in regola con il versamento dei contributi) abbia in con-creto i requisiti dichiarati per restare aggiudi-catario di un appalto pubblico. In tali casi, ammettere la regolarizzazione postuma del re-quisito contributivo mancante sarebbe eviden-temente violativo della par condicio competito-rum tenuto conto, peraltro, che nella specie, il requisito della regolarità contributiva era ri-chiesto dal disciplinare di gara ( cfr. pag. 3) quale requisito “ dinamico”; dato che il con-corrente doveva dichiarare di non aver com-messo violazioni gravi in materia previdenziale ed assistenziale, di essere al corrente con il pa-gamento dei contributi e di obbligarsi a rima-nervi “ in via dinamica” ovvero dal momento della partecipazione alla gara al momento del-la stipulazione del contratto. Ora, poiché dalla interlocuzione con gli istituti previdenziali ( v. certificazioni in atti), la stazione appaltante ha accertato la carenza del requisito contributivo

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Gazzetta Amministrativa -123- Numero 1- 2016

della impresa GP General Pol srl alla data del 13.2.2015 (ovverosia alla data di stipula del contratto), incensurabile appare la determina-zione con la quale è stato disposto il ritiro dell’aggiudicazione e la risoluzione del con-tratto già stipulato, essendo l’impresa venuta meno all’obbligo di mantenere il requisito con-tributivo fino alla stipula del contratto. Il fatto integra in sè una violazione grave delle norme in materia previdenziale, che necessariamente ha comportato l’esclusione dell’impresa dalla gara ( mercè il ritiro dell’aggiudicazione e la risoluzione del rapporto contrattuale). La con-clusione è peraltro coerente con quanto statuito dall’adunanza plenaria di questo Consiglio di Stato nella sentenza 4.5.2012 n. 8, nella quale è stato affermato che la valutazione della gravità delle violazioni alle norme in materia previden-ziale ed assistenziale non è rimessa alla valuta-zione caso per caso della stazione appaltante, posto che ai sensi e per gli effetti dell’art. 38, co. 1, lett. i), d.lgs. n. 163 del 2006, secondo cui costituiscono causa di esclusione dalle gare di appalto le gravi violazioni alle norme in mate-ria previdenziale e assistenziale, la nozione di “violazione grave” si deve desumere dalla di-sciplina previdenziale, e in particolare dalla disciplina del documento unico di regolarità contributiva; con la conseguenza che la verifica della regolarità contributiva delle imprese par-tecipanti a procedure di gara per l’aggiudicazione di appalti con la pubblica amministrazione è demandata agli istituti di previdenza, le cui certificazioni (DURC) si im-pongono alle stazioni appaltanti, che non pos-sono sindacarne il contenuto. Ne consegue che, nel caso di specie, dalla certificazione negativa degli istituti previdenziali doveva necessaria-mente derivare il ritiro dell’aggiudicazione del-la gara in confronto dell’ATI di cui faceva par-te l’odierna appellante; senza che peraltro pos-sano qui riconnettersi conseguenze invalidanti ( stante il richiamato carattere vincolato dell’atto di ritiro) alla mancata comunicazione dell’avvio del procedimento di autotutela". Consiglio di Stato Sez. IV 3.3.2016 n. 879 Costi di sicurezza aziendale - bando non reca una espressa clausola di esclusione dalla gara - omessa indicazione di tali costi - offerta in-completa di un requisito la cui essenzialità è

direttamente stimata dalla legge. Nel giudizio in esame l'appellante sostiene, tra l'altro, la necessità di riformare la sentenza ove ha ritenuto valida l’esclusione dalla gara del concorrente che non abbia indicato i costi di sicurezza aziendale, nonostante che il bando di gara non ne prescriva l’indicazione; l’esclusione violerebbe quindi gli artt. 86 ed 87 del decreto n.163/2006 (codice degli appalti) che non prescrivono di fornire detti elementi. Il Consiglio di Stato Sez. IV nella sentenza del 3.3.2016 n. 879 ha ritenuto infondata tale moti-vo, risultando corretto l’orientamento espresso dal TAR in quanto “ L’’indicazione degli oneri aziendali per la sicurezza costituisce, in virtù degli artt. 86, n. 3 bis, e 87, n. 4, d. lgs. n. 163 del 2006, un adempimento imposto dalla legge. Inoltre, l’art. 26, n. 6, del d. lgs. n. 81 del 9.4.2008, recante norme in materia di tutela della salute e di sicurezza nei luoghi di lavoro, stabilisce che, nella predisposizione delle gare di appalto e nella valutazione dell’anomalia delle offerte, nelle procedure di affidamento di appalti di lavori pubblici, di servizi e di fornitu-re, gli enti aggiudicatori sono tenuti a valutare che il valore economico sia adeguato e suffi-ciente rispetto al costo del lavoro ed al costo relativo alla sicurezza, che deve essere specifi-camente indicato e risultare congruo rispetto all’entità e alle caratteristiche dei lavori, dei servizi o delle forniture”. Quanto all’osser-vazione in contrario secondo cui il bando non reca una espressa clausola di esclusione dalla gara per detta omissione, va sottolineato che questa rende l’offerta incompleta di un requisi-to la cui essenzialità è direttamente stimata dal-la legge, sicchè sul punto appare condivisibile l’orientamento (anch’esso citato dalla sentenza ed espresso anche dall’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici) per il quale “l’offerta eco-nomica priva dell’indicazione degli oneri di si-curezza manca di un elemento essenziale e co-stitutivo, con conseguente applicazione della sanzione dell’esclusione dalla gara anche in assenza di una specifica previsione in seno alla lex specialis, attesa la natura immediatamente precettiva della disciplina contenuta nelle nor-me citate, idonea ad eterointegrare le regole procedurali” (pareri 17.7.2013, n. 118, e 9.5.2013, n.77).

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Consiglio di Stato Sez. IV 3.3.2016 n. 879 Subappalto - dichiarazione di subappalto. Nel giudizio in esame uno dei motivi di censura riguarda l’omessa indicazione, nell’ambito del-la dichiarazione concernente il subappalto, dell’ impresa subappaltatrice, nonché del pos-sesso in capo a quest'ultima dei requisiti di qualificazione di cui alle lavorazioni subappal-tate. Sul punto l’appellante sostiene che, diver-samente da quanto ritenuto dal TAR, l’art. 118, co. 2, del codice degli appalti e l’art.92 del re-golamento non recano alcun obbligo del con-corrente, che dichiara di voler ricorrere al su-bappalto per alcune specifiche lavorazioni, di indicare già in sede di presentazione dell’offerta il nominativo del’impresa subap-paltatrice. Anche questa censura non può tro-vare accoglimento. Al riguardo il Consiglio di Stato Sez. IV con la sentenza del 3.3.2016 n. 879 ha ritenuto di non doversi discostare dall’orientamento più volte espresso, e richia-mato dal TAR, (CdS, sez. IV, 26.8.2014, n. 4229; sez. V, 28.8.2014, n. 4405; sez. IV, 13.5.2014, n. 1224; sez. V, 21.11.2012, n. 5900), per il quale “l’art. 118, co. 2, del d.l.vo 12.4.2006, n. 163, va applicato tenendo presen-te che la dichiarazione di subappalto può esse-re limitata alla mera indicazione della volontà di concludere un subappalto nelle sole ipotesi in cui il concorrente sia a propria volta in pos-sesso delle qualificazioni necessarie per l’esecuzione in via autonoma delle lavorazioni oggetto dell’appalto, ossia nelle sole ipotesi in cui il ricorso al subappalto rappresenti per lui una facoltà, non la via necessitata per parteci-pare alla gara; al contrario, la dichiarazione deve indicare il subappaltatore e dimostrare il possesso, da parte di quest'ultimo, dei requisiti di qualificazione, nelle ipotesi in cui il subap-palto si renda necessario a cagione del manca-to autonomo possesso, da parte del concorren-te, dei necessari requisiti di qualificazione”. Consiglio di Stato Sez. IV 3.3.2016 n. 880 Appalti - disciplina del contenuto del con-tratto di avvalimento. In tema di avvalimento la giurisprudenza ha ripetutamente affermato l’esigenza, ricavata dalle disposizioni dell’art. 49, che il contratto in parola rechi una esplicita ed esauriente indi-cazione del relativo oggetto, in particolare che

le risorse ed i mezzi da prestare alla ditta ausi-liata siano indicati in modo determinato e spe-cifico (cfr. ex multis Consiglio di Stato, sez. V, n.3791/2009 e sez. III, n.2344/2011). Ma va an-che osservato che l’intensità del dovere di spe-cificazione, sulla base di una lettura complessi-va dello stesso art. 49, può essere diversamente determinata, atteso che tale norma richiama in più punti la possibilità che la “lex specialis concursus” rechi una disciplina del contenuto del contratto di avvalimento “ in relazione ad una specifica gara” (co. 1 dell’art. 49) o con specifico riguardo alle “risorse necessarie” (co. 2 lett. f del medesimo articolo) per l’appalto. È questo il principio sancito nella sentenza del Consiglio di Stato Sez. IV del 3.3.2016 n. 880 che applicando questo criterio alla fattispecie in esame ha rilevato che il ban-do di gara nulla di particolarmente specifico statuiva sul punto, di guisa che, anche conside-rato che trattasi di un bando per servizi non particolarmente complessi , la valutazione di idoneità del contratto di avvalimento compiuta dal TAR secondo i criteri dell’art. 49, appare dunque immune dai vizi ipotizzati. Il fatto che l’impresa aggiudicataria non fosse onerata ad operare in avvalimento (ex art. 49 co. 2, lett g, ,a differenza di quanto accade nei casi di ca-renza di iscrizione per categoria prevalente di opera scorporabile), non assume alcun rilievo poiché la questione controversa era comunque verificare se la scelta di avvalersi di altra ditta rispondesse ai criteri generali richiesti dall’art. 49, verifica necessaria anche in caso di avvali-mento infragruppo in consorzio stabile che non esime da tale osservanza, in applicazione del principio di completezza che regola l’offerta d’appalto a fronte di sempre possibili carenze di capacità presentate dalle ditte componenti il gruppo. Consiglio di Stato Ad. plen. 29.2.2016 n. 6 Durc e Appalti: l'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato boccia la regolarizzazione postuma. L'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con sentenza n. 6 del 29.2.2016 ha risolto il contra-sto giurisprudenziale in materia di regolarizza-zione del Durc ovvero il cd "preavviso di Durc negativo" affermando il seguente principio di diritto: «Anche dopo l’entrata in vigore

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dell’art. 31, co. 8, del d.l. 21.6.2013 n. 69, (Di-sposizioni urgenti per il rilancio dell’economia), convertito con modificazioni dalla l. 9.8.2013, n. 98, non sono consentite re-golarizzazioni postume della posizione previ-denziale, dovendo l’impresa deve essere in re-gola con l’assolvimento degli obblighi previ-denziali ed assistenziali fin dalla presentazione dell’offerta e conservare tale stato per tutta la durata della procedura di aggiudicazione e del rapporto con la stazione appaltante, restando dunque irrilevante, un eventuale adempimento tardivo dell’obbligazione contributiva. L’istituto dell’invito alla regolarizzazione (il c.d. preavviso di DURC negativo), già previsto dall’art. 7, co. 3, del decreto ministeriale 24.10.2007 e ora recepito a livello legislativo dall’art. 31, co. 8, del d.l. 21.6.2013 n. 69 può operare solo nei rapporti tra impresa ed Ente previdenziale, ossia con riferimento al DURC chiesto dall’impresa e non anche al DURC ri-chiesto dalla stazione appaltante per la verifica della veridicità dell’autodichiarazione resa ai sensi dell’art. 38, co. 1, lettera i) ai fini della partecipazione alla gara d’appalto». In parti-colare il quesito sottoposto al Supremo Conses-so è "se l’obbligo degli Istituti previdenziali di invitare l’interessato alla regolarizzazione del DURC (c.d. preavviso di DURC negativo), pre-visto dall’art. 7, co. 3 d.m. 24.10.2007 e ribadi-to dall’art. 31, co. 8, del d.l. n. 69 del 2013, sussista anche nel caso in cui la richiesta pro-venga dalla stazione appaltante in sede di veri-fica della dichiarazione resa dall’impresa ai sensi dell’art. 38, co. 1, lettera i) del d.lgs. n. 163 del 2006. Se, in altri termini, la mancanza dell’invito alla regolarizzazione impedisca di considerare come “definitivamente accertata” la situazione di irregolarità contributiva". Il principio sopra affermato in risposta al quesito si fonda sulle argomentazioni di seguito tra-scritte: 16. La questione sottoposta dall’ordinanza di rimessione deve essere risolta dando continuità, anche dopo l’entrata in vigo-re dell’art. 31, co. 8, del d.l. n. 69 del 2013, all’indirizzo interpretativo secondo cui non so-no consentite regolarizzazioni postume della posizione previdenziale, dovendo l’impresa de-ve essere in regola con l’assolvimento degli obblighi previdenziali ed assistenziali fin dalla presentazione dell’offerta e conservare tale sta-

to per tutta la durata della procedura di aggiu-dicazione e del rapporto con la stazione appal-tante, restando, dunque, irrilevante, un eventu-ale adempimento tardivo dell’obbligazione con-tributiva. Tale principio, già chiaramente e-spresso dall’Adunanza Plenaria nella sentenza 4.5.2012, n. 8, non risulta superato dalla nor-ma, più volta richiamata dall’ordinanza di ri-messione, introdotta con l’art. 31, co. 8, del d.l. n. 69 del 2013. La disposizione in esame te-stualmente prevede, sotto la rubrica «Semplifi-cazioni in materia di DURC»: «Ai fini della ve-rifica per il rilascio del documento unico di re-golarità contributiva (DURC), in caso di man-canza dei requisiti per il rilascio di tale docu-mento gli Enti preposti al rilascio, prima dell’emissione del DURC o dell’annullamento del documento già rilasciato, invitano l’interessato, mediante posta elettronica certifi-cata o con lo stesso mezzo per il tramite del consulente del lavoro ovvero degli altri soggetti di cui all’art. 1 della l. 11.1.1979, n. 12, a rego-larizzare la propria posizione entro un termine non superiore a quindici giorni, indicando ana-liticamente le cause della irregolarità» Tale di-sposizione, contrariamente a quanto sostenuto nell’ordinanza di rimessione, non può interpre-tarsi nel senso di subordinare il carattere defi-nitivo della violazione previdenziale (che ai sensi dell’art. 38 d.lgs. n. 163 del 2006 rappre-senta un elemento ostativo alla partecipazione alle gare d’appalto) alla condizione che l’impresa che versi in stato di irregolarità con-tributiva al momento della presentazione dell’offerta venga previamente invitata a rego-larizzare la propria posizione previdenziale e che, nonostante tale invito, perseveri nell’inadempimento dei propri obblighi contri-butivi. L’Adunanza Plenaria ritiene, al contra-rio, che l’art. 31, co. 8, del d.l. n. 69 del 2013 non abbia in alcun modo modificato la discipli-na dettata dall’art. 38 d.lgs. n. 163 del 2006 e che, pertanto, la regola del previo invito alla regolarizzazione non trovi applicazione nel ca-so di DURC richiesto dalla stazione appaltante ai fini della verifica delle dichiarazioni rese dall’impresa ai fini della partecipazione alla gara. L’istituto dell’invito alla regolarizzazione (il c.d. preavviso di DURC negativo) può, dun-que, operare solo nei rapporti tra impresa ed Ente previdenziale, ossia con riferimento al

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DURC chiesto dall’impresa e non anche al DURC richiesto dalla stazione appaltante per la verifica della veridicità dell’autodichia-razione. 17. Depongono a favore di tale con-clusione, una pluralità di argomenti di caratte-re letterale, storico e sistematico. VI) Gli ar-gomenti fondati sul dato letterale 18. Da un punto di vista letterale, risulta significativo il confronto tra la formulazione del co. 8 dell’art. 31 e quella dei commi che lo precedono (in particolare quelli che vanno dal co. 2 al co. 7). Nel co. 8 (quello oggetto della questione inter-pretativa rimessa all’esame dell’Adunanza Ple-naria) manca qualsiasi riferimento alla disci-plina dell’evidenza pubblica o dei contratti pubblici e questa mancanza è tanto più signifi-cativa se si considera che, invece, nei commi precedenti (in tutti quelli che vanno dal co. 2 al co. 7) vi è un rifermento esplicito a tale disci-plina, riferimento enfatizzato anche dalla rela-tiva collocazione, sempre all’inizio della dispo-sizione. Più nel dettaglio: - i commi 3, 4, 6 e 7 si aprono tutti con la stessa locuzione: «Nei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture […]»; - il co. 2 si apre con la formula: «Al co-dice di cui al d.lgs 12.4.2006, n. 163, sono ap-portate le seguenti modificazioni: […]»; - il co. 7 si apre, a sua volta, con uno specifico rifer-mento proprio al «documento unico di regolari-tà contributiva (DURC) rilasciato per i contrat-ti pubblici di lavori, servizi e forniture». Già il dato letterale, rafforzato dal confronto tra i va-ri commi che compongono l’articolo in esame, supporta, quindi, la conclusione che laddove il legislatore del 2013 ha inteso occuparsi dei contratti pubblici, apportando modifiche alla relativa disciplina, lo ha detto espressamente, attraverso un richiamo esplicito. 19. L’argomento letterale è rafforzato dalla consi-derazione che ai sensi dell’art. 255 d.lgs. 163 del 2006 « [o]gni intervento normativo inciden-te sul codice, o sulle materie dallo stesso disci-plinate, va attuato mediante esplicita modifica, integrazione, deroga o sospensione delle speci-fiche disposizioni in esso contenute» (c.d. clau-sola di abrogazione esplicita). Conformemente a tale previsione normativa, che impone l’abrogazione o la modifica esplicita delle norme del codice dei contratti pubblici (o delle norme che incidono sulle materie dallo stesso regolate), l’art. 31, co. 2, come si è già accen-

nato, contiene l’elenco esplicito delle disposi-zioni del d.lgs n. 163 del 2006 che sono state modificate. In questo elenco non è menzionato l’art. 38, co. 1, lettera i), ovvero la disposizione che prevede come causa ostativa della parteci-pazione l’aver commesso «violazioni gravi e definitivamente accertate, alle norme in mate-ria di contributi previdenziali e assistenziali». Non è allora sostenibile che una modifica così rilevante come quella che l’ordinanza di rimes-sione vorrebbe trarre dal d.l. n. 69 del 2013 (ossia, la modifica della nozione di “definitivo accertamento” quale fatta propria dal c.d. di-ritto vivente di cui è certamente espressione la sentenza dell’Adunanza Plenaria n. 8 del 2012) possa discendere, in violazione della clausola dell’abrogazione esplicita, da una disposizione che non solo non lo dispone espressamente, ma che non contiene nemmeno alcun esplicito rife-rimento alla materia dei contratti pubblici ed è per di più inserita in un articolo che in un di-verso co. (il co. 5) elenca in maniera analitica e puntuale le modifiche apportate alla disciplina dei contratti pubblici. 20. Sempre sotto il profi-lo letterale, giova evidenziare che il co. 8 dell’art. 31, nel prevedere l’onere del previo invito alla regolarizzazione fa testualmente ri-ferimento all’attività di «verifica per il rilascio del documento unico di regolarità contributiva (DURC) » richiesto dal datore di lavoro. Ben diversa è l’attività che l’Ente previdenziale compie non per rilasciare il DURC su richiesta dell’impresa, ma per verificare, su richiesta della stazione appaltante, la veridicità della di-chiarazione sostitutiva relativa al requisito di cui all’art. 38, co. 1, lettera i), del d.lgs 12.4.2006, n. 163. La netta distinzione tra le due fattispecie di DURC – quello rilasciato su richiesta di parte e quello acquisito d’ufficio dalla stazione appaltante nell’ambito delle pro-cedure di gara (o della successiva fase di ese-cuzione del contratto) – trova ancora conferma nel testo dell’art. 33 del d.l. n. 69 del 2103. Nell’ambito di tale articolo, il DURC relativo all’aggiudicazione e all’esecuzione dei contrat-ti pubblici è fatto oggetto di specifica disciplina nei commi 3, 4 e 5, 6 e 7. In questi commi, il le-gislatore non prevede mai, neanche implicita-mente o indirettamente, la possibilità di regola-rizzazione postuma dell’eventuale inadempien-za contributiva che dovesse essere riscontrata

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in capo all’impresa che ha partecipato alla ga-ra o che sta eseguendo il contratto. Solo il co. 8, che si riferisce però al DURC rilasciato su richiesta di parte, prevede il previo invito alla regolarizzazione. La conclusione che si trae, anche alla luce del fondamentale canone inter-pretativo ubi lex voluit dixit, ubi nolit tacuit, è univoca: l’invito alla regolarizzazione è un isti-tuto estraneo alla disciplina dell’aggiudicazio-ne e dell’esecuzione dei contratti pubblici. Tale risultato interpretativo è ulteriormente confer-mato dalla considerazione che l’art. 38, co. 2, del d.lgs n. 163 del 2006 rinvia alle norme dell’ordinamento previdenziale solo per stabili-re quando l’irregolarità contributiva deve con-siderarsi “grave” (prevedendo letteralmente che, « ai fini del co. 1, lettera i), si intendono gravi le violazioni ostative al rilascio del do-cumento unico di regolarità contributiva»). A-nalogo rinvio non è presente, invece, per quan-to riguarda l’altra caratteristica che la viola-zione contributiva deve avere affinché rilevi come causa ostativa alla partecipazione alle gare d’appalto (essere appunto “definitivamen-te accertata”). Da qui la conclusione che la no-zione di “definitivo accertamento” che viene in rilievo nell’ambito del Codice dei contratti pubblici debba essere ricostruita in maniera autonoma rispetto alla disciplina dell’ordinamento previdenziale, e prescinda, pertanto, dalla necessità della previa attivazio-ne di meccanismi di regolarizzazione postuma, come quelli di cui si discute nel presente giudi-zio. VII) Gli argomenti di sistema 21. Anche da un punto di vista sistematico, non può non con-siderarsi che il c.d. invito alla regolarizzazione costituisce una sorte di preavviso di rigetto (si parla non a caso di preavviso di DURC negati-vo). Esso evoca, pertanto, un istituto (la comu-nicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza) previsto in via generale dall’art. 10-bis l. 7.8.1990, n. 241. Si tratta di un istituto che, come è noto, è stato previsto, nell’ambito della disciplina del procedimento amministrati-vo, solo con riferimento ai procedimenti ad i-stanza di parte, risultando incompatibile con i procedimenti d’ufficio, dove, in effetti, non vi è un’istanza di parte e, quindi, non vi è un onere di preventiva comunicazione dei motivi ostativi al suo accoglimento. Merita considerazione an-che il rilievo che lo stesso art. 10-bis della l. n.

241 del 1990, introduce due deroghe espresse alla regola del c.d. preavviso di rigetto. Le de-roghe si riferiscono: 1) alle procedure concor-suali; 2) ai procedimenti in materia previden-ziale e assistenziale sorti a seguito di istanza di parte e gestiti dagli enti previdenziali. Entram-be le deroghe offrono elementi d’interesse ai fini della risoluzione della questione oggetto del presente giudizio. La deroga alle procedure concorsuali (a prescindere dalla difficoltà di considerare, a rigore, la procedura concorsua-le un procedimento ad istanza di parte) si rife-risce a tutte le procedure caratterizzate dal principio della concorsualità e, quindi, anche alle procedure di evidenza pubblica per l’aggiudicazione di contratti pubblici. La dero-ga relativa ai procedimenti previdenziali fa specifico riferimento a quelli sorti a seguito ad istanza di parte. Se il procedimento previden-ziale inizia d’ufficio (come è nel caso di cui ci si occupa nel presente giudizio) l’art. 10-bis della l. n. 241 del 1990 non ha nemmeno previ-sto la deroga, sul presupposto che tali proce-dimenti sono, per la loro stessa natura, estranei all’ambito di applicazione del c.d. preavviso di rigetto. Rispetto alle previsioni dell’art. 10-bis della l. n. 241 del 1990, l’art. 31, co. 8, del d.l. n. 69 del 2013, introduce un elemento di novità: una sorta di “deroga alla deroga” per effetto della quale un meccanismo analogo al preavvi-so di rigetto è ora previsto per un particolare procedimento previdenziale: quello ad istanza di parte per il rilascio del DURC. Al di fuori di questa specifica ipotesi, tuttavia, torna ad ope-rare la disciplina generale, che appunto esclu-de il preavviso di rigetto nell’ambito sia delle procedure concorsuali sia dei procedimenti previdenziali che iniziano d’ufficio. 22. Sempre da un punto di vista sistematico, l’esclusione del c.d. preavviso di DURC negativo nell’ambito del procedimento d’ufficio per la verifica della veridicità delle dichiarazioni so-stitutive rese in sede ai fini della partecipazione alla gara, si pone in linea con alcuni principi fondamentali che governano appunto le proce-dure di gara: i principi di parità di trattamento e di autoresponsabilità e il principio di conti-nuità nel possesso dei requisiti di partecipazio-ne alla gara. 22.1. Per quanto riguarda il prin-cipio della parità di trattamento e dell’autoresponsabilità (per i quali si rinvia al-

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la fondamentale sentenza di questa Adunanza Plenaria 25.2.2014, n. 9), è fin troppo evidente che l’applicazione della “regolarizzazione po-stuma” finirebbe per consentire ad una impresa di partecipare alla gara senza preoccuparsi dell’esistenza a proprio carico di una irregola-rità contributiva, potendo essa confidare sulla possibilità di sanare il proprio inadempimento in caso di aggiudicazione (e, dunque, a seconda della convenienza). Si arriverebbe, in tal modo, a consentire all’offerente - che pur a conoscen-za di una irregolarità contributiva abbia reso una dichiarazione volta ad attestare falsamente il contrario - di beneficiare di una facoltà di regolarizzazione postuma della sua posizione, andando così a sanare, non una mera irregola-rità formale, ma la mancanza di un requisito sostanziale, mancanza aggravata dall’aver reso una dichiarazione oggettivamente falsa in ordi-ne al possesso del requisito. Una simile genera-lizzata possibilità di sanatoria – della dichiara-zione falsa e della mancanza del requisito so-stanziale – darebbe vita ad una palese viola-zione del principio della parità di trattamento e dell’autoresponsabilità dei concorrenti, in for-za del quale ciascuno di essi sopporta le conse-guenze di errori, omissione e, a fortiori, delle falsità, commesse nella formulazione dell’offerta e nella presentazione delle dichia-razioni (cfr. ancora Ad. Plen. 25.2.2014, n. 9). Va richiamato a tale proposto anche quanto autorevolmente e condivisibilmente affermato dall’Autorità nazionale anticorruzione (ANAC) nella Determinazione n. 1 dell’8.1.2015 (Criteri interpretativi in ordine alle disposizioni dell’art. 38, co. 2 bis e dell’art. 46, co. 1-ter del d.lgs. 12.4.2006, n. 163). In quella sede l’ANAC, proprio delimitando il campo di appli-cazione dell’istituto del soccorso istruttorio in materia di appalti pubblici [in seguito alla mo-difiche apportate al Codice dei contratti pub-blici dal d.l. 24.6.2014, n. 90 (Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza ammini-strativa e per l’efficienza degli uffici giudizia-ri), convertito, con modificazioni in l. 11.8.2014, n. 114] ha giustamente precisato che il nuovo istituto del soccorso istruttorio «non può, in ogni caso, essere strumentalmente utilizzato per l’acquisizione, in gara, di un re-quisito o di una condizione di partecipazione, mancante alla scadenza del termine di presen-

tazione dell’offerta. Resta fermo, in sostanza, il principio per cui i requisiti di partecipazione devono essere posseduti dal concorrente - che deve essere, altresì, in regola con tutte le altre condizioni di partecipazioni - alla scadenza del termine fissato nel bando per la presentazione dell’offerta o della domanda di partecipazione, senza possibilità di acquisirli successivamen-te». E con particolare riferimento alle dichia-razioni false, la citata determinazione precisa che «La novella in esame, infatti, non incide sulla disciplina delle false dichiarazioni in ga-ra, che resta confermata. Pertanto ai sensi dell’art. 38, co. 1-ter del Codice, ove la stazio-ne appaltante accerti che il concorrente abbia presentato una falsa dichiarazione o una falsa documentazione, si dà luogo al procedimento definito nel citato co. 1-ter dell’art. 38 ed alla comunicazione del caso all’Autorità per l’applicazione delle sanzioni interdittive e pe-cuniarie fissate nella disciplina di riferimento (art. 38, co. 1-ter e art. 6, co. 11, del Codice) ». L’Adunanza Plenaria condivide e fa proprie ta-li conclusioni, dovendosi ribadire anche in que-sta sede l’inammissibilità di qualsiasi forma di regolarizzazione postuma della carenza del re-quisito sostanziale o della falsa dichiarazione. 22.2. Deve, inoltre, richiamarsi il principio di continuità nel possesso dei requisiti (cfr. CdS, Ad. Plen. 20.7.2014, n. 8), che non possono es-sere persi dal concorrente neanche temporane-amente nel corso della procedura. A voler se-guire, invece, il principio della regolarizzazio-ne postuma dovrebbe allora sostanzialmente consentirsi al soggetto che abbia perso e poi riacquisito il requisito di conseguire l’aggiudicazione, in netto contrasto con quanto chiaramente affermato da questa Adunanza Plenaria nella sentenza n. 8 del 2015. VIII) Gli argomenti legati all’evoluzione storico-normativa e alla relativa interpretazione giuri-sprudenziale 23. L’asserita portata innovativa che si vorrebbe riconoscere all’art. 31, co. 8, del d.l. n. 69 del 2013 risulta sensibilmente ri-dimensionata anche da considerazioni legate all’osservazione dell’evoluzione storico-normativa e della relativa interpretazione giu-risprudenziale. Deve osservarsi, invero, che una regola di portata analoga a quella ora re-cepita a livello legislativo dall’art. 31, co. 8, del d.l. n. 69 del 2013, già esisteva

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nell’ordinamento, sia pure posta da una fonte regolamentare. Si fa riferimento all’art. 7, co. 3, del d.m. 24.10.2007 (peraltro applicabile ra-tione temporis alla procedura di gara oggetto del presente giudizio) il quale, appunto preve-deva:« In mancanza dei requisiti di cui all’art. 5 gli Istituti, le Casse edili e gli Enti bilaterali, prima dell’emissione del DURC o dell’annullamento del documento già rilasciato ai sensi dell’art. 3, invitano l’interessato a re-golarizzare la propria posizione entro un ter-mine non superiore a quindici giorni. ». Nell’interpretazione di questa norma non si è mai dubitato che la regola del previo invito alla regolarizzazione non trovasse applicazione nel caso di richiesta della certificazione preordina-ta alle verifiche effettuate dalla stazione appal-tante ai fini della partecipazione alle gare d’appalto. Vanno riportare sotto tale profilo i chiarissimi principi enunciati da questa Adu-nanza Plenaria nella già citata sentenza 20.5.2012, n. 8, in cui si legge: « Quanto alla questione del momento in cui deve sussistere la regolarità contributiva e della possibile sanato-ria dell’irregolarità in corso di gara, la giuri-sprudenza di questo Consesso ha affermato che l’assenza del requisito della regolarità contri-butiva, costituendo condizione di partecipazio-ne alla gara, se non posseduto alla data di sca-denza del termine di presentazione dell’offerta, non può che comportare la esclusione del con-corrente non adempiente, non potendo valere la regolarizzazione postuma. L’impresa infatti de-ve essere in regola con i relativi obblighi fin dalla presentazione della domanda e conserva-re tale regolarità per tutto lo svolgimento della procedura. Costituisce principio pacifico che poiché il momento in cui va verificata la sussi-stenza del requisito della regolarità contributi-va e previdenziale è quello di presentazione della domanda di partecipazione alla gara, la eventuale regolarizzazione successiva, se vale a eliminare il contenzioso tra l’impresa e l’ente previdenziale non può comportare ex post il venir meno della causa di esclusione [CdS, Sez. IV, 12.4.2011, n. 2284; Id., sez. V, 23.10.2007, n.5575] Deve escludersi la rilevanza di un e-ventuale adempimento tardivo dell’obbliga-zione contributiva, quand’anche ricondotto re-troattivamente, quanto ad efficacia, al momento della scadenza del termine di pagamento [CdS,

sez. IV, n. 1458/2009]. Si tratta, del resto, di un corollario del più generale principio (già af-fermato nella giurisprudenza della Corte di giustizia UE con la pronuncia del 9.2.1996, in cause riunite C-226/04 e C-228/04) secondo cui la sussistenza del requisito della regolarità fi-scale e contributiva (che, pure, può essere re-golarizzato in base a disposizioni nazionali di concordato, condono o sanatoria) deve comun-que essere riguardata con riferimento insupe-rabile al momento ultimo per la presentazione delle offerte, a nulla rilevando una regolarizza-zione successiva la quale, pertanto, non potrà in alcun modo incidere sul dato dell’irregolarità ai fini della singola gara [CdS, Sez. VI, 5.7.2010, n. 4243]. La mancanza del requisito della regolarità contributiva alla data di scadenza del termine previsto dal bando per la presentazione delle offerte, in definitiva, non é sanato dall’eventuale adempimento tar-divo dell’obbligazione contributiva, atteso che tale tardivo adempimento può rilevare nelle re-ciproche relazioni di credito e di debito fra i soggetti del rapporto obbligatorio e non anche nei confronti dell’Ammi-nistrazione aggiudica-trice che debba accertare la sussistenza del re-quisito della regolarità contributiva ai fini dell’ammissione alla gara [CdS, Sez. VI, 12.1.2011, n.104]. ». L’art. 31, co. 8, del d.l. n. 69 del 2013 ha determinato una sorta di “nova-zione” della fonte della previsione normativa già contenuta nel decreto ministeriale del 24.10.2007, conferendole rango legislativo. Ma non vi sono nella disposizione che ora ha rango legislativo elementi di novità che consentano di superare l’interpretazione “storica” della pre-cedente norma regolamentare. 24. Nessun ar-gomento in senso contrario può trarsi, diver-samente da quanto ipotizzato nell’ordinanza di rimessione, dal decreto ministeriale 30.1.2015 (comunque inapplicabile ratione temporis per-ché entrato in vigore il 1.7.2015) e dalla suc-cessiva circolare interpretativa del Ministero del Lavoro - Direzione generale per l’attività ispettiva dell’ 8.6.2015, n. 19. Appurato, infatti, che a livello di normativa primaria, la discipli-na dell’affidamento degli appalti pubblici non consente la regolarizzazione postuma della ir-regolarità contributiva, deve certamente esclu-dersi che tale forma di regolarizzazione possa essere stata introdotta da una fonte di rango

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Gazzetta Amministrativa -130- Numero 1- 2016

regolamentare, quale è il decreto ministeriale 30.1.2015. È fin troppo evidente che il generale principio di gerarchia delle fonti normative non permette ad una norma regolamentare di intro-durre una forma di regolarizzazione incompa-tibile con la disciplina di rango legislativo. Una simile interpretazione (dando luogo ad una i-nammissibile inversione della gerarchia delle fonti) deve, pertanto, essere disattesa. IX) La presunta incompatibilità comunitaria 25. In senso contrario alla tesi qui accolta non posso-no essere invocati neanche presunti profili di incompatibilità con i principi dell’ordinamento comunitario. 25.1. Non viene, in rilievo, innan-zitutto, il principio di tutela del legittimo affi-damento, che trova le sue radici anche nell’ordinamento nazionale. La tutela dell’affidamento incontra, infatti, il limite dell’autoresponsabilità e non può allora essere invocato dall’impresa che volontariamente o colpevolmente si trovi in una situazione di irre-golarità contributiva. In base al già richiamato principio di auto responsabilità (in forza del quale ciascuno risponde degli errori commessi) non si può pretendere di superare l’inadempimento storicamente verificatosi in nome dell’apparenza ingenerata dal precedente rilascio di un documento unico di regolarità contributiva che va a “fotografare” una situa-zione di regolarità non più attuale a causa di errori imputabili alla stessa impresa. L’affidamento sulle risultanze del precedente DURC in questo caso è colpevole perché la di-scrasia tra il DURC e la realtà dipende da o-missioni od errori imputabili proprio all’impresa che tale affidamento invoca. 25.2. Non risulta pertinente neanche il richiamo alle motivazioni sulla cui base la Quarta Sezione del Consiglio di Stato, con ordinanza 11.3.2015, n. 1236 ha rimesso alla Corte di Giustizia dell’Unione europea una questione pregiudiziale circa la compatibilità tra l’art. 45 della direttiva 18/2004 - interpretato alla luce del principio di ragionevolezza nonché degli articoli 49 e 56 del TFUE - e una normativa nazionale (quale quella italiana) che, nell’ambito di una procedura d’appalto sopra soglia, consente alle stazioni d’appaltanti di ri-chiedere d’ufficio agli istituti previdenziali il documento unico di regolarità contributiva (DURC) ed obbliga le medesime stazioni appal-

tanti ad escludere dalla gara quegli operatori economici dalla cui certificazione si evince una violazione contributiva sussistente al momento della partecipazione - anche se da essi non co-nosciuta in quanto hanno partecipato in forza di un DURC positivo in corso di validità - e non più presente al momento dell’aggiudicazione o della verifica d’ufficio. In primo luogo, le diffe-renze che si colgono, sul piano fattuale, tra le relative fattispecie concrete (quella oggetto del presente giudizio e quella con riferimento alla quale è stata sollevata la questione pregiudizia-le), già esclude la possibilità di “trasferire” au-tomaticamente i medesimi dubbi di compatibili-tà comunitaria nell’ambito del presente giudi-zio. In ogni caso è dirimente, ed esclude la ne-cessità di una ulteriore rimessione alla Corte di Giustizia o di una sospensione c.d. impropria del presente giudizio in attesa della decisione sulla questione pregiudiziale rimessa dalla Quarta Sezione, la constatazione che la Corte di Giustizia ha già avuto modo di occuparsi della compatibilità comunitaria della disciplina legislativa nazionale che preclude rigidamente la partecipazione alle gare di appalto alle im-prese che versino in una situazione grave e de-finitivamente accertata di irregolarità contribu-tiva (e delle relative nozioni di “gravità” e “de-finitivo accertamento”). Già nella sentenza 10.7.2014, C-358/12, Consorzio Stabile Libor Lavori Pubblici, la Corte di giustizia, occupan-dosi anche della presunta incompatibilità tra la causa di esclusione prevista l’art.38, co. 1, let-tera i) e l’art. 45, par. 2, della direttiva n. 18/2014 ha statuito(par. 32 e seguenti della motivazione) che: - l’obiettivo perseguito dalla causa di esclusione dagli appalti pubblici defi-nita dall’art. 38, paragrafo 1, lettera i), del d.lgs n. 163/2006 consiste nell’accertarsi dell’affidabilità, della diligenza e della serietà dell’offerente nonché della correttezza del suo comportamento nei confronti dei suoi dipen-denti; - accertarsi che un offerente possieda tali qualità costituisce un obiettivo legittimo di inte-resse generale; - una causa di esclusione come quella prevista dall’art. 38, paragrafo 1, lettera i), del d.lgs n. 163/2006 è idonea a garantire il conseguimento dell’obiettivo perseguito, dato che il mancato versamento delle prestazioni previdenziali da parte di un operatore econo-mico tende a indicare assenza di affidabilità, di

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diligenza e di serietà di quest’ultimo quanto all’adempimento dei suoi obblighi legali e so-ciali; - per quanto riguarda la necessità di una tale misura, la definizione, da parte della nor-mativa nazionale, di una soglia precisa di e-sclusione alla partecipazione agli appalti pub-blici, vale a dire uno scostamento tra le somme dovute a titolo di prestazioni sociali e quelle versate è di un importo superiore, al contempo, a EUR 100 e al 5% delle somme dovute, garan-tisce non solo la parità di trattamento degli of-ferenti ma anche la certezza del diritto, princi-pio il cui rispetto costituisce una condizione della proporzionalità di una misura restrittiva (v., in tal senso, sentenza Itelcar, C-282/12, EU:C:2013:629, punto 44); - per quanto ri-guarda il livello di tale soglia di esclusione, quale definito dalla normativa nazionale, oc-corre ricordare che, riguardo agli appalti pub-blici che ricadono nella sfera di applicazione della direttiva 2004/18, l’art. 45, paragrafo 2, di tale direttiva lascia l’applicazione dei casi di esclusione che menziona alla valutazione degli Stati membri, come risulta dall’espressione «può venire escluso dalla partecipazione ad un appalto», che figura all’inizio di detta disposi-zione, e rinvia esplicitamente, in particolare al-le lettere e) e f), alle disposizioni legislative na-zionali [v., per quanto riguarda l’art. 29 della direttiva 92/50/CEE del Consiglio, del 18.6.1992 che coordina le procedure di aggiu-dicazione degli appalti pubblici di servizi (GU L 209, pag. 1), sentenza La Cascina e a., C-226/04 e C-228/04, EU:C:2006:94, punto 21]. Inoltre, ai sensi del secondo co. di detto art. 45, paragrafo 2, gli Stati membri precisa-no, conformemente al rispettivo diritto naziona-le e nel rispetto del diritto dell’Unione, le con-dizioni di applicazione del paragrafo stesso; - di conseguenza, l’art. 45, paragrafo 2, della di-rettiva 2004/18 non prevede una uniformità di applicazione delle cause di esclusione ivi indi-cate a livello dell’Unione, in quanto gli Stati membri hanno la facoltà di non applicare affat-to queste cause di esclusione o di inserirle nella normativa nazionale con un grado di rigore che potrebbe variare a seconda dei casi, in funzione di considerazioni di ordine giuridico, economi-co o sociale prevalenti a livello nazionale. In tale ambito, gli Stati membri hanno il potere di attenuare o di rendere più flessibili i criteri

stabiliti da tale disposizione (v., per quanto ri-guarda l’art. 29 della direttiva 92/50, sentenza La Cascina e a., EU:C:2006:94, punto 23); - l’art. 45, paragrafo 2, lettera e), della direttiva 2004/18 consente agli Stati membri di esclude-re dalla partecipazione a un appalto pubblico ogni operatore economico che non sia in regola con gli obblighi relativi al pagamento dei con-tributi previdenziali e assistenziali, senza che sia previsto un qualsivoglia importo minimo di contributi arretrati. In tale contesto, il fatto di prevedere un siffatto importo minimo nel diritto nazionale costituisce un’attenuazione del crite-rio di esclusione previsto da tale disposizione e non può, pertanto, ritenersi che vada oltre il necessario. - gli Stati membri sono liberi di in-tegrare le cause di esclusione previste, in parti-colare, dall’art. 45, paragrafo 2, lettere e) e f), di detta direttiva nella normativa nazionale con un grado di rigore che potrebbe variare a se-conda dei casi, in funzione di considerazioni di ordine giuridico, economico o sociale prevalen-ti a livello nazionale. Alla luce dell’insieme del-le considerazioni che precedono, la Corte di giustizia ha, quindi, affermato dichiarato che gli articoli 49 TFUE e 56 TFUE nonché il prin-cipio di proporzionalità vanno interpretati nel senso che non ostano a una normativa naziona-le che, riguardo agli appalti pubblici di lavori il cui valore sia inferiore alla soglia definita all’art. 7, lettera c), della direttiva 2004/18, obblighi l’amministrazione aggiudicatrice a e-scludere dalla procedura di aggiudicazione di un tale appalto un offerente responsabile di un’infrazione in materia di versamento di pre-stazioni previdenziali se lo scostamento tra le somme dovute e quelle versate è di un importo superiore, al contempo, a EUR 100 e al 5% delle somme dovute. A ciò si deve aggiungere il principio generale affermato nella giurispru-denza della Corte di giustizia Ce con la pro-nuncia del 9.2.1996, in cause riunite C-226/04 e C-228/04, secondo cui: «la sussistenza del requisito della regolarità fiscale e contributiva (che, pure, può essere regolarizzato in base a disposizioni nazionali di concordato, condono o sanatoria) deve comunque essere riguardata con riferimento insuperabile al momento ultimo per la presentazione delle offerte, a nulla rile-vando una regolarizzazione successiva la qua-le, pertanto, non potrà in alcun modo incidere

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sul dato dell’irregolarità ai fini della singola gara». Nemmeno gli argomenti fondati sul di-ritto comunitario impongono, quindi, di dare spazio ad una generalizzata regolarizzazione postuma come quella prospettata dall’ordi-nanza di rimessione. Consiglio di Stato Sez. V del 25.2.2015 n. 783 Appalti - esclusione dalla gara in caso di di-chiarazione non veritiera dell'operatore eco-nomico - dolo - colpa grave. "L’esclusione – ritenuta dal Tribunale ammini-strativo – esattamente si fonda sulla violazione dell’art. 38, co. 2, d.lgs. n. 163 del 2006, a te-nore del quale il concorrente «attesta il posses-so dei requisiti mediante dichiarazione sostitu-tiva in conformità alle previsioni del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa, di cui al d.P.R. 28.12.2000, n. 445, in cui indica tutte le condanne penali riportate, ivi comprese quelle per le quali abbia beneficiato della non menzione». Al riguardo, la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato è costante nell’affermare che l’esclusione da una gara d’appalto consegue «ad ogni qualsivoglia di-chiarazione non veritiera resa dall’operatore economico, a prescindere dal dolo o dalla col-pa grave, non residuando margini di discrezio-nalità in capo alla stazione appaltante» (da ul-timo: Cons Stato, V, 7.8.2015, nn. 3882 - 3884, relative a fattispecie in cui non era stata di-chiarata una condanna penale): la legittimità dell’esclusione si ricava, infatti, da una lettura comparata dell’art. 38 d.lgs. n. 163 del 2006 con l’art. 75 del testo unico sulla documenta-zione amministrativa (d.P.R. n. 445 del 2000, sopra richiamato), secondo cui «il dichiarante decade dai benefici eventualmente conseguenti al provvedimento emanato sulla base della di-chiarazione non veritiera». Si è quindi ribadito, sempre dalla recente giurisprudenza di questa Sezione (Cons. Stato, V, 3.12.2014, n. 5972), che la completezza e la veridicità della dichia-razione sostitutiva di notorietà ex art. 38, co. 2, d.lgs. n. 163 del 2006, rappresentano lo stru-mento indispensabile, adeguato e ragionevole, per contemperare i contrapposti interessi in conflitto: quello dei concorrenti alla semplifi-cazione e all’economicità del procedimento di gara (a non essere, in particolare, assoggettati

ad una serie di adempimenti gravosi, anche sot-to il profilo strettamente economico, come la prova documentale di stati e qualità personali, che potrebbero risultare inutili o ininfluenti) e quello pubblico, in capo alle amministrazioni appaltanti, di poter verificare con immediatezza e tempestività se vi sono state condanne per re-ati gravi che incidono sulla moralità professio-nale, a prevenire ritardi e rallentamenti nello svolgimento della procedura ad evidenza pub-blica di scelta del contraente e a realizzare quanto più celermente l’interesse pubblico per-seguito con la gara di appalto. Affinché questo contemperamento sia realizzato in modo pieno e fisiologico occorre che il concorrente non di-fetti nel dichiarare condanne o carichi penali pendenti: perché la relativa omissione, oltre ad essere fatto in sé sintomatico di un’inaffidabilità personale, impedisce alla sta-zione appaltante di effettuare le valutazioni di sua competenza ai sensi delle disposizioni esa-minate. Consiglio di Stato Sez. IV del 18.2.2016 n. 649 Il principio generale di ordine pubblico di immodificabilità del contraente - divieto di cessione del contratto di appalto sotto pena di nullità. Si segnala la sentenza del 18.2.2016 n. 649 nel-la quale la Quarta Sezione del Consiglio di Sta-to ha affermato "come nella contrattualistica pubblica viga il principio generale e di ordine pubblico di immodificabilità del contraente e, quindi, il divieto di cessione del contratto di appalto sotto pena di nullità (cfr. art.118 del d.lgs 163/2006 ) . Pertanto, il trasferimento del-le obbligazioni ad un soggetto terzo, sia pure solo parziale, avrebbe potuto essere effettuato e produrre i relativi effetti giuridici solo nel ri-spetto delle condizioni di legge e, quindi, solo attraverso un formale subaffidamento previa-mente richiesto ed autorizzato dall'Amministra-zione, ai sensi del richiamato art. 118 del d.lgs 163/2006." Consiglio di Stato Sez. III 19.2.2016, n. 698 Chiusura degli Uffici postali: le sovvenzioni o gli aiuti economici da parte dei Comuni non sono ammissibili perché contrastano con il sistema chiuso del finanziamento pubblico del servizio postale.

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La Terza Sezione del Consiglio di Stato nella sentenza del 19.2.2016 n. 698 si è occupata del-la problematica della chiusura degli uffici po-stali. In particolare nella sentenza, tra l´altro, il Collegio ha analizzato la censura con la quale il Comune si duole che a torto Poste Italiane s.p.a. avrebbe rifiutato la sua offerta di pagare il canone di locazione dei locali, nei quali è u-bicato l’ufficio postale, «in quanto in assenza di eventuali interventi sul punto da parte delle competenti autorità nazionali e/o comunitarie, sono contemplate ed ammesse unicamente le forme di rimborso dell’onere del servizio posta-le universale previste dalle disposizioni vigen-ti». Il primo giudice ha escluso che siano am-missibili forme di rimborso totale e parziale dei costi di gestione da parte del Comune sede dell’ufficio postale svolgendo Poste anche atti-vità di servizi finanziari in regime di concor-renza con altri operatori privati, ma questa conclusione è contestata dall’appellante, se-condo cui, fermo restando che lo svolgimento di ulteriori attività da parte di Poste Italiane s.p.a. non può paradossalmente tornare in danno del servizio postale universale, l’art. 2, co. 8, del Contratto di Programma 2009-2011 tra il Mi-nistero dello Sviluppo Economico e Poste Ita-liane s.p.a. non escluderebbe forme di finan-ziamento da parte degli enti locali. Ad avviso del Supremo Consesso questo assunto è infon-dato perché – anche prescindendo dall’impatto che tale forma di contribuzione “spontanea” da parte degli enti locali può avere sulle attività dei servizi finanziari svolte in regime di con-correnza da Poste Italiane s.p.a., con il rischio che esse concretizzino una non consentita for-ma di aiuto di Stato, e dall’esistenza o meno, in loco, di istituti di credito potenzialmente rivali – le sovvenzioni o gli aiuti economici da parte dei Comuni non sono ammessi dell’art. 2, co. 8, del Contratto di Programma, né sono ammissi-bili, perché contrastano con il sistema chiuso del finanziamento pubblico del servizio postale, siccome previsto dal d. lgs. 58/2011, a carico del bilancio dello Stato e del fondo di compen-sazione, nonché più recentemente anche dall’art. 1, co. 274, della l. 190/2014, e disin-centivano la finalità, perseguita dal legislatore nazionale ed europeo, di garantire una mag-giore efficienza economica, nel complesso, del servizio postale, pur tenendo conto delle esi-

genze connesse all’universalità del servizio stesso e ad una sua razionale ed equilibrata di-slocazione territoriale. Aggiunge il Collegio che "La chiusura di presidi “inutili” e ineffi-cienti, come quello di cui si controverte, nei quali si registrano in media quattro operazioni giornaliere, risponde ad una logica di efficien-za che, del resto, non contrasta con gli interessi della popolazione locale, stante la presenza di un ufficio postale sito nel capoluogo comunale (Sannicola), posto a vicinissima distanza (di molto inferiore a tre chilometri). Il manteni-mento di uffici sovradimensionati e dispendiosi, rispetto alle reali esigenze del bacino di utenza localmente interessato, non può essere contro-bilanciato, merita qui di essere ribadito, da forme di contribuzione o di aiuti economici, a spese della finanza locale, non contemplate dalla legislazione vigente e in contrasto con un complessivo riordino del servizio postale uni-versale su scala nazionale, quale delineato dal legislatore e ispirato a finalità di razionalizza-zione ed efficienza, fermo restando, ovviamente, il rispetto dei principi sanciti sul punto dalla delibera n. 342/14/CONS." Consiglio di Stato Sez. III 19.2.2016 n. 698 Incameramento della cauzione provvisoria - conseguenza sanzionatoria del tutto automa-tica del provvedimento di esclusione dalla gara - sussistenza. "Secondo la costante giurisprudenza di questo Consiglio, l’incameramento della cauzione provvisoria, ai sensi dell’art. 48 del d. lgs. 163/2006, è una conseguenza sanzionatoria del tutto automaticadel provvedimento di esclusio-ne e, come tale, non suscettibile di alcuna valu-tazione discrezionale con riguardo ai singoli casi concreti e, in particolare, alle ragioni me-ramente formali o sostanziali che l’Ammini-strazione abbia ritenuto di porre a giustifica-zione dell’esclusione medesima (v., ex plurimis, CdS, sez. III, 26.6.2015, n. 3225)". È questo il principio ribadito dalla Terza Sezione del Con-siglio di Stato che nella sentenza del 19.2.2016 n. 694 precisa altresì come l’omessa tempestiva impugnazione del provvedimento di esclusione, contenente tali ragioni, determina, perciò, an-che la tardività dell’impugnativa del provvedi-mento di escussione della cauzione, che si con-figura come atto dovuto (v., in questo senso,

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anche CdS, sez. VI, 14.6.2006, n. 3500), ferma restando, ovviamente, l’impugnabilità del-l’escussione per vizi propri. Consiglio di Stato Sez. V 3.2.2016 n. 413 Contratti pubblici - urgenza - affidamento diretto - legittimità. La Quinta Sezione del Consiglio di Stato nella sentenza del 3.2.2016 n. 413 ha analizzato e deciso la vicenda che ha visto un Comune affi-dare direttamente ad una società la gestione dell'impianto natatorio, fattispecie che ad avvi-so del giudicante rientra nell’ambito di quelle descritte dall’art. 57 d.lgs. n. 163-06. Il sistema di scelta del contraente a mezzo di procedura negoziata senza pubblicazione del bando di cui all'art. 57, co. 2, d.lgs. 12.4.2006, n. 163, rap-presenta un'eccezione al principio generale della pubblicità e della massima concorrenzia-lità tipica della procedura aperta, con la con-seguenza che i presupposti fissati dalla legge per la sua ammissibilità devono essere accerta-ti con il massimo rigore e non sono suscettibili d'interpretazione estensiva (cfr. CdS, Sez. V, 30.4.2014, n. 2255). In base al co. 2, lett. c) di tale previsione normativa, l’affidamento diretto è consentito nella misura strettamente necessa-ria, quando l'estrema urgenza, risultante da e-venti imprevedibili per le stazioni appaltanti, non è compatibile con i termini imposti dalle procedure aperte, ristrette, o negoziate previa pubblicazione di un bando di gara. Le circo-stanze invocate a giustificazione della estrema urgenza non devono essere imputabili alle sta-zioni appaltanti. Nel caso in esame, precisa il Collegio, il Comune ha ritenuto, in via tempo-ranea e facendo salvi gli effetti della decisione del giudizio promosso da Altra società sugli atti di gara, di poter affidare la gestione dell’impianto natatorio all’appellante. Il Co-mune, compatibilmente con tale disposizione, ha evidenziato nel provvedimento contestato che tale affidamento si era reso necessario per evitare di far fronte a costi non sostenibili deri-vanti dal pericolo di un’eventuale “non gestio-ne” della struttura per un tempo apprezzabile e non predeterminabile, con connessa evidente alta probabilità di danni che all’ente sarebbe potuta derivare dall’eventuale danneggiamento degli impianti. Tale eventualità, circostanziata e verosimile, avrebbe comportato l’esigenza di

dover provvedere ai lavori di manutenzione straordinaria per assicurare i relativi adempi-menti, funzionali all’affidamento della struttura all’avente titolo, a seguito della procedura di gara impugnata con separato giudizio. L’Amministrazione, nel valutare i presupposti per l’affidamento senza gara, ha valutato ra-gionevolmente i presupposti dell’urgenza in vi-sta di effettuare l’affidamento provvisorio della piscina, oggetto di contestazione in questo giu-dizio. La valutazione della sussistenza dell’estrema urgenza di salvaguardare la strut-tura, senza lasciarla inutilizzata con i rischi di vandalismi e di deterioramenti, è derivata da eventi che non possono ritenersi prevedibili e che non sono imputabili nella specie all’Amministrazione. Non emergono dunque per i Giudici di Palazzo Spada elementi tali da evidenziare una macroscopica illogicità, irra-zionalità della stessa, ovvero un travisamento dei fatti. Inoltre, anche la scelta dell’affidatario temporaneo, pure rientrante nell’ambito dei po-teri discrezionali dell’Amministrazione, non e-videnzia l’illogicità o l’irrazionalità della stes-sa, tenuto conto che il Circolo risultava essere il preferibile, potenziale, soggetto interessato, al quale affidare la gestione dell’impianto. In-fatti, nella procedura di gara conclusa e impu-gnata dall’appellata, hanno partecipato vari concorrenti, ma solo ed esclusivamente due di questi, l'appellata e il Circolo, hanno dimostra-to interesse alla gestione dell’impianto, fornen-do la comprova dei requisiti dichiarati in sede di partecipazione al bando. È ragionevole, per-tanto, che nell’individuazione d’urgenza di un soggetto cui affidare in via temporanea la ge-stione dell’impianto natatorio sia stato preferi-to il Circolo, che era già risultato aggiudicata-rio della predetta gara, proprio in funzione di trasparenza e di tutela della concorrenza, tenu-to sempre conto che all’esito del giudizio sulla gara predetta, avrebbe dovuto subentrare il soggetto che ne sarebbe risultato legittimato. Consiglio di Stato Sez. V 3.2.2016 n. 408 Appalti - termine per impugnare l'aggiudi-cazione definitiva - comunicazione incomple-ta - accesso agli atti. La Quinta Sezione del Consiglio di Stato nella sentenza del 3.2.2016 n. 408 ha affermato che ai sensi dell'art. 120, co. 5, c.p.a., il ricorso av-

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Gazzetta Amministrativa -135- Numero 1- 2016

verso il provvedimento di aggiudicazione defi-nitiva di appalto pubblico deve essere proposto nel termine di 30 giorni, decorrente dalla rice-zione della comunicazione di cui all'art. 79 d.lgs. 12.4.2006, n. 163, accompagnata dal provvedimento e dalla relativa motivazione contenente almeno gli elementi di cui al co. 2, lett. c), dello stesso art. 79. In caso di comuni-cazione incompleta, la ‘conoscenza’, utile ai fini della decorrenza del termine, coincide con la cognizione, acquisita in sede di accesso, de-gli elementi oggetto della comunicazione dell'art. 79, senza che sia necessaria l'estrazio-ne delle relative copie (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 13.3.2014, n. 1250). Aggiunge il Consi-glio di Stato che "Dall'analisi complessiva delle disposizioni richiamate, che attribuiscono rilie-vo, ai fini dell'individuazione del dies a quo per la proposizione del ricorso, alla comunicazione di cui all'art. 79 e non anche all'utile espleta-mento del diritto di accesso, si evince, si ripete, il principio generale secondo cui, in caso di comunicazione incompleta, la conoscenza, utile ai fini della decorrenza del citato termine, coincide con la cognizione, acquisita in sede di accesso, degli elementi oggetto della comunica-zione dell'art. 79 senza che sia necessaria l'e-strazione delle relative copie. In definitiva, an-che alla luce delle finalità acceleratorie poste a base dell'art. 120, si deve ritenere che la visio-ne abbia consentito, anche ai sensi dell'inciso finale del suo co. 5, la cognizione integrale de-gli atti, così integrando la piena conoscenza

degli elementi ritenuti rilevanti dallo stesso art. 79 del codice dei contratti pubblici.....Il TAR, infatti, ha ritenuto di superare la tardività con la concessione dell’errore scusabile ex art. 37 c.p.a., il che implica, naturalmente, l’accer-tamento della sussistenza dell’avvenuta deca-denza (nel caso di specie, per proporre ricorso per motivi aggiunti). Tuttavia, ritiene il Colle-gio che l’errore scusabile è ammesso solo in presenza di oggettive ragioni di incertezza su questioni di diritto o di gravi impedimenti di fatto. Peraltro, come già detto, nessuno degli elementi indicati dal TAR possono indurre a ri-tenere giustificata la rimessione in termini. In-fatti, come sopra rilevato, non sono emersi e-lementi tali da evidenziare la difficoltà nell’accedere in via informatica ai provvedi-menti del Comune, tenuto altresì conto, come osserva correttamente l’appellante, che il pro-tocollo informatico ex art. 53, co. 2, d.P.R. n. 445/2000, che prevede «la produzione del regi-stro giornaliero di protocollo» e che segue l’ordine cronologico generato automaticamente per tutti gli atti, non è sovrapponibile al siste-ma di gestione informatica dei documenti ex art. 52, co. 2, d.P.R. n. 445/2000, che, invece, deve garantire la corretta organizzazione dei documenti nell’ambito del sistema di classifica-zione d’archivio adottato, categoria que-st’ultima nella quale rientra l’albo on linee ri-spetto al quale non vengono fornite dimostra-zioni circa la sua inaccessibilità o difficoltà di consultazione.

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Gazzetta Amministrativa -136- Numero 1- 2016

PARERI

Questa sezione della Gazzetta Amministrativa raccoglie la pare-ristica redatta dall’AVVOCATURA DELLO STATO

DOMANDA Prestazioni previdenziali erogate da Stazione appaltante a fronte di irregolare posizione contributiva dell’impresa fallita. Parere 14/12/2015-562411, Al 22627/15, Avv. Gia-como Aiello. RISPOSTA Con la nota che si riscontra codesta Avvoca-tura ha richiesto l’avviso della Scrivente in merito all’individuazione del soggetto legit-timato a ricevere il pagamento dei corrispet-tivi contrattuali in relazione a prestazioni re-se da una ditta incaricata dalla Direzione Generale per la gestione e la manutenzione degli edifici giudiziari di Napoli per la realiz-zazione di un sistema di consultazione al pubblico per l’accesso agli uffici ed ai servizi del nuovo palazzo di giustizia di Napoli. In particolare, tenuto conto che in data 11.6.2013 il Tribunale di Roma dichiarava il fallimento del contraente privato e che il do-cumento di regolarità contributiva (DURC), acquisito dalla stazione appaltante ai sensi dell’art. 6 d.P.R. n. 207/2010, evidenziava la posizione irregolare dell’impresa nei confronti dell’INAIL per il mancato pa-gamento di premi assicurativi, nonché nei confronti dell’INPS per un importo comples-sivo pari a 28.539,42 Euro, si richiede se possa trovare applicazione l’art. 4, co. 2 del d.P.R sopra citato, il quale dispone che: “in caso di ottenimento da parte del soggetto re-sponsabile del procedimento del documento unico di regolarità contributiva che segnali un'inadempienza contributiva relativa a uno

o più soggetti impiegati nell'esecuzione del contratto, il medesimo trattiene dal certifica-to di pagamento l'importo corrispondente all'inadempienza. Il pagamento di quanto do-vuto per le inadempienze accertate mediante il documento unico di regolarità contributiva è disposto dai soggetti di cui all'art. 3, co. 1, lettera b), direttamente agli enti previdenziali e assicurativi”. L’applicabilità di tale intervento sostitutivo si rivela problematica nel caso di specie, nel quale l’impresa appaltatrice ha emesso fattu-ra a fronte dei servizi resi il 31.5.2013 ed in seguito è stata dichiarata fallita dal Tribuna-le civile di Roma in data 11.6.2013: risulta infatti che il Curatore fallimentare ha più vol-te diffidato l’Amministrazione al pagamento del credito ritenuto di spettanza dell’impresa fallita e a non dare seguito all’intervento so-stitutivo, sul presupposto che quest’ultimo avrebbe sottratto poste creditorie, in viola-zione del principio della par condicio credi-torum. Successivamente anche l’INAIL e l’INPS hanno manifestato l’intento di rifiutare il pa-gamento dei crediti previdenziali, aderendo alla nota di codesto Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali (prot. n. 0052752 in data 1.4.2014) con cui si subordina l’ammissibilità dell’intervento sostitutivo a quelle ipotesi in cui la procedura concorsuale sia finalizzata alla prosecuzione dell’attività aziendale, come ad esempio nelle ipotesi di concordato preventivo, mentre sarebbe da escludere nel fallimento, in quanto, se appli-cata, determinerebbe la lesione della par

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condicio creditorum. Codesta Avvocatura ritiene invece che la so-luzione da seguire sia quella di privilegiare comunque il pagamento degli enti previden-ziali rispetto all’interesse dei creditori insi-nuati nel passivo fallimentare. Tale ultima soluzione appare, ad avviso della Scrivente, la più corretta alla stregua delle considerazioni che seguono. L’art. 4, co. 2, del d.P.R. 207/2010 introduce un particolare meccanismo attraverso il qua-le, in presenza di un documento unico di re-golarità contributiva che evidenzi irregolari-tà nei versamenti dovuti agli Istituti e/o alle Casse Edili, le stazioni appaltanti possono sostituirsi al debitore principale versando - in tutto o in parte - le somme dovute in forza del contratto di appalto direttamente ai predetti Istituti e Casse. L’art. 4, che si riferisce ap-punto all’ipotesi dell’irregolarità del DURC dovuta ad un’inadempienza contributiva rela-tiva ad uno o più soggetti impiegati nell’esecuzione del contratto impone addirit-tura alla stazione appaltante di trattenere, dalle somme dovute all’appaltatore, gli im-porti da stornare in favore degli enti previ-denziali. Trattasi all’evidenza di una tutela perfino rafforzata rispetto alla diversa ipotesi con-templata nell’art. 5 del medesimo regolamen-to di esecuzione che, a proposito del ritardo nel pagamento delle retribuzioni ai lavoratori impiegati nell’esecuzione del contratto pre-vede una mera facoltà del committente, e non già un obbligo come la norma sopra richia-mata, dell’Amministrazione di pagare le re-tribuzioni arretrate direttamente ai lavorato-ri. Obiettivo della norma è, dunque, attraverso la soddisfazione della pretesa creditoria degli enti nei cui confronti l'operatore economico ha maturato un'esposizione debitoria, quello di assicurare il ripristino della regolarità contributiva del medesimo, in un’ottica di tu-tela del sistema previdenziale ed assicurativo generale la cui tenuta economica è conside-rata di preminente rilievo siccome posta a presidio dell’intera collettività dei lavoratori che vi risultano iscritti. Più in particolare, le disposizioni citate assicurano la soddisfazio-ne del preminente interesse pubblico alla ga-ranzia della completa erogazione di quanto

dovuto al lavoratore, conformemente all’art. 38 Cost. attraverso l’adempimento di un’obbligazione che, pur essendo diretto ad un soggetto terzo rispetto al contratto di ap-palto pubblico, ha piena efficacia liberatoria nei confronti del committente debitore. Le richiamate disposizioni del Regolamento di esecuzione del Codice dei contratti sem-brano del resto costituire un’attuazione del generale principio contenuto nell’art. 1676 c.c. che, come noto, attribuisce ai lavoratori il potere di proporre un’azione diretta contro il committente per conseguire quanto è loro dovuto dall’appaltatore fino a concorrenza del credito da quest’ultimo vantato verso il committente. In proposito è stato rilevato che “nell’ottica di ampliare le garanzie dei lavoratori, l’art. 5 del Codice dei contratti pubblici relativi a la-vori, servizi e forniture, in attuazione delle Direttive UE (Regolamento e capitolati -L. n. 109/94, art. 3; L. 537/93, art. 6, co. 9), nel te-sto risultante dalle modifiche introdotte - ap-punto nel suddetto senso garantista - dal d.lgs. 31.7.2007, n. 113 (vigenti a decorrere dal 1.8.2007), stabilisce che il regolamento di attuazione ed esecuzione del codice stesso debba dettare disposizioni, fra l'altro, per: a) la inclusione, tra i requisiti soggettivi rilevanti per la scelta dell'appalta-tore, anche della regolarità contributiva; b) l'intervento sostitutivo della stazione appal-tante in caso di inadempienza retributiva e contributiva dell'appaltatore; c) la tutela dei diritti dei lavoratori, secondo quanto già pre-visto ai sensi del regolamento recante capito-lato generale di appalto dei lavori pubblici, approvato con d.m. lavori pubblici 19.4.2000, n.145. Pertanto, il d.P.R. 5.10.2010, n. 207 (recante il Regolamento di esecuzione ed at-tuazione del suddetto codice) nel titolo II, re-lativo alla "Tutela dei lavoratori e regolarità contributiva" prevede: - all'art. 4 la discipli-na in materia di "Intervento sostitutivo della stazione appaltante in caso di inadempienza contributiva dell'esecutore e del subappalta-tore (D.M. LL.PP. n. 145 del 2000, art. 7)"; - all'art. 6 la disciplina del "Documento unico di regolarità contributiva", che attesta conte-stualmente la regolarità di un operatore eco-nomico per quanto concerne gli adempimenti INPS, INAIL, nonché cassa edile per i lavori,

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verificati sulla base della rispettiva normati-va di riferimento; - all'art. 5 la disciplina in materia di "Intervento sostitutivo della sta-zione appaltante in caso di inadempienza re-tributiva dell'esecutore e del subappaltatore. (…). Dall'insieme di tali disposizioni si desu-me che a garanzia dei crediti retributivi e contributivi dei lavoratori impegnati negli appalti - o nei subappalti – pubblici sono previsti specifici strumenti che, se attivati nei tempi e nei modi prescritti, consentono agli interessati di avere direttamente dall'ammini-strazione committente il pagamento delle re-tribuzioni dovute dal loro datore di lavoro anche in corso d'opera. Al contempo, con l'attivazione di tale tutela speciale, il lavora-tore pu. consentire al committente di applica-re le opportune sanzioni (se crede) al datore di lavoro inadempiente ed ottenere un ristoro pieno del proprio credito per le retribuzioni corrisposte ai lavoratori (…). Negli appalti pubblici il disvalore dello scorretto compor-tamento tenuto dal datore di lavoro - in vio-lazione del principio di cui all'art. 36 Cost. - non ha rilievo soltanto nel rapporto interno tra privati, ma comporta anche la lesione de-gli interessi pubblici al cui migliore perse-guimento è preordinata la complessiva disci-plina regolatrice degli appalti pubblici” (Cfr. Cass. Civ. Sez. Lav. n. 15432/2014). Dunque, benché la disposizione di cui all’art. 4, cit. si esprima sinteticamente nei termini di “destinatario del pagamento dell’importo trattenuto”, deve ritenersi, in virtù della ratio sottesa all’istituto in questione, che lo stesso contempli un’ipotesi di novazione soggettiva dal punto di vista del creditore. Si tratta ora di verificare se l’intervenuto fal-limento dell’appaltatore, in questo caso suc-cessivo al momento della liquidazione del credito nei confronti della committente, im-pedisca l’intervento sostitutivo dell’ammini-strazione, come sopra descritto, dovendo, nel bilanciamento degli interessi in gioco, riceve-re maggiore tutela i creditori della massa fal-limentare rispetto ai pagamenti dovuti dal committente debitore. Più in particolare si deve quindi stabilire se le disposizioni della legge fallimentare debbano derogare a quelle contenute nel codice degli appalti in virtù della specialità delle prime rispetto a queste ultime.

Pur non essendosi rinvenuti precedenti negli esatti termini, si ritiene che la giurisprudenza di legittimità abbia già individuato dei criteri ermeneutici utili alla soluzione della questio-ne esaminata. Con riguardo al rapporto tra l’azione di cui all’art. 1676 c.c. e la procedura fallimentare, la Corte di Cassazione ha messo in luce il fat-to che detta azione non incide sul patrimonio dell’appaltatore fallito, ma di quello di un terzo (il committente). Ci. equivale a dire che i crediti dei lavoratori derivanti dalle irrego-larità contributive, addebitate al datore di la-voro, divengono immediatamente esigibili nei confronti del committente, con la conseguen-za che il loro pagamento non passa attraver-so il patrimonio del datore di lavoro. Da ciò deriva l’ulteriore conseguenza dell’irri-levanza dell’eventuale fallimento del datore di lavoro, in quanto il curatore fallimentare non potrebbe ottenere quanto lo stesso fallito non poteva a sua volta esigere. Il medesimo Giudice di legittimità ha peraltro ritenuto l’assetto giuridico derivante dall’applicazione dell’art. 1676 c.c. coerente con il dettato costituzionale, in quanto lo spe-cifico beneficio correlato alla preferenza dei crediti dei lavoratori rispetto a quelli della massa fallimentare, appare giustificato dal superiore interesse all’attuazione di principi contenuti negli artt. 4 e 36 Cost. (Cfr. Cass. Lav. 24.10.2007, n. 22304/2007). Questi principi hanno trovato recente appli-cazione in una sentenza del Tribunale di Ro-ma resa proprio rispetto alla vicenda del fal-limento (..), che ha portato alla condanna del committente pubblico che aveva ritenuto di dover privilegiare l’estinzione del debito nei confronti della curatela fallimentare (Cfr. Trib. Roma 15.11.2014, n. 8189/2014). Diversamente opinando, si perverrebbe del resto all’assurda situazione nella quale l’Amministrazione pagherebbe il proprio de-bito nei confronti della curatela fallimentare, senza alcun effetto liberatorio rispetto alle possibili pretese azionate dai dipendenti dell’appaltatore fallito, i quali, pur essendo assisiti dal privilegio di cui all’art. 2751-bis c.c. ben potrebbero vedere mortificate le ra-gioni creditorie nell’ipotesi di insufficienza dell’attivo fallimentare. A diverse conclusioni dovrebbe pervenirsi nel

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Gazzetta Amministrativa -139- Numero 1- 2016

caso in cui il credito nei confronti dell’appaltatore sorga successivamente al fallimento dell’appaltatore, in quanto è evi-dente che in questa ipotesi detto credito po-trebbe trovare soddisfazione solo attraverso l’insinuazione nel passivo fallimentare con il privilegio previsto dagli artt. 2753 e 2754 cc.

La rilevanza di massima della questione esa-minata ha suggerito l’opportunità di estende-re questa consultazione anche a codesto Mi-nistero. Sul presente parere è stato sentito il Comitato consultivo che, nella seduta del 3.12.2015, si è espresso in conformità.

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Pubblico Impiego e Responsabilità della Pubblica Amministrazione

Gazzetta Amministrativa -140- Numero 1 - 2016

PUBBLICO IMPIEGO E RESPONSABILITÀ DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

NOTIZIE E AGGIORNAMENTI FUNZIONE PUBBLICA: IL D.P.C.M. CHE AUTORIZZA ASSUNZIONI E PROCEDURE DI RECLUTAMENTO È stato pubblicato sul sito istituzionale della Funzione Pubblica lo Schema di Dpcm re-cante autorizzazione, in favore di varie am-ministrazioni, a bandire procedure di reclu-tamento ai sensi dell'art. 35, co. 4, del d.lgs 30.3.2001, n. 165, nonché autorizzazione ad assumere a tempo indeterminato per l'anno 2015 ai sensi dell'art. 3, co. 102, della l. 24.12.2007, n. 244, e successive modificazio-ni ed integrazioni nonché dell'art. 3, co. 1 e 3, del d.l. 24.6.2014, n. 90, convertito, con mo-dificazioni, dalla l. 11.8.2014 n. 114 In parti-colare nel provvedimento si precede ad auto-rizzare le seguenti amministrazioni dello sta-to: Ministero dell'Interno, Ministero degli Af-fari Esteri, Ministero dell'ambiente, Ministe-ro della Difesa, Ministero della Salute, Mini-stero delle Politiche agricole, alimentari e fo-restali, Istituto nazionale contro gli infortuni sul lavoro, Ente Nazionale per l'Aviazione ci-vile, Agenzia Nazionale per la sicurezza nel volo (D.P.C.M. pubblicato dalla Funzione Pubblica in data 8.1.2016).

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FORZE ARMATE, NELLE FORZE DI POLIZIA A ORDINAMENTO MILITA-RE E CIVILE E NEL CORPO NAZIO-NALE DEI VIGILI DEL FUOCO: REGOLAMENTO SUI PARAMETRI FI-

SICI PER L'AMMISSIONE AI CON-CORSI È stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Serie Generale n.301 del 29.12.2015 il De-creto del Presidente della Repubblica 17.12.2015, n. 207 recante "Regolamento in materia di parametri fisici per l'ammissione ai concorsi per il reclutamento nelle Forze armate, nelle Forze di polizia a ordinamento militare e civile e nel Corpo nazionale dei vi-gili del fuoco, a norma della l. 12.1.2015, n. 2". Entrata in vigore del provvedimento: 13/01/2016 (D.P.R. 17.12.2015 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 301 del 29.12.2015).

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VIGILI URBANI: IL PARERE DELLA CORTE DEI CONTI SUL DIVIETO ASSOLUTO DI CONCORSI, ASSUN-ZIONI E SCORRIMENTO GRADUA-TORIE La Corte dei Conti, Sezione Regionale di Controllo per la Puglia con deliberazione n. 231/PAR/2015 del 2.12.2015 ha risposto al quesito formulato da un Comune sulla possibilità di completare la procedura, avviata del 2014, per l’assunzione di una unità di polizia municipale alla luce della disciplina introdotta dalla l. 190/2014 commi da 418 a 430 (legge di stabilità 2015). La legge da ultimo citata prevede un articolato

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Pubblico Impiego e Responsabilità della Pubblica Amministrazione

Gazzetta Amministrativa -141- Numero 1 – 2016

percorso volto al graduale riassorbimento del personale in servizio presso province e città metropolitane, in conseguenza della riduzione delle funzioni operata dalla legge Delrio (l. n. 56/2014) e della parallela imposizione di diminuzione proporzionale degli organici di personale (e della relativa spesa). Nell’ambito del citato quadro normativo, ad avviso della Corte dei Conti assume una posizione di primo piano il co. 424 dell’art. 1 della richiamata legge di stabilità che prevede per il biennio 2015 e 2016 che le regioni e gli enti locali “destinano le risorse per le assunzioni a tempo indeterminato, nelle percentuali stabilite dalla normativa vigente, all'immissione nei ruoli dei vincitori di concorso pubblico collocati nelle proprie graduatorie vigenti o approvate alla data di entrata in vigore della presente legge e alla ricollocazione nei propri ruoli delle unità soprannumerarie destinatarie dei processi di mobilità”. Con esclusivo riferimento alla ricollocazione del personale soprannume-rario viene, inoltre, previsto che “le regioni e gli enti locali destinano, altresì, la restante percentuale della spesa relativa al personale di ruolo cessato negli anni 2014 e 2015, salva la completa ricollocazione del personale soprannumerario. Fermi restando i vincoli del patto di stabilità interno e la sostenibilità finanziaria e di bilancio dell'ente, le spese per il personale ricollocato secondo il presente comma non si calcolano, al fine del rispetto del tetto di spesa di cui al co. 557 dell'art. 1 della l. 27.12.2006, n. 296”. L’inderogabilità della regolamentazione viene garantita attraverso l’espressa comminatoria della nullità delle assunzioni effettuate in violazione di quanto sancito dal co. in esame, sicché l’eventuale contratto stipulato contra legem è ab origine invalido ed inefficace (con eventuali conseguenti responsabilità in capo a chi ha disposto l’assunzione illegittima). In particolare, l’assunzione del personale di polizia municipale, cui espressamente si riferisce la richiesta di parere, trova la propria base positiva di riferimento non tanto nella l. 190/2014, quanto nel d.l. 78/2015 conv. dalla l. 125/2015 che, all’art 5, disciplinando il passaggio del personale di polizia

provinciale nei ruoli della polizia municipale, dispone che “il personale appartenente ai Corpi ed ai servizi di polizia provinciale di cui all'art. 12 della l. 7.3.1986, n. 65, transita nei ruoli degli enti locali per lo svolgimento delle funzioni di polizia municipale, secondo le modalità e procedure definite con il decreto di cui all'art. 1, co. 423, della l. 23.12.2014, n. 190” e che “personale non individuato o non riallocato, entro il 31.10.2015, ai sensi dei commi 2 e 3, è trasferito ai comuni, singoli o associati, con le modalità di cui al co. 1”. La disposizione da ultimo citata prevede una disciplina peculiare, per certi versi più restrittiva rispetto a quella contenuta nella legge di stabilità, volta ad agevolare al massimo il riassorbimento di quello speciale settore di personale che è la polizia provinciale, anticipando il transito effettivo anche con la previsione di forme di avvalimento tra l’ente originario di appartenenza e l’ente locale destinatario. Il transito del personale di polizia provinciale nei ruoli della polizia municipale viene agevolato sia attraverso la previsione di deroghe sia attraverso l’espressa statuizione di un divieto assoluto di reclutamento aliunde, a pena di nullità. Il co. 6 del citato art 5 d.l. 78/2015, infatti, sancisce che “Fino al completo assorbimento del personale di cui al presente articolo, è fatto divieto agli enti locali, a pena di nullità delle relative assunzioni, di reclutare personale con qualsivoglia tipologia contrattuale per lo svolgimento di funzioni di polizia locale”. Sulla base di tale premessa e richiamando i precedenti della Sezione, la Corte ha affermato che la disciplina in esame impone anche un divieto particolarmente stringente ed atto a comprendere qualsivoglia forma di utilizzo di nuova forza lavorativa. L’unica deroga al divieto di assunzione predetto è contemplata dalla medesima disposizione in relazione a “personale a tempo determinato effettuate dopo la data di entrata in vigore del presente decreto, anche se anteriormente alla data di entrata in vigore della relativa legge di conversione, per lo svolgimento di funzioni di polizia locale, esclusivamente per esigenze di carattere strettamente stagionale e comunque per periodi non superiori a cinque mesi

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Gazzetta Amministrativa -142- Numero 1 - 2016

nell'anno solare, non prorogabili “(deroga introdotta in sede di conversione, a conferma dell’insuperabilità del divieto sul piano interpretativo)”. Nel solco di tale linea interpretativa si inserisce una recente delibe-razione della Sezione controllo Lombardia (n. 416/PAR/2015 del 10.11.2015) secondo cui l’art. 5 del d.l. n. 78 del 2015 impone ai comuni (a prescindere dalla presenza di capacità assunzionali) di assumere il personale di polizia provinciale (con divieto di assunzioni alternative fino al completo riassorbimento). Per le ragioni sopra esposte, l’eventuale assunzione a tempo indeter-minato, da parte di un comune, di agenti di polizia municipale ricade nello spettro applicativo del divieto di cui all’art 5, co. 6,

del d.l. n. 78 del 2015, convertito dalla legge n. 125 del 2015, e nella conseguente sanzione della nullità.” Conclude, quindi, la Corte richiamando la pronuncia della Sezione delle Autonomie che, con deliberazione n. 28/SEZAUT/2015/QMIG, ha sottolineato come non è consentito “all’ente locale (salvo che per le assunzioni a tempo determinato per le esigenze temporanee di cui all’art. 5, co. 6 del D.L. n. 78/2015) di procedere all'assunzione di personale di polizia municipale mediante scorrimento di graduatoria tenendo conto, cumulativamente, delle cessazioni intervenute nel triennio 2012 – 2014”. (Corte dei Conti Sezione Regionale di Controlla per la Puglia deliberazione n. 231/PAR/2015 del 2.12.2015.

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Gazzetta Amministrativa -143- Numero 1 - 2016

REDAZIONALI

LAVORARE E’ ANCHE SENTIMENTO… EMPATICO del Prof. Dott. Stefano Olivieri Pennesi

Sommario: 1. Considerazioni preliminari. 2. Conclusioni.

1.Considerazioni preliminari. Partiamo da un assunto: lavorare è dignità,

offre dignità e si estrinseca, concretamente, in quello che possiamo definire nel nostro essere interiore, il “sentimento” del fare, con tutto il suo portato di conoscenze, materiali e imma-teriali, in una parola dare un’anima al nostro agire produttivo e quindi anche sociale.

Per dare un’anima alle nostre azioni, ed in particolare nei contesti lavorativi, sempre più pregnanti nelle esistenze umane, il processo “empatico” assume un ruolo fondamentale o per meglio dire l’empatia stessa migliora e umanizza i rapporti di lavoro sottostanti.

Al riguardo, lo studioso psicologo statuni-tense, “Daniel Goleman” afferma, con il suo più famoso volume - Intelligenza emotiva - e nei suoi studi seguenti, che il poter disporre della cosiddetta “intelligenza emotiva” è un elemento fondamentale per aspirare anche ad un elevato successo nell’ambito del lavoro, offrendo contestualmente “benessere lavora-tivo” .

L’intelligenza emotiva si estrinseca su due piani, uno personale, connesso alla capacità di controllo e quindi autocontrollo di noi stes-si, e uno relazionale, connesso al modo in cui gestiamo le relazioni con gli altri. Questi due aspetti, quindi, si riverberano, inesorabilmen-te, sul contesto delle nostre vite ed in partico-lare in ambito lavorativo.

E’ innegabile che esistono dei fatto-ri/aspetti che conducono gli individui ad ave-re successo e gradimento nei propri percorsi di vita e di lavoro (sempre più connessi), fat-tori sia oggettivi che soggettivi.

Tra i primi possiamo enunciare: un cursus di studi brillante, una specificità di competen-

ze professionali, l’appartenenza ad una speci-fica categoria sociale, la provenienza geogra-fica da paesi economicamente sviluppati ed evoluti, ulteriori aspetti aleatori come l’intelligenza e l’aspetto fisico.

Tra i secondi fattori, ossia aspetti soggetti-vi, enunciamo: il carattere più o meno arro-gante o irascibile, la capacità di trattare ed in-trattenere rapporti con altri soggetti, il saper gestire le proprie emozioni e sentimenti, ecc.

E’ proprio la “modulazione” di detti fatto-ri, oggettivi e soggettivi, che permettono agli uomini di potersi identificare in situazioni appaganti e/o di successo, rispetto al proprio contesto professionale e lavorativo.

Torniamo a considerare, più puntualmente, il termine “empatia” , che può considerarsi come un insieme di “abilità” nelle relazioni interpersonali.

“Essere empatici” rappresenta, sostan-zialmente, la capacità di riconoscere i senti-menti altrui, armonizzandoli con i propri, in una sorta di vicinanza emotiva; accettando gli stati d’animo che emergono nelle relazioni interpersonali e di gruppo. E ancora essere empatici, oltre che condivisione di sentimenti rappresenta la concreta valorizzazione degli altri, credere nelle potenzialità delle persone, saper mettere in risalto e potenziare le abilità altrui.

Sostenere i vari gradi di autonomia, rispet-tare le diversità individuali, di religione, raz-za, ideologiche; poter utilizzare le differenze come una opportunità scevri da ogni pregiu-dizio di sorta.

Da qui possiamo assumere, come fatto concreto, che nelle comunità sociali esistono soggetti dotati, dualmente, di intelligenza sia

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Gazzetta Amministrativa -144- Numero 1 - 2016

di tipo “cognitivo” come anche di tipo “emo-tivo” .

Ambedue queste intelligenze concorrono alla formazione degli aspetti di tipo relaziona-le e ciò consente di capire meglio noi stessi ma anche di interagire al meglio con i nostri simili.

Essere “emotivi” in ambito lavorativo può rappresentare una risorsa, spesse volte però esternare le nostre emozioni anziché aiutare può produrre delle penalizzazioni.

Avere quindi delle “relazioni sane”, in questo caso, nei luoghi di lavoro, dovrebbe rappresentare l’optimum, creare un clima se-reno aiuterebbe certamente il miglior rag-giungimento degli obiettivi produttivi.

E’ indubitabile, ritengo, che il lavoro, qua-lunque esso sia, si basa, ancorché sulla me-scolanza dei classici “fattori produttivi”, di natura economica, anche su un complesso rapporto di relazioni permeate da competenze intrinseche.

In sostanza, il nostro portato cognitivo, ma anche di umanità e quindi di fragilità, deve poter trovare espressione altresì nelle que-stioni e nei contesti lavorativi oltreché sociali.

Concretamente una “reazione emotiva” che sia però per così dire, modulata, o per meglio affermare, adeguatamente contenuta, può rappresentare per i nostri ambiti lavorati-vi, tangibilmente formati da colleghi, superio-ri o sottoposti, un canale conoscitivo del no-stro animo e del nostro essere persone, e quindi non semplicemente merce o numeri utili solamente per la produzione.

In sostanza, aprendoci anche con i nostri sentimenti, risulterà più agevole, per gli altri, per il mondo che ci circonda, l’intesa, la comprensione e il venirsi incontro.

Spesso però le emozioni possono apparire talvolta imbarazzanti o peggio intempestive o ancora inappropriate, in altre occasioni, inve-ce, permettono di aprire linee di comunica-zioni, altrimenti inattuabili.

Nei contesti lavorativi sarebbe opportuno superare i consueti stereotipi legati alla emo-tività come il fatto che il semplice pianto de-noti una interiore debolezza di carattere; co-me gli sfoghi di ira una oltremodo insensibili-tà umana.

Ebbene, se tali esternalità di sentimenti

fossero moderatamente presenti nel nostro a-gire, senza eccessi, risulterebbero quali ele-menti di “normalità” , in un umus naturale di relazioni, lavorative e non, a tutto vantaggio per l’ambito organizzativo in cui operiamo.

Il contesto lavorativo è anche un coacervo di relazioni con persone e ruoli rivestiti, che agiscono in tale ambiente; come anche la ri-balta, il palco, dove si esternano elementi più intimi legati a emozioni ed esperienze che i-nevitabilmente interagiscono e si miscelano con le dinamiche lavorative.

La conseguenza logica è che il posto di la-voro che dovrebbe rappresentare un luogo primariamente di “condivisione” e collabora-zione, per eccellenza, può anche diventare, al contempo, posto ideale per esprimere rivalità, gelosie, invidie, prevaricazioni, tali da in-fluenzare negativamente il cosiddetto “clima lavorativo”.

Il lavoro può e aggiungiamo deve essere elemento sul quale riversare parte delle aspet-tative di vita, conferme del proprio valore professionale, riconoscimento del proprio ruolo ed ambito sociale di appartenenza.

Allo stesso tempo fa emergere anche le capacità dell’individuo/lavoratore di affronta-re e risolvere i propri compiti/obiettivi lavora-tivi in coesistenza, spesso, con realtà frequen-temente conflittuali o semplicemente compe-titive, soprattutto in quei contesti di lavoro dinamici che implicano, obbligatoriamente, attività di gruppo.

Continuando nel nostro ragionamento su-gli aspetti positivi offerti, in ambiti lavorativi, dal miglioramento dei nostri canoni empatici, è utile porsi il quesito su come è possibile di-ventare maggiormente empatici nel lavoro.

In tale contesto (il lavoro) emergono sva-riati fattori che tendono a provocarci una sor-ta di emotività negativa, o peggio causarci stress, insoddisfazione, quand’anche frustra-zione, o addirittura depressione. Tutto ciò può essere ovviamente combattuto e meglio con-trastato.

Nel lavoro, lo “altro” , inteso come collega e non importa in quale scala gerarchica, può essere simpatico o antipatico, collaborativo o meno, disponibile o reticente, burbero o gio-viale; tutti aspetti, questi, che però non deb-bono impedirci di avere l’intelligenza di sa-

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Gazzetta Amministrativa -145- Numero 1 - 2016

persi collocare su un diverso punto di vista del nostro.

Ciò non vuol dire condividere a pieno il pensiero o essere totalmente in accordo.

Normalmente si tenderebbe a disconoscere tutto quello che si discosta dal nostro pensare, dalle nostre determinazioni.

Ma non c’è nulla di più sbagliato di que-sto.

È bene invece sfruttare le capacità che ab-biamo di sapersi “contagiare” con gli ele-menti emotivi e caratteriali degli altri.

Per dirla in maniera semplice spazio all’empatia, ossia la capacità di comprendere, profondamente e/o al meglio, lo stato d’animo dell’altro, quale essere diverso da noi, sia per situazioni piacevoli e/o gioiose, sia per accadimenti dolorosi, come anche per problematiche lavorative.

Capire appieno lo stato d’animo altrui si-curamente genera appunto empatia. Creare sintonia con gli altri può generare, ritengo, i migliori presupposti per il successo e anche gradimento per il proprio lavoro.

Quotidianamente dobbiamo entrare in con-tatto con persone quali colleghi, collaboratori, direttori, utenza, ecc. e, non capirsi, inevita-bilmente, innesca malumori e conflitti.

Ovviare alle incomprensioni e dispute è possibile, basterebbe entrare nel mondo dell’altro senza giudizi e preconcetti, saper quindi dare ascolto senza “giudicare preven-tivamente”.

Si parla sempre più frequentemente di em-patia. In ogni ambiente lavorativo, e non, rie-cheggia questo termine, anche se frequente-mente si ha la sensazione che tale locuzione venga usata senza una precisa cognizione di causa, pur riconoscendone l’importanza nei più variegati contesti lavorativi e comunicati-vi.

Ciò detto, senza dimenticare, però, che og-gi si vive in un tempo in cui si fanno sempre più rarefatte le occasioni di incontro, dello stare insieme, del comunicare e scambiare i-dee, e anche gli ambiti lavorativi stanno su-bendo delle rapide trasformazioni.

Verifichiamo l’esistenza di sempre meno luoghi fisici comuni, dove produrre beni e servizi, che vengono progressivamente sop-piantati dalle reti intranet ed internet, dall’uso

massivo di mail e poste elettroniche certifica-te, dalle applicazioni su e per social media, dove corsi, seminari, briefing, sono sempre più spesso svolti e somministrati a mezzo vi-deoconferenze, dove il telelavoro e lo smart working vengono rivalutati ed intrapresi alla luce dell’abbattimento dei costi economici.

A questo punto permettiamoci una “asser-zione” che è anche il titolo del presente con-tributo, vale a dire “lavorare è anche senti-mento”.

Ebbene, enunciare il sentimento quale at-tributo del nostro operare, in ambito lavorati-vo, rappresenta lo sdoganamento dell’agire umano di per se non esclusivamente econo-mico o almeno parzialmente psicologico e per questo anche empatico.

Empatia quindi caratterizzata come com-petenza distintiva, a cui non si può rinunciare, al fine di qualsiasi ruolo lavorativo, profes-sionale, sociale.

Quando parliamo di empatia, pertanto, è giusto indicarla come una preziosa abilità so-ciale, una competenza da detenere, uno stru-mento indispensabile per una efficace e posi-tiva gestione dei rapporti, soprattutto quelli di natura lavorativa e organizzativa manageriale.

Prendendo spunto dai precedenti passaggi mi accingerei, coraggiosamente, ad una af-fermazione, che può essere anche però un in-terrogativo; vale a dire che “l’empatia può essere il mezzo per salvare (o meglio salva-guardare) il lavoro umano”.

Cerchiamo di spiegarci meglio. In una epoca che possiamo assumere come

post industriale o forse anche post tecnologi-ca o per meglio dire ultra tecnologica, dove l’impatto delle nuove tecnologie, sul lavoro e l’occupazione umana, rende l’agire dell’uomo sempre più dematerializzato, delocalizzato, destrutturato, e dove il manufatto è sempre più per così dire, “tecno-fatto”; dove la com-ponente creativa si sostanzia e prende forma grazie all’uso di tecnologie telematiche, dove la stessa diffusione e distribuzione delle pro-duzioni segue frequentemente le vie immate-riali del web; ebbene in tale nuovo universo economico-produttivo, l’uomo, per non rele-garsi ad un ruolo marginale, necessariamente dovrà seguire traiettorie per dire storiografi-camente di “rinascimento sociale”, anche per

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Gazzetta Amministrativa -146- Numero 1 - 2016

poter scongiurare il rischio di pervenire ad una possibile “irrilevanza economica”.

Riscoprire quindi, ruoli e compiti sociali, abilità dell’intelletto, al di sopra e oltre i pa-rametri produttivi che sempre più vanno ver-so una economia fortemente automatizzata.

E’ necessario quindi riscoprire il “deside-rio di contatti umani” facendoli contaminare e riflettere sulla nostra economia di nuovo millennio, in modo da poter rendere l’interazione umana (possibilmente maggior-mente empatica) non marginale, ma anzi es-senziale per le transazioni/produzioni econo-miche.

E’ anche giusto significare che i cosiddetti “bisogni economici” possano essere soddi-

sfatti, possibilmente, in maniera esaustiva, i-neludibilmente, da esseri umani, in quanto ta-li.

2.Conclusioni. In conclusione di questo mio redazionale

riterrei illuminante, per la valenza degli ar-gomenti trattati e la loro migliore lettura, cita-re una frase di uno dei nostri più grandi lette-rati e drammaturghi Italiani ossia Luigi Pi-randello: " Prima di giudicare la mia vita o il mio carattere mettiti le mie scarpe, percorri il cammino che ho percorso io. Vivi i miei dolo-ri, i miei dubbi, le mie risate. Vivi gli anni che ho vissuto io e cadi là dove sono caduto io e rialzati come ho fatto io." Luigi Pirandello.

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GIURISPRUDENZA Consiglio di Stato Sez. VI 9.3.2016 n. 953 Graduatorie ad esaurimento del personale docente ed educativo - giurisdizione. Si segnala la sentenza della Sesta Sezione del Consiglio di stato del 9.3.2016 n. 953 che ha accolto l'appello proposto contro la sentenza il Tribunale Amministrativo Regionale per il La-zio che ha dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo in ordine alla impu-gnazione delle Graduatorie ad esaurimento. A tal fine, il Collegio ha preliminarmente ri-chiamato i principi affermati dalla giurispru-denza ( cfr. , ex multis, Cass.civ. , sez. un., 16.12.2013, n. 27991; CdS, A.P., 12.7.2011, n. 11) in materia di giurisdizione, relativamente a controversie concernenti le graduatorie perma-nenti e ad esaurimento. Tali principi possono così riassumersi: - le procedure relative alla formazione e all’aggiornamento delle graduatorie non sono procedure concorsuali, onde non può ritenersi la giurisdizione del giudice amministrativo ai sensi dell’art. 63 del d.lgs. n. 165/2001; - trattasi di atti che non possono che restare ri-compresi tra le determinazioni assunte con la capacità ed i poteri del datore di lavoro privato ex art. 5, co. 2, del richiamato decreto legislati-vo, a fronte dei quali sussistono solo posizioni di diritto soggettivo, poiché le pretesa consiste solo nella conformità o difformità a legge degli atti inerenti al rapporto già instaurato e, dun-que, di gestione della graduatoria; - diversa è la fattispecie quando oggetto del giudizio sia la regolamentazione stessa della graduatoria, in quanto in tal caso è contestata la legittimità della regolamentazione con disposizioni gene-rali al fine di ottenere l’annullamento di tale regolamentazione; - pertanto, la giurisdizione del giudice ordinario è recessiva nel caso di impugnazione di atti organizzativi a contenuto generale con cui le pubbliche amministrazioni definiscono le linee fondamentali di organizza-zione degli uffici; - di conseguenza, appartiene

alla giurisdizione generale di legittimità del giudice amministrativo la controversia nella quale la contestazione investa direttamente il corretto esercizio del potere amministrativo mediante la deduzione della non conformità a legge degli atti normativi in senso lato, attra-verso cui le p.a. definiscono le linee fondamen-tali della organizzazione; appartiene, invece, alla giurisdizione del giudice ordinario la con-testazione che investa esclusivamente i singoli atti di conferimento degli incarichi. Richiamati i principi enunciati dalla giurispru-denza per il riparto della giurisdizione in mate-ria, ritiene la Sezione che la corretta applica-zione di essi alla vicenda in esame non possa prescindere da una considerazione unitaria dell’oggetto del giudizio di primo grado. Va, invero, considerato che i signori in epigrafe in-dicati, attraverso il ricorso principale, hanno in primis impugnato il decreto ministeriale n. 235/2014, cioè l’atto generale di organizzazio-ne, contestando i criteri generali ed astratti predisposti dall’amministrazione per la forma-zione e l’aggiornamento delle graduatorie; ma-teria in relazione alla quale è pacifica la giuri-sdizione del giudice amministrativo. E’ vero, poi, che sono state impugnate anche le graduatorie definitive, nella parte in cui i ricor-renti non sono stati in esse inseriti. Va, peraltro, evidenziato che le stesse sono sta-te gravate nel medesimo giudizio con atto di motivi aggiunti e che, in disparte il dato della collocazione dell’impugnativa nel medesimo ambito processuale, la loro contestazione viene effettuata con esclusivo riferimento al fatto che esse costituiscono conseguenza della illegittima regolazione generale operata dall’amministra-zione, già prospettata in sede di ricorso origi-nario attraverso l’impugnativa, in via principa-le, del citato decreto ministeriale. Di tanto dà atto la stessa sentenza appellata, laddove evidenzia che avverso le graduatorie definitive, oggetto di motivi aggiunti, sono stati

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dedotti vizi di illegittimità derivata. Osserva, pertanto, la Sezione che le suddette graduatorie non vengono in rilievo, nell’in-staurato giudizio in sede giurisdizionale ammi-nistrativa, quali atti di gestione in sé, ma sono contestate con riferimento alla illegittima rego-lamentazione dei criteri generali di formazione delle stesse e per le medesime ragioni per le quali si è impugnato il decreto ministeriale, og-getto del ricorso originario e della impugnativa principale. Dunque, la posizione giuridico-soggettiva fatta valere è sempre quella di interesse legittimo e non anche di diritto soggettivo, atteso che la contestazione è sempre diretta alla legittima determinazione dei criteri generali. Vuole in buona sostanza affermarsi che - a pre-scindere dalla natura dell’atto - anche in sede di impugnativa delle graduatorie definitive i ri-correnti non fanno questione della singola col-locazione del docente in una determinata gra-duatoria, ma pur sempre del legittimo esercizio del potere generale di regolamentazione, che, all’interno dello stesso giudizio, è il medesimo oggetto della contestazione sia con riferimento all’atto generale che ha esercitato tale potere (impugnato in via principale con il ricorso ori-ginario) sia con riferimento all’atto successivo che del primo ha fatto applicazione (gravato mediante motivi aggiunti). Dunque, anche attraverso la domanda di an-nullamento delle graduatorie, la controversia verte sempre e comunque sul corretto esercizio del potere generale di regolamentazione delle stesse e finisce per coinvolgere posizioni di in-teresse legittimo. In tale situazione, pertanto, al fine della indivi-duazione della giurisdizione, la graduatoria non rileva come atto di gestione in sé, ma come proiezione applicativa di un non corretto eser-cizio del potere di organizzazione, il quale ri-mane pur sempre l’oggetto del giudizio e della contestazione del privato. Quest’ultimo, infatti, pur quando aggredisce le graduatorie definitive, non contesta la (e, dun-que, non fa questione della) propria specifica collocazione nelle stesse, ma pur sempre il (del) corretto esercizio del potere generale di rego-lamentazione. Sicché l’oggetto del giudizio, unitariamente considerato, e, dunque, la natura delle posizio-

ni giuridico-soggettive coinvolte non mutano per effetto della mera qualificazione e denomi-nazione dell’atto oggetto di impugnativa (gra-duatoria). L’oggetto della controversia ( involgente posi-zioni giuridico-soggettive di interesse legittimo, a fronte dell’impugnazione del decreto ministe-riale che detta le regole generali di formazione delle stesse) non viene modificato dalla soprav-venuta impugnazione delle graduatorie che di esso hanno fatto applicazione, in quanto l’intermediazione di tali atti - che sono ordina-riamente atti di gestione- non vale di per sé a mutare la natura delle situazioni giuridico-soggettive coinvolte e che sono fatte oggetto di tutela giurisdizionale, in quanto nello stesso giudizio la contestazione è svolta in via princi-pale sull’atto espressione del potere regola-mentare e ciò che si contesta anche nei motivi aggiunti è pur sempre il corretto esercizio di quest’ultimo. Le considerazioni tutte sopra svolte consentono di affermare - contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di primo grado - la giurisdizione in materia del giudice amministrativo, confer-mandosi, peraltro, l’orientamento già espresso dalla Sezione in materia, laddove si è ritenuto che “la stretta correlazione tra le domande a-zionate non consente una ripartizione della po-testas iudicandi tra giudice ordinario e giudice amministrativo, essendo concentrata dinanzi a quest’ultimo la tutela invocata da parte ricor-rente” (sent. n. 4485/2015 del 24-9-2015) ed affermandosi, altresì, che nella specie sono co-munque rilevabili “contestazioni che investano direttamente il potere governativo o ministeria-le, ovvero la potestà di emanare atti ammini-strativi generali di natura non regolamentare”, atteso che “nella situazione in esame si censu-rano infatti non le modalità di valutazione delle singole posizioni soggettive, ma in via principa-le le determinazioni espresse dal MIUR nel de-creto n. 235 in data 1.4.2014 (aggiornamento delle graduatorie ad esaurimento per il triennio 2014-2017), per profili organizzativi di caratte-re generale, inerenti a titoli che, ad avviso degli appellanti, consentirebbero una parziale ria-pertura delle graduatorie stesse” (ordinanza n. 364/2016 del 29.1.2016). In conclusione, dun-que, l’appello deve essere accolto e dichiarata la giurisdizione del giudice amministrativo, con

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conseguente annullamento della sentenza gra-vata nella parte in cui ha dichiarato il difetto di

giurisdizione del giudice amministrativo e ri-messione al primo giudice ex art. 105 c.p.a.

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PARERI

Questa sezione della Gazzetta Amministrativa raccoglie la pare-ristica redatta dall’AVVOCATURA DELLO STATO

DOMANDA Effetti del giudicato penale sui dipendenti delle p.a.: distinguo tra reato consumato o tentato. Parere reso in via ordinaria del 28/12/2015-582635, Al 43914/15, Avv. Diana Ranucci. RISPOSTA 1) Con la nota in riscontro codesta Direzione chiede di conoscere il parere della Scrivente in merito ai criteri applicativi dell’istituto della sospensione del pubblico dipendente a seguito di condanna non definitiva previsto dall’art. 4, co. 1, L. n. 97/2001 - recante “Norme sul rapporto tra procedimento pena-le e procedimento disciplinare ed effetti del giudicato penale nei confronti dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche” - che di-spone la sospensione (obbligatoria) dal servi-zio nel caso in cui un dipendente pubblico ri-porti una condanna, anche non definitiva, per taluno dei reati elencati tassativamente all’art. 3, co. 1, della stessa legge (come mo-dificata da ultimo dalla L. n. 190/2012), an-corché sia stata concessa la sospensione condizionale della pena. In dettaglio, codesta Direzione chiede di sa-pere se la disposizione sia applicabile anche quando la condanna sia comminata in rela-zione al delitto tentato: nella specie infatti il dipendente è stato condannato per il reato di tentata concussione. A parere della Scrivente la disposizione di cui all’art. 3 deve ritenersi applicabile ai reati ivi previsti, sia nella forma consumata che tenta-ta. Vero è che secondo la giurisprudenza il

tentativo costituisce una figura autonoma ri-spetto alla fattispecie consumata (cfr. Cass. pen., Sez. II, n. 22628/2001 e, più in generale, sull’autonomia del tentativo, Cass. pen., Sez. II, n. 7741/1998). Devesi tuttavia rilevare che la concezione au-tonomistica si è sviluppata in ambito penali-stico e trova la sua ratio nella esigenza di giustificare la punibilità di un fatto che, sia negli elementi oggettivi che soggettivi, in nul-la è identico al delitto consumato. In altri termini se il delitto tentato non fosse costruito come figura autonoma di reato esso non sarebbe mai punibile, in quanto gli ele-menti costitutivi del reato tentato sono del tutto differenti da quelli del reato consumato. È chiaro dunque come non sia possibile uti-lizzare sul piano amministrativo la concezio-ne penale del tentativo, trattandosi di ambiti completamente diversi sia per ratio che per funzione. A parere della Scrivente infatti, sotto il profi-lo che qui interessa dell’illecito disciplinare, il delitto tentato ed il delitto consumato non possono che ricevere lo stesso trattamento. Tanto perché la ratio delle disposizioni reca-te dagli artt. 3 e 4, l. 97/2001 è evidentemente la tutela del buon andamento della P.A. e la necessità di sanzionare disciplinarmente fatti di rilievo penale idonei ad esporre la pubbli-ca amministrazione al cd. strepitus fori, inte-ressi che possono essere lesi in ugual modo sia dal reato consumato che tentato. In questo senso si è di recente espresso il Consiglio di Stato, secondo cui “non si può distinguere, con riguardo ad ipotesi di reato

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Pubblico Impiego e Responsabilitàdella Pubblica Amministrazione

Gazzetta Amministrativa -151- Numero 1- 2016

particolarmente gravi, come la concussione, la fattispecie del delitto tentato da quella del delitto consumato, ai fini dell’applicazione del provvedimento di sospensione dal servizio ex art. 4, co. 1, l. n. 97/2001”, (Cons. St., ord. n. 1522/2014). Conformi T.A.R. Lombardia (TAR Brescia, ordinanza 23.7.2004, n. 1306) e TAR Puglia (n. 1139/1994) che esattamente valorizzano la pericolosità sociale del comportamento at-tuato, insita anche nel reato tentato, e l’interruzione del rapporto fiduciario inter-corrente tra amministrazione e dipendente pubblico a seguito del tentato reato. La Scrivente condivide tale orientamento giu-risprudenziale, perfettamente in linea con la ratio legis, per cui esprime il parere che deve ritenersi applicabile l’istituto della sospen-sione cautelare di cui all’art. 4, co. 1, l. n. 97/2001 anche al reato tentato. 2) Codesta Direzione rappresenta ancora che, in relazione alla medesima vicenda sog-gettiva in esame, il dipendente è stato a suo tempo già sottoposto ad un procedimento di-sciplinare conclusosi con la sanzione della “censura”. Chiede quindi di conoscere l’avviso di questa Avvocatura circa il potere/dovere di attivare un secondo procedimento disciplinare. Sul punto si osserva che il fatto che vi sia già stato un procedimento disciplinare è, ai fini dell’art. 4 in esame, completamente ininfluen-te, atteso che, come chiarito dalla giurispru-denza: “La sospensione obbligatoria dal ser-vizio disposta in conseguenza di una condan-na penale non si identifica con una sanzione di natura disciplinare, assolvendo invece ad una funzione cautelare o preventiva, in quan-to sia l'interesse al buon andamento della pubblica amministrazione che il rapporto di fiducia dei cittadini verso quest'ultima sareb-bero compromessi dalla permanenza in servi-zio di un dipendente condannato, sia pure in via non definitiva, per taluno dei delitti ri-chiamati dall'art. 4 L. n. 97/2001” (TAR Campania Napoli, Sez. VI, 22.9.2015, n. 4578). Ci. esclude quindi che possa ipotizzarsi una duplicazione di procedimenti disciplinari per uno stesso fatto. Ed infatti, in caso di condanna anche non de-finitiva di un pubblico dipendente

per alcuno dei delitti previsti dall'art. 3, co. 1 (peculato, concussione, corruzione per un at-to d'ufficio, etc.), ancorché sia concessa la sospensione condizionale della pena, il di-pendente deve essere comunque sospeso dal servizio, atteso che da un lato la norma in e-same non prevede alcuna discrezionalità per l'Amministrazione di applicare o meno la sanzione della sospensione cautelare, e dall’altro che, essendo tipizzate le ipotesi di reato in presenza delle quali si applica la so-spensione, la locuzione "sono sospesi" dal servizio non può che essere interpretata come una ipotesi di "sospensione obbligatoria". Ne consegue che, in presenza di una condan-na penale non definitiva emessa in ragione di uno o più reati enumerati dall'art. 3 della legge richiamata, la pubblica amministrazio-ne non ha né la facoltà di valutare la gravità o meno del fatto-reato, perché la valutazione è stata operata a priori dal legislatore, né ha la facoltà, in presenza di tale fatto, di valuta-re se sospendere o meno dovendo esclusiva-mente sospendere. Tale soluzione si impone qualora si conside-rino le ricordate finalità pubblicistiche cui risponde l’istituto della sospensione obbliga-toria che, come detto, è posto nell'interesse pubblico, a tutela del principio di buon an-damento della Pubblica Amministrazione sancito all’art. 97 della Costituzione, e tende ad evitare il pregiudizio alla regolarità del servizio ed al prestigio dell'Amministrazione che deriverebbe dalla permanenza in servizio di soggetti condannati, anche in via non defi-nitiva, per reati contro la P.A.; è evidente in-fatti che tali interessi sarebbero frustrati dal-la permanenza in servizio di un dipendente condannato, sia pure in via non definitiva, per taluno dei particolari delitti elencati all’art. 3 della l. n. 97 del 2001, cui eviden-temente il legislatore riconnette a priori un giudizio di peculiare disvalore. Ricorrendo le condizioni di legge, alla P.A. è quindi inibita alcuna valutazione discreziona-le, poichè tale valutazione è effettuata diret-tamente dal legislatore, rendendosi necessa-ria la “sospensione ope legis dal servizio, in riferimento a quei delitti per i quali la sem-plice sussistenza di un’accusa in capo ai pubblici impiegati fa sorgere nell’opinione pubblica il sospetto di inquinamento

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Pubblico impiego e Responsabilità della Pubblica Amministrazione

Gazzetta Amministrativa -152- Numero 1- 2016

dell’intero apparato” (cos. Corte Cost. sen-tenza 3.5.2002, n. 145, in riferimento all’art. 4, co. 1, della L. n. 97/2001, nella parte in cui esclude una valutazione discrezionale dell’amministrazione; nello stesso senso CdS, Sez. V, 15.11.2012, n. 5774). In conclusione, anche qualora l’ammini-

strazione abbia già valutato la responsabilità del dipendente sotto il profilo disciplinare, la sola condanna per uno dei reati elencati all’art. 3, l. n. 97/2001, ancorché non defini-tiva, rende necessaria la sospensione caute-lare obbligatoria dal servizio a tutela degli interessi sopra indicati.

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Patto di Stabilità, Bilancio e Fiscalità

Gazzetta Amministrativa -153- Numero 3/4 - 2015

PATTO DI STABILITÀ, BILANCIO E FISCALITÀ

NOTIZIE E AGGIORNAMENTI

FISCO: LE SCHEDE DI SINTESI SULLA LEGGE DI STABILITÀ 2016 Il Dipartimento delle Finanze ha reso dispo-nibili le schede di sintesi sul fisco della legge di stabilità 2016. Il documento si compone di 33 pagine nelle quali sono elaborate 55 sche-de (Schede di sintesi del Dipartimento delle Finanze del 7.3.2016).

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PATTO DI STABILITÀ INTERNO DEGLI ENTI LOCALI: IL DECRETO SULLA CERTIFICAZIONE DEL RI-SPETTO DEGLI OBIETTIVI In attesa della pubblicazione in G.U., la Ra-gioneria Generale dello Stato ha ritenuto uti-le diffondere il testo del decreto del Ministero dell’economia e delle finanze n. 18628 del 4.3.2016, concernente la certificazione del rispetto degli obiettivi del patto di stabilità interno 2015 degli enti locali, in attuazione dell’art. 31, co. 20, della l. 12.11.2011, n. 183. Gli enti locali soggetti al patto di stabili-tà interno trasmettono, entro il termine pe-rentorio del 31.3.2016, al Ministero dell’economia e delle finanze, Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato, utiliz-zando il sistema web appositamente previsto per il patto di stabilità interno nel sito web «http://pattostabilitainterno.tesoro.it», una certificazione, firmata digitalmente, ai sensi dell’art. 24, del d.lgs. 7.3.2005, n. 82, dal rappresentante legale, dal responsabile del servizio finanziario e dai componenti dell’organo di revisione economico-fi-

nanziaria validamente costituito, relativa al rispetto degli obiettivi del patto di stabilità interno per l’anno 2015, secondo il prospetto e le modalità contenute nell’allegato al citato decreto ministeriale n. 18628. Gli enti locali soggetti al patto di stabilità interno che non provvedono ad inviare la certificazione nei modi e nel termine precedentemente indicati sono considerati inadempienti al patto di sta-bilità interno 2015, ai sensi dell’art. 31, co. 20, della l. n. 183 del 2011 e sono assoggetta-ti alle sanzioni di cui all’art. 31, co. 26, lette-ra b) e seguenti della l. n. 183 del 2011. (De-creto del Mef n. 18628 del 4.3.2015).

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RILEVAZIONI PREVISTE DAL TITOLO V DEL D.LGS. 30.3.2001, N. 165: LE ISTRUZIONI IN MATERIA DI RELAZIONE ALLEGATA AL CONTO ANNUALE 2015 E MONITORAGGIO ANNO 2016 È stata pubblicata la circolare n. 10 del 9.3.2016 con la quale la Ragioneria Generale dello Stato fornisce le istruzioni necessarie all’acquisizione dei dati della Relazione alle-gata al conto annuale per l’anno 2015 e di quelli del Monitoraggio 2016. RELAZIONE ALLEGATA 2015 Comuni - Unioni dei co-muni - Città metropolitane - Province - ASL - Aziende ospedaliere La rilevazione del 2015 non ha subito rilevanti modifiche nel conte-nuto rispetto a quella dell’anno precedente, ad eccezione della semplificazione introdotta per le ASL e le Aziende ospedaliere, cui spe-cifiche istruzioni sono riportate nella Circo-

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Patto di Stabilità, Bilancio e Fiscalità

Gazzetta Amministrativa -154- Numero 1- 20161

lare nella sezione dedicata. Il periodo di rile-vazione dei dati è fissato dal 30.3. al 7.5.2016. Come avvenuto negli anni prece-denti, alcune delle informazioni rilevate per Comuni, Unioni, Città metropolitane e Pro-vince saranno trasferite al Sistema informati-vo del Ministero dell’Interno - Banca dati del Censimento del personale degli Enti locali (CEPEL) - mentre i dati rilevati per le ASL e le Aziende ospedaliere verranno trasmessi al Sistema Informativo del Ministero della Salu-te (NSIS). Ministeri - Agenzie fiscali - Presi-denza del Consiglio dei Ministri I termini d’invio saranno diversificati a seconda del tempo necessario a ciascun ente per la defini-zione delle attività propedeutiche all’apertura della rilevazione. MONITORAG-GIO 2016 L’indagine anticipa, con riferimen-to a ciascun mese dell’anno 2016, alcune del-le informazioni di organico che il Conto an-nuale rileverà successivamente a consuntivo, per l’intero anno. L’invio dei dati, per cia-scun mese dell’anno, è stato notevolmente semplificato e deve essere effettuato con ca-denza trimestrale e completato entro il deci-mo giorno del mese successivo al trimestre di riferimento secondo la prescritta modulistica. Sono tenute all’invio dei dati le seguenti tipo-logie di Enti: - Enti locali: Comuni (limitata-mente ad un rinnovato campione formato da 603 Enti) e tutte le Città metropolitane e le Province; - Servizio Sanitario Nazionale: A-ziende sanitarie ed ospedaliere, Istituti di ri-covero e cura a carattere scientifico, Aziende ospedaliere universitarie; - Enti pubblici non economici: Enti con dotazione organica di oltre 200 addetti; - Enti di ricerca e speri-mentazione: Enti con dotazione organica di oltre 200 addetti. (Circolare della Ragione-ria Generale dello Stato del 9.3.2016).

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FINANZA LOCALE: IN G.U. IL DE-CRETO SULLA DIMOSTRAZIONE DELLA COPERTURA DEL COSTO DEI SERVIZI PER L'ANNO 2015 PER GLI ENTI IN CONDIZIONE DI DEFICITA-RIETA' STRUTTURALE ED ENTI EQUIPARATI

È stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, Serie Generale n. 53 del 4.3.2016 il Decreto del Ministero dell'Interno 23.2.2016 recante "Dimostrazione della copertura del costo dei servizi per l'anno 2015 per gli enti in condi-zione di deficitarieta' strutturale ed enti equi-parati dalla normativa". In particolare, con tale provvedimento vengono approvati i certi-ficati (allegati al decreto) per comuni nonche' per province, citta' metropolitane e comunita' montane che si trovano in condizione di defi-citarieta' strutturale ai sensi dell'art. 242 del d.lgs 18.8.2000, n. 267, concernenti la dimo-strazione, sulla base delle risultanze contabili dell'esercizio finanziario 2015, della copertu-ra del costo complessivo di gestione dei ser-vizi a domanda individuale, del servizio per la gestione dei rifiuti urbani e del servizio di acquedotto. In base al Co. 2 dell'art. 1 "Gli enti locali di cui all'art. 243, co. 6, del citato d.lgs n. 267 del 2000 sono soggetti alla pre-sentazione della certificazione del costo dei servizi nel caso in cui permanga, alle date in-dicate al successivo art. 3, la condizione di assoggettamento ai controlli." Inoltre ai sensi dei Commi 3 e 4 "Gli enti locali di cui all'art. 243, co. 7, dello stesso d.lgs n. 267 del 2000, che hanno deliberato lo stato di dissesto, so-no tenuti alla presentazione della certifica-zione per tutto il quinquennio di durata del risanamento, di cui al successivo art. 265, co. 1. 4. I comuni, le province e le citta' metropo-litane che hanno fatto ricorso alla procedura di riequilibrio finanziario pluriennale previ-sta dall'art. 243-bis del predetto d.lgs n. 267 del 2000 sono tenuti alla presentazione della certificazione per tutto il periodo di durata del piano di riequilibrio finanziario plurien-nale." (Decreto del Ministero dell'Interno pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 53 del 4.3.2016).

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PATTO DI STABILITÀ INTERNO: IN G.U. IL DPCM SUL RIPARTO DEGLI SPAZI FINANZIARI TRA I COMUNI SEDE DELLE CITTÀ METROPO-LITANE E TRA LE REGIONI A STA-TUTO ORDINARIO

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Patto di Stabilità, Bilancio e Fiscalità

Gazzetta Amministrativa -155- Numero 1- 2016

La Ragioneria Generale dello Stato ha pub-blicato sul proprio sito istituzionale il Decre-to del Presidente del Consiglio dei Ministri 7.12.2015 (G.U. Serie Generale n. 27 del 3.2.2016) concernente il riparto degli spazi finanziari tra i comuni sede delle città metro-politane e tra le Regioni a statuto ordinario ai sensi dell’art. 1, co. 145, della l. 23.12.2014, n. 190 Per i comuni sede delle città metropolitane beneficiari di cui al citato decreto, l’esclusione dei pagamenti sostenuti, trova evidenza, nei limiti degli spazi finanzia-ri attribuiti con il richiamato decreto, nella voce S25 del modello MONIT/15 del secondo semestre 2015. (D.P.C.M. pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 27 del 3.2.2016).

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REGIONI: MANCATA CONVERSIONE IN LEGGE DEL D.L. 179/2015 SULLA CONTABILITÀ ED IL CONCORSO ALL'EQUILIBRIO DELLA FINANZA PUBBLICA Sulla Gazzetta Ufficiale n. 10 del 14.1.2016 è stato pubblicato il comunicato del Ministero della Giustizia sulla Mancata conversione del d.l. 13.11.2015, n. 179, recante: «Disposizio-ni urgenti in materia di contabilita' e di con-corso all'equilibrio della finanza pubblica delle Regioni.». Nel comunicato si precisa che il suddetto decreto legge non e' stato convertito in legge nel termine di sessanta giorni dalla sua pubblicazione, avvenuta nel-la Gazzetta Ufficiale - Serie generale - n. 266 del 14.11.2015. Si comunica che, ai sensi dell'art. 1, co. 705, della legge 28.12.2015, n. 208, pubblicata nel supplemento ordinario n. 70/L alla Gazzetta Ufficiale - Serie generale - n. 302 del 30.12.2015, «Restano validi gli atti e i provvedimenti adottati e sono fatti salvi gli effetti prodottisi e i rapporti giuridici sorti sulla base del medesimo d.l. n. 179 del 2015». (comunicato del Ministero della Giu-stizia pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 10 del 14.1.2016).

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ADDIZIONALE COMUNALE SUI DI-RITTI D’IMBARCO DEI PASSEGGERI

SUGLI AEROMOBILI: IL PAGAMEN-TO A FAVORE DEI COMUNI Sul portale istituzionale del Ministero dell'In-terno è stato pubblicato il comunicato con il quale si comunica che con provvedimento del 11.12.2015, le somme acquisite al bilancio dello stato per l’anno 2015 a titolo di addi-zionale comunale sui diritti d’imbarco di pas-seggeri sulle aeromobili, sono state ripartite e pagate a favore dei comuni nel cui territo-rio insista o risulti confinante un sedime ae-roportuale, ai sensi dell’art. 2, co. 11, lett. a), della l. 24.12.2003, n. 350, e successive modi-ficazioni, nonche’ da quanto previsto dall’art. 2, co. 2, del decreto del Ministro dell’interno dell’8.5.2006. gli enti beneficiari possono vi-sualizzare gli importi corrisposti dal prospet-to allegato. Per alcuni enti si e’ proceduto al-la momentanea sospensione del pagamento delle risorse finanziarie per il suddetto con-tributo, in considerazione della mancata tra-smissione al Ministero dell’interno delle cer-tificazioni di bilancio, come disposto dall’art. 161, co. 3, del d.lgs.18.8.2000, n. 267. Data la chiusura della contabilità dell’esercizio fi-nanziario 2015, il pagamento a favore degli enti, per i quali hanno trovato applicazione le disposizioni del richiamato art. 161, verra’ disposto, una volta trasmesse le certificazioni di bilancio, dall’anno 2016. Ai sensi del co. 8-bis, dell’art. 2, del d.l. 15.10.2013, n. 120, aggiunto dalla legge di conversione 13.12.2013, n. 137, non sono state assegnate risorse a favore di singoli enti nel caso in cui la somma spettante sia inferiore a 12 euro. Per eventuali chiarimenti che riguardino e-sclusivamente l’aspetto finanziario e’ possibi-le rivolgersi a questo Ministero (tel. 06/46548158 - 06/46548159). nel caso di problematiche di altra natura le spiegazioni andranno richieste al Ministero delle infra-strutture e dei trasporti - Dipartimento per i trasporti, gli affari generali ed il personale - Direzione generale per gli aeroporti ed il tra-sporto aereo, competente in materia. (Co-municato della Finanza Locale del 7.1.2015).

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Patto di Stabilità, Bilancio e Fiscalità

Gazzetta Amministrativa -156- Numero 1- 20161

LEGGE DI STABILITÀ 2016: IN GAZ-ZETTA UFFICIALE LA L. N. 208/2015 È stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale, Serie Generale n. 302 del 30.12.2015 - Suppl. Ordinario n. 70, la l. 28.12.2015, n. 208 re-cante "Disposizioni per la formazione del bi-lancio annuale e pluriennale dello Stato (leg-ge di stabilita' 2016)" (Legge di stabilità pubblicata sulla G.U. n. 302 del 30.12.2015).

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ADDIZIONALE REGIONALE IRPEF: LE NUOVE MODALITÀ DI TRASMIS-SIONE DEI DATI AL MEF Sulla Gazzetta Ufficiale Serie Generale n.300 del 28.12.2015 è stato pubblicato il decreto 18.1.2015 del Ministero dell'Economia e del-le Finanze recante "Nuove modalità di tra-smissione al Ministero dell'economia e delle

finanze, dei dati rilevanti ai fini dell'addizio-nale regionale all'imposta sul reddito delle persone fisiche" (Decreto MEF pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 300 del 28.12.2015).

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ENTI LOCALI E LORO ENTI E ORGA-NISMI STRUMENTALI: IN GAZZETTA UFFICIALE IL PIANO DEGLI INDI-CATORI E DEI RISULTATI ATTESI DI BILANCIO È stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 300 del 28.12.2015 il decreto 22.12.2015 del Ministero dell'Interno recante "Piano degli indicatori e dei risultati attesi di bilancio de-gli enti locali e dei loro enti ed organismi strumentali". (Decreto del Ministero dell'In-terno pubblicato sulla G.U. n. 300 del 28.12.2015).

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Patto di Stabilità,Bilancio e Fiscalità

Gazzetta Amministrativa -157- Numero 1- 2016

GIURISPRUDENZA Consiglio di Stato, Sez. II Ad. Sez. del 22.12.2015 Num. Affare 00795/2014 Quesito relativo alla interpretazione dell’art. 31, co. 26, della l. 12.12.2011, n. 183, in mate-ria di rideterminazione dell'indennità spet-tante agli amministratori degli enti locali, in caso di mancato rispetto del Patto di stabilità interno. 1. Il Ministero dell’Economia e delle Finanze, nel richiedere il parere sul quesito in oggetto con la nota n. 3176 del 22 aprile 2014 (Ufficio legislativo Economia), ricorda, in via di premessa, che gli art. 30, 31 e 32 della legge 12.11.2011, n. 183 disciplinano il patto di stabilità interno e sono volti ad assicurare il concorso degli enti locali alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica, di cui agli artt. 117, terzo comma e 119, secondo comma, della Costituzione, conformemente agli impegni assunti dal nostro Paese in sede comunitaria. In particolare, l'art.31 individua i soggetti sottoposti al rispetto del patto di stabilita interno e i parametri per la determinazione dello specifico obiettivo di saldo finanziario. Prevede, al comma 26 che, in caso di mancato rispetto del patto di stabilita interno, l'ente locale inadempiente nell'anno successivo a quello dell'inadempienza resta assoggettato ad alcune sanzioni tra le quali - per quanto qui d'interesse (lettera e) - l'obbligo di rideterminare le indennità di funzione ed i gettoni di presenza indicati nell’art. 82 del decreto legislative n. 267 del 2000 (TUEL), con una riduzione del 30 per cento rispetto alla data del 30 giugno 2010. L’art. 31, co. 26, lett. e), prevede dunque che, in caso di mancato rispetto del patto di stabilita interno, l'ente locale inadempiente è tenuto ad operare nell'anno successivo a quello dell'inadempienza una decurtazione del 30% sull'indennità corrisposta agli amministratori calcolata sugli importi effettivamente erogati nel 2010. Il Ministero segnala che, da parte di alcuni enti locali, sono pervenute istanze volte

a chiedere chiarimenti circa il corretto ambito applicativo della sanzione della decurtazione del 30% delle indennità degli amministratori, nel caso in cui sia intervenuta una sostituzione delle persone fisiche, che compongono i collegi politici interessati alla decurtazione. In sostanza, sulla base di una lettura testuale, la sanzione in esame sarebbe riferita all'amministratore, in quanto espressione dell'Ente inadempiente. La sanzione andrebbe applicata “oggettiva-mente”, indipendentemente da eventuali modifiche delle persone che rivestono la qualifica di amministratore locale. Secondo una diversa lettura, più aderente ad un obiettivo di responsabilizzazione degli amministratori locali, la norma in esame sembrerebbe volta a sanzionare la persona, che, in qualità di amministratore in carica al momento della violazione del patto di stabilita interno, abbia avuto una qualche responsabilità, per il mancato raggiungimento degli obiettivi posti dal patto. Da tale lettura, si trarrebbe la conclusione della necessità di non penalizzare, con la decurtazione dell'indennità, gli amministratori che, per una modifica della compagine politica (nuove elezioni, subentro, ecc.), si trovino a ricoprire incarichi politici in un ente locale, nell'anno successivo a quello in cui si é verificata la violazione del patto di stabilità, non potendosi ad essi imputare alcuna condotta pregiudizievole, che abbia determinate detta violazione. 2. Alla luce di tali considerazioni, secondo il Ministero riferente, assume particolare rile-vanza l'individuazione di una linea di comportamento uniforme, anche in relazione al successivo comma 28, della stessa disposizione, secondo cui agli enti locali, per i quali la violazione del patto di stabilità interno sia accertata successivamente all'anno seguente a quello della violazione, si applicano, nell'anno successivo a quello in cui è stato accertato il

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Patto di Stabilità, Bilancio e Fiscalità

Gazzetta Amministrativa -158- Numero 1- 2016

mancato rispetto del patto di stabilita interno, le sanzioni di cui al comma 26. In questa fattispecie, è previsto che la rideterminazione dell’indennità venga applicata agli ammini-stratori in carica nell'esercizio in cui è avvenuta la violazione del patto di stabilità interno. Secondo l’Amministrazione, si tratta di un dato testuale che depone in modo significativo per una applicazione della sanzione riferita specificamente ai soli amministratori in carica nel momento della violazione del Patto. Appare dunque necessario promuovere una interpretazione omogenea ed univoca del meccanismo che individua l’amministratore a cui si applica la sanzione, coerente con la sua finalizzazione sistematica. 3. La Sezione, con la pronuncia interlocutoria sopra indicata, ha chiesto in via istruttoria di acquisire gli avvisi del Ministero dell’interno (Ufficio legislativo), della Presidenza del Consiglio (Dipartimento affari giuridici e legislativi) e della Funzione pubblica (Ufficio legislativo). Il Ministero riferente, nel confermare l'interesse ad ottenere una risposta al quesito formulato, con la e-mail suindicata ha trasmesso la nota del DAGL n. 3169/2015, la nota del Ministero dell'interno 15224/2014 e la nota dell'Ufficio legislativo del Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione n. 562/2014. Il Dipartimento per gli Affari giuridici e legislativi della presidenza del Consiglio dei Ministri, con la nota suindicata, ricorda che la questione in esame era stata esaminata dalla Corte dei conti nella delibera 25/07/2013, n. 28 delle Sezioni Riunite per la Regione siciliana secondo cui la violazione del patto di stabilità deve “necessariamente colpire, in ogni caso, gli amministratori in carica nell’ anno in cui è avvenuta l'inottemperanza che, con le loro condotte - attive od omissive — abbiano contribuito alla stessa. Diversamente opinando, si giungerebbe ad una responsabilità oggettiva, ratione officii, che, mal conciliandosi con i principi inderogabili cui si uniforma l'ordinamento, finirebbe per sanzionare persone diverse da quelle effettivamente responsabili, cui non potrebbe muoversi alcuna censura per accadimenti pregressi, ad esse in

alcun modo imputabili. L’affermazione della responsabilità degli amministratori in carica nell'esercizio in cui è avvenuta la violazione del patto di stabilità interno, prevista dall’art. 31, comma 28, si ritiene, infatti, espressione di un più generale principio di responsabilità personale, valido per qualsiasi ipotesi di inosservanza del patto di stabilità, a prescindere dal momento in cui questa venga accertata”. Il Dipartimento ritiene pertanto che, in un’ottica di “responsabilizzazione” degli amministratori locali, in caso di violazione del patto di stabilità interno, la decurtazione operata sulle indennità di funzione e sui gettoni di presenza debba incidere sugli amministratori in carica al momento della violazione del patto. Il Ministero dell'Interno, nel concordare pienamente con tali conclusioni, ribadisce l'opportunità di non penalizzare, con la decurtazione dell’indennità, gli amministratori che. per una modifica della compagine politica, si trovino a ricoprire incarichi in un ente locale nell’anno successivo a quello in cui si è verificato la violazione del patto di stabilità, non potendosi ad essi imputare alcuna condotta pregiudizievole. 4. Il Capo dell'Ufficio legislativo del Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione viceversa, con nota 4 dicembre 2014 prot. 562/14/UL/P rivolta al DAGL ed all’UL del Ministero dell’Interno, ricorda che “inizialmente, la fattispecie del mancato rispetto del patto di stabilità interno è stata regolata dall’articolo 7 (così rubricato) del d.lgs. 6.9.2011, n. 149. Per gli enti locali inadempienti, il secondo comma di questo articolo prevedeva, per l’anno successivo a quello dell’inadempimento, alcuni divieti di spesa nonché le misure della riduzione del fondo perequativo e della riduzione del 30 per cento delle indennità di funzione e dei gettoni di presenza: misure a loro volta ispirate a una logica di contenimento della spesa, più che a una logica sanzionatoria. Successivamente, la materia è stata disciplinata dall’articolo 31 della legge 12.11.2011, n. 183 (legge di stabilità per il 2012), con una duplice previsione: il comma 26, in base al quale “restano ferme le disposizioni di cui all’art. 7, co. 2 e seguenti, del d.lgs. 6.9.2011, n. 149”, e

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Gazzetta Amministrativa -159- Numero 1- 2016

il co. 28, in base al quale "agli enti locali per i quali la violazione del patto di stabilità interno sia accertata successivamente all’anno seguente a quello cui la violazione si riferisce, si applicano, nell’anno successivo a quello in cui è stato accertato il mancato rispetto del patto di stabilità interno, le sanzioni di cui al comma 26. La rideterminazione delle indennità di funzione e dei gettoni di presenza di cui al co. 2, lett. e), dell’art. 7 del d.lgs. 6.9.2011, n. 149, è applicata ai soggetti di cui all’articolo 82 del testo unico di cui al d.lgs. 18.8.2000, n. 267, e successive modificazioni, in carica nell’esercizio in cui è avvenuta la violazione del patto di stabilità interno”. Il citato articolo 31, nella formulazione dianzi riportata, aveva prodotto una parziale alterazione della logica “oggettiva”, di contenimento della spesa, delle misure previste dal citato art. 7. Quest’ultimo, infatti, aveva concepito un complesso di misure (a carico dell’ente o dei suoi attuali amministratori), quale diretta conseguenza della violazione del patto di stabilità interno. Il co. 28 dell’art. 31, invece, introduceva una logica “soggettiva” e sanzionatoria a carico degli amministratori “presunti responsabili” della violazione, peraltro solo nelle ipotesi in cui l'accertamento dell'inadempimento fosse successivo all’anno seguente a quello cui la violazione si riferisse. La novella comportava numerosi problemi: 1) quelli connessi alle garanzie procedimentali dei destinatari di simili sanzioni e alla ragionevolezza di sanzioni irrogate per fatti non necessariamente riconducibili alla condotta dei soggetti sanzionati. Va osservato, al riguardo, che una misura di contenimento della spesa può ben essere imposta indipendentemente dall’accertamento delle responsabilità con le dovute garanzie, mentre non altrettanto può dirsi per una misura sanzionatoria; 2) le irragionevoli disparità di trattamento derivanti dal fatto che, in relazione al medesimo inadempimento, la sanzione poteva essere irrogata a soggetti diversi, individuati sulla base del momento di accertamento della violazione. Infatti: ove la violazione fosse stata accertata nell’anno successivo a quello della violazione, a subire la riduzione dell'indennità sarebbero stati - a norma del comma 26 - gli

amministratori in carica al momento dell’accertamento (i quali non necessariamente potevano essere considerati “responsabili” della violazione, potendo ben esservi stato un avvicendamento, a seguito di elezioni politiche, dimissioni o altro); ove, invece, la violazione fosse stata accertata successivamente all’anno seguente a quello della violazione, a subirla sarebbero stati - a norma del co. 28 - gli amministratori in carica al momento della violazione. In definitiva, l’individuazione dei responsabili della sanzione - gli amministratori in carica al momento della violazione o quelli in carica al momento dell’accertamento - veniva fatta dipendere da un fatto casuale o comunque indipendente dalle responsabilità degli uni e degli altri, quale il momento dell’accertamento; 3) i possibili effetti di disincentivo all’emersione delle violazioni, dovuti al fatto che gli amministratori in carica potevano avere interesse a ritardare l’accertamento delle violazioni; 4) le probabili difficoltà di recupero delle somme già erogate agli amministratori non più in carica, evidenziate anche nella richiesta di parere della Ragioneria generale dello Stato. In materia si sono poi avuti altri due interventi legislativi: l’art. 1, co. 439, della l. 24.12. 2012, n. 228 (legge di stabilità per il 2013), che ha sostituito il testo del co. 26 del citato articolo 31, eliminando il riferimento al citato art. 7 e disciplinando autonomamente gli effetti conseguenti alla violazione del patto di stabilità (ma riproponendo gli stessi divieti e le stesse sanzioni); e l’art. 1, co. 507, della l. 23.12.2013, n. 147 (legge di stabilità per il 2014), che ha abrogato i commi da 1 a 4 dell’art. 7. Non è stata espressamente abrogata la disposizione del co. 28, che rinviava al citato art. 7. Il dato testuale e l’evoluzione complessiva della disciplina, come descritti, inducono comunque a ritenere che il secondo periodo del comma 28 dell’articolo 31 in esame, nella parte in cui fa riferimento a una norma abrogata, sia stato esso stesso implicitamente abrogato dal legislatore. Infatti, non pare sia attribuibile altro significato, se non quello di un’abrogazione implicita, al comportamento

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del legislatore che ben avrebbe potuto, se avesse voluto mantenere in vigore la disciplina introdotta dalla legge di stabilità 2012, sostituire il rinvio, eliminando il riferimento a una disposizione abrogata e introducendo quello alia disciplina attualmente vigente (il co. 26 del citato art. 31). Deve dunque ritenersi che il legislatore abbia voluto eliminare la disposizione che prevedeva la decurtazione dell’indennità a carico degli amministratori in carica al momento della violazione, nel caso di accertamento effettuato successivamente all’anno seguente alla violazione stessa. Una simile scelta legislativa appare coerente sia con l’ottica di riassetto del sistema, sia con la presumibile intenzione di eliminare le descritte aporie determinate dalla novella del 2011, che era infelicemente intervenuta su una disciplina altrimenti comprensibile e coerente. Il legislatore, dunque, ha voluto reintrodurre la logica puramente “oggettiva” e non sanzionatoria originariamente propria della norma. Contro questa interpretazione si potrebbe osservare che il legislatore non ha espressamente abrogato la disposizione del comma 28, che qui si assume abrogata implicitamente. Indubbiamente le regole di tecnica legislativa avrebbero richiesto l’abrogazione espressa. D’altra parte, il fatto che il legislatore abbia “trascurato” la disposizione in esame - senza abrogarla, ma anche senza correggere il rinvio in essa contenuto - depone evidentemente nel senso del superamento della disposizione stessa, piuttosto che net senso della sua sopravvivenza. Queste conclusioni non dipendono da una sottovalutazione dell’esigenza, evidenziata da più parti, di responsabilizzare gli amministratori locali che si siano effettivamente resi responsabili dell’inadem-pimento. Da un lato, infatti, come sopra osservato, non è possibile affermare in via generale un rapporto di causalità tra la condotta del singolo amministratore e la violazione del patto di stabilità. Dall’altro, quell’esigenza può essere efficacemente soddisfatta, senza sacrificare la tenuta del sistema e la ragionevolezza delle norme e senza ledere il principio di parità di trattamento, mediante il ricorso ad altri rimedi già

conosciuti dall’ordinamento giuridico, quali la trasparenza amministrativa, la responsabilità politica e la responsabilità erariale. Da quanto precede deve trarsi la conclusione che la misura della riduzione delle indennità vada operata sempre nei confronti degli amministratori attualmente in carica, indipendentemente dall’eventuale avvicenda-mento degli amministratori nelle more dell’accertamento della violazione”. Considerato: 5. L’art.31, co. 26, lett. e), l. 12.11.2011, n. 183, come sostituito dall'art. 1, comma 439, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (legge di stabilità per il 2013), prevede che, in caso di mancato rispetto del patto di stabilita interno, l'ente locale inadempiente è tenuto ad operare nell'anno successivo a quello dell'inadempienza una decurtazione del 30% sull'indennità corrisposta agli amministratori calcolata sugli importi effettivamente erogati nel 2010. Il Ministero segnala che, da parte di alcuni enti locali, sono pervenute istanze volte a chiedere chiarimenti circa il corretto ambito applicativo della sanzione della decurtazione del 30% delle indennità degli amministratori, nel caso in cui sia intervenuta una sostituzione delle persone fisiche, che compongono i collegi politici interessati alla decurtazione. Il quesito prospettato richiede di verificare, sul piano più generale, se la disposizione di cui all’art. 31, co. 26, lett. e), l. 12.11.2011, n. 183 preveda un caso di responsabilità amministrativa vera e propria e se conseguentemente tale responsabilità abbia carattere personale ovvero possa viceversa avere carattere oggettivo, come sembra concludere il solo Ministero per la semplificazione e la pubblica amministrazione. Il problema sembra ripetere le sue origini dalla più antica disputa in dottrina e giurisprudenza circa la natura della responsabilità amministrativa, che ha visto sostanzialmente alternarsi nel tempo due diverse concezioni, una che ne evidenziava il carattere sanzionatorio, collegato principalmente al potere riduttivo in sede di accertamento, l'altra che viceversa la riconduceva alla più ampia categoria della responsabilità civile per danno, collegata alla inosservanza di doveri di comportamento più o meno specifici

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precostituiti e connessi al rapporto di servizio. La prima concezione, della natura sanzionatoria della responsabilità amministra-tiva, è stata definitivamente accolta sia nella riforma della Corte dei conti attuata con le Leggi nn. 19 e 20 del 19.1.1994, sia nella più recente giurisprudenza costituzionale (cfr. la sentenza della Corte Costituzionale n. 183 del 12.6.2007), la dove vi si afferma che la disciplina della responsabilità amministrativa si basa sulla colpevolezza del danneggiante e, per converso, sulla graduazione della colpevolezza effettuata in sede di accertamento. Ed è appena il caso di ricordare le disposizioni, contenute nell’art. 58 della l. 8.6.1990, n. 142, secondo cui la "la responsabilità nei confronti degli amministratori e dei dipendenti dei comuni e delle province è personale e non si estende agli eredi", ma che "si estende agli eredi nei casi di illecito arricchimento del dante causa e di conseguente indebito arricchimento degli eredi stessi" (art. 1, comma 1, L. 20/1994), il che conferma la natura sanzionatoria e quindi afflittiva della responsabilità amministrativa, dal momento che se il modello fosse stato quello civilistico, avrebbe dovuto trovare applicazione il principio generale della trasmissibilità dei rapporti giuridici. Nello stesso senso, della personalità della responsabilità amministrativa e della intrasmissibilità agli eredi delle relative sanzioni amministrative, vi sono gli artt. 3 primo comma (“Nelle violazioni cui è applicabile una sanzione amministrativa ciascuno è responsabile della propria azione od omissione, cosciente e volontaria, sia essa dolosa o colposa”) e 7 (“L'obbligazione di pagare la somma dovuta per la violazione non si trasmette agli eredi”) della l. 24.11.1981, n. 689. La disposizione di cui si chiede l’interpre-tazione prevede dunque una fattispecie di sicura matrice "sanzionatoria". Infatti, la responsabilità conseguente alla elusione del patto di stabilità, introdotta dagli artt. 20 del D.L. n. 98/2011 e 31 della L. n. 183/2011, prevede a carico degli amministratori una sanzione pecuniaria fino ad un massimo di dieci volte l’indennità di carica ed a carico del responsabile del servizio economico-finanziario, fino a tre mensilità del

trattamento retributivo, al netto degli oneri fiscali e previdenziali, con ciò sottolineandosi il carattere afflittivo, e non certamente risarcitorio, della sanzione ivi comminata, determinata nel quantum senza alcun riferimento, neppure indiretto, al danno effettivamente patito dall'ente. Oltretutto, la fattispecie in esame corrisponde esattamente ad un'ipotesi “tipizzata” di responsabilità amministrativa, cui più frequentemente ricorre la più recente legislazione, riprendendo sostanzialmente il concetto della c.d. “responsabilità formale”, che comunque la più recente giurisprudenza contabile (a partire dalla sentenza delle Sezioni riunite della Corte dei conti n.12/2007-QM del 27 dicembre 2007) ammette unicamente in presenza di dolo o colpa grave. 6. Stabilito dunque che la responsabilità prevista dalle disposizioni oggetto del quesito ha carattere amministrativo, è agevole riconoscere che, tra i principi generali valevoli per tale fattispecie, vi è quello della personalità. L’art. 1 della l. n. 20 del 1994 infatti stabilisce che la responsabilità dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti è personale, conferendo portata generale alla disposizione di cui all’ultimo comma dell’art. 58 della L. 142/1990 ("La responsabilità nei confronti degli amministratori e dei dipendenti dei comuni e delle province è personale…"). Questa norma significa inequivocabilmente che ciascuno risponde per il fatto proprio, e non per fatto altrui. Ne è corollario la conferma della "personalità" con la previsione della imputabilità dei componenti degli organi collegiali per le sole deliberazioni a cui hanno preso parte (art. 1, comma 1-ter, L. 20/1994). Applicato al caso di specie, il principio della personalità prevale in ogni fattispecie in cui tale elemento non sia diversamente predeterminato e tipizzato. La disposizione in esame, nello stabilire testualmente che “l'ente locale inadempiente, nell'anno successivo a quello dell'inadem-pienza: …. e) è tenuto a rideterminare le indennità di funzione ed i gettoni di presenza indicati nell'art. 82 del citato testo unico di cui al d.lgs. n. 267 del 2000, e successive

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modificazioni, con una riduzione del 30 per cento rispetto all'ammontare risultante alla data del 30.6.2010”, non indica esplicitamente a quali amministratori debbano ridursi i gettoni di presenza e le indennità di funzione. Dunque, a tal fine, per individuare gli amministratori ai quali la norma faccia riferimento, non possono che soccorrere i principi generali di cui si è detto sopra, tra i quali vi è per l'appunto quello della personalità della sanzione amministrativa. Pertanto, si conviene con il Ministero dell'Interno, con la Corte dei Conti e con lo stesso Ministero riferente, che la sanzione di cui all’art.31, co. 26, lett. e), l. 12.11.2011, n.

183, come sostituito dall'art. 1, co. 439, della l. 24.12.2012, n. 228, debba ritenersi riferita specificamente ai soli amministratori in carica nel momento in cui si è verificata la violazione del Patto, non potendosi evidentemente equiparare a questi, unici responsabili dello sforamento, le posizioni degli amministratori che, in ipotesi, abbiano sostituito i primi e che dunque tale bilancio ed annesso sforamento abbiano ereditato, senza esserne neppure indirettamente responsabili. Una diversa interpretazione incorrerebbe ovviamente in un’evidente violazione del principio di uguaglianza. P.Q.M. Nelle suesposte considerazioni è il parere.

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PARERI

Questa sezione della Gazzetta Amministrativa raccoglie la pare-ristica redatta dall’AVVOCATURA DELLO STATO

DOMANDA Sul principio di onnicomprensività del trat-tamento economico dirigenziale di cui all’art. 24, d.lgs 165/2001. Parere 18/11/2015-521594, Al 34140/15. Avv. Marco Stigliano Messuti. RISPOSTA Con la nota che si riscontra, codesto Dipar-timento chiede di conoscere l'avviso dello scrivente in ordine al seguente quesito: "Se il compenso liquidato dal TAR/Consiglio di Sta-to ad un funzionario ovvero dirigente dell'amministrazione nella qualità di Com-missario ad acta, nominato ai sensi dell'art. 114 CPA, nel giudizio di ottem-peranza, sia o meno soggetto al principio di onnicomprensi-vità del trattamento economico di cui all'art. 24, d.lgs 165/2001". Al riguardo codesto Dipartimento ha eviden-ziato due diversi orientamenti espressi rispet-tivamente dal Dipartimento della Fun-zione pubblica e dalla Ragioneria generale dello Stato. Il primo con nota prot. n. 13262/2013 del 19.3.2013 ha escluso che l’incarico del Commissario ad acta ricada nella disciplina dell’onnicomprensività del trattamento eco-nomico. Il secondo con nota MEF - RGS, prot. n. 62978 del 22.7.2013, investito della questione dallo stesso Dipartimento per la Funzione Pubblica, ritiene per contro, che la fattispecie sia da ricondurre al regime dell’onnicom-prensività.

Ad avviso dello scrivente si reputa opportuno, preliminarmente, chiarire quale ruolo e quale funzione assolva il Commissario ad acta no-minato in sede di giudizio di ottemperanza e quale sia la natura degli atti dallo stesso a-dottati. Sul punto dopo un originario contrasto in giurisprudenza, dove si contrapponevano due tesi, di cui la prima qualificava il Commissa-rio ad acta quale "organo straordinario dell'amministrazione" e, la seconda quale "ausiliario del giudice", è maturato un defini-tivo arresto giuri-sprudenziale su tale secon-da opzione ermeneutica. Si è pervenuti pertanto alla enunciazione del principio per cui il commissario ad acta è or-gano del Giudice dell'ottemperanza e le sue determinazioni vanno adottate esclusiva-mente in funzione dell'esecuzione del giudica-to, e non in funzione degli interessi pubblici il cui perseguimento costituisce il normale ca-none di comportamento dell'Amministrazione sostituita. Da ciò consegue che i suoi provvedimenti so-no immediatamente esecutivi e non sono as-soggettati all'ordinario regime dei controlli (interni ed esterni) degli atti dell'Ammini-strazione presso la quale lo stesso si insedia, ma vanno sottoposti unicamente all'immanen-te controllo dello stesso Giudice. Il principio da ultimo enunciato è confermato espressamente nella nuova formulazione del co. VI dell’art. 114, del d.lgs. 2.7.2010, n. 104 (co. cos. sostituito dall'art. 1, co. 1, lett.

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dd, n. 2 del d.lgs. 15.11.2011, n. 195): “il giudice conosce di tutte le questioni relative all'ottemperanza, nonché, tra le parti nei cui confronti si è formato il giudicato, di quelle inerenti agli atti del commissario ad acta. Avverso gli atti del commissario ad acta le stesse parti possono proporre, dinanzi al giu-dice dell'ottemperanza, reclamo, che è depo-sitato, previa notifica ai controinteressati, nel termine di sessanta giorni”. Le parti interessate possono e devono quindi rivolgersi al giudice, affinché venga verifica-ta rispondenza dei provvedimenti adottati dal Commissario ad acta alle disposizioni impar-tite in sede di ottemperanza, nonché ai prin-cipi vigenti in materia: l’attività del commis-sario ad acta quindi, non ha natura pretta-mente amministrativa, perché si fonda sull’ordine del giudice, ed è la stessa che a-vrebbe potuto realizzare direttamente il giu-dice. Va altres. sottolineato che l'incarico di Com-missario ad acta, ha la valenza di un "munus pubblico", da cui ne consegue la doverosità dell'espletamento dello stesso non potendo il soggetto nominato sottrarsi per libera scelta, pena la rilevanza penale della fattispecie ai sensi degli artt. 328 e 366 c.p. Della correttezza di tale approdo costituisce conferma, sul piano del diritto positivo, l’art. 57, del d.P.R. 30.5.2002 n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia) dedicato pro-prio alla “equiparazione del commissario ad acta agli ausiliari del magistrato”, in quanto ivi si è previsto che “al commissario ad acta si applica la disciplina degli ausiliari del ma-gistrato, per l'onorario, le indennità e spese di viaggio e per le spese sostenute per l'a-dempimento dell'incarico”. Peraltro, l'art. 21 del cpa nel disporre che "nell'ambito della propria giurisdizione, il giudice amministrativo, se deve sostituirsi all'amministrazione, può nominare come proprio ausiliario un commissario ad acta" implica un deciso mutamento di prospettiva nello specifico settore della disciplina degli organi chiamati a svolgere funzioni di tipo collaborativo rispetto all'esercizio proprio della funzione giusdicente. La norma permette senz'altro di ritenere che il Commissario ad acta si atteggia quale "au-

siliario" del giudice, ossia organo che, per quanto si desume dalla stessa disposizione normativa, agisce quale longa manus del giudice, la cui volontà di attuazione della norma nel caso concreto è chiamato a ester-nare. In questa prospettiva, del resto, assume par-ticolare rilevanza anche lo specifico ambito di giurisdizione entro il quale si svolge la funzione ascritta al commissario ad acta. Si tratta, infatti, di giurisdizione di merito, ambito entro il quale si colloca il giudizio di ottemperanza coltivato al fine di dare esecu-zione integrale al comando recato in senten-za. Ma proprio il fatto che si verte in ambito di giurisdizione di merito implica la concreta possibilità, per il giudice, di sostituirsi all'amministrazione. Ne deriva che la statuizione del giudice si in-vera nella determinazione del commissario ad acta, la quale integra senz'altro, attraver-so la nomina compiuta nel corso del giudizio di ottemperanza, la volontà di attuazione del-la norma nel caso concreto. Questo comporta che la P.A. è tenuta a con-formarsi in tutto e per tutto alle determina-zioni del commissario ad acta, attraverso le quali si manifesta la volontà di esercizio della funzione giurisdizionale nella fattispecie con-creta (Cfr. CdS, Sez. IV, 13.1.2015, n. 52; TAR Calabria, Reggio Calabria, 1.2.2013, n. 85; TAR Puglia, Lecce, 24.2.2011, n. 367). Sulla base delle suesposte necessarie premes-se, si ritiene possano trarsi le necessarie con-clusioni in ordine al quesito posto con la nota in riferimento. Il Commissario ad acta, ha quindi chiarito la giurisprudenza, agisce quale longa manus del giudice; è organo del Giudice dell'ottempe-ranza e le sue determinazioni vanno adottate esclusivamente in funzione dell'esecuzione del giudicato, e non in funzione degli interes-si pubblici il cui perseguimento costituisce il normale canone di comportamento della Amministrazione sostituita. Il principio di onnicomprensività del tratta-mento economico dirigenziale di cui all'art. 24, d.lgs 165/2001, concerne tutti gli incari-chi conferiti ai dirigenti in ragione del loro ufficio e/o su designazione dell'amministra-zione di appartenenza, trattandosi di attività

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Patto di Stabilità,Bilancio e Fiscalità

Gazzetta Amministrativa -165- Numero 1- 2016

connesse in misura più o meno diretta al rap-porto organico tra pubblico dipendente ed amministrazione datrice di lavoro e pertanto deve trattarsi di compiti o mansioni cui il di-rigente non pu. sottrarsi perché rientranti nei normali compiti di servizio (Cass. sez. lavoro, 24.2.2011, n. 4531; CdS, Sez. V, 2.10.2002, n. 5163; Tar Basilicata 14.2.2014, n. 127; Con-siglio di Stato, Commissione speciale per il pubblico impiego parere n. 173/2005; e da ultimo, CdS, Sez. IV, 23.2.2015, n. 859 se-condo cui sfugge al principio di onnicom-prensività il compenso percepito dal dirigente per la partecipazione quale componente di una commissione di accordo bonario ex art. 240, d.lgs 163/2006). L'interpretazione del principio di onnicom-prensività dato dalla giurisprudenza,sia civile che amministrativa, trova conferma nella Di-rettiva del Ministro della Funzione Pubblica del 1.3.2000 con la quale è stato precisato: "si intendono conferiti in ragione dell'ufficio, anche gli incarichi conferiti da terzi conse-quenziali a quello conferito presso di essi dall'amministrazione o su designazione di es-sa e comunque gli incarichi il cui svolgimento è collegato alla rappresentanza di interessi dell'amministrazione. Sono invece esclusi gli incarichi semplicemente autorizzati, non rien-tranti nelle ipotesi di cui sopra". Peraltro, la Direttiva del Ministero dei Lavo-ri Pubblici del 21.6.1999 (in GU 3.2.2000, n. 27), recante "regolamento dei conferimenti e delle autorizzazioni di incarichi nei confronti dei dipendenti del Ministero dei lavori Pub-blici", all'art. 5, dispone che per gli incarichi conferiti da organi della giurisdizione l'auto-rizzazione "non trova luogo". Appare pertanto chiaro che il discrimine al fine di valutare se il compenso previsto per un incarico sia soggetto o meno al regime di onnicomprensività è dato dalla rappresentan-za o meno di interessi dell'amministrazione. L'incarico di commissario ad acta conferito dall'autorità giudiziaria, per le ragioni sue-sposte, proprio perché è finalizzato all'esecu-zione del giudicato e non alla cura degli inte-ressi pubblici dell'amministrazione interessa-ta deve ritenersi escluso dal principio di on-nicomprensività del trattamento retributivo. Tale conclusione consente di superare l'obie-zione della Ragioneria Generale dello Stato

che sembra invece ritenere che l'incarico "è collegato alla rappresentanza di interessi dell'amministrazione e quindi riconducibile ai doveri di ufficio", considerazione quest'ul-tima disattesa dalla recente giurisprudenza. Peraltro si osserva che in linea con quanto affermato dal Dipartimento della Funzione Pubblica, si colloca il parere reso dalla stes-sa in ordine agli incarichi di Commissario ad acta ovvero commissario straordinario negli enti locali di cui agli artt. 136 e seg. TU 267/2000. Il Dipartimento (parere del 30.1.2002 reso alla Prefettura di Avellino) ha correttamente osservato che tale tipo di incarico, proprio perché conferito "ratione officii" e quindi nei compiti istituzionali previsti dal TU degli enti locali, rientra nel regime di onnicomprensivi-tà del trattamento retributivo. Da ultimo deve ritenersi che la circostanza che la nomina a Commissario ad acta sia sta-ta effettuata dal Presidente del Consiglio dei lavori Pubblici, non sposta i termini della questione. Infatti quest'ultimo ha agito in esecuzione dell'ordinanza del Consiglio di Stato, sezione IV, 17.5.2011, n. 2992 la quale cos. recita: "è opportuno procedere alla nomina di un nuo-vo commissario ad acta, nella persona del Presidente del Consiglio dei Lavori Pubblici, con facoltà di delega ad un componente del medesimo organo in possesso delle compe-tenze professionali idonee per l'esecuzione della sentenza". Appare evidente che la delega esercitata nel caso di specie non riconduce le funzioni svol-te dal Commissario ad acta nell'ambito dei propri doveri di ufficio, in quanto è comun-que imposta dall'organo giurisdizionale ed è finalizzata esclusivamente all'esecuzione del giudicato. Da ultimo va osservato che la mancata ese-cuzione sia da parte dell'amministrazione che del dirigente responsabile, di una sentenza passata in giudicato, che legittima il soggetto destinatario della favorevole sentenza di ri-correre al giudizio di ottemperanza ed all'e-ventuale nomina del Commissario ad acta, pu. essere fonte di responsabilità di carattere risarcitorio per l'amministrazione ai sensi dell'art. 112, III co. cpa e di responsabilità amministrativa/patrimoniale per il dirigente

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Patto di Stabilità, Bilancio e Fiscalità

Gazzetta Amministrativa -166- Numero 1- 2016

che era tenuto a dare esecuzione alla deci-sione oggetto di ottemperanza. Sul presente parere è stato sentito il Comitato

Consultivo che, nella seduta del 13.11.2015, si è espresso in conformità.

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Giustizia e Affari Interni

Gazzetta Amministrativa -167- Numero 1- 2016

GIUSTIZIA E AFFARI INTERNI

NOTIZIE E AGGIORNAMENTI

CORTE DEI CONTI: INDIVIDUATI GLI UFFICI E GLI INDIRIZZI PEC PER L'AVVIO GRADUALE DELL'INFOR-MATIZZAZIONE DEL PROCESSO CONTABILE Sulla Gazzetta Ufficiale n. 46 del 25.2.2016 è stato pubblicato il decreto della Corte dei Conti recante "Individuazione degli uffici e relativi indirizzi PEC utilizzabili nei giudizi dinanzi alla Corte dei conti". Per una esigen-za di gradualita' dell'avvio dei servizi di co-municazione sul territorio nazionale e per te-nere conto di eventuali criticita' rilevate, so-no state fissare date differenziate per rag-gruppamenti di Uffici per la decorrenza del decreto del Presidente n. 98 del 2015. In par-ticolare, nel decreto sono individuati gli Uffi-ci presso i quali e' stato compiuto l'accerta-mento della funzionalita' dei servizi di comu-nicazione, con indicazione dei corrispondenti indirizzi di posta elettronica certificata utiliz-zabili ai fini della trasmissione e del deposito di atti e documenti nonche' il calendario con le date di decorrenza distinte per raggrup-pamenti di Uffici. (Decreto della Corte dei Conti pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 46 del 25.2.2016).

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SCHEMA DI DECRETO LEGISLATIVO RECANTE “REVISIONE E SEMPLI-FICAZIONE DELLE DISPOSIZIONI IN MATERIA DI PREVENZIONE DELLA CORRUZIONE, PUBBLICITÀ E TRA-SPARENZA, CORRETTIVO DELLA L. 6.11.2012, N. 190 E DEL D. LGS.

14.3.2013, N. 33, AI SENSI DELL’ART. 7 DELLA L. 7.8.2015, N. 124, IN MATERIA DI RIORGANIZZAZIONE DELLE AM-MINISTRAZIONI PUBBLICHE” Vista la nota prot. n. 76/16 in data 12 febbra-io 2016, con la quale è stato trasmesso lo schema di decreto indicato in oggetto, appro-vato in via preliminare dal Consiglio dei Mi-nistri il 20 gennaio 2016, con la relazione in data, parimenti, 12 febbraio 2016, con la quale la Presidenza del Consiglio dei Mini-stri, Ufficio legislativo del Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazio-ne, ha chiesto il parere del Consiglio di Stato sullo schema in oggetto; Considerato che nella adunanza straordina-ria del 18 febbraio 2016, presente anche il Presidente aggiunto Luigi Carbone, la Sezio-ne ha esaminato gli atti e udito il relatore Consigliere Gerardo Mastrandrea; Premesso. Con lo schema di decreto legislativo in ogget-to, si intende dare attuazione alla delega di cui all’articolo 7 della legge 7 agosto 2015, n. 124, recante “Deleghe al Governo in ma-teria di riorganizzazione delle amministra-zioni pubbliche”, in materia di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni, non-ché prevenzione della corruzione, con termi-ne in scadenza il 29.2.2016. Rappresenta l’Amministrazione che, nel suo complesso, lo schema di decreto legislativo è finalizzato a rafforzare la trasparenza amministrativa. A questo fine, da un lato, il provvedimento normativo si propone di favorire forme diffu-se di controllo da parte dei cittadini, anche

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Giustizia e Affari Interni

Gazzetta Amministrativa -168- Numero 1- 20161

adeguandosi a standard internazionali, dall’altro, introduce misure che consentono più efficaci azioni di contrasto alle condotte illecite ed ai fenomeni corruttivi nelle pubbli-che amministrazioni. In particolare, lo schema di provvedimento normativo è stato predisposto con l’intento di apportare alcune significative modifiche al d.lgs. 14.3.2013, n. 33, al fine di conseguire, avvertono gli uffici del Ministro per la sem-plificazione e la pubblica amministrazione, i seguenti obiettivi: ridefinire l’ambito di ap-plicazione degli obblighi e delle misure in materia di trasparenza; prevedere misure or-ganizzative per la pubblicazione di alcune in-formazioni e per la concentrazione e la ridu-zione degli oneri gravanti in capo alle ammi-nistrazioni pubbliche; razionalizzare e preci-sare gli obblighi di pubblicazione; individua-re i soggetti competenti all’irrogazione delle sanzioni per la violazione degli obblighi di trasparenza. Inoltre, e non certo da ultimo, è introdotta una nuova forma di accesso civico libero ai dati e ai documenti pubblici, equivalente a quella che nei sistemi anglosassoni è definita Freedom of information act (F.O.I.A.). Que-sta nuova forma di accesso prevede che chi-unque, indipendentemente dalla titolarità di situazioni giuridicamente rilevanti, può acce-dere a tutti i dati e ai documenti detenuti dal-le pubbliche amministrazioni, nel rispetto di alcuni limiti tassativamente indicati dalla legge. Si tratta, dunque, di un regime di ac-cesso più ampio di quello previsto dalla ver-sione vigente dell'art. 5 del d.lgs. n. 33 del 2013, in quanto consente di accedere non so-lo ai dati, alle informazioni e ai documenti per i quali esistono specifici obblighi di pub-blicazione (per i quali permane, comunque, l'obbligo dell'amministrazione di pubblicare quanto richiesto, nel caso in cui non fosse già presente sul sito istituzionale), ma anche ai dati e ai documenti per i quali non esiste l'obbligo di pubblicazione e che l'amministra-zione deve quindi fornire al richiedente. Infi-ne, questa nuova forma di accesso si distin-gue dalla disciplina in materia di accesso ai documenti amministrativi di cui agli artt. 22 e seguenti della l. 7.8.1990, n. 241. Più preci-samente, dal punto di vista soggettivo, la ri-

chiesta di accesso non richiede alcuna quali-ficazione e motivazione, per cui il richiedente non deve dimostrare di essere titolare di un «interesse diretto, concreto e attuale, corri-spondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l'accesso», così come stabilito, inve-ce, per l'accesso ai sensi della legge sul pro-cedimento amministrativo. Dal punto di vista oggettivo, al contrario, i limiti applicabili al-la nuova forma di accesso civico (di cui al nuovo art. 5 bis del d.lgs. n. 33 del 2013) ri-sultano più ampi e incisivi rispetto a quelli indicati dall'art. 24 della l. n. 241 del 1990, consentendo alle amministrazioni di impedire l'accesso nei casi in cui questo possa com-promettere alcuni rilevanti interessi pubblici generali. Lo schema di decreto legislativo interviene, inoltre, anche sulla l. 6.11.2012, n. 190, re-cante, come è noto, disposizioni per la pre-venzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazio-ne. Sotto questo profilo, le novelle sono volte a precisare, in particolare, i contenuti e i procedimenti di adozione del Piano nazionale anticorruzione e dei piani triennali per la prevenzione della corruzione, nonché a ride-finire i ruoli, i poteri e le responsabilità dei soggetti interni che intervengono nei relativi processi. Lo schema di provvedimento, invia-to in data 11.2.2016 anche alla Conferenza Unificata di cui all’art. 8 del d.lgs. 28.8.1997, n. 281, ed in relazione al quale andrà acqui-sito il parere delle Commissioni parlamentari competenti, è suddiviso in tre Capi (Capo I, dedicato alle modifiche al d.lgs. n. 33 del 2013, il Capo II, contenente le modifiche alla l. n. 190 del 2012 e il Capo III contenente le disposizioni finali e transitorie), e si compone di 44 articoli, del contenuto dei quali si dà di seguito sintetica illustrazione, sulla base di quanto riportato dall’Amministrazione. Le modifiche apportate dall’articolo 1 ri-guardano il titolo del d.lgs. n. 33 del 2013, nel quale si inserisce espressamente il riferi-mento al diritto di accesso civico, rinnovato nel suo contenuto. L’art. 2, che novella l’art. 1 del d.lgs. n. 33 del 2013, è volto a specificare la nozione di principio generale di trasparenza, la quale

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Giustizia e Affari Interni

Gazzetta Amministrativa -169- Numero 1- 2016

deve essere intesa come accessibilità totale dei dati e dei documenti detenuti dalle pub-bliche amministrazioni, finalizzata non sol-tanto a favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche, ma anche a garantire una maggiore tutela dei diritti fondamentali. L’art. 3 novella l’art. 2 del d.lgs. n. 33 del 2013, specificando e ampliando l’oggetto del provvedimento normativo. La trasparenza è assicurata mediante la libertà di accesso di chiunque (c.d. accesso civico) ai dati e ai do-cumenti detenuti dalle pubbliche amministra-zioni, secondo il paradigma del Foia, e trami-te la pubblicazione di documenti, informazio-ni e dati concernenti l'organizzazione e l'atti-vità delle stesse. In considerazione delle nuove modalità di re-alizzazione del principio di trasparenza, si è provveduto a riordinare il testo del d.lgs. n. 33 del 2013, individuando i principi generali e comuni applicabili ad entrambe le modalità (accesso civico e pubblicazione) e discipli-nandole singolarmente. In tal senso, l’art. 2-bis, introdotto dallo schema di decreto, riporta l’ambito soggetti-vo di applicazione disciplinato nella versione vigente dell’art. 11. In particolare, si specifi-ca che la disciplina prevista per le “pubbli-che amministrazioni” di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001, ivi comprese le autorità amministrative indipendenti di garanzia, vigilanza e regola-zione, si applica, in quanto compatibile, agli enti pubblici economici, alle autorità portuali e agli ordini professionali; alle società in controllo pubblico di cui all’articolo 2 del decreto legislativo da emanarsi in attuazione dell’art. 18 della l. 7.8.2015, n. 124 (escluse le società che emettono azioni quotate in mercati regolamentati, le società che prima del 31 dicembre 2015 hanno emesso strumen-ti finanziari quotati in mercati regolamentati e le società partecipate dalle une o dalle al-tre); alle associazioni, alle fondazioni e agli enti di diritto privato comunque denominati, anche privi di personalità giuridica, la cui at-tività sia finanziata in modo maggioritario da pubbliche amministrazioni o in cui la totalità o la maggioranza dei titolari dell’organo

d'amministrazione o di indirizzo sia designata da pubbliche amministrazioni. Disciplina non difforme è rinvenibile, limita-tamente ai dati e ai documenti inerenti all’attività di pubblico interesse, anche per le società in partecipazione pubblica, di cui al citato articolo 2 del d.lgs. da emanarsi. L’art. 4 modifica l’art. 3 del d.lgs. n. 33 del 2013, in tema di pubblicità e diritto alla co-noscibilità. Anche in questo caso si specifica che chiunque ha diritto di conoscere non sol-tanto i dati oggetto di pubblicazione obbliga-toria, ma anche quelli oggetto di accesso ci-vico. Vengono, inoltre, introdotti due ulteriori commi. Il primo (comma 1-bis) è volto a pre-vedere che, qualora siano coinvolti dati per-sonali, l’Autorità nazionale anticorruzione, sentito il Garante per i dati personali, con propria delibera, adottata previa consulta-zione pubblica, possa identificare i dati, le informazioni e i documenti oggetto di pubbli-cazione obbligatoria, per i quali la pubblica-zione in forma integrale è sostituita con quel-la di informazioni riassuntive. Il secondo (co. 1-ter) introduce una sorta di “clausola di flessibilità”, prevedendo, sempre in capo all’Autorità nazionale anticorruzione, in sede di Piano nazionale anticorruzione, il potere di “precisare” gli obblighi di pubblicazione e le relative modalità di attuazione in relazione alla natura dei soggetti, alla loro dimensione organizzativa ed alle attività svolte. Con l’articolo 5 vengono introdotti il nuovo Capo I-bis del d.lgs. n. 33 del 2013, dedicato ai “dati pubblici aperti”, e l’articolo 4-bis, in materia di trasparenza nell’utilizzo delle ri-sorse pubbliche. In particolare, al fine di promuovere l’accesso e migliorare la com-prensione dei dati della spesa delle pubbliche amministrazioni, viene previsto che l’Agenzia per l’Italia digitale (AGID) gestisca, d’intesa con il Ministero dell’economia e delle finan-ze, il sito internet denominato “Soldi pubbli-ci”, tramite il quale è possibile accedere ai dati dei pagamenti delle pubbliche ammini-strazioni e consultarli in relazione alla tipo-logia di spesa sostenuta, alle amministrazioni che l’hanno effettuata, nonché all’ambito temporale di riferimento. Inoltre, viene previ-sto che le amministrazioni pubblichino sui propri siti i dati sopra citati, indicando anche

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Giustizia e Affari Interni

Gazzetta Amministrativa -170- Numero 1- 20161

i soggetti destinatari dei pagamenti. L’art. 6 sostituisce interamente il vigente art. 5, e reca, dunque, disposizioni in materia di accesso civico a dati e documenti. In tale nuovo istituto, anche al fine di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico, si ri-comprende la possibilità per chiunque di po-ter accedere ai dati e ai documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, nel rispetto dei limiti relativi alla tutela di interessi pub-blici e privati giuridicamente rilevanti ed e-scludendo la necessità che la pubblica ammi-nistrazione svolga un’ulteriore attività ag-giuntiva di elaborazione del dato. Viene, così, ampliata la disciplina in materia di accesso che prima prevedeva l’obbligo per le pubbli-che amministrazioni di provvedere alla pub-blicazione dei dati, mentre ora si obbliga l’amministrazione anche a fornire il dato. Come già sopra osservato, a differenza di quanto previsto dalla legge 7 agosto 1990, n. 241, cambia la legittimazione soggettiva: per l’accesso civico non è più richiesto un inte-resse diretto, concreto e attuale, corrispon-dente ad una situazione giu-ridicamente tute-lata e collegata al dato o al documento al quale è chiesto l'accesso, ma viene consentito a chiunque di poter accedere ai dati e ai do-cumenti detenuti dalle pubbliche amministra-zioni, nel rispetto dei limiti relativi alla tutela di interessi pubblici e privati giuridicamente rilevanti. In particolare, in relazione alle ricordate due modalità di esplicazione del principio di tra-sparenza, si amplia la platea dei soggetti a cui può essere avanzata la richiesta, che non richiede motivazione e sulla quale l’amministrazione provvede entro e non oltre trenta giorni, decorsi i quali l’istanza si in-tende respinta: all’ufficio relazioni con il pubblico, o ad altro ufficio espressamente in-dicato dall’amministrazione nella sezione “Amministrazione trasparente”, ovvero al re-sponsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza, nel caso l’istanza ri-guardi dati, informazioni o documenti ogget-to di pubblicazione obbligatoria. In presenza di soggetti controinteressati, l’amministrazione cui è indirizzata la richie-sta di accesso è tenuta a darne comunicazio-ne agli stessi i quali, entro dieci giorni dalla

ricezione della comunicazione, possono pre-sentare opposizione. Decorso tale termine, la pubblica amministrazione provvede sulla ri-chiesta. Nei casi di diniego totale o parziale dell’accesso o di mancata risposta entro il termine previsto, il richiedente può ricorrere al tribunale amministrativo regionale compe-tente, nel rispetto delle norme del codice del processo amministrativo. Infine, si limita l’ambito di applicazione della previsione che riguarda le segnalazioni che il responsabile della prevenzione della corru-zione e della trasparenza deve effettuare (ai sensi dell’art. 43 del d.lgs. n. 33 del 2013), prevedendo che le stesse vengano effettuate solo nel caso in cui la richiesta di accesso ci-vico riguardi dati, informazioni o documenti oggetto di pubblicazione obbligatoria. Ven-gono, inoltre, introdotti due ulteriori articoli: l’articolo 5-bis, il quale individua in modo puntuale gli interessi pubblici e gli interessi privati a tutela dei quali è possibile rigettare la richiesta di accesso civico (tra gli altri, la sicurezza pubblica o nazionale, la protezione dei dati personali e la libertà e la segretezza della corrispondenza), ferma restando, ad ogni modo, l’esclusione del diritto di accesso nei casi di segreto di Stato e negli altri casi di divieti di accesso o divulgazione previsti dal-la legge, ivi compresi i casi in cui l’accesso è subordinato dalla disciplina vigente al rispet-to di specifiche condizioni, modalità o limiti, inclusi quelli di cui all’articolo 24, comma 1, della legge n. 241 del 1990; l’articolo 5-ter, che disciplina l’accesso per fini scientifici ai dati elementari raccolti per finalità statisti-che, rimettendo al Comitato di indirizzo e co-ordinamento dell’informazione statistica (Comstat) l’adozione di linee guida che fissa-no le modalità attuative della disposizione. L’art. 7 introduce l’art. 7-bis, che, riprodu-cendo il contenuto del vigente art. 4, in rela-zione alla nuova impostazione va riferito e-sclusivamente alla trasparenza attuata me-diante la pubblicazione, di cui vengono fissa-ti, e quindi ribaditi, i relativi limiti. L’art. 8 modifica l’art. 8 del d.lgs. n. 33 del 2013, stabilendo il diritto di accedere co-munque, mediante l’istituto dell’accesso civi-co, ai dati, alle informazioni e ai documenti

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Giustizia e Affari Interni

Gazzetta Amministrativa -171- Numero 1- 2016

oggetto di pubblicazione obbligatoria, decor-so il termine di cinque anni dal suddetto ob-bligo di pubblicazione. Inoltre, viene affidato all’Autorità nazionale anticorruzione il pote-re di diminuire (rispetto alla disciplina gene-rale, fissata in cinque anni) la durata di pub-blicazione di dati e documenti, basandosi su una valutazione del rischio corruttivo, delle esigenze di semplificazione e delle richieste di accesso. L’art. 9 modifica l’art. 9 del d.lgs. n. 33 del 2013, disponendo una serie di modifiche alla disciplina sull’accesso alle informazioni pub-blicate sui siti. Le novelle sono, in primo luo-go, rivolte a rendere agevole l’accesso ai dati e ai documenti pubblicati dalle amministra-zioni. A questo fine, per evitare duplicazioni (e dunque confusione nei fruitori del servi-zio), si prevede che la pubblicazione degli stessi, nella sezione “Amministrazione tra-sparente”, possa essere sostituita da un col-legamento ipertestuale alla sezione del sito in cui sono presenti i relativi dati, informazioni o documenti, assicurando comunque la quali-tà di tali informazioni. Infine, viene abrogata la previsione del d.lgs.n. 33 del 2013 che pre-vedeva il trasferimento di documenti, dati e informazioni all’interno della sezione archi-vio, una volta scaduto il termine di durata dell’obbligo di pubblicazione. Con lo stesso articolo viene, inoltre, introdot-to l’articolo 9-bis, che contiene modalità semplificate che consentono alle amministra-zioni di adempiere agli obblighi di pubblica-zione, evitando nel contempo che su siti di-versi siano pubblicati dati tra loro discordan-ti. Si prevede, in particolare, che le pubbliche amministrazioni titolari di banche dati, i cui contenuti abbiano per oggetto dati, documen-ti e informazioni oggetto di pubblicazione obbligatoria, siano obbligate a renderle pub-bliche in modo tale che tutti i soggetti a cui si applica il decreto legislativo possano assol-vere agli obblighi di pubblicazione attraverso l’indicazione sul sito, nella sezione “Ammini-strazione trasparente”, del collegamento i-pertestuale alle stesse banche dati. Si specifi-ca, inoltre, che qualora nelle banche dati sia stata omessa la pubblicazione di dati effetti-vamente comunicati, la richiesta di accesso civico è presentata al responsabile della pre-

venzione della corruzione e della trasparenza dell’amministrazione titolare della banca da-ti. L’art. 10 modifica l’art. 10 del d.lgs. n. 33 del 2013, introducendo un’importante misura di semplificazione. Si prevede, infatti, la sop-pressione dell’obbligo per le pubbliche am-ministrazioni di redigere il programma trien-nale per la trasparenza e l’integrità e si pre-vede che ogni amministrazione indichi, in un’apposita sezione del Piano triennale di prevenzione della corruzione, i responsabili della trasmissione e della pubblicazione dei documenti, delle informazioni e dei dati. Al fine di coordinare la disposizione con il piano triennale per la prevenzione della corruzione si prevede, altresì, che le misure procedimen-tali e organizzative del Piano costituiscono obiettivi per gli uffici e per i dirigenti titolari e che la promozione di maggiori livelli di tra-sparenza costituisce un obiettivo strategico di ogni amministrazione. L’art. 11 introduce ulteriori obblighi di pub-blicazione di atti normativi e generali per le pubbliche amministrazioni sui siti istituziona-li (obblighi di cui all’articolo 12 del d.lgs. n. 33 del 2013), nei quali vanno, pertanto, inse-riti anche le misure integrative di prevenzio-ne della corruzione, i documenti di program-mazione strategico-gestionale e gli atti degli organismi indipendenti di valutazione. Si prevedono, inoltre, misure di semplificazione, eliminando l’obbligo di pubblicazione, a ca-rico del responsabile della trasparenza, dello scadenzario con l’indicazione delle date di efficacia dei nuovi obblighi amministrativi introdotti. Gli art. 12 e seguenti vanno a modificare il Capo II del d.lgs. n. 33 del 2013, che disci-plina gli obblighi di pubblicazione concer-nenti l’organizzazione e l’attività della pub-blica amministrazione. Più nello specifico, l’art. 12 modifica l’art. 13 del d.lgs. n. 33 del 2013, eliminando l’obbligo di pubblicazione dei dati relativi al-le risorse assegnate a ciascun ufficio. L’articolo 13 modifica l’articolo 14 del de-creto legislativo n. 33 del 2013, circa gli ob-blighi di pubblicazione dei titolari di incari-chi politici, anche se non di carattere elettivo, di livello statale, regionale e locale, nonché

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Giustizia e Affari Interni

Gazzetta Amministrativa -172- Numero 1- 20161

di incarichi dirigenziali. Si specifica che le pubbliche amministrazioni sono tenute a pubblicare e ad aggiornare le informazioni relative ai titolari di incarichi politici, di in-carichi amministrativi di vertice e di incari-chi dirigenziali, anche qualora conferiti di-screzionalmente dall’organo di indirizzo poli-tico senza procedure pubbliche di selezione. Inoltre, anche ai fini della verifica del rispet-to dei limiti fissati alle retribuzioni, si preve-de la pubblicazione degli emolumenti com-plessivi erogati a ciascun dirigente a carico della finanza pubblica, previa comunicazione degli stessi all’amministra-zione presso la quale presta servizio. Viene, altresì, previsto che negli atti di conferimento di incarichi di-rigenziali e nei relativi contratti siano indica-ti gli obiettivi di trasparenza, finalizzati a rendere i dati pubblicati di immediata com-prensione e consultazione per il cittadino, con particolare riferimento ai dati di bilancio sulle spese e ai costi del personale, indicati sia in modo aggregato che analitico. Il man-cato raggiungimento dei suddetti obiettivi de-termina responsabilità dirigenziale. Conse-guentemente, sono stati abrogati i commi dell’art. 15 del decreto legislativo n. 33 del 2013, relativi agli incarichi dirigenziali. Il successivo art. 14 interviene, invece, sulla disciplina che attiene all’obbligo di pubblica-zione di dati e informazioni che riguardano i titolari di cariche di governo e di incarichi di collaborazione o consulenza (il citato artico-lo 15 del decreto legislativo n. 33 del 2013), che vengono estesi anche ai titolari di posi-zioni organizzative a cui sono formalmente conferite funzioni dirigenziali. Con l’articolo 14, vengono, altresì, introdotti due nuovi articoli, l’articolo 15-bis e 15-ter. L’articolo 15-bis prevede obblighi di pubbli-cazione, a carico delle società a controllo pubblico, relativamente al conferimento di incarichi di collaborazione, di consulenza o di incarichi professionali, inclusi quelli arbi-trali. L’art. 15-ter reca, invece, obblighi di pubblicazione concernenti gli amministratori e gli esperti nominati da organi giurisdizio-nali o amministrativi. In particolare, il com-ma 1 prevede che l'albo degli amministratori giudiziari – di cui all’articolo 1 del decreto legislativo 4 febbraio 2010, n. 14 – sia tenuto

con modalità informatiche ed inserito in un’area pubblica del sito istituzionale del Ministero della giustizia e che nell’albo siano indicati, per ciascun iscritto, gli incarichi ri-cevuti, l'autorità che lo ha conferito, la data di attribuzione e di cessazione, nonché gli ac-conti e il compenso finale liquidati; il co. 2 stabilisce che l’Agenzia nazionale per l'am-ministrazione e la destinazione dei beni se-questrati e confiscati alla criminalità orga-nizzata - di cui all’articolo 110 del d.lgs. 6.9.2011, n. 159 - pubblichi sul proprio sito istituzionale gli incarichi conferiti ai tecnici e agli altri soggetti qualificati che la coadiuva-no nell’attività di amministrazione dei beni confiscati, nonché i compensi a ciascuno di essi liquidati; il co. 3 stabilisce che nel regi-stro nazionale dei curatori, dei commissari giudiziali e dei liquidatori giudiziali - di cui all’articolo 28, quarto comma, del Regio de-creto 16.3.1942, n. 267 - vengano altresì an-notati i provvedimenti di liquidazione degli acconti e del compenso finale in favore di ciascuno dei soggetti indicati, quelli di chiu-sura del fallimento e di omologazione del concordato e quelli che attestano l’esecuzione del concordato, nonché l'am-montare dell'attivo e del passivo delle proce-dure chiuse. Infine, il comma 4, inserito su segnalazione dell’ANAC, introduce obblighi di pubblicazione per i provvedimenti di no-mina e di quantificazione dei compensi degli amministratori e degli esperti di nomina pre-fettizia. L’art. 15 modifica l’art. 16 del d.lgs. n. 33 del 2013, coordinando le previsioni sugli obbli-ghi di pubblicazione concernenti la dotazione organica e il costo del personale con rappor-to di lavoro a tempo indeterminato con la di-sposizione di cui all’articolo 9-bis, che pre-vede che gli obblighi possano essere assolti attraverso la pubblicazione del link ai dati contenuti nelle corrispondenti banche dati. L’art. 16, analogamente, interviene sull’art. 17 del d.lgs. n. 33 del 2013, coordinando le previsioni sugli obblighi di pubblicazione concernenti i dati sul personale non a tempo indeterminato con la disposizione di cui all’art. 9-bis. Con l’art. 17, modificativo dell’articolo 18 del d.lgs.n. 33 del 2013, si coordinano, inve-

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Gazzetta Amministrativa -173- Numero 1- 2016

ce, le previsioni sugli obblighi di pubblica-zione concernenti gli incarichi conferiti ai di-pendenti pubblici con la disposizione di cui al citato articolo 9-bis. L’art. 18 modifica l’art. 19 del d.lgs. n. 33 del 2013, in tema di bandi di concorso, e prevede l’obbligo per le pubbliche amministrazioni di pubblicare, con riferimento alle procedure concorsuali, anche i criteri di valutazione della Commissione delle tracce delle prove scritte (sembrerebbe così doversi intendere salvo refusi). L’art. 19 semplifica l’art. 20 del d.lgs. n. 33 del 2013, eliminando un ulteriore obbligo di pubblicazione per le pubbliche amministra-zioni, con riferimento ai dati relativi all'entità del premio mediamente conseguibile dal per-sonale dirigenziale e non dirigenziale, speci-ficando, invece, i criteri definiti nei sistemi di misurazione e valutazione della performance per l’assegnazione del trattamento accesso-rio. L’art. 20 modifica l’art. 21 del d.lgs. n. 33 del 2013, coordinando le previsioni sugli obbli-ghi di pubblicazione concernenti i dati sul personale non a tempo indeterminato con la disposizione di cui all’art. 9-bis, che, come accennato, prevede che gli obblighi possano essere assolti attraverso la pubblicazione del link ai dati contenuti nelle corrispondenti banche dati. L’art. 21 interviene sull’art. 22 del d.lgs. n. 33 del 2013, al fine di specificare, tra l’altro, – per quanto attiene agli enti pubblici vigila-ti, agli enti di diritto privato in controllo pub-blico, nonché alle società di diritto privato partecipate – che gli stessi, qualora non a-dempiano agli obblighi di pubblicazione pre-scritti, non possono ricevere da parte delle amministrazioni interessate somme a loro fa-vore, salvo che si tratti di pagamenti che le amministrazioni sono tenute a erogare a fronte di obbligazioni contrattuali per presta-zioni svolte in loro favore. L’art. 22 semplifica l’art. 23 del d.lgs. n. 33 del 2013, in tema di obblighi di pubblicazione concernenti i provvedimenti amministrativi, eliminando, tra l’altro, l’obbligo di pubblica-re i provvedimenti di autorizzazione o con-cessione, nonché i provvedimenti relativi a concorsi e procedure selettive per

l’assunzione del personale e le progressioni di carriera, fermo restando, ovviamente, l’obbligo di pubblicare i bandi di concorso previsto dall’art. 19. Inoltre, per i provvedi-menti relativi alla scelta del contraente per l’affidamento dei lavori, forniture e servizi, o ad accordi stipulati dall’amministrazione con soggetti privati o con altre amministrazioni pubbliche viene, altresì, eliminato l’obbligo di pubblicarne il contenuto, l’oggetto, la spe-sa prevista e gli estremi relativi ai principali documenti contenuti nel fascicolo relativo al procedimento. Con l’art. 23, intervenendo sull’art. 26 del d.lgs. n. 33 del 2013, si elimina la rilevazione d’ufficio della mancata pubblicazione dei dati relativi agli atti di concessione di sovvenzioni e altri contributi. L’art. 24 modifica l’art. 28 del d.lgs. n. 33 del 2013, coordinando le previsioni sugli obbli-ghi di pubblicazione concernenti i rendiconti dei gruppi consiliari regionali e provinciali con la più volte citata disposizione di cui all’articolo 9-bis, che prevede che gli obbli-ghi possano essere assolti attraverso la pub-blicazione del link ai dati contenuti nelle cor-rispondenti banche dati. L’art. 25 interviene, in senso analogo, sull’art. 29 del citato decreto legislativo, co-ordinando, in questo caso, le previsioni sugli obblighi di pubblicazione concernenti l’uso delle risorse pubbliche con la disposizione di cui all’articolo 9-bis. L’art. 26 modifica l’art. 30 del citato decreto, coordinando le previsioni sugli obblighi di pubblicazione concernenti i beni immobili non solo posseduti ma anche, a qualsiasi tito-lo, detenuti con la disposizione di cui all’art. 9-bis. L’art. 27 modifica l’art. 31 del d.lgs. n. 33 del 2013, prevedendo che le pubbliche ammini-strazioni pubblichino: gli atti degli organismi indipendenti di valutazione o nuclei di valu-tazione, procedendo alla “anonimizzazione” dei dati personali eventualmente presenti; la relazione degli organi di revisione ammini-strativa e contabile al bilancio di previsione, le relative variazioni a conto consuntivo o bi-lancio di esercizio; tutti i rilievi, ancorché non recepiti della Corte dei conti, riguardanti l’organizzazione e l’attività delle amministra-

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zioni stesse e dei loro uffici. L’art. 28 novella l’art. 32 del d.lgs. n. 33 del 2013, con riferimento alla pubblicazione del-la carta dei servizi o del documento conte-nente gli standard di qualità dei servizi pub-blici. Tale obbligo di pubblicazione, già pre-visto per le pubbliche amministrazioni, viene esteso anche ai gestori dei pubblici servizi. Si segnala, in particolare, l’eliminazione, con riferimento ai costi contabilizzati, dell’indicazione di quelli effettivamente so-stenuti e di quelli imputati al personale per ogni servizio erogato. Viene, inoltre, abroga-ta la lett. b) del co. 2 del menzionato articolo 32, che prevede la pubblicazione dei tempi medi di erogazione dei servizi, con riferimen-to all'esercizio finanziario precedente. L’art. 29 modifica l’art. 33 del citato decreto legislativo circa gli obblighi di pubblicazione concernenti i tempi di pagamento dell’amministrazione con il richiamo del più volte citato articolo 9-bis. L’art. 30, che modifica l’art. 35 del decreto legislativo n. 33 del 2013, introduce misure di semplificazione, eliminando l’obbligo di pub-blicare i risultati delle indagini di customer satisfaction condotte sulla qualità dei servizi erogati, nonché di pubblicare, sul sito istitu-zionale, le convenzioni quadro volte a disci-plinare le modalità di accesso ai dati di cui all'articolo 58 del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82 (codice amministrazione digitale) e le ulteriori modalità per la tempestiva ac-quisizione d'ufficio dei dati nonché per lo svolgimento dei controlli sulle dichiarazioni sostitutive da parte delle amministrazioni procedenti. L’art. 31 sostituisce l’art. 37 del d.lgs. n. 33 del 2013, nel senso di specificare gli obblighi di pubblicazione per le amministrazioni pub-bliche e per le stazioni appaltanti, per quanto attiene ai dati relativi ai contratti pubblici di lavori, servizi e forniture. L’art. 32 apporta, invece, alcune modifiche all’art. 38 del d.lgs. n. 33 del 2013, in tema di pubblicità dei processi di pianificazione, rea-lizzazione e valutazione delle opere pubbli-che, coordinandone, tra l’altro, le previsioni sugli obblighi di pubblicazione con la dispo-sizione di cui all’articolo 9-bis, che prevede che gli obblighi possano essere assolti attra-

verso la pubblicazione del link ai dati conte-nuti nelle corrispondenti banche dati. L’art. 33, in tema di trasparenza del Servizio Sanitario Nazionale, impone di pubblicare i dati relativi a tutte le spese e a tutti i paga-menti effettuati, e include nell’obbligo previ-sto dall’articolo 41 anche i dati relativi ai re-sponsabili di strutture semplici, nonché pre-vede la pubblicazione dei criteri di formazio-ne delle liste di attesa. L’art. 34 modifica l’art. 43 del d.lgs. n. 33 del 2013, in tema di responsabile per la traspa-renza, coordinando la disciplina in materia di responsabilità dei dirigenti con la soppres-sione dell’obbligo di redigere il Programma triennale per la trasparenza e l’integrità e prevedendo una disposizione specifica per controllare ed assicurare la regolare attua-zione dell’accesso civico. L’art. 35 modifica l’art. 44 del d.lgs. n. 33 del 2013, in tema di compiti degli organismi in-dipendenti di valutazione, recando disposi-zioni di coordinamento normativo in ordine alla predetta soppressione dell’obbligo di re-digere il Programma triennale per la traspa-renza e l’integrità. L’art. 36 modifica l’art. 45 del d.lgs. n. 33 del 2013, prevedendo in capo all’Autorità nazio-nale anticorruzione, in luogo della CIVIT, la possibilità, in caso di mancato rispetto degli obblighi di pubblicazione previsti dalla nor-mativa vigente, di ordinare la pubblicazione, entro un termine massimo di trenta giorni, degli atti o dei provvedimenti oggetto di pub-blicazione obbligatoria. Viene, inoltre, previ-sta la segnalazione all'amministrazione inte-ressata del mancato rispetto dell’obbligo di pubblicazione, ai fini dell’attivazione del procedimento disciplinare a carico del re-sponsabile della pubblicazione o del dirigente tenuto alla trasmissione delle informazioni. L’art. 37, modificando l’art. 46 del d.lgs. n. 33 del 2013, in tema di violazione degli ob-blighi di trasparenza e relative sanzioni, e-stende la specifica disciplina riguardo alla responsabilità che deriva dall’inadempimento agli obblighi di pubblicazione previsti dalla normativa vigente anche al rifiuto, al differi-mento e alla limitazione dell’accesso civico, fatte sale le esclusioni e limitazioni di cui all’art. 5-bis: si prevede, in particolare, che

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Gazzetta Amministrativa -175- Numero 1- 2016

anche tali inadempienze costituiscano ele-mento di valutazione della responsabilità di-rigenziale, eventuale causa di responsabilità per danno all’immagine dell’ammini-strazione, nonché, in ogni caso, elemento di valutazione ai fini della corresponsione della retribuzione di risultato e del trattamento ac-cessorio. Con l’art. 38, per quanto attiene alle sanzioni per la violazione degli obblighi di trasparen-za per casi specifici, si prevede, tra l’altro, attraverso la modifica del comma 3 dell’art. 47 del d.lgs. n. 33 del 2013, che le sanzioni previste siano irrogate dall’Autorità naziona-le anticorruzione, che disciplina con proprio regolamento il procedimento per l’irrogazione delle stesse, nel rispetto delle norme previste dalla l. 24.11.1981, n. 689. Inoltre, si dispone l’applicazione della san-zione prevista anche nei confronti del diri-gente che non effettua la comunicazione rela-tiva agli emolumenti complessivi percepiti a carico della finanza pubblica, nonché nei confronti del responsabile della mancata pubblicazione dei corrispondenti dati. L’art. 39 reca modifiche all’art. 48 del d.lgs. n. 33 del 2013, affidando all’Autorità nazio-nale anticorruzione la definizione di criteri, modelli e schemi standard per l'organizzazio-ne, la codificazione e la rappresentazione dei documenti, delle informazioni e dei dati og-getto di pubblicazione obbligatoria. L’art. 40, integrando l’art. 52 del decreto le-gislativo n. 33 del 2013, apporta una modifi-ca all’art. 1 del d.lgs. n. 229 del 2011, al fine di coordinare il relativo ambito di applica-zione con quello previsto dal decreto in esa-me. L’art. 41 novella l’art. 1 della l. 6.11.2012, n. 190. Evidenzia l’Amministrazione che tratta-si, in buona parte, di una serie di modifiche rese necessarie dalle novità introdotte dal d.l. 24.6.2014, n. 90, circa le competenze e le funzioni in materia di anticorruzione attribui-te all’Autorità nazionale anticorruzione (ANAC). In via preliminare, si segnala che non è stato ritenuto opportuno apportare modifiche for-mali alla l. n. 190 del 2012, fermo restando il presupposto che alcune funzioni in materia sono state già trasferite dal Dipartimento del-

la funzione pubblica all’ANAC dal d.l. n. 90 del 2014. In particolare, si affida all’ANAC il compito (prima assegnato al Dipartimento della fun-zione pubblica) di adottare il Piano nazionale anticorruzione. Anche al fine di coordinare l’attuazione delle strategie di prevenzione e contrasto della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione elaborate a livello nazionale e internazionale, il Piano nazionale, che ha durata triennale e che viene aggiornato an-nualmente, rappresenta un atto di indirizzo, per le pubbliche amministrazioni, per gli or-ganismi di diritto pubblico e per le imprese pubbliche di cui all’art. 2-bis, co. 2, del d.lgs. n. 33 del 2013, ai fini dell’adozione dei pro-pri piani triennali di prevenzione della corru-zione. Si interviene, inoltre, a meglio disciplinare le funzioni dei diversi soggetti chiamati a svol-gere un ruolo di prevenzione della corruzione all’interno delle amministrazioni pubbliche: l’organo di indirizzo, il responsabile della prevenzione della corruzione e della traspa-renza e l’organismo indipendente di valuta-zione. Per quanto riguarda il responsabile della prevenzione della corruzione e della traspa-renza, individuato tra i dirigenti in servizio dall’organo di indirizzo (e nel segretario o nel dirigente apicale negli enti locali), si pre-vede che debba segnalare all’organo di indi-rizzo e all’organismo indipendente di valuta-zione eventuali disfunzioni inerenti all’attuazione delle misure in materia di pre-venzione della corruzione e trasparenza, in-dicando, altresì, agli uffici competenti all’esercizio dell’azione disciplinare i nomi-nativi dei dipendenti che non hanno attuato correttamente le misure in materia di preven-zione della corruzione e della trasparenza. Si prevede, inoltre, una misura a tutela del responsabile della prevenzione della corru-zione e della trasparenza, disponendo che, nei casi in cui quest’ultimo subisca eventuali misure discriminatorie per motivi collegati, anche indirettamente, allo svolgimento delle sue funzioni, tali situazioni vengano segnala-te all’Autorità nazionale anticorruzione, che può chiedere informazioni all’organo di indi-

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rizzo politico e, nel caso, intervenire, formu-lando una richiesta di riesame del provvedi-mento di revoca dell’incarico conferito (ai sensi dell’art. 15, co 3, del d.lgs. 8.4.2013, n. 39). Si prevede, poi, che l’organo di indirizzo po-litico svolga due importanti funzioni. Una prima funzione attiene alla definizione degli obiettivi strategici in materia di prevenzione della corruzione e trasparenza, che costitui-scono contenuto necessario e parte integrante dei documenti di programmazione strategico-gestionale. Una seconda funzione ha ad og-getto l’adozione del piano triennale per la prevenzione della corruzione, su proposta del responsabile della prevenzione della corru-zione e della trasparenza, entro il 31 gennaio di ogni anno, curandone la trasmissione all’Autorità nazionale anticorruzione. In ordine al procedimento di approvazione del piano, si precisa che, negli enti locali, es-so è approvato dalla giunta. Per quanto riguarda, infine, i compiti e le funzioni dell’Organismo indipendente di va-lutazione, si prevedono a suo carico due tipi di verifiche. La prima verifica è di coerenza dei piani triennali per la prevenzione della corruzione con gli obiettivi stabiliti nei do-cumenti di programmazione strategico-gestionale, anche ai fini della validazione della Relazione sulla performance. Si preve-de, altresì, che nella misurazione e valutazio-ne della performance si tenga conto degli o-biettivi connessi all’anticorruzione e alla tra-sparenza, ove stabiliti. La seconda verifica attiene, invece, ai contenuti della Relazione sulla performance in rapporto agli obiettivi inerenti alla prevenzione della corruzione e alla trasparenza, potendo l’Organismo chie-dere, inoltre, al Responsabile della preven-zione della corruzione e della trasparenza le informazioni e i documenti necessari per lo svolgimento del controllo e potendo effettuare audizioni di dipendenti. L’Organismo, infine, riferisce all’Autorità nazionale anticorruzio-ne sullo stato di attuazione delle misure di prevenzione della corruzione e della traspa-renza. Per quanto attiene alle modalità di attuazione del piano triennale di prevenzione della cor-ruzione, si prevede che nello stesso possano

essere individuate anche attività ulteriori. Nel piano, inoltre, devono essere definite le modalità di monitoraggio del rispetto dei termini, previsti dalla legge o dai regolamen-ti, per la conclusione dei procedimenti e, al-tresì, le modalità di monitoraggio dei rappor-ti tra l’amministrazione e i soggetti che con la stessa stipulano contratti o che sono inte-ressati a procedimenti di autorizzazione, con-cessione o erogazione di vantaggi economici di qualunque genere, anche verificando even-tuali relazioni di parentela o affinità sussi-stenti tra i titolari, gli amministratori, i soci e i dipendenti degli stessi soggetti e i dirigenti e i dipendenti dell’amministrazione. Una rilevante novità ha ad oggetto la disci-plina delle responsabilità a carico del re-sponsabile della prevenzione della corruzio-ne, in caso di ripetute violazioni delle misure di prevenzione della corruzione previste dal Piano. Il responsabile risponde di responsabilità di-rigenziale di cui all’articolo 21 del decreto legislativo n. 165 del 2001 e di responsabilità disciplinare per omesso controllo. Sono pre-visti due limiti. Si stabilisce, infatti, che non ricorrono i predetti casi di responsabilità al-lorquando lo stesso provi di aver comunicato agli uffici le misure da adottare e le relative modalità, e di aver vigilato sull’osservanza del piano. È stabilito, altresì, che, entro il 15 dicembre di ogni anno, il responsabile debba trasmet-tere, all’Organismo indipendente di valuta-zione e all’organo di indirizzo politico dell’amministrazione, una relazione recante i risultati dell’attività svolta che deve essere, come è già previsto, pubblicata nel sito web dell’amministrazione. Resta ferma, comunque, la responsabilità per illecito disciplinare del dipendente nel caso in cui violi le misure di prevenzione previste dal piano. Resta fermo, altresì, il caso in cui, qualora l’organo di indirizzo politico lo ri-chieda o qualora il responsabile lo ritenga opportuno, quest’ultimo riferisca sull’attività. L’art. 42 contiene una disposizione transito-ria, che, a fini dell’attuazione dell’art. 9-bis del decreto legislativo, ne prevede l’entrata in vigore decorso un anno dall’entrata in vi-gore dello stesso decreto legislativo corretti-

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vo. A tal fine si prevede che, entro un anno, le amministrazioni verifichino la correttezza e la completezza dei dati già comunicati alle pubbliche amministrazioni titolari delle ban-che dati, in modo tale che queste ultime pos-sano pubblicarle in modo completo. Succes-sivamente, le amministrazioni assolveranno agli obblighi di pubblicazione mediante la comunicazione dei dati alle banche dati e la pubblicazione del relativo link. Con l’art. 43 si provvede ad individuare pun-tualmente le disposizioni oggetto di abroga-zione espressa. L’art. 44, infine, reca la clausola di invarian-za finanziaria. Considerato. 1. Con il decreto legislativo oggi all’esame del Consiglio di Stato, relativo alle disposi-zioni in materia di trasparenza e prevenzione della corruzione pubblica, il Governo ha av-viato una organica iniziativa di revisione e riforma di molteplici settori ordinamentali delle amministrazioni pubbliche. Il quadro di riforme costituzionali, su cui il Governo e il Parlamento sono impegnati sin dai primi mesi della corrente legislatura, si completa necessariamente con le iniziative di riforma delle amministrazioni pubbliche, a partire dai decreti legislativi attuativi della delega concessa con l. n. 124 del 2014. 1.1 Una delle caratteristiche più interessanti del disegno riformatore è quella di affrontare la riforma dell’amministrazione pubblica come un tema unitario, anche se poi gli inter-venti si ripartiscono necessariamente nei sin-goli settori. Tale approccio appare innovati-vo rispetto al recente passato e prende spunto dai più importanti interventi riformatori di inizio e fine anni ’90 del secolo scorso. È stato correttamente segnalato che l’intervento mira a reagire a un diffuso modo di intendere il proprio ruolo da parte di molte pubbliche amministrazioni: un’idea di sepa-razione di ciascuna amministrazione rispetto alle altre, con conseguente indifferenza per gli interessi curati dalle altre, se non la con-trapposizione o la competizione. Si perde, co-sì, il dovere per la parte pubblica di conside-rare le istanze, gli interessi e i diritti dei cit-tadini in modo unitario, seppure a diversi ap-parati amministrativi siano affidate distinte

competenze: si vanifica, in altri termini, l’esigenza di presentarsi “al cittadino con una voce sola, coerente nel tempo”. La riforma appare quindi rilevante perché in-teressa – profondamente – l’apparato pubbli-co ‘nel suo complesso’, ma anche perché guarda all’esterno di tale apparato e mira a incidere sul rapporto tra cittadino e pubblica amministrazione, in una visione olistica che mette al centro il destinatario del servizio pubblico e non l’apparato che fornisce il ser-vizio medesimo. Caratteristica conseguente a tale visione è l’inclusione di materie che tradizionalmente erano state escluse o distinte dalle precedenti proposte di riforma. Ritiene il Collegio che sia importante consi-derare come il sistema del diritto amministra-tivo non debba o possa esaurirsi nel c.d. “di-ritto autoritativo” a disciplina di poteri e fun-zioni delle amministrazioni pubbliche, poiché esso si articola in schemi e ambiti di c.d. “di-ritto convenzionale” altrettanto necessari per disciplinare settori di evidente interesse per i cittadini (si pensi al tema delle società parte-cipate o delle camere di commercio). 1.2 Sono altresì condivisibili, ad avviso della Sezione, gli obiettivi prioritari del disegno di riforma; in particolare il miglioramento della qualità normativa, la semplificazione e l’efficienza di procedure e organismi, cui lo sforzo riformatore del Governo si è indirizza-to. Tali obiettivi devono rispondere a una rinno-vata visione dell’amministrazione pubblica, che il Consiglio di Stato sostiene e incoraggia e che dovrà costituire un criterio ispiratore nella predisposizione dei singoli interventi normativi di attuazione della riforma, anche traendo ispirazione dalle best practices inter-nazionali (si pensi, ad esempio, alla robusta produzione dell’OCSE sui temi della admini-strative- e della regulatory-reform). Tra i vari elementi, si segnalano: - la presa d’atto del mutato ruolo dello Stato, chiamato non solo a esercitare funzioni auto-ritative e gestionali, ma anche a promuovere crescita, sviluppo e competitività. Infatti, in tutti i maggiori paesi europei, le riforme am-ministrative del XXI secolo hanno tra gli o-biettivi fondamentali sia il contenimento della

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spesa pubblica sia (soprattutto) quello della crescita economica e della protezione socia-le. Si tratta, evidentemente, di obiettivi forte-mente legati alla crisi economico-finanziaria (l’emersione del secondo accanto al primo deriva da una visione più ampia e completa del contesto), che hanno indotto gli Stati a ri-vedere profondamente le politiche pubbliche. Si registra una revisione del perimetro pub-blico e dei processi decisionali, funzionali a rendere più efficiente la macchina ammini-strativa e a fluidificare i rapporti tra Stato e stakeholders; - la riconsiderazione, alla luce del duplice prisma dell’innovazione tecnologica e della trasparenza, delle politiche di semplificazio-ne, già centrali nelle riforme amministrative dello scorso secolo ma mai sinora pienamen-te soddisfacenti. Per un verso, gli Stati af-frontano la sfida della digitalizzazione del settore pubblico, rivedendo radicalmente termini e modalità delle relazioni tra ammini-strazioni e cittadini: si tratta di un’operazione complessa, che richiede anche una profonda revisione degli istituti di diritto amministrativo alla luce dell’applicazione delle tecnologie digitali, come dimostra l’attenzione del primo articolo della legge n. 124, ma non solo. Per altro verso, si assiste al proliferare di normative in materia di tra-sparenza, che viene ritenuta uno strumento di controllo sulla spesa e di moralizzazione del-la vita pubblica, potendo utilmente contribui-re anche alle misure di contrasto alla corru-zione, ma che è anche molto altro, come si dirà ampiamente infra, al n. 4; - il raffinamento o, in alcuni casi, il cambia-mento degli strumenti volti al perseguimento delle citate finalità. In particolare, accanto alle tradizionali misure di eliminazione di oneri e controlli gravanti sull’attività econo-mica, le politiche pubbliche devono prevede-re specifiche misure tecniche – spesso multi-disciplinari – quali il perfezionamento del test di proporzionalità, la compliance anal-ysis, il confronto costi-benefici, l’analisi (più economica che giuridica) dell’effettività della concorrenza, l’empowerment del consumato-re, tenendo conto anche delle indicazioni dell’economia comportamentale (la cd. beha-vioural regulation). Per non parlare della ne-

cessità di un ‘monitoraggio’ delle riforme amministrative, capace di registrarne ex post gli effetti concreti e di raccogliere le reazioni di cittadini e operatori economici. Tale ulti-mo strumento, anch’esso multidisciplinare, è forse quello attualmente più studiato nelle sedi internazionali ed è quello tradizional-mente più carente (nel nostro sistema, ma non solo), pur essendo uno dei più efficaci per un successo ‘effettivo’ delle riforme; - la previsione e il rafforzamento di strumenti volti a contrastare l’autoreferenzialità dell’amministrazione e a sensibilizzarla sugli effetti concreti, anche di natura economica, delle sue decisioni. In questa direzione, sono da salutare con favore alcune prime – ma an-cora non sufficienti – misure, introdotte dalla l. n. 124, di disincentivo alla ‘fuga dalla deci-sione’ (ad esempio, la previsione del silenzio assenso tra le amministrazioni pubbliche, e-steso anche ai provvedimenti di competenza di quelle preposte alla cura di interessi sensi-bili; il rafforzamento dei poteri dell’amministrazione procedente nell’ambito della conferenza di servizi) o di garanzia dell’unitarietà dell’azione amministrativa (ad esempio, la previsione di un rappresentante unico delle amministrazioni statali in confe-renza di servizi). 2. Nella consapevolezza di tale nuovo conte-sto, il Consiglio di Stato intende esercitare la propria funzione consultiva, su questo e sui numerosi altri schemi di decreti che il Gover-no si appresta a trasmettere, con l’intenzione di fornire un contributo adeguato, non forma-le, allo scopo di ulteriormente migliorare, se possibile, la qualità dei testi normativi e co-munque di assicurare la piena attuabilità del-le diverse disposizioni. Il compito istituzionale del Consiglio di Stato è quello di esprimere la funzione di garanzia neutrale che gli è propria, anche indicando, ove sia necessario, aspetti normativi da inte-grare o rafforzare o da rendere più propria-mente in linea con le indicazioni e finalità della legge di delega. 2.1 La complessiva rivisitazione dei rapporti tra Stato, cittadini e imprese, di cui alla legge n. 124, costituisce l’occasione anche per una riflessione circa le funzioni consultive che la

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Giustizia e Affari Interni

Gazzetta Amministrativa -179- Numero 1- 2016

Costituzione pone, accanto a quelle giurisdi-zionali, in capo a questo Istituto, assegnan-dogli la funzione di realizzare la giustizia nell’amministrazione in un quadro comples-sivo omogeneo disegnato dagli articoli 100, 103 e 113. Va innanzitutto ribadita la natura comune delle due funzioni, poiché l’attività consultiva è anch’essa un’attività neutrale di garanzia svolta, come quella giurisdizionale, secondo canoni di assoluta indipendenza. Inoltre, va rilevata la loro complementarietà: difatti, le funzioni consultive svolte ‘nell’interesse pubblico’ (e non ‘nell’interesse della pubblica amministrazio-ne’) perseguono, in via preventiva, il mede-simo scopo di garanzia della legittimità dell’agire dell’amministrazione che poi il giudice persegue ex post, su istanza del citta-dino che si dichiara leso da provvedimenti o comportamenti illegittimi. Una funzione di prevenzione del contenzioso, quindi, che gio-va alla funzione giurisdizionale ed è ad essa strettamente connessa. Infine, si sottolinea che il Consiglio di Stato svolge queste funzioni quale organo dello Stato-ordinamento e non dello Stato-apparato: lo conferma il fatto che negli ultimi anni il Consiglio è stato investito di rilevanti questioni non soltanto dal Governo, ma an-che dal Parlamento, dalle Regioni e da varie Autorità indipendenti. 2.2 In tale contesto si colloca la funzione consultiva relativa all’attività normativa. An-che in questo caso, il parere dell’Istituto ha un ruolo distinto sia da quello degli altri av-visi, ‘interni’ al procedimento di formazione della volontà normativa del Governo, sia dai pareri delle Camere parlamentari, che costi-tuiscono il frutto di una valutazione di natura ontologicamente differente (non atti endopro-cedimentali in senso tecnico ma piuttosto pa-reri in funzione ‘politica’, di indirizzo del Parlamento al Governo, in quanto tali estra-nei al procedimento amministrativo inteso come serie di atti funzionalmente collegati in vista del provvedimento finale). Alla stregua dell’evoluzione della legislazio-ne più recente, le funzioni consultive sull’attività normativa del Governo appaiono ormai costituire un’attribuzione ‘propria’ del

Consiglio di Stato, che ne connota fortemente il ruolo istituzionale (l’appartenenza di que-ste funzioni all’attività primaria dell’Istituto è confermata dalla istituzione, nel 1997, di una nuova Sezione permanente del Consiglio di Stato, con funzioni consultive dedicate esclu-sivamente all’esame degli schemi di atti nor-mativi). In capo al Consiglio di Stato il legi-slatore ha, quindi, identificato una funzione ad hoc, con una sua autonomia anche nell’ambito delle altre funzioni consultive tradizionali, riservate all’attività delle altre Sezioni consultive del Consiglio e da questa, ora, funzionalmente separate. 2.3 Le considerazioni che precedono potreb-bero indurre a valorizzare ulteriormente il ruolo consultivo del Consiglio di Stato in questa fase di riforme strutturali, anche con riguardo all’esigenza di riordino normativo. In precedenza, a tale funzione è stato fatto ri-corso anche per un supporto operativo nei processi di riordino normativo (già l’art. 17, co. 25, della l. n. 127 del 1997, nel delimitare le funzioni consultive obbligatorie del Consi-glio di Stato, vi fa rientrare, accanto all’attività regolamentare – governativa e ministeriale – anche “l’emanazione dei testi unici”), per cui il Consiglio ha avuto modo di offrire molteplici spunti di riflessione sia sui singoli settori codificati sia sul tema delle re-gole sulla normazione. L’Adunanza Generale e la Sezione consultiva per gli atti normativi, in passato, non si sono sottratti al compito di identificare alcuni profili rilevanti di caratte-re sistemico e generale, suggerendo una ri-cognizione del valore della ‘qualità della re-golazione’ e del ricorso a nuovi strumenti, tratti dalla pratica internazionale, nonché a quello di ‘codificazione’, rilevandone l’evoluzione rispetto all’originario concetto ottocentesco, presentandosi ora soprattutto la necessità di inserire nei codici, oltre al mero consolidamento formale, anche elementi che comportino una effettiva semplificazione so-stanziale, e preferibilmente una – anche par-ziale – deregolazione della materia (sub spe-cie di liberalizzazione). Si rileva, altresì, come – per i codici ma an-che per gli altri schemi di intervento – si deb-ba rendere più maturo il ricorso ai nuovi strumenti, non solo giuridici, di qualità della

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regolazione: l’analisi di impatto della regola-zione (AIR), la consultazione, la valutazione ex post dell’impatto regolamentare (VIR). Ta-le tematica è resa attualissima dal dibattito sugli interventi in materia di competitività e risulta in effetti, troppo spesso, poco appro-fondita dagli schemi sottoposti all’esame del Consiglio di Stato. Ciò potrebbe indurre ad associare più fre-quentemente – sulla base di normative già oggi vigenti – il Consiglio di Stato all’attività di riforma e semplificazione normativa in senso lato, oltre che attraverso una parteci-pazione diretta alla fase di riassetto, anche mediante un sostegno tecnico-giuridico alla fase di definizione e messa a regime degli strumenti di semplificazione e qualità della regolazione. In altri termini, si potrebbe profilare un’evoluzione del modello da tempo presente all’art. 14, n. 2), del R.D. 26.6.1924, n. 1054, che già consente al Consiglio di svolgere, per conto del Governo, funzioni di prima reda-zione di schemi di atti normativi, e che po-trebbe oggi essere utilizzato – come già ac-caduto in passato – per una redazione di progetti di riforma, di riordino o di semplifi-cazione, nonché della loro attuazione. 3. Tornando alla riforma di cui alla l. n. 124 del 2015, va sottolineata la rilevanza cruciale della ‘fase attuativa’ di un intervento quale quello in oggetto, che mira a un cambiamento profondo nell’amministrazione pubblica del Paese. Una riforma è tale solo quando raggiunge un’effettiva attuazione, che sia effettivamente ‘percepita’ da cittadini e imprese e ‘rilevata’ dai dati statistici e dal monitoraggio ex post. 3.1 Se è vero - come è stato affermato - che la legge spesso è necessaria, per correggere di-fetti di leggi precedenti e, ove possibile, per delegificare e riordinare, è altrettanto vero che i problemi della pubblica amministrazio-ne spesso dipendono proprio dalla cattiva o mancata attuazione delle leggi, se non dall’eccesso o dal disordine di esse. Certo, nemmeno la redazione dei decreti at-tuativi è sufficiente: l’esperienza internazio-nale insegna che sempre più spesso le riforme ‘si perdono’ nelle prassi amministrative con-servative, nel difetto di un’adeguata informa-

tizzazione, nel mancato apprendimento dei meccanismi da parte degli operatori pubblici, nel difetto di comunicazione con i cittadini e le imprese, che non riescono a conoscere, e quindi a rivendicare, i loro nuovi diritti. Il Consiglio di Stato raccomanda, pertanto, al Governo di curare attentamente questa ul-teriore fase attuativa, che prenderà avvio al momento dell’entrata in vigore dei decreti le-gislativi e dei regolamenti previsti dalla legge n. 124: adeguate iniziative non solo ‘norma-tive’, tramite i cd. decreti correttivi, ma an-che (e soprattutto) ‘non normative’ di forma-zione, di comunicazione istituzionale, di in-formatizzazione, di monitoraggio delle prassi, insomma di ‘manutenzione’ costante del fun-zionamento della riforma sono elementi al-trettanto importanti per la sua piena realizza-zione. A tal fine, si raccomanda alla scrivente Am-ministrazione di valutare la costituzione di una ‘cabina di regia’, per assicurare il mas-simo coordinamento per una attuazione piena e completa della riforma. Tale cabina po-trebbe vedere la partecipazione non soltanto delle strutture ministeriali volta per volta coinvolte, ma anche di quelle responsabili per la formazione, la comunicazione istitu-zionale, l’informatizzazione, nonché di tutti gli altri soggetti pubblici, anche indipendenti, coinvolti. 3.2 Pur essendo solo il primo passo nell’attuazione di una riforma, quello della confezione degli strumenti normativi attuativi – come quello in esame – è senza dubbio un momento decisivo in ciò che è stata definita “the hard road from reform to implementa-tion”. Il parere del Consiglio di Stato non può non tener conto dell’esigenza di ‘qualità normati-va’ sottesa a tali strumenti. Ciò impone un esercizio delle funzioni con-sultive che sia adeguato a tale esigenza: una verifica non solo della legittimità in senso formale delle disposizioni esaminate, ma an-che della idoneità delle norme giuridiche a perseguire ‘in concreto’ gli interessi pubblici prefissati dalla legge di riforma: ciò rende necessaria anche una verifica dell’‘impatto positivo’ delle norme, così da ridurre e non invece aggravare oneri di comprensione, in-

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terpretazione, pratica applicazione, preven-zione del contenzioso, da parte di tutti i desti-natari, con particolare riferimento ai cittadi-ni e alle imprese. A tale scopo soccorre anche la sopra menzio-nata complementarietà, stabilita dalla Costi-tuzione, delle funzioni consultive con quelle giurisdizionali: le problematiche affrontate chiamano direttamente in causa anche la giu-risdizione, e in particolare la giurisdizione amministrativa, che è attraversata dai pro-blemi affrontati dalla riforma, poiché è chia-mata in ultima istanza a risolvere le questioni che l’azione dell’amministrazione non è stata in grado di risolvere. Il Consiglio di Stato intende valorizzare que-sta complementarietà nell’esercizio delle sue funzioni consultive sui prossimi schemi di normative attuative della l. n. 124. Difatti, si intende considerare, per l’esame dei provvedimenti successivi a quello in og-getto, la costituzione di Commissioni speciali per integrare la Sezione consultiva per gli atti normativi con altri Magistrati in servizio presso l’Istituto, assicurando al contempo una visione unitaria di tutti i provvedimenti attuativi della riforma e la specializzazione dei Magistrati coinvolti. 3.3 Le stesse ragioni di perseguimento della qualità normativa inducono a una ulteriore riflessione sul metodo di svolgimento delle funzioni consultive. Rispetto all’originario modello, “chiuso all’esterno”, di valutazione degli schemi di provvedimento, si vanno facendo strada espe-rienze di ascolto e di valutazione delle ragio-ni e delle istanze dei soggetti in campo: le amministrazioni pubbliche ma anche i desti-natari degli interventi (si pensi, ad esempio, alle consultazioni regolarmente svolte dalle Autorità indipendenti, specie quelle di rego-lazione, sul modello della consultation di ma-trice internazionale). Peraltro, tale ‘apertura all’esterno’ appare in linea con le finalità di crescita, sviluppo e competitività sottese alle recenti riforme amministrative, la cui concre-ta realizzazione dipende anche dalla fiducia degli investitori nella stabilità del quadro re-golatorio e nell’efficienza degli apparati pubblici. L’apertura all’ascolto di voci esterne, lungi

dal condizionare la neutralità e l’indipendenza con cui si esercitano le fun-zioni consultive, può soltanto rendere tale e-sercizio più consapevole, poiché fondato su una più diretta conoscenza delle problemati-che ‘concrete’. Nel lavoro conseguente alla riforma organica di cui alla l. n. 124, il Consiglio di Stato ha quindi intenzione di interloquire direttamen-te, ove necessario, anche mediante apposite audizioni, con rappresentanti governativi che hanno curato la redazione dei testi - sia a li-vello politico che tecnico - allo scopo di me-glio comprendere la ratio e gli impatti attesi delle misure normative in esame. Così come si ritiene possano essere ricevuti ed esaminati contributi scritti provenienti da soggetti, anche privati, rappresentativi dei destinatari degli schemi di normativa. Un’attenzione dedicata, dunque, ai destinata-ri delle regole, anche allo scopo di allegge-rirli da oneri e gravosità procedurali non strettamente necessari. 3.4 Un ulteriore strumento di ‘manutenzione’, specie nella prima fase attuativa, potrebbe essere costituito dalla proposizione di ‘quesi-ti’ al Consiglio di Stato sulle concrete moda-lità attuative dei decreti oggi all’esame. Il ri-corso a tale possibilità, da sempre a disposi-zione delle amministrazioni competenti, po-trebbe essere non solo operato in modo più organico, ma anche esteso agli stessi destina-tari delle regole. Infatti, in una logica di riforma che riguarda lo Stato-comunità e non solo lo Stato-apparato, anche alla luce del rafforzamento degli strumenti di democrazia amministrativa da parte della legge delega (ivi compresa la trasparenza oggi all’esame), si potrebbero tenere, anche formalmente, in considerazio-ne, nell’ambito dell’esercizio della funzione consultiva del Consiglio di Stato, posizioni e istanze provenienti da qualificate associazio-ni rappresentative delle parti sociali, degli altri protagonisti del mondo produttivo e, più in generale, dei portatori di interessi colletti-vi e diffusi, nella loro qualità di componenti, appunto, dello Stato-comunità. In tal modo, su alcune questioni generali di maggior rilievo economico-sociale, si po-trebbe prevedere - anche in chiave deflattiva

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di contenziosi seriali - la proposizione di que-siti ‘di massima’, secondo un procedimento che consenta la partecipazione dei soggetti interessati in veste collaborativa, al fine di determinare indirizzi esegetici di carattere generale che possano servire come elemento di certezza del diritto e di indirizzo applicati-vo su questioni incerte. Inoltre, in linea con quanto raccomandato re-tro, al n. 3.1, si suggerisce l’attivazione, nella fase di attuazione successiva all’entrata in vigore dei decreti, di una costante interlocu-zione istituzionale (anche tramite la ‘cabina di regia’ ivi menzionata) con il Consiglio di Stato, che potrebbe attivare specifiche moda-lità di trattazione (si ricorda, in proposito, il felice precedente della Commissione speciale per l’attuazione della l. n. 241 del 1990, isti-tuita presso questo Consiglio durante i primi anni ‘90). Tale interlocuzione ben potrebbe avvenire proprio attraverso un ricorso siste-matico al flessibile strumento dei ‘quesiti’. 4. Dopo i riferimenti sistemici alla riforma di cui alla l. n. 124 del 2015, alle funzioni con-sultive del Consiglio di Stato, all’importanza di una solida fase attuativa, un ultimo ordine di considerazioni generali va svolto in rela-zione al tema oggetto dello schema in esame: quello della ‘trasparenza’. 4.1 L’obiettivo della trasparenza, che in effet-ti è la precondizione per ricostruire e raffor-zare il rapporto di fiducia tra cittadini e pote-ri pubblici, si coniuga perfettamente con il contrasto alla corruzione, cui da sempre, del resto, il Consiglio di Stato contribuisce attra-verso le proprie funzioni giurisdizionali di custode della legalità nella amministrazione pubblica. Non deve, però, esaurirsi in esso. Come si è affermato sin dai tempi della prima attuazione della l. n. 241 del 1990, la traspa-renza si pone come un valore-chiave, in gra-do di poter risolvere uno dei problemi di fon-do della pubblica amministrazione italiana: quello di coniugare garanzie ed efficienza nello svolgimento dell’azione amministrativa. Tale valore può essere riguardato, ad avviso della Sezione, come un valore immanente all’ordinamento, “modo d’essere tendenziale dell’organizzazione dei pubblici poteri”, pa-rametro cui commisurare l’azione delle figu-

re soggettive pubbliche, che consenta di tro-vare – appunto – il ‘giusto’ punto di raccordo tra le esigenze di garanzia e di efficienza nel-lo svolgimento dell’azione amministrativa. La trasparenza può diventare, così, un ‘punto di confluenza’ dei principi giuridici, costitu-zionalmente posti, dell’azione amministrativa (dal buon andamento all’imparzialità, al ri-spetto del cd. ‘principio di legalità sostanzia-le’, al metodo di partecipazione democrati-ca), dal quale derivano istituti giuridici, di tipo trasversale, che possono essere conside-rati come volti a realizzare la trasparenza (si pensi non solo a quelli di cui al presente de-creto, ma ai molteplici meccanismi partecipa-tivi introdotti o riformati dalla l. n. 124). In altri termini, se l’interesse pubblico – inte-so tecnicamente come ‘causa’ dell’atto (e del potere) amministrativo – non può più essere rigidamente predeterminato e imposto, ma costituisce in concreto la risultante di un pro-cesso di formazione cui sono chiamati a par-tecipare sempre più attivamente i componenti della comunità, occorre anche ‘rendere visi-bile’ il modo di formazione dell’interesse me-desimo, i soggetti che vi concorrono, le fasi del procedimento di formazione dell’atto, nonché ‘rendere conoscibili’ i dati di base, i presupposti da cui si muove, i modi di eserci-zio del potere, ivi comprese le risorse utiliz-zate. Ciò al fine di realizzare l’aspirazione a una democrazia intesa come “regime del potere visibile” (secondo la definizione di Norberto Bobbio). La trasparenza si pone, allora, non solo come forma di prevenzione dei fenomeni corruttivi, ma come strumento ordinario e primario di ri-avvicinamento del cittadino alla pubblica amministrazione, destinata sempre più ad as-sumere i contorni di una ‘casa di vetro’, nell’ambito di una visione più ampia dei di-ritti fondamentali sanciti dall’articolo 2 della Costituzione, che non può prescindere dalla partecipazione ai pubblici poteri. In sostanza, la trasparenza viene a configu-rarsi, ad un tempo, come un mezzo per porre in essere una azione amministrativa più effi-cace e conforme ai canoni costituzionali e come un obiettivo a cui tendere, direttamente legato al valore democratico della funzione

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amministrativa. 4.2 La piena, effettiva, efficace affermazione del valore della trasparenza richiede, tra le altre, due attenzioni particolari. La prima è quella alla necessità di coniugare trasparenza e semplicità. A volte, in passato, l’esigenza di trasparenza è stata collegata ad oneri – regolatori, am-ministrativi, economici – ‘non necessari’ al perseguimento dello scopo. Ciò ha indebolito, di fatto, il perseguimento dello scopo mede-simo, creando piuttosto una sorta di ‘buro-crazia della trasparenza’ che andava a so-vrapporsi alla burocrazia già esistente, con risultati poco rilevanti per la tutela di questo valore fondamentale, ma con importanti effet-ti collaterali negativi, dall’incremento di one-ri all'incentivazione degli stessi fenomeni corruttivi che si intendeva contrastare. Inoltre – è stato di recente osservato – la stessa copiosità (e talvolta occasionalità) de-gli interventi ha a volte rischiato di compro-mettere un approccio sistemico e, con esso, una più meditata comprensione del fenomeno della trasparenza, con il paradosso che l’eccesso incontrollato di informazioni può provocare quella “opacità per confusione” che della trasparenza costituisce l’esatto con-trario. La legge delega, correttamente, inserisce in modo esplicito quello della semplificazione tra i principi e i criteri direttivi (tra gli altri, cfr. le lettere c) ed e) del co. 1 dell'art. 7). A tale principio non potrà non essere ispirato l’esame dell’articolato in oggetto. 4.3 In secondo luogo, il diritto di accedere direttamente e liberamente ai dati ed agli atti detenuti dalla pubblica amministrazione deve necessariamente arrestarsi ove sussista una posizione giuridicamente tutelata dell’in-dividuo. Entra, dunque, pienamente in gioco il princi-pio, anche di matrice comunitaria, di propor-zionalità nell’uso e nel trattamento dei dati. L’attività e la “giurisprudenza” del Garante europeo, nonché del Garante nazionale per la protezione dei dati personali hanno ormai ampiamente definito caratteri e limiti del rapporto privacy individuale/trasparenza e trattamento dei dati, cui è necessario fare ri-ferimento.

Lo schema di decreto correttivo e integrativo in argomento risponde all’esigenza di ampli-are gli ambiti di accessibilità del cittadino ai dati e alla documentazione comunque detenu-ta dalla pubblica amministrazione, anche mediante l’implementazione dell’istituto del libero accesso civico (che non pretende moti-vazione ed interesse qualificato), nel quadro di un delicato meccanismo di contrappesi che vede, da un lato, l’imposizione di limiti e cau-se di esclusione più ampi e stringenti alla ge-nerale accessibilità, dall’altro significative misure di semplificazione e di alleggerimento circa gli oneri di pubblicazione che gravano sulle Amministrazioni. Un delicato, e sicuramente apprezzabile, la-voro di bilanciamento di interessi contrappo-sti, o comunque non sempre collimanti, la cui riuscita potrà essere valutata, tuttavia, solo in un tempo medio-lungo, alla stregua dell’applicazione, si augura il più possibile omogenea, da parte delle singole ammini-strazioni (e anche a questo dovrà essere indi-rizzata l’attività di monitoraggio). 4.4 Si deve osservare che, alla luce degli in-cisivi interventi integrativi e correttivi in ar-gomento, emerge un testo di complessivo ri-ordino della materia che resta piuttosto am-pio e che, nonostante le diposizioni abrogate, continua a comporsi, alla luce delle integra-zioni proposte, di 55 articoli. Un testo, inoltre, che non in tutte le sue parti è facilmente intellegibile e di piana ed agevo-le lettura, attesa anche la sopra accennata (comprensibile) necessità di bilanciare l’interesse all’accessibilità generale con le misure organizzative di alleggerimento e semplificazione dei ponderosi oneri di pub-blicazione posti a carico delle pubbliche am-ministrazioni. La Sezione – in coerenza con quanto afferma-to retro, al punto 3.1 – suggerisce, pertanto, di valutare, nell’ambito anche della comuni-cazione istituzionale di cui alla legge n. 150 del 2000, l’adozione di un’apposita “guida alla lettura”, on line ma anche in forma even-tualmente di vademecum, che agevoli la com-prensibilità da parte di cittadini, imprese ed operatori delle pubbliche amministrazioni a livello centrale e locale. 5. È utile, prima di procedere alla disamina

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specifica dell’articolato, effettuare una sinte-tica ricognizione dei principi e criteri diretti-vi stabiliti dalla legge delega (art. 7 della l. n. 124 del 2015). In particolare sono degni di menzione: a) la ridefinizione e precisazione dell'ambito soggettivo di applicazione degli obblighi e delle misure in materia di trasparenza; b) la previsione di misure organizzative, an-che ai fini della valutazione dei risultati, per la pubblicazione nel sito istituzionale dell'en-te di appartenenza delle informazioni concer-nenti: 1) le fasi dei procedimenti di aggiudicazione ed esecuzione degli appalti pubblici; 2) il tempo medio di attesa per le prestazioni sanitarie di ciascuna struttura del Servizio sanitario nazionale; 3) il tempo medio dei pagamenti relativi agli acquisti di beni, servizi, prestazioni profes-sionali e forniture, l'ammontare complessivo dei debiti e il numero delle imprese creditrici, aggiornati periodicamente; 4) le determinazioni dell'organismo di valuta-zione; c) la riduzione e concentrazione degli oneri gravanti in capo alle amministrazioni pubbli-che, ferme restando, però, le previsioni in materia di verifica, controllo e sanzioni; d) la precisazione dei contenuti e del proce-dimento di adozione del Piano nazionale an-ticorruzione, dei piani di prevenzione della corruzione e della relazione annuale del re-sponsabile della prevenzione della corruzio-ne, anche attraverso la modifica della relati-va disciplina legislativa, ai fini della maggio-re efficacia dei controlli in fase di attuazione, della differenziazione per settori e dimensio-ni, del coordinamento con gli strumenti di misurazione e valutazione delle performance nonché dell'individuazione dei principali ri-schi e dei relativi rimedi, con la conseguente ridefinizione dei ruoli, dei poteri e delle re-sponsabilità dei soggetti interni che interven-gono nei relativi processi; e) la razionalizzazione e precisazione degli obblighi di pubblicazione nel sito istituziona-le, ai fini di eliminare le duplicazioni e di consentire che tali obblighi siano assolti at-traverso la pubblicità totale o parziale di banche dati detenute dalle pubbliche ammini-

strazioni; f) l’individuazione dei soggetti competenti all'irrogazione delle sanzioni per la violazio-ne degli obblighi di trasparenza; g) il riconoscimento, fermi restando gli ob-blighi di pubblicazione, della libertà di in-formazione attraverso il diritto di accesso, anche per via telematica, di chiunque, indi-pendentemente dalla titolarità di situazioni giuridicamente rilevanti, ai dati e ai docu-menti detenuti dalle pubbliche amministra-zioni, salvi i casi di segreto o di divieto di di-vulgazione previsti dall'ordinamento e nel ri-spetto dei limiti relativi alla tutela di interessi pubblici e privati, al fine di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull'utilizzo delle risor-se pubbliche, con la previsione di sanzioni a carico delle amministrazioni che non ottem-perano alle disposizioni normative in materia di accesso e di accesso civico e la tutela giu-risdizionale ai sensi dell'art. 116 del codice del processo amministrativo. Ciò posto, per comodità della lettura ed eco-nomia procedurale, si procede alla formula-zione delle osservazioni articolo per articolo, comprendendo anche le notazioni di ordine tecnico-formale e di drafting. 6. Prendendo le mosse dal preambolo, ritiene la Sezione che dopo i primi quattro riferimen-ti normativi (Costituzione, legge delega, leg-ge n. 190 del 2012 e decreto legislativo n. 33 del 2013), tutti gli altri riferimenti normativi debbano essere collocati in ordine cronologi-co. 7. L’art. 2 interviene modificando il co. 1 dell’art. 1 del d.lgs. n. 33 del 2013, mutando la definizione e la portata del principio gene-rale di trasparenza. Valuti l’Amministrazione se e come, tenendo conto anche di quanto segnalato dalla Sezio-ne in sede di premesse generali, l’impostazione finalistica generica della tute-la dei “diritti fondamentali” possa essere op-portunamente arricchita di contenuto, a livel-lo di richiamo dei principi generali, alla luce anche del valore fondante in sé della parteci-pazione dei cittadini, come mezzo di esplica-zione dei diritti riconosciuti dall’articolo 2 della Costituzione. Sembra poi opportuno che si elimini, mediante un appropriato arricchi-

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mento di tale richiamo, una sorta di esclusivi-tà della tutela di “diritti fondamentali” quale ragione della trasparenza, che invece è posta a presidio di un ventaglio assai più ampio di posizioni soggettive tutelabili. 8. Venendo all’articolo 3, che dispone modi-fiche all’art. 2 del decreto legislativo n. 33 del 2013 (rubricato “Oggetto”), nonché l’inserimento di un articolo 2-bis (rubricato “Ambito soggettivo di applicazione”), che prende luogo, con ragionevole anteposizione, dell’art. 11 vigente (abrogato dall’art. 43), inserimento di cui pare opportuno dia conto la rubrica dell’articolo 3 in questione, si rile-va quanto segue, con riferimento al nuovo art. 2-bis. 8.1 Al co. 1, con riguardo alle autorità am-ministrative indipendenti di garanzia, vigi-lanza e regolazione, le parole “ivi comprese” vanno sostituite con la parola “nonché”, non facendo parte le dette autorità delle ammini-strazioni pubbliche per come definite dall’art. 1, co. 2, del d.lgs. 30.3.2001, n. 165. 8.2 Può esprimersi, inoltre, apprezzamento per l’estensione esplicita della disciplina, in quanto compatibile, anche agli enti pubblici economici (comma 2, lettera a), con più di una perplessità, invece, circa la necessità di una previsione parimenti esplicita, nella me-desima lettera, per le autorità portuali, con-siderato che la loro natura di enti pubblici non economici appare sufficientemente con-solidata, e sempre per le stesse tale natura è, in ogni caso, prossima ad essere ribadita per legge con il decreto attuativo dell’articolo 8 della l. n. 124 del 2015, con il quale le autori-tà portuali sono destinate ad essere soppian-tate dalle Autorità di Sistema Portuale (AdSP). 8.3 Anche la formulazione destinata a ri-chiamare le società in controllo pubblico ed in partecipazione pubblica (rispettivamente, comma 2, lett. b), e comma 3) merita di esse-re rivista, atteso che è presumibile che il de-creto legislativo da emanarsi in attuazione dell’art. 18 della l. n. 124 del 2015 vedrà la luce successivamente al decreto in trattazio-ne, cosicché il rinvio deve essere comunque più generico (ad esempio “alle società in controllo pubblico come definite dalla disci-plina attuativa dell’art. 18 della l. 7.8.2015,

n. 124”). Si raccomanda, in ogni caso, di assicurare un adeguato raccordo tra la disciplina in ogget-to e quella del decreto legislativo sulle socie-tà partecipate, da emanarsi ai sensi dell’art. 18. 9. L’art. 4 apporta significative novità ed in-tegrazioni all’art. 3 del d.lgs. n. 33 del 2013, in materia di pubblicità e diritto alla cono-scibilità. 9.1 Qualche perplessità va espressa riguardo alla modifica prevista per il co. 1: dal testo emerge infatti una formulazione che, ad ope-ra del richiamo al successivo art. 7, acquisi-sce un effetto sovrabbondante, prevedendosi, alla fine, che chiunque ha diritto di conoscere i dati e i documenti che ai sensi dell’art. 7 sono oggetto, a loro volta, di accesso civico. 9.2 Il nuovo comma 1-bis merita, altresì, par-ticolare attenzione, atteso che si attribuisce all’Autorità nazionale anticorruzione il pote-re di definire i casi in cui la pubblicazione in forma integrale dei dati prevista per legge è sostituita con quella di informazioni riassun-tive, elaborate per aggregazione, che rasenta una forma di delegificazione normativa. Tale singolare e atipico potere di delegificazione appare giustificabile esclusivamente nell’in-terpretazione funzionale, consentita dai crite-ri di delega, che limiti la finalizzazione di tale potere alla effettiva semplificazione (richia-mata a livello di principio nel testo) e alla correlata riduzione degli oneri: ciò va forse meglio chiarito, operando un adeguato coor-dinamento con la relativa disciplina, anche per evitare casi di delegificazione ‘introdutti-va di nuovi oneri’ e l’insorgenza di conten-zioso al riguardo. 9.3 Al nuovo co. 1-ter va corretto il refuso all’ultimo rigo, dovendosi fare riferimento agli “ordini” professionali e non agli “orga-ni”. 10. L’art. 5 si occupa di disciplinare i “dati pubblici aperti”, inserendo anche un apposi-to Capo nel decreto (I-BIS). 10.1 Dal punto di vista del drafting e della tecnica normativa, al co. 1, dopo le parole “Dopo l’art. 4” vanno inserite le parole “del d.lgs. n. 33 del 2013”; l’intitolazione del Ca-po appare, inoltre, più idonea, tecnicamente,

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ove si sostituisca con la formulazione, di “Dati pubblicati in formato di tipo aperto”. 10.2 Con riguardo al nuovo art. 4-bis, dedi-cato alla trasparenza nell’utilizzo delle risor-se pubbliche, valuti, invece, l’Ammini-strazione se è effettivamente il caso di proce-dere per legge - irrigidendone la disciplina - ad identificare il sito internet che è chiamato a gestire l’Agenzia per l’Italia digitale, al fi-ne di consentire l’accesso ai dati dei paga-menti delle pubbliche amministrazioni, e so-prattutto a denominarlo con formulazione del tutto atecnica (“Soldi pubblici”). 10.3 Con precipuo riguardo, poi, al co. 2, la previsione deve raggiungere un maggior gra-do di dettaglio, come richiesto specificamente dalla legge delega (art. 7, co. 1, lett. b), n. 3), con riguardo, specificamente, anche: al tem-po medio dei pagamenti relativi agli acquisti di beni, servizi, prestazioni professionali e forniture, all’ammontare complessivo dei de-biti ed al numero delle imprese creditrici, ed all’aggiornamento periodico di tali dati. Del resto, la fornitura dettagliata di siffatta tipologia di dati risponde chiaramente all’interesse della collettività di avere acces-so a dati puntuali, e non dunque generici, sul-le modalità di impiego delle pubbliche risor-se. 11. Si giunge ora al fondamentale art. 6, de-dicato all’accesso civico e quindi ispirato ai principi del Freedom of information act sta-tunitense in cui appunto la regola – e non l’eccezione – è quella della possibilità di to-tale disvelamento di ogni atto (con un termine inglese ormai di uso comune, full disclosure). 11.1 Le nuove regole in tema di disclosure vengono ad essere incorporate nel decreto n. 33 del 2013 in parte aggiungendosi a prescri-zioni già vigenti, in parte modificando altre disposizioni, non da ultimo mediante l’inserimento di due nuove disposizioni (arti-coli 5-bis e 5-ter, in tema, rispettivamente, di “Limiti all’accesso civico”, rubrica che va corretta in “Esclusioni e limiti all’accesso ci-vico”, e di “Accesso per fini scientifici ai dati elementari raccolti per finalità statistiche”), inserimento di cui è opportuno dare contezza, mediante cenno di richiamo, nella stessa ru-brica dell’art. 6 in argomento, che non si li-mita a modificare l’art. 5 del d. n. 33 del

2013 vigente. 11.2 Lo schema di nuovo provvedimento ri-balta l’attuale impostazione normativa in te-ma di trasparenza sotto un duplice profilo. Innanzitutto, riconosce al cittadino un vero e proprio diritto alla richiesta di atti inerenti alle pubbliche amministrazioni, a qualunque fine e senza necessità di motivazioni: dunque, la disclosure non è più limitata a quelle in-formazioni riguardo alle quali egli sia titola-re di un interesse specifico e qualificato (“di-retto, concreto e attuale”) idoneo a “motiva-re” la sua istanza di accesso, come disposto dalla legge sul procedimento amministrativo (l. 241/90). In secondo luogo, il decreto in di-scorso aggiunge alla preesistente trasparenza di tipo “proattivo”, ossia realizzata mediante la pubblicazione obbligatoria sui siti web di determinati enti dei dati e delle notizie indi-cati dalla legge (d.lgs. 33/2013), una traspa-renza di tipo “reattivo”, cioè in risposta alle istanze di conoscenza avanzate dagli interes-sati. Il passaggio dal bisogno di conoscere al diritto di conoscere (from need to right to know, nella definizione inglese F.O.I.A) rap-presenta per l’ordinamento nazionale una sorta di rivoluzione copernicana, potendosi davvero evocare la nota immagine, cara a Fi-lippo Turati, della Pubblica Amministrazione trasparente come una “casa di vetro”. Una forte implementazione, dunque, della versione vigente dell’accesso civico (articolo 5 del decreto legislativo n. 33 del 2013), fino ad ora limitato a mero contraltare dell’obbligo di pubblicazione di documenti, dati e informazioni (“L'obbligo previsto dalla normativa vigente in capo alle pubbliche amministrazioni di pubblicare documenti, in-formazioni o dati comporta il diritto di chi-unque di richiedere i medesimi, nei casi in cui sia stata omessa la loro pubblicazione.”). In tal senso, il comma 1 del nuovo articolo 5, che si limita a consentire l’accesso civico sui documenti da pubblicare, appare del tutto as-sorbito dal più ampio accesso di cui al com-ma 2 e può essere espunto. Conseguentemen-te, al comma 3 va soppresso il riferimento anche al comma 1, oltre che al co. 2. 11.3 Con riguardo al co. 3, al secondo perio-do appare incongruo che l’istanza di accesso civico, considerati i suoi presupposti e le sue

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finalità, debba essere già in grado di identifi-care “chiaramente” i dati, le informazioni o i documenti richiesti, contravvenendosi allo scopo per cui il nuovo istituto è oggetto di implementazione. Può farsi l’esempio della richiesta di notizie circa la situazione affit-tuaria di un immobile di proprietà di una amministrazione pubblica, per il quale po-trebbe essere pretesa l’indicazione dei dati catastali al fine dell’esercizio del diritto di accesso civico. È, pertanto, opportuno che il suddetto avverbio venga espunto e sostituito, al più, con la locuzione “natura ed oggetto”. 11.4 Nell’ambito del medesimo comma ven-gono disciplinate le modalità di presentazio-ne della domanda di accesso, che può essere trasmessa all’ufficio che detiene i dati, le in-formazioni o i documenti, ovvero, in alterna-tiva, all’Ufficio relazioni con il pubblico (URP), o ancora ad altro ufficio indicato dall’amministrazione nella sezione “Ammini-strazione trasparente” del sito istituzionale. Ove l’istanza abbia ad oggetto dati, informa-zioni o documenti oggetto di pubblicazione obbligatoria ai sensi del decreto, l’istanza può essere presentata, altresì, al responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza. L’istanza “può” essere trasmes-sa per via telematica, secondo le modalità di cui al d.lgs. n. 82 del 2005. Orbene, la Sezione invita l’Amministrazione ad immaginare, senza aggravio ed anzi con riduzione evidente di costi per la finanza pubblica e di oneri per il personale, un per-corso più semplice, efficiente e lineare che veda, da una parte, l’inoltro esclusivamente telematico della domanda, quanto meno “di norma”, e fatti salvi casi veramente eccezio-nali, dall’altra l’individuazione di un unico ufficio-sportello, per ogni amministrazione, deputato alla ricezione e alla prima gestione delle istanze, correttamente segnalato nella sezione del sito istituzionale, che agisca come una sorta di “desk telematico unico per la trasparenza”, costituendo così esso l’interfaccia naturale, facilmente individuabi-le, per il cittadino che intende accedere. 11.5 Tale previsione ridurrebbe considere-volmente, fino forse a renderli irrilevanti, an-che i costi sostenuti dall’amministrazione, che devono essere rimborsati dal richiedente

ai sensi dell’ultimo periodo del medesimo co. 3; sicchè, a completamento della riformula-zione suggerita sub 11.4, ben si potrebbe e-spungere la previsione del rimborso a carico del cittadino. 11.6 Anche alla luce di quanto indicato, ap-pare opportuno suddividere l’attuale comma 3 in tre distinti commi, dedicati ai tre profili che vengono autonomamente trattati, ovvero: la legittimazione e il contenuto della doman-da di accesso civico, le modalità di presenta-zione, il rimborso dei costi sostenuti. 11.7 Per quanto attiene al problema dei con-trointeressati, di cui alla disciplina del com-ma 4, va aggiunto nell’incipit del comma la clausola incidentale di esclusione “Fatti salvi i casi di pubblicazione obbligatoria”, per i quali, come è noto, non ha senso la ricerca e l’individuazione di soggetti controinteressati. 11.8 Inoltre, la Sezione ritiene che nello spa-tium temporale di dieci giorni, in cui i con-trointeressati possono avvalersi della facoltà di presentare una motivata opposizione per via telematica (anche in questo caso tale mo-dalità deve costituire la norma e non una possibilità aggiuntiva, come sembrerebbe e-vincersi, invece, dall’utilizzo della congiun-zione “anche”), il termine imposto all’amministrazione competente per provve-dere sull’istanza debba essere sospeso. 11.9 Andrebbe poi prevista espressamente la possibilità che il Garante per la protezione dei dati personali (le cui prerogative previste per legge devono essere fatte salve, così come va assicurato il raccordo con l’azione di cui all’art. 7 del d.lgs. n. 196 del 2003) possa es-sere opportunamente interpellato per definire e specificare, in via generale, le categorie dei controinteressati. 11.10 Al co. 5, l’espressione “abbia a oggetto dati, informazioni o documenti oggetto di pubblicazione” può generare confusione per la ripetizione della parola “oggetto”, che è opportuno eliminare (ad esempio, sostituendo le parole “abbia ad oggetto” con la parola “riguardi”). 11.11 Sempre con riferimento al co. 5, viene introdotto un caso di silenzio-rigetto, la cui finalità “mitigatrice”, a fronte dell’esten-sione dei possibili casi di libero accesso civi-co, risulta chiaramente evidente, ma che co-

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stituisce, come è noto, un istituto non poco problematico dal punto di vista della parteci-pazione dei cittadini alla vita amministrativa, ancor più quando, come nel caso di specie, non è accompagnato dall’obbligo di motivare il rifiuto espresso. Appare, pertanto, opportuno omologare la procedura in argomento a quella prevista dall’art. 25 della l. n. 241 del 1990 per le modalità di esercizio del diritto di accesso “ordinario”, imponendo, dunque, che il rifiu-to dell’accesso, salvi i limiti e i casi di esclu-sione appresso disciplinati, debba comunque essere motivato, ancorché sinteticamente. Coerentemente, infatti, all’impianto di disclo-sure perseguita, una valorizzazione adeguata del diritto di conoscenza rende necessario, a fronte dell’attribuzione ai singoli cittadini del diritto di richiedere informazioni alle ammi-nistrazioni, il corrispondente obbligo di que-ste ultime di indicare gli eventuali motivi po-sti a base dell’eventuale diniego di accesso, conformemente a quanto accade nel F.O.I.A. statunitense, senza limitarsi alla laconica previsione “Decorsi inutilmente trenta giorni dalla richiesta, questa si intende respinta”, con la conseguenza che al richiedente non re-sta che presentare ricorso al tribunale ammi-nistrativo regionale. Si verificherebbe, così, il paradosso che un provvedimento in tema di trasparenza neghi all’istante di conoscere in maniera trasparente gli argomenti in base ai quali la P.A. non gli accorda l’accesso ri-chiesto: ciò rappresenterebbe un evidente passo indietro rispetto alla stessa legge n. 241 del 1990 e al generale obbligo di motiva-zione dalla stessa previsto. Il cittadino, desti-natario della “semplificazione” normativa consistente nella possibilità di conoscere atti, documenti, informazioni, anche in assenza di un interesse qualificato e di una specifica giustificazione, tornerebbe così alla “compli-cazione” di partenza: decorsi invano trenta giorni, non gli resterebbe che l’onerosa in-combenza di agire in giudizio per vedere ri-conosciute le proprie ragioni, senza peraltro conoscere quelle per cui l’amministrazione gli ha negato determinate informazioni. Il tutto senza chiare disposizioni sanzionato-rie, anche in ordine alla responsabilità diri-genziale, a carico dell’amministrazione che

neghi l’accesso agli atti in mancanza di solidi e verificabili presupposti. Più, in generale, la Sezione suggerisce di ri-durre al minimo necessario, in tutti i profili sopra descritti, l’impatto derogatorio (già ri-levante in termini di legittimazione e presup-posti dell’accesso) rispetto alle disposizioni procedurali previste per l’accesso ordinario dalla l. n. 241 del 1990, in quanto compatibi-li. 11.12 Le disposizioni sulla tutela giurisdizio-nale di cui ai commi 6 e 7 possono essere racchiuse e coordinate in un unico comma, dovendosi tener conto, tra l’altro, che l’art. 50 del decreto legislativo n. 33 del 2013 già oggi prevede che “le controversie relative a-gli obblighi di trasparenza previsti dalla normativa vigente sono disciplinate dal d.lgs. 2.7.2010, n. 104”. È, pertanto, sufficiente mantenere il solo co. 6, con l’aggiunta, in fine, delle parole: “ai sensi dell’art. 116 del Codice del processo amministrativo, di cui al d.lgs. 2.7.2010, n. 104”. 11.13 Al co. 9 è opportuno prevedere forme di raccordo organizzativo con le “diverse forme di tutela degli interessati” previste dal Capo V della citata l. n. 241 del 1990, in luo-go del riferimento al “maggior livello di tute-la degli interessati” ivi previsto. 11.14 Le numerose e non sempre puntuali ec-cezioni previste, a tutela di interessi pubblici e privati, all’obbligo di disclosure dal nuovo art. 5-bis, che vanno ad aggiungersi ai “casi di segreto di Stato” ed agli “altri divieti di accesso o divulgazione previsti dalla legge”, seppur evidentemente contrassegnate da fina-lità compensative a fronte della potenziale ampiezza degli ambiti dell’accesso civico, possono ragionevolmente aumentare le per-plessità circa la concreta efficacia del prov-vedimento in esame. In mancanza di criteri più dettagliati per la valutazione del pregiudizio che la pubblica-zione potrebbe arrecare agli interessi tutelati, le amministrazioni, infatti, potrebbero essere indotte ad utilizzare la propria discrezionali-tà nella maniera più ampia, al fine di esten-dere gli ambiti non aperti alla trasparenza, e sicuramente la genericità di alcune previsio-ni, pur riferite a tematiche “sensibili” (come,

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a titolo di esempio, le “questioni militari” o le “relazioni internazionali”) potrebbe essere motivo dell’insorgenza di ulteriore contenzio-so. Tali criteri potrebbero essere forniti con linee guida appositamente adottate per meglio chiarire le incertezze di siffatta disciplina de-rogatoria. 11.15 Va inoltre affrontato da subito, e in modo esplicito, il problema dell’accessibilità o meno degli atti endo-procedimentali (si pensi, ad esempio, a pareri o avvisi di compe-tenza di Autorità di vigilanza o regolazione, o di Istituti ed agenzie tecniche, estremamente utili per conoscere i dettagli specifici delle motivazioni del provvedimento finale). Parti-colarmente opportuno, anche ai fini di coor-dinamento, è invece il rinvio che il comma 3 effettua nei confronti del regime di esclusioni sancito dall’art. 24, co. 1, della l. n. 241 del 1990. 11.16 Dal punto di vista tecnico-formale, si ribadisce la notazione circa la necessità di integrare la rubricazione dell’articolo 5-bis con i casi di “esclusione”. 12. L’art. 7, contrariamente a quanto indica-to nella rubrica, non apporta modifiche all’art. 7 del d.lgs. n. 33 del 2013, bensì si li-mita ad inserire l’articolo 7-bis, sui limiti al-la pubblicazione dei dati: è opportuna la cor-rezione. La norma costituisce la mera riproduzione del vigente articolo 4 del decreto legislativo n. 33 del 2013, ivi compresa, al comma 7, la proroga sine die della Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi di cui all’articolo 27 della legge n. 241 del 1990, che, in base alla previsione originaria della legge, doveva essere rinnovata ogni tre anni. 13. L’art. 8 apporta modifiche all’articolo 8 del d.lgs. n. 33 del 2013, in materia di decor-renza e durata dell’obbligo di pubblicazione. Si segnala favorevolmente che la norma co-glie l’occasione per chiarire opportunamente, con l’integrazione del comma 3, che, decorsi i termini di pubblicazione (5 anni) di dati, in-formazioni e documenti oggetto di pubblica-zione obbligatoria, trova applicazione l’accessibilità mediante l’istituto dell’accesso civico di cui all’articolo 5; istituto volto, gio-va ribadire, a consentire l’accessibilità di da-

ti e documenti “ulteriori rispetto a quelli og-getto di pubblicazione” ai sensi del decreto. Va, piuttosto, suggerito alla Amministrazione di riflettere se la vigente previsione di un am-pio e generalizzato arco temporale (quin-quennale) sia o meno rispettosa del principio di proporzionalità, di matrice comunitaria, che impone la commisurazione dei termini al-la luce della finalità del singolo trattamento. A tali fini, si suggerisce di integrare il nuovo comma 3-bis, prevedendo che l’Autorità na-zionale anticorruzione possa determinare i casi in cui la durata della pubblicazione del dato e del documento può essere inferiore a cinque anni (sulla base della valutazione del rischio corruttivo, delle esigenze di semplifi-cazione e delle richieste di accesso) “anche su proposta del Garante per la protezione dei dati personali”. 14. L’art. 9 introduce modifiche all’art. 9 del d.lgs. n. 33 del 2013, in materia di accesso alle informazioni pubblicate nei siti. 14.1 L’articolo, al comma 2, inserisce anche l’articolo 9-bis, disposizione molto rilevante sulla pubblicazione delle banche dati, più volte richiamata nel corpo del decreto anche con disposizioni di coordinamento. È neces-sario darne conto nella rubrica dell’art. 9 dello schema. 14.2 Appare particolarmente apprezzabile la previsione inserita nel corpo dell’articolo 9 con il comma 1, lettera a), in base alla quale, al fine di evitare eventuali duplicazioni, la pubblicazione delle informazioni nei siti isti-tuzionali può essere sostituita da un collega-mento ipertestuale alla sezione del sito in cui sono presenti i relativi dati, informazioni o documenti. Non è ben comprensibile, invece, e merita di essere riesaminata (non essendo tra l’altro oggetto di specifica motivazione in relazione illustrativa) la decisione, esplicitata con la lettera b), di abrogare il co. 2 del vigente ar-ticolo 9, che prevede che alla scadenza del termine di durata dell’obbligo di pubblica-zione di cui al citato articolo 8, i documenti, le informazioni e i dati sono comunque con-servati all’interno di distinte sezioni del sito di archivio, collocate e debitamente segnalate nell’ambito della sezione “Amministrazione trasparente”. I documenti possono essere

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trasferiti all’interno di sezioni di archivio an-che prima della scadenza del termine di cui al citato articolo 8. Se, infatti, è chiara la finalità di semplifica-zione e di alleggerimento degli oneri per le amministrazioni, unitamente alla considera-zione dei nuovi spazi di operatività dell’accesso civico per le informazioni non più oggetto di doverosa pubblicazione, la scelta di dismettere, sostanzialmente, le ap-posite sezioni dei siti di archivio non appare ragionevole e merita di essere riconsiderata. Ad esempio, potrebbe immaginarsi una con-servazione in formato puramente elettronico, unendo così all’esigenza di semplificazione e di risparmio di spazi fisici quella della con-servazione dei dati oltre il termine di 5 anni. 14.3 Con riguardo al predetto articolo 9-bis, si richiama l’attenzione anche sulla circo-stanza che, almeno allo stato, non si trova traccia dell’Allegato B, citato due volte nel corpo del nuovo testo, ed anche, invero, nell’articolo 42. 15. Venendo ora all’art. 10, modificativo dell’art. 10 del d.lgs. n. 33 del 2013, si osser-va che la disposizione si occupa essenzial-mente di disciplinare il coordinamento con il Piano triennale per la prevenzione della cor-ruzione, anche tramite un’apposita sezione di quest’ultimo, in virtù della soppressione del Programma triennale per la trasparenza e l’integrità. Risulta evidente, al riguardo, l’apprezzabile intento di semplificazione, alleggerimento e chiarificazione dei compiti. 15.1 Dal punto di vista tecnico-formale, per coerenza, deve abrogarsi anche il co. 7 dell’art. 10 del decreto n. 33 del 2013 (dove continua ad essere disciplinato il soppresso Programma triennale per la trasparenza). 15.2 Inoltre, quest’ultima disposizione, es-sendo solo novellata, va esclusa dal novero delle disposizioni abrogate ai sensi dell’art. 43 dello schema di decreto in trattazione, do-ve è invece inserita al co. 1, lett. b). 16. Con riferimento all’art. 11, modificativo dell’art. 12 del d.lgs. n. 33 del 2013, in mate-ria di obblighi di pubblicazione concernenti atti normativi ed atti amministrativi generali, non poche perplessità suscita l’abrogazione del vigente comma 1-bis, in base al quale il

responsabile della trasparenza delle ammini-strazioni competenti pubblica sul sito istitu-zionale uno scadenzario con l'indicazione delle date di efficacia dei nuovi obblighi am-ministrativi introdotti, comunicandolo tempe-stivamente al Dipartimento della funzione pubblica per la pubblicazione riepilogativa su base temporale in un'apposita sezione del sito istituzionale. Al di là, infatti, delle moda-lità fino ad ora adottate, e delle competenze coinvolte, che possono essere opportunamen-te riviste, non può dirsi che una siffatta tipo-logia di scadenzario non conservi, all’evidenza, una sua propria utilità, alla luce anche del ripetersi dei fenomeni di ritardo nell’attuazione degli obblighi amministrativi derivanti dai sopravvenuti provvedimenti di legge. 17. Passando ora al dettato dell’art. 12, mo-dificativo dell’art. 13, in tema di obblighi di pubblicazione concernenti l’organizza-zione delle pubbliche amministrazioni, la Sezione osserva che non è, parimenti, condivisibile, e comunque appare in contrasto con i principi di delega, la soppressione (anche in questo caso non oggetto di precipua motivazione in relazione illustrativa) della pubblicazione dei dati relativi alle risorse a disposizione di cia-scun ufficio (di cui al vigente articolo 13, comma 1, lettera b), considerato anche che attiene alla sfera degli interessi della cittadi-nanza il poter conoscere da vicino i budget effettivi di spesa a disposizione dei singoli uf-fici amministrativi. 18. Con l’art. 13 dello schema di decreto, si procede alla modifica dell’articolo 14 del de-creto legislativo n. 33 del 2013, destinato ora a regolare gli obblighi di pubblicazione con-cernenti i titolari di incarichi politici e di in-carichi dirigenziali, che vengono ad essere equiparati, e questa non è novità di poco con-to. Al riguardo sembra risolto, con le modifi-che limitative apportate, il possibile profilo di (non) proporzionalità della norma, relativa-mente alla potenziale applicazione degli ob-blighi a qualsiasi organo rappresentativo e-lettivo, ad esempio anche a livello scolastico. 19. L’art. 14 modifica l’art. 15 del d.lgs. n. 33 del 2013, destinato ora a regolare gli obbli-ghi di pubblicazione concernenti i titolari di cariche di governo e di incarichi di collabo-

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razione o consulenza, e inserisce gli articoli 15-bis (obblighi di pubblicazione concernenti incarichi conferiti nelle società controllate) e 15-ter (obblighi di pubblicazione concernenti gli amministratori e gli esperti nominati da organi giurisdizionali e amministrativi): en-trambi vanno citati nella rubrica. Inoltre, appare utile un supplemento di verifi-ca e riflessione da parte dell’Ammini-strazione al fine di evitare dubbi interpretati-vi e sovrapposizioni applicative in ordine all’inquadrabilità del titolare di organo di indirizzo politico tra i titolari di incarichi po-litici (nuovo articolo 14) o tra i titolari di ca-riche di governo (nuovo articolo 15). 20. Passando all’art. 18 dello schema di de-creto, di modifica dell’articolo 19 del d.lgs. n. 33 del 2013, in tema di bandi di concorso per il reclutamento, a qualsiasi titolo, di persona-le presso la p.a., la Sezione ritiene di non po-ter condividere l’estensione dell’obbligo di pubblicazione ai criteri di valutazione adotta-ti dalle commissioni esaminatrici nella corre-zione delle tracce delle prove scritte. Tale prescrizione, infatti, rischia di essere fuorviante, creando un precedente in grado di incidere sul potere di ogni commissione di esame di decidere, di volta in volta, quali debbano essere detti criteri, con il rischio, al-tresì, di creare ulteriori motivi di contenzioso in un settore già molto esposto, e restando comunque salva l’accessibilità dei soggetti interessati e l’applicazione degli obblighi che derivano dalla normativa e dall’applicazione dei principi emergenti dall’interpretazione giurisprudenziale. 21. Con riguardo all’art. 19, recante modifi-che all’art. 20 del d.lgs. n. 33 del 2013, in tema di obblighi di pubblicazione dei dati re-lativi alla valutazione della performance ed alla distribuzione dei premi al personale, oc-corre correggere, dal punto di vista formale, la duplicazione che conduce all’abrogazione del co.a 3 del citato art. 20 sia nell’ambito della presente disposizione (lett. b), sia nell’ambito dell’art. 43 (co. 1, lett. d) dello schema di decreto. 22. Con riferimento all’articolo 22, recante modifiche all’articolo 23 del decreto legisla-tivo n. 33 del 2013, in tema di obblighi di pubblicazione di provvedimenti amministrati-

vi, occorre valutare attentamente, nell’ottica del bilanciamento con l’esigenza di semplifi-cazione, la ragionevolezza della soppressione delle lettere a) e c), relativamente ai provve-dimenti finali di autorizzazione e concessione e a quelli relativi a concorsi e prove selettive (restando salva la previsione dell’articolo 19 sulla pubblicazione dei bandi). Quantomeno, tale scelta richiederebbe una più congrua motivazione nella relazione di accompagna-mento. 23. Utile, invero, risulta il chiarimento ap-portato dall’art. 26, in tema di obblighi di pubblicazione dei dati concernenti beni im-mobili, dovendosi fare riferimento anche a quelli “detenuti” e non solo, quindi, a quelli direttamente “posseduti”. 24. All’art. 27, modificativo dell’art. 31 del d.lgs. n. 33 del 2013, in tema di pubblicazio-ne dei dati relativi ai controlli, il neologismo “anonimizzazione” va sostituito dalla locu-zione “indicazione in forma anonima”. 25. Per quanto concerne l’art. 28, recante modifiche all’art. 32 del d.lgs. n. 33 del 2013, in materia di obblighi di pubblicazione con-cernenti i servizi erogati, si può, senz’altro, esprimere apprezzamento per l’estensione degli obblighi di pubblicare carta dei servizi e standard di qualità anche in capo ai gestori di pubblici servizi; suscita dubbi invece l’abrogazione della lettera b), che prevede la pubblicazione dei tempi medi di erogazione dei servizi con riguardo all’esercizio finan-ziario precedente, anche se tali dati possono essere ovviamente oggetto di libero accesso civico da parte di chiunque. 26. L’art. 29, in tema di pubblicazione di dati concernenti i tempi di pagamento, va arric-chito di contenuti, atteso che le previsioni dell’art. 33 del decreto n. 33 del 2013 vanno integrate in ossequio alle dettagliate prescri-zioni imposte sul punto dalla legge delega (ad esempio, riguardo alle prestazioni professio-nali). 27. Con riguardo all’art. 31, in materia di appalti pubblici, appare inopportuno fare ri-ferimento a specifiche disposizioni del codice degli appalti, che è in procinto di essere completamente revisionato, in attuazione del-le direttive europee. È dunque preferibile fare riferimento generi-

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co agli istituti ed alle singole tematiche d’interesse nella materia dei pubblici appalti, per i quali debba procedersi a pubblicazione di dati, informazioni e documenti, senza irri-gidire il dettato normativo con riferimenti di-retti in via di superamento. 28. Stesso discorso può farsi con riferimento all’articolo 32, in materia di processi di pia-nificazione di opere pubbliche. 29. In materia di trasparenza del Servizio Sa-nitario Nazionale (SSN), l’art. 33, che modi-fica l’art. 41 del d.lgs. n. 33 del 2013, deve essere integrato e reso conforme alle previ-sioni della legge delega, la quale richiede e-spressamente la pubblicazione anche dei dati circa i tempi medi di attesa per le prestazioni sanitarie rese da ciascuna struttura del SSN (art. 7, co. 1, lett. b), n. 2, della legge n. 124 del 2015). 30. Con l’art, 41 vengono apportate impor-tanti modifiche all’art. 1 della l. n. 190 del 2012. Come segnalato in premessa, la novella tiene conto, in buona parte, di una serie di modifi-che rese necessarie, a loro volta, dalle novità introdotte dal decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, circa le competenze e le funzioni in ma-teria di anticorruzione attribuite all’Autorità nazionale anticorruzione (ANAC). In particolare, si affida all’ANAC il compito (prima assegnato al Dipartimento della fun-zione pubblica) di adottare il Piano nazionale anticorruzione. Anche al fine di coordinare l’attuazione delle strategie di prevenzione e contrasto della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione elaborate a livello nazionale e internazionale, il Piano nazionale, che ha durata triennale e che viene aggiornato an-nualmente, rappresenta un atto di indirizzo per le pubbliche amministrazioni, per gli or-ganismi di diritto pubblico e per le imprese pubbliche di cui all’articolo 2-bis, comma 2, del decreto legislativo n. 33 del 2013, ai fini dell’adozione dei propri piani triennali di prevenzione della corruzione. Vengono, inoltre, disciplinate le funzioni dei diversi soggetti chiamati a svolgere un ruolo di prevenzione della corruzione all’interno delle amministrazioni pubbliche: l’organo di indirizzo, il responsabile della prevenzione

della corruzione e della trasparenza e l’organismo indipendente di valutazione. Per quanto riguarda il responsabile della prevenzione della corruzione e della traspa-renza, individuato tra i dirigenti in servizio dall’organo di indirizzo (e nel segretario o nel dirigente apicale negli enti locali), si pre-vede che debba segnalare all’organo di indi-rizzo e all’organismo indipendente di valuta-zione eventuali disfunzioni inerenti all’attuazione delle misure in materia di pre-venzione della corruzione e trasparenza, in-dicando, altresì, agli uffici competenti all’esercizio dell’azione disciplinare i nomi-nativi dei dipendenti che non hanno attuato correttamente le misure in materia di preven-zione della corruzione e della trasparenza. Si prevede, inoltre, una misura a tutela del responsabile della prevenzione della corru-zione e della trasparenza, disponendo che, nei casi in cui quest’ultimo subisca eventuali misure discriminatorie per motivi collegati, anche indirettamente, allo svolgimento delle sue funzioni, tali situazioni vengano segnala-te all’Autorità nazionale anticorruzione, che può chiedere informazioni all’organo di indi-rizzo politico e, nel caso, intervenire, formu-lando una richiesta di riesame del provvedi-mento di revoca dell’incarico conferito (ai sensi dell’articolo 15, comma 3, del decreto legislativo 8 aprile 2013, n. 39). Si prevede, poi, che l’organo di indirizzo po-litico svolga due importanti funzioni. Una prima funzione attiene alla definizione degli obiettivi strategici in materia di prevenzione della corruzione e trasparenza, che costitui-scono contenuto necessario e parte integrante dei documenti di programmazione strategico-gestionale. Una seconda funzione ha ad og-getto l’adozione del piano triennale per la prevenzione della corruzione, su proposta del responsabile della prevenzione della corru-zione e della trasparenza, entro il 31 gennaio di ogni anno, curandone la trasmissione all’Autorità nazionale anticorruzione. In ordine al procedimento di approvazione del piano, si precisa che, negli enti locali, es-so è approvato dalla giunta. Per quanto riguarda, infine, i compiti e le funzioni dell’Organismo indipendente di va-lutazione, si prevedono a suo carico due tipi

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di verifiche. La prima verifica è di coerenza dei piani triennali per la prevenzione della corruzione con gli obiettivi stabiliti nei do-cumenti di programmazione strategico-gestionale, anche ai fini della validazione della Relazione sulla performance. Si preve-de, altresì, che nella misurazione e valutazio-ne della performance si tenga conto degli o-biettivi connessi all’anticorruzione e alla tra-sparenza, ove stabiliti. La seconda verifica attiene, invece, ai contenuti della Relazione sulla performance in rapporto agli obiettivi inerenti alla prevenzione della corruzione e alla trasparenza, potendo l’Organismo chie-dere, inoltre, al Responsabile della preven-zione della corruzione e della trasparenza le informazioni e i documenti necessari per lo svolgimento del controllo e potendo effettuare audizioni di dipendenti. L’Organismo, infine, riferisce all’Autorità nazionale anticorruzio-ne sullo stato di attuazione delle misure di prevenzione della corruzione e della traspa-renza. Per quanto attiene alle modalità di attuazione del piano triennale di prevenzione della cor-ruzione, si prevede che nello stesso possano essere individuate anche attività ulteriori. Nel piano, inoltre, devono essere definite le modalità di monitoraggio del rispetto dei termini, previsti dalla legge o dai regolamen-ti, per la conclusione dei procedimenti e, al-tresì, le modalità di monitoraggio dei rappor-ti tra l’amministrazione e i soggetti che con la stessa stipulano contratti o che sono inte-ressati a procedimenti di autorizzazione, con-cessione o erogazione di vantaggi economici di qualunque genere, anche verificando even-tuali relazioni di parentela o affinità sussi-stenti tra i titolari, gli amministratori, i soci e i dipendenti degli stessi soggetti e i dirigenti e i dipendenti dell’amministrazione. Una rilevante novità ha ad oggetto la disci-plina delle responsabilità a carico del re-sponsabile della prevenzione della corruzione in caso di ripetute violazioni delle misure di prevenzione della corruzione previste dal Pi-ano. Il responsabile risponde di responsabilità di-rigenziale di cui all’articolo 21 del decreto legislativo n. 165 del 2001 e di responsabilità disciplinare per omesso controllo. Sono pre-

visti due limiti. Si stabilisce, infatti che non ricorrono i predetti casi di responsabilità al-lorquando lo stesso provi di aver comunicato agli uffici le misure da adottare e le relative modalità e di aver vigilato sull’osservanza del piano. È stabilito, altresì, che, entro il 15 dicembre di ogni anno, il responsabile debba trasmet-tere all’Organismo indipendente di valuta-zione e all’organo di indirizzo politico dell’amministrazione una relazione recante i risultati dell’attività svolta che deve essere, come è già previsto, pubblicata nel sito web dell’amministrazione. Resta ferma, comunque, la responsabilità per illecito disciplinare del dipendente nel caso in cui violi le misure di prevenzione previste dal piano. Resta fermo, altresì, il caso in cui, qualora l’organo di indirizzo politico lo ri-chieda o qualora il responsabile lo ritenga opportuno, quest’ultimo riferisca sull’attività. 30.1 La disposizione di modifica, molto com-plessa, trova, ad avviso del Collegio, la pro-pria fonte di legittimazione nella previsione di cui all’art. 7, co. 1, lett. d) della legge de-lega, dove si demanda al decreto correttivo “la precisazione dei contenuti e del procedi-mento di adozione del Piano nazionale anti-corruzione, dei piani di prevenzione della corruzione e della relazione annuale del re-sponsabile della prevenzione della corruzio-ne, anche attraverso la modifica della relati-va disciplina legislativa, ai fini della maggio-re efficacia dei controlli in fase di attuazione, della differenziazione per settori e dimensio-ni, del coordinamento con gli strumenti di misurazione e valutazione delle performance nonché dell'individuazione dei principali ri-schi e dei relativi rimedi, con la conseguente ridefinizione dei ruoli, dei poteri e delle re-sponsabilità dei soggetti interni che interven-gono nei relativi processi”. Questo ancor più considerando il contesto normativo che si è nel tempo consolidato e che si è voluto, in tal modo, prendere eviden-temente in considerazione. 30.2 Ciò nondimeno, la Sezione formula le seguenti osservazioni: 1) alla lett. e), in sostituzione del co. 6, si fa riferimento alla possibilità per le “ammini-

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strazioni di piccole dimensioni” di aggregar-si per definire in comune il piano triennale per la prevenzione della corruzione. Tale ge-nerica nozione va chiarita meglio, e possi-bilmente collegata a specifici riferimenti normativi; 2) alla lett. f), in sostituzione del co. 7, si sta-bilisce che il Responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza è indivi-duato dall’organo di indirizzo, di norma, “tra i dirigenti in servizio”, non più dunque, come nella versione vigente, tra i “dirigenti ammi-nistrativi di ruolo di prima fascia in servi-zio”. Orbene, la Sezione esprime perplessità, in disparte il profilo del grado, circa la pos-sibilità che simili funzioni vengano esercitate da personale dirigenziale “non di ruolo”, an-che scelto ad hoc all’esterno della stessa Amministrazione, potendosi creare una sorta di professionalizzazione di tali funzioni all’esterno non priva, potenzialmente, di ef-fetti perniciosi, e dovendosi, al contrario, pri-vilegiare la conoscenza della macchina orga-nizzativa e del suo funzionamento da parte del dirigente stabile dell’amministrazione, dotato della necessaria imparzialità ed auto-nomia valutativa. Peraltro, l’espressione “di norma”, che si condivide, rende comunque il riferimento al personale di ruolo non rigido e tassativo, ma solo indicativo di una chiara preferenza per la valorizzazione delle risorse interne all’amministrazione; 3) alla lettera g) si individua, per gli enti lo-cali, l’organo competente all’approvazione del Piano triennale per la prevenzione della

corruzione, ovvero la giunta. Non analoga-mente si fa per le amministrazioni statali in relazione all’adozione del Piano, che resta in capo, genericamente, all’organo di indirizzo. La lacuna va colmata già nello schema in oggetto, per meglio indirizzare la futura fase attuativa; 4) alla lettera h), che inserisce il comma 8-bis, al primo periodo del nuovo comma vanno soppresse, in fine, le parole “ove stabiliti”, in quanto, come si evince anche dal periodo successivo, gli obiettivi connessi all’anticor-ruzione e alla trasparenza devono comunque essere fissati e non possono costituire, dun-que, l’oggetto di una mera facoltà. 31. Con riguardo, da ultimo, all’art. 43, sulle abrogazioni, si fa rinvio alle osservazioni formulate con riferimento, in particolare, all’inclusione degli articoli 10 e 20, comma 3. È auspicabile, ad avviso del Collegio, un supplemento di valutazione circa l’opportunità di abrogare gli articoli 24, 25 e 34 del decreto legislativo n. 33 del 2013, in tema, rispettivamente, di obblighi di pubbli-cazione dei dati aggregati relativi all’attività amministrativa, obblighi di pubblicazione concernenti i controlli sulle imprese e traspa-renza degli oneri informativi. P.Q.M. Nei termini esposti è il parere favorevole, con le riportate osservazioni, della Sezione (Consiglio di Stato, Sezione Consultiva per gli Atti Normativi Adunanza di Sezione del 18.2.2016 NUMERO AFFARE 00343/2016).

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LA NUOVA MEDIAZIONE TRIBUTARIA del Dott. Valerio Antognarelli e del Prof. Massimiliano Nisati

Il d.lgs. 24.9.2015 n. 156 interviene su reclamo e mediazione tributaria nell’ottica di una più am-pia deflazione del contenzioso. The legislative decree n. 156 of 24.9.2015 intervenes on tax mediation in the perspective of a wider deflation of the dispute. Sommario: 1. L’estensione della nuova mediazione tributaria. 2. L’istruttoria. 3. La natura giuri-dica del reclamo e della mediazione. 4. Il perfezionamento della mediazione e i suoi effetti.

1.L’estensione della nuova mediazione tributaria 1.

L’art. 17 bis d.lgs. 31.12.1992, n. 5462, ru-bricato “Il reclamo e la mediazione”, intro-dotto dall’art. 39, co. 9, d.l. 3.11.2011, n. 983 e successivamente modificato4, è stato da ul-timo integralmente sostituito dall’art. 9, co. 1, lett. l), d.lgs. 24.9.2015 n. 1565. È un nuovo 1 Si ringrazia Luca Carioti per il gentile contributo offerto nella redazione del presente scritto. 2 D.lgs. 31.12.1992, n. 546, “Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell'art. 30 della legge 30.12.1991, n. 413”, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 13.1.1993, n. 9, Supplemento Ordinario, n. 8. 3 D.L. 3.11.2011, n. 98, “Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria”, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 6.7.2011, n. 155; l. 15.7.2011, n. 111 “Conversione in legge, con modificazioni, del d.l. 6.7.2011, n. 98 recante disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria”, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 16.7.2011, n. 164. 4 La modifica è avvenuta ad opera dell’art. 1, co. 611, lett. a), l. 27.12.2013, n. 147, “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2014)”, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 27.12.2013, n. 302, Supplemento Ordinario, n. 87. 5 D.lgs. 24.9.2015 n. 156, “Misure per la revisione della disciplina degli interpelli e del contenzioso tributario, in attuazione degli articoli 6, co. 6, e 10, co. 1, lettere a) e b), della legge 11.3.2014, n. 23”, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 7.10.2015, n. 233, Supplemento Ordinario, n. 55. Le nuove disposizioni sono in vigore dal 1gennaio 2016, e quindi si applicano ai giudizi pendenti a tale data, così come previsto dalla circ. 29/12/2015 n. 38/E, in www.agenziaentrate.gov.it.

capitolo del lungo cammino verso una riusci-ta deflazione del contenzioso tributario, alla luce delle numerose asperità e difficoltà che si sono manifestate nella prassi applicativa6.

In origine l’ambito di applicazione dell’istituto riguardava le controversie di va-lore non superiore a ventimila euro7 relative ad atti emessi dall’Agenzia delle Entrate8.

L’art. 17 bis, come risulta da ultimo nel te-sto novellato, pur facendo sempre riferimento alle liti di valore non superiore a ventimila euro, si riferisce, ora, a tutte le controversie tributarie, comprese quelle in cui sia parte un ente impositore come l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli o un ente locale, oppure l’agente o il concessionario privato della ri-

6 In tal senso si devono leggere le diverse censure d’incostituzionalità: ex multis, Comm. trib. 1° di Perugia, ord., 7.2.2013, n. 18; Comm. trib. 1° di Campobasso, ord., 17.4.2013, n. 75; Comm. trib. 1° Benevento, ord., 18.4.2013, n. 126, tutte in www.ilfisco.it. Sulle difficoltà applicative, F. BATISTONI FERRARA – B. BELLÈ, Diritto tributario processuale, Padova, 2014, 166 s.: l’art. 17 bis “ha inciso profondamente sull’architettura del processo tributario appesantendo il procedimento proprio per quelle controversie che, al contrario, avrebbero richiesto, ragionevolmente, una procedura più snella”. 7 Il valore è determinato in relazione all’art. 12 d.lgs. n. 546/92. 8 Art. 17 bis, co. 1 d.lgs. n. 546/92, testo originario: “Per le controversie di valore non superiore a ventimila euro, relative ad atti emessi dall'Agenzia delle entrate, chi intende proporre ricorso è tenuto preliminarmente a presentare reclamo (…)”.

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scossione9. Si assiste, quindi, ad un amplia-mento sia oggettivo, sia soggettivo, riguar-dando, il reclamo, tutti gli atti impugnabili individuati dall’art. 19 d.lgs. n. 546/9210. L’estensione dell’ambito applicativo compor-terà la necessità per tutti gli enti di adeguare le proprie strutture organizzative11.

9 Gli agenti e i concessionari locali della riscossione non hanno la disponibilità del tributo. Si ritiene, pertanto, che il reclamo/mediazione riguarderà l’impugnazione delle cartelle di pagamento per vizi propri, fermi di beni mobili registrati e iscrizioni di ipoteche sugli immobili. Cfr. D. PASTORIZIA, Il reclamo e la mediazione, in S. LOCONTE – E. SELLITTO (a cura di), Il nuovo processo tributario, Torino, 2016, 120; G. CAGGESE – M. PASINI, La riforma del processo tributario in pratica, in Prat. fisc. e prof., 12, 2016, 39 ss.; A. CAMERINELLI , Il nuovo contenzioso tributario per le materie di competenza dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli, in L’IVA, 3, 2016, 46 ss. Rientrano nell’ambito di applicazione dell’istituto le controversie relative al rifiuto tacito della restituzione di tributi, sanzioni pecuniarie e interessi o altri accessori non dovuti. Sono escluse quelle riguardanti il recupero di aiuti di Stato e le liti di valore indeterminabile, ad eccezione della materia catastale di cui all’art. 2, co. 2 d.lgs. n. 546/92. Si vedano anche la circ. 19.03.2012, n. 9/E par.10 e circ. 29.12.2015, n. 38/E par. 1.7.1., in www.agenziaentrate.gov.it. L’estensione del reclamo/mediazione, agli agenti e concessionari locali della riscossione, è frutto anche del consolidato orientamento di Cassazione per il quale non sussiste litisconsorzio necessario tra ente creditore e ausiliario a cui sia affidata la riscossione: ex pluris, Cass., sez. un., 25.7.2007, n. 16412; Cass., sez. VI, 2.12.2014, n. 25523. Tutte in www.dejure.it. 10 Si sottolinea la lettura estensiva data a tale norma dalla giurisprudenza, che statuisce l’impugnabilità di atti diversi e ne riconosce la funzione sistematica: “in tema di contenzioso tributario l’elencazione degli atti impugnabili contenuta nell’art. 19 del D.lgs. 546/1992, pur dovendosi considerare tassativa, va interpretata in senso estensivo, sia in ossequio alle norme costituzionali di tutela del contribuente e buona andamento della P.A., che in conseguenza dell’allargamento della giurisdizione tributaria operato con la legge 448 del 2001”, così, Cass., sez. trib., 17.12.2010, n. 25591, in www.dejure.it. 11 Sarà necessaria anche un’attività di formazione del personale, sia ai fini di un tempestivo annullamento totale o parziale dell’atto impugnato, sia per approntare adeguate capacità di dialogo per la rideterminazione delle somme dovute: cfr. M. CONIGLIARO, Nuove regole per reclamo e mediazione tributaria, ma la terzietà rimane una chimera, in Il Fisco, 42, 2015, 4020 ss. L’art. 17 bis, co. 4, dispone che le agenzie “delle entrate, delle dogane e dei monopoli di cui al d.lgs 30.7.1999, n. 300, provvedono all’esame del reclamo e della proposta di mediazione mediante

La precedente versione dell’art. 17 bis, an-tecedente il d.lgs. n. 156/15, disponeva che “chi intende proporre ricorso è tenuto preli-minarmente a presentare reclamo”: nella pra-tica ci si limitava ad una domanda di riesame all’ente impositore formulata a piè di pagina nel ricorso12. La nuova disposizione13 statui-sce che “il ricorso produce anche gli effetti di un reclamo”14, attribuendo, in tal modo, natu-ra processuale al reclamo, il quale diviene null’altro che un ricorso di cui deve possedere tutti gli elementi15.

Quindi, il contribuente, raggiunto da un at-to rientrante nell’ambito applicativo dell’istituto, introduce automaticamente la procedura di reclamo/mediazione proponendo l’impugnazione16.

apposite strutture diverse ed autonome da quelle che curano l’istruttoria degli atti reclamabili. Per gli altri enti impositori la disposizione di cui al periodo precedente si applica compatibilmente con la propria struttura organizzativa”. Una disposizione che lascia ampia libertà agli enti locali e, nel contempo, sostituisce la terzietà del mediatore con strutture diverse ed autonome interne agli stessi enti. Si assiste, quindi, all’assenza d’imparzialità nel soggetto che valuta le doglianze del contribuente. Con la sentenza C. cost., 16.4.2014, n. 98, è stato escluso che, sul punto, la mediazione tributaria possa violare il diritto di difesa e il principio di ragionevolezza; si tratterebbe di un procedimento conciliativo preprocessuale, all’interno del quale può intervenire il contribuente esprimendo consenso o formulando una sua proposta. In www.dejure.it. 12 Cfr. M. CONIGLIARO, Nuove regole cit., 4020 ss. 13 L’art. 12, co. 1 d.lgs. n. 156/15 stabilisce che le disposizioni entrano in vigore dal 1.1.2016. 14 Come in precedenza è ammessa la presentazione di una proposta di mediazione con rideterminazione dell’ammontare della pretesa. 15 Cfr. M. CONIGLIARO, Nuove regole per reclamo e mediazione tributaria, ma la terzietà rimane una chimera, in www.ilfisco.it, ove si afferma, alla luce dell’inversione terminologica della norma, che “il contribuente, nel caso di liti non superiori a 20 mila euro, predisporrà l’atto nella consueta forma del ricorso, aggiungendo nell’intestazione dell’atto ovvero in calce allo stesso l’indicazione che lo stesso funge anche da reclamo”. La disposizione, infatti, non richiama più le norme del d.lgs. n. 546/92, trattandosi di elementi necessari del ricorso, il quale produce anche gli effetti del reclamo. 16 Dal combinato disposto dell’art. 17 bis con l’art. 12 d.lgs. n. 546/92 se ne deduce che la proposta di mediazione contenuta nel ricorso, nel caso di controversia superiore ai 3000 euro, richieda la sottoscrizione di un difensore abilitato.

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Gazzetta Amministrativa -197- Numero 1 - 2016

Quest’ultima produce gli effetti sostanziali e processuali tipici del ricorso e, contestual-mente, quelli del reclamo17 senza bisogno di una separata istanza.

Con la notifica del ricorso all’ente che ha emesso l’atto si avvia la c.d. fase amministra-tiva della durata di novanta giorni18, all’interno della quale si incardina la procedu-

17 Art. 17 bis, co. 8: “La riscossione e il pagamento delle somme dovute in base all’atto oggetto di reclamo sono sospesi fino alla scadenza del termine di cui al co. 2, fermo restando che in caso di mancato perfezionamento della mediazione sono dovuti gli interessi previsti dalle singole leggi d’imposta”. Si attribuisce, dunque, una tutela cautelare al fine di evitare eventuali esecuzioni su titoli ancora soggetti alla fase amministrativa. La sospensione opera automaticamente con la presentazione del ricorso, anche qualora il contribuente si costituisca prima dello scadere dei novanta giorni (fino alle recenti modifiche apportate dal d.lgs. n. 156/15 l’improcedibilità, causata dalla costituzione prematura in giudizio, rendeva inoperante la sospensione ex lege. L’originaria previsione normativa (antecedente alla Legge di stabilità 2014) non contemplava la tutela cautelare in pendenza del reclamo, l’unico rimedio era una concessione dell’Agenzia delle Entrate; si palesava una chiara disparità di trattamento tra coloro che intendessero impugnare un atto rientrante nell’ambito di applicazione dell’istituto e tutti gli altri, i quali avevano immediato accesso all’art. 47 d.lgs. n. 546/92. Naturalmente, la dottrina non esitò a rilevare l’incongruità sistematica della normativa: cfr. A.

CARINCI, La riscossione provvisoria e l’acquiescenza dopo l’introduzione del reclamo, in Corr. trib., 11, 2012, 775 ss.; C. GLENDI, Tutela cautelare e mediazione tributaria, in Corr. trib., 12, 2012, 845 ss.; M. LOGOZZO, Profili critici del reclamo e della mediazione tributaria, in Boll. tribut., 21, 2012, 1505 ss. Prima della riforma intervenuta con la Legge di stabilità 2014 la Corte Costituzionale fu investita della questione sulla tutela cautelare e con la pronuncia 16.4.2014, n. 98 l’ha dichiarata inammissibile. 18 Nel caso di notifica del ricorso a mezzo posta, il termine di novanta giorni decorre dalla data di ricezione del ricorso da parte dell’ente destinatario, in simbiosi con la decorrenza del termine per la costituzione in giudizio del ricorrente, alla luce del prevalente indirizzo della giurisprudenza della Corte di Cassazione. In particolare, vedi, Cass., sez. trib., 21.4.2011, n. 9173; Cass., sez. trib., 28.6.2012, n. 10815; Cass., sez. trib., 28.9.2012, n. 16565; Cass., sez. trib., 26.10.2012, n. 18373; Cass., sez. VI, 12.11.2012, n. 19677; Cass., sez. VI, 11.12.2012, n. 22675; reperibili in www.dejure.it. Si veda anche la circ. 29.12.2015, n. 38/E par. 1.7.3., in www.agenziaentrate.gov.it. L’art. 17 bis, co. 2, ultimo periodo, dispone la sospensione dei termini processuali dal 1° al 31 agosto.

ra di reclamo/mediazione, il cui svolgimento è condizione di procedibilità dell’azione19.

2.L’istruttoria. Il nuovo art. 17 bis rispecchia la preceden-

te disciplina per quanto riguarda la fase istrut-toria del reclamo/mediazione20.

19 Rispetto agli altri istituti deflativi del contenzioso il reclamo/mediazione è obbligatorio. La Corte Costituzionale ha sempre ribadito la legittimità del differimento dell’azione giudiziaria in ragione di superiori fini di giustizia. Si veda, C. cost., 23.11.1993, n. 406: “Questa Corte ha costantemente affermato (cfr. da ultimo le sentenze n. 154 del 1992; n. 15 del 1991; n. 470 del 1990; n. 530 del 1989) che gli artt. 24 e 113 della Costituzione non impongono una correlazione assoluta tra il sorgere del diritto e la sua azionabilità, la quale può essere differita ad un momento successivo ove ricorrano esigenze di ordine generale e superiori finalità di giustizia. Tuttavia, anche nel concorso di queste circostanze, il legislatore è sempre tenuto ad osservare il limite imposto dall'esigenza di non rendere la tutela giurisdizionale eccessivamente difficoltosa, in conformità al principio della piena attuazione della garanzia stabilita dalle suddette norme costituzionali. In coerenza con tali premesse sono state dichiarate illegittime disposizioni che comportavano compressioni del diritto di azione, ostacolandone l'esercizio, in particolare comminando la sanzione della decadenza in relazione al mancato esperimento di ricorsi amministrativi (cfr., specificamente, le sentenze n . 15 del 1991 e n. 530 del 1989)”, in www.dejure.it. Nell’originaria disposizione in esame, la sanzione processuale dell’inammissibilità per omessa istanza di reclamo era quella che convinceva meno. Il ricorso senza reclamo comportava decadenza dal diritto di azione. Cfr. A. IORIO – L. AMBROSI, Corte Cost. 16.4.2014, n. 98 – Incostituzionale solo in parte la mediazione tributaria, in Il Fisco, 19, 2014, 1848 ss.; M. MONTANARI, Il processo tributario nel segno della mediazione, in Dir. prat. tribut., 1, 2013, 10153 ss. La C. cost., 16.4.2014, n. 98 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 17 bis, co. 2 d.lgs. n. 546/92 nella parte in cui prevedeva l’inammissibilità come sanzione per la mancata presentazione del reclamo, perché ciò produceva “un’irragionevole discriminazione tra il diritto del contribuente a corrispondere il giusto tributo e la potestà impositiva dell’Amministrazione finanziaria”, in www.dejure.it. Peraltro la questione ha perso importanza con la modifica intervenuta ad opera dell’art.1, co. 611, lett. a), l. 147/13 (Legge di stabilità 2014): la costituzione in giudizio prima dello scadere dei novanta giorni comporta mera improcedibilità con rinvio della trattazione, da parte della Commissione tributaria adita, per consentire l’esame del reclamo/mediazione. 20Ciò trova conferma nella lettura di indirizzo fornita dall’Agenzia delle Entrate: circ. 29.12.2015, n. 38/E

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Gazzetta Amministrativa -198- Numero 1 - 2016

Successivamente alla notificazione del ri-corso, l’Ufficio competente procede ad un e-same preliminare senza entrare nel merito della pretesa per valutare la sussistenza di tut-ti gli elementi richiesti ex lege21.

L’accoglimento del reclamo, teso all’annullamento dell’atto, ovvero al rimbor-so, postula la fondatezza dei motivi formulati dal contribuente22: in particolare, l’otteni-mento del rimborso rimuove l’interesse ad a-gire e rende inammissibile il ricorso alle Commissioni Tributarie23.

par. 1.7.4 e circ. 19.3.2015, n. 9/E par. 5, in www.agenziaentrate.gov.it. 21 Il controllo preliminare, principalmente riguarda: inammissibilità del ricorso perché presentato fuori termine (art. 21 d.lgs. n. 546/92); improcedibilità per impugnazione di un atto non rientrante nell’ambito di applicazione dell’istituto. In dottrina si è osservato che in “ linea di principio, poi, non può configurarsi alcuna declaratoria di inammissibilità nella fase pre-contenziosa, poiché tale prerogativa appartiene all’organo giurisdizionale e non alla Direzione adita per la procedura (…) spetterà alla Commissione se valutare formalmente carente l’istanza e dunque farne conseguire l’inammissibilità del ricorso ex art. 17-bis”: cfr. G. CORASANITI, Trattazione dell’istanza, accordo e perfezionamento della mediazione, in www.ilfisco.it. 22 Nel caso di accoglimento parziale, per la parte residua non annullata, il contribuente può decidere di proseguire il giudizio innanzi alla Commissione tributaria. Il ricorso “che produce anche gli effetti di un reclamo” fissa il thema decidendum: una volta proposto il ricorso non potranno essere più eccepiti ulteriori vizi dell’atto. Unica eccezione è quella indicata nell’art. 24 d.lgs. n. 546/92, quando resa necessaria dal deposito di documenti non conosciuti ad opera delle altre parti o per ordine della Commissione. Cfr. M. BRUZZONE., L’”anticipazione” dei motivi del ricorso al reclamo, in www.ilfisco.it: “Al tempo stesso, dopo la proposizione del reclamo non potrà consentirsi all’Ufficio, fuori dai casi in cui si giunga ad una mediazione concordata, di modificare la motivazione dell’atto senza ricorrere all’autotutela sostitutiva, da esercitarsi entro i termini decadenziali normativamente imposti per l’esercizio della funzione impositiva, attraverso l’annullamento dell’atto illegittimo e la sostituzione con altro provvedimento, privo di vizi”. In tal senso, Cass., ord., sez. trib., 29.3.2011, n. 7158: “Nel processo tributario di appello, l’Amministrazione finanziaria non può mutare i termini della contestazione deducendo motivi e circostanze diversi da quelli contenuti nell’atto di accertamento”, in www.dejure.it. 23 Tale è la chiave interpretativa fornita dalla circ. n. 9/E del 19.3.2012 par. 5.3, in www.agenziaentrate.gov.it. Inoltre, è applicabile l’art.

In riferimento a tale lettura autentica dell’amministrazione finanziaria, soprattutto per quelle controversie di rimborso ove, a fronte dell’accoglimento, non segua “una modificazione della situazione giuridica inte-ramente satisfattiva della domanda”, possono porsi alcune considerazioni24.

2 quater, co. 1 sexies d.l. 30.9.1994, n. 564, “Disposizioni urgenti in materia fiscale”, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 1.10.1994, n. 230; l. 30.11.1994, n. 656 “Conversione in legge, con modificazioni, del d.l. 30.9.1994, n. 564, recante disposizioni urgenti in materia fiscale”, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 30.11.1994, n. 280, introdotto dall’art. 11, co. 1, lett. a) d.lgs. 24.9.2015, n. 159 “Misure per la semplificazione e razionalizzazione delle norme in materia di riscossione, in attuazione dell'art. 3, co. 1, lettera a), della legge 11.3.2014, n. 23”, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 7.10.2015, n. 233. Supplemento Ordinario n. 55. Secondo l’art. 11, infatti, “Nei casi di annullamento o revoca parziali dell’atto il contribuente può avvalersi degli istituti di definizione agevolata delle sanzioni previste per l’atto oggetto di annullamento o revoca alle medesime condizioni esistenti alla data di notifica dell’atto purché rinunci al ricorso. In tale ultimo caso le spese del giudizio restano a carico delle parti che le hanno sostenute”. Ne segue che il contribuente che riceve notifica dell’accoglimento parziale dell’istanza, rinunciando al ricorso per le censure non accolte, può ottenere la riduzione sanzionatoria di cui all’art. 15 d.lgs. 19.6.1997, n. 218, “Disposizioni in materia di accertamento con adesione e di conciliazione giudiziale”, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 17.7.1997, n. 165. Cfr. circ. n. 38/E del 29.12. 2015 par. 1.7.5, in www.agenziaentrate.gov.it. 24 In tal senso, G. CORASANITI., Trattazione dell’istanza cit.: “talune perplessità potrebbero sorgere ove si aderisse alla tesi per la quale il giudizio tributario è diretto non all'annullamento dell'atto ma all'accertamento negativo della pretesa impositiva o all'accertamento positivo del diritto del contribuente al rimborso (…) varrebbe, in particolare, per le controversie di rimborso, per le quali la cessazione consegue non già all'annullamento o alla riforma dell'atto che ha rigettato l'istanza, ma solo al pagamento, da parte dell'Amministrazione finanziaria, di quanto richiesto (…) il riconoscimento del diritto al rimborso non consentirebbe nemmeno di giungere alla cessazione della materia del contendere avanti il giudice tributario, potrebbe dubitarsi che in difetto del pagamento, il contribuente che abbia ottenuto l’accoglimento dell'istanza e che abbia nondimeno deciso di costituirsi in giudizio, possa dirsi esposto alla declaratoria di inammissibilità del ricorso”. In merito vedi, altresì, A. CISSELLO – M. NEGRO, Gli istituti deflativi del contenzioso, Torino, 2015, 230, ove si sostiene che il contribuente possa costituirsi in giudizio per ottenere condanna dell’ufficio, oppure,

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Qualora l’Ente non ritenga fondati i motivi di ricorso, procede alla valutazione dell’eventuale proposta di mediazione formu-lata dal contribuente25, oppure, in assenza, accerta comunque l’opportunità di avanzare una sua proposta che, se del caso, può giun-gere dopo chiamata in contraddittorio26.

Dubbi sono sorti circa l’esistenza di un obbligo a proporre la rideterminazione dell’ammontare da parte dell’amministra-zione finanziaria.

La risposta deve essere negativa: il rispetto dei principi di imparzialità e legalità che pre-siedono all’operato delle pubbliche istituzioni non autorizza a ritenere che il Fisco sia sem-pre tenuto a concordare la pretesa27.

I criteri che l’Ente segue per pervenire alla mediazione sono: l’incertezza delle questioni controverse, il grado di sostenibilità della pre-tesa e il principio di economicità dell’azione adire il giudice ordinario purché la ricognizione del debito sia senza alcuna condizione (Cass., sez. un., 5.3.2008, n. 5902, in www.dejure.it.). 25 Formulando una proposta di mediazione il contribuente anticipa elementi del futuro impianto difensivo, i quali potranno essere oggetto di valutazione da parte del giudice. Pertanto, si ritiene opportuno “formulare eventuali proposte di mediazione in modo tale che non pregiudichino il successivo contenzioso. Sul punto, l’esperienza degli istituti deflattivi del contenzioso quali l’accertamento con adesione e la conciliazione giudiziale potrà tornare utile per formulare le corrette eccezioni ed osservazioni al fine di definire la controversia”. Così, M. CONIGLIARO, Nuove regole cit. Si pone anche un problema, in fase di mediazione, di riunione delle procedure amministrative qualora le censure del contribuente si estendano agli atti della riscossione. 26 L’Agenzia delle Entrate ha affermato che “valutata favorevolmente la possibilità di una mediazione, l’Ufficio invita il contribuente al contraddittorio, quando non reputi possibile e/o opportuno formulare immediatamente una motivata proposta di rideterminazione della pretesa”: cfr. Circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 9/E del 19.3.2012 par. 6.1. 27 Cfr. F. PISTOLESI, Il reclamo e la mediazione nel processo tributario, in Rass. trib., 1, 2012, 65 ss. Non mancano, però, Autori di avviso diverso: cfr., M. BASILAVECCHIA, Reclamo, mediazione tributaria e definizione delle liti pendenti, in Corr. trib., 31, 2011, 2493 ss. Anche nella mediazione, allo stesso modo del reclamo, è possibile la rideterminazione solamente parziale dell’ammontare della pretesa. Tuttavia, stante la ratio deflativa dell’istituto, l’Agenzia delle Entrate considera eccezionali i casi in cui possa operare tale ipotesi.

amministrativa28. Con il primo, andrà valutato se le determi-

nazioni dell’Ente nell’atto impugnato si pon-gano in contrasto con un orientamento conso-lidato della Giurisprudenza di legittimità, di talché un eventuale ricorso subirebbe una de-claratoria d’inammissibilità dinanzi alla Su-prema Corte di Cassazione.

Allorché la posizione manifestata nell’atto sia in aperto contrasto con tale orientamento subentra l’opportunità per l’Ufficio di giunge-re ad un accordo29.

Il secondo criterio, il grado di sostenibilità della pretesa, fa ugualmente riferimento ad una valutazione di tipo prognostico basata questa volta, però, sulla questione di fatto e non su quella di diritto.

L’ufficio dovrebbe argomentare sul grado di solidità della prova della pretesa impositiva in un eventuale giudizio e sulla plausibilità dei motivi rappresentati dal ricorrente.

In relazione a tale parametro, quindi, l’opportunità dell’accordo si lega ad una pro-babile soccombenza dell’Ufficio dinanzi al giudice di merito tributario30. 28 Per quanto la formula dell’art. 17 bis: L’organo “destinatario, se non intende accogliere il reclamo o l’eventuale proposta di mediazione, formula d’ufficio una propria proposta avuto riguardo all’eventuale incertezza delle questioni controverse, al grado di sostenibilità della pretesa e al principio di economicità dell’azione amministrativa” lascerebbe intendere un adeguamento a tali criteri esclusivamente per la proposta proveniente dall’Ufficio destinatario, si ritiene esistente il vincolo anche per la proposta proveniente dalla parte ricorrente: un criterio di ordine meramente temporale non giustificherebbe tale divergenza. Cfr. C. GIOÈ, Il reclamo e la mediazione nel diritto tributario, Torino, 2015, 118. 29 Cfr. circ. n. 9/E del 19.3.2012 par. 5.4.1. ove, tra l’altro, in assenza di giurisprudenza consolidata della Suprema Corte si suggerisce un riferimento alle pronunce delle Commissioni Tributarie. Da segnalare, in tema, la fondamentale Cass., sez. un., 6.9.2010, n. 19051, secondo cui “Il principio di diritto enunciato a norma dell’art. 363 cod. proc. Civ. in tema di interpretazione dell’art. 360-bis, n. 1) cod. proc. civ. è dunque il seguente: la Corte rigetta il ricorso, perché manifestamente infondato, se, al momento in cui pronuncia, la decisione di merito si presenta conforme alla propria giurisprudenza e il ricorso non prospetta argomenti per modificarla”, in www.dejure.it. 30 L’Agenzia delle Entrate nella Circolare n. 9/E del 19.3.2012 par. 5.4.2. precisa che la giurisprudenza da prendere in considerazione è quella delle Commissioni tributarie nella cui circoscrizione ha sede la Direzione

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Il principio di economicità dell’azione amministrativa richiede che tale attività, nel rispetto di tutti i principi costituzionali che guidano l’agire amministrativo, sia condotta nel modo più rapido ed efficiente possibile. Quindi, ottimizzazione del procedimento con particolare attenzione al rischio di soccom-benza sulle spese processuali31.

Il reclamo e la mediazione presentano, come meglio si vedrà nel paragrafo successi-vo, diversa natura giuridica e si prestano, in tal senso, a differenti strategie difensive: l’accordo di mediazione avrebbe maggiori probabilità di sopraggiungere in presenza di atti ad elevata discrezionalità, come accerta-menti derivanti da studi di settore32.

Autorevole dottrina sostiene, alla luce del-le recenti modifiche legislative, che il recla-mo sarà, con molta probabilità, l’unico aspet-

dell’Agenzia. Tuttavia, si è osservato, in tal modo “si valorizza - eccessivamente - la giurisprudenza di merito delle Commissioni tributarie provinciali e regionali nella cui circoscrizione ha sede la Direzione. L’unico limite a questo criterio territoriale è dato dalla «prevalenza» di un orientamento di Cassazione che lasci presagire quale possa essere l’esito della controversia per il caso in cui essa giunga in tale grado”: così, G. CORASANITI., Trattazione dell’istanza cit. 31 Il principio di economicità dell’azione amministrativa, si sostiene, assume decisivo valore soltanto con la sussistenza di incertezza della questione controversa ed esigua o complessa sostenibilità della pretesa. Cfr. G. CORASANITI, Il reclamo e la media-zione tributaria tra la recente giurisprudenza costituzionale e i controversi profili evolutivi della Corte Costituzionale, in www.ilfisco.it: “L’indicazione del principio di economicità dell’azione ammi-nistrativa come ultimo dei tre parametri mostra una pur implicita considerazione del medesimo come criterio di corredo rispetto a quelli appena visti, sull’evidente presupposto che l’imparzialità e la legalità dell’azione amministrativa non possono trovare un limite di carattere economico che, di per se solo, possa giustificare la mediabilità della lite nei casi in cui non vi sia incertezza delle questioni controverse o la pretesa risulti sostenibile”; ID., Trattazione dell’istanza cit.; A. GIOVANNINI ., Reclamo e mediazione tributaria: per una riflessione sistematica, in Rass. trib., 1, 2013, 51 ss. 32 In tal senso, P. BORIA, Diritto Tributario, Torino, 2016, 498; A. CISSELLO – M. NEGRO., Gli istituti deflativi cit., 220 ss.; G. SEPIO, La proposta di mediazione da parte del contribuente e i limiti del reclamo, in Corr. trib., 11, 2012, 768 ss.; A.TURCHI, Reclamo e mediazione nel processo tributario, in Rass. trib., 4, 2012, 898 ss.

to che coinvolgerà gli atti di Agenti e Con-cessionari della riscossione33.

Nel caso fallisca anche la mediazione, l’Ufficio dovrebbe comunque tentare di rag-giungere un accordo che consenta al contri-buente di accettare l’intera pretesa impositiva, ne deriverebbe quantomeno un effetto pre-miale di riduzione sanzionatoria.

Il mancato accoglimento della proposta di mediazione permette, nel caso di costituzione in giudizio del ricorrente, che il rapporto tri-butario si definisca sulla futura pronuncia giudiziaria; rinunciando al processo, invece, l’originario atto impugnato riprodurrà gli ef-fetti suoi propri34. 33 M. CONIGLIARO, Nuove regole cit., secondo il quale per “quanto tale apertura possa essere salutata con favore, nel caso di liti che riguardano l’esattore sarà più probabile che ci si fermi all’esame del reclamo - accogliendolo o rigettandolo - senza arrivare alla mediazione tributaria: non si comprende infatti quali potrebbero essere, all’atto pratico, i casi in cui le parti possano rimodulare la pretesa, rideterminandola. Potrebbe esservi, al più, il caso dell’autotutela parziale, con la successiva mediazione al solo scopo di ridurre le sanzioni sulla rimanente parte del carico tributario ovvero di ricalcolare gli interessi di mora”. 34 Per l’istruttoria: V. FICARI, Il processo tributario, in A. FANTOZZI (a cura di), Diritto tributario , Torino, 2012, 1024 ss.; F. BATISTONI FERRARA – B. BELLÈ Diritto tributario processuale cit., 166 ss.; P. BORIA, Diritto Tributario cit., 496 ss.; G. CANTILLO , Manovra correttiva (D.L. 6.7.2011) – Il reclamo e la mediazione tributaria: prime riflessioni sul nuovo art. 17-bis del D.Lgs. 546/1992, in Il Fisco, 31, 2011, 4997 ss.; A. CISSELLO – M. NEGRO., Gli istituti deflativi cit., 211 ss.; M. CONIGLIARO, Nuove regole cit., 4020 ss.; G.

CORASANITI, Trattazione dell’istanza, accordo e perfezionamento della mediazione, in Corr. trib., 19, 2012, 1441 ss.; B. CUCCHI – F. SIMONELLI , Manuale tecnico operativo della mediazione e della conciliazione tributaria, Pisa, 2016, 61 ss.; A. FEDELE, Appunti dalle lezioni di diritto tributario, Parte seconda, Torino, 2013, 53 ss.; C. GIOÈ, Il reclamo e la mediazione cit., 65 ss.; A. GIOVANNINI , La disciplina “riveduta e corretta” del reclamo e della mediazione, in Il Fisco, 9, 2014, 814 ss.; ID., Reclamo e mediazione tributaria cit., 51 ss.; A. GUIDARA – D. STEVANATO, Mediazione fiscale: un provvedimento improvvisato su una strada giusta, in Dial. trib., 1, 2012, 97 ss.; D. PASTORIZIA, Il reclamo cit., 120 ss.; A. MARCHESELLI, La nuova mediazione fiscale: tra istanze deflazionistiche e mutamenti strutturali del rapporto fisco – contribuente, in Dir. e prat. trib., 5, 2012, 11177 ss.; G. SEPIO, Reclamo e mediazione: il difficile coordinamento tra procedimento e processo, in Il Fisco, 29, 2014, 2869 ss.; G. SEPIO – F.M.

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3.La natura giuridica del reclamo e del-la mediazione.

La natura giuridica del reclamo ha sempre costituito oggetto di ampio dibattito.

Lo stesso atto che introduce il giudizio, ed avvia la fase processuale, produce anche gli effetti di un reclamo avviando la fase ammi-nistrativa35.

Secondo un primo orientamento, il recla-mo, rivolto alla stessa Autorità che ha emesso l’atto, e finalizzato all’annullamento totale o parziale dell’atto impugnato, ha esclusiva na-tura amministrativa e si identifica con un’istanza preventiva di autotutela36.

Secondo altra linea interpretativa, produ-cendo l’impugnazione gli effetti sostanziali e processuali anche del reclamo, l’istituto in e-same avrebbe un’indubbia natura giurisdizio-nale37.

SILVETTI , Gli effetti del ravvedimento operoso e degli altri strumenti deflativi sulla punibilità del contribuente, in Il Fisco, 9, 2016, 854 ss.; F. TESAURO, Istituzioni di diritto tributario, parte generale, Torino, 2015, 363 ss.; A. TURCHI, Reclamo e mediazione cit., 898 ss.; M. V ILLANI – F. SANNICANDRO, La trattazione dell’istanza di mediazione: caratteristiche e problematiche, in Prat. fisc. e prof., 16, 2012, 28 ss. 35 Cfr. C. GIOÈ, Il reclamo e la mediazione cit., 10: “A differenza di tutte le altre ipotesi di definizione concertata delle liti, alle quali si perviene attraverso un distinto procedimento amministrativo, nel caso in esame è lo stesso atto che avvia la fase amministrativa obbligatoria e, quella successiva ed eventuale, processuale, destinata a svolgersi in sequenza e senza soluzione di continuità, sulla base del medesimo atto introduttivo”. 36 In tal senso, M. BASILAVECCHIA, Reclamo, mediazione cit., 2493 ss.; ID., Dal reclamo al processo, in Corr. trib., 12, 2012, 841 ss. ; F. PISTOLESI, Il reclamo e la mediazione cit., 65 ss. 37 Cfr. G. CORASANITI, Il reclamo e la mediazione tributaria tra la recente giurisprudenza costituzionale e i controversi profili evolutivi della Corte Costituzionale, in Dir. e prat. trib., 3, 2014, 10494; F. TESAURO, Manuale del processo tributario, Torino, 2014, 149 ss. Tuttavia, mentre nel reclamo la fondatezza dei motivi comporta accoglimento e conseguente annullamento dell’atto, l’autotutela risente di una valutazione dell’interesse pubblico suscettibile, in alcuni casi, di non rimuovere un atto illegittimo. Ciò è quanto delineato da un consolidato orientamento giurisprudenziale: cfr. Cass., sez. IV, 17.10.2013, n. 23645: Il contribuente chiedendo all’amministrazione finanziaria di ritirare, in via di autotutela “quegli avvisi di accertamento divenuti definitivi, non poteva limitarsi a dedurre eventuali vizi degli atti medesimi, la cui deduzione doveva ritenersi

Esiste, poi, un terzo orientamento che, ri-conoscendo l’aspetto ibrido al reclamo, insi-ste sul cumulo della natura amministrativa con quella giurisdizionale38.

L’art. 17 bis, co. 1, n. 546/1992, in ciò ri-manendo immutato rispetto alle precedenti formulazioni, consente di formulare nel ricor-so una “proposta di mediazione con rideter-minazione dell'ammontare della pretesa”. Prescindendo dalla terminologia utilizzata, la mediazione tributaria presenta sensibili diffe-renze rispetto alla mediazione civile39.

ormai definitivamente preclusa per la perentorietà del termine, ma doveva prospettare l’esistenza di un interesse di rilevanza generale dell’Amministrazione stessa alla rimozione di tali avvisi. Ne consegue che contro il diniego dell’Amministrazione di procedere all’esercizio del potere di autotutela poteva semmai essere proposta impugnazione soltanto per dedurre eventuali profili di illegittimità del rifiuto, e non per contestare la fondatezza della pretesa tributaria, come nella specie”; si veda anche Cass., sez. trib., 12.5.2010, n. 11457; Cass., sez. un., 9.7.2009, n. 16097, tutte reperibili in www.dejure.it. 38 Come fosse un ricorso amministrativo in opposizione ex art. 7, d.P.R. 24.11.1971, n. 1199, “Semplificazione dei procedimenti in materia di ricorsi amministrativi”, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 17.1.1972, n. 13. Cfr. A. GIOVANNINI , Reclamo e mediazione tributaria: per una riflessione sistematica, in www.ilfisco.it: “Nella sistematica dell’art. 17-bis, perciò, siamo in presenza di un ricorso bensì in opposizione, ma anche, in prima battuta o almeno contestualmente, idoneo a interrompere il termine processuale di 60 giorni previsto dall’art. 21 del d.lgs n. 546 e, in seconda battuta, ad assurgere ad “altro esemplare” dell’atto costitutivo del rapporto davanti alla commissione tributaria. Dunque, ci troviamo di fronte a un atto suscettibile di radicare due diversi tipi di procedimento: amministrativo e giurisdizionale”. 39 Il D.lgs. 4.3.2010, n. 28 “Attuazione dell’art. 60 della legge 18.6.2009, n. 69, in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali”, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 5.3.2010, n. 53, in materia di mediazione civile e commerciale, regola il procedimento di composizione stragiudiziale delle controversie che vertono su diritti disponibili. Del resto, la stessa dir. CE n. 2008/52/CE, in attuazione della quale è stato introdotto nel nostro ordinamento l’istituto della mediazione civile, prevede la non applicazione alla materia tributaria della mediazione civile. Art. 1, par. 2, dir. CE n. 2008/52/CE: “La presente direttiva si applica, nelle controversie transfrontaliere, in materia civile e commerciale tranne per i diritti e gli obblighi non riconosciuti alle parti dalla pertinente legge applicabile. Essa non si estende, in particolare, alla materia fiscale, doganale e amministrativa né alla

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Gazzetta Amministrativa -202- Numero 1 - 2016

Sulla natura giuridica della mediazione in dottrina sono ravvisabili due direttrici princi-pali.

Sulla prima si collocano coloro che rico-noscono nell’accordo gli effetti tipici della conciliazione giudiziale40, riconducendoli ad una conciliazione anticipata di tipo stragiudi-ziale; ciò si ricaverebbe dai parametri seguiti dall’Agenzia delle Entrate per giungere alla mediazione.

Secondo altra linea interpretativa la me-diazione si accosterebbe alla transazione civi-listica. Su tale direttrice si inserisce chi pone la mediazione “nella stessa ottica della tran-sazione fiscale di cui all’art. 182 ter del R.D. 267/1942 ossia un istituto che consente all’Agenzia delle Entrate di accettare una ri-duzione della pretesa impositiva e/o sanzio-natoria in chiave dichiaratamente transatti-va”41. responsabilità dello Stato per atti o omissioni nell’esercizio di pubblici poteri (acta iure imperii)”. Cfr. A. GIOVANNINI , Reclamo e mediazione tributaria cit.: “Il difetto messo adesso in evidenza, ossia l’assenza del mediatore, però, è già sufficiente per escludere l’istituto in esame dall’ambito mediatorio propriamente inteso”; A. GUIDARA – D. STEVANATO, Mediazione fiscale cit., 97 ss.; A. MARCHESELLI, La nuova mediazione fiscale cit., 11177 ss.; M. NISATI., Materiali per uno studio teorico sulla disciplina normativa della mediazione civile e commerciale, Roma, 2014, passim. 40 A. GUIDARA, La mediazione nel diritto tributario: una prima e parziale lettura sistematica delle disposizioni, in Dial. trib., 1, 2012, 1429 ss.; M.

LOGOZZO, Profili critici del reclamo cit., 1505 ss.; D. STEVANATO, Reclamo e «mediazione fiscale»: lettera ad un bambino mai nato, in Dial. trib., 1, 2012, 98 ss.; A. TURCHI, Reclamo e mediazione cit., 898 ss. 41 F. PISTOLESI, Il reclamo e la mediazione nel processo tributario, www.ilfisco.it. Secondo tale dottrina il carattere transattivo emergerebbe dalla possibilità per l’amministrazione di formulare una proposta di rideterminazione dell’ammontare della pretesa, impedendone l’aspetto conciliativo: “questa conclusione è smentita dal co. 8 dell’art. 17 bis cit., secondo cui l’Agenzia delle Entrate formula, anche d’ufficio, una proposta di mediazione (laddove, beninteso, non accolga il reclamo) “avuto riguardo all’eventuale incertezza delle questioni controverse, al grado di sostenibilità della pretesa e al principio di economicità dell’azione amministrativa”. Le ragioni che – alla stregua del precetto appena menzionato – devono sorreggere tale proposta ne rivelano il carattere eminentemente transattivo”. Alcuni Autori sostengono la natura di conciliazione pregiuri-sdizionale della mediazione tributaria, distanziandola

4.Il perfezionamento della mediazione e i suoi effetti.

Il perfezionamento della mediazione, nelle controversie che abbiano ad oggetto atti im-positivi o della riscossione, collima con il versamento delle somme dovute, ovvero della prima rata entro venti giorni dalla sottoscri-zione.

Le liti il cui oggetto sia il rifiuto espresso o tacito alla domanda di restituzione di somme, invece, richiedono la semplice sottoscrizione di un accordo, con indicazione delle somme dovute, affinché la mediazione sì perfezioni42.

Ne segue la definitiva conformazione del rapporto tributario nella dimensione fissata nell’accordo, nonché l’inammissibilità dell’impugnazione della mediazione per ca-renza di interesse ad agire.

Il nuovo art. 17 bis, co. 7 ridefinisce, in maniera più sensibile, il carattere premiale dell’istituto. In caso di mediazione le sanzioni amministrative “si applicano nella misura del trentacinque per cento del minimo previsto dalla legge” 43.

La medesima norma, al co. 6, afferma che l’accordo “costituisce titolo per il pagamento delle somme dovute al contribuente” 44, con-

dalla conciliazione ex art. 48 d lgs. n. 546/92, argomentando dal mancato intervento del giudice e dalla pregressa esclusione della conciliazione processuale nella procedura ex art. 17 bis: cfr. A. GIOVANNINI , Reclamo e mediazione tributaria cit., 51 ss. 42 Si addiviene al perfezionamento della mediazione con sottoscrizione dell’accordo anche per le liti in materia catastale. 43 La percentuale è ora ridotta al 35% del minimo edittale, non più al 40% della somma irrogabile sull’ammontare del tributo rideterminato in sede di mediazione. Non si applicano sanzioni e interessi sulle somme dovute a titolo di contributi previdenziali e assistenziali. L’effetto premiale è superiore rispetto a quello derivante dalla conciliazione giudiziale: 40% e 50% del minimo edittale qualora sia intervenuta, rispettivamente, nel corso del primo o del secondo grado di giudizio. 44 Secondo quanto pare potersi desumere dalla circ. n. 38/E del 29.12.2015, da tale formula, ne deriverebbe: l’estinzione del giudizio al perfezionarsi dell’accordo; l’esclusione della giurisdizione tributaria per il caso di inadempimento; l’esecuzione giudiziale del titolo di pagamento. Una lettura parzialmente diversa è offerta da G. FRANSONI – R. SURACI, L’esecuzione degli “accordi” che definiscono le liti di rimborso in sede di mediazione o conciliazione, in Corr. trib., 6, 2016, 429

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sentendo, in tal modo, l’esercizio dell’azione esecutiva dinanzi al giudice ordinario per il caso di omessa esecuzione del pagamento.

Scaduti i novanta giorni dalla notifica del ricorso45 alla parte avversa iniziano a decorre-re i termini per la costituzione in giudizio di cui agli artt. 22 e 23 d.lgs. n. 546/1992.

L’eventuale notifica di diniego o accogli-mento parziale dell’istanza, da parte dell’Ufficio, non ha alcuna rilevanza ai fini della decorrenza dei suddetti termini46. ss.: nessuna norma si esprime nel senso dell’estinzione del giudizio, “una volta raggiunto l’accordo, la costituzione in giudizio (peraltro consentita anche in pendenza dei termini) resta inibita solo in via indiretta, nel senso che essa espone il ricorrente a una pronuncia di improponibilità dell’azione per difetto di interesse ad agire”; anche la seconda affermazione non trova alcun fondamento, “risulta certamente non condivisibile se si accoglie l’idea che la sanzione dell’inadempimento sia (o, almeno, possa essere) la risoluzione dell’accordo (…) risolto l’accordo, il contribuente agirà per l’intero credito originario ossia introdurrà nuovamente l’azione già definita con l’accordo risolto. Trattandosi della medesima azione, essa non potrà che appartenere alla giurisdizione del medesimo giudice”; infine, il creditore potrebbe optare per la risoluzione dell’accordo. Qualora agisca per l’adempimento residuerebbero pochi spazi per il giudizio di ottemperanza, riservato all’esecuzione delle sentenze: “Ove non si riesca ad argomentare in ordine alla proposizione di un ricorso per ottemperanza, la soluzione sistematicamente più corretta (…) parrebbe quella consistente nell’introdurre nuovamente l’azione dinanzi alla Commissione tributaria provinciale mediante ricorso ai sensi dell’art. 19, co. 1, lett. g), eventualmente assumendo (non senza qualche forzatura) che la scadenza del termine per adempiere equivalga a “diniego”. Alternativamente (…) si potrebbe introdurre un giudizio monitorio dinanzi al giudice ordinario”. L’accordo produrrebbe, per il caso di inadempimento, problemi di non facile soluzione. 45 A. CISSELLO – M. NEGRO., Gli istituti deflativi cit., 231: “In applicazione dei principi generali in tema di notifica, i termini dovrebbero decorrere spirati 90 giorni computati dal momento in cui l’Agenzia delle Entrate ha ricevuto il reclamo, ma è sempre bene adottare una condotta cautelativa: quindi il dies a quo per la costituzione in giudizio dovrebbe essere conteggiato dalla data di notifica (...)”. 46 L’art. 17 bis, co. 2 e co. 3 d.lgs n. 546/92 dispongono che: “Il ricorso non è procedibile fino alla scadenza del termine di novanta giorni dalla data di notifica, entro il quale deve essere conclusa la procedura di cui al presente articolo. Si applica la sospensione dei termini processuali nel periodo feriale. Il termine per la costituzione in giudizio del ricorrente decorre dalla scadenza del termine di cui al co. 2. Se la Commissione rileva che la costituzione è

Pertanto, se durante i 90 giorni della fase amministrativa47, non è stato accolto il recla-mo, ovvero non si è conclusa la mediazione48 il contribuente può costituirsi in giudizio en-tro il termine perentorio di 30 giorni49.

La costituzione in giudizio, anteriore al decorso dei novanta giorni, causa il rinvio della trattazione della causa per consentire l’esame del reclamo; alcuni Autori sostengo-no la scarsa utilità della disposizione, restan-do oscura la ratio legis del rinvio nel momen-to in cui le parti dimostrino l’assenza di ogni intento deflativo50.

Le modifiche apportate dal Legislatore, col d.lgs. n. 156/2015, si occupano, per quanto riguarda le spese del reclamo/mediazione, so-lo della successiva costituzione in giudizio del ricorrente51.

Invece, nulla è disposto in caso di acco-glimento del reclamo o di mediazione per la

avvenuta in data anteriore rinvia la trattazione della causa per consentire l’esame del reclamo”. 47 Nel caso in cui il contribuente si costituisca in giudizio la pretesa tributaria sarà definita dalla sentenza giudiziaria. In caso contrario l’atto impugnato riprenderà gli effetti suoi propri. 48 Uno dei modi in cui può definirsi la procedura di reclamo/mediazione è quella del silenzio da parte della struttura competente. 49 Si applica la sospensione feriale dei termini processuali dal 1.8.al 31.8.di ciascun anno. 50 M. CONIGLIARO, Nuove regole cit.: “Tale disposizione, introdotta per sanare l’originaria (ed improvvida) sanzione di inammissibilità del ricorso presentato senza il preventivo reclamo, appare di scarsa utilità pratica: è evidente che il contribuente che iscrive anticipatamente a ruolo la controversia mediante il deposito del proprio ricorso in Commissione tributaria provinciale non mostri alcuna propensione deflattiva; se poi anche l’Ufficio impositore si è nel frattempo costituito in giudizio con il proprio atto di controdeduzioni, non si vede la ragione per la quale il giudice debba rinviare la trattazione della causa per consentire l’esame del reclamo; non si comprende infatti quali esiti possa portare, a quel punto, il tentativo di definire bonariamente la lite con l’istituto della mediazione, che è precedente al giudizio. Sarebbe stato più logico prevedere l’invito alle parti per il tentativo di conciliazione giudiziale, istituto della fase processuale”. 51 Art. 15, co. 2 septies, d.lgs n. 546/92: “Nelle controversie di cui all’art. 17-bis le spese di giudizio di cui al co. 1 sono maggiorate del 50 per cento a titolo di rimborso delle maggiori spese del procedimento”.

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rifusione delle spese. Sul punto, peraltro, è intervenuta la Comm. trib. 1° di Campobasso, 24.02.2016, n. 147.

Il contribuente si costituiva in giudizio in seguito ad accoglimento totale del reclamo da parte dell’Agenzia delle Entrate, rinunciava a tutti i motivi di impugnazione e domandava la sola rifusione di tutte le spese sostenute in ambito amministrativo e giudiziale; i giudici hanno accolto il ricorso.

Il mancato rimborso delle spese sostenute dal contribuente, nel caso di accoglimento del reclamo, costituirebbe lesione del diritto di difesa costituzionalmente garantito: “ l’interpretazione costituzionalmente orienta-ta, rispettosa dell'art. 24 della Costituzione, dell’art. 17-bis cit. induce a ritenere che l’accoglimento del reclamo, con conseguente annullamento dell’atto illegittimo, da parte dell’A.E. comporta l’obbligo per la stessa di

rimborsare al contribuente le spese che lo stesso ha dovuto sostenere per munirsi della difesa tecnica impostagli dalla legge. Diver-samente opinando si perverrebbe alla conclu-sione che il diritto di difesa (nel quale è ri-compreso l’obbligo della difesa tecnica) è garantito per il contribuente non nella sua interezza, come disposto dall’art. 24 Cost., ma diminuito dell’esborso sostenuto per il compenso al difensore. Non sembra dubbio pertanto che gli oneri economici connessi al-la procedura di cui all’art. 17-bis (già nella formulazione previgente ma, a maggior ra-gione, in quella vigente) assumono rilievo comunque, anche nella ipotesi in cui, come in quella de qua, l’A.E. accolga il reclamo e di-sponga l’annullamento del provvedimento impugnato senza adottare alcun provvedi-mento sulla domanda di rimborso delle spese sostenute per la fase amministrativa”52.

52 Comm. trib. 1° di Campobasso, 24.2.2016, n. 147, in www.ilfisco.it. Cfr. M. DENARO, All’accoglimento del reclamo segue la condanna alle spese Commento, in Il Fisco, 13, 2016, 1292 ss.

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GIURISPRUDENZA Consiglio di Stato Sez.VI 19.2.2016 n. 677 Revocazione - non può convertirsi in un ter-zo grado di giudizio - rimedio eccezionale. La Sesta Sezione del Consiglio di Stato nella sentenza del 19.2.2016 n. 677 richiama la giu-risprudenza intervenuta in materia (sez. IV, 24.1.2011, n. 503) che ha avuto modo di affer-mare che l’istituto della revocazione è rimedio eccezionale, che non può convertirsi in un terzo grado di giudizio. Sicchè, precisa il Collegio " la “svista” che consente la proposizione del ri-corso per revocazione, tendenzialmente ecce-zionale anche in caso di cd. revocazione ordi-naria ( cfr. Cass. n. 1957/83), è rappresentata o dalla mancata esatta percezione di atti di cau-sa, ovvero dalla omessa statuizione su una cen-sura o su una eccezione ritualmente introdotta nel dibattito processuale. L’errore di fatto re-vocatorio deve, infatti, cadere su atti o docu-menti processuali (Consiglio di Stato, A.P., 22.1.1997, n. 3 ; sez. IV, 8.6.2009, n. 3499; sez. IV, 23.9.2008, n. 4607 ; sez. VI, 23.2.2011, n. 1145). Di conseguenza, non sussiste vizio revo-catorio se la lamentata erronea percezione de-gli atti di causa ha costituito un punto contro-verso e, comunque, ha formato oggetto di deci-sione nella sentenza revocanda, ossia è il frutto dell’apprezzamento, della valutazione e dell’interpretazione delle risultanze processuali da parte del giudice ( Cons. Stato, sez. VI, 5.6.2006, n. 3343). Dunque, l’errore di fatto revocatorio si estrinseca in un abbaglio dei sensi, per effetto del quale si determina un con-trasto tra due diverse proiezioni dello stesso oggetto, l’una emergente dalla sentenza e l’altra risultante dagli atti e documenti di causa ; specificandosi ulteriormente che lo stesso può essere apprezzato solo quando risulti da atti o documenti ritualmente acquisiti agli atti del giudizio, con esclusione, quindi, delle produ-zioni inammissibili, come avviene nel caso in cui l’errore di percezione concerna atti o do-cumenti non prodotti ovvero quando esso venga dimostrato mediante deposito di un documento prodotto per la prima volta in sede di revoca-

zione ( cfr. CdS, Sez. V, 16.11.2010, n. 8061; sez. IV, 13.10.2010, n. 7487). Di contro, costi-tuiscono vizi logici e, dunque, errori di diritto quelli consistenti nella erronea interpretazione e valutazione dei fatti o nel mancato approfon-dimento di una circostanza risolutiva ai fini della decisione ( CdS, Sez. IV, 11.9.2012, n. 4811; sez. V, 21.10.2010, n. 7599)." Consiglio di Stato Sez. III 17.11.2015 n. 5262 Immigrazione - termini di conclusione del procedimento per il rilascio del permesso di soggiorno - positiva conclusione della procedura di emersione - lavoro irregolare. La Terza Sezione del Consiglio di Stato con sentenza del 17.11.2015 n. 5262 ha accolto l'appello del Ministero dell'Interno che ha im-pugnato la sentenza del Tribunale Amministra-tivo Regionale per la Lombardia n. 770/2015 di accoglimento del ricorso proposto da un citta-dino extracomunitario, per l'accertamento dell’illegittimità del silenzio-rifiuto formatosi sull’istanza di rilascio del permesso di soggior-no a seguito della positiva conclusione della procedura di emersione da lavoro irregolare. Il Collegio ha sul punto aderito alle precedenti pronunce del Consiglio di Stato (le sentenze 25/02/2014, n. 891, 10.9.2014, n. 4607, 21/01/2015, n. 206) richiamando al riguardo la disciplina dei termini dei procedimenti ammini-strativi prevista dall’art. 2 della l. n. 241/1990 ed in specie l’intera sequenza di norme previste dai commi 2, 3, 4 del citato art. 2: “2. Nei casi in cui disposizioni di legge ovvero i provvedi-menti di cui ai commi 3, 4 e 5 non prevedono un termine diverso, i procedimenti amministra-tivi di competenza delle amministrazioni statali e degli enti pubblici nazionali devono conclu-dersi entro il termine di trenta giorni. 3. Con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, adottati ai sensi dell'art. 17, co. 3, della l. 23.8.1988, n. 400, su proposta dei Mini-stri competenti e di concerto con i Ministri per la pubblica amministrazione e l'innovazione e per la semplificazione normativa, sono indivi-

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Gazzetta Amministrativa -206- Numero 1- 2016

duati i termini non superiori a novanta giorni entro i quali devono concludersi i procedimenti di competenza delle amministrazioni statali. Gli enti pubblici nazionali stabiliscono, secondo i propri ordinamenti, i termini non superiori a novanta giorni entro i quali devono concludersi i procedimenti di propria competenza. 4. Nei casi in cui, tenendo conto della sostenibilità dei tempi sotto il profilo dell'organizzazione ammi-nistrativa, della natura degli interessi pubblici tutelati e della particolare complessità del pro-cedimento, sono indispensabili termini superio-ri a novanta giorni per la conclusione dei pro-cedimenti di competenza delle amministrazioni statali e degli enti pubblici nazionali, i decreti di cui al co. 3 sono adottati su proposta anche dei Ministri per la pubblica amministrazione e l'innovazione e per la semplificazione normati-va e previa deliberazione del Consiglio dei mi-nistri. I termini ivi previsti non possono comun-que superare i centottanta giorni, con la sola esclusione dei procedimenti di acquisto della cittadinanza italiana e di quelli riguardanti l'immigrazione.” Considerata la sequenza delle norme, rileva il Collegio come sia evidente che l’esclusione della materia dell’immigrazione, di cui all’ultimo periodo del sopra riportato co. 4, riguarda l’intero sistema dei termini per il pro-cedimento amministrativo prevista dai tre commi e a maggior ragione il termine più breve previsto dal co. 2. Lo dimostra anche il fatto che la disciplina attuativa del sopra riportato co. 3, per il Ministero dell’Interno adottata con il dpcm n. 214/2012, che regola i termini dei procedimenti amministrativi di durata non su-periore a novanta giorni, di competenza del Ministero dell’Interno, non considera tra questi la procedura di emersione. Anche il termine di 20 giorni previsto dall’art. 5, co. 9, del d.lgs. n. 286/1998 per il rilascio o il rinnovo del per-messo di soggiorno non può applicarsi e co-munque non è perentorio, come dimostrano le disposizioni dell’art. 9 bis del medesimo decre-to, che disciplinano la situazione dello stranie-ro conseguente al superamento del termine stesso, prevedendo la possibilità di svolgimento o di continuazione del lavoro a determinate condizioni. Di conseguenza, conclude il Consi-glio di Stato "risultano fondate le censure de-dotte dal Ministero in ordine alla non estensibi-lità dei termini delle procedure ordinarie alla

procedura di emersione e quelle relative alla espressa esclusione della materia dell’immi-grazione dalla disciplina generale dei termini del procedimento amministrativo di cui all’art. 2 della l. n. 241/1990. Oltre alle deduzioni di-rettamente conseguenti dalla piana lettura delle disposizioni soprarichiamate, può aggiungersi che la ragionevolezza della assenza di termini per la conclusione del procedimento di emer-sione deriva dal fatto che, nell’ambito dei pro-cedimenti relativi all’immigrazione, di partico-lare complessità sul piano amministrativo, tale procedura ha natura del tutto eccezionale coin-volgendo soggetti eterogenei tra loro, sia per gli interessi di cui sono portatori, sia per i plu-rimi requisiti da verificare per ciascuno di essi. Anche in relazione alle ulteriori considerazioni poste in evidenza da questa stessa Sezione nella già richiamata sentenza n. 59/2015, resta co-munque ferma la necessità che l’Ammini-strazione concluda il procedimento amministra-tivo nei termini più brevi, anche sollecitando la cooperazione degli altri uffici interessati.". Corte Costituzionale n. 216 05.11.2015 Corte costituzionale - bocciata la prescri-zione della Lira. La Corte Costituzionale con sentenza n. 216 del 5.11.2015 ha dichiarato l'illegittimità costitu-zionale dell’art. 26 del d.l. n. 201 del 2011, co-me convertito, per violazione dei principi di tu-tela dell’affidamento e di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost. Con l’introduzione dell’euro, avvenuta il 1.1.1999, si aprì un periodo transi-torio, durato sino al 31.12.2001, nel quale le monete metalliche e le banconote in lire conti-nuavano a costituire il solo mezzo di pagamen-to in numerario, anche quando il debito fosse espresso in euro. Il 1.1.2002, cessato il periodo transitorio, iniziò la circolazione delle banco-note in euro e delle monete metalliche in euro e in cent. Le banconote e le monete in lire conti-nuarono ad avere corso legale per un periodo di due mesi, sino al 28.2.2002, ex art. 155, co. 1, della l. 23.12.2000, n. 388 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e plurienna-le dello Stato – legge finanziaria 2001). Da tale data, terminata la fase di doppia circolazione, iniziò a decorrere il termine di prescrizione delle lire ancora circolanti. L’art. 3, co. 1, del-la l. 7.4.1997, n. 96 (Norme in materia di circo-

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Gazzetta Amministrativa -207- Numero 1- 2016

lazione monetaria), dispone che «Le banconote ed i biglietti a debito dello Stato si prescrivono a favore dell’Erario decorsi dieci anni dalla data di cessazione del corso legale». L’art. 87, co. 1, della l. 27.12.2002, n. 289 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluri-ennale dello Stato – legge finanziaria 2003), ha aggiunto all’art. 3 della l. n. 96 del 1997 un co. 1-bis, secondo cui «Le banconote in lire posso-no essere convertite in euro presso le filiali del-la Banca d’Italia non oltre il 28.2.2012». L’art. 52-ter, co. 1, del d.lgs 24.6.1998, n. 213 (Di-sposizioni per l’introduzione dell’EURO nell’ordinamento nazionale, a norma dell’art. 1, co. 1, della L. 17.12.1997, n. 433), prevede che «Le monete metalliche si prescrivono a fa-vore dell’erario decorsi dieci anni dalla data di cessazione del corso legale». L’art. 87, co. 2, della l. n. 289 del 2002 ha aggiunto un co. 1-bis anche all’art. 52-ter del d.lgs n. 213 del 1998, secondo cui «Le monete in lire possono essere convertite in euro presso le filiali della Banca d’Italia non oltre il 28.2.2012». Per effetto del-la cessazione del corso legale della lira, quindi, il diritto di convertire in euro le banconote e le monete metalliche in lire poteva essere eserci-tato fino alla scadenza del termine decennale di prescrizione stabilito, in via generale, a favore dell’erario, e cioè fino al 28.2.2012. In questo quadro si è inserito l’art. 26 del d.l. n. 201 del 2011, come convertito, il quale, al dichiarato fine di ridurre il debito pubblico (la disposizio-ne è contenuta nel Capo V del decreto, intitola-to «Misure per la riduzione del debito pubbli-co») e in deroga alle norme sopra richiamate, ha disposto la prescrizione anticipata, con ef-fetto immediato, delle lire ancora in circolazio-ne, e ha stabilito, altresì, che il relativo contro-valore fosse versato all’entrata del bilancio dello Stato per essere riassegnato al Fondo per l’ammortamento dei titoli di Stato. Come la Corte ha più volte affermato, il valore del legit-timo affidamento, il quale trova copertura co-stituzionale nell’art. 3 Cost., non esclude che il legislatore possa assumere disposizioni che modifichino in senso sfavorevole agli interessa-ti la disciplina di rapporti giuridici «anche se l’oggetto di questi sia costituito da diritti sog-gettivi perfetti», ma esige che ciò avvenga alla condizione «che tali disposizioni non trasmodi-no in un regolamento irrazionale, frustrando,

con riguardo a situazioni sostanziali fondate sulle leggi precedenti, l’affidamento dei cittadi-ni nella sicurezza giuridica, da intendersi quale elemento fondamentale dello Stato di diritto» (sentenze n. 56 del 2015, n. 302 del 2010, n. 236 e n. 206 del 2009). Solo in presenza di po-sizioni giuridiche non adeguatamente consoli-date, dunque, ovvero in seguito alla sopravve-nienza di interessi pubblici che esigano inter-venti normativi diretti a incidere peggiorativa-mente su di esse, ma sempre nei limiti della proporzionalità dell’incisione rispetto agli o-biettivi di interesse pubblico perseguiti, è con-sentito alla legge di intervenire in senso sfavo-revole su assetti regolatori precedentemente definiti (ex plurimis, sentenza n. 56 del 2015). Non è dubitabile che il quadro normativo pree-sistente alla disposizione denunciata di incosti-tuzionalità, come descritto in precedenza, fosse tale da far sorgere nei possessori di banconote in lire la ragionevole fiducia nel mantenimento del termine fino alla sua prevista scadenza de-cennale, come disposto, sia dalla norma sulla prescrizione delle banconote cessate dal corso legale (art. 3, co. 1, della l. n. 96 del 1997), sia dalla norma che prevede il diritto di convertire le banconote in euro presso le filiali della Ban-ca d’Italia (art. 3, co. 1-bis, della l. n. 96 del 1997, introdotto dall’art. 87 della l. n. 289 del 2002). Il fatto che, al momento dell’entrata in vigore della disposizione censurata, fossero già trascorsi nove anni e nove mesi circa dalla ces-sazione del corso legale della lira non è idoneo a giustificare il sacrificio della posizione di co-loro che, confidando nella perdurante pendenza del termine originariamente fissato dalla legge, non avevano ancora esercitato il diritto di con-versione in euro delle banconote in lire posse-dute. Il lungo tempo trascorso senza alcuna modifica dell’assetto normativo regolatore del rapporto rende anzi ancora più evidente il ca-rattere certamente consolidato della posizione giuridica dei possessori di banconote in lire e della loro legittima aspettativa a convertirle in euro entro il termine che sarebbe venuto a sca-denza il 28.2.2012 e tanto più censurabile l’improvviso intervento del legislatore su di es-so. Proprio con riguardo alla fissazione del termine di prescrizione dei singoli diritti, que-sta Corte ha costantemente affermato che «il legislatore gode di ampia discrezionalità, con

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Gazzetta Amministrativa -208- Numero 1- 2016

l’unico limite dell’eventuale irragionevolezza, qualora “esso venga determinato in modo da non rendere effettiva la possibilità di esercizio del diritto cui si riferisce, e di conseguenza i-noperante la tutela voluta accordare al cittadi-no leso” (ex plurimis, ordinanze n. 16 del 2006 e n. 153 del 2000)» (sentenza n. 234 del 2008; nello stesso senso, sentenza n. 10 del 1970). Nemmeno la sopravvenienza dell’interesse del-lo Stato alla riduzione del debito pubblico, alla cui tutela è diretto l’intervento legislativo nell’ambito del quale si colloca anche la norma denunciata, può costituire adeguata giustifica-zione di un intervento così radicale in danno ai possessori della vecchia valuta, ai quali era stato concesso un termine di ragionevole dura-ta per convertirla nella nuova. Se l’obiettivo di ridurre il debito può giustificare scelte anche assai onerose e, sempre nei limiti della ragio-nevolezza e della proporzionalità, la compres-sione di situazioni giuridiche rispetto alle quali opera un legittimo affidamento, esso non può essere perseguito senza una equilibrata valuta-zione comparativa degli interessi in gioco e, in particolare, non può essere raggiunto trascu-rando completamente gli interessi dei privati, con i quali va invece ragionevolmente contem-perato. Nel caso in esame non risulta operato alcun bilanciamento fra l’interesse pubblico

perseguito dal legislatore e il grave sacrificio imposto ai possessori di banconote in lire, dal momento che l’incisione con effetto immediato delle posizioni consolidate di questi ultimi ap-pare radicale e irreversibile, nel senso che la disposizione non lascia alcun termine residuo, fosse anche minimo, per la conversione. Né, d’altro canto, lo scopo perseguito imponeva un tale integrale sacrificio, visto che, come si po-teva prevedere fin dall’approvazione della norma, per la maggior parte delle banconote in lire corrispondenti al controvalore versato all’entrata del bilancio dello Stato non sarebbe stata chiesta la conversione. La lesione dell’affidamento risulta tanto più grave e intol-lerabile in quanto la norma censurata, sebbene si presenti formalmente diretta a ridurre il ter-mine di prescrizione in corso, in realtà estingue ex abrupto il diritto a cui si riferisce, senza la-sciare alcun residuo margine temporale per il suo esercizio, sia pure ridotto rispetto al termi-ne originario decennale e della cui durata si potesse in ipotesi valutare la ragionevolezza. Sulla base di quanto sopra riportato la Consul-ta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 26 del d.l. n. 201 del 2011, come con-vertito, per violazione dei principi di tutela dell’affidamento e di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost.

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PARERI

Questa sezione della Gazzetta Amministrativa raccoglie la pare-ristica redatta dall’AVVOCATURA DELLO STATO

DOMANDA Presupposti e requisiti” ai fini del rimborso delle spese legali ex art. 18 D.L. n. 67/1997. Parere 09/02/2016-59779, Al 34232/15, Avv. Mario Antonio Scino. 1.Quesito. Si fa riferimento alla nota in oggetto, con cui codesta Amministrazione ha chiesto alla Scrivente il riesame del parere di congruità reso dall’Avvocatura Distrettuale di Napoli in data 9.4.2014 (Cs 13054/2011, Avv. Pala-dino) con il quale veniva rigettata l’istanza di rimborso delle spese legali sostenute dagli Ispettori Capo della Polizia (...) in conse-guenza del loro coinvolgimento nel procedi-mento penale n. 30294/07 dinanzi al Tribuna-le di Napoli. Gli ispettori Capo in oggetto e-rano stati destinatari dell’accusa di fare par-te di un’associazione per delinquere insedia-tasi nel territorio vesuviano, che si avvaleva dell’opera di funzionari comunali, membri della Polizia di Stato, dipendenti Enel e pri-vati cittadini per favorire l’ingresso e l’illegale permanenza sul territorio nazionale di clandestini da adottare come manodopera all’interno del c.d. mercato nero, attraverso la sottoscrizione di false certificazioni da presentare all’Ufficio Immigrazione. En-trambi i dipendenti del Ministero dell’Interno hanno quindi chiesto, ai sensi dell’art. 18 d.l. n. 67/1997, il rimborso delle spese legali so-stenute per la difesa nell’ambito del procedi-mento penale, in considerazione dell’esito as-solutorio dello stesso con sentenza del Tribu-nale di Napoli dell’8.2.2011 che ha definito la posizione dei due imputati con formula ex

art. 530, co. 2, c.p.p. Codesta Amministrazio-ne chiede, inoltre, una determinazione della Scrivente in merito all’eventualità che, come nel caso di specie, sia la stessa Amministra-zione a escludere la sussistenza di un conflit-to con il suo dipendente, laddove venga al-tres. scongiurato che residuino in capo a quest’ultimo profili di responsabilità a titolo disciplinare ovvero a titolo amministrativo. Deve preliminarmente escludersi, sulla base della vigente normativa, che i pareri in mate-ria della Avvocatura distrettuale dello Stato siano suscettibile di una revisione in senso tecnico da parte dell’Avvocatura generale, le cui funzioni di coordinamento a livello nazio-nale non contemplano tale compito di riesa-me in sede consultiva. Con riferimento ai quesiti posti nel merito si osserva quanto se-gue. RISPOSTA 2.Normativa. In primo luogo occorre fare puntuale riman-do alla normativa di riferimento in materia per meglio delineare l’ambito precettivo della stessa oltre che individuarne l’esatta portata interpretativa, anche alla luce di una lettura critica dei recenti orientamenti sul tema, al fine di trovare un’adeguata soluzione al pe-culiare quesito in esame. Si fa riferimento, in particolare, alle due di-sposizioni fondamentali che regolano la ma-teria e in ordine all’interpretazione delle quali si è delineata nel tempo una significati-va giurisprudenza. Da un lato, l’art. 44 del Regio Decreto

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Gazzetta Amministrativa -210- Numero 1- 2016

30.10.1933, n. 1611 prevede che «l'Avvocatu-ra dello Stato assume la rappresentanza e la difesa degli impiegati e agenti delle Ammini-strazioni dello Stato o delle amministrazioni o degli enti di cui all'art. 43 nei giudizi civili e penali che li interessano per fatti e cause di servizio, qualora le amministrazioni o gli enti ne facciano richiesta, e l'Avvocato generale dello Stato ne riconosca la opportunità». Dall’altro, l’art. 18 del d.l. 25.3.1997, n. 67, convertito con l. 23.5.1997, n. 135, in vigore per il personale dipendente delle Pubbliche Amministrazioni il cui rapporto non sia stato privatizzato alla stregua dell’art. 2, del d.lgs. 30.3.2001, n. 165, stabilisce che «le spese le-gali relative a giudizi per responsabilità civi-le, penale e amministrativa, promossi nei confronti di dipendenti di amministrazioni statali in conseguenza di fatti ed atti connessi con l'espletamento del servizio o con l'assol-vimento di obblighi istituzionali e conclusi con sentenza o provvedimento che escluda la loro responsabilità, sono rimborsate dalle amministrazioni di ap-partenenza nei limiti riconosciuti congrui dall'Avvocatura dello Stato. Le amministra-zioni interessate, sentita l'Avvocatura dello Stato, possono concedere anticipazioni del rimborso, salva la ripetizione nel caso di sen-tenza definitiva che accerti la responsabili-tà». 3. Precedenti pareri del Comitato Consulti-vo. Si richiamano le massime dei principali pare-ri resi in materia dal Comitato Consultivo. Con parere prot. 173747 del 18.4.2012, in ri-ferimento alla ratio sottesa all’art. 18, cit., è stato precisato che «[…] all’Avvocatura dello Stato non è preclusa la verifica della ricor-renza dei necessari presupposti di legge per la concessione del rimborso. La legittimazio-ne della Scrivente a pronunciarsi sull’an de-beatur si fonda, infatti, sulla sua istituzionale funzione di organo di consulenza legale delle Amministrazioni dello Stato e degli altri Enti ad esse equiparati, ai sensi della più generale norma contenuta nell'art. 13 del r.d. 30.10.1933 n. 1611. Appare, quindi, opportu-no verificare previamente la sussistenza dei requisiti previsti dalla legge in quanto la loro mancanza precluderebbe qualsiasi valutazio-ne circa la congruità delle somme da rimbor-

sare». Successivamente, con parere del 20.2.2014, si è ritenuto dal Comitato Consultivo che «l’Avvocatura è comunque tenuta - a pre-scindere dalle determinazioni assunte dal-l’amministrazione in sede disciplinare - all’autonoma verifica della sussistenza o me-no della connessione con il servizio, in quan-to quest’ultima costituisce uno degli elementi essenziali della fattispecie prevista dall’art. 18, sulla quale l’Avvocatura dello Stato è chiamata a rendere il proprio parere». Infine, con ulteriore parere n. 24075 del 4.6.2014, il Comitato Consultivo ha ribadito che «la norma di cui al citato art. 18, per consolidato indirizzo della giurisprudenza, è norma di stretta interpretazione, e deve esse-re applicata nel senso di rigettare ogni ri-chiesta risarcitoria che non sia suffragata da un provvedimento che escluda qualsiasi pro-filo di responsabilità, risultando applicabile ai soli casi espressamente disciplinati ex le-ge». Invero, la ricostruzione ermeneutica dell’istituto in discorso da parte dell’Avvo-catura, la quale ha trovato conferma in sede giurisprudenziale sia civile che amministrati-va, converge su un’interpretazione restrittiva dei presupposti in presenza dei quali sussiste il diritto al rimborso delle spese legali in ca-po al dipendente coinvolto in un procedimen-to all’esito del quale è risultato assolto nel merito. La stretta interpretazione della normativa in parola trova valida giustificazione nella qua-lificazione dell’istituto del rimborso quale speciale prerogativa riconosciuta ai pubblici funzionari, alla quale è inevitabilmente cor-relato un onere erariale. Secondo tale pro-spettiva l’accollo pubblico delle spese legali de quibus da parte dell’Amministrazione non costituisce un obbligo, cui corrisponde un di-ritto automatico del dipendente interessato, dovendosi viceversa desumere da uno specifi-co e motivato apprezzamento che l’Ammi-nistrazione deve effettuare nel suo esclusivo interesse, in quanto trattasi di valutazione fi-nalizzata ad assicurare un corretto e ragio-nevole impiego delle risorse erariali. In tal senso si precisa che il legislatore, nel porre a carico dell’erario una spesa ulterio-re, ha dovuto ponderare le esigenze economi-che dei dipendenti coinvolti in un procedi-

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mento per ragioni di servizio con quelle di limitazione degli oneri posti a carico dell’Amministrazione, tenendo in debito con-to le esigenze di finanza pubblica che impedi-scono di gravare l’erario di oneri eccedenti quanto necessario e sufficiente per soddisfare gli interessi che sottostanno all’istituto del rimborso delle spese. 4. Giurisprudenza. Si richiamano le principali massime poste a fondamento dell’indirizzo restrittivo adottato dall’Avvocatura dello Stato. In particolare, la Suprema Corte a Sezioni Unite ha di recente precisato che «il pubblico funzionario ingiustamente accusato per fatti inerenti a compiti e responsabilità dell'ufficio ha diritto, ai sensi dell'art. 18 del d.l. 25.3.1997, n. 67, conv. con modif. dalla l. 23.5.1997, n. 135, al rimborso delle spese so-stenute per la sua difesa, la cui entità va ri-conosciuta nei limiti dello "strettamente ne-cessario" secondo il parere di congruità, di natura consultiva, dell'Avvocatura erariale, che - nella prospettiva di un contemperamen-to tra le esigenze di salvaguardia della spesa pubblica e di protezione del dipendente - non pu. limitarsi ad una applicazione pedissequa delle tariffe forensi, ancorata ai minimi tarif-fari, né mirare a tenere indenne da ogni costo l'interessato, ma, nel valutare le necessità di-fensive del funzionario in relazione alle accu-se mosse ed ai rischi del processo penale, nonché la conformità della parcella del di-fensore alla tariffa professionale o ai para-metri vigenti, deve considerare ogni elemento nel rispetto di principi di affidamento, ragio-nevolezza e tutela effettiva dei diritti ricono-sciuti dalla Costituzione» (Cass., S.U., n. 13861 del 6.7.2015, Rv. 635924; v. anche Cass., Sez. Lavoro, Sent. n. 1418 del 23.1.2007, Rv. 594309; anche Cass., n. 9173/13). In considerazione dell’asserita non automati-cità del diritto al rimborso in capo al dipen-dente, si evidenzia che questo consegue all’esito di un’attenta valutazione da parte dell’Amministrazione circa la sussistenza dei predetti requisiti ex lege. In particolare, in linea con quanto recentemente statuito dal T.A.R. Lazio, Latina, Sez. I, 25.2.2015, n. 187, si evidenzia che la tutela approntata dal citato art. 18 subordina il diritto al rimborso

alla ricorrenza di un presupposto giuridico (la sentenza o provvedimento che esclude la responsabilità), nonché a due requisiti, uno soggettivo (la qualità di dipendente di un'Amministrazione statale) ed uno oggettivo (il nesso tra i fatti e/o atti, da cui è originato il giudizio, e l'espletamento del servizio o l'assolvimento di obblighi istituzionali), al fi-ne di riconoscere le spese legali sopportate solo ai soggetti che abbiano agito in nome e per conto, oltre che nell'interesse, dell'Ammi-nistrazione, con la conseguenza che il requi-sito in questione può reputarsi sussistente so-lo quando sia possibile imputare gli effetti dell'agire del pubblico dipendente diretta-mente all'Amministrazione di appartenenza (TAR Lazio, Roma, Sez. II, 7.2.2014, n. 1487). Si è altresì specificato che, ai fini dell'appli-cabilità dell'art. 18, cit., è richiesto un nesso di strumentalità diretto tra l'adempimento del dovere e il compimento dell'atto o condotta, nel senso che il dipendente pubblico non a-vrebbe assolto ai suoi compiti se non ponen-do in essere quel determinato atto o condotta. Non pu., invece, darsi rilevanza ad una con-nessione con il fatto di reato di tipo soggetti-vo ed indiretto in quanto lo spazio di applica-zione della tutela legale si dilaterebbe ecces-sivamente, ben oltre i confini segnati dal pre-detto art. 18 (cfr. CdS, Sez. III, 10.12.2013, n. 5919). Il giudizio di connessione tra la condotta at-tribuita al dipendente e l'assolvimento, da parte sua, dei compiti istituzionali, andrà ef-fettuato in concreto, facendo riferimento al giudizio di fatto formulato dall'organo giudi-cante che ha emanato il provvedimento con-clusivo del giudizio (cfr. T.A.R. Lazio, Latina, Sez. I, 12.3.2014, n. 195). Altro requisito indispensabile ai fini della concessione del beneficio del rimborso è l’assenza, in riferimento alla fattispecie con-creta, di un conflitto di interessi tra dipen-dente e Amministrazione. Il rapporto di im-medesimazione organica che lega l’Ammini-strazione al titolare di un proprio organo comporta, infatti, l’imputazione alla prima degli atti compiuti dal secondo nell’esple-tamento delle competenze demandategli. In materia di rimborso delle spese legali soste-nute dal dipendente di un’Amministrazione

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per la propria difesa in un procedimento pe-nale, il conflitto d'interessi è rilevante indi-pendentemente dall'esito del giudizio penale e dalla relativa formula di assoluzione. Ne con-segue che non compete il rimborso delle spe-se legali qualora il giudice penale abbia evi-denziato che i fatti ascrittigli esulavano dalla funzione svolta e costituivano grave violazione dei doveri d’ufficio (Cass., Sez. Lavoro, Sent. n. 2297 del 3.2.2014, Rv. 630383). In considerazione di quanto illustrato, secon-do l’opinione maggioritaria non deve ritener-si che tale meccanismo giuridico sia onni-comprensivo e illimitato; il rapporto di im-medesimazione organica si interrompe, infat-ti, allorquando la persona fisica titolare dell’organo abbia agito per fini estranei ai compiti affidati e quindi alla funzione attri-buita ex lege alla P.A. In tal senso, anche la giurisprudenza amministrativa secondo la quale «al dipendente pubblico assolto in sede penale per non aver commesso il fatto, non spetta la refezione delle spese di lite da parte dell’amministrazione di appartenenza [...] qualora i fatti contestati in sede penale (e-sempio truffa aggravata a danno della p.a.) evidenzino un conflitto di interessi con l’ente» (TAR Toscana, sez. II, n. 656/1999); e ciò poiché «la circostanza che siano adottati atti d’ufficio nell’esclusivo interesse dell’amministrazione, rappresenta il presup-posto per l’amministrazione per farsi carico delle spese di difesa del dipendente nel pro-cesso penale» (TAR Lombardia, sez. III, n. 14/1993). Tale rimborso è altresì «previsto anche nell’interesse dell’Amministrazione di evitare che il timore dei dipendenti, adibiti a servizi pericolosi, di dover sopportare gli oneri deri-vanti dai correlati rischi giudiziari, provochi una minore efficacia dei servizi stessi» (Corte d’Appello Palermo, 8.4.2015, n. 417). In aggiunta, si rileva che le ragioni di una simile tutela vanno individuate nel fatto che il dipendente e/o l’Amministratore pubblico, convenuto in giudizio in tale sua veste, non è portatore di un interesse suo proprio, ma dell’ente per il quale ha agito. Il fatto che il dipendente e/o l’Amministratore pubblico sia portatore di un interesse altruistico, che si ri-versa a beneficio della collettività di cui

l’Ente è espressione, pone l’esigenza che l’Ente medesimo tenga indenne il dipendente stesso per le spese legali sostenute ogni qual-volta sia chiamato a rispondere del suo ope-rato pubblico in sede penale, civile ed ammi-nistrativa. La stretta connessione fra i fatti che hanno dato origine al provvedimento e l'espletamen-to del servizio e/o l'assolvimento degli obbli-ghi istituzionali, va pertanto ritenuta sussi-stente qualora sia possibile ricondurre l'atti-vità del pubblico dipendente direttamente all'Amministrazione di appartenenza. La Su-prema Corte parla al riguardo di "comunan-za di interessi" perseguiti attraverso il reato ipotizzato con quello dell'ente pubblico di appartenenza, che si verifica laddove il fine ultimo perseguito da quest'ultimo avrebbe po-tuto essere realizzato solo con quella condot-ta (Cass., Sez. I, Sent. n. 24480 del 30.10.2013, Rv. 628191). Con riferimento al quantum, poi, la giuri-sprudenza è univoca nel ritenere che il rico-noscimento del quantum da liquidare a titolo di rimborso sia limitato a quanto strettamente necessario in considerazione della sua inci-denza sulla finanza pubblica, oltre che su-bordinato al discrezionale vaglio di congruità dell'Avvocatura dello Stato, organo tecnico qualificato per effettuare il sindacato sulla parcella in relazione alle necessità difensive del dipendente rispetto alle accuse ed ai ri-schi del giudizio, il che esclude la coinciden-za tra il diritto al rimborso delle spese legali con quanto effettivamente pagato dal dipen-dente, trattandosi di un diritto da soddisfare e liquidare nei termini riconosciuti congrui dall'Avvocatura dello Stato in base all'utilizzo di precisi criteri di congruità, che garanti-scono contestualmente il rispetto dei valori costituzionali dell'affidamento, della ragione-volezza e della tutela effettiva dei diritti, ade-guatamente bilanciandolo con l'esigenza di contenimento della spesa. 5. Considerazioni e conclusioni. Si profila, al riguardo, la seguente soluzione rispetto al quesito posto da codesta Ammini-strazione, che, ritenendo esclusa ex post ogni ipotesi di conflitto tra l’Amministrazione e i dipendenti assolti, dissente dal parere reso dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli che, sulla base dei principi soprae-

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sposti, ha negato il rimborso delle spese lega-li. Aderendo alla ricostruzione prevalente, diffusamente esposta nei precedenti paragra-fi, deve confermarsi il parere dell’Avvocatura Distrettuale di Napoli e negarsi valore vinco-lante, per il prescritto parere dell’Avvoca-tura, alla presa di posizione dell’Am-ministrazione in ordine all’assenza di conflitti d’interesse con i propri dipendenti oltre che al riconoscimento dell’assenza in capo a que-sti di profili di responsabilità a titolo disci-plinare (cos., il parere Co.Co., prot. 173747 del 18.4.2012, secondo il quale «[…] all’Avvocatura dello Stato non è preclusa la verifica della ricorrenza dei necessari pre-supposti di legge per la concessione del rim-borso)». Tale soluzione, in linea con l’orientamento riconosciuto valido dalla giurisprudenza ob-bligherebbe le Amministrazioni dissenzienti, come nel caso di specie, ad adottare un atto di riconoscimento delle spese legali con au-tonoma motivazione idonea a superare il dis-

senso espresso sull’an dall’Avvocatura. Secondo la ricostruzione ermeneutica illu-strata, anche considerando la funzione con-sultiva generale dell’Avvocatura dello Stato (art. 13 r.d. 1611/1933) indipendentemente cioé dal parere previsto da disposizioni quali l’art. 18 citato, si deve confermare il parere reso dall’Avvocatura Distrettuale di Napoli in quanto aderente al dettato e alla ratio dell’art. 18 d.l. n. 67/1997 così come inter-pretato dall’Avvocatura dello Stato sulla base dei precedenti pareri del Comitato Consultivo e della consolidata giurisprudenza civile e amministrativa. Conseguentemente, l’Amministrazione per di-scostarsi da tale parere dovrà dare adeguata motivazione, non essendo tuttavia possibile un mero rinvio per relationem ad altri atti ma essendo necessaria una motivazione idonea a superare il dissenso dell’Avvocatura dello Stato. In tal senso si è espresso il Comitato consul-tivo nella seduta del giorno 11.1.2016.

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PARERI

Questa sezione della Gazzetta Amministrativa raccoglie la pare-ristica redatta dall’AVVOCATURA DELLO STATO

DOMANDA Problematiche interpretative relative alla e-quiparazione delle vittime del terrorismo ai grandi invalidi di guerra. Parere 28.10.2015-482067, Al 28802/15, Avv. Roberta Tortora. RISPOSTA Con la nota in riferimento codesta Ammini-strazione propone alla Scrivente alcune pro-blematiche interpretative con-cernenti i coo. 1 e 2 dell’art. 4 della l. n. 206/2004, che cos. dispongono: “1. Coloro che hanno subito un'invalidità permanente pari o superiore all'80 per cento della capacità lavorativa, causata da atti di terrorismo e dalle stragi di tale matrice, sono equiparati, ad ogni effetto di legge, ai grandi invalidi di guerra di cui all'art. 14 del testo unico di cui al d.P.R. 23.12.1978, n. 915. A tale fine è autorizzata la spesa di 126.432 euro per l'anno 2004, di 128.960 euro per l'anno 2005 e di 131.539 euro a decorrere dall'anno 2006. 2. A tutti coloro che hanno subito un'invalidi-tà permanente pari o superiore all'80 per cento della capacità lavorativa, causata da atti di terrorismo e dalle stragi di tale matri-ce, è riconosciuto il diritto immediato alla pensione diretta, in misura pari all'ultima re-tribuzione percepita integralmente dall'aven-te diritto e rideterminata secondo le previsio-ni di cui all'art. 2, co. 2. Per tale finalità è autorizzata la spesa di 156.000 euro a decorrere dall'anno 2004. A-gli effetti di quanto disposto dal presente comma, è indifferente che la posizione assi-curativa obbligatoria inerente al rapporto di lavoro dell'invalido sia aperta al momento

dell'evento terroristico o successivamente. In nessun caso sono opponibili termini o altre limitazioni temporali alla titolarità della po-sizione e del diritto al beneficio che ne con-segue”. Il primo quesito proposto riguarda il signifi-cato da attribuire all’espressione “sono e-quiparati”, contenuta nel primo com-ma: ci si chiede, cioè, se tale equiparazione debba comportare il riconoscimento, in aggiunta i trattamenti già in godimento a titolo di vitti-me del terrorismo, anche del trattamento pensionistico di guerra, ovvero se l’equi-parazione riguardi i trattamenti fruiti in base ai rispettivi titoli. A tale proposito si ritiene che l’intenzione del legislatore fosse quella di equiparare il regi-me giuridico delle due categorie (le vittime del terrorismo ed i grandi invalidi di guerra), ma non quella di cumulare le due provviden-ze né quella di attribuire alle vittime del ter-rorismo una provvidenza ulteriore ed aggiun-tiva rispetto a quelle già loro spettanti. A tale conclusione può pervenirsi, innanzitut-to, avendo riguardo alla lettera della norma, che stabilisce un’equiparazione ma non attri-buisce espressamente le provvidenze spettanti ai grandi invalidi di guerra. Peraltro anche dai lavori preparatori della legge (Resoconto della I Commissione per-manente - Affari costituzionali, della Presi-denza del Consiglio e Interni, relazione dell’On. le Giovanni Mongiello) emerge che l’equiparazione con i grandi invalidi di guer-ra è riconosciuta “ai fini delle speciali prov-videnze a questi attribuite dagli articoli 14 e seguenti del testo unico sulle pensioni di

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Giustizia e Affari Interni

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guerra approvato con decreto del Presidente della Repubblica n. 915 del 1978”. Ciò significa che non si è inteso attribuire un ulteriore trattamento pensionistico, ma solo attribuire anche alle vittime del terrorismo le “speciali provvidenze” in godimento ai gran-di invalidi di guerra. Del resto la suesposta interpretazione è l’unica che determina un’effettiva equipara-zione delle vittime del terrorismo ai grandi invalidi di guerra: infatti, qualora venisse ri-conosciuta una duplicazione del trattamento pensionistico alle sole vittime del terrorismo si verificherebbe un evidente vantaggio, con conseguente disparità di trattamento, per le vittime del terrorismo rispetto ai grandi inva-lidi di guerra, i quali continuano a percepire un solo trattamento pensionistico. Dunque non si verificherebbe un’equi-parazione, ben-sì si attribuirebbe un ingiustificato vantaggio ad una sola categoria. Un ulteriore elemento a suffragio di tale in-terpretazione può essere desunto dall’esi-guità dello stanziamento previsto, che sareb-be stato assai più consistente qualora il legi-slatore avesse inteso riconoscere ai benefi-ciari una doppia pensione. Pertanto è da ritenersi che l’equiparazione riguardi solo i trattamenti fruiti dalle due ca-tegorie, ma che alle vittime del terrorismo non spetti il riconoscimento di un trattamento pensionistico ulteriore (quello spettante ai grandi invalidi di guerra). Non si pone, pertanto, un problema di cumulo tra trattamenti pensionistici diversi. L’equiparazione, quindi, deve essere intesa nel senso che è necessario estendere alle vit-time del terrorismo il complesso delle inden-nità accessorie ed assistenziali previste per i grandi invalidi di guerra, in presenza delle medesime condizioni previste per la loro ero-gazione. Cos. alle vittime di atti di terrorismo o di stragi di tale matrice con invalidità perma-nente superiore all’80% spetta l’assegno di superinvalidità o assegno integrativo di cui all’art. 15 d.P.R. 915/1978, a norma del qua-le ai gradi invalidi di guerra, oltre alla pen-sione, compete, qualora siano affetti da le-sioni o infermità elencate nella tabella E, an-nessa al medesimo D.P.R. n. 915/1978, un assegno per superinvalidità, non riversibile,

mentre, qualora le lesioni o infermità non rientrino tra quelle previste dalla tabella E, ma comunque l’invalido abbia i requisiti per godere di una pensione di 1^ categoria, spet-ta un assegno integrativo, non riversibile, in misura pari alla metà dell'assegno di superinvalidità previsto nella lettera H della tabella E. Allo stesso modo alle vittime di atti di terrori-smo o di stragi di tale matrice con invalidità permanente superiore all’80% spettano gli assegni di cumulo previsti per i grandi inva-lidi di guerra per il caso in cui con una inva-lidità ascrivibile alla 1ª categoria della tabel-la A coesistano altre infermità. Anche l’assegno sostitutivo dell’accom-pagnatore di cui all’art. 21 del d.P.R. n. 915/1978 dovrà essere corrisposto, ricorren-done i requisiti, anche alle vittime di atti di terrorismo o di stragi di tale matrice con in-validità permanente superiore all’80%. Del resto le problematiche evidenziate da co-desta Amministrazione in ordine alla specifi-cità delle infermità che danno titolo all’erogazione dell’assegno sostitutivo del-l’accompagnatore appaiono del tutto supera-bili, considerato che dette infermità specifi-che possono essere causate anche da atti ter-roristici. Infatti, l’art. 1 L. n. 288/2002 riconosce il di-ritto all’assegno sostitutivo dell’accompa-gnatore “ai grandi invalidi affetti dalle in-fermità di cui alle lettere A), numeri 1), 2), 3) e 4), secondo comma, e A-bis) della tabella E allegata al medesimo testo unico di cui al de-creto del Presidente della Repubblica n. 915 del 1978”, individuando, cos. le seguenti spe-cifiche patologie, la cui presenza determina il diritto all’assegno de quo: “1) Alterazioni organiche e irreparabili di ambo gli occhi che abbiano prodotto cecità bilaterale assoluta e permanente. 2) Perdita anatomica o funzionale di quattro arti fino al limite della perdita totale delle due mani e dei due piedi insieme. 3) Lesioni del sistema nervoso centrale (ence-falo e midollo spinale) che abbiano prodotto paralisi totale dei due arti inferiori e paralisi della vescica e del retto (paraplegici rettove-scicali). 4) Alterazioni delle facoltà mentali tali da ri-chiedere trattamenti sanitari obbligatori in

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Gazzetta Amministrativa -216- Numero 1- 2016

condizioni di degenza nelle strutture ospeda-liere pubbliche o convenzionate [anche suc-cessivamente alla dimissione “quando la ma-lattia mentale determini gravi e profondi per-turbamenti della vita organica e sociale e ri-chieda il trattamento sanitario obbligatorio presso i centri di sanità mentale e finché dura tale trattamento”]. 1) La perdita di ambo gli arti superiori fino al limite della perdita delle due mani. 2) La disarticolazione di ambo le cosce o l'amputazione di esse con la impossibilità as-soluta e permanente dell'applicazione di ap-parecchio di protesi”. Si tratta, dunque, di patologie tassativamente individuate, che ben possono verificarsi an-che a seguito di atti terroristici. Ove ciò avvenga, alla vittima spetterà l’assegno in questione. Proprio dalla circo-stanza che la corresponsione del predetto as-segno non è connessa ad una determinata percentuale di invalidità, bens. alla presenza di specifiche patologie discende l’irrilevanza dei diversi criteri di calcolo della percentuale di invalidità previsti per le pensioni di guerra rispetto alle pensioni riconosciute alle vittime del terrorismo. Per le provvidenze per le qua-li, invece, rilevi la percentuale di invalidità riconosciuta, troverà applicazione l’art. 3 del d.P.R. n. 181/2009, recante il “Regolamento recante i criteri medico-legali per l'accerta-mento e la determinazione dell'invalidità e del danno biologico e morale a carico delle vittime del terrorismo e delle stragi di tale matrice, a norma dell'art. 6 della l. 3.8.2004,

n. 206”, il quale cos. dispone: “Per l'accer-tamento dell'invalidità si procede tenendo conto che la percentuale d'invalidità perma-nente (IP), riferita alla capacità lavorativa, è attribuita scegliendo il valore più favorevole tra quello determinato in base alle tabelle per i gradi di invalidità e relative modalità d'uso approvate, in conformità all’art. 3, co. 3, del-la l. 29.12.1990, n. 407, con il decreto del Ministro della sanità in data 5.2.1992, e suc-cessive modificazioni, pubblicato nel supple-mento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 47 del 26.2.1992, e quello determinato in base alle tabelle A, B, E ed F1 annesse al decreto del Presidente della Repubblica 23.12.1978, n. 915, e successive modificazioni, e relativi criteri applicativi. Alla classifica di cui alle categorie della tabella A e alla tabella B sono equiparate le fasce percentuali d'invalidità permanente, riferite alla capacità lavorativa, secondo le corrispondenze indicate nella ta-bella in allegato 1. Alle invalidità o mutila-zioni di prima categoria della tabella A che risultino contemplate anche nella tabella E corrisponde una invalidità permanente non inferiore al 100%”. Quanto alle problematiche concernenti la mi-sura (ingente) degli oneri destinati a gravare sulla finanza pubblica, valuterà codesta Am-ministrazione la necessità di apportare modi-fiche normative al fine di assicurare la coper-tura finanziaria. Sul presente parere si è pronunciato il Comi-tato Consultivo dell’Avvocatura dello Stato, che si è espresso in conformità.

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Incentivi e Sviluppo Economico

Gazzetta Amministrativa -217- Numero 1- 2016

INCENTIVI E SVILUPPO ECONOMICO

NOTIZIE E AGGIORNAMENTI BUONI PER L'ACQUISTO DI BENI E SERVIZI A FAVORE DI NUCLEI FAMILIARI CON UN NUMERO DI FIGLI PARI O SUPERIORE A QUAT-TRO: IN G.U. IL DECRETO Il Ministero del Lavoro rendo noto che è sta-to pubblicato sulla G.U. il Decreto presiden-ziale che determina l'ammontare massimo del beneficio a favore dei nuclei familiari con un numero di figli minori, pari o superiore a quattro, in possesso di una situazione econo-mica corrispondente a un valore ISEE non superiore a 8.500,00 euro annui (Comunica-to del Ministero del Lavoro del 22.2.2016).

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PRESTITO VITALIZIO IPOTECARIO: IN GAZZETTA UFFICIALE IL REGO-LAMENTO È stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 38 del 16.2.2016 il decreto del Ministero del-lo Sviluppo economico recante " Regolamen-to recante norme in materia di disciplina del prestito vitalizio ipotecario, ai sensi dell'art. 11-quaterdecies, co. 12-quinquies, del d.l. 30.9.2005, n. 203, convertito, con modifica-zioni, dalla l. 2.12.2005, n. 248, come modifi-cato dall'art. 1, co. 1, della l. 2.4.2015, n. 44" (Regolamento pubblicato sulla Gazzetta Uf-ficiale n. 38 del 16.2.2016).

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NEGOZIAZIONE ASSISTITA: IN GAZ-ZETTA UFFICIALE GLI INCENTIVI FISCALI NELLA FORMA DEL CRE-DITO D'IMPOSTA Sulla Gazzetta Ufficiale Serie Generale n.5 del 8.1.2016 è stato pubblicato il decreto 23.12.2015 del Ministero della Giustizia re-cante "Incentivi fiscali nella forma del credito d'imposta nei procedimenti di negoziazione assistita" ( Decreto del Ministero della Giu-stizia pubblicato sulla G.U. n. 5 del 8.1.2016).

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MIUR: PUBBLICATO SULLA G.U. IL BANDO PRIN 2015 È stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Serie Generale n.5 del 8.1.2015 il Decreto n. 2488 del Ministero dell'Istruzione, del-l'Universita e della Ricerca recante "Bando PRIN 2015" (Decreto del Ministero dell'I-struzione in G.U. n. 5 del 8.1.2016).

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PRODOTTI AGRICOLI E ALIMEN-TARI: CONCESSIONI DI CONTRIBUTI PER LA SALVAGUARDIA DELLE CA-RATTERISTICHE DI QUALITÀ

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Incentivi e Sviluppo Economico

Gazzetta Amministrativa -218- Numero 1- 2016

È stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il decreto 28.7.2015 del Ministero delle Politi-che agricole, alimentari e forestali recante "Determinazione dei criteri e delle modalita´ per la concessione di contributi, concernenti la valorizzazione e la salvaguardia delle ca-ratteristiche di qualita´ dei prodotti agricoli ed alimentari, contraddistinti da riconosci-mento U.E., ai sensi dei regolamenti (UE) n. 1151/2012, (UE) n. 1308/2013" (Decreto del Ministero delle Politiche agricole pubblicato in Gazzetta Ufficiale Serie Generale n.209 del 9.9.2015).

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NUOVE RISORSE INTERVENTI AGEN-DA DIGITALE E INDUSTRIA SOSTE-NIBILE E CONDIZIONI DI UTILIZZO: IN G.U. IL D.M. 24.7.2015 È stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. n. 222 del 24.9.2015 il decreto 24.7.2015 del Ministero dello Sviluppo economico. Il de-creto ministeriale definisce le disposizioni di raccordo tra le procedure e i criteri per la concessione ed erogazione delle agevolazioni previsti dai DD.MM. 15.10.2014 per i bandi “Agenda digitale” e “Industria sostenibile” e la disciplina delle modalità di utilizzo del Fondo rotativo per il sostegno alle imprese e gli investimenti in ricerca (FRI), di cui al d.m. 23.2.2015. Lo stesso decreto, inoltre, individua l’ammontare delle risorse da destinare ai due bandi, nella misura di 100 milioni per Agen-da digitale e 350 milioni per Industria soste-nibile, a valere sullo stesso FRI per la con-cessione di agevolazioni nella forma del fi-nanziamento agevolato, nonché nella misura di 20 milioni per Agenda digitale e 60 milioni per Industria sostenibile, a valere sul FCS per la concessione di agevolazioni nella for-ma del contributo alla spesa. Gli stanziamenti di risorse previsti dal decre-to saranno utilizzati previo esaurimento delle risorse del Fondo crescita sostenibile indivi-duate nei DD.MM. 15.10.2014 e previa aper-tura di nuovi termini per la presentazione delle domande. Con successivo provvedimento sarà resa nota la data a decorrere dalla quale possono esse-

re presentate le domande di agevolazione, nonché le indicazioni operative e la moduli-stica necessarie (Decreto del Ministero dello Sviluppo economico 24.7.2015 sulla Gazzet-ta Ufficiale n. 222 del 24.9.2015).

«::::::::: GA :::::::::» AGEVOLAZIONI ALLE IMPRESE PER LA DIFFUSIONE E IL RAFFORZA-MENTO DELL’ECONOMIA SOCIALE: IN GAZZETTA UFFICIALE D.M. 3.7.2015 È stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 224 del 26.9.2015 il d.m. 3.7.2015 del Mini-stero dello Sviluppo economico recante “A-gevolazioni alle imprese per la diffusione e il rafforzamento dell’economia sociale” (De-creto del Ministero dello Sviluppo economi-co 3.7.2015 pubblicato sulla Gazzetta Uffi-ciale n. 224 del 26.9.2015).

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DISPOSIZIONI RECANTI MISURE PER LA CRESCITA E L'INTERNAZIONALIZZA-ZIONE DELLE IMPRESE È stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 220 del 22.9.2015 il D.lgs. n. 147 del 14.9.2015 recante “Disposizioni recanti misure per la crescita e l'internazionaliz-zazione delle imprese” (D.lgs. n.147 del 14.09.2015 pubblicato sulla Gazzetta Uffi-ciale n. 220 del 22.9.2015).

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DISPOSIZIONI PER IL RIORDINO DELLA NORMATIVA IN MATERIA DI AM-MORTIZZATORI SOCIALI IN COSTANZA DI RAPPORTO DI LAVORO, IN ATTUA-ZIONE DELLA L. 10.12.2014, N. 183 È stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 221 del 23.9.2015 - Suppl. Ordinario n. 53 il D.lgs. n. 148 del 14.9.2015 recante “Dispo-sizioni per il riordino della normativa in materia di ammortizzatori sociali in costanza di rapporto di lavoro, in attuazione della l.

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Incentivi e Sviluppo Economico

Gazzetta Amministrativa -219- Numero 1- 2016

10.12.2014, n. 183” (D.lgs. n.148 del 14.9.2015 pubblicato sulla Gazzetta Ufficia-

le n.221 del 23.9.2015 - Suppl. Ordinario n. 53).

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GIURISPRUDENZA Corte Costituzionale, 11.2.2016 n. 29 Art. 28 del d.l. 24/06/2014, n. 90, convertito, con modificazioni, dall'art. 1, co. 1, della leg-ge 11.8.2014, n. 114. 1.– La Regione siciliana impugna l’art. 28 del d.l. 24.6.2014, n. 90 (Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, co. 1, della l. 11.8.2014, n. 114. La norma censurata prevede quanto segue: «1. Nelle more del riordino del sistema delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, l’importo del diritto annuale di cui all’art. 18 della l. 29.12.1993, n. 580, e successive modificazioni, come determinato per l’anno 2014, è ridotto, per l’anno 2015, del 35 per cento, per l’anno 2016, del 40 per cento e, a decorrere dall’anno 2017, del 50 per cento. 2. Le tariffe e i diritti di cui all’art. 18, co. 1, lett. b), d) ed e), della l. 29.12.1993, n. 580, e successive modificazioni, sono fissati sulla base di costi standard definiti dal Ministero dello sviluppo economico, sentite la Società per gli studi di settore (SOSE) Spa e l’Unioncamere, secondo criteri di efficienza da conseguire anche attraverso l’accorpamento degli enti e degli organismi del sistema camerale e lo svolgimento delle funzioni in forma associata. 3. Dall’attuazione del presente art. non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica». Secondo la ricorrente, la norma (nella parte in cui riduce l’importo del diritto annuale delle Camere di commercio, del 35 per cento per l’anno 2015, del 40 per cento per l’anno 2016, e, a decorrere dall’anno 2017, del 50 per cento, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica) si porrebbe in contrasto: a) con l’art. 14, lett. d), o), p) e q) del regio d.lgs 15.5.1946, n. 455 (Approvazione dello statuto della Regione siciliana), poiché – sulla premessa che le Camere di commercio abbiano natura di enti pubblici locali dotati di autonomia funzionale e rientranti nel sistema dei poteri locali – víola la competenza

legislativa esclusiva di essa Regione in materia di «industria e commercio», estesa all’orga-nizzazione e funzionamento degli organismi di autogoverno degli imprenditori commerciali ed industriali (art. 14, lett. d); in materia di «regime degli enti locali» (art. 14, lett. o) e di «ordinamento degli uffici e degli enti regionali» (art. 14, lett. p), nonché in materia di «stato giuridico ed economico» del relativo personale (art. 14, lett. q); b) con l’art. 119 Cost., in quanto le Camere di commercio sono soggette agli obblighi di equilibrio ed autonomia finanziaria dei propri bilanci; c) con l’art. 3 Cost., perché la riduzione ope legis dei contributo annuale è irragionevolmente adottata a prescindere (oltre che dalle realtà economiche dei diversi territori e dalla peculiarità dell’assetto competenziale regionale) dal fabbisogno correlato ai servizi da espletare ed in assenza sia di eventuale coeva riduzione delle competenze e delle funzioni di detti enti che di misure compensative a loro favore; d) con gli artt. 81 e 97 Cost., per la carenza della necessaria attestazione della copertura finanziaria e per la violazione del principio di corretto andamento della pubblica amministrazione; e) con gli artt. 14, lett. q), e 36 dello statuto, 97 e 119 Cost., poiché grava negativamente ed immedia-tamente sulla tenuta economico-finanziaria delle Camere di commercio siciliane, e sulla loro possibilità di far fronte alle retribuzioni ed emolumenti del personale (artt. 14, lettera q, dello statuto, e 97 Cost.); con incidenza sulla autonomia della finanza pubblica regionale (art. 36 dello statuto) e sulla garanzia delle autonomie funzionali locali (art. 119 Cost.). 2.– Preliminarmente, va rilevato che la generale previsione, senza esplicite eccezioni, della riduzione del diritto annuale camerale (nelle more del riordino del sistema delle Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura), costituisce un insuperabile indice testuale e sistematico a riprova del fatto che la previsione oggetto di impugnazione trova

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applicazione nei confronti di tutte le Camere di commercio nell’intero territorio nazionale, e quindi anche nella Regione siciliana (sentenza n. 131 del 2015). 2.1.– Sempre in via preliminare – e per quanto possa rilevare – va ribadita la possibilità per la Regione di denunciare la legge statale per dedotta violazione di competenze degli enti locali. Questa Corte ha in più occasioni affermato (anche specificatamente in tema di finanza regionale e locale: sentenza n. 311 del 2012) che «le Regioni sono legittimate a denunciare la legge statale anche per la lesione delle attribuzioni degli enti locali, [pure] indipendentemente dalla prospettazione della violazione della competenza legislativa regionale», perché «la stretta connessione, in particolare [...] in tema di finanza regionale e locale, tra le attribuzioni regionali e quelle delle autonomie locali consente di ritenere che la lesione delle competenze locali sia potenzialmente idonea a determinare una vulnerazione delle competenze regionali» (ex plurimis, sentenze n. 220 del 2013, n. 298 del 2009, n. 169 e n. 95 del 2007, n. 417 del 2005 e n. 196 del 2004). Tale prospettazione è dunque sufficiente a rendere ammissibile la questione, restando ovviamente riservata all’esame del merito la valutazione della sua fondatezza. 2.2.– Infine, l’Avvocatura generale dello Stato ha, in limine, eccepito l’inammissibilità delle censure riferite agli artt. 3, 81 e 97 Cost. per mancata motivazione in ordine alla loro ridondanza sulla sfera delle competenze regionali. In effetti, la Regione – nell’evocare la lesione di parametri costituzionali estranei rispetto a quelli che regolano il riparto di competenze tra Stato e Regioni – non motiva in alcun modo in ordine alla configurabilità di tale requisito. In particolare, relativamente agli artt. 81 e 97 Cost., la ricorrente (in ragione del, non altrimenti dimostrato, assunto di una loro generica lesione) si limita a richiamarne il contenuto precettivo e di principio; mentre, quanto all’art. 3 Cost., viene dedotta la irragionevolezza della riduzione ope legis del contributo annuale, in quanto operata a prescindere dalle realtà economiche dei diversi territori e dalla peculiarità dell’assetto competenziale regionale, nonché dal fabbisogno correlato ai (non meglio

identificati) servizi da espletare, in assenza sia di eventuale coeva riduzione delle competenze e delle funzioni di detti enti che di misure compensative a loro favore. Argomentando in tal modo, la ricorrente contravviene al consolidato principio affermato da questa Corte, secondo cui, nell’àmbito di un giudizio in via principale, le questioni di legittimità costituzionale prospettate da una Regione, in ordine a parametri diversi da quelli riguardanti il riparto delle competenze legislative tra lo Stato e le Regioni, sono ammissibili soltanto se vi sia ridondanza delle asserite violazioni su tale riparto e il soggetto ricorrente abbia indicato le specifiche competenze ritenute lese e le ragioni della lamentata lesione (ex plurimis, da ultimo, sentenze n. 251, n. 153, n. 89 e n. 13 del 2015, n. 79 e n. 44 del 2014). Le censure riguardanti gli artt. 3, 81 e 97 Cost. risultano, dunque, inammissibili. 3.– Nel merito, le rimanenti impugnazioni riferite agli altri parametri non sono fondate. 3.1.– La ricorrente muove dalla premessa secondo cui le Camere di commercio vanno qualificate come enti pubblici locali dotati di autonomia funzionale, rientranti dunque nel sistema dei poteri locali. Essa inoltre denuncia la violazione della propria competenza legislativa esclusiva in materia di «industria e commercio» estesa all’organizzazione e funzionamento degli organismi di autogoverno degli imprenditori commerciali ed industriali (ai sensi dell’art. 14, lettera d, dello statuto); in materia di «regime degli enti locali» (art. 14, lettera o) e di «ordinamento degli uffici e degli enti regionali» (art. 14, lettera p) e di «stato giuridico ed economico» del relativo personale (art. 14, lettera q); nonché in materia di incidenza sulla autonomia della finanza pubblica regionale (art. 36 dello statuto), e di garanzia delle autonomie funzionali locali (art. 119 Cost.). A tale riguardo, va innanzitutto rilevato che l’art. 1, co. 1, della l. 29.12.1993, n. 580 (Riordinamento delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura) non contempla affatto l’asserita attribuzione a dette Camere della natura di enti locali, ma sancisce che «Le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, di seguito

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denominate: “camere di commercio”, sono enti pubblici dotati di autonomia funzionale che svolgono, nell’ambito della circoscrizione territoriale di competenza, sulla base del principio di sussidiarietà di cui all’art. 118 della Costituzione, funzioni di interesse generale per il sistema delle imprese, curandone lo sviluppo nell’ambito delle economie locali». Inoltre, va sottolineato che la Regione siciliana (diversamente dalla Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol, alla quale sono attribuite la competenza legislativa esclusiva in materia di «ordinamento delle camere di commercio» e la titolarità delle relative funzioni amministrative, rispetti-vamente ai sensi degli artt. 4, numero 8, e 16 del d.P.R. 31.8.1972, n. 670, recante «Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige»: sentenze n. 273 del 2007 e n. 477 del 2000) non vanta statutariamente una analoga competenza esclusiva in materia di Camere di commercio. 3.2.– Soprattutto, come anche eccepito dalla difesa dello Stato, la disposizione de qua – specificamente censurata nella parte in cui prevede la riduzione percentuale, nel triennio 2015-2017, dell’importo del diritto annuale camerale (come determinato per il 2014) – non incide su alcuna delle suddette evocate materie statutarie, né lede i princípi evocati dalla ricorrente, giacché essa non disciplina il funzionamento delle Camere di commercio, concernendo viceversa la misura del diritto camerale e quindi essendo ascrivibile alla diversa materia del «sistema tributario», indicata dalla lettera e) del secondo co. dell’art. 117 Cost., di competenza esclusiva dello Stato. Il diritto camerale in questione – anche per consolidata affermazione giurisprudenziale (sentenze Corte di cassazione, sezioni unite civili, 25.10.1999, n. 742; 24.6.2005, n. 13549; 23.4.2008, n. 10469; e sezione tributaria, sentenza 6.3.2015, n. 4576) – ha natura di tributo, istituito e regolato per legge dello Stato (ex art. 34 del d.l. 22.12.1981, n. 786, recante «Disposizioni in materia di finanza locale»), rispetto al quale la determinazione dell’aggiornamento, della riscossione e della ripartizione della misura è affidata (ai sensi

dell’art. 18, co. 4 e seguenti, della l. n. 580 del 1993) al Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sentite l’Unioncamere e le orga-nizzazioni di categoria maggiormente rappresentative a livello nazionale. E poiché il diritto di cui trattasi non è riconducibile all’autonomia impositiva delle Camere di commercio, dal momento che a tali enti (estranei alla categoria degli enti locali) è attribuita soltanto la riscossione della prestazione patrimoniale, va, altresì, escluso che esso possa essere considerato “tributo locale”, non essendo frutto del potere impositivo di un ente locale (Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenza n. 742 del 1999, già citata). 3.3.– Orbene, questa Corte ha in varie occasioni precisato che i tributi istituiti e regolati da una legge dello Stato (anche quando il relativo gettito sia parzialmente destinato a un ente territoriale, come appunto per la Regione siciliana, ai sensi degli artt. 36 dello statuto e 2 del d.P.R. 26.7.1965, n. 1074, recante «Norme di attuazione dello Statuto della Regione siciliana in materia finanziaria») conservano inalterata la loro natura di tributi erariali (ex multis, sentenze n. 131 del 2015, n. 26 del 2014, n. 97 del 2013, n. 123 del 2010, n. 216 del 2009, n. 397 del 2005, n. 37 del 2004, n. 296 del 2003). Conseguentemente, il legislatore statale può sempre modificarli, diminuirli o persino sopprimerli, senza che ciò comporti una violazione dell’autonomia finanziaria regionale, in quanto lo statuto di autonomia non assicura alla Regione siciliana una garanzia di “invarianza” quantitativa di entrate, con il solo limite che la riduzione delle entrate non sia, però, di entità tale da rendere impossibile lo svolgimento delle funzioni regionali nell’àmbito dei rapporti finanziari tra Stato e Regioni. Sono quindi legittime le riduzioni delle risorse, purché non siano tali da comportare uno squilibrio incompatibile con le complessive esigenze di spesa e, in definitiva, non rendano insufficienti i mezzi finanziari dei quali la Regione dispone per l’adempimento dei propri compiti (sentenze n. 188, n. 131 e n. 89 del 2015, n. 26 e n. 23 del 2014, n. 121 e n. 97 del 2013, n. 246 e n. 241 del 2012, n. 298 del 2009,

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Gazzetta Amministrativa -223- Numero 1- 2016

n. 145 del 2008, n. 256 del 2007 e n. 431 del 2004). Sotto tale profilo, la Regione ricorrente (oltre ad una asserita quantificazione della riduzione di entrate per le Camere di commercio siciliane di circa 23 milioni di euro, nell’indicato triennio) non offre alcuna prova circa l’irreparabile pregiudizio paventato sulla funzionalità delle stesse (ed anche a prescindere dalla negata natura di esse quali enti locali); così eludendo la affermata necessità di una dimostrazione del denunciato squilibrio che, pur non configurando una probatio diabolica, sia almeno supportata da dati quantitativi concreti (sentenze n. 239 del 2015 e n. 26 del 2014). E ciò tanto più in quanto, come detto, il diritto camerale è solo una delle molteplici concorrenti forme di finanziamento delle Camere di commercio (previste dall’art. 18, co. 1, lettere da a ad f, della l. n. 580 del 1993), e dette Camere sono comunque destinatarie di contributi a carico

del bilancio dello Stato per l’espletamento delle funzioni delegate (ai sensi del successivo co. 2 del citato art. 18). Per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE 1) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 28 del d.l. 24.6.2014, n. 90 (Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, co. 1, della l. 11.8.2014, n. 114, proposta – in riferimento agli artt. 3, 81 e 97 della Costituzione - dalla Regione siciliana, con il ricorso indicato in epigrafe; 2) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale del medesimo art. 28 del d.l. n. 90 del 2014, come convertito, proposta – in riferimento agli artt. 14, lettere d), o), p) e q), e 36 del regio d. lgs. 15.5.1946, n. 455 (Approvazione dello statuto della Regione siciliana) ed all’art. 119 Cost. - dalla Regione siciliana con lo stesso ricorso.

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Gazzetta Amministrativa -224- Numero 1- 2016

PARERI

Questa sezione della Gazzetta Amministrativa raccoglie la pare-ristica redatta dall’AVVOCATURA DELLO STATO

DOMANDA Spettanza dei contributi per l’eliminazione di barriere architettoniche in caso di decesso del portatore di handicap. Parere 09/09/2015-398092, Al 21468/15, Avv. Ettore Figliolia. RISPOSTA Con la nota che si riscontra, cui ha fatto se-guito l'ulteriore nota del 16.6.2015 corredata della documentazione richiesta, codesto Mi-nistero ha sottoposto alla valutazione in linea legale di questa Avvocatura Generale la pro-blematica inerente alla eventuale spettanza, al tutore o al curatore, del contributo econo-mico per la realizzazione di opere "diretta-mente finalizzate al superamento e all'elimi-nazione di barriere architettoniche", nel caso in cui si verifichi il decesso del portatore di handicap e la domanda del contributo sia sta-ta presentata da chi esercita la potestà, la tu-tela, la curatela, o dall'onerato alla spesa cos. come previsto al punto 4 della circolare di codesto Dicastero n. 1669 del 22.6.1989. Orbene, ritiene questa Avvocatura Generale di dover anzitutto affrontare la questione re-lativa all'esatta portata della l. n. 13/1989, onde trarne le necessarieconclusioni relati-vamente al pagamento di detto contributo nelle suesposte particolari circostanze. In particolare, la finalità della legge de qua è, come è noto, quella di assicurare l'accessi-bilità, l'adattabilità e la visitabilità degli edi-fici, con ciò prescindendo dall'esistenza di un diritto reale o personale di godimento da par-te di un soggetto diversamente abile, essendo unicamente rilevante l'obiettiva attitudine dell'edificio, anche privato, ad essere fruito

da parte di qualsiasi soggetto. Conformemente alla finalità cos. individuata, non è necessaria la presenza di persona con handicap nel condominio ai fini dell'applica-zione dei cosiddetti incentivi reali al supera-mento delle barriere architettoniche (artt. 2-7 della l. n. 13/89), in quanto ci. che rileva è garantire l'effettivo svolgimento della vita di relazione da parte del soggetto diversamente abile anche al di fuori della sua abitazione. È in questo senso che la legge medesima e la giurisprudenza amministrativa hanno elevato il livello di tutela di tali soggetti, non più re-legandolo ad un ristretto ambito soggettivo ed individuale, ma viceversa considerandolo come un interesse primario dell'intera collet-tività, da soddisfare con interventi mirati a rimuovere situazioni preclusive dello svilup-po della persona e dello svolgimento di una normale vita di relazione (ex multis; CdS VI, 29.1.2013, n. 543; TAR. Campania, Napoli, sez. IV, n. 5343/2011). Per converso, a diverse conclusioni deve giungersi con riguardo all'aspetto relativo agli incentivi economici (artt. 8-12), oggetto del quesito de quo, che invece richiedono l'ef-fettiva residenza del soggetto diversamente abile nell'edificio di interesse: ed infatti per tale profilo valgono le disposizioni di cui ai citati artt. 8 e 12, nonché quelle recate dalla Circolare del Ministero dei Lavori Pubblici (n. 1669 del 22.6.1989 punto 4) che recita che "l'amministrazione comunale effettua un immediato accertamento sull'ammissibilità della domanda, subordinata alla presenza di tutte le indicazioni e documentazioni, alla sussistenza in capo al richiedente di tutti i re-quisiti necessari per la concessione del con-

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Gazzetta Amministrativa -225- Numero 1- 2016

tributo...", con la possibilità di opporre di-niego alla realizzazione di interventi destinati ad eliminare o superare le barriere architet-toniche anche su beni soggetti a tutela "solo nei casi in cui non sia possibile realizzare le opere senza un serio pregiudizio per il bene tutelato", con conseguente obbligo per l'Am-ministrazione, in caso di pronuncia negativa, di esternare la natura e la gravità del pregiu-dizio rilevato "... in rapporto al complesso in cui l'opera si colloca e con riferimento a tutte le alternative eventualmente prospettate all'interessato". Ove quindi la domanda sia stata corretta-mente corredata della documentazione atte-stante la ricorrenza dei requisiti necessari, e le attività di demolizione o abbattimento delle barriere non pregiudichino il bene a cui l'o-pera fa riferimento, nella vigenza delle obbli-gazioni assunte per la realizzazione dei lavori occorrenti, appare dovuta, ad avviso della Scrivente, la erogazione del contributo per il pagamento degli oneri relativi ai lavori commissionati, anche nel particolare caso in cui si verifichi il decesso del portatore di handicap e la richiesta sia stata presentata dall'esercente la potestà, tenuto conto che la ratio della normativa de qua è proprio quella di elargire il contributo al soggetto che ha ef-

fettivamente sostenuto la spesa, per la causa-le di che trattasi. È opinione infatti di questo G.U. che, alla stregua del pertinente contra-sto normativo, la "ratio legis" sia nel senso che con la esecuzione oggettiva delle opere occorrenti all'abbattimento delle barriere ar-chitettoniche, ed ovviamente nella ricorrenza di tutte le condizioni normativamente previ-ste, sorga la pretesa tutelata al pagamento del contributo in questione. Ciò premesso, in tali circostanze, colui che, nel rispetto di tutti i presupposti normativa-mente previsti, si sia legittimamente fatto ca-rico della spesa relativa alla realizzazione dei lavori previsti, ha diritto al relativo con-tributo e vanta, pertanto, un legittimo affida-mento all'erogazione della prestazione da parte dell'Amministrazione, non potendo la circostanza della sopravvenuta e imprevedi-bile morte del soggetto portatore di handicap costituire motivo ostativo alla erogazione del contributo medesimo. Nei sensi suesposti è la richiesta consultazio-ne, restando a disposizione per quant'altro dovesse occorrere. Sulle questioni di cui al presente parere si è espresso in conformità il Comitato Consultivo di questa Avvocatura nella seduta dell’8.9.2015.

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Gazzetta Amministrativa -226- Numero 1- 2016

PARERI

Questa sezione della Gazzetta Amministrativa raccoglie la pare-ristica redatta dall’AVVOCATURA DELLO STATO

DOMANDA “Estensione soggettiva” della chiamata di-retta nelle assunzioni protette. Parere 11/01/2016-7883, Al 35772/15, Avv. Marco Corsini. RISPOSTA Con nota n. 43470 del 25.9.2015 viene chie-sto il parere di questa Avvocatura in merito all’istanza di assunzione (ex art. 132, co. 1, lett. b), d.lgs. 217/2005) presentata dalla fi-glia di un Vigile del Fuoco, riconosciuto dal 1992 permanentemente non idoneo al servizio d’istituto. Il quesito sostanzialmente investe l’estensione soggettiva della disciplina dell’assunzione per chiamata diretta nominativa, ossia la possibilità di riconoscere il suddetto benefi-cio non solo ai fig Né si rinvengono in giuri-sprudenza, pure in presenza della stessa pre-visione contenuta nelle norme previgenti, precedenti utili a chiarire il dubbio. Poiché peraltro trattasi di situazione presente anche nella legislazione generale in materia di pubblico impiego, cui la presente discipli-na settoriale può essere ricondotta, potrebbe non essere inutile attingere ai principi affer-matinell’interpretazione di quelle norme. Anche esse, infatti, nel regolare le assunzioni obbligatorie nella pubblica amministrazione, parlano semplicemente di figli di invalidi di guerra, di servizio e di lavoro, nonché di figli delle vittime del terrorismo, della criminalità organizzata o del dovere; nulla chiarendo in merito alla possibilità di estendere anche ai figli nati successivamente all’evento invali-dante i benefici derivanti dalle assunzioni

protette. Il solo precedente giurisprudenziale rinvenu-to in materia - unico, a quanto consta, e risa-lente al lontano 1979 - sembrerebbe aver ri-conosciuto il diritto al collocamento obbliga-torio anche a coloro che siano stati concepiti posteriormente al fatto che ha prodotto l’invalidità del genitore. E la ragione risiederebbe nell’assunto che la mancata riproduzione nella legge abrogatri-ce (la n. 482/1968) dell’inciso “purché con-cepiti prima del fatto che ha prodotto l’invalidità del genitore”, contenuto nella l. n. 365/1958 abrogata (legge per l’Opera na-zionale per gli orfani di guerra), ne avrebbe comportato l’incompatibilità con la normati-va sopravvenuta (CdS, VI, 26.10.1979 n. 365). Tuttavia, il citato precedente giurispru-denziale - come detto risalente nel tempo - non sembra del tutto convincente. La norma-tiva sull’assunzione diretta costi-tuisce rile-vante deroga alle norme anche di matrice co-stituzionale che vogliono il pubblico concorso come modalità di accesso ordinaria agli uffi-ci della pubblica amministrazione; modalità posta a presidio di quei principi - come l’imparzialità e il buon andamento – che da sempre guidano l’agire amministrativo. Di qui l’esigenza che le eventuali deroghe, peraltro consentite dallo stesso art. 97 della Costituzione (IV co.), oltre ad avere necessa-riamente fonte legislativa, siano intese ed in-terpretate in modo rigoroso onde limitare l’eccezione ad ipotesi strettamente individua-te. Così come non assume apprezzabile rilievo in chiave interpretativa la normativa - anche

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Incentivi e Sviluppo Economico

Gazzetta Amministrativa -227- Numero 1- 2016

recente (art. 5, coo. 3 bis e 3 ter della l. 206/2004 come introdotti dalla l. n. 147/2013 in materia di assegno vitalizio, e art. 3, co. 1-ter della stessa l. 206/2004 come introdotto dalla l. 190/2014 in materia contributiva) - che, con riferimento alle vittime del dovere in forza dell’equiparazione legislativa alle vit-time del terrorismo, e quindi in un ambito in-terferente con il pubblico impiego, consente con determinati temperamenti che i benefici previdenziali accordati al coniuge ed ai figli spettino anche se il matrimonio è stato con-tratto o i figli sono nati successivamente all’evento. Anzi, il fatto che laddove il legislatore lo ha voluto lo ha espressamente previsto induce ulteriormente a ritenere che in difetto di e-splicita formulazione in tal senso la norma in questione non possa che applicarsi ai figli e-sistenti al momento dell’evento invalidante. Il beneficio previdenziale, peraltro, non ha la stessa natura di quello occupazionale e non è attribuito - come questo - in deroga al princi-pio dell’accesso concorsuale al pubblico im-piego. Ora, se è vero che la ratio della disciplina dell’assunzione diretta nel Corpo dei Vigili del Fuoco prevista dall’art. 132, co. 1, lett. b) del d.lgs. 217/2005 risiede nel perseguimento di una finalità solidaristica, essendo volta a “compensare” il venir meno dell’apporto di chi non sia più in grado di essere impiegato nell’Amministrazione di appartenenza (TAR Lazio - Roma, sez. I bis, 28.8.2015 n. 10953, anche se non mancano pronunce che ravvi-sano una natura premiale tuttavia scarsa-mente comprensibile), una corretta interpre-tazione di tale norma dovrebbe essere nel senso di riferire il beneficio alla situazione familiare cos. come “fotografata” al momen-to dell’evento invalidante. È in quel momento, infatti, che viene a man-care il sostegno assicurato dal dipendente di-venuto permanentemente invalido, ed è allora che scatta il dovere solidaristico del datore di lavoro, essendo i famigliari viventi a quell’epoca - esattamente come i fratelli ed il

coniuge, ugualmente considerati dalla norma beneficiante - coloro i quali risentono nell’immediato le conseguenze più negative dell’evento sul duplice piano morale ed eco-nomico. Un possibile sostegno interpretativo in tal senso potrebbe ravvisarsi anche nell’elemen-to testuale, laddove la norma in esame - nel prevedere il beneficio dell’assunzione diretta in favore dei famigliari del dipendente “dive-nuto” permanente inabile al servizio - sem-bra riferirsi alla situazione in atto al momen-to del verificarsi dell’evento, cioè ai famiglia-ri esistenti quando il dipendente diviene inva-lido. E d’altra parte, se non si propendesse per un’interpretazione restrittiva della norma beneficante, l’esposizione dello Stato sarebbe teoricamente non limitata nel tempo e nella quantità, e non vi sarebbe possibilità di con-tenerne i riflessi. Ad esempio, il beneficio dell’assunzione di-retta potrebbe in astratto essere invocata an-che dal coniuge di seconde nozze contratte dopo, o da figli adottati successivamente, di-latando senza limite neppure temporale una situazione che è e deve restare eccezionale. Il che senza contare che la stessa espressione “figli”, a prescindere dalle considerazioni che precedono, è suscettibile di un’estensione che nemmeno il legislatore del 2005 aveva considerato, attesa l’equiparazione ormai to-tale che la l. n. 219/2012 ha sancito tra i figli nati nel matrimonio e fuori da esso. A parere di questo Ufficio, quindi, pur in un quadro che potrebbe evolvere in senso con-trario, sembra opportuno insistere per un’interpretazione restrittiva della norma in discorso, dato anche il riflesso di carattere generale e di principio che la questione pu. assumere, con riserva di nuovo esame qualo-ra la giurisprudenza dovesse indurre a mi-gliore riflessione sulla posizione attualmente assunta. Sulla questione ora trattata, attesa la sua rilevanza di massima, è stato sentito il Comitato Consultivo dell’Avvocatura dello Stato che nella seduta del 17.12.2015 si è e-spresso in conformità.

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Comunicazione e Innovazione

Gazzetta Amministrativa -228- Numero 1- 2016

COMUNICAZIONE E INNOVAZIONE

NOTIZIE E AGGIORNAMENTI SICUREZZA INFORMATICA, CONSUL-TAZIONE EUROPEA SU PARTENA-RIATO PUBBLICO-PRIVATO La Commissione europea ha aperto una con-sultazione pubblica sulla costituzione di una “cyber security” cPPP - contractual Public Private Partnership (partenariato pubblico-privato). L'iniziativa, aperta alla partecipa-zione di imprese e istituzioni, rappresenta uno degli obiettivi della Strategia per il Mer-cato Unico Digitale, pubblicata dalla Com-missione il 6.5.2015 con tre finalità principa-li:

• facilitare ai consumatori e alle impre-se l'accesso online a prodotti e servizi in tutta Europa

• migliorare le condizioni per lo svilup-po delle reti e dei servizi digitali

• promuovere la crescita dell'economia digitale europea

Nell’ottica della migliore utilizzazione dei fi-nanziamenti previsti dal Programma Horizon 2020 in materia di cyber security, il cPPP vedrà riunite imprese e istituzioni per facili-tare l’innovazione tecnologica a beneficio di cittadini, imprese e infrastrutture critiche. Alla consultazione possono partecipare:

• Imprese, e loro associazioni, fornitrici e utilizzatrici di prodotti e servizi per la “cyber security”

• Organizzazioni della società civile • Autorità pubbliche • Università ed enti di ricerca • Cittadini

La consultazione è aperta fino all'11.3.2016 (Comunicato stampa del Ministero dello Svi-luppo Economico).

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BANDO EFFICIENZA ENERGETICA 2015: PROROGATO TERMINE ULTI-MAZIONE INIZIATIVE Prorogato al 30.9.2016 il termine di ultima-zione delle iniziative per le imprese che han-no optato per la forma del contributo in conto impianti ai sensi dell'art. 7, co. 1, lett. a), del bando “efficienza energetica” di cui al de-creto ministeriale 24.4.2015. Per accedere alla proroga dei termini, le im-prese beneficiarie devono trasmettere una ri-chiesta nella quale dichiarano l'ammontare delle spese sostenute sul programma agevola-to alla data del 31.12.2015 e rinunciano e-spressamente, per le spese sostenute oltre tale termine, alla concessione del contributo in conto impianti, optando per un’agevolazione nella forma di finanziamento agevolato nella percentuale nominale massima del 50% sta-bilita dal bando. Il Ministero dello sviluppo economico può approvare la richiesta di proroga solo previo svolgimento delle verifiche relative alla ca-pacità di rimborso del finanziamento agevo-lato. La richiesta di proroga, sottoscritta digital-mente dal rappresentante legale dell’impresa beneficiaria o da un suo procuratore specia-le, deve essere trasmessa, unitamente alla di-chiarazione sostitutiva di atto notorio sulle spese sostenute, entro il 31.3.2016 al Ministe-ro dello sviluppo economico, Direzione gene-rale per gli incentivi alle imprese, all’in-dirizzo di posta elettronica certificata (PEC) [email protected].

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Comunicazione e Innovazione

Gazzetta Amministrativa -229- Numero 1- 2016

Il decreto è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 33 del 10.2.2016 (Comunicato stampa del Ministero dello Sviluppo Econo-mico del 11.2.2016).

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SEMPLIFICAZIONE: NUOVA MISURA PER LE AZIENDE OPERANTI NEL SETTORE DELLA VIGILANZA PRIVA-TA È stata avviata la ‘Procedura di accer-tamento uniforme’ della sussistenza dei re-quisiti minimi nei sistemi di comunicazione radio e/o telefonici degli Istituti di Vigilanza privata. Il nuovo Protocollo per la valutazio-ne della conformità di apparecchiature e do-tazioni professionali è stato elaborato dalla

Direzione Generale per le Attività Territoriali del Ministero dello Sviluppo Economico di concerto con il Dipartimento della Pubblica Sicurezza (Ufficio degli affari della Polizia amministrativa e sociale) del Ministero dell’Interno e gli stakeholder del settore, do-po una intensa attività di consultazione. Questo nuovo schema, che risponde alle di-sposizioni contemplate nell’allegato E del DM n 269/2010, prevede anche un modello standardizzato di verbale/check list. La ‘Procedura di accertamento uniforme mi-gliorerà in modo significativo l’orga-nizzazione dell’attività di controllo eseguita dagli Ispettorati territoriali in conto terzi, omogeneizzandone i criteri per la verifica e il rilascio del parere tecnico finale (Comunica-to stampa del Ministero dello Sviluppo Eco-nomico del 18.1.2016).

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Comunicazione e Innovazione

Gazzetta Amministrativa -230- Numero 1- 2016

REDAZIONALI

IL TENTATO FURTO DI BENI DI MODICO VALORE ALL’INTERNO DI UN’ “ISOLA ECOLOGICA” COMUNALE NON È PUNIBILE: PRIME APPLICAZIONI GIURISPRU-DENZIALI DEL NUOVO ART. 131 BIS C.P. degli Avv.ti Luca Petrucci e Giulio Vasaturo

La problematica relativa ai furti di beni di modico valore: spunti di riflessione sulle prime appli-cazioni giurisprudenziali. The matters related to thefts of small value goods : food for thought on the initial legal applica-tions. Sommario: 1. Introduzione. 2. Conclusioni.

1.Introduzione. Chiamata a valutare la perseguibilità del

tentativo di furto di alcuni monili di bigiotte-ria del valore complessivo di circa dieci euro, consumatosi all’interno dell’“area ecologi-ca” di un Comune lombardo, la Corte di Cas-sazione ha reso una prima importante appli-cazione dell’art. 131 bis c.p. che ha introdotto una nuova causa di esclusione della punibilità per “particolare tenuità del fatto”.

Il Supremo Collegio, con la sentenza della V sezione penale n. 5800 del 2.7.2015, ha stabilito che l’azione penale non andava a priori esercitata nei confronti del responsabile di una simile condotta che, pur costituendo in astratto «un fatto tipico e, pertanto, costituti-vo di reato», va ritenuta in concreto «non pu-nibile in ragione dei principi generalissimi di proporzione e di economia processuale» che devono trovare riscontro alla stregua dell’art. 131 bis c.p., come inserito nel nostro ordina-mento dal d.lgs. 16.3.2015, n. 28.

Tale disposizione esclude, in effetti, la pu-nibilità dei reati c.d. bagatellari, allorché «per le modalità di condotta e per l’esiguità del

danno o del pericolo (…) l’offesa è di parti-colare tenuità e il comportamento risulta non abituale».

All’esito di un’attenta disamina dei prece-denti giurisprudenziali, il giudice di nomofi-lachia ribadisce che tutte le azioni delittuose, anche quelle che comportano un danno indi-viduale e collettivo obiettivamente irrisorio, integrano «un reato esistente in tutte le sue dimensioni e componenti: oggettive, soggetti-ve e di (modesta) lesività».

Spiega tuttavia la Suprema Corte che, in forza della novella legislativa, «per la prima volta, un fatto tipico, antigiuridico e colpevo-le può intendersi contrassegnato da un quantum di lesività di consistenza talmente modesta da rendere non proporzionata, e dunque non giustificata, la risposta sanziona-toria dell’ordinamento sul piano penale: vie-ne così in rilievo la cosiddetta “concezione gradualistica” del reato, non solo in senso quantitativo, ma altresì in senso qualitativo, sul piano della valutazione complessiva del disvalore da ricollegare alla condotta ed all’evento cagionato».

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Gazzetta Amministrativa -231- Numero 1- 2016

2. Conclusioni. Al disposto di cui all’art. 131 bis del codi-

ce penale va dunque attribuita «una funzione che sul piano sostanziale potrebbe definirsi riduttiva, non consentendo che la sanzione penale operi in ordine a condotte che sareb-bero – e rimangono – tipiche».

Su queste basi di diritto, la Cassazione ha escluso la perseguibilità del ladro che, rovi-

stando in una discarica pubblica, tentava di impossessarsi di alcuni rifiuti di proprietà comunale.

Una pronuncia che può lasciare taluni per-plessi ma che fornisce delle inequivocabili li-nee guida destinate ad orientare i giudici di merito, all’insegna del principio di eminente civiltà giuridica di offensività su cui si erge il diritto penale (“nessuna necessità di pena senza danno”).

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Gazzetta Amministrativa -232- Numero 1- 2016

GIURISPRUDENZA Corte Costituzionale ord. 2.2.2016 n. 19 Giudizio di legittimità costituzionale - art. 133, c. 1°, lett. b) , del d.lgs 2.7.2010, n. 104. Ritenuto che con ordinanza del 9.12.2014, il Tri-bunale amministrativo regionale per la Puglia, sezione staccata di Lecce, ha sollevato, in riferi-mento agli artt. 3, 24, 76 e 111 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 133, co. 1, lett. b), del d. lgs. 2.7.2010, n. 104 (At-tuazione dell’art. 44 della l. 18.6.2009, n. 69, re-cante delega al governo per il riordino del pro-cesso amministrativo), nella parte in cui non de-volve alla giurisdizione esclusiva del giudice am-ministrativo anche le questioni relative alla con-cessione di sovvenzioni, contributi, sussidi e ausi-li finanziari; che il giudice rimettente è chiamato a decidere in ordine al ricorso volto all’annullamento del de-creto ministeriale 4.1.2013, n. 5, con il quale il Ministro dello sviluppo economico ha disposto la revoca dei precedenti decreti 14.8.1998, n. 54282 e 12.2.2002, n. 109471; in particolare, con il primo di essi era stato concesso in via provviso-ria alla società ricorrente un contributo in conto capitale, ai sensi della l. 18.12.1992, n. 488 (Conversione in legge, con modificazioni, del d.l. 22.10.1992, n. 415, recante modifiche alla l. 1.3.1986, n. 64, in tema di disciplina organica dell’intervento straordinario nel Mezzogiorno e norme per l’agevolazione delle attività produtti-ve); con il successivo decreto, tale contributo era stato confermato in via definitiva; che, a sostegno del provvedimento di revoca del contributo, è stata addotta una pluralità di ragio-ni ed in relazione a ciascuna di esse si imporreb-be l’applicazione dei criteri di riparto di giurisdi-zione elaborati dalla giurisprudenza delle Corti superiori al fine di individuare il giudice che pos-sa conoscere di ciascuna di esse; che, osserva il rimettente, in applicazione di tali criteri occorrerebbe dunque distinguere gli atti incidenti su vantaggi attribuiti dall’ammini-strazione, a seconda che essi attengano al mo-

mento genetico del rapporto, ovvero all’evoluzione dello stesso e - in questa seconda ipotesi - a seconda che l’attività amministrativa sia vincolata o discrezionale; che, in particolare, le controversie relative agli atti che incidono sul momento genetico spettano alla cognizione del giudice amministrativo, in quanto − a fronte di tale intervento − sussiste un interesse legittimo; viceversa, l’atto che influisce sull’evoluzione del rapporto incide sulla pretesa ad ottenere la prestazione e tale pretesa è qualifi-cabile come interesse legittimo, se l’incisione è operata dall’amministrazione a seguito di una va-lutazione discrezionale, ovvero come diritto sog-gettivo, se l’amministrazione adotti un atto vinco-lato (Corte di cassazione, sezioni unite civili, sen-tenze 25.1.2013, n. 1776, 21.11.2011, n. 24409 e 19.5.2008, n. 12641); che, ad avviso del giudice a quo, siffatto intreccio fra diritti soggettivi ed interessi legittimi avrebbe portato il legislatore a prevedere − con l’art. 5 della l. 6.12.1971, n. 1034 (Istituzione dei tribu-nali amministrativi regionali) - la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo nella mate-ria delle concessioni di beni e di servizi pubblici, tranne che nelle ipotesi espressamente previste («controversie concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi»), nelle quali l’intreccio è e-scluso; il fine perseguito sarebbe stato quello di permettere l’agevole individuazione del giudice fornito di giurisdizione, evitando una «disecono-mia giudiziaria», in coerenza con l’obiettivo del giusto processo, consacrato nell’art. 111 Cost.; che, pertanto, avrebbe portata innovativa l’art. 12 della l. 7.8.1990, n. 241 (Nuove norme in ma-teria di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi), che qua-lifica come concessioni le «sovvenzioni, contribu-ti, sussidi ed ausili finanziari e l’attribuzione di vantaggi economici di qualunque genere a perso-ne ed enti pubblici e privati»; che, pur potendosi annoverare il denaro nella ca-tegoria dei beni, ciò non consentirebbe di ricon-

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Gazzetta Amministrativa -233- Numero 1- 2016

durre i rapporti di finanziamento nell’ambito del-le concessioni di beni pubblici, le quali compor-tano l’uso temporaneo da parte del concessiona-rio di detti beni per finalità di pubblico interesse; nei rapporti di finanziamento, invece, il soggetto finanziato acquisisce la piena proprietà del dena-ro che gli viene erogato, eventualmente assumen-do l’obbligo di restituirlo ad una determinata scadenza; che, d’altra parte, il carattere eccezionale della giurisdizione esclusiva non ne consente l’appli-cazione al di là dei casi previsti dalla legge; tale estensione, ad avviso del giudice a quo, potrebbe trarre fondamento proprio nell’art. 12 della l. n. 241 del 1990, il quale costituirebbe «norma sulla giurisdizione», ricomprendendo le sovvenzioni di denaro pubblico all’interno delle concessioni di beni pubblici; che, tuttavia, tale percorso ermeneutico non è sta-to condiviso dalla giurisprudenza delle Corti su-periori che, con orientamento consolidato, hanno escluso che le controversie relative alla revoca di sovvenzioni in denaro pubblico rientrino nell’ambito della giurisdizione esclusiva del giu-dice amministrativo; che infatti, prima la Corte di cassazione, e in se-guito anche il Consiglio di Stato, hanno affermato che le controversie in tema di agevolazioni finan-ziarie sono attribuite alla giurisdizione ammini-strativa se riferite al momento genetico del rap-porto, ovvero se – pur riguardando il momento funzionale − l’amministrazione abbia adottato un provvedimento discrezionale; spettano, invece, al giudice ordinario le controversie relative al mo-mento funzionale, se l’atto che incide sulla posi-zione del privato consegue all’inadempimento e ha natura vincolata; che, in applicazione di tali criteri, nel caso all’esame del TAR rimettente, al giudice ammini-strativo spetterebbe la cognizione della contro-versia in riferimento a due dei sei motivi di revo-ca posti a fondamento dell’atto, mentre il ricorso sarebbe inammissibile con riferimento agli altri quattro motivi del medesimo provvedimento; che d’altra parte, trattandosi di questioni delle quali il giudice conosce in via principale, sarebbe esclusa la possibilità − ai sensi dell’art. 8 del co-dice del processo amministrativo − di conoscere degli altri motivi del provvedimento in via inci-dentale;

che sarebbe da escludere, altresì, un’inter-pretazione dell’atto impugnato come entità unica, non scomponibile in ragione della molteplicità delle ragioni poste a base dell’unica determina-zione; ciò porterebbe, infatti, ad un’«evidente a-poria costituita dall’assenza di tutela che nella specie l’ordinamento assicurerebbe», in relazione all’interesse al giudizio e all’utilità complessiva-mente ricavabile dallo stesso; che la rilevanza della questione viene, quindi, «determinata dall’ostacolo che la norma sospet-tata di incostituzionalità costituisce in ordine alla formulazione, da parte del giudice amministrati-vo, di un giudizio più ampio, nel quale si concen-trino le tutele esperibili e che investa di conse-guenza tutte le ragioni poste a base del provvedi-mento impugnato, sortendo un effetto totalmente demolitorio o totalmente validativo»; che, in particolare, la disposizione sulla quale si appuntano i dubbi di costituzionalità del rimet-tente è l’art. 133, co. 1, lettera b), del d.lgs. n. 104 del 2010, nella parte in cui - secondo il dirit-to vivente costituito dall’interpretazione delle Corti superiori - non ricomprende nell’ambito delle concessioni di beni, rientranti nella giuri-sdizione esclusiva del giudice amministrativo, le agevolazioni finanziarie, cioè le concessioni di denaro pubblico; che la questione sarebbe non manifestamente in-fondata, in riferimento agli artt. 24 e 111 Cost., in quanto la disposizione impugnata, escludendo dall’ambito della giurisdizione esclusiva del giu-dice amministrativo le controversie in tema di di-ritti, relative alle agevolazioni finanziarie, si por-rebbe in contraddizione con il principio costitu-zionale del giusto processo, sotto il profilo della concentrazione delle tutele; che la stessa disposizione violerebbe, altresì, il principio di ragionevolezza, di cui all’art. 3 Cost., in quanto costringerebbe ad adire due giudici e a coltivare due giudizi per rimuovere dalla realtà giuridica un solo atto; che il giudice a quo denuncia, inoltre, la violazio-ne dell’art. 76 Cost., in quanto la disposizione censurata si porrebbe in contrasto con i criteri direttivi di cui all’art. 44 della legge delega 18.6.2009, n. 69 (Disposizioni per lo sviluppo e-conomico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile), laddove il legislatore ha individuato - come obiettivo da perseguire - la finalità di «assicurare la snellez-

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Gazzetta Amministrativa -234- Numero 1- 2016

za, concentrazione ed effettività della tutela, an-che al fine di garantire la ragionevole durata del processo» (art. 44, co. 2, lett. a), e di «disciplina-re le azioni e le funzioni del giudice: 1) riordi-nando le norme vigenti sulla giurisdizione del giudice amministrativo, anche rispetto alle altre giurisdizioni» (art. 44, co. 2, lett. b, n. 1); che nel giudizio di costituzionalità è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresen-tato e difeso dall’Avvocatura generale dello Sta-to, chiedendo che la questione sia dichiarata i-nammissibile e comunque infondata; che in via preliminare, la difesa statale ha eccepi-to l’inammissibilità della questione, evidenziando che nella fattispecie in esame i motivi in base ai quali è stata disposta la revoca attengono alla fa-se procedimentale di verifica dei requisiti per l’attribuzione provvisoria del contributo; in tale fase, l’amministrazione sarebbe stata indotta in errore, avendo concesso il finanziamento in con-trasto con l’interesse pubblico dalla stessa tutela-to; pertanto, con il provvedimento di revoca, l’amministrazione non avrebbe inciso su situazio-ni di diritto soggettivo, sanzionando l’ina-dempimento del privato alle obbligazioni assunte per ottenere la sovvenzione, ma avrebbe invece inciso su posizioni di interesse legittimo, eserci-tando il generale potere di autotutela pubblicisti-co fondato sul riesame della legittimità o dell’opportunità dell’iniziale provvedimento di attribuzione provvisoria del contributo e sulla va-lutazione dell’interesse pubblico connesso; che, pertanto, ad avviso dell’Avvocatura generale dello Stato, la controversia in esame apparter-rebbe comunque alla cognizione del TAR rimet-tente e la questione di legittimità costituzionale sarebbe, quindi, inammissibile per difetto del re-quisito della rilevanza; che, d’altra parte, osserva la difesa statale, in considerazione dell’assoluta discrezionalità di cui gode il legislatore nell’attribuzione al giudice amministrativo di «particolari materie», ai sensi dell’art. 103 Cost., la scelta di lasciare al giudice ordinario la cognizione dei diritti soggettivi, in materie nelle quali sono altresì configurabili inte-ressi legittimi, non sarebbe censurabile sotto il profilo della irragionevolezza «estrinseca»; né, d’altra parte, potrebbe essere invocato il princi-pio della concentrazione delle tutele di fronte a un unico plesso giurisdizionale in quanto nella giurisprudenza costituzionale, ed in particolare

nella sentenza n. 204 del 2004, tale principio sa-rebbe richiamato in relazione alla diversa que-stione dei diritti patrimoniali consequenziali; che, inoltre, non sarebbe ammissibile una pro-nuncia manipolativo-additiva, che conferisca al giudice amministrativo la giurisdizione sui diritti soggettivi in materie non indicate dalla legge; che, d’altra parte, non sarebbe ravvisabile la de-nunciata violazione dell’art. 24 Cost., il quale è volto ad assicurare l’effettività della tutela giuri-sdizionale e «la completa parità e originarietà dei due ordini di giurisdizione», affidando la concre-ta distribuzione degli affari tra gli stessi alle scel-te discrezionali del legislatore; che, infine, quanto alla denunciata violazione dell’art. 76 Cost., la delega di cui alla l. n. 69 del 2009, in quanto concernente il riordino ed il rias-setto normativo, imporrebbe un’interpretazione restrittiva dei poteri innovativi attribuiti al legi-slatore delegato, i quali devono essere stretta-mente orientati e funzionali alle finalità stabilite dalla legge delega, con la conseguente esclusione di interventi non strettamente necessari alla ri-composizione sistematica perseguita con l’azione di riassetto; pertanto, al legislatore delegato non sarebbero stati attribuiti poteri così ampi, da consentirgli di introdurre innovazioni «al di fuori di ogni vincolo alla propria discrezionalità espli-citamente individuato dalla legge-delega» (sen-tenza n. 293 del 2010). Considerato che, con ordinanza del 9.12.2014, il Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sezione staccata di Lecce, ha sollevato, in riferi-mento agli artt. 3, 24, 76 e 111 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 133, co. 1, lett. b), del d.lgs. 2.7.2010, n. 104 (At-tuazione dell’art. 44 della l. 18.6.2009, n. 69, re-cante delega al governo per il riordino del pro-cesso amministrativo), nella parte in cui non de-volve alla giurisdizione esclusiva del giudice am-ministrativo anche le questioni relative alla con-cessione di sovvenzioni, contributi, sussidi e ausi-li finanziari; che, in via preliminare, va rilevata l’infondatezza della eccezione di inammissibilità della questione, per difetto di rilevanza, sollevata dall’Avvocatura generale dello Stato; che, in particolare, la difesa statale ritiene che la controversia in esame attenga a requisiti che so-no oggetto di verifica nella fase procedimentale che precede l’attribuzione provvisoria del contri-

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Gazzetta Amministrativa -235- Numero 1- 2016

buto; con il provvedimento di revoca l’ammi-nistrazione avrebbe inciso su posizioni di interes-se legittimo, esercitando il generale potere di au-totutela pubblicistico fondato sul riesame della legittimità o dell’opportunità dell’iniziale attribu-zione del contributo e sulla valutazione dell’interesse pubblico connesso; secondo questa prospettazione, la controversia in esame appar-terrebbe - comunque e per intero - alla cognizio-ne del TAR rimettente; che il giudizio a quo ha per oggetto l’impugnazione dell’atto di revoca della conces-sione di un contributo statale; per la definizione di tale giudizio, il rimettente è tenuto a fare appli-cazione della regola di riparto elaborata dalla giurisprudenza di legittimità, in base alla quale egli si ritiene titolare della giurisdizione in rela-zione ad alcuni soltanto dei motivi di revoca ad-dotti dall’atto impugnato e delle connesse posi-zioni giuridiche soggettive; che, a fondamento della questione sottoposta a questa Corte, viene dedotta una oggettiva situa-zione di non agevole distinguibilità tra posizioni di diritto soggettivo e d’interesse legittimo, in ma-teria di concessione di agevolazioni finanziarie; da ciò discende la necessità di fare applicazione dei criteri di riparto elaborati dalla giurispruden-za sulla base del tenore letterale della disposizio-ne censurata, la quale effettivamente non com-prende, nell’ambito della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, le controversie relati-ve alla concessione di sovvenzioni, contributi, sussidi e ausili finanziari; che, pertanto, la sussistenza del requisito della rilevanza appare sorretta da una motivazione non implausibile e l’eccezione di inammissibilità sol-levata dalla difesa statale deve essere disattesa; che, d’altra parte, il rimettente - dato atto del fal-limento del tentativo di pervenire al medesimo ri-sultato in via interpretativa, in quanto tale per-corso non è stato condiviso dalla giurisprudenza delle Corti superiori - evidenzia che solo una pronuncia della Corte, che individui nella giuri-sdizione amministrativa la sede di tutela dei dirit-ti e interessi oggetto dei provvedimenti in esame, potrebbe risolvere in via definitiva la questione; attraverso l’agevole individuazione del giudice fornito di giurisdizione, verrebbe eliminato, infat-ti, il vulnus ai parametri costituzionali; che il petitum del rimettente è dichiaratamente volto ad ottenere una pronuncia additiva, che e-

stenda le ipotesi di giurisdizione esclusiva di cui all’art. 133, co. 1, lett. b), del d.lgs. n. 104 del 2010, sino a ricomprendervi la cognizione delle controversie relative alla concessione di sovven-zioni, contributi, sussidi e ausili finanziari; che, tuttavia, l’addizione invocata dal rimettente non tiene conto della previsione di cui all’art. 103 Cost., laddove stabilisce che sia la legge ad indi-care le «particolari materie» nelle quali è attri-buita agli organi di giustizia amministrativa la giurisdizione per la tutela, nei confronti della pubblica amministrazione, degli interessi legittimi e dei diritti soggettivi; che, al riguardo, questa Corte ha già ritenuto i-nammissibile una pronuncia additiva, come quel-la invocata nel caso in esame, affermando che «Se […] l’introduzione di un nuovo caso di giuri-sdizione esclusiva può essere effettuata solo da una legge − come prescrive l’art. 103, primo co., Cost., e nel rispetto dei principi e dei limiti fissati dalla sentenza n. 204 del 2004 di questa Corte − risulta inammissibile il petitum posto dal giudice rimettente, che si risolve nella sostanza […] nella richiesta a questa Corte di introdurre essa stessa, con una sentenza additiva, tale nuovo caso, che può invece essere frutto di una scelta legislativa non costituzionalmente obbligata» (sentenza n. 259 del 2009); che, anche nel caso in esame, la riserva legislati-va in ordine alla delimitazione della giurisdizione esclusiva determina l’inammissibilità del petitum, essendo rimessa alla discrezionalità del legislato-re l’estensione della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, nell’ambito di un venta-glio di possibili soluzioni, nessuna delle quali co-stituzionalmente imposta; che, sotto un diverso profilo, la motivazione dell’ordinanza di rimessione non spiega le ragio-ni per le quali il denunciato vulnus di costituzio-nalità possa, e debba, essere eliminato mediante l’attrazione nella giurisdizione del giudice ammi-nistrativo delle controversie relative a diritti in materia di concessioni di contributi e sovvenzio-ni; il petitum del rimettente non è, quindi, suppor-tato da elementi che consentano di ritenere che quella invocata sia l’unica scelta costituzional-mente compatibile e necessitata; che anche tale carenza nell’impianto motiva-zionale dell’ordinanza di rimessione si riflette in ulteriore motivo di inammissibilità della questio-

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Comunicazione e Innovazione

Gazzetta Amministrativa -236- Numero 1- 2016

ne, derivante dall’inesistenza di una soluzione co-stituzionalmente obbligata. Visti gli artt. 26, secondo comma, della l. 11.3.1953, n. 87, e 9, co. 2, delle norme integrati-ve per i giudizi avanti alla Corte costituzionale. per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 133, co. 1, lett. b), del d.

lgs. 2.7.2010, n. 104 (Attuazione dell’art. 44 della l. 18.6.2009, n. 69, recante delega al governo per il riordino del processo amministrativo), solleva-ta, in riferimento agli artt. 3, 24, 76 e 111 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regio-nale per la Puglia, sezione staccata di Lecce, con l’ordinanza in epigrafe. Così deciso in Roma, nella sede della Corte costi-tuzionale, Palazzo della Consulta, il 13.1.2016.

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Sanità e Sicurezza Sociale

Gazzetta Amministrativa -237- Numero 1- 2016

SANITÀ E SICUREZZA SOCIALE

NOTIZIE E AGGIORNAMENTI REGIONI: IL RIPARTO DEI FONDI DESTINATI ALLA RICERCA E ALLO SVILUPPO DI METODI ALTERNATIVI ALL'USO DEGLI ANIMALI PER FINI SPERIMENTALI Ė stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 49 del 29.2.2016 il decreto del Ministero del-la Salute recante "Riparto tra le regioni dei fondi destinati alla ricerca e allo sviluppo di metodi alternativi all'uso degli animali per fini sperimentali".decreto del Ministero della Salute pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 49 del 29.2.2016 (Decreto del Ministero del-la Salute pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 49 del 29.2.2016).

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RICETTA ELETTRONICA, IL DPCM IN GAZZETTA Dal primo gennaio 2016 i medicinali pre-scritti su ricetta elettronica possono essere ritirati presso qualsiasi farmacia pubblica e privata convenzionata con il Ssn del territo-rio nazionale. E' quanto previsto nel d.P.C.M. 14.11.2015 pubblicato sulla Gazzetta ufficia-le del 31 dicembre, che attua il DL 179/2012 e regola le modalità di compensazione tra Regioni del rimborso della ricetta farmaceu-tica dematerializzata. La disposizione intende facilitare i cittadini che si spostano per studio o per lavoro, con-sentendo loro di ritirare in qualunque farma-cia i medicinali prescritti dal proprio medico (Comunicato del Ministero della Salute del 12.1.2016).

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COLLABORAZIONE SANITARIA ITA-LIA-CINA, IL MINISTRO LORENZIN SIGLA PIANO TRIENNALE "Il nostro Paese è forte di un modello sanita-rio unico che può e deve essere esportato nei luoghi strategici del mondo, tra cui la Cina, tramite le proprie esperienze e il proprio know-how." Così il Ministro della Salute Beatrice Lorenzin ha commentato la missione svoltasi in Cina dal 27 al 30 gennaio, dove ha avuto incontri bilaterali con il Ministro della Salute cinese Li Bin e con il presidente dell'AQSIQ, l'Amministrazione Generale ci-nese per la Supervisione della Qualità, delle Ispezioni e della Quarantena, Zhi Shuping, con i quali ha affrontato i temi della coopera-zione in campo sanitario e nel campo della sicurezza alimentare. In questa occasione è stato firmato con il Mi-nistro Li Bin il nuovo Piano di azione trien-nale sulla cooperazione sanitaria tra Italia e Cina. Il Piano intende proseguire e sviluppa-re la relazione tra i due Paesi nei settori:

• della gestione dei sistemi sanitari, farmaceutico e biomedicale

• della sicurezza alimentare e nutrizio-nale

• della ricerca e formazione di manager e medici cinesi

• dei servizi sanitari (telemedicina, sa-nità elettronica, informatizzazione dei dati)

• dell'assistenza agli anziani • della salute della donna e del bambi-

no. Lo scopo è lavorare insieme per promuovere e tutelare il benessere della popolazione, svi-luppare la prevenzione delle malattie e cure

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Sanità e Sicurezza Sociale

Gazzetta Amministrativa -238- Numero 1- 2016

sempre più tempestive, efficaci, accessibili, sostenibili, garantite a tutti. I Ministri hanno concordato anche l'istituzio-ne di un gruppo di lavoro congiunto presso l'Ambasciata italiana a Pechino che ha tra i punti di collaborazione l'individuazione di aree della Cina dove avviare i progetti pilota sul modello sanitario italiano, la sostenibilità dei sistemi sanitari nazionali, l'accesso ai farmaci salvavita, l'assistenza agli anziani, la salute della donna e del bambino, la forma-zione di manager, medici e operatori sanitari e i progetti di ricerca scientifica anche sulla medicina tradizionale cinese. Durante la missione a Pechino il Ministro Lorenzin ha inoltre esaminato con il Presi-dente Zhi Shuping i principali dossier aperti su questioni sanitarie relative a prodotti a-groalimentari, sollecitandone una rapida e positiva conclusione, e sottoscritto i seguenti documenti e accordi volti a "favorire - ha af-fermato il Ministro Lorenzin - una maggiore penetrazione in Cina dei nostri marchi di qualità":

• Lettera di Intenti, che sviluppa una collaborazione bilaterale per aumen-

tare le esportazioni italiane in Cina di prodotti agroalimentari, formare gli ispettori cinesi in Italia, intensificare gli scambi di informazioni reciproche sulla sicurezza alimentare

e per conto del Ministero delle Politiche A-gricole e Forestali:

• Protocollo d'intesa, per favorire l'e-sportazione degli agrumi italiani in Cina

• Memorandum d'Intesa, per tutelare la qualita' dell'olio d'oliva italiano in Cina. Il Governo italiano organizzerà corsi di formazione per gli ispettori cinesi di AQSIQ per visite a frantoi, istruzione sui controlli di qualità nei territori, attività di lotta alle frodi.

Il Ministro Lorenzin ha infine incontrato il viceministro dell'Agricoltura YU Kangzhen, con cui ha parlato dell'importanza della col-laborazione tra Italia e Cina nell'ambito del-la sanità animale e della sicurezza degli ali-menti convenendo sull'utilità dello scambio di pratiche tra veterinari e verifiche di prodotti (Comunicato del Ministero della Salute del 1.2.2016).

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Sanità e Sicurezza Sociale

Gazzetta Amministrativa -239- Numero 1- 2016

GIURISPRUDENZA Consiglio di Stato, 10.2.2016 n. 565 Medico di famiglia - libertà di scelta del pa-ziente - territorio di competenza della Asl - sussistenza. E’ impugnata la sentenza n. 557/2009 del TAR Calabria - sede di Catanzaro - con la quale il predetto Tribunale ha respinto il ricorso dell’appellante dr. X avverso il provvedimento regionale con cui si è limitata la facoltà di scel-ta degli assistiti in favore dei medici di medici-na generale ai più ristretti elenchi dei Distretti in cui è stata suddivisa la ASP di Reggio Cala-bria, cioè in sostanza ad un ambito territoriale più circoscritto, rispetto a quello su cui insiste l’azienda Sanitaria. L’interessato contesta quanto affermato dal TAR e cioè che la determinazione regionale sia stata adottata in conformità alla normativa di riferimento - art 25 l. n. 833/1978 e art. 19 e 26 d.P.R. n. 270/2000 di approvazione dell’accor-do collettivo, in quanto, se è vero che l’accordo collettivo subordina l’interesse del singolo me-dico ad esigenze di razionalizzazione organiz-zativa, è altrettanto vero che il principio della libera scelta del medico da parte dell’assistito,è principio prevalente rispetto ad una clausola dell’accordo che ne impedisca la concreta ap-plicazione, senza che alla base vi siano gravi e reali esigenze di natura organizzativa. La tesi dell’appellante è da condividere. Per giurisprudenza costante anche di questo Consiglio (ved da ult. CdS sez III n. 128/2012), la scelta del medico di base da parte dell’assistito è regolata dal principio della fi-ducia personale, attese le finalità prevalenti di tutela della salute pubblica. Tale libertà di scelta non è illimitata, ma deve collegarsi con l’ambito territoriale di riferi-mento che ordinariamente coincide con quello della ASL di appartenenza.

Nei grandi Comuni ove operano più ASL è evi-dente che l’ambito territoriale coincide con una frazione del comune stesso, mentre nel caso in cui la ASL sia pluricomunale, non appare am-missibile un potere di scelta infracircoscrizio-nale, cioè ristretto ad una parte soltanto del territorio su cui insiste l’Azienda Sanitaria. Ciò infatti comporterebbe, a parte una limita-zione del potere di scelta non consentita dall’art. 25L. n. 833/1978, anche un’evidente disparità di trattamento tra cittadini e sanitari di grossi centri e quelli residenti in piccoli co-muni ai quali ultimi, cioè ai sanitari, verrebbe attribuito un bacino di utenza più limitato con evidenti conseguenze sul libero esplicarsi dell’attività professionale e sui profili della capacità e dell’esperienza del medico. Nel caso in esame il dr. X, per effetto del prov-vedimento impugnato, è tenuto ad operare in un Distretto di cinque piccoli Comuni, mentre egli riferisce di aver dovuto abbandonare una parte della clientela acquisita negli altri Comuni ri-compresi nella ex ASL 10 di Palmi, confluita nella ASP di Reggio Calabria, in cui esercitava le sue funzioni, rinunciando nel contempo al diritto di estendere la propria attività a tutto il territorio dell’azienda Sanitaria. Esigenze interne, pur legittime, di natura orga-nizzativa, non possono riconnettersi alla resi-denza anagrafica dei medici di base e condurre alla creazione di “Distretti infracircoscriziona-li” di pochi o piccolissimi Comuni (in questo senso, cioè del rispetto dei principi dettati dalla legge istitutiva del SSN, devono essere interpre-tate le disposizioni del sù citato accordo collet-tivo), tali da pregiudicare il principio del diritto di scelta più ampia possibile da parte dell’assistito. Per tutte le considerazioni che precedono l’appello va accolto e per l’effetto, in riforma

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Sanità e Sicurezza Sociale

Gazzetta Amministrativa -240- Numero 1- 2016

della sentenza impugnata, annullato il provve-dimento impugnato. Le spese di lite, tenuto

conto del carattere interpretativo delle questio-ni poste, possono compensarsi tra le parti.

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Sanità e Sicurezza Social

Gazzetta Amministrativa -241- Numero 1- 2016

PARERI

Questa sezione della Gazzetta Amministrativa raccoglie la pare-ristica redatta dall’AVVOCATURA DELLO STATO

DOMANDA Autorizzazioni per gli ambulatori e regime sanzionatorio delle violazioni. Parere 14/12/2015-562614, Al 41948/15, Avv. Fran-cesco Sclafani. RISPOSTA Con la nota che si riscontra, è stato chiesto il parere di questa Avvocatura in merito al rap-porto tra l’art. 193 T.U. Leggi Sanitarie e l’art. 12 della Legge regionale del Lazio n. 4/2003 per quanto concerne la disciplina au-torizzativa degli ambulatori e il regime san-zionatorio delle relative violazioni. In particolare codesta Amministrazione chie-de di conoscere l’avviso della scrivente sui seguenti quesiti: 1) “se le leggi regionali e le relative normati-ve di attuazione riempiano ed in parte sosti-tuiscano oggi l’art. 193 T.U. Sanità pubblica; 2) se l’utilizzo di spazi ulteriori rispetto a quelli della planimetria autorizzata o l’esercizio di prestazioni e attività mediche diverse e/o ulteriori rispetto a quelle autoriz-zate rappresentino fattispecie cui comminare la sanzione amministrativa di cui all’art. 193 4 co. primo periodo T.U. sanità pubblica e all’art. 12 co. 2 L.R. n. 4/2003, oppure la sanzione amministrativa di cui all’art. 193 4° comma secondo e terzo periodo e all’art. 12, co. 1 L.R. n. 4/2003” . Con l’istituzione del servizio sanitario nazio-nale, la l. n. 833/1978 ha devoluto alle singo-le regioni il compito di disciplinare il regime

autorizzatorio e di vigilanza sulle istituzioni sanitarie di carattere privato. Ci. emerge dall’art. 43, primo comma, l. n. 833/1978 in cui si legge che “la legge regio-nale disciplina l’autorizzazione e la vigilanza sulle istituzioni sanitarie di carattere priva-to” tra le quali rientrano gli ambulatori ai sensi dell’art. 4, co. 2, l. n. 412/1991 (secon-do il quale “dette istituzioni sanitarie (gli ambulatori) sono sottoposte al regime di au-torizzazione e vigilanza sanitaria di cui all’art. 43 della l. 23.12.1978, n. 833”). Con tale disposizione la l. n. 833/1978 ha vo-luto sostituire il regime autorizzatorio e san-zionatorio di cui al T.U. delle Leggi Sanitarie del 1934 con un nuovo regime di competenza regionale. Peraltro, l’art. 8-ter d.lgs. 502/1992, dopo aver ribadito che la realizzazione di strutture e l’esercizio di attività sanitarie e sociosani-tarie sono subordinate ad autorizzazione, di-spone che spetta alle regioni determinare modalità e termini per la richiesta e il rila-scio dell’autorizzazione alla realizzazione di strutture e all’esercizio di attività sanitaria e sociosanitaria. Che si tratti della sostituzione di un regime statale con un regime regionale - peraltro in linea con la riforma del Titolo V della Costi-tuzione - risulta anche dal fatto che il citato art. 43 l. 833/1978 contiene una disciplina transitoria secondo la quale fino all’emanazione della legge regionale restano in vigore alcune disposizioni, anche del T.U.

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Sanità e Sicurezza Sociale

Gazzetta Amministrativa -242- Numero 1- 2016

delle leggi sanitarie (artt. 194, 195, 196, 197 e 198), “intendendosi sostituiti al Ministero della Sanità la regione e al medico provincia-le e al prefetto il presidente della giunta re-gionale”. Tra le suddette norme del T.U. delle leggi sa-nitarie non viene richiamato l’art. 193 il qua-le pertanto è rimasto in vigore anche dopo l’emanazione delle varie leggi regionali; ci. in quanto tale norma disciplina un reato e le regioni non possono legiferare in materia pe-nale. Sul punto Cass. Pen. Sez. III, 12.1.1998, n. 2688 ha sottolineato che, a seguito della istituzione del servizio sanitario nazionale, ex l. 833/1978, che con l’art. 43 ha devoluto alle regioni il compito di disciplinare le autoriz-zazioni relative alle istituzioni sanitarie di carattere privato, si è venuto a limitare l’ambito di applicazione dell’art. 193 T.U. leggi sanitarie soltanto a quelle attività per le quali le diverse leggi regionali continuano a richiedere un provvedimento permissivo. Tuttavia, ai fini del parere richiesto, rileva in particolare il quarto comma dell’art. 193 T.U. leggi sanitarie che presenta problemi di compatibilità o coordinamento con l’art. 12, primo e secondo comma L.R. Lazio n. 4/2003. Tale disposizione del T.U. cit. non contiene una norma penale in quanto opera “indipen-dentemente dal procedimento penale” e di-sciplina l’esercizio delle funzioni amministra-tive concernenti la vigilanza sul rispetto del regime autorizzatorio prevedendo la chiusura delle strutture sanitarie aperte senza autoriz-zazione o in violazione delle prescrizioni con-tenute nell’atto di autorizzazione. Ebbene, per quanto concerne il primo quesi-to, si osserva che l’art. 43 l. 833/1978 ha de-voluto alla competenza regionale la discipli-na sia dell’autorizzazione che della vigilanza sulle istituzioni sanitarie di carattere privato. Pertanto, deve ritenersi che con l’entrata in vigore della L.R. Lazio n. 4/2003 le sanzioni amministrative per l’esercizio dell’attività sanitaria e socio-sanitaria in assenza o in vi-olazione dell’autorizzazione siano quelle pre-viste dall’art. 12, primo e secondo comma, L.R. cit. e non dall’art. 193, quarto comma T.U. leggi sanitarie. Ciò in quanto l’esercizio della potestà sanzionatoria rientra nell’ambito dell’attività di vigilanza. Sul secondo quesito si osserva quanto segue.

L’esercizio di prestazioni diverse rispetto a quelle autorizzate rientra nella previsione del primo comma dell’art. 12 L.R. cit. che ri-guarda espressamente le attività diverse. L’esercizio di prestazioni ulteriori rispetto a quelle autorizzate, pur non essendo letteral-mente contemplato dall’art. 12, deve ritenersi assimilabile all’esercizio di una attività di-versa da quella autorizzata in quanto anche qui l’autorizzazione c’è ma l’attività svolta non è conforme a quella autorizzata. Infine, l’esercizio dell’attività autorizzata ma su spazi ulteriori rispetto alla planimetria in-dicata nell’autorizzazione, deve ritenersi anch’esso assimilabile all’esercizio di un’attività diversa da quella autorizzata e quindi soggetto alla disciplina di cui al primo comma dell’art. 12 L.R. cit. Ciò perché, ana-logamente a quanto osservato per le attività ulteriori, anche in tal caso l’autorizzazione c’è ma l’attività svolta non è conforme a quella autorizzata. Deve ritenersi infatti che il concetto di diver-sità non riguardi solo il tipo di attività, bens. ogni difformità rilevante rispetto alle prescri-zioni contenute nell’atto autorizzativo. Tale interpretazione, non solo è compatibile con la lettera della norma dove non viene specificato il tipo di diversità, ma è conforme anche alla ratio dell’art. 12 L.R. cit. che pre-vede due illeciti amministrativi di differente gravità a cui corrisponde un diverso regime sanzionatorio: a) il primo comma riguarda la fattispecie meno grave di colui che ottiene l’autorizzazione ma non la rispetta perché non svolge l’attività autorizzata, bens. un’attività diversa (per tipo, modalità di e-sercizio, estensione degli spazi utilizzati, ecc.); b) il secondo comma riguarda la fattispecie più grave di colui che invece non si sottopone nemmeno al regime autorizzatorio ed esercita l’attività sanitaria o socio-sanitaria in totale carenza della prescritta autorizzazione. Infine, il diverso grado di offensività delle suddette tre fattispecie non impedisce che siano ricondotte ad un’unica tipologia di ille-cito in quanto il legislatore regionale ha pre-visto un range sanzionatorio abbastanza am-pio (euro 5.000 - 50.000) nel quale può esse-re individuata la giusta sanzione.

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Sanità e Sicurezza Social

Gazzetta Amministrativa -243- Numero 1- 2016

Il presente parere è stato sottoposto al Comi-tato Consultivo dell’Avvocatura dello Stato,

ai sensi dell’art. 26 l. n. 103/1979, il quale si è espresso in conformità.

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Gazzetta Amministrativa -244- Numero 1- 2016

Dichiarazione sull’Etica, sulle pratiche scorrette e Regolamento sulle modalità di valutazio-ne dei contributi scientifici pubblicati in Gazzetta Amministrativa della Repubblica Italiana

Sezione di ricerca scientifica

della “Gazzetta amministrativa della Repubblica Italiana”

Al fine di garantire un elevato standard della qualità scientifica dei documenti pubblicati, la Rivi-sta ha sempre effettuato un’attività di valutazione scientifica preventiva, da parte del Direttore, dei membri della Direzione, del Comitato scientifico e dei Direttori dei focus, dei contributi pub-blicati. Di tale attività di valutazione (che spesso permette arricchimenti e correzioni del contribu-to, specie se proveniente da giovani studiosi e ricercatori) viene regolarmente conservata traccia dalla redazione della Rivista. Attualmente, al fine di soddisfare in modo ottimale i parametri per la valutazione scientifica dei contributi da pubblicare, la Rivista svolge una sistematica attività di referaggio. A tal proposito è stato creato un comitato di referees composto da 80 esperti, compresi i membri del Comitato scientifico, ossia un numero superiore a tre volte il numero delle uscite annuali. I componenti sono scelti tra professori universitari italiani e stranieri in settori disciplinari e scienti-fici di interesse della rivista, magistrati, dirigenti pubblici, avvocati. L’attività di valutazione scientifica dei contributi si differenzia a seconda del tipo di documento da pubblicare: Presentazione del contributo: Il contributo deve essere inviato in appositi templates forniti dalla redazione all'indirizzo e-mail [email protected] unitamente a: 1) i dati personali dell'Autore, la qualifica professionale e i recapiti; 2) un abstract di massimo 250 parole sia in italiano che in inglese, 6 parole chiave e la sua quali-ficazione attraverso le categoria del sistema U-Gov Miur (saggio, commento, nota... etc...) ; 3) una formale richiesta (v. All. a) di pubblicazione comprensiva delle seguenti dichiarazioni da parte dell'Autore:

a) che il lavoro sia esclusivo frutto dell'Autore e sia stato redatto nel rispetto delle norme del diritto d'autore e della riservatezza delle informazioni anche con riferimento alle fonti utilizza-te;

b) che l'Autore non ha già pubblicato ovvero non ha chiesto la pubblicazione dello scritto ad altra rivista telematica sia scientifica che di informazione;

c) che le posizioni espresse impegnano l'Autore e non la rivista; d) che l'Autore esonera la rivista da ogni responsabilità con riguardo alla scelta di pubbli-

care, in parti separate, non pubblicare lo scritto oltre che di rimuovere il contributo dalla rivista in caso di violazione di norme di legge. Esame preliminare: La redazione, su proposta del Direttore o del Vice Direttore , svolge un esame preliminare dello scritto e, in particolare, ne valuta:

a) l'attinenza del tema trattato con quelli oggetto della rivista; b) la qualificazione, anche sulla base dell' espressa richiesta dell'Autore, tra le diverse ti-

pologie di contributi di cui alla classificazione U-Gov Miur; c) la presenza dei requisiti minimi di accettabilità anche con riguardo alle informazioni

rese dall'Autore all'atto della richiesta di pubblicazione di cui ai punti da a) a d); d) l’eventuale modifica dell’ area tematica; e) qualora lo scritto venga classificato come contributo di “attualità” finalizzato

all’aggiornamento professionale, il successivo invio per la valutazione finale da parte di due com-ponenti del Comitato di redazione.

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Gazzetta Amministrativa -245- Numero 1- 2016

Referaggio: L’Autore di "saggi e contributi scientifici", in caso di esito positivo dell'esame preliminare, rice-verà la comunicazione che lo scritto sarà sottoposto a referaggio. L'attività di valutazione scientifica dei contributi è differenziata a seconda del tipo di contributo da pubblicare:

a) Referaggio di saggi e contributi scientifici: Nel caso di collocazione dello scritto nella categoria "saggi e contributi scientifici", il lavoro sarà sottoposto alla valutazione di due revisori fra i componenti del Comitato di referee, italiani o stranieri, esperti della materia o del tema oggetto dello scritto medesimo, di cui almeno un profes-sore ordinario, che saranno in rapporto esclusivamente con la Direzione della rivista. È adottato, in via preferenziale, il sistema di valutazione c.d. doublé blind peer review: il contri-buto è inviato dal Direttore della Rivista ai due revisori in forma anonima e all'autore non sono rivelati i nomi dei revisori, i quali sono vincolati (alla pari del Direttore della Rivista) a tenere segreto il loro operato. La segretezza dell'identità dei revisori, anche in caso di giudizio positivo, è a garanzia di una maggiore indipendenza di giudizio. In via residuale e a discrezione del Direttore , può essere utilizzato anche il sistema di valutazione del peer review c.d. open, in cui si garantisce la forma anonima della valutazione, ma i soggetti chiamati ad effettuare la valutazione potranno conoscere l'identità dell'autore del contributo sotto-posto a valutazione.

b) Referaggio di contributi di “attualità” finalizzati all’aggiornamento professionale: Per i contributi classificati sotto la categoria "attualità", la valutazione del lavoro sarà effettuata da due componenti del comitato di redazione della rivista. In ogni caso, a garanzia di una maggiore indipendenza del giudizio, la valutazione del contributo avverrà sempre in forma rigorosamente anonima e l'autore non potrà conoscere l'identità dei soggetti chiamati a valutare il contributo. Per garantire la celere pubblicazione di un documento di estrema attualità, la valutazione del contribu-to potrà essere effettuata anche dal Direttore.

c) Referaggio di note a sentenza e recensioni: In ragione del loro carattere più o meno snello, note a sentenza e recensioni possono essere as-soggettate, a scelta del Direttore, alla procedura di cui sub a ovvero sub b.

d) Referaggio di saggi e contributi di autori di riconosciuta autorevolezza scientifica: In via eccezionale, su proposta del Direttore accolta dal comitato di Direzione, i contributi di au-tori di riconosciuta autorevolezza scientifica possono essere pubblicati senza referaggio preventi-vo, ferma rimanendo la responsabilità del Direttore. Valutazione del contributo: La valutazione del contributo avviene sulla base dei seguenti criteri:

a) la rigorosità dell'impostazione metodologica; b) l'adeguatezza della bibliografia fatta salva la possibilità di scritti volutamente privi di

riferimenti bibliografici; c) la chiarezza espositiva; d) l’apporto di novità fornito allo stato di avanzamento degli studi sull'argomento; nelle

note a sentenza, il contributo di novità è quello apportato alla motivazione della sentenza stessa, in senso critico o migliorativo. Esito del referaggio L'esito del referaggio può comportare:

a) l'accettazione del contributo per la pubblicazione integrale o in parti distinte senza mo-difiche;

b) l'accettazione subordinata a modifiche migliorative, che sono sommariamente indicate dal revisore; in questo caso il contributo è restituito all'autore per le modifiche da apportare; l'a-deguatezza delle modifiche apportate è successivamente valutata dal Direttore della Rivista sen-za necessità di ulteriore referaggio;

c) la non accettazione dello scritto per la pubblicazione.

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Gazzetta Amministrativa -246- Numero 1- 2016

In caso di valutazione divergente dei due valutatori, la decisione finale è presa dal direttore della Rivista, sentito il Comitato di Direzione. Doveri dei revisori. II revisore selezionato che non si senta qualificato alla revisione del manoscritto assegnato, o che sappia di non essere in grado di eseguire la revisione nei tempi richiesti, deve notificare la sua de-cisione al comitato di redazione, rinunciando a partecipare al processo di revisione. I manoscritti ricevuti per la revisione devono essere trattati come documenti riservati. Essi non devono essere mostrati o discussi con chiunque non sia previamente autorizzato (tal comitato di redazione. La revisione deve essere condotta obiettivamente. Non è ammesso criticare o offendere personalmen-te un autore. I referee devono esprimere le proprie opinioni in modo chiaro e con il supporto di argomentazioni chiare e documentate. I revisori hanno il compito di identificare la presenza di materiale bibliografico rilevante per il la-voro da valutare ina non citato dagli autori. Ogni dichiarazione, osservazione o argomentazione riportata deve preferibilmente essere accompagnata da una corrispondente citazione. Il revisore deve richiamare l'attenzione del comitato di redazione qualora ravvisi una somiglianzà sostanziale o una sovrapposizione tra il manoscritto in esame e qualunque altro documento pubblicato di cui ha conoscenza personale. Le informazioni o idee ottenute tramite la revisione dei manoscritti de-vono essere mantenute riservate e non utilizzate per vantaggio personale. I revisori non devono accettare manoscritti, nei quali abbiano conflitti di interesse derivanti da rapporti di concorrenza, di collaborazione, o altro tipo di collegamento con gli autori, aziende o enti che abbiano relazione con l'oggetto del manoscritto. Doveri degli autori. Gli autori devono garantire che le loro opere siano del tutto originali e, qualora siano utilizzati il lavoro e/o le parole di altri autori, che queste siano opportunamente parafrasate o citate lett.lmente, ed il corretto riferimento al lavoro di altri autori deve essere sempre indicato. Gli au-tori hanno l'obbligo di citare tutte le pubblicazioni che hanno avuto influenza nel determinare la natura del lavoro proposto. Gli autori di articoli basati su ricerca originale devono presentare un resoconto accurato del lavoro svolto, nonché ima discussione obiettiva del suo significato. I dati relativi devono essere rappresentati con precisione nel manoscritto. I manoscritti devono contene-re sufficienti dettagli e riferimenti per eventualmente permettere ad altri la replicazione dell'inda-gine. Dichiarazioni fraudolente o volontariamente inesatte costituiscono un comportamento non etico e sono inaccettabili. I manoscritti proposti non devono essere stati pubblicati come materiale protetto da copyright in altre riviste. I manoscritti in fase di revisione dalla rivista non devono essere sottoposti ad altre ri-viste ai fini di pubblicazione. La paternità lett.ria del manoscritto è limitata a coloro che hanno dato un contributo significativo per l'ideazione, la progettazione, l'esecuzione o l'interpretazione dello studio. Tutti coloro che hanno dato un contributo significativo devono essere elencati come co-autori. Qualora vi siano altri soggetti che hanno partecipato ad aspetti sostanziali del progetto di ricerca, devono essere ri-conosciuti ed elencati come contributori nei ringraziamenti. L'autore di riferimento deve garantire che tutti i relativi co-autori siano inclusi nel manoscritto, che abbiano visto e approvato la versione definitiva dello stesso e che siano d'accordo sulla pre-sentazione perla pubblicazione. Conflitto di interessi Un conflitto di interessi può sussistere quando un autore (o la sua istituzione), un referee o un membro della redazione hanno rapporti personali o economici che possono influenzare in modo inappropriato il loro comportamento. Questo conflitto può esistere anche se il soggetto ritiene che tali rapporti non lo influenzino. Sta alla direzione della rivista gestire nel miglior modo possibile

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Gazzetta Amministrativa -247- Numero 1- 2016

eventuali conflitti di interessi (ad esempio tramite il sistema dei referees anonimi in doppio cie-co), e agli autori può venire richiesta una dichiarazione in merito.

HANNO PARTECIPATO

Avv .Giacomo Aiello, Dott. Valerio Antognarelli, Dott.ssa Francesca Romana Marcacci Bale-strazzi, Dott. Luca Carioti, Avv. Marco Corsini, Prof. Antonino Ilacqua, Avv. Ettore Figliolia,

Avv. Ilia Massarelli, Avv. Marco Stigliano Messuti, Prof. Massimiliano Nisati, Avv. Luca Pe-trucci, Avv. Diana Ranucci, Dott. Roberto Savarese, Avv. Francesco Sclafani, Avv. Mario Anto-nio Scino, Avv. Roberta Tortora, Avv. Avv. Paolo Turco, Avv. Giulio Vasaturo.

Chiuso in redazione il 28.3.2016 Finito di stampare nel marzo 2016

presso la Tipografia Spedim – Montecompatri (Rm)

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eventuali conflitti di interessi (ad esempio tramite il sistema dei referees anonimi in doppio cie-co), e agli autori può venire richiesta una dichiarazione in merito.

HANNO PARTECIPATO

Avv .Giacomo Aiello, Dott. Valerio Antognarelli, Dott.ssa Francesca Romana Marcacci Bale-strazzi, Dott. Luca Carioti, Avv. Marco Corsini, Prof. Antonino Ilacqua, Avv. Ettore Figliolia, Avv. Ilia Massarelli, Avv. Marco Stigliano Messuti, Prof. Massimiliano Nisati, Avv. Luca Pe-trucci, Avv. Diana Ranucci, Dott. Roberto Savarese, Avv. Francesco Sclafani, Avv. Mario Anto-nio Scino, Avv. Roberta Tortora, Avv. Avv. Paolo Turco, Avv. Giulio Vasaturo.

Chiuso in redazione il 28.3.2016 Finito di stampare nel marzo 2016

presso la Tipografia Spedim – Montecompatri (Rm)

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