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Di Maria Luigia Campolongo Buonasera e grazie a tutti voi di essere intervenuti. Consentitemi un grazie speciale a Simone Calomino, giovane e brillante attore, che ci regalerà una bella interpretazione dei testi selezionati; egli ha di recente riportato, insieme al gruppo teatrale della sua scuola, il Liceo Scientif. Scorza, una magnifica vittoria. Il “Laboratorio teatrale Giuseppina Rossitto”, ha vinto a Cesena, il Premio Nazionale per il teatro scolastico. E voglio da qui inviare un pensiero alla memoria della cara G. Rossitto, mia amica e compagna di banco alle medie, infaticabile e stimolante docente, che ha curato per tanti anni il gruppo teatrale dello Scorza. Poi devo chiedervi di sgombrare il campo da equivoci. Io naturalmente non sono qui stasera a dirvi cose nuove. Niente che non sappiate già… Ci sono peraltro tanti amici e colleghi che meglio di me che non sono certo un‟ esperta- avrebbero potuto parlare di Ungaretti… Quello che vorrei fare, con il sostegno di Simone ( e anche - se ci riusciamo -di qualche immagine) è creare una suggestione, un‟atmosfera , per riflettere un po‟ insieme su questo grande poeta. La serata concilia infatti due obiettivi: quello che era emerso di confrontarsi ogni tanto con i grandi della poesia nazionale in lingua italiana e quella di ricordare la Grande guerra, di cui quest‟anno ricorre il centenario, la prima ad aver segnato il cosiddetto secolo breve.” Secondo la definizione dello storico Eric Hobsbawm, che in un suo saggio del 1994 riflette sulla densità e la velocità degli eventi del 900, caratterizzato

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Di Maria Luigia Campolongo

Buonasera e grazie a tutti voi di essere intervenuti. Consentitemi un grazie speciale

a Simone Calomino, giovane e brillante attore, che ci regalerà una bella

interpretazione dei testi selezionati; egli ha di recente riportato, insieme al gruppo

teatrale della sua scuola, il Liceo Scientif. Scorza, una magnifica vittoria. Il

“Laboratorio teatrale Giuseppina Rossitto”, ha vinto a Cesena, il Premio Nazionale

per il teatro scolastico. E voglio da qui inviare un pensiero alla memoria della cara

G. Rossitto, mia amica e compagna di banco alle medie, infaticabile e stimolante

docente, che ha curato per tanti anni il gruppo teatrale dello Scorza. Poi devo

chiedervi di sgombrare il campo da equivoci. Io naturalmente non sono qui stasera

a dirvi cose nuove. Niente che non sappiate già… Ci sono peraltro tanti amici e

colleghi che meglio di me – che non sono certo un‟ esperta- avrebbero potuto

parlare di Ungaretti…

Quello che vorrei fare, con il sostegno di Simone ( e anche - se ci riusciamo -di qualche

immagine) è creare una suggestione, un‟atmosfera , per riflettere un po‟ insieme su questo

grande poeta. La serata concilia infatti due obiettivi: quello che era emerso di confrontarsi

ogni tanto con i grandi della poesia nazionale in lingua italiana e quella di ricordare la

“Grande guerra”, di cui quest‟anno ricorre il centenario, la prima ad aver segnato il

cosiddetto “secolo breve.” Secondo la definizione dello storico Eric Hobsbawm, che in un

suo saggio del 1994 riflette sulla densità e la velocità degli eventi del „900, caratterizzato

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appunto da due guerre mondiali, dalla guerra fredda e poi dalla caduta del muro di Berlino

e dalle sue conseguenze.

Non mi è sembrato ci potessero essere dubbi, quando ne abbiamo parlato con il

Presidente e con F. Calomino, sul nome di Ungaretti, date queste premesse. Degli eventi

citati infatti solo l‟ultimo non aveva vissuto il poeta, il quale aveva attraversato le due

guerre e la prima di esse - in particolare- ne aveva determinato la poesia.

A ripensarci dopo, ho capito anche che la mia scelta istintiva era stata dettata dal fatto che

egli era stato il primo poeta italiano del „900 ad avermi affascinato..

Il mio primo incontro con Ungaretti infatti non fu quello attraverso i libri, ma attraverso la

TV.

Io che sono figlia della cultura di massa divulgata dal nuovo mezzo di comunicazione,

ossia la televisione, come oggi lo sono di internet i nativi-digitali, sono cresciuta a pane e

…televisione. Ed era il 1968, quando appena tredicenne, fresca di studio dell‟ epica nella

scuola media, ebbi modo di ascoltare i versi del più importante poeta della cultura

occidentale, quelli dell‟Odissea, nella sua stupenda traduzione, recitati con voce roca e

grande rispetto della metrica e dell‟onomatopeia, prima di ogni puntata della versione

sceneggiata del poema, del regista Rossi, dalla voce viva di Ungaretti, che era già

vecchissimo ed era quasi cieco, così che a me parve incarnare perfettamente i panni di

Omero…. MI SEMBRA di RISENTIRLO…… [SIMONE] Testo

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Fu un a sorta di folgorazione. Un incontro che evidentemente lasciò il segno per sempre.

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“Era burrasca, pioveva a dirotto ad Alessandria d‟Egitto in quella notte”. Così

racconta Ungaretti la sua nascita, nella magnifica Alessandria d‟Egitto, la citta bianca e

luminosa, circondata dal deserto…

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Era l‟8 febbraio 1888. Quanti 8 in questa data, qualche esperto di numerologia, ci

vedrebbe forse il segno di infinito…..ripetuto.

E Alessandria sarà per il poeta la “vastità e il silenzio senza confini di una distesa di

sabbia assimilata da sempre all‟idea di infinito, dei miraggi, delle oasi”, ma anche

quel rumoroso quartiere di periferia Moharrem Bey, lontano dal mare, dove abitava con i

suoi genitori, emigrati lucchesi, che lì gestiscono un forno per il pane.

La zona era povera, povera casa, una baracca con la corte e le galline, l‟orto e tre piante

di fichi che provenivano dalla campagna di Lucca, ma gli resterà sempre dentro

come idea di casa.

La sua e quella di suo fratello Costantino, molto amato dal poeta, non fu un‟infanzia felice.

Il padre morì precocemente, poiché si era ammalato a causa del duro lavoro di sterratore,

svolto durante gli scavi per il canale di Suez; e la madre dovette gestire da sola la casa, il

forno e l‟educazione dei figli. Non aveva tempo per la tenerezza, ma li educò con grande

cura e una profonda religiosità.

“Ho passato l‟infanzia in una casa dove la memoria di mio padre manteneva un lutto

costante”, dirà il poeta.” Non era un‟infanzia allegra”.

Il piccolo Giuseppe si reca spesso al porto, perché “il porto è un po‟ il miraggio

dell‟Italia, di quel luogo imprecisato e perdutamente amato..” che aveva imparato a

conoscere attraverso i racconti dei suoi. Racconti quasi fiabeschi, che avevano come

sfondo il circondario di Lucca. La sera- dopo la recita del rosario- la madre parlava ai figli

di quei posti.. “La mia infanzia –dice- ne fu tutta meravigliata”

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Alessandria è tutto questo dunque, ma anche qualcosa di più misterioso, è la città da cui

comincia la sua esplorazione del mondo, accumulando visioni ed emozioni.

E‟ il deserto che la circonda, è il primo percepire l‟infinito appunto, quel circolo che gli

antichi Egizi amavano rappresentare come un serpente che morde la propria coda; era le

voci ed i suoni, le nenie, che saranno come il sottofondo della sua poesia, una eco

lontana, un sentimento del tempo, perduto, ma ritrovato e salvato nella sua poesia.

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La scoperta della parola

Dagli 8 ai 15 anni studi presso il collegio don Bosco- di cui serberà un ricordo sgradevole,

essendo egli uno insofferente alla disciplina, ai marchi…

Viene poi iscritto alla école Suisse Jacot di Alessandria. Qui – grazie a docenti

preparatissimi ed aggiornati sugli orientamenti della letteratura e della filosofia

contemporanea- scopre innanzi tutto Leopardi, che più tardi comprenderà, come lui stesso

dice, “in tutta la sua grandezza e la sua segreta potenza”; dirà di lui “quell‟uomo che

ha preceduto Nietsche, che ha sentito la sua epoca e ha avuto la percezione dei

tempi nostri come forse nessuno storico ebbe mai”. Leopardi sarà uno dei suoi fari.

L‟altro sarà costituito dai simbolisti francesi, da Boudelaire. Ma , in questa prima

fase, in particolare lo affascina Mallarmé, ancorché non pienamente compreso, dice

infatti “ la sua poesia è così piena del segreto umano dell‟essere, che chiunque può

sentirsene musicalmente attratto, anche quando ancora non ne sappia che

malamente decifrare il senso letterale”.

Mallarmé è il poeta che ha saputo creare una lingua nuova, ben distinta da quella

della comunicazione quotidiana.Il poeta francese è volto infatti alla ricerca della parola

pura, liberata dai significati comuni, capace di esprimere l‟inesprimibile; egli sa creare

attorno ad essa quell‟aura magica che tanto affascina Ungaretti e nella quale -

secondo lo stesso Mallarmé -risiede il potere incantatorio della parola, accentuato

dal sapiente uso degli spazi bianchi. Grande anticipatore dello sperimentalismo di tanta

poesia novecentesca fu Mallarmé: dal gusto per la poesia visiva dei Futuristi, ai

calligrammi di Apollinaire. (A Parigi Ungaretti sarà molto attratto dalla poesia visiva di

Apollinaire, dalla novità di quei testi).

Questa parola alonata di magia appunto, che più che descrivere suggerisce e più

che rappresentare evoca le cose, sarà a lungo oggetto dello studio del giovane

Ungaretti e di un grande amore. Così forse il deserto che circonda Alessandria, il

suo silenzio, trasferiti sulla carta danno vita alla parola isolata nel verso o

circondata dal bianco dell‟intera pagina…

Una parola che deve essere essenziale, liberata dalla contaminazione con la

banalità del linguaggio di tutti i giorni e capace per questo di penetrare tra le pieghe

dell‟io. E‟ un sorta di bussola la parola, che veicola il mistero nascosto nell‟uomo e

lo fa salire alla luce per forza di illuminazioni, nelle quali talvolta si riesce ad

intravedere un barlume di verità.

La sua adolescenza è l‟età delle amicizie, come delle letture disordinate e voraci..

Lontano dall‟Italia, Ungaretti non è influenzato dalle polemiche letterarie che intanto vi si

svolgono. Non si sente obbligato a seguire dei modelli del XIX o del XX secolo. Insieme al

suo grande amico e compagno di scuola Moammed Sceab, siede tutte le sere nel solito

caffè latteria e consuma il suo yogurt alla turca, seduto allo stesso tavolo con il grande

poeta di Alessandria, di origine greca, Kostantin Kavafis, un “poeta che- come scrive lo

stesso Ungaretti nel ricordarlo - oggi la critica annovera tra i quattro o cinque veri

poeti, del ventesimo secolo.

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“Kavafy aveva venticinque anni almeno di più del più vecchio di noi, che non ne

aveva più di 18”. Ma, racconta :“Mi furono d‟insegnamento ineguagliabile le

conversazioni con lui, per il quale non aveva segreti la sua lingua nel trimillenario

mutarsi e permanere, né la nostra Alessandria, crogiuolo di civiltà”.

In quegli anni U. fa parte di un circolo anarchico; conosce e frequenta Enrico Pea

proveniente dalla Versilia, un personaggio geniale…che aveva fatto costruire la

Baracca Rossa e, sopra quella che era la sua segheria, aveva destinato uno stanzone a

sala conferenze, assemblee, cospirazioni di sovversivi, che lì ad Alessandria, la città

più ospitale del mondo, capitavano da ogni dove.

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Ungaretti ragazzo si immedesima nelle sofferenze e nel sentimento di esilio di quegli

uomini e impara da Pea a gettarsi nella vita con entusiastica adesione, con generosità e

coraggio. “C‟è passione in lui. E la passione da quel momento non verrà mai meno”

dice Leone Piccioni, il più grande biografo e critico di Ungaretti.

“Pea frequentava un caffè, accanto alla Baracca, e il caffettiere -racconta Ungaretti - si

chiamava Platone ed era davvero quella un‟Accademia!, non di perdigiorno, ma di

cercatori, dato che la si possa trovare, della verità, oltre l‟estremo suo velo che è la

poesia”. Nello stesso periodo collabora con il “Messaggero egiziano” importante

quotidiano in lingua italiana; è segretario di redazione di “Unione della democrazia”. Ha

rapporti epistolari con la rivista fiorentina “La Voce”, fondata da Prezzolini, di cui

apprezza il taglio controcorrente…

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La partenza da Alessandria

Ma vivere ad Alessandria è difficile, manca il lavoro e il nostro poeta è completamente

sprovvisto di senso pratico… Quando la madre venderà il forno e gli affiderà una parte del

denaro, egli investirà in affari sbagliati, perdendo tutto. Matura lentamente la decisione

di lasciare Alessandria e di proseguire altrove gli studi. Il distacco sarà doloroso,

nell‟autunno del 1912. (“Ti vidi Alessandria, diventarmi un ricordo in un abbraccio

sospeso di lumi”.) Non è una separazione definitiva, perché Alessandria riaffiorerà

di continuo, come un rimorso o come un amore, nei suoi versi, dai più antichi agli

ultimi; sarà un‟illuminazione improvvisa, sarà un miraggio nei momenti di

solitudine, sarà l‟orlo bianco del foglio attorno alle parole, come è stato detto:

[LETTURA ]

“[…]altri luoghi d‟oriente possono avere le mille notti e una, Alessandria ha il

deserto, ha la notte, ha il nulla, ha i miraggi, la nudità immaginaria che innamora

perdutamente”.

“SILENZIO”

Conosco una città

che ogni giorno s'empie di sole

e tutto è rapito in quel momento

Me ne sono andato una sera

Nel cuore durava il limio

delle cicale

Dal bastimento

verniciato di bianco

ho visto

la mia città sparire

lasciando

un poco

un abbraccio di lumi nell'aria torbida

sospesi.

La prima meta di Ungaretti , dopo lo sbarco a Brindisi, sarà Firenze. Gli amici fiorentini.

Qui familiarizza con un paesaggio che già gli appartiene, ma gli occorrerà tempo prima

che accetti, e non solo con il cuore, l‟Italia. Al momento la sola città che sembra soddisfare

la sua curiosità intellettuale, offrirgli una molteplicità di sollecitazioni ed esperienze è

Parigi.

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Scrive: “nell‟arrivarci fui colto da smarrimento, subito vinto dalle confidenze di

quei grigi inenarrabili…”

Frequenta assiduamente l‟avanguardia e le lezioni di Bergson, dalle quali dichiarerà più

tardi di aver molto imparato, anche se non erano poi così chiare, ma in esse, dice, c‟era

qualcosa che ti avviluppava, che era estremamente seducente, che era assai difficile da

penetrare sino in fondo . “Io credo- afferma -che la mia poesia abbia un grande debito

verso di lui”. “FU ATTRAVERSO QUELLE LEZIONI CHE SI PRECISO‟ IN ME IL

SENTIMENTO DEL TEMPO”

A Parigi ha modo di conoscere e frequentare talenti come Braque, Picasso, Boccioni,

Modigliani, Utrillo.

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Conosce M. Proust, ma decisivo per lui è l‟incontro con Apollinaire, il poeta dei

calligrammi, che abita a Saint Germaine, il quartiere dove ogni sera si incontrano

intellettuali ed artisti.

Apollinaire è un punto di riferimento essenziale per tutte le avanguardie artistiche. Legato

a Picasso e Braque e Henri Rousseau, egli aderisce al Futurismo e redige un manifesto,

“L‟antitradizione futurista”, in cui sostiene la necessità di rinnovare le tecniche e i ritmi e

di puntare sull‟intuizione e su un linguaggio veloce, i giochi grafici, il simultaneismo delle

immagini, il poème conversation, con la riproduzione di brandelli di dialoghi. Ecco sono

solo alcune delle novità introdotte da questo poeta nell‟arte del Novecento.. La poesia è

infatti da lui concepita come libertà assoluta: può accogliere qualsiasi soggetto e

rappresentare simultaneamente molte cose, come avviene nelle colonne dei giornali

o nei film. In Calligrammi esplicita poi il suo gusto sperimentale, creando esempi

molto belli di poesia visiva….

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A Parigi Ungaretti incontra anche Marinetti, Palazzeschi, Boccioni e De Chirico, Alberto

Savinio -suo fratello- ma il forte legame lo avrà con Apollinaire, che egli andrà a

trovare a più riprese, anche durante le pause della guerra.

Parigi, nel suo itinerario esistenziale, rappresenta l‟assimilazione di una cultura

vitale, la presa di coscienza delle sperimentazioni in atto, che tanto lo attraevano, di

tendenze artistiche che lasceranno il segno e forse la scoperta della propria

vocazione di poeta. Parigi è però anche la città “straniera”, in cui ci si può sentire

tanto estranei da suicidarsi e così, suicida appunto, muore l‟amico Mooammed

Sceab, nel 1913.

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A lui il poeta dedicherà la poesia In memoria con cui si apre -non casualmente- la sua

raccolta “Il porto sepolto”. E‟ dedicata all‟amico arabo con cui aveva condiviso anche

una stanza, nel Quartiere Latino, morto suicida, perché incapace di sopportare

lo sradicamento dalla sua patria originaria. Sceab non può integrarsi nell‟ambiente

parigino e nemmeno rimanere legato ai costumi della sua vecchia

patria. Nomade non solo per motivi di sangue (i suoi mitici progenitori sono

appunto “emiri nomadi”, v. 4), Sceab non possiede il dono della poesia, attraverso

cui Ungaretti riesce invece a sopportare il medesimo destino: la condizione di sradicato

(déraciné). A differenza del compianto amico, Ungaretti riesce a “sciogliere il canto del

suo abbandono” (vv. 20-21) e a salvarsi grazie alla poesia.

Quindi in questo testo, di grandissima attualità per il tema dello sradicamento, che

ci riporta ai migranti disperati di oggi, si parla anche del valore salvifico della

poesia…. Lo stesso Ungaretti intervistato dirà a proposito di questa poesia:“E‟ il

simbolo di una crisi della società, derivata dall‟incontro e scontro di civiltà diverse e

dall‟urto e conseguenti sconvolgimenti tra le tradizioni politiche e il fatale evolversi

storico dell‟umanità”

In Memoria

Si chiamava

Moammed Sceab

Discendente

di emiri di nomadi

suicida

perché non aveva più

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Patria

Amò la Francia

e mutò nome

Fu Marcel

ma non era Francese

e non sapeva più

vivere

nella tenda dei suoi

dove si ascolta la cantilena

del Corano

gustando un caffè

E non sapeva

sciogliere

il canto

del suo abbandono

L‟ho accompagnato

insieme alla padrona dell‟albergo

dove abitavamo

a Parigi

dal numero 5 della rue des Carmes

appassito vicolo in discesa.

Riposa

nel camposanto d‟Ivry

sobborgo che pare

sempre

in una giornata

di una

decomposta fiera

E forse io solo

so ancora

che visse

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Le liriche del primo Ungaretti contengono elementi di grande innovazione stilistica,

specialmente rispetto alla tradizione letteraria italiana.

Lo sconvolgimento della metrica è alla base della sua rivoluzione: il verso viene

disgregato “in versicoli, frantumando il discorso in una serie di monadi verbali,

sillabate quasi come attonite interiezioni liriche” (dice Mengaldo). Questo

meccanismo carica ( come si è già potuto notare grazie all’ottima interpretazione di

Simone) la singola parola di un‟ energia espressiva inedita; ma a questa metrica franta

del primo Ungaretti, corrisponde un preciso ideale di poetica, ovvero quello di recuperare

“l‟assoluto” …

“Ho, ed è naturale, riflettuto come qualsiasi scrittore o artista, sui problemi

dell‟espressione poetica e dello stile; ma non vi ho riflettuto se non per le difficoltà

che via via l‟espressione mi opponeva, esigendo d‟essere posta in grado di

corrispondere integralmente alla mia vita d‟uomo” - scrive in “Ragioni di una

poesia”

E poi …LA GUERRA

Lascia la capitale francese nel „14 e si trasferisce in Italia, dove la prima guerra mondiale

è alle porte. Da anarchico e spirito ribelle quale era, si sente acceso interventista,

convinto che quella guerra sia inevitabile. Dirà poi: “Non amo la guerra. Neppure

allora l‟amavo, ma ci sembrava che quella guerra fosse necessaria; pareva che

fosse necessario rivoltarsi, pensavamo che la colpa della guerra fosse tutta della

Germania” - “Mi ero fatto un‟idea rigorosa e forse assurda [….]”

Va in Versilia va a trovare Pea, partecipa ad iniziative di anarchici interventisti e finisce

più di una volta agli arresti.

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Poi sarà a Milano, dove abiterà per qualche tempo e dove per vivere insegnerà

francese.

La nebbia, che qui annulla il paesaggio, fa da sfondo poesie alle dodici poesie,

pubblicate su “Lacerba”.

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Sono quelle che in seguito intitolerà Ultime, nella raccolta “L‟Allegria”. Sono infatti le

ultime di questo primo suo periodo poetico, prima cioè della poesia radicalmente nuova

del <Porto sepolto>.

Tra questi dodici testi, che chiudono la fase più sperimentale della sua opera, c‟è n‟è una,

“Agonia”, che in nove versi racchiude l‟arsura del deserto e i suoi miraggi, ma

contiene già un altro progetto di vita e di poesia”.

AGONIA

Morire come le allodole assetate

sul miraggio

O come la quaglia

passato il mare

nei primi cespugli

perché di volare

non ha più voglia

Ma non vivere di lamento

come un cardellino accecato

E poi è guerra….

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Inizia il Porto sepolto…. lui stesso ci dice come [SIMONE]:

“Incomincio il Porto sepolto dal primo giorno della mia vita in trincea e quel giorno

era il giorno di Natale del1915 e io ero nel Carso, sul monte san Michele. Ho passato

quella notte coricato nel fango di faccia al nemico, che stava più in alto di noi ed era

100 volte meglio armato di noi. […]

Il porto sepolto racchiude l‟esperienza di quell‟anno.”

Quando viene mandato a combattere sul Carso, il fante Ungaretti è dunque nel XIX

battaglione di fanteria e scopre la propria fragilità in quella dei suoi compagni,

affratellati a lui dalla paura della morte.

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Le poesie del “Porto Sepolto” nascono da questa nuova consapevolezza, che

comporta la volontà di scavare dentro l‟uomo, dentro la sua pena e di esprimere

tutto questo con parole, immagini, similitudini ed analogie che non siano logorate

dal peso della tradizione. Perché in questo contesto di guerra, non pare possibile

cantare alla maniera dei poeti dell‟Ottocento. Men che meno alla maniera di

d‟Annunzio. Non si tratta di seguire o meno certi modelli, perché ogni retorica viene

spazzata via dalla realtà sconosciuta e terribile della vita e della morte in trincea.

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E‟ lei - la morte- infatti a dettare le parole nude del Porto Sepolto, questo

straordinario nucleo fondante dell‟intera opera di Ungaretti, che si propone allo

stupito lettore come un‟autobiografia essenziale, scandita in 33 poesie, ciascuna

corredata, sotto il titolo , del luogo, della data, quasi pagine di un diario in versi….E

lo sono.

Sono stati i simbolisti francesi ad indirizzare Ungaretti verso una poesia intesa

come ricerca di un segreto, del valore segreto della parola. Ma a questa idea di

poesia l‟autore del Porto Sepolto accompagna un‟insopprimibile esigenza

autobiografica. Anche questo genere di poesia si inserisce perfettamente nella

stagione poetica del Primo Novecento; ma questa di Ungaretti ha qualcosa di

speciale e nuovo, di rivoluzionario: ogni poesia mette a fuoco folgorazioni

improvvise! Nello stesso tempo quelle schegge di luce si compongono in un

insieme armonico, in un percorso di vita organico… “la Vita d‟un uomo”!.

Se vogliamo credere a quanto racconta nel suo Ricordo del primo incontro con

Ettore Serra, egli compone i suoi versi di guerra dove capita: su brandelli di carta

“cartoline in franchigia”, margini di vecchi giornali, spazi bianchi di care lettere

ricevute”; li mette alla rinfusa nel tascapane e li porta sempre con sé anche in

trincea, in mezzo al fango, lungo l‟Isonzo.

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Lì tra i suoi superiori c‟è un giovane tenente -Ettore Serra appunto- che ama la

poesia, che ha letto forse le sue prime liriche su Lacerba. Nasce un‟amicizia, il

soldato Ungaretti gli rivela il suo segreto e gli affida il suo mitico tascapane, con

tutti i suoi pezzettini di carta.. E il tenente li porta via,alla prima licenza, ma, il 16

dicembre 1916, gli fa una sorpresa natalizia: gli porta le prime copie de “ Il Porto

Sepolto”, che ha fatto stampare in una tipografia di Udine… Solo ottanta esemplari

di quel libro che sarà destinato a diventare il testo- svolta della poesia italiana

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Cosa significa Porto sepolto? Quel mitico porto di Alessandria che doveva aver

preceduto l‟epoca tolemaica, che già prima di Alessandro, dunque, doveva essere

una città, un porto….Ma di cui nulla si sa e di cui parlava il padre dei fratelli Thuile

suoi amici, che era un archeologo; per lui ciò tuttavia diventa il simbolo stesso

dell‟indecifrabile, di un qualche cosa che precede la vita stessa dell‟individuo.

Così comincia per il poeta una sorta di faticosissima viaggio agli inferi, alla ricerca

di quel segreto, che giace nascosto in ogni uomo, nel pozzo oscuro del suo

inconscio…Ma per raccontare quello che ha scoperto- scavando così a fondo e così

spietatamente dentro di sé- il poeta deve dimenticare il bagaglio della tradizione,

con i suoi artifici e l‟inevitabile retorica, deve voltare le spalle in maniera decisa,

anzi brutale a d‟Annunzio e a ciò che d‟Annunzio ha rappresentato e ancora

rappresenta.

Questa raccolta di liriche brevi e brevissime porta tracce evidenti della tensione che

anima il loro autore e dell‟originalità sorprendente con cui egli racconta il suo

viaggio in un contesto così anomalo.

VEGLIA è una delle poesie esemplari di questa fase, perché ci dà la misura della

tragedia di una guerra non più pensata e astrattamente, desiderata dall‟interventista

Ungaretti, ma patita in trincea, sul Carso, accanto a un compagno che un minuto

prima era vivo e un istante dopo è…. una “bocca digrignata”

Veglia

Un'intera nottata

buttato vicino

a un compagno

massacrato

con la sua bocca

digrignata

volta al plenilunio

con la congestione

delle sue mani

penetrata

nel mio silenzio

ho scritto

lettere piene d'amore

Non sono mai stato

tanto

attaccato alla vita

Parole come digrignata, massacrato, bucano la pagina in un crescendo di angoscia,

che trova però uno scioglimento inaspettato in quel desiderio fortissimo di vita,

proprio di chi si sforza di contrastare il potere devastante della morte. Vita e amore

nascono l‟uno dall‟altra. E l‟amore non è fratello, ma nemico della morte.

Ogni parola, nelle scarne ed essenziali poesie del Porto Sepolto, assume dunque un forte

potere evocativo: isolata nel verso breve, circondata dal bianco della pagina, acquista un

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valore assoluto! Il porto sepolto non è un diario di guerra in senso stretto, perché

Ungaretti non parla mai di nemici, né di cause, motivazioni, conseguenze del conflitto. E

qui risiede forse la grandezza di questa raccolta: infatti è, come è stato detto, “un

grande libro di poesia, un libro di grande poesia”(Barenghi) …Proprio grazie alla sua

universalità .

In esso I FIUMI è la poesia più scopertamente autobiografica, un testo chiave che

ci racconta in 69 versi non la guerra dunque, ma la vita d‟un uomo, in guerra.

Lo spunto com‟ è noto deriva da una pausa di riposo del soldato semplice Ungaretti

nelle acque dell‟Isonzo, il fiume storico della Grande guerra, lungo le cui sponde

furono combattute dodici sanguinose battaglie, e per il poeta quel fiume legato alla

sua condizione attuale, diventa l‟occasione non cercata di una presa di coscienza,

una rimeditazione dei momenti fondanti della sua vita. Lo stesso U. lo definisce la

sua “carta d‟identità”.

I FIUMI

Mi tengo a quest‟albero mutilato

Abbandonato in questa dolina

Che ha il languore

Di un circo …..

Prima o dopo lo spettacolo

E guardo

Il passaggio quieto

Delle nuvole sulla luna

Stamani mi sono disteso

In un‟urna d‟acqua

E come una reliquia

Ho riposato

L‟Isonzo scorrendo

Mi levigava

Come un suo sasso

Ho tirato su

Le mie quattro ossa

E me ne sono andato

Come un acrobata

Sull‟acqua

Mi sono accoccolato

Vicino ai miei panni

Sudici di guerra

E come un beduino

Mi sono chinato a ricevere

Il sole

Questo è l‟Isonzo

E qui meglio

Mi sono riconosciuto

Una docile fibra

Dell‟universo

Il mio supplizio

È quando

Non mi credo

In armonia

Ma quelle occulte

Mani

Che m‟intridono

Mi regalano

La rara

Felicità

Ho ripassato

Le epoche

Della mia vita

Questi sono

I miei fiumi

Questo è il Serchio

Al quale hanno attinto

Duemil‟ anni forse

Di gente mia campagnola

E mio padre e mia madre.

Questo è il Nilo

Che mi ha visto

Nascere e crescere

E ardere d‟inconsapevolezza

Nelle distese pianure

Questa è la Senna

E in quel suo torbido

Mi sono rimescolato

E mi sono conosciuto

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Questi sono i miei fiumi

Contati nell‟Isonzo

Questa è la mia nostalgia

Che in ognuno

Mi traspare

Ora ch‟è notte

Che la mia vita mi pare

Una corolla

Di tenebre

Quella “corolla di tenebre” ci dice la fragilità di una vita, la sua notte, nata da un

confronto quotidiano insostenibile con quell‟altra notte senza fine che è la guerra

e nel paesaggio carsico, tra le doline, le trincee e il fango, l‟individuo si riconosce

negli elementi naturali, fino ad identificarsi con essi, fino a diventare pietra….

SONO UNA CREATURA

Valloncello di Cima il 5 agosto 1916

Come questa pietra del S. Michele

così fredda

così dura

così prosciugata

così refrattaria

così totalmente

disanimata.

Come questa pietra

è il mio pianto

che non si vede.

La morte

si sconta

vivendo.

Le strofe iniziali hanno ciascuna un termine di paragone, una specie di parallelismo

in cui viene stabilita la relazione tra due realtà: da una parte la pietra dura e fredda

dell‟altopiano carsico , dall‟altra il pianto del poeta che è come solidificato dentro di

lui.

[Si notino l‟epanalessi (figura retorica, dai grammatici latini detta geminatio, che consiste nella ripetizione

di una o più parole in un unico segmento testuale sintattico (prosa) o ritmico (verso), sia di seguito, sia con

l‟interposizione di altre parole (Ben son, ben son Beatrice, Dante; Umano, troppo umano, Nietzsche), che è

figura di emozione, di intensificazione enfatica e l‟anafora (figura retorica che consiste nel ripetere, in

principio di verso o di proposizione, una o più parole con cui ha inizio il verso o la proposizione precedente:

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«Per me si va nella città dolente, /Per me si va nell‟eterno dolore, /Per me si va tra la perduta gente»

(Dante)].

Quanto più l‟uomo viene umiliato e ridotto a cosa da una situazione oggettiva di

distruzione e morte, tanto più la parola, nata nel silenzio e dal silenzio- protetta

come da una casa - la casa dell‟essere- acquista una sacralità, che lo salva . E‟

dunque parola scavata in quel silenzio: nuda come la pietra del Carso nella sua

verità.

Dice Ungaretti stesso :“La mia poesia è nata in trincea; nei tentativi che precedono

il volume Allegria di Naufragi, il linguaggio non c‟era ancora, c‟erano tentativi

ch‟erano fatti in direzioni diverse, con nessuna sicurezza…. La guerra

improvvisamente mi rivela il linguaggio. Cioè io dovevo dire in fretta perché il tempo

poteva mancare e nel modo più tragico… in fretta dire quello che sentivo e quindi-

se dovevo dire in fretta -lo dovevo dire con poche parole e se lo dovevo dire con

poche parole, lo dovevo dire con parole che avessero avuto un‟intensità

straordinaria di significato”

“E così si è trovato il mio linguaggio: poche parole piene di significato che dessero

la mia situazione di quel momento quest‟uomo solo in mezzo ad altri uomini soli …

e che sentivano nascere nello stesso momento nel loro cuore qualche cosa che era

molto più importante della guerra, che sentivano nascere affetto, amore l‟uno per

l‟altro”.

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FRATELLI

Mariano il 15 luglio 1916

Di che reggimento siete

fratelli?

Parola tremante

nella notte

Foglia appena nata

Nell'aria spasimante

involontaria rivolta

dell'uomo presente alla sua

fragilità

Fratelli

Ecco ci dice Ungaretti- questa in fondo è l‟ispirazione e il linguaggio di quella mia poesia,

la nascita della mia poesia, la prima conquista del valore che può avere una semplice

parola, quando si arriva a colmarla del suo significato.Tutto il superfluo è stato

eliminato: sono spariti anche i segni di interpunzione. Nella parola si condensa

l‟attesa di una rivelazione.Liberata dell‟impaccio retorico essa riacquista la purezza

e l‟innocenza delle oirigini, tanto da trasfigurare il mondo , l‟umanità e la vita.

Ma questa ricerca comporta sofferenza, fatica , paura, come dice Ungaretti in

“Commiato” , il testo che- posto in chiusura del Porto Sepolto- assume il valore di

un autentico manifesto di poetica [Lettura]

Gentile

Ettore Serra

poesia

è il mondo l'umanità

la propria vita

fioriti dalla parola

la limpida meraviglia

di un delirante fermento

Quando trovo

in questo mio silenzio

una parola

scavata è nella mia vita

come un abisso

Una definizione di "poesia" dunque: l‟idea e il valore della poesia consistono, per il

poeta, nell‟"umanità", nella capacità di far sbocciare, non solo ciò che vive nel

nostro cuore, ma tutto il reale; la "parola" può fare fiorire la vita.Il significato della

"sua" poesia per il poeta? Un‟operazione di scavo interiore, una faticosa e sofferta

esplorazione sotterranea nell‟"abisso": scendere dentro di sé in questo

abisso misterioso, cercare il segreto e risalire. Ritorna qui l‟ “abisso inesplorato”

di cui parlava Mallarmé, “l‟ignoto” caro a Baudelaire, il “ ladro di fuoco” che era

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per Rembaud il poeta .. .Anche per Ungaretti è una discesa agli inferi e- se appare

molto evidente questo influsso dei poeti maledetti - anche quello dei poeti più vicini

all‟espressionismo (quali REBORA, SBARBARO, GIANI STUPARICH ) è da

considerare : essi, con la loro indignazione etica e il loro autobiografismo doloroso,

esprimono l‟orrore affidandosi al racconto delle nude cose. Il mito dannunziano

della guerra viene fatto a pezzi dalla violenza muta degli scenari di guerra.

L‟esperienza della guerra , non la sua leggenda, produce in Ungaretti testi di

straordinaria bellezza, nella loro nuda tragicità.

E.. tuttavia, se la guerra non ha mai fine, l‟uomo continua a cercare forse quella

leggendaria Itaca, reinventata da KAVAFIS, nella sua celebre poesia, nella quale il

regno di Odisseo non è solo la patria sognata, ma anche il significato ultimo di quel

viaggio misterioso e ricco di sorprese che sempre è la vita ( l‟incontro con Kavafis

non è stato solo un caso nella sua vita).

E anche il nostro poeta perciò riprende il suo viaggio…

Tutte le poesie scritte finora entrano a far parte de L‟allegria di Naufragi, che

pubblica a Firenze nel „19. Il contrasto tra la parola “ allegria” e la parola

“naufragio”, rimanda straordinariamente a l‟Infinito del Leopardi a quel “

naufragar m‟è dolce in questo mare”….

E SUBITO RIPRENDE/ IL VIAGGIO/ COME/ DOPO IL NAUFRAGIO/ UN SUPERSTITE/

LUPO DI MARE…

La vita è un viaggio difficile e risicato, ma non necessariamente destinato al

fallimento e, anzi, dopo aver conosciuto la paura e la sconfitta (il naufragio),

l‟uomo riprende con allegria, con fiducia rinnovata il suo cammino. E se nella lirica

Solitudine aveva detto : le mie urla feriscono/ come fulmini/ la campana fioca/ del cielo ,

rimane sempre l‟immensità di quel cielo sopra le trincee che fa dire all‟uomo

Ungaretti. “ Millumino/ d‟immenso”: quei due soli puliti versi di “Mattina”, nella loro

essenzialità racchiudono il sentimento di ciò che è immenso, non misurabile, di ciò

che è luce e luce emana…..

Nessuna croce manca nel cuore del poeta; ma se la via crucis del soldato Ungaretti

nella fanghiglia delle trincee è la realtà della prima guerra mondiale, è anche una

grande metafora della vita dell‟uomo che, nonostante le difficoltà, prosegue la

marcia…

Egli è ora il frutto di due tensioni opposte: un senso di avventura e uno opposto di

spaesamento, le suggestioni esercitate dalle avanguardie e la nostalgia del canto

della tradizione .

Leone Piccioni il critico che meglio ha meditato su Ungaretti, ricorda che il poeta ha

amato a lungo e meditato sul messaggio di solidarietà tra gli uomini che ha lanciato

il Leopardi nella Ginestra.

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LE ARDENNE

Nella primavera del „18 è sulle Ardenne, nascono qui liriche come “Girovago”,

espressione del sentimento di solitudine e di estraneità dell‟uomo costretto a

lasciare ogni volta luoghi e persone con cui ha condiviso esperienze decisive. Il

Girovago vorrebbe ritrovare la felicità inconsapevole delle origini...

Da un simile senso di precarietà e di provvisorietà nascono -presso il bosco di

Courton- gli indimenticabili versi di “Soldati”, in cui Ungaretti dà una delle più

convincenti dimostrazioni della essenzialità come scelta di stile.

Si tratta com‟è noto di un‟unica similitudine, che nasce dall‟associazione per

analogia, così cara al poeta, tra un elemento della natura e il destino degli uomini,

rappresenta la condizione dei soldati, precaria come quella delle foglie in autunno.

Qui il primo termine della similitudine non fa parte dei versi, ma è espresso nel

titolo.

C‟è un retaggio romantico nel sentimento dell‟anima che corrisponde al paesaggio?

Alla situazione ? In particolare penso al paesaggio d‟autunno che il Manzoni fa

attraversare al suo Fra‟ Cristoforo, con lo stesso senso di precarietà esteriore ed

interiore, che avverte mentre cerca di raggiungere la povera casa di Lucia…

D‟altra parte la similitudine tra la vita umana e le foglie appare già in Omero. Nel

libro VI dell‟Iliade: “Tal quale la stirpe delle foglie è la stirpe degli uomini/Le foglie il

vento molte ne sparge a terra, ma rigogliosa la selva altre ne germina in primavera”.

Qui domina la speranza della rigenerazione .

L‟immagine è ripresa dal poeta Mimnermo, con toni più lirici: “Al modo delle foglie

che nel tempo / fiorito della primavera nascono e ai raggi / del sole rapide crescono/

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noi simili a quelle per un attimo/ abbiamo diletto nel fiore dell‟età/ ignorando il bene

e il male per dono celeste e –conclude-fulmineo precipita il frutto di giovinezza /

come la luce d‟un giorno sulla terra”. Se in Omero l‟idea di precarietà è affiancata

ad un messaggio di fiducia, in Mimnermo -come si è potuto notare- prevale il

senso della condizione di fragilità umana. Ungaretti sembra derivare la propria

similitudine da Mimnermo per il senso di incertezza e precarietà. La figura del

soldato nella sua fragilità incarna il destino di tutta l‟umanità.

SOLDATI [lettura]

Si sta come/ d‟autunno/ sugli alberi / le foglie

E‟ interessante notare qui - nell‟ottica di quanto si è detto- come il valore della

tradizione, la musicalità del verso della tradizione lirica italiana- e della tradizione

leopardiana in particolare- sia presente: se si riavvicinano infatti i versi a due a

due, si può notare come si tratti in realtà di settenari….; così come in Mattina, i

cui versi: M‟il/lu/mi/no// d‟im/men/so compongono un settenario…

Gli anni romani.

Un capitolo nuovo è costituito per il poeta dagli anni romani.Roma -dice il poeta- è

diventata la mia città, quando sono arrivato a capire cos‟è il Barocco, ciò che c‟è in

fondo al Barocco. E‟ un grande , è Michelangelo che mi ha indicato la strada, perché

il Barocco è nato da Michelangelo. Siamo nel „22. Lavora al ministero degli affari

esteri, collabora a periodici. Sono i tempi della sua casa a Marino, povera ma bella

e sempre piena di amici. Frequenta intellettuali ed artisti. Sente sempre più il

fascino del classicismo novecentesco, che gli scrittori della Ronda propagandano,

cercando di separare la vita dalla letteratura: quell‟‟ Aventino della letteratura, degli

oppositori del regime, che si opponevano senza opporsi, ma rifugiandosi nell‟arte. Il

regime però c‟è, e lo stesso Ungaretti non ne esce indenne, anche se non ha mai

conosciuto il duce, pur lavorando al Popolo d‟Italia, su una sua opera, forse grazie

a E. Serra, esce una inconsistente prefazione a firma di B. Mussolini.

Ungaretti era stato precocemente attratto dal fascismo, nella sua prima fase

populista e antiborghese, forse alimentata tale attrazione dalla sua identità di figlio

di emigranti, ma non ne ebbe mai vantaggi concreti. Tanto che nel „36, per

mantenere il decoro della sua famiglia preferirà trasferirsi in Brasile; avendo inoltre

rivendicato più volte, per gli artisti, la libertà e la dignità di essere se stessi.

Sottolineerà spesso la precaria condizione di chi scrive, che è costretto a fare mille

mestieri per mantenersi…

Ma negli anni romani nascono le liriche del “Sentimento del Tempo”; esse

segnano il ritorno alla normalità, dopo le distruzioni operate dalla guerra sulle città

e sugli individui.

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Ungaretti che ha vissuto intensamente la stagione delle avanguardie e delle

sperimentazioni, che è stato -secondo il parere unanime dei critici- il più

rivoluzionario poeta dei primi cinquant‟anni del Novecento, e che, in solitudine, è

riuscito –senza i proclami dei futuristi- a demolire la metrica tradizionale, ora sente

invece il bisogno di recuperare la poesia del passato. Così dopo la sillabazione

frantumata dei versicoli, si volge verso il canto degli antichi, il canto dei poeti del

passato per affrontare i grandi temi connessi con l‟esistenza, proiettata verso la

ricerca sempre inquieta e difficile di un significato che la trascenda.

E c‟è un passo illuminante di uno scritto di Ungaretti, in proposito… [che affidiamo

alla voce di Simone Calomino]

“Io rileggevo umilmente i poeti, i poeti che cantano. Non cercavo il verso di

Jacopone o quello di Dante o quello del Petrarca, o quello di Guittone, o quello del

Tasso, o quello del Cavalcanti, o quello del Leopardi: cercavo il loro canto. Non era

l‟endecasillabo del tale o il settenario del talaltro, che cercavo. Era l‟endecasillabo,

era il novenario, era il settenario, era il canto italiano, era il canto della lingua

italiana che cercavo nella sua costanza attraverso i secoli[…]

Era il battito del mio cuore che volevo sentire in armonia con il battito del cuore dei

miei maggiori di una terra disperatamente amata”.

E così porta avanti la sua ricerca sul senso e il valore dell‟esistenza, che è alle

origini dei miti, ma anche delle forme di scrittura tese ad indagare quel mistero …

Gli viene naturale, così, riaccostarsi alla grande tradizione poetica italiana,

all‟endecasillabo “classicamente sontuoso” e al settenario. Utilizza ora una sintassi

molto elaborata e recupera anche la punteggiatura. Il linguaggio è alto, letterario,

fitto di richiami e rimandi al Canzoniere petrarchesco e ai Canti del Leopardi. Il ritmo

dei versi si fa più disteso, quasi a voler accompagnare atmosfere fuori dal tempo,

magiche.

L „ampia raccolta che ne segue, che a differenza della precedente non è

caratterizzata da autobiografismo, IL SENTIMENTO del TEMPO, comprende le

poesie scritte dal „19 al ‟35 ed è suddivisa in sette sezioni.

Qui i luoghi non sono quelli devastati dalla guerra: sono misteriosi e popolati

piuttosto di figure mitologiche (quasi come le piazze di De Chirico) il linguaggio ha

una letterarietà sconosciuta all‟autore de L‟allegria.

Esemplare di questo nuovo periodo è forse l‟ISOLA, considerata da molti

emblematica di questo nuovo Ungaretti, che ci parla di una ritrovata innocenza, di

una felicità raggiungibile, ma non nella dimensione del quotidiano, forse, bensì in

quella del mito, situata fuori dal tempo e dalla storia. L‟intonazione è solenne e il

linguaggio è tramato di echi classici: come In filigrana si intravede quasi il mondo

mitico foscoliano de “Il Velo delle Grazie”.

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Secondo una dichiarazione di Ungaretti stesso, il paesaggio trasfigurato sarebbe

quello di Tivoli: selve immancabilmente ombrose, ninfe, pecore e pastori; ma

Ungaretti rilegge il modello alla luce della poesia più recente, come ad esempio

quella dei simbolisti francesi Stéphane Mallarmé (1842-1898) e Paul Valéry (1871-

1945). Da qui viene il senso di arcano mistero di cui è caricato nel testo il paesaggio

bucolico. Il componimento ha forse anche un significato metapoetico, ovvero di

riflessione sulla letteratura stessa: Ungaretti abbraccia infatti la tradizione

letteraria, che prima (all‟epoca degli esordi) gli pareva un vano “simulacro” e poi

viene riconosciuta come “fiamma vera” (v. 12), cioè come alimento fecondo

dell‟ispirazione.

Il clamoroso ritorno alla tradizione, che permea tutto il Sentimento del tempo, viene

così giustificato da Ungaretti: “Le mie preoccupazioni in quei primi anni del

dopoguerra [...] erano tutte tese a ritrovare un ordine”. Il lessico de L‟isola è

classicheggiante e semanticamente vago, la sintassi è involuta e aulica, l‟impianto

retorico barocco e virtuosistico, la metrica decisamente tradizionale rispetto ai

versicoli de L‟Allegria. La svolta riguarda anche temi e funzioni della poesia, come

nota il critico Pier Vincenzo Mengaldo:

Venuta meno la naturale compartecipazione a un‟esperienza “unanime”, Ungaretti,

che agisce adesso in una sorta di vuoto storico, deve obiettivare la propria biografia

in “emblemi eterni”, favole e miti, ora idillici come nell‟arcadica Isola, ora tenebrosi.

Ungaretti non è più insomma il poeta-soldato che scrive dal doppio fronte della

guerra e del suo travaglio esistenziale (come in Fratelli o in Mattina); si volge ora

alla cultura e alla tradizione per trasfigurare poeticamente le avventure interiori del

proprio io.

Tra il primo e il secondo Ungaretti esistono però anche delle continuità che non

vanno ignorate. La tensione verso una poesia pura e assoluta, quasi metafisica,

sopravvive in un diverso contesto tematico e stilistico. Le due maniere, in

apparenza così diverse da parere opposte, celano dei meccanismi comuni: dietro

alla metrica regolare e alla patina classicheggiante della lingua, lo stile

del Sentimento è ancora basato sull‟“enfatizzazione delle pause e sul peso della

parola isolata” (è sempre Mengaldo che parla) tipici de L‟Allegria.

L‟ISOLA

Metrica: versi liberi, in prevalenza endecasillabi, novenari e settenari. (Dalla sez. La fine di Crono)

A una proda ove sera era perenne

di anziane selve assorte, scese,

e s‟inoltrò

e lo richiamò rumore di penne

ch‟erasi sciolto dallo stridulo

batticuore dell‟acqua torrida,

e una larva (languiva

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e rifioriva) vide;

ritornato a salire vide

ch‟era una ninfa e dormiva

ritta abbracciata a un olmo.

In sé da simulacro a fiamma vera

errando, giunse a un prato ove

l‟ombra negli occhi s‟addensava

delle vergini come

sera appiè degli ulivi;

distillavano i rami

una pioggia pigra di dardi,

qua pecore s‟erano appisolate

sotto il liscio tepore,

altre brucavano

la coltre luminosa;

le mani del pastore erano un vetro

levigato da fioca febbre.

Ricchissima, come si è potuto notare di figure retoriche, di un lessico ricercato,

ricompare la punteggiatura ed i versi tradizionali, mentre le analogie risultano meno

comprensibili . Perché l‟isola? “Perché è il punto dove io mi isolo, dove sono solo: è

un punto separato dal resto del mondo, non perché lo sia in realtà, ma perché nel

mio stato d‟animo posso separarmene”. Tuttavia, nonostante le indicazioni forniteci

dallo stesso autore, l‟immagine dell‟isola resta del tutto irreale e tutta la poesia vive

in un‟atmosfera indeterminata, tant‟è che lo stesso protagonista (il visitatore

dell‟isola) resta anonimo, anche se alcuni critici tendono ad identificarlo con lo

stesso Ungaretti. In particolare la parte conclusiva della poesia, con l‟apparizione

del pastore febbricitante, è tutto giocato sull‟impossibilità di cogliere ciò che è vero

e ciò che non lo è. Tutta La raccolta si concentra soprattutto sul tema dei paesaggi

romani e laziali, che prendono il posto dei paesaggi parigini e di quelli di trincea.

MentreIl tema della guerra lascia spazio a riflessioni di carattere più generale sullo

scorrere del tempo, sull‟attesa della morte, sulla solitudine dell‟uomo di fronte al

dolore. Le liriche non sono più il frutto di illuminazioni improvvise, ma il risultato di

una riflessione ben più profonda e di una ricerca del senso stesso dell‟esistenza.

Inoltre le poesie di questa raccolta saranno degli importanti modelli per i poeti

ermetici e questa lirica non fa affatto eccezione.

Ma nella sezione “Sogni e accordi” troviamo una lirica completamente diversa.

S‟intitola “STELLE” e ha il suo avvio nel miracolo del primo endecasillabo

“TORNANO IN ALTO AD ARDERE LE FAVOLE”

I quattro versi che la compongono sono scanditi da ampi spazi bianchi e giocati

sull‟analogia tra due parole chiave……:STELLE

Tornano in alto ad ardere le favole/ /Cadranno con le foglie al primo vento.// Ma

venga un altro soffio,/ ritornerà scintillamento nuovo”

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Qui l‟immaginazione del poeta ha creato un legame razionalmente incomprensibile

tra le STELLE del titolo e le favole del testo. Sta alla sensibilità e all‟intuito del

lettore entrare in questa misteriosa analogia e scioglierla. E potrà farlo forse

riandando con il pensiero ai suoi primi stupori infantili, alla meraviglie delle prime

favole ascoltate e delle prime stelle contemplate…

Ma all‟interno del Sentimento del tempo uno spazio a parte è occupato dagli Inni.

La pietà scrive Ungaretti “è la prima manifestazione risoluta di un mio ritorno alla

fede cristiana[…]Nacque durante la settimana santa, nel monastero di Subiaco,

dov‟ero ospite del mio vecchio compagno don francesco Vignanelli, monaco a

Montecassino” Era il 1928. L‟inno deriva in Ungaretti da una suggestione della

Pietà Rondanini, che negli anni venti era esposta a Palazzo sanseverino. In

quest‟ultima opera Michelangelo rappresenta Cristo come un corpo disanimato, un

corpo vuoto e in quell‟effetto della giustizia , Michelangelo non vede se non orrore

Non vede la pietà nella madre che ad ogni costo vuole suo figlio

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Nell‟Inno di Ungaretti speranza e disperazione si danno la mano.

Ma la fede nella parola è già salvezza per l‟uomo ferito, esiliato in mezzo agli uomini,

non si chiude nella sua solitudine, per essi sta in pena. Questa pena, questa

condivisione del dolore è la nota più alta della PIETA‟ e TESTIMONIA IL RITORNO

AD UN SENTIMENTO DI FRATELLANZA CHE LE TRINCEE DEL CARSO AVEVANO

SAPUTO SUSCITARE.

IN BRASILE

Nel ‟36, Ungaretti, come si diceva, si trasferisce con la famiglia a San Paolo del

Brasile, dove gli è stata offerta una cattedra di letteratura italiana. Vi rimarrà sei

anni. Il paese immenso e ricco di spettacoli naturali lo colpisce profondamente.

Scrive : “Gli alberi in città crescevano, in una notte. Si vedevano crescere ….

Durante la guerra nel carso in trincea m‟ero sentito un uomo elementare , in Brasile

ho avuto un contatto con la natura molto curioso e che ha portato nella mia poesia

degli elementi che le dettero il carattere che poi ha mantenuto”.

Nei versi di Amaro accordo si intravede la figura di un bimbo colto nell‟atto di

contemplare felice le tartarughe marine…ma è una natura leopardiana gigantesca e

indifferente come il cielo troppo azzurro e troppo gremito d‟astri, che sembrano

minacciare la fragilità di quel bimbo felice. Quasi un presagio…..

Quel bimbo è il figlio di Ungaretti Antonietto, che morirà di lì a poco,

improvvisamente, ma è anche il poeta stesso estatico davanti QUELLE VISIONI

STUPEFACENTI.

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Il lutto ora sconvolge la vita del poeta: preceduto da quello per il fratello

Costantino, che era tutto un mondo per lui, terribile sarà quello per il figlio

Antonietto: aveva nove anni .

Le diciassette sequenze di Giorno per giorno sono molto più di quello che

solitamente viene chiamato il diario in versi dei quella morte.

RACCONTANO IL VUOTO e LA VERTIGINE del nulla, una desolazione senza

sbocchi, la fine della pietà. Ed è poesia altissima, ma sarà anche salvezza per

l‟uomo che soffre?

Qui endecasillabi e settenari , variamente disposti, danno l‟idea piuttosto di una

prosa lirica, quasi lo sfogo di una pena troppo forte per poter essere chiusa in

strofe regolari. Della voce di Antonietto non è rimasta altra traccia che qualche

memoria …

GIORNO PER GIORNO [LETTURA a due voci]

1.

"Nessuno, mamma, ha mai sofferto tanto..."

E il volto già scomparso

Ma gli occhi ancora vivi

Dal guanciale volgeva alla finestra,

E riempivano passeri la stanza

Verso le briciole dal babbo sparse

Per distrarre il suo bimbo...

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2.

Ora potrò baciare solo in sogno

Le fiduciose mani...

E discorro, lavoro,

Sono appena mutato, temo, fumo...

Come si può ch'io regga a tanta notte?...

3.

Mi porteranno gli anni

Chissà quali altri orrori,

Ma ti sentivo accanto,

M'avresti consolato...

4.

Mai, non saprete mai come m'illumina

L'ombra che mi si pone a lato, timida,

Quando non spero più...

5.

Ora dov‟è, dov‟è l‟ingenua voce

Che in corsa risuonando per le stanze

Sollevava dai crucci un uomo stanco?

La terra l‟ha disfatta, la protegge

Un passato di favola…

6.

Ogni altra voce è un‟eco che si spegne

Ora che una mi chiama

Dalle vette immortali….

7.

In cielo cerco il tuo felice volto,

Ed i miei occhi in me null'altro vedano

Quando anch'essi vorrà chiudere Iddio...

8.

E t'amo, t'amo, ed è continuo schianto!...

Arrivano fino a 17 le strofe…..Ma mi fermo qui. Nel punto dove forse più alto è il

pathos. I frammenti 7 e 8 esprimono infatti tutto lo strazio del poeta, uno strazio che

lo accompagnerà per tutta la vita.

Il poeta afferma nel seguito di essere tornato nella sua Roma, dove anche l‟aria ha

un ritmo conosciuto, ma che non potrà mai più condividere con il figlio; ed anche

questo gli provoca un dolore che lo trafigge ad ogni respiro.

Egli non avverte più la vitalità dell‟estate, né i presentimenti della primavera, né le

manifestazioni inutili dell‟autunno: solo l‟inverno, la stagione più triste, è in

corrispondenza con lo stato d‟animo del poeta, che vive per un desiderio

irrealizzabile (spoglio).

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Dal Brasile dunque è fuggito ….da quella terra impietosa, ma la poesia sola che è

dono di Orfeo , gli restituisce in qualche modo la parvenza misteriosa del suo

bambino. Forse gli cammina a fianco, forse sarà per lui, suo padre, l‟Aurora e

intatto giorno .

La terra l‟ha disfatta quella vita, la protegge un passato di favola. Quello che erano

le favole ieri, cioè una cosa sola con le stelle, ha lasciato il posto all‟oggi e nell‟oggi

la favola è la sua vita con Antonietto, i suoi gesti, i suoi giochi….L‟immagine di

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Antonietto trascolorata nel mito . La disperazione lentamente si attenua e si fa

quiete, certezza della sua presenza silenziosa.

Nella seconda parte de “Il dolore”, il poeta non parla più solo in prima persona, ma

si fa interprete di sentimenti di tutto un popolo che ha subito la tragedia della

seconda guerra, ancora più spaventosa dopo la quale non cessano del tutto i

conflitti.

NON GRIDATE PIU‟

Cessate d‟uccidere i morti,/Non gridate più, non gridate/Se li volete ancora udire,/Se

sperate di non perire.//Hanno l‟impercettibile sussurro,/Non fanno più rumore/Del

crescere dell‟erba,/ Lieta dove non passa l‟uomo.

È una poesia ispirata com‟è noto al poeta dalla “Guerra fredda” che sentì il

dovere di far sentire il grido doloroso per gli odi e le cattiverie che abitavano

nell‟animo degli uomini scampati al conflitto crudele. Non gridate più è la poesia

con cui il poeta, con poche parole esortò gli uomini a porre fine ai contrasti inutili e

a raccogliersi in religioso silenzio, per ascoltare il messaggio di pace che proveniva

dalle tombe in cui giacevano i morti invano per colpa della guerra. Non ascoltare la

debole voce dei morti era come ucciderli un‟altra volta, per non capire il loro

sacrificio inutile.

Gli anni della vecchiezza vedono Ungaretti soffrire ancora per la scomparsa nel „58

della compagna della sua vita , che se n‟è andata in punta di piedi. Attorno a lui e

dentro di lui dilaga la notte. Per lei per Jeanne, ha scritto l‟ultima poesia del

taccuino del vecchio:

“Per Sempre”

Senza niuna impazienza sognerò,

mi piegherò al lavoro

che non può mai finire,

e a poco a poco in cima

alle braccia rinate

si riapriranno mani soccorrevoli,

nelle cavità loro

riapparsi gli occhi, ridaranno luce,

e, d‟improvviso intatta

sarai risorta, mi farà da guida

di nuovo la tua voce,

per sempre ti rivedo.

Versi straordinari, cui tanto somigliano per il concetto e per la sobrietà quelli di E.

Montale.

Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale

e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.

Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.

Il mio dura tuttora, né più mi occorrono

le coincidenze, le prenotazioni,

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le trappole, gli scorni di chi crede

che la realtà sia quella che si vede

Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio non già perché con quattr‟occhi forse si vede di più.

Con te le ho scese perché sapevo che di noi due

le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,

erano le tue.

E lei, Jeanne, il suo amore: è stata la giovinezza, la scoperta dell‟arte a Parigi, la

compagna fedele di una vita, la madre.

Ma quando è già molto vecchio, si riaffaccia l‟estrema illusione d‟amore, si riaffaccia

una Donna Gentile, un amore, che definisce “demente”, ma tanto bello nella sua

assurdità, compagna del suo ultimo tratto di strada, nonostante i troppi anni che li

dividono. Nascono i versi di Conchiglia e di “Lampo di una bocca”, dove sembra

prevalere l‟angoscia di chi sa di poter rimanere ferito, e tuttavia dice …”ma se mi

guardi con pietà e mi parli, si diffonde una musica, dimentico che brucia la ferita”.

L‟amore in senso lato, accompagnerà il poeta fino alla fine. E‟ Dunja , bellissima e

giovane, croata come la sua tata, Anna, che era stata la sua fata, la memoria e le

favole, forse il suo primo innocente amore; l‟ultimo miraggio, un rapporto che

dunque sembra chiudere il cerchio: proveniente dall‟est, DUNJA è l‟ultima oasi, il

palmeto, la fontana dai mille zampilli verso cui il nomade d‟ amore tende le mani, e

gli occhi e il cuore, il cuore di bambino d‟ottant‟anni, “grazie a lei non potrà più

desolarmi il deserto in cui da tanto erravo”.

“Vita d‟un uomo”, a cui Ungaretti ha lavorato per cinquant‟anni introducendo

varianti che hanno fatto impazzire i critici, non si chiude con le ultime liriche di

“Nuove”, ma con le poesie in lingua francese di “Derniers jours” che erano apparse

nell‟edizione di Allegria del 19. Infatti ,poiché il poeta tendeva alla realizzazione di

un diario in versi unitario, la fine doveva ricongiungersi agli inizi. Il francese è la

lingua degli esordi e le poesie di “Derniers Jours” appartengono alla prima fase

rivoluzionaria sperimentale. Sono le poesie di guerra il nucleo più vitale di tutta la

sua opera… il poeta lo sa. Per questo le vuole in chiusura…

Se dunque “Ultime “ si chiamano le poesie di apertura di questo diario in versi, le

liriche che lo chiudono sono invece le prime, le più antiche.

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In tal modo il cerchio si è chiuso, “Vita d‟un uomo” , il libro compreso tra questi due

estremi, è ormai senza data, sigillato in una perfezione atemporale, come dirà il

critico Allegri, che lo elegge a testimonianza assoluta.

Ungaretti muore tra 1 e 2 giugno del 1970, in una notte di primavera, nella città dove

lui, uomo del deserto aveva scoperto la nebbia, nella città dove aveva creato le sue

prime poesie.

Un giorno aveva scritto :

“IO credo che il giorno che non ci sarà più la poesia non ci sarà nemmeno l‟uomo. Il

modo tecnico di fare poesia può anche mutare, non so né come né quando, se

necessità nuove esigeranno che l‟uomo si esprima in modo diverso… ma l‟uomo

non potrà vivere senza poesia, perché essa rappresenta il segreto non solo di chi

riesce, così, per dono a scriverla sulla carta, ma di tutti, poiché tutti l‟hanno

nell‟anima”.

E allora- noi poeti e cultori di poesia d‟ “I 13 canali”, stasera dedichiamo un

omaggio della nostra terra al poeta e grandissimo traduttore, che- indegnamente- mi

sono permessa di preparare…

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„ A morte pinzata

E ora… possiamo congedarci dal poeta

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e da tutti voi con un fiore di primavera che ci regala ancora la sua poesia:

TRA UN FIORE COLTO E L‟ALTRO DONATO

L‟INESPRIMIBILE NULLA

GRAZIE