Fu un a sorta di folgorazione. Un incontro che ... su... · di fichi che provenivano dalla campagna...
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Di Maria Luigia Campolongo
Buonasera e grazie a tutti voi di essere intervenuti. Consentitemi un grazie speciale
a Simone Calomino, giovane e brillante attore, che ci regalerà una bella
interpretazione dei testi selezionati; egli ha di recente riportato, insieme al gruppo
teatrale della sua scuola, il Liceo Scientif. Scorza, una magnifica vittoria. Il
“Laboratorio teatrale Giuseppina Rossitto”, ha vinto a Cesena, il Premio Nazionale
per il teatro scolastico. E voglio da qui inviare un pensiero alla memoria della cara
G. Rossitto, mia amica e compagna di banco alle medie, infaticabile e stimolante
docente, che ha curato per tanti anni il gruppo teatrale dello Scorza. Poi devo
chiedervi di sgombrare il campo da equivoci. Io naturalmente non sono qui stasera
a dirvi cose nuove. Niente che non sappiate già… Ci sono peraltro tanti amici e
colleghi che meglio di me – che non sono certo un‟ esperta- avrebbero potuto
parlare di Ungaretti…
Quello che vorrei fare, con il sostegno di Simone ( e anche - se ci riusciamo -di qualche
immagine) è creare una suggestione, un‟atmosfera , per riflettere un po‟ insieme su questo
grande poeta. La serata concilia infatti due obiettivi: quello che era emerso di confrontarsi
ogni tanto con i grandi della poesia nazionale in lingua italiana e quella di ricordare la
“Grande guerra”, di cui quest‟anno ricorre il centenario, la prima ad aver segnato il
cosiddetto “secolo breve.” Secondo la definizione dello storico Eric Hobsbawm, che in un
suo saggio del 1994 riflette sulla densità e la velocità degli eventi del „900, caratterizzato
appunto da due guerre mondiali, dalla guerra fredda e poi dalla caduta del muro di Berlino
e dalle sue conseguenze.
Non mi è sembrato ci potessero essere dubbi, quando ne abbiamo parlato con il
Presidente e con F. Calomino, sul nome di Ungaretti, date queste premesse. Degli eventi
citati infatti solo l‟ultimo non aveva vissuto il poeta, il quale aveva attraversato le due
guerre e la prima di esse - in particolare- ne aveva determinato la poesia.
A ripensarci dopo, ho capito anche che la mia scelta istintiva era stata dettata dal fatto che
egli era stato il primo poeta italiano del „900 ad avermi affascinato..
Il mio primo incontro con Ungaretti infatti non fu quello attraverso i libri, ma attraverso la
TV.
Io che sono figlia della cultura di massa divulgata dal nuovo mezzo di comunicazione,
ossia la televisione, come oggi lo sono di internet i nativi-digitali, sono cresciuta a pane e
…televisione. Ed era il 1968, quando appena tredicenne, fresca di studio dell‟ epica nella
scuola media, ebbi modo di ascoltare i versi del più importante poeta della cultura
occidentale, quelli dell‟Odissea, nella sua stupenda traduzione, recitati con voce roca e
grande rispetto della metrica e dell‟onomatopeia, prima di ogni puntata della versione
sceneggiata del poema, del regista Rossi, dalla voce viva di Ungaretti, che era già
vecchissimo ed era quasi cieco, così che a me parve incarnare perfettamente i panni di
Omero…. MI SEMBRA di RISENTIRLO…… [SIMONE] Testo
Fu un a sorta di folgorazione. Un incontro che evidentemente lasciò il segno per sempre.
“Era burrasca, pioveva a dirotto ad Alessandria d‟Egitto in quella notte”. Così
racconta Ungaretti la sua nascita, nella magnifica Alessandria d‟Egitto, la citta bianca e
luminosa, circondata dal deserto…
Era l‟8 febbraio 1888. Quanti 8 in questa data, qualche esperto di numerologia, ci
vedrebbe forse il segno di infinito…..ripetuto.
E Alessandria sarà per il poeta la “vastità e il silenzio senza confini di una distesa di
sabbia assimilata da sempre all‟idea di infinito, dei miraggi, delle oasi”, ma anche
quel rumoroso quartiere di periferia Moharrem Bey, lontano dal mare, dove abitava con i
suoi genitori, emigrati lucchesi, che lì gestiscono un forno per il pane.
La zona era povera, povera casa, una baracca con la corte e le galline, l‟orto e tre piante
di fichi che provenivano dalla campagna di Lucca, ma gli resterà sempre dentro
come idea di casa.
La sua e quella di suo fratello Costantino, molto amato dal poeta, non fu un‟infanzia felice.
Il padre morì precocemente, poiché si era ammalato a causa del duro lavoro di sterratore,
svolto durante gli scavi per il canale di Suez; e la madre dovette gestire da sola la casa, il
forno e l‟educazione dei figli. Non aveva tempo per la tenerezza, ma li educò con grande
cura e una profonda religiosità.
“Ho passato l‟infanzia in una casa dove la memoria di mio padre manteneva un lutto
costante”, dirà il poeta.” Non era un‟infanzia allegra”.
Il piccolo Giuseppe si reca spesso al porto, perché “il porto è un po‟ il miraggio
dell‟Italia, di quel luogo imprecisato e perdutamente amato..” che aveva imparato a
conoscere attraverso i racconti dei suoi. Racconti quasi fiabeschi, che avevano come
sfondo il circondario di Lucca. La sera- dopo la recita del rosario- la madre parlava ai figli
di quei posti.. “La mia infanzia –dice- ne fu tutta meravigliata”
Alessandria è tutto questo dunque, ma anche qualcosa di più misterioso, è la città da cui
comincia la sua esplorazione del mondo, accumulando visioni ed emozioni.
E‟ il deserto che la circonda, è il primo percepire l‟infinito appunto, quel circolo che gli
antichi Egizi amavano rappresentare come un serpente che morde la propria coda; era le
voci ed i suoni, le nenie, che saranno come il sottofondo della sua poesia, una eco
lontana, un sentimento del tempo, perduto, ma ritrovato e salvato nella sua poesia.
La scoperta della parola
Dagli 8 ai 15 anni studi presso il collegio don Bosco- di cui serberà un ricordo sgradevole,
essendo egli uno insofferente alla disciplina, ai marchi…
Viene poi iscritto alla école Suisse Jacot di Alessandria. Qui – grazie a docenti
preparatissimi ed aggiornati sugli orientamenti della letteratura e della filosofia
contemporanea- scopre innanzi tutto Leopardi, che più tardi comprenderà, come lui stesso
dice, “in tutta la sua grandezza e la sua segreta potenza”; dirà di lui “quell‟uomo che
ha preceduto Nietsche, che ha sentito la sua epoca e ha avuto la percezione dei
tempi nostri come forse nessuno storico ebbe mai”. Leopardi sarà uno dei suoi fari.
L‟altro sarà costituito dai simbolisti francesi, da Boudelaire. Ma , in questa prima
fase, in particolare lo affascina Mallarmé, ancorché non pienamente compreso, dice
infatti “ la sua poesia è così piena del segreto umano dell‟essere, che chiunque può
sentirsene musicalmente attratto, anche quando ancora non ne sappia che
malamente decifrare il senso letterale”.
Mallarmé è il poeta che ha saputo creare una lingua nuova, ben distinta da quella
della comunicazione quotidiana.Il poeta francese è volto infatti alla ricerca della parola
pura, liberata dai significati comuni, capace di esprimere l‟inesprimibile; egli sa creare
attorno ad essa quell‟aura magica che tanto affascina Ungaretti e nella quale -
secondo lo stesso Mallarmé -risiede il potere incantatorio della parola, accentuato
dal sapiente uso degli spazi bianchi. Grande anticipatore dello sperimentalismo di tanta
poesia novecentesca fu Mallarmé: dal gusto per la poesia visiva dei Futuristi, ai
calligrammi di Apollinaire. (A Parigi Ungaretti sarà molto attratto dalla poesia visiva di
Apollinaire, dalla novità di quei testi).
Questa parola alonata di magia appunto, che più che descrivere suggerisce e più
che rappresentare evoca le cose, sarà a lungo oggetto dello studio del giovane
Ungaretti e di un grande amore. Così forse il deserto che circonda Alessandria, il
suo silenzio, trasferiti sulla carta danno vita alla parola isolata nel verso o
circondata dal bianco dell‟intera pagina…
Una parola che deve essere essenziale, liberata dalla contaminazione con la
banalità del linguaggio di tutti i giorni e capace per questo di penetrare tra le pieghe
dell‟io. E‟ un sorta di bussola la parola, che veicola il mistero nascosto nell‟uomo e
lo fa salire alla luce per forza di illuminazioni, nelle quali talvolta si riesce ad
intravedere un barlume di verità.
La sua adolescenza è l‟età delle amicizie, come delle letture disordinate e voraci..
Lontano dall‟Italia, Ungaretti non è influenzato dalle polemiche letterarie che intanto vi si
svolgono. Non si sente obbligato a seguire dei modelli del XIX o del XX secolo. Insieme al
suo grande amico e compagno di scuola Moammed Sceab, siede tutte le sere nel solito
caffè latteria e consuma il suo yogurt alla turca, seduto allo stesso tavolo con il grande
poeta di Alessandria, di origine greca, Kostantin Kavafis, un “poeta che- come scrive lo
stesso Ungaretti nel ricordarlo - oggi la critica annovera tra i quattro o cinque veri
poeti, del ventesimo secolo.
“Kavafy aveva venticinque anni almeno di più del più vecchio di noi, che non ne
aveva più di 18”. Ma, racconta :“Mi furono d‟insegnamento ineguagliabile le
conversazioni con lui, per il quale non aveva segreti la sua lingua nel trimillenario
mutarsi e permanere, né la nostra Alessandria, crogiuolo di civiltà”.
In quegli anni U. fa parte di un circolo anarchico; conosce e frequenta Enrico Pea
proveniente dalla Versilia, un personaggio geniale…che aveva fatto costruire la
Baracca Rossa e, sopra quella che era la sua segheria, aveva destinato uno stanzone a
sala conferenze, assemblee, cospirazioni di sovversivi, che lì ad Alessandria, la città
più ospitale del mondo, capitavano da ogni dove.
Ungaretti ragazzo si immedesima nelle sofferenze e nel sentimento di esilio di quegli
uomini e impara da Pea a gettarsi nella vita con entusiastica adesione, con generosità e
coraggio. “C‟è passione in lui. E la passione da quel momento non verrà mai meno”
dice Leone Piccioni, il più grande biografo e critico di Ungaretti.
“Pea frequentava un caffè, accanto alla Baracca, e il caffettiere -racconta Ungaretti - si
chiamava Platone ed era davvero quella un‟Accademia!, non di perdigiorno, ma di
cercatori, dato che la si possa trovare, della verità, oltre l‟estremo suo velo che è la
poesia”. Nello stesso periodo collabora con il “Messaggero egiziano” importante
quotidiano in lingua italiana; è segretario di redazione di “Unione della democrazia”. Ha
rapporti epistolari con la rivista fiorentina “La Voce”, fondata da Prezzolini, di cui
apprezza il taglio controcorrente…
La partenza da Alessandria
Ma vivere ad Alessandria è difficile, manca il lavoro e il nostro poeta è completamente
sprovvisto di senso pratico… Quando la madre venderà il forno e gli affiderà una parte del
denaro, egli investirà in affari sbagliati, perdendo tutto. Matura lentamente la decisione
di lasciare Alessandria e di proseguire altrove gli studi. Il distacco sarà doloroso,
nell‟autunno del 1912. (“Ti vidi Alessandria, diventarmi un ricordo in un abbraccio
sospeso di lumi”.) Non è una separazione definitiva, perché Alessandria riaffiorerà
di continuo, come un rimorso o come un amore, nei suoi versi, dai più antichi agli
ultimi; sarà un‟illuminazione improvvisa, sarà un miraggio nei momenti di
solitudine, sarà l‟orlo bianco del foglio attorno alle parole, come è stato detto:
[LETTURA ]
“[…]altri luoghi d‟oriente possono avere le mille notti e una, Alessandria ha il
deserto, ha la notte, ha il nulla, ha i miraggi, la nudità immaginaria che innamora
perdutamente”.
“SILENZIO”
Conosco una città
che ogni giorno s'empie di sole
e tutto è rapito in quel momento
Me ne sono andato una sera
Nel cuore durava il limio
delle cicale
Dal bastimento
verniciato di bianco
ho visto
la mia città sparire
lasciando
un poco
un abbraccio di lumi nell'aria torbida
sospesi.
La prima meta di Ungaretti , dopo lo sbarco a Brindisi, sarà Firenze. Gli amici fiorentini.
Qui familiarizza con un paesaggio che già gli appartiene, ma gli occorrerà tempo prima
che accetti, e non solo con il cuore, l‟Italia. Al momento la sola città che sembra soddisfare
la sua curiosità intellettuale, offrirgli una molteplicità di sollecitazioni ed esperienze è
Parigi.
Scrive: “nell‟arrivarci fui colto da smarrimento, subito vinto dalle confidenze di
quei grigi inenarrabili…”
Frequenta assiduamente l‟avanguardia e le lezioni di Bergson, dalle quali dichiarerà più
tardi di aver molto imparato, anche se non erano poi così chiare, ma in esse, dice, c‟era
qualcosa che ti avviluppava, che era estremamente seducente, che era assai difficile da
penetrare sino in fondo . “Io credo- afferma -che la mia poesia abbia un grande debito
verso di lui”. “FU ATTRAVERSO QUELLE LEZIONI CHE SI PRECISO‟ IN ME IL
SENTIMENTO DEL TEMPO”
A Parigi ha modo di conoscere e frequentare talenti come Braque, Picasso, Boccioni,
Modigliani, Utrillo.
Conosce M. Proust, ma decisivo per lui è l‟incontro con Apollinaire, il poeta dei
calligrammi, che abita a Saint Germaine, il quartiere dove ogni sera si incontrano
intellettuali ed artisti.
Apollinaire è un punto di riferimento essenziale per tutte le avanguardie artistiche. Legato
a Picasso e Braque e Henri Rousseau, egli aderisce al Futurismo e redige un manifesto,
“L‟antitradizione futurista”, in cui sostiene la necessità di rinnovare le tecniche e i ritmi e
di puntare sull‟intuizione e su un linguaggio veloce, i giochi grafici, il simultaneismo delle
immagini, il poème conversation, con la riproduzione di brandelli di dialoghi. Ecco sono
solo alcune delle novità introdotte da questo poeta nell‟arte del Novecento.. La poesia è
infatti da lui concepita come libertà assoluta: può accogliere qualsiasi soggetto e
rappresentare simultaneamente molte cose, come avviene nelle colonne dei giornali
o nei film. In Calligrammi esplicita poi il suo gusto sperimentale, creando esempi
molto belli di poesia visiva….
A Parigi Ungaretti incontra anche Marinetti, Palazzeschi, Boccioni e De Chirico, Alberto
Savinio -suo fratello- ma il forte legame lo avrà con Apollinaire, che egli andrà a
trovare a più riprese, anche durante le pause della guerra.
Parigi, nel suo itinerario esistenziale, rappresenta l‟assimilazione di una cultura
vitale, la presa di coscienza delle sperimentazioni in atto, che tanto lo attraevano, di
tendenze artistiche che lasceranno il segno e forse la scoperta della propria
vocazione di poeta. Parigi è però anche la città “straniera”, in cui ci si può sentire
tanto estranei da suicidarsi e così, suicida appunto, muore l‟amico Mooammed
Sceab, nel 1913.
A lui il poeta dedicherà la poesia In memoria con cui si apre -non casualmente- la sua
raccolta “Il porto sepolto”. E‟ dedicata all‟amico arabo con cui aveva condiviso anche
una stanza, nel Quartiere Latino, morto suicida, perché incapace di sopportare
lo sradicamento dalla sua patria originaria. Sceab non può integrarsi nell‟ambiente
parigino e nemmeno rimanere legato ai costumi della sua vecchia
patria. Nomade non solo per motivi di sangue (i suoi mitici progenitori sono
appunto “emiri nomadi”, v. 4), Sceab non possiede il dono della poesia, attraverso
cui Ungaretti riesce invece a sopportare il medesimo destino: la condizione di sradicato
(déraciné). A differenza del compianto amico, Ungaretti riesce a “sciogliere il canto del
suo abbandono” (vv. 20-21) e a salvarsi grazie alla poesia.
Quindi in questo testo, di grandissima attualità per il tema dello sradicamento, che
ci riporta ai migranti disperati di oggi, si parla anche del valore salvifico della
poesia…. Lo stesso Ungaretti intervistato dirà a proposito di questa poesia:“E‟ il
simbolo di una crisi della società, derivata dall‟incontro e scontro di civiltà diverse e
dall‟urto e conseguenti sconvolgimenti tra le tradizioni politiche e il fatale evolversi
storico dell‟umanità”
In Memoria
Si chiamava
Moammed Sceab
Discendente
di emiri di nomadi
suicida
perché non aveva più
Patria
Amò la Francia
e mutò nome
Fu Marcel
ma non era Francese
e non sapeva più
vivere
nella tenda dei suoi
dove si ascolta la cantilena
del Corano
gustando un caffè
E non sapeva
sciogliere
il canto
del suo abbandono
L‟ho accompagnato
insieme alla padrona dell‟albergo
dove abitavamo
a Parigi
dal numero 5 della rue des Carmes
appassito vicolo in discesa.
Riposa
nel camposanto d‟Ivry
sobborgo che pare
sempre
in una giornata
di una
decomposta fiera
E forse io solo
so ancora
che visse
Le liriche del primo Ungaretti contengono elementi di grande innovazione stilistica,
specialmente rispetto alla tradizione letteraria italiana.
Lo sconvolgimento della metrica è alla base della sua rivoluzione: il verso viene
disgregato “in versicoli, frantumando il discorso in una serie di monadi verbali,
sillabate quasi come attonite interiezioni liriche” (dice Mengaldo). Questo
meccanismo carica ( come si è già potuto notare grazie all’ottima interpretazione di
Simone) la singola parola di un‟ energia espressiva inedita; ma a questa metrica franta
del primo Ungaretti, corrisponde un preciso ideale di poetica, ovvero quello di recuperare
“l‟assoluto” …
“Ho, ed è naturale, riflettuto come qualsiasi scrittore o artista, sui problemi
dell‟espressione poetica e dello stile; ma non vi ho riflettuto se non per le difficoltà
che via via l‟espressione mi opponeva, esigendo d‟essere posta in grado di
corrispondere integralmente alla mia vita d‟uomo” - scrive in “Ragioni di una
poesia”
E poi …LA GUERRA
Lascia la capitale francese nel „14 e si trasferisce in Italia, dove la prima guerra mondiale
è alle porte. Da anarchico e spirito ribelle quale era, si sente acceso interventista,
convinto che quella guerra sia inevitabile. Dirà poi: “Non amo la guerra. Neppure
allora l‟amavo, ma ci sembrava che quella guerra fosse necessaria; pareva che
fosse necessario rivoltarsi, pensavamo che la colpa della guerra fosse tutta della
Germania” - “Mi ero fatto un‟idea rigorosa e forse assurda [….]”
Va in Versilia va a trovare Pea, partecipa ad iniziative di anarchici interventisti e finisce
più di una volta agli arresti.
Poi sarà a Milano, dove abiterà per qualche tempo e dove per vivere insegnerà
francese.
La nebbia, che qui annulla il paesaggio, fa da sfondo poesie alle dodici poesie,
pubblicate su “Lacerba”.
Sono quelle che in seguito intitolerà Ultime, nella raccolta “L‟Allegria”. Sono infatti le
ultime di questo primo suo periodo poetico, prima cioè della poesia radicalmente nuova
del <Porto sepolto>.
Tra questi dodici testi, che chiudono la fase più sperimentale della sua opera, c‟è n‟è una,
“Agonia”, che in nove versi racchiude l‟arsura del deserto e i suoi miraggi, ma
contiene già un altro progetto di vita e di poesia”.
AGONIA
Morire come le allodole assetate
sul miraggio
O come la quaglia
passato il mare
nei primi cespugli
perché di volare
non ha più voglia
Ma non vivere di lamento
come un cardellino accecato
E poi è guerra….
Inizia il Porto sepolto…. lui stesso ci dice come [SIMONE]:
“Incomincio il Porto sepolto dal primo giorno della mia vita in trincea e quel giorno
era il giorno di Natale del1915 e io ero nel Carso, sul monte san Michele. Ho passato
quella notte coricato nel fango di faccia al nemico, che stava più in alto di noi ed era
100 volte meglio armato di noi. […]
Il porto sepolto racchiude l‟esperienza di quell‟anno.”
Quando viene mandato a combattere sul Carso, il fante Ungaretti è dunque nel XIX
battaglione di fanteria e scopre la propria fragilità in quella dei suoi compagni,
affratellati a lui dalla paura della morte.
Le poesie del “Porto Sepolto” nascono da questa nuova consapevolezza, che
comporta la volontà di scavare dentro l‟uomo, dentro la sua pena e di esprimere
tutto questo con parole, immagini, similitudini ed analogie che non siano logorate
dal peso della tradizione. Perché in questo contesto di guerra, non pare possibile
cantare alla maniera dei poeti dell‟Ottocento. Men che meno alla maniera di
d‟Annunzio. Non si tratta di seguire o meno certi modelli, perché ogni retorica viene
spazzata via dalla realtà sconosciuta e terribile della vita e della morte in trincea.
E‟ lei - la morte- infatti a dettare le parole nude del Porto Sepolto, questo
straordinario nucleo fondante dell‟intera opera di Ungaretti, che si propone allo
stupito lettore come un‟autobiografia essenziale, scandita in 33 poesie, ciascuna
corredata, sotto il titolo , del luogo, della data, quasi pagine di un diario in versi….E
lo sono.
Sono stati i simbolisti francesi ad indirizzare Ungaretti verso una poesia intesa
come ricerca di un segreto, del valore segreto della parola. Ma a questa idea di
poesia l‟autore del Porto Sepolto accompagna un‟insopprimibile esigenza
autobiografica. Anche questo genere di poesia si inserisce perfettamente nella
stagione poetica del Primo Novecento; ma questa di Ungaretti ha qualcosa di
speciale e nuovo, di rivoluzionario: ogni poesia mette a fuoco folgorazioni
improvvise! Nello stesso tempo quelle schegge di luce si compongono in un
insieme armonico, in un percorso di vita organico… “la Vita d‟un uomo”!.
Se vogliamo credere a quanto racconta nel suo Ricordo del primo incontro con
Ettore Serra, egli compone i suoi versi di guerra dove capita: su brandelli di carta
“cartoline in franchigia”, margini di vecchi giornali, spazi bianchi di care lettere
ricevute”; li mette alla rinfusa nel tascapane e li porta sempre con sé anche in
trincea, in mezzo al fango, lungo l‟Isonzo.
Lì tra i suoi superiori c‟è un giovane tenente -Ettore Serra appunto- che ama la
poesia, che ha letto forse le sue prime liriche su Lacerba. Nasce un‟amicizia, il
soldato Ungaretti gli rivela il suo segreto e gli affida il suo mitico tascapane, con
tutti i suoi pezzettini di carta.. E il tenente li porta via,alla prima licenza, ma, il 16
dicembre 1916, gli fa una sorpresa natalizia: gli porta le prime copie de “ Il Porto
Sepolto”, che ha fatto stampare in una tipografia di Udine… Solo ottanta esemplari
di quel libro che sarà destinato a diventare il testo- svolta della poesia italiana
Cosa significa Porto sepolto? Quel mitico porto di Alessandria che doveva aver
preceduto l‟epoca tolemaica, che già prima di Alessandro, dunque, doveva essere
una città, un porto….Ma di cui nulla si sa e di cui parlava il padre dei fratelli Thuile
suoi amici, che era un archeologo; per lui ciò tuttavia diventa il simbolo stesso
dell‟indecifrabile, di un qualche cosa che precede la vita stessa dell‟individuo.
Così comincia per il poeta una sorta di faticosissima viaggio agli inferi, alla ricerca
di quel segreto, che giace nascosto in ogni uomo, nel pozzo oscuro del suo
inconscio…Ma per raccontare quello che ha scoperto- scavando così a fondo e così
spietatamente dentro di sé- il poeta deve dimenticare il bagaglio della tradizione,
con i suoi artifici e l‟inevitabile retorica, deve voltare le spalle in maniera decisa,
anzi brutale a d‟Annunzio e a ciò che d‟Annunzio ha rappresentato e ancora
rappresenta.
Questa raccolta di liriche brevi e brevissime porta tracce evidenti della tensione che
anima il loro autore e dell‟originalità sorprendente con cui egli racconta il suo
viaggio in un contesto così anomalo.
VEGLIA è una delle poesie esemplari di questa fase, perché ci dà la misura della
tragedia di una guerra non più pensata e astrattamente, desiderata dall‟interventista
Ungaretti, ma patita in trincea, sul Carso, accanto a un compagno che un minuto
prima era vivo e un istante dopo è…. una “bocca digrignata”
Veglia
Un'intera nottata
buttato vicino
a un compagno
massacrato
con la sua bocca
digrignata
volta al plenilunio
con la congestione
delle sue mani
penetrata
nel mio silenzio
ho scritto
lettere piene d'amore
Non sono mai stato
tanto
attaccato alla vita
Parole come digrignata, massacrato, bucano la pagina in un crescendo di angoscia,
che trova però uno scioglimento inaspettato in quel desiderio fortissimo di vita,
proprio di chi si sforza di contrastare il potere devastante della morte. Vita e amore
nascono l‟uno dall‟altra. E l‟amore non è fratello, ma nemico della morte.
Ogni parola, nelle scarne ed essenziali poesie del Porto Sepolto, assume dunque un forte
potere evocativo: isolata nel verso breve, circondata dal bianco della pagina, acquista un
valore assoluto! Il porto sepolto non è un diario di guerra in senso stretto, perché
Ungaretti non parla mai di nemici, né di cause, motivazioni, conseguenze del conflitto. E
qui risiede forse la grandezza di questa raccolta: infatti è, come è stato detto, “un
grande libro di poesia, un libro di grande poesia”(Barenghi) …Proprio grazie alla sua
universalità .
In esso I FIUMI è la poesia più scopertamente autobiografica, un testo chiave che
ci racconta in 69 versi non la guerra dunque, ma la vita d‟un uomo, in guerra.
Lo spunto com‟ è noto deriva da una pausa di riposo del soldato semplice Ungaretti
nelle acque dell‟Isonzo, il fiume storico della Grande guerra, lungo le cui sponde
furono combattute dodici sanguinose battaglie, e per il poeta quel fiume legato alla
sua condizione attuale, diventa l‟occasione non cercata di una presa di coscienza,
una rimeditazione dei momenti fondanti della sua vita. Lo stesso U. lo definisce la
sua “carta d‟identità”.
I FIUMI
Mi tengo a quest‟albero mutilato
Abbandonato in questa dolina
Che ha il languore
Di un circo …..
Prima o dopo lo spettacolo
E guardo
Il passaggio quieto
Delle nuvole sulla luna
Stamani mi sono disteso
In un‟urna d‟acqua
E come una reliquia
Ho riposato
L‟Isonzo scorrendo
Mi levigava
Come un suo sasso
Ho tirato su
Le mie quattro ossa
E me ne sono andato
Come un acrobata
Sull‟acqua
Mi sono accoccolato
Vicino ai miei panni
Sudici di guerra
E come un beduino
Mi sono chinato a ricevere
Il sole
Questo è l‟Isonzo
E qui meglio
Mi sono riconosciuto
Una docile fibra
Dell‟universo
Il mio supplizio
È quando
Non mi credo
In armonia
Ma quelle occulte
Mani
Che m‟intridono
Mi regalano
La rara
Felicità
Ho ripassato
Le epoche
Della mia vita
Questi sono
I miei fiumi
Questo è il Serchio
Al quale hanno attinto
Duemil‟ anni forse
Di gente mia campagnola
E mio padre e mia madre.
Questo è il Nilo
Che mi ha visto
Nascere e crescere
E ardere d‟inconsapevolezza
Nelle distese pianure
Questa è la Senna
E in quel suo torbido
Mi sono rimescolato
E mi sono conosciuto
Questi sono i miei fiumi
Contati nell‟Isonzo
Questa è la mia nostalgia
Che in ognuno
Mi traspare
Ora ch‟è notte
Che la mia vita mi pare
Una corolla
Di tenebre
Quella “corolla di tenebre” ci dice la fragilità di una vita, la sua notte, nata da un
confronto quotidiano insostenibile con quell‟altra notte senza fine che è la guerra
e nel paesaggio carsico, tra le doline, le trincee e il fango, l‟individuo si riconosce
negli elementi naturali, fino ad identificarsi con essi, fino a diventare pietra….
SONO UNA CREATURA
Valloncello di Cima il 5 agosto 1916
Come questa pietra del S. Michele
così fredda
così dura
così prosciugata
così refrattaria
così totalmente
disanimata.
Come questa pietra
è il mio pianto
che non si vede.
La morte
si sconta
vivendo.
Le strofe iniziali hanno ciascuna un termine di paragone, una specie di parallelismo
in cui viene stabilita la relazione tra due realtà: da una parte la pietra dura e fredda
dell‟altopiano carsico , dall‟altra il pianto del poeta che è come solidificato dentro di
lui.
[Si notino l‟epanalessi (figura retorica, dai grammatici latini detta geminatio, che consiste nella ripetizione
di una o più parole in un unico segmento testuale sintattico (prosa) o ritmico (verso), sia di seguito, sia con
l‟interposizione di altre parole (Ben son, ben son Beatrice, Dante; Umano, troppo umano, Nietzsche), che è
figura di emozione, di intensificazione enfatica e l‟anafora (figura retorica che consiste nel ripetere, in
principio di verso o di proposizione, una o più parole con cui ha inizio il verso o la proposizione precedente:
«Per me si va nella città dolente, /Per me si va nell‟eterno dolore, /Per me si va tra la perduta gente»
(Dante)].
Quanto più l‟uomo viene umiliato e ridotto a cosa da una situazione oggettiva di
distruzione e morte, tanto più la parola, nata nel silenzio e dal silenzio- protetta
come da una casa - la casa dell‟essere- acquista una sacralità, che lo salva . E‟
dunque parola scavata in quel silenzio: nuda come la pietra del Carso nella sua
verità.
Dice Ungaretti stesso :“La mia poesia è nata in trincea; nei tentativi che precedono
il volume Allegria di Naufragi, il linguaggio non c‟era ancora, c‟erano tentativi
ch‟erano fatti in direzioni diverse, con nessuna sicurezza…. La guerra
improvvisamente mi rivela il linguaggio. Cioè io dovevo dire in fretta perché il tempo
poteva mancare e nel modo più tragico… in fretta dire quello che sentivo e quindi-
se dovevo dire in fretta -lo dovevo dire con poche parole e se lo dovevo dire con
poche parole, lo dovevo dire con parole che avessero avuto un‟intensità
straordinaria di significato”
“E così si è trovato il mio linguaggio: poche parole piene di significato che dessero
la mia situazione di quel momento quest‟uomo solo in mezzo ad altri uomini soli …
e che sentivano nascere nello stesso momento nel loro cuore qualche cosa che era
molto più importante della guerra, che sentivano nascere affetto, amore l‟uno per
l‟altro”.
FRATELLI
Mariano il 15 luglio 1916
Di che reggimento siete
fratelli?
Parola tremante
nella notte
Foglia appena nata
Nell'aria spasimante
involontaria rivolta
dell'uomo presente alla sua
fragilità
Fratelli
Ecco ci dice Ungaretti- questa in fondo è l‟ispirazione e il linguaggio di quella mia poesia,
la nascita della mia poesia, la prima conquista del valore che può avere una semplice
parola, quando si arriva a colmarla del suo significato.Tutto il superfluo è stato
eliminato: sono spariti anche i segni di interpunzione. Nella parola si condensa
l‟attesa di una rivelazione.Liberata dell‟impaccio retorico essa riacquista la purezza
e l‟innocenza delle oirigini, tanto da trasfigurare il mondo , l‟umanità e la vita.
Ma questa ricerca comporta sofferenza, fatica , paura, come dice Ungaretti in
“Commiato” , il testo che- posto in chiusura del Porto Sepolto- assume il valore di
un autentico manifesto di poetica [Lettura]
Gentile
Ettore Serra
poesia
è il mondo l'umanità
la propria vita
fioriti dalla parola
la limpida meraviglia
di un delirante fermento
Quando trovo
in questo mio silenzio
una parola
scavata è nella mia vita
come un abisso
Una definizione di "poesia" dunque: l‟idea e il valore della poesia consistono, per il
poeta, nell‟"umanità", nella capacità di far sbocciare, non solo ciò che vive nel
nostro cuore, ma tutto il reale; la "parola" può fare fiorire la vita.Il significato della
"sua" poesia per il poeta? Un‟operazione di scavo interiore, una faticosa e sofferta
esplorazione sotterranea nell‟"abisso": scendere dentro di sé in questo
abisso misterioso, cercare il segreto e risalire. Ritorna qui l‟ “abisso inesplorato”
di cui parlava Mallarmé, “l‟ignoto” caro a Baudelaire, il “ ladro di fuoco” che era
per Rembaud il poeta .. .Anche per Ungaretti è una discesa agli inferi e- se appare
molto evidente questo influsso dei poeti maledetti - anche quello dei poeti più vicini
all‟espressionismo (quali REBORA, SBARBARO, GIANI STUPARICH ) è da
considerare : essi, con la loro indignazione etica e il loro autobiografismo doloroso,
esprimono l‟orrore affidandosi al racconto delle nude cose. Il mito dannunziano
della guerra viene fatto a pezzi dalla violenza muta degli scenari di guerra.
L‟esperienza della guerra , non la sua leggenda, produce in Ungaretti testi di
straordinaria bellezza, nella loro nuda tragicità.
E.. tuttavia, se la guerra non ha mai fine, l‟uomo continua a cercare forse quella
leggendaria Itaca, reinventata da KAVAFIS, nella sua celebre poesia, nella quale il
regno di Odisseo non è solo la patria sognata, ma anche il significato ultimo di quel
viaggio misterioso e ricco di sorprese che sempre è la vita ( l‟incontro con Kavafis
non è stato solo un caso nella sua vita).
E anche il nostro poeta perciò riprende il suo viaggio…
Tutte le poesie scritte finora entrano a far parte de L‟allegria di Naufragi, che
pubblica a Firenze nel „19. Il contrasto tra la parola “ allegria” e la parola
“naufragio”, rimanda straordinariamente a l‟Infinito del Leopardi a quel “
naufragar m‟è dolce in questo mare”….
E SUBITO RIPRENDE/ IL VIAGGIO/ COME/ DOPO IL NAUFRAGIO/ UN SUPERSTITE/
LUPO DI MARE…
La vita è un viaggio difficile e risicato, ma non necessariamente destinato al
fallimento e, anzi, dopo aver conosciuto la paura e la sconfitta (il naufragio),
l‟uomo riprende con allegria, con fiducia rinnovata il suo cammino. E se nella lirica
Solitudine aveva detto : le mie urla feriscono/ come fulmini/ la campana fioca/ del cielo ,
rimane sempre l‟immensità di quel cielo sopra le trincee che fa dire all‟uomo
Ungaretti. “ Millumino/ d‟immenso”: quei due soli puliti versi di “Mattina”, nella loro
essenzialità racchiudono il sentimento di ciò che è immenso, non misurabile, di ciò
che è luce e luce emana…..
Nessuna croce manca nel cuore del poeta; ma se la via crucis del soldato Ungaretti
nella fanghiglia delle trincee è la realtà della prima guerra mondiale, è anche una
grande metafora della vita dell‟uomo che, nonostante le difficoltà, prosegue la
marcia…
Egli è ora il frutto di due tensioni opposte: un senso di avventura e uno opposto di
spaesamento, le suggestioni esercitate dalle avanguardie e la nostalgia del canto
della tradizione .
Leone Piccioni il critico che meglio ha meditato su Ungaretti, ricorda che il poeta ha
amato a lungo e meditato sul messaggio di solidarietà tra gli uomini che ha lanciato
il Leopardi nella Ginestra.
LE ARDENNE
Nella primavera del „18 è sulle Ardenne, nascono qui liriche come “Girovago”,
espressione del sentimento di solitudine e di estraneità dell‟uomo costretto a
lasciare ogni volta luoghi e persone con cui ha condiviso esperienze decisive. Il
Girovago vorrebbe ritrovare la felicità inconsapevole delle origini...
Da un simile senso di precarietà e di provvisorietà nascono -presso il bosco di
Courton- gli indimenticabili versi di “Soldati”, in cui Ungaretti dà una delle più
convincenti dimostrazioni della essenzialità come scelta di stile.
Si tratta com‟è noto di un‟unica similitudine, che nasce dall‟associazione per
analogia, così cara al poeta, tra un elemento della natura e il destino degli uomini,
rappresenta la condizione dei soldati, precaria come quella delle foglie in autunno.
Qui il primo termine della similitudine non fa parte dei versi, ma è espresso nel
titolo.
C‟è un retaggio romantico nel sentimento dell‟anima che corrisponde al paesaggio?
Alla situazione ? In particolare penso al paesaggio d‟autunno che il Manzoni fa
attraversare al suo Fra‟ Cristoforo, con lo stesso senso di precarietà esteriore ed
interiore, che avverte mentre cerca di raggiungere la povera casa di Lucia…
D‟altra parte la similitudine tra la vita umana e le foglie appare già in Omero. Nel
libro VI dell‟Iliade: “Tal quale la stirpe delle foglie è la stirpe degli uomini/Le foglie il
vento molte ne sparge a terra, ma rigogliosa la selva altre ne germina in primavera”.
Qui domina la speranza della rigenerazione .
L‟immagine è ripresa dal poeta Mimnermo, con toni più lirici: “Al modo delle foglie
che nel tempo / fiorito della primavera nascono e ai raggi / del sole rapide crescono/
noi simili a quelle per un attimo/ abbiamo diletto nel fiore dell‟età/ ignorando il bene
e il male per dono celeste e –conclude-fulmineo precipita il frutto di giovinezza /
come la luce d‟un giorno sulla terra”. Se in Omero l‟idea di precarietà è affiancata
ad un messaggio di fiducia, in Mimnermo -come si è potuto notare- prevale il
senso della condizione di fragilità umana. Ungaretti sembra derivare la propria
similitudine da Mimnermo per il senso di incertezza e precarietà. La figura del
soldato nella sua fragilità incarna il destino di tutta l‟umanità.
SOLDATI [lettura]
Si sta come/ d‟autunno/ sugli alberi / le foglie
E‟ interessante notare qui - nell‟ottica di quanto si è detto- come il valore della
tradizione, la musicalità del verso della tradizione lirica italiana- e della tradizione
leopardiana in particolare- sia presente: se si riavvicinano infatti i versi a due a
due, si può notare come si tratti in realtà di settenari….; così come in Mattina, i
cui versi: M‟il/lu/mi/no// d‟im/men/so compongono un settenario…
Gli anni romani.
Un capitolo nuovo è costituito per il poeta dagli anni romani.Roma -dice il poeta- è
diventata la mia città, quando sono arrivato a capire cos‟è il Barocco, ciò che c‟è in
fondo al Barocco. E‟ un grande , è Michelangelo che mi ha indicato la strada, perché
il Barocco è nato da Michelangelo. Siamo nel „22. Lavora al ministero degli affari
esteri, collabora a periodici. Sono i tempi della sua casa a Marino, povera ma bella
e sempre piena di amici. Frequenta intellettuali ed artisti. Sente sempre più il
fascino del classicismo novecentesco, che gli scrittori della Ronda propagandano,
cercando di separare la vita dalla letteratura: quell‟‟ Aventino della letteratura, degli
oppositori del regime, che si opponevano senza opporsi, ma rifugiandosi nell‟arte. Il
regime però c‟è, e lo stesso Ungaretti non ne esce indenne, anche se non ha mai
conosciuto il duce, pur lavorando al Popolo d‟Italia, su una sua opera, forse grazie
a E. Serra, esce una inconsistente prefazione a firma di B. Mussolini.
Ungaretti era stato precocemente attratto dal fascismo, nella sua prima fase
populista e antiborghese, forse alimentata tale attrazione dalla sua identità di figlio
di emigranti, ma non ne ebbe mai vantaggi concreti. Tanto che nel „36, per
mantenere il decoro della sua famiglia preferirà trasferirsi in Brasile; avendo inoltre
rivendicato più volte, per gli artisti, la libertà e la dignità di essere se stessi.
Sottolineerà spesso la precaria condizione di chi scrive, che è costretto a fare mille
mestieri per mantenersi…
Ma negli anni romani nascono le liriche del “Sentimento del Tempo”; esse
segnano il ritorno alla normalità, dopo le distruzioni operate dalla guerra sulle città
e sugli individui.
Ungaretti che ha vissuto intensamente la stagione delle avanguardie e delle
sperimentazioni, che è stato -secondo il parere unanime dei critici- il più
rivoluzionario poeta dei primi cinquant‟anni del Novecento, e che, in solitudine, è
riuscito –senza i proclami dei futuristi- a demolire la metrica tradizionale, ora sente
invece il bisogno di recuperare la poesia del passato. Così dopo la sillabazione
frantumata dei versicoli, si volge verso il canto degli antichi, il canto dei poeti del
passato per affrontare i grandi temi connessi con l‟esistenza, proiettata verso la
ricerca sempre inquieta e difficile di un significato che la trascenda.
E c‟è un passo illuminante di uno scritto di Ungaretti, in proposito… [che affidiamo
alla voce di Simone Calomino]
“Io rileggevo umilmente i poeti, i poeti che cantano. Non cercavo il verso di
Jacopone o quello di Dante o quello del Petrarca, o quello di Guittone, o quello del
Tasso, o quello del Cavalcanti, o quello del Leopardi: cercavo il loro canto. Non era
l‟endecasillabo del tale o il settenario del talaltro, che cercavo. Era l‟endecasillabo,
era il novenario, era il settenario, era il canto italiano, era il canto della lingua
italiana che cercavo nella sua costanza attraverso i secoli[…]
Era il battito del mio cuore che volevo sentire in armonia con il battito del cuore dei
miei maggiori di una terra disperatamente amata”.
E così porta avanti la sua ricerca sul senso e il valore dell‟esistenza, che è alle
origini dei miti, ma anche delle forme di scrittura tese ad indagare quel mistero …
Gli viene naturale, così, riaccostarsi alla grande tradizione poetica italiana,
all‟endecasillabo “classicamente sontuoso” e al settenario. Utilizza ora una sintassi
molto elaborata e recupera anche la punteggiatura. Il linguaggio è alto, letterario,
fitto di richiami e rimandi al Canzoniere petrarchesco e ai Canti del Leopardi. Il ritmo
dei versi si fa più disteso, quasi a voler accompagnare atmosfere fuori dal tempo,
magiche.
L „ampia raccolta che ne segue, che a differenza della precedente non è
caratterizzata da autobiografismo, IL SENTIMENTO del TEMPO, comprende le
poesie scritte dal „19 al ‟35 ed è suddivisa in sette sezioni.
Qui i luoghi non sono quelli devastati dalla guerra: sono misteriosi e popolati
piuttosto di figure mitologiche (quasi come le piazze di De Chirico) il linguaggio ha
una letterarietà sconosciuta all‟autore de L‟allegria.
Esemplare di questo nuovo periodo è forse l‟ISOLA, considerata da molti
emblematica di questo nuovo Ungaretti, che ci parla di una ritrovata innocenza, di
una felicità raggiungibile, ma non nella dimensione del quotidiano, forse, bensì in
quella del mito, situata fuori dal tempo e dalla storia. L‟intonazione è solenne e il
linguaggio è tramato di echi classici: come In filigrana si intravede quasi il mondo
mitico foscoliano de “Il Velo delle Grazie”.
Secondo una dichiarazione di Ungaretti stesso, il paesaggio trasfigurato sarebbe
quello di Tivoli: selve immancabilmente ombrose, ninfe, pecore e pastori; ma
Ungaretti rilegge il modello alla luce della poesia più recente, come ad esempio
quella dei simbolisti francesi Stéphane Mallarmé (1842-1898) e Paul Valéry (1871-
1945). Da qui viene il senso di arcano mistero di cui è caricato nel testo il paesaggio
bucolico. Il componimento ha forse anche un significato metapoetico, ovvero di
riflessione sulla letteratura stessa: Ungaretti abbraccia infatti la tradizione
letteraria, che prima (all‟epoca degli esordi) gli pareva un vano “simulacro” e poi
viene riconosciuta come “fiamma vera” (v. 12), cioè come alimento fecondo
dell‟ispirazione.
Il clamoroso ritorno alla tradizione, che permea tutto il Sentimento del tempo, viene
così giustificato da Ungaretti: “Le mie preoccupazioni in quei primi anni del
dopoguerra [...] erano tutte tese a ritrovare un ordine”. Il lessico de L‟isola è
classicheggiante e semanticamente vago, la sintassi è involuta e aulica, l‟impianto
retorico barocco e virtuosistico, la metrica decisamente tradizionale rispetto ai
versicoli de L‟Allegria. La svolta riguarda anche temi e funzioni della poesia, come
nota il critico Pier Vincenzo Mengaldo:
Venuta meno la naturale compartecipazione a un‟esperienza “unanime”, Ungaretti,
che agisce adesso in una sorta di vuoto storico, deve obiettivare la propria biografia
in “emblemi eterni”, favole e miti, ora idillici come nell‟arcadica Isola, ora tenebrosi.
Ungaretti non è più insomma il poeta-soldato che scrive dal doppio fronte della
guerra e del suo travaglio esistenziale (come in Fratelli o in Mattina); si volge ora
alla cultura e alla tradizione per trasfigurare poeticamente le avventure interiori del
proprio io.
Tra il primo e il secondo Ungaretti esistono però anche delle continuità che non
vanno ignorate. La tensione verso una poesia pura e assoluta, quasi metafisica,
sopravvive in un diverso contesto tematico e stilistico. Le due maniere, in
apparenza così diverse da parere opposte, celano dei meccanismi comuni: dietro
alla metrica regolare e alla patina classicheggiante della lingua, lo stile
del Sentimento è ancora basato sull‟“enfatizzazione delle pause e sul peso della
parola isolata” (è sempre Mengaldo che parla) tipici de L‟Allegria.
L‟ISOLA
Metrica: versi liberi, in prevalenza endecasillabi, novenari e settenari. (Dalla sez. La fine di Crono)
A una proda ove sera era perenne
di anziane selve assorte, scese,
e s‟inoltrò
e lo richiamò rumore di penne
ch‟erasi sciolto dallo stridulo
batticuore dell‟acqua torrida,
e una larva (languiva
e rifioriva) vide;
ritornato a salire vide
ch‟era una ninfa e dormiva
ritta abbracciata a un olmo.
In sé da simulacro a fiamma vera
errando, giunse a un prato ove
l‟ombra negli occhi s‟addensava
delle vergini come
sera appiè degli ulivi;
distillavano i rami
una pioggia pigra di dardi,
qua pecore s‟erano appisolate
sotto il liscio tepore,
altre brucavano
la coltre luminosa;
le mani del pastore erano un vetro
levigato da fioca febbre.
Ricchissima, come si è potuto notare di figure retoriche, di un lessico ricercato,
ricompare la punteggiatura ed i versi tradizionali, mentre le analogie risultano meno
comprensibili . Perché l‟isola? “Perché è il punto dove io mi isolo, dove sono solo: è
un punto separato dal resto del mondo, non perché lo sia in realtà, ma perché nel
mio stato d‟animo posso separarmene”. Tuttavia, nonostante le indicazioni forniteci
dallo stesso autore, l‟immagine dell‟isola resta del tutto irreale e tutta la poesia vive
in un‟atmosfera indeterminata, tant‟è che lo stesso protagonista (il visitatore
dell‟isola) resta anonimo, anche se alcuni critici tendono ad identificarlo con lo
stesso Ungaretti. In particolare la parte conclusiva della poesia, con l‟apparizione
del pastore febbricitante, è tutto giocato sull‟impossibilità di cogliere ciò che è vero
e ciò che non lo è. Tutta La raccolta si concentra soprattutto sul tema dei paesaggi
romani e laziali, che prendono il posto dei paesaggi parigini e di quelli di trincea.
MentreIl tema della guerra lascia spazio a riflessioni di carattere più generale sullo
scorrere del tempo, sull‟attesa della morte, sulla solitudine dell‟uomo di fronte al
dolore. Le liriche non sono più il frutto di illuminazioni improvvise, ma il risultato di
una riflessione ben più profonda e di una ricerca del senso stesso dell‟esistenza.
Inoltre le poesie di questa raccolta saranno degli importanti modelli per i poeti
ermetici e questa lirica non fa affatto eccezione.
Ma nella sezione “Sogni e accordi” troviamo una lirica completamente diversa.
S‟intitola “STELLE” e ha il suo avvio nel miracolo del primo endecasillabo
“TORNANO IN ALTO AD ARDERE LE FAVOLE”
I quattro versi che la compongono sono scanditi da ampi spazi bianchi e giocati
sull‟analogia tra due parole chiave……:STELLE
Tornano in alto ad ardere le favole/ /Cadranno con le foglie al primo vento.// Ma
venga un altro soffio,/ ritornerà scintillamento nuovo”
Qui l‟immaginazione del poeta ha creato un legame razionalmente incomprensibile
tra le STELLE del titolo e le favole del testo. Sta alla sensibilità e all‟intuito del
lettore entrare in questa misteriosa analogia e scioglierla. E potrà farlo forse
riandando con il pensiero ai suoi primi stupori infantili, alla meraviglie delle prime
favole ascoltate e delle prime stelle contemplate…
Ma all‟interno del Sentimento del tempo uno spazio a parte è occupato dagli Inni.
La pietà scrive Ungaretti “è la prima manifestazione risoluta di un mio ritorno alla
fede cristiana[…]Nacque durante la settimana santa, nel monastero di Subiaco,
dov‟ero ospite del mio vecchio compagno don francesco Vignanelli, monaco a
Montecassino” Era il 1928. L‟inno deriva in Ungaretti da una suggestione della
Pietà Rondanini, che negli anni venti era esposta a Palazzo sanseverino. In
quest‟ultima opera Michelangelo rappresenta Cristo come un corpo disanimato, un
corpo vuoto e in quell‟effetto della giustizia , Michelangelo non vede se non orrore
Non vede la pietà nella madre che ad ogni costo vuole suo figlio
Nell‟Inno di Ungaretti speranza e disperazione si danno la mano.
Ma la fede nella parola è già salvezza per l‟uomo ferito, esiliato in mezzo agli uomini,
non si chiude nella sua solitudine, per essi sta in pena. Questa pena, questa
condivisione del dolore è la nota più alta della PIETA‟ e TESTIMONIA IL RITORNO
AD UN SENTIMENTO DI FRATELLANZA CHE LE TRINCEE DEL CARSO AVEVANO
SAPUTO SUSCITARE.
IN BRASILE
Nel ‟36, Ungaretti, come si diceva, si trasferisce con la famiglia a San Paolo del
Brasile, dove gli è stata offerta una cattedra di letteratura italiana. Vi rimarrà sei
anni. Il paese immenso e ricco di spettacoli naturali lo colpisce profondamente.
Scrive : “Gli alberi in città crescevano, in una notte. Si vedevano crescere ….
Durante la guerra nel carso in trincea m‟ero sentito un uomo elementare , in Brasile
ho avuto un contatto con la natura molto curioso e che ha portato nella mia poesia
degli elementi che le dettero il carattere che poi ha mantenuto”.
Nei versi di Amaro accordo si intravede la figura di un bimbo colto nell‟atto di
contemplare felice le tartarughe marine…ma è una natura leopardiana gigantesca e
indifferente come il cielo troppo azzurro e troppo gremito d‟astri, che sembrano
minacciare la fragilità di quel bimbo felice. Quasi un presagio…..
Quel bimbo è il figlio di Ungaretti Antonietto, che morirà di lì a poco,
improvvisamente, ma è anche il poeta stesso estatico davanti QUELLE VISIONI
STUPEFACENTI.
Il lutto ora sconvolge la vita del poeta: preceduto da quello per il fratello
Costantino, che era tutto un mondo per lui, terribile sarà quello per il figlio
Antonietto: aveva nove anni .
Le diciassette sequenze di Giorno per giorno sono molto più di quello che
solitamente viene chiamato il diario in versi dei quella morte.
RACCONTANO IL VUOTO e LA VERTIGINE del nulla, una desolazione senza
sbocchi, la fine della pietà. Ed è poesia altissima, ma sarà anche salvezza per
l‟uomo che soffre?
Qui endecasillabi e settenari , variamente disposti, danno l‟idea piuttosto di una
prosa lirica, quasi lo sfogo di una pena troppo forte per poter essere chiusa in
strofe regolari. Della voce di Antonietto non è rimasta altra traccia che qualche
memoria …
GIORNO PER GIORNO [LETTURA a due voci]
1.
"Nessuno, mamma, ha mai sofferto tanto..."
E il volto già scomparso
Ma gli occhi ancora vivi
Dal guanciale volgeva alla finestra,
E riempivano passeri la stanza
Verso le briciole dal babbo sparse
Per distrarre il suo bimbo...
2.
Ora potrò baciare solo in sogno
Le fiduciose mani...
E discorro, lavoro,
Sono appena mutato, temo, fumo...
Come si può ch'io regga a tanta notte?...
3.
Mi porteranno gli anni
Chissà quali altri orrori,
Ma ti sentivo accanto,
M'avresti consolato...
4.
Mai, non saprete mai come m'illumina
L'ombra che mi si pone a lato, timida,
Quando non spero più...
5.
Ora dov‟è, dov‟è l‟ingenua voce
Che in corsa risuonando per le stanze
Sollevava dai crucci un uomo stanco?
La terra l‟ha disfatta, la protegge
Un passato di favola…
6.
Ogni altra voce è un‟eco che si spegne
Ora che una mi chiama
Dalle vette immortali….
7.
In cielo cerco il tuo felice volto,
Ed i miei occhi in me null'altro vedano
Quando anch'essi vorrà chiudere Iddio...
8.
E t'amo, t'amo, ed è continuo schianto!...
Arrivano fino a 17 le strofe…..Ma mi fermo qui. Nel punto dove forse più alto è il
pathos. I frammenti 7 e 8 esprimono infatti tutto lo strazio del poeta, uno strazio che
lo accompagnerà per tutta la vita.
Il poeta afferma nel seguito di essere tornato nella sua Roma, dove anche l‟aria ha
un ritmo conosciuto, ma che non potrà mai più condividere con il figlio; ed anche
questo gli provoca un dolore che lo trafigge ad ogni respiro.
Egli non avverte più la vitalità dell‟estate, né i presentimenti della primavera, né le
manifestazioni inutili dell‟autunno: solo l‟inverno, la stagione più triste, è in
corrispondenza con lo stato d‟animo del poeta, che vive per un desiderio
irrealizzabile (spoglio).
Dal Brasile dunque è fuggito ….da quella terra impietosa, ma la poesia sola che è
dono di Orfeo , gli restituisce in qualche modo la parvenza misteriosa del suo
bambino. Forse gli cammina a fianco, forse sarà per lui, suo padre, l‟Aurora e
intatto giorno .
La terra l‟ha disfatta quella vita, la protegge un passato di favola. Quello che erano
le favole ieri, cioè una cosa sola con le stelle, ha lasciato il posto all‟oggi e nell‟oggi
la favola è la sua vita con Antonietto, i suoi gesti, i suoi giochi….L‟immagine di
Antonietto trascolorata nel mito . La disperazione lentamente si attenua e si fa
quiete, certezza della sua presenza silenziosa.
Nella seconda parte de “Il dolore”, il poeta non parla più solo in prima persona, ma
si fa interprete di sentimenti di tutto un popolo che ha subito la tragedia della
seconda guerra, ancora più spaventosa dopo la quale non cessano del tutto i
conflitti.
NON GRIDATE PIU‟
Cessate d‟uccidere i morti,/Non gridate più, non gridate/Se li volete ancora udire,/Se
sperate di non perire.//Hanno l‟impercettibile sussurro,/Non fanno più rumore/Del
crescere dell‟erba,/ Lieta dove non passa l‟uomo.
È una poesia ispirata com‟è noto al poeta dalla “Guerra fredda” che sentì il
dovere di far sentire il grido doloroso per gli odi e le cattiverie che abitavano
nell‟animo degli uomini scampati al conflitto crudele. Non gridate più è la poesia
con cui il poeta, con poche parole esortò gli uomini a porre fine ai contrasti inutili e
a raccogliersi in religioso silenzio, per ascoltare il messaggio di pace che proveniva
dalle tombe in cui giacevano i morti invano per colpa della guerra. Non ascoltare la
debole voce dei morti era come ucciderli un‟altra volta, per non capire il loro
sacrificio inutile.
Gli anni della vecchiezza vedono Ungaretti soffrire ancora per la scomparsa nel „58
della compagna della sua vita , che se n‟è andata in punta di piedi. Attorno a lui e
dentro di lui dilaga la notte. Per lei per Jeanne, ha scritto l‟ultima poesia del
taccuino del vecchio:
“Per Sempre”
Senza niuna impazienza sognerò,
mi piegherò al lavoro
che non può mai finire,
e a poco a poco in cima
alle braccia rinate
si riapriranno mani soccorrevoli,
nelle cavità loro
riapparsi gli occhi, ridaranno luce,
e, d‟improvviso intatta
sarai risorta, mi farà da guida
di nuovo la tua voce,
per sempre ti rivedo.
Versi straordinari, cui tanto somigliano per il concetto e per la sobrietà quelli di E.
Montale.
Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale
e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.
Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.
Il mio dura tuttora, né più mi occorrono
le coincidenze, le prenotazioni,
le trappole, gli scorni di chi crede
che la realtà sia quella che si vede
Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio non già perché con quattr‟occhi forse si vede di più.
Con te le ho scese perché sapevo che di noi due
le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,
erano le tue.
E lei, Jeanne, il suo amore: è stata la giovinezza, la scoperta dell‟arte a Parigi, la
compagna fedele di una vita, la madre.
Ma quando è già molto vecchio, si riaffaccia l‟estrema illusione d‟amore, si riaffaccia
una Donna Gentile, un amore, che definisce “demente”, ma tanto bello nella sua
assurdità, compagna del suo ultimo tratto di strada, nonostante i troppi anni che li
dividono. Nascono i versi di Conchiglia e di “Lampo di una bocca”, dove sembra
prevalere l‟angoscia di chi sa di poter rimanere ferito, e tuttavia dice …”ma se mi
guardi con pietà e mi parli, si diffonde una musica, dimentico che brucia la ferita”.
L‟amore in senso lato, accompagnerà il poeta fino alla fine. E‟ Dunja , bellissima e
giovane, croata come la sua tata, Anna, che era stata la sua fata, la memoria e le
favole, forse il suo primo innocente amore; l‟ultimo miraggio, un rapporto che
dunque sembra chiudere il cerchio: proveniente dall‟est, DUNJA è l‟ultima oasi, il
palmeto, la fontana dai mille zampilli verso cui il nomade d‟ amore tende le mani, e
gli occhi e il cuore, il cuore di bambino d‟ottant‟anni, “grazie a lei non potrà più
desolarmi il deserto in cui da tanto erravo”.
“Vita d‟un uomo”, a cui Ungaretti ha lavorato per cinquant‟anni introducendo
varianti che hanno fatto impazzire i critici, non si chiude con le ultime liriche di
“Nuove”, ma con le poesie in lingua francese di “Derniers jours” che erano apparse
nell‟edizione di Allegria del 19. Infatti ,poiché il poeta tendeva alla realizzazione di
un diario in versi unitario, la fine doveva ricongiungersi agli inizi. Il francese è la
lingua degli esordi e le poesie di “Derniers Jours” appartengono alla prima fase
rivoluzionaria sperimentale. Sono le poesie di guerra il nucleo più vitale di tutta la
sua opera… il poeta lo sa. Per questo le vuole in chiusura…
Se dunque “Ultime “ si chiamano le poesie di apertura di questo diario in versi, le
liriche che lo chiudono sono invece le prime, le più antiche.
In tal modo il cerchio si è chiuso, “Vita d‟un uomo” , il libro compreso tra questi due
estremi, è ormai senza data, sigillato in una perfezione atemporale, come dirà il
critico Allegri, che lo elegge a testimonianza assoluta.
Ungaretti muore tra 1 e 2 giugno del 1970, in una notte di primavera, nella città dove
lui, uomo del deserto aveva scoperto la nebbia, nella città dove aveva creato le sue
prime poesie.
Un giorno aveva scritto :
“IO credo che il giorno che non ci sarà più la poesia non ci sarà nemmeno l‟uomo. Il
modo tecnico di fare poesia può anche mutare, non so né come né quando, se
necessità nuove esigeranno che l‟uomo si esprima in modo diverso… ma l‟uomo
non potrà vivere senza poesia, perché essa rappresenta il segreto non solo di chi
riesce, così, per dono a scriverla sulla carta, ma di tutti, poiché tutti l‟hanno
nell‟anima”.
E allora- noi poeti e cultori di poesia d‟ “I 13 canali”, stasera dedichiamo un
omaggio della nostra terra al poeta e grandissimo traduttore, che- indegnamente- mi
sono permessa di preparare…
„ A morte pinzata
E ora… possiamo congedarci dal poeta
e da tutti voi con un fiore di primavera che ci regala ancora la sua poesia:
TRA UN FIORE COLTO E L‟ALTRO DONATO
L‟INESPRIMIBILE NULLA
GRAZIE