frattaglie, mie

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Pezzi di me a comporre un anno in poesia...

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Franco Pucci

frattaglie, mie

silloge 2012

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La libertà del gabbiano

Nato in un paesino della Bergamasca, dopo aver frequentato le Scuole Tecniche con un profitto senza infamia e senza lode, Franco Pucci decide di comunicare con il mondo esterno attraverso immagini e segni, entrando così nel mondo della grafica. Un corso serale triennale di Grafica Pubblicitaria, condotta da Albe Steiner, il nipote di Giacomo Matteotti, presso la Scuola Umanitaria famosa anche perché ha dato linfa vitale alla Scuola del Libro di Milano, gli svilupperà la passione e la voglia di lavorare per il mondo della comunicazione e della grafica. Gli interessi per questa sua passione lo coinvolgono e lo assorbono totalmente, non impedendogli però di sposarsi e di contribuire a mettere al mondo quattro figli. Un’esperienza di circa quattro anni come disegnatore tecnico presso aziende e studi d’ingegneria e architettura e poi… il salto nel mondo della grafica pura! La pubblicità e la televisione lo catturano definitivamente e per oltre un trentennio si occuperà, nel ruolo di Direttore Creativo, della comunicazione per le agenzie e le strutture promozionali nazionali e internazionali. Già che la tastiera del computer ha

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sostituito la sua veloce penna, ora che ha molto più tempo, si dedica totalmente alla scrittura creativa, dando la sua collaborazione a diversi portali, tra i quali: www.rossovenexiano.com e al suo blog personale www.francopucci bricole.blogspot.com inoltre, come e-book sfogliabili, su www.issuu.com. Le sue ultime pubblicazioni sono: “Il volo del Gabbiano”, NarrativaePoesia Editore e “bricole”, edito in proprio.

Michela Zanarella

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Prefazione Il Poeta Franco Pucci continua ad attendere la vita "all'angolo di vie sconosciute". Così egli si descrive e si presenta al lettore offrendogli il mondo delle sue speranze, delle sue amarezze e delle sue gioie, delle sue malinconie di cui è soffusa la sua inesausta energia. Così, un interessante Universo interiore, attraente e godibilissimo, viene offerto senza risparmio, senza falsi pudori, a fronte alta. Le immagini del suo "mondo" sono sempre icasticamente vere, essenziali, suggestive quanto concrete. Alcuni vecchi "leggono i capitoli della vita contando ad alta voce le rughe sui loro visi" è solo uno dei "momenti" di "Flamingo Bar" un componimento poetico dell'Autore, osservatore attento e "fotografo" -quasi- di anime e situazioni. Così il Poeta si sofferma ad assaporare l'incanto sottile dell'attimo fuggente, come immerso in una "bolla di silenzio" che "ondeggia sospesa" per infrangersi, poi, su un "muro" di voci e suoni! Sono pennellate veloci, le impressioni che Pucci raccoglie e ci trasmette con versi e parole che, pur scritte, ci colpiscono per sonorità e incidenza. Nella sua opera cogliamo la nostalgia e il rimpianto, maturo, di una vita vissuta con intensità e passione; e scopriamo che, nel suo cammino, Pucci, serba-integri- ardore ed energia dell'adolescenza. In momenti di più intensa malinconia egli parla di "cocci di vita" che non disperde mai, ma raccoglie, adorna, tesaurizza, arricchendoli di slanci e pulsioni sempre nuove. E per Pucci, alle salite della vita, è spontaneo offrire un sorriso quale valido punto di appoggio e sostegno per non scivolare e non cadere. E, in amore, persino le "catene" non opprimono, non legano, ma sostengono.

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Un Autore che crede profondamente nell'Amore e, anche quando parla di eros, lo fa con l'eleganza matura e misurata del Poeta! Seguiamo quest’Autore nel suo affascinante viaggio, ne scopriremo l'Anima e la particolare vis del suo "interiore”.

Mario Calzolaro

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Frattaglie, mie sono frattaglie /quelle che scrivo stracci di carne /quand’ero vivo rimasti sul desco /del ristorante di vita trascorsa /senza badante scrivi m’han detto /che ti fa bene è propedeutico /conforta le pene così sbarazzi /le scorie indecenti delle bugie /incastrate tra i denti Il resto è sepolto sotto vecchie cicatrici mai asciugate.

frattaglie Pezzo per pezzo impresse nel bianco ne fo poesia.

come sindone blasfema

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Averti… [ho combattuto contro un temibile rivale: la paura il lampo degli occhi raccontava una storia senza fine la fuga terminò inebriandosi nella tempesta dei sensi così il ruscello impetuoso sfociò in un fiume in piena] quattro passi tra ciuffi di bambagia sparsi nell’azzurro un’oliva nel Martini questo tuo incollarsi al mio cuore un sapore che ogni volta rinnova il piacere dell’amore sognanti i versi che brindano a nuove mature stagioni …averti, ora come allora, è un cin cin alla vita…

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Baratti Ho venduto le ultime biglie di vetro colorato come perle autentiche di falso Murano a quattro cinesi in gita sulla laguna in cambio di paio di bacchette di bambù. Ho ceduto le bacchette al bar sul corso a un oste dal sorriso mefistofelico in cambio di un bicchiere di Rosso Inferno in un amen l’ho bevuto, ho visto il fondo. C’era un numero di telefono impresso. Ci sto pensando. Vorrei indietro le mie biglie di vetro colorato.

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Cuore di maiolica sotto l’indaco dipinto dello smalto -tu cuore di friabile biscotto- cotto al sole di roventi primavere -indurito al gelo dell’inverno- appeso come falsa icona adorata -ninnolo d’antica cristalliera- indisponibile ai richiami dell’anima -ti culli nella tua apparenza- scivolano quasi lacrime di ghiaccio -sul blu diamantato le parole- non prova alcun fremito o passione -una corazza vitrea di smalto- ti spezzerai nonostante l’arroganza -l’acciaio forerà la tua difesa- quando l’amore colpirà improvviso -raccoglierò briciole d’amore- …dal cuore di biscotto

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Domani farà bello, hanno detto… "...i avarave ciamà belo per doman…" Quel repentino, lattiginoso strato di nebbia sembrava bambagia sfilacciata tra le dita che saliva silenziosa posandosi sulla laguna e come algido sicario ne affogava i colori. Testarda una lama di luce bucava la bruma, creando sull’acqua trasparenti arabeschi, mentre il peschereccio si perdeva nel limbo la sirena urlava il suo commiato dal molo. L’orizzonte m’apparve come sogno concreto che da tempo rincorrevo e protesi la mano, solo stracci di nebbia rimasero appesi alle dita. Con la voce arrochita dall’umido salmastro bestemmiai alla caligine la mia delusione. "…i avarave ciamà belo per doman…" Straziò la voce stridula ma ne riconobbi il tono, lo schioccar del becco e il frullar d’ali felpato lacerarono come artigli il velo dell’amarezza e nella laguna ovattata rispecchiai il mio sorriso. …come sempre avrai ragione tu amico mio.

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Eccomi eccomi accanto a te a capo chino guaisco le dolenti ferite aperte -cucciolo maldestro- in un gioco pericoloso eccomi davanti a te occhi di cane bastonato che implorano perdono -ingenuo protagonista- di un gioco sconosciuto eccomi dentro di te ora l’altalena dei fianchi blandisce il mio il dolore -l’acme è alla chiama- l’urlo si scioglie nel miele conosco il gioco eccomi

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Ho guardato la notte negli occhi albeggia… [abbandoni le coltri, ti alzi e il ricordo delle lenzuola svanisce nel brivido d’addio sui gradini conti i tuoi passi viepiù stanchi, circospetti] Nel buio che attende le mani ti muovi come un automa che ha fatto della sua paura una gelida compagna discinta guardiana del suo respiro. Sacrista in una chiesa di carta, come improvvisato scaccino che accende e spegne falsi ceri, sei custode che schiude cancelli e lacrima sul mazzo di chiavi. e albeggia… [l’eco dei passi s’è persa oramai nella luce immemore del buio l’alba che saluta i miei domani porta con sé la brezza del mare e dolce è il brivido tra le lenzuola] …ma ricordo quegli occhi…

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Il velo da sposa Gli argini del fiume quella mattina accolsero la bruma vestita da sposa l’acqua ammaliata dal candido velo ondulò dolcemente baciando la riva. Nel silenzio di canne dipinte di brina come algidi spettri riflessi nell’acqua il passo seppur cauto scalfiva l’idillio e il fiato sospeso lacerava il mantello. Trattenni il respiro sedendo in attesa del brusco risveglio d’incauti amanti mentre ammiravo l’emozione dipinta il vento spogliava pian piano la novia. La gallinella deflorò l’acqua correndo e le goffe ali presero il volo nel bianco il rumore di canne spezzate fu strazio del silenzio complice dello spettacolo. Il fiume rispecchiò un azzurro sorriso sull’acqua dondolava il velo da sposa.

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Immemore cancello il ricordo è un serto spinoso che lacera il farisaico velo involucro ipocrita dell’anima emerso dal nulla della memoria è dolore che buca lo stomaco ricordare l’infamia degli uomini alleviare la falsa dimenticanza con alibi d’ignobile comodo oltre l’acciaio vagano anime perse in un girone lastricato d’odio arse nel fumo acre di camini accesi rinchiuse nel ventre della storia la memoria non ha cancelli

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Non sono Icaro …celava sotto la zimarra nera l’acciaio degli occhi, la signora e la bocca, ulcera menzognera socchiudeva al volgere dell’ora mellifluo il sorriso ammiccante nel gelido spirar di tramontana la vita era mercede in contante per saldar il conto alla puttana non era la mia ora, morì il nero l’ulcera tacque come d’incanto l’attesa accecò il suo pensiero la falce abbandonò lì accanto (usai ottima cera il sole non fu avverso sparì nella bestemmia la zimarra nera / di lei rimase il ghigno nell’aere disperso le ali regalarono una nuova primavera) …e fu un grande volo!

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Non svegliarmi del dolore che conosco parliamone domani oggi tienimi così, tra i seni come piccola cosa fasciata dall’amore come ninnolo dalla musica dolce sul petto del dolore che proverò parliamone adesso che hai occhi per vedere le lacrime che verranno come artigli rapaci ruberanno la via del cuore il dolore che non conosco mi attende all’angolo ma la vita ha perso tempo e non sono mai puntuale allora non parliamone oggi tienimi così, tra i seni non svegliarmi

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Sabbia e neve non ho memoria d’inverni sabbiosi ma la neve negli occhi graffia e lacrima come sangue bruciato nell’oblio dei tuoi/miei ricordi [a testa in giù nella rena, struzzi affogati nella neve] e testardo è il dolore nascosto accanto l’anima e il cuore attende estati nevose per sciogliersi tra lenzuola calde di luna piena tra sabbia e neve

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*Snake charmer (avanti, c’è posto) Una madre a Roma rinnega il bimbo appena nato affetto da una forma di possibile nanismo, rifiutandosi persino di vederlo. Credo che l’umanità intera abbia toccato il fondo, togliendo il tappo ad un verminaio senza fine. Non è il primo caso né sarà l’ultimo, ma stanotte non ho resistito. [fa strame di umanità, postriboli di coscienze, indifferenza e avidità scivolano come pioggia acida che non scalfisce la corazza dell’egoismo] -ouverture- neri pulcini rinnegati sparsi cocci uova reiette madri aliene da ricordi ventri ingordi in attesa di altro seme …e poi veleno… crotali immondi avviluppati alle note del bausari echi di morte seni inutili

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intonano Calcutta forever …e poi veleno… tragico carrozzone di guitti continua la vita traballa conscio dell’orrido comunque curva …cade ma incanta… *incantatore di serpenti

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Spine della memoria, per non dimenticare appese al recinto di filo spinato brandelli di carne come ombre dimenticate da Dio reclamano un perché nel campo carri bestiame vomitano nella polvere nuove vittime sacrificali da incenerire sull’ara dell’odio salgono al cielo disperdendosi nell’acre odore di fumo urla e simulacri di parole come bestemmie di dolore canti di bimbi che perforano le coscienze dei giusti e sguardi spenti di vecchi che recitano rassegnazione da stracci e mucchietti d’ossa rannicchiati tra la polvere s’alzano nenie alienanti di madri dai seni rinsecchiti mentre allattano straziate un fiore nato già morto con lacrime di un sangue odiato come la corona di Cristo Shoah, una spina nella coscienza degli uomini

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Tarsia [la mia vita è come una panchina in attesa di un’anima zingara eternamente indecisa pochi versi hanno dato raramente conforto a un legno errabondo in cerca di un porto] sole d’onice

gioiello che riflette intarsi d’oro fino nel blu della laguna

ruvida pomice cuore che non smette ma gioca a nascondino barando con la luna

potremmo allora

riposar lo sguardo che muore all’orizzonte tra mille e più parole

cielo non scolora nicchia, ma è in ritardo e l’anima dal monte non scende come suole

sposto cautamente

di un passo la panchina è ormai quasi trastullo sfogliar la margherita

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sole finalmente infiamma la mattina sul legno torno fanciullo da sempre è la mia vita

[nomade d’amore vago col mio fardello spesso a testa insù nei sogni ho volato rubando la poesia ne ho fatto un gioiello il suo antico legno di sole ho intarsiato]

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Tra bistro e ciglia quattro braccia ad abbracciare la mia/tua paura non erano forti i verdi rami d’intrecciate mani e nodose nocche sulla schiena a premere il fiato [l’azzurro tra bistro e ciglia] inesperti semi dispersi sul bistro color del ventre nel batter di ciglia negarono radici al solco assetato [la paura inaridì l’azzurro]

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A perdifiato, nel sogno [stanotte il tuo respiro è rimbombo aritmico del cuore sibilo acuto, un frinire di sguaiate cicale nel cervello] corri, le gambe sono involucri di gesso e il fiato che cola nel polmoni come piombo fuso incenerisce i pochi scampoli anarchici d’anima desiderosi di azzurri respiri che il vento Caino strozza in gola nudo, mentre cristalli di neve come aghi roventi trafiggono i tuoi occhi accanto a te scorrono veloci le immagini accelerate di un film che ironici e arroganti lazzi stanno interpretando in tua vece assisti, nonostante le vergogne malcelate e consapevole della tua nudità, come pubblico non pagante agli inutili sforzi dei tuoi piedi che immobili, inchiodati al passato sotto di te corrono, corrono… a perdifiato, nel sogno

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Ad occhi nudi anche stanotte il sonno ha inscenato la sua acida danza lacerando veli, baloccandosi con la mia spossatezza e lasciandomi vestito di nudi occhi ad accarezzare i miei sogni dormienti a me accanto, mentre aliene figure danzano sul vetro in frammenti colorati che ratti svaniscono in un vortice di mille flash e feriscono i miei occhi così i pensieri che ora inseguono il ritmo di un cuore amante del sonno bastardo e gli occhi rincorrono parole inespresse che veloci s’insinuano in logiche nicchie tutto è più chiaro, anche la falsa luna sorride laggiù nella teca del lampione saluto i sogni che rotolano nella calle, raccolgo i veli persi dal sonno dimentico abbraccio la notte in uno sterile amplesso …e dormo, ad occhi nudi…

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All’ Università della terza età Ti scrivo perché ormai so dire solo nome cognome e codice fiscale, le parole sono frecce avvelenate e le intendono solamente i sordi. Avevo un bouquet di rose per te è sfiorito senza parlare. Mi avevano detto: ditelo con i fiori. Ieri finalmente ho parlato, ho detto sì. Hanno chiamato l’autoambulanza era svenuta la commessa del negozio non aveva retto all’emozione. Ho chiesto a cenni un posto dove sedere non ho profferto parola, visti gli esiti. Mi hanno detto che qui non c’è il pack dove lasciare a svernare i vecchi loquaci. Mi avevano detto: ditelo con le mani. Prima o poi lo farò.

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Bianco Arcobaleno ti pare nulla… un colore assoluto,

una finestra sull’anima

dove intingere i colori, immagina -colori- un diario aperto… per pensieri colorati,

spazio infinito senza cornice

iridi spoglie da vestire, in libertà -e mani sapienti-

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“Buongiorno, come stai?” “Buongiorno, cara, come stai?” “Eh, la schiena…”-lamenti- Il lampo che attraversa i tuoi occhi vorrebbe declamare sofferenza, ma il sopracciglio inarcato rivela l’ironia delle tue parole nella recita, così il dolore si sgretola nel caffè. “Anch’io, sai…” –sussurro- Un attimo, due sorrisi, e il singhiozzo improvviso di una risata malcelata si trasforma in goccioline di caffè a macchiare il pigiama da carcerato. Mentre ti bacio. Così scrivo l’amore che vivo.

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Calce bianca e zinco tempera è grezza materia,

aliene visioni polveri e gesso

e mani artigiane è bianco su bianco,

inno alla follia oltre la ragione

nelle forme coatte è assoluta disciplina,

la geometria dispensatrice

nei brividi sottesi è incontro d’anime

di virginali palpitazioni

nel chiarore lunare

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Ciondola le gambe, la luna puttana Ciondola la luna le gambe diafane sul colmo di una vasca di pece greca. Quaranta le gasse d’amante sulla fune calata di soppiatto per tornare a casa fuggo straziando di pelle il canapo lascerò sul cuscino tracce d’amore.

i sogni sanno essere cattivi nelle notti orbe di stelle

Dondola ironico il lume sul banco è pane azzimo il conforto dell’anima. Perso a rincorrere improbabili gemme, affamato d’amore nel vuoto pneumatico di un’apnea notturna, annaspo al colmo nella vasca lorda di nero mentre ti cerco. Ciondola le gambe, la luna puttana.

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Di grembiuli bianchi, aghi e occhi azzurri non ricordo il nome di quel grembiule bianco, sorridente non ricordo nemmeno se mai l’ho visto, davvero -arcani veli confusi alla vista- quei vetri su croci d’acciaio insulti di giallo veleno, tra gli aghi nell’azzurro meravigli gli occhi ricordando il nome, Anna* -forse- * 2005 - Day Hospital Clinica Ematologica di Padova

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…e sono ancora qui …e poi nella notte della ragione ho accarezzato sogni bastardi cavaliere in arme ho combattuto mulini a vento con parole inermi [cento secondi di furiose erinni hanno travolto anni di senno] negli angoli sperduti dell’anima ho raccattato i loro miseri resti crisalidi abortite, riarse nell’ira hanno perduto l’antica sicumera quanto sapeva di gesso quell’odio bevuto alla fonte della vendetta Don Chisciotte dai versi pugnaci ora disarcionato dal verbo letale …e sono ancora qui Pierrot sospeso in una bolla precaria d’onirico fiato

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Figlio di puttana sai cara potrebbe essere veleno quel verde lucore

[la goccia corrode]

voglia d’assenzio che sorride sulle tue labbra

[è onirico amore]

è falso orgasmo quel vibrare di verde cicuta

[che mente ai seni]

ma il tuo respiro danza ancora il ritmo del sogno… …figlio di puttana!

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Ho ritrovato il mio palcoscenico [siamo entrati a spettacolo iniziato buio in sala, sul teatrino allestito Pulcinella schioccava le mani di legno ritmando in falsetto “Core Ingrato” due mascherine là, in prima fila, applaudivano la buffa scenetta] Oggi i miei nipotini mi hanno portato a vedere lo spettacolo dei burattini. Seduto quattro file più indietro, il mento appoggiato alle mani, nel buio della sala ho inumidito il velluto della poltroncina. Dio quanto tempo! E quanto mi sono mancati questi autentici interpreti della vita! Nel loro raccontare il mondo mi sono ritrovato, mi sono rivisto. Io, burattino dagli arti di legno con il cuore ridipinto di rosso, animato da un burattinaio monco ho interpretato tragedia e farsa su un palcoscenico sbagliato. Non ho divertito tutti, ma ho fatto del mio meglio.

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I colori di San Valentino Per San Valentino ti vorrei vestita di rosso un paio di scarpe lustre, leggere, ballerine come negli anni sessanta, la gonna a plissé e tra i capelli un cerchietto d’oro vanitoso. Fasciato come allora nei jeans blu indigo, agile ballerino dai neri capelli impomatati catturavo la luce della luna che ti donava riflessi multicolori nei giochi delle ciglia. Allacciati nello slow a misura di piastrella riempivamo gli occhi del colore della notte sulla terrazza il mare dipingeva coi pastelli il rosso delle guance che stingeva il vestito. [Ora nel baule dei ricordi la gonna a plissé e i jeans indigo stingono lentamente i colori, ma tra scarpe lustre, leggere e brillantina questa sera ho ritrovato l’antica tavolozza.]

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I conti alla fine tornano sempre Vorrei non saper far di conto per non misurare i passi mancanti. Quattro gambe su e giù ogni giorno e una croce a matita sul calendario. [basta un giorno di anno bisestile per mandare i piedi in confusione] Avrei fatto volentieri a meno delle dita, per non vederle smarrite nel rincorrere cifre improbabili dimentiche degli anni nelle nocche. Ho deciso porterò gli zoccoli, le orecchie conteranno i rintocchi. Sarà il tempo a tirare le somme.

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Lo zoccolo di legno col cinturino di cuoio rosso I balconi con le ringhiere di ferro ormai corroso si affacciavano sul cortile come protesi dentarie neglette dai dentisti, ma convenzionate all’Inam. L’immancabile gatto, signore delle cantine, orbo da un occhio, e dal mantello virgineo che tradiva scelleratezza, dominava le afose notti d’Agosto. [la notte suonò un solo tocco quando il lamento mutò in richiamo di felinei ormoni entusiastici, fu strazio lacerante e il sonno fuggì atterrito] La fuga e l’inseguimento risuonarono nella corte, fra moccoli e miagolii lo zoccolo si levò nell’aere planando fragoroso su damigiane di rubizzo vino. Non venne mai recuperato tra le vitree schegge, il battere ritmico del piede orbo di legno gemello fu compagno ai tocchi che ricondussero al sonno. Da allora il vino rosso mi dà acidità di stomaco…

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Mandorle amare È come se lo avessi sempre saputo -quel sapore rancido di mandorle amare retro gusto d’afrore di violenza bestiale- ritorna puntuale a bruciarmi la gola nei racconti di vita raccolti per le strade laddove il mandorlo vorrebbe essere fiore. È come se d’improvviso la notte celasse con pesanti coltri di Damasco gli orrori e tu, Perla d’Oriente ormai senza lucore stuprata, inaridita, dal ventre come pietra negherai il fiore di una nuova primavera. È amara impotenza che avvelena la vita.

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Nelle mani (in punta di dita) racconto a puntate frasi sbeccate sull’orlo, le labbra

le anche distanti, solo a momenti

e intese acquietate rincorrono capoversi, ansiose -in punta di dita, le pieghe- squaderno le pagine di questo amore rilegato, col refe

ora sigillano dorsi intarsiati

leggo la luna calante negli occhi giunta la fine, chiudo -nelle mani, gocce d’amore-

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Nelle mani (in punta di lingua) nel sottobosco, poi

lamponi, mirtilli dolcezze rapite

tra labbra incatenate e batuffoli di cielo

occhieggiano tra il verde

riflessi d’azzurro, noi - in punta di lingua la tavolozza- elfi giganti di passo lieve

tracciano scie sulla magica tela

a ruzzoloni nella controra -nelle mani coppe di fragola-

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Nelle mani (in punta di matita) pantaloni alla coscia calzini bianchi della prima comunione una lametta da barba e la matita tra le dita -gli occhi di mio padre- nelle mani in punta il dardo di grafite fierezza artigiana dei quaderni tra aste e fantasmi di lettere la mia vita il legno appuntito d’anima nera la lametta incartata nella stagnola e l’orgoglio nel taschino -negli occhi mio padre-

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Nelle mani (in punta di piedi) dietro il rovo le more

là sul greto riflesso lunare

a mezzogiorno, sul seno -in punta di piedi, le ciglia- quadretti scozzesi

rosso e blu cotone appeso

sui sassi ad asciugare, il giorno -nelle mani, il sorriso-

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Nero Notturno Bolero il cielo stanotte è un colabrodo di plastica nera insù rovesciato e mille fiammelle pretenziose facendo capolino dai forellini reclamano vanitosa attenzione esibendosi in una danza antica

[in quell’azzardato bolero ogni passo era al limite di un’incosciente slalom tra i buchi della plastica che, nera cappa, illudeva mentendosi falso gioiello]

ho ululato fuori tempo alla luna il mio sonno e scorticata la pelle sulle spine di un sogno bastardo sono crollato spegnendo i lumini tra le piume di un cuscino ribelle sgorbi di nero caffè sullo spartito

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Oggi ha nevicato…(ancora mi mancate) Oggi ha nevicato. Poco. Il molo ha un aspetto cadaverico, algida rappresentazione di una pièce d’inverno inoltrato, atteso e incattivito. La laguna, come lastra di vetro incrinato, spezzetta i riflessi e i rari gabbiani in volo paiono frammenti di farfalle dislessiche in cerca di materno riparo, di un rifugio. Nel grigio che incombe e tutto soffoca con la sua indole indifferente e apatica, ogni rumore pare ovattato, lontano. Oggi ha nevicato. Poco. Le strade deserte rimandano echi e suoni secchi, come di vecchie canne spezzate da raffiche di bora inclemente. Anche i pensieri paiono grigi mentre prendono forma pigramente dentro di me. Poi esplodono. A fatica trattengo un gemito. E’ strano come, quando si pensa a chi ha terminato il suo viaggio, lo si immagini sempre solo lì, in una stazione, in attesa dell’arrivo di tutti o di nessuno, chissà.

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Oggi ha nevicato. Tanto. In quella stazione disadorna, al termine di quell’unico binario imbiancato vi ho visti, fianco a fianco, insieme come una volta, senza bagagli, liberi dalle inutili some della vita. Stretti stretti, col calore dei sorrisi negli occhi scaldavate serenamente l’attesa di un treno, in quella stazione senza tempo né orario. Quel treno non è ancora partito e il freddo che gela le ossa non è bora che frusta la laguna, bensì desiderio mai sopito del vostro calore . Oggi ha nevicato. Troppo.

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Onirico bianco del bianco parlai a tre sepolcri imbiancati rinchiusi tra mura di sorrisi compiacenti del bianco portai perché ogni mattone rivelasse l’ipocrisia della loro connivenza di bianco tinsero le mura di Gerico due farisei orbi entrambi d’anima mentirono il colore pel bianco d’orbite l’ultimo cieco non sentì mura prive di vita divennero sepolcri eterni

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Sarà tristezza? È un velo, una trina aerea. Cesello d’Aracne traspare negli occhi e trattiene la rugiada dell’anima. Pensieri si accavallano, si rincorrono. Il cassetto inghiotte i pochi attrezzi del mestiere di vivere rimastimi. [un sorriso esagerato dipinto nel rosso di labbra esangui, una risata chioccia e improbabile rubata allo specchio stamani, e un’anima da pagliaccio inquieto alla ricerca di arcobaleni materni] Tutto sparito, fagocitato dal canterano. Una stilla di rugiada dondola indecisa se aprirsi a cateratta o rinsecchire tra le ciglia nel rimpianto futuro. L’eco argentina che risuona dappresso strappa la tela e la tristezza svanisce. Sarà tristezza…?

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Senza titolo “Ciao.” -Ciao.- “Posso sedermi accanto a te allora…?” -Se proprio vuoi..- “Vedi, ho preparato anche la valigia…” -Ah, sì…?- “Sì, ci ho messo dentro di tutto, guarda qui: dodici tappi di bottigliette colorati… pensa c’è anche quello del Chinotto..rarissimo…” -Chinotto? Cos’è…?- “È una bibita dolce, lo sai? Beh, comunque ho anche un sacchetto di biglie di vetro colorate bellissime, il biglione ne vale 20… vuoi fare uno scambio?” -Uno scambio? E con cosa…?- “Io ti do il biglione e t u mi dai il tuo naso da pagliaccio…vuoi?” -Non se ne parla nemmeno!- “Beh ho messo dentro anche dei fumetti del Piccolo John, di Tex Willer,…ti piacciono i fumetti…?” -Sì, ma non quella roba lì…- “Pensa ho anche una fionda, ne ho prese di lucertole…ero un po’ malandrino da piccolo…” -Malandrino?...Che vuol dire..?- “Ehm…birbantello, indisciplinato…” -Ah…?!- “Allora non vuoi fare scambio, non ti piace niente di quello che ho?” -No…cos’è quel pezzo di carta lì in fondo? Sembra la lista della spesa..- “No, è una poesia…” -Poesia? E che roba è?...Mica vorrai scambiarla col mio naso da pagliaccio…- “No, a dire la verità è rimasta lì dentro dall’ultimo viaggio che ho fatto…”

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-Va beh, non hai altro? Che fai qui allora?- “Non ti sono simpatico, vero?” -No, sei vecchio e i vecchi quando vogliono far ridere fanno piangere.- “Ho capito…È già passato il treno?” -No, e non passerà mai di qui!- “E perché?” -Perché è un binario morto…- “E allora tu che ci fai qui? I binari morti sono per i vecchi…” -Appunto, ciaoooo….!-

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Ti direi… ti direi… guardandoti, sorridi… poi mi sono accorto che già lo avevi negli occhi e allora mi sono perso inseguendo il tuo sguardo [sì, forse i pagliacci hanno il cuore dipinto e negli occhi il sorriso ma l’anima quella no, quella non tradisce, lassù imbroncia il cielo e gonfia le nuvole] ti direi… c’è l’azzurro nascosto tra quelle ciglia abbassate, sai, la tristezza non esiste, è invenzione di uomini che non sanno più giocare Ti direi…fammi posto…

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Tic Tac Volevo fare l’orologiaio, da piccolo. Riempivo fogli a quadretti di minuziosi particolari. Aurei ingranaggi filigranati, bilancieri dispensatori d’imparziali briciole di tempo, ancorette guardiane. -tic tac- Il tempo annichilì velocemente tra bilancieri, ruote dentate, bariletti e rubini, piccole gocce di sangue incastonate che scandiscono la vita. La pazienza rimane, avvitata a piccole mani. Inconsueta dote di bimbo che calza la fretta di vivere e rincorre lancette dispettose andando controcorrente.

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-tic tac- S’è fatto tardi, c’è vento. Ho perso i fogli a quadretti e i rubini hanno macchiato briciole di tempo venduto. Incastrato tra le ruote della vita il bilanciere pulsa asincrono. Volevo fare l’orologiaio, da piccolo. Pazienza.

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Tienimi così, stretto tienimi così, stretto tra il respiro dell’anima e le labbra lascia che io ascolti ancora quella parola che ogni volta si rinnova in un patto inviolabile tienimi così, stretto tra il sorriso delle mani e le braccia come nella morsa di un’abile artigiano che crea da materia grezza un cesello sopraffino tienimi così, stretto tra il vermiglio del cuore e i seni lascia che io attraversi la valle del desiderio e scenda a placarne l’arsura alla fonte della vita tienimi così, stretto tra le parentesi di questo racconto lascia che chiuda alle mie spalle un mondo che ha lacerato gli spazi aumentando le distanze tienimi così

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Un vespaio di sogni coatti ho un grappolo di sogni incrostato nell’anima

anni insonni d’attese deluse

celle bugiarde che legano ore d’amore inespresso

infidi vespai privi di mieli

desideri abortiti nel sonno, sospiri piagati dal tempo

appesi al forse del domani

come in una pira l’amore brucerà il grumo inaridito

senza il veleno di notti mendaci

e i sogni finalmente liberi da arcigne vespe guardiane ..torneranno a volare…

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…e andavo come una Locomotiva* “Non so che viso avesse, neppure come si chiamava, Con che voce parlasse, con quale voce poi cantava…” Sul tavolo, dalla tovaglia di plastica antica a quadri rossi e bianchi, un cartoccio di fave pecorino e salame ad accompagnar il vino. La chitarra sulla panca attendeva voci roche dal troppo bere rosso di madre sconosciuta. Negli occhi acquosi e persi del compagno, seduto davanti a me, là nella cooperativa, il racconto aveva il sibilo del mantice stanco per tutte le speranze accese e andate in fumo e il canto strideva come acciaio sulle rotaie. “Ma nella fantasia ho l'immagine sua: Gli eroi son tutti giovani e belli…” Due tocchi del campanile della chiesa accanto erano il mio metronomo che scandiva il tempo ancora due accordi, un goccio di rosso veleno e il commiato fu un bofonchiar “ciao compagno” Ma l’Alfa era dura a morire quella sera e l’invito non giunse inaspettato per l’ultimo grappino. Non so come arrivai ai piedi del nostro letto e, mentre la luce della luna filtrando tra gli scuri disegnava sul tuo corpo un desiderio mai sopito, abbandonai chitarra e sonno e il canto fu perfetto. “Ma intanto corre, corre, corre la locomotiva E sibila il vapore e sembra quasi cosa viva…” *(grazie Guccini, ora come allora)

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19 Marzo (a mio padre) -sono sempre in ritardo, lo so- Mi avresti svegliato alle quattro del mattino “le canne sono pronte, andiamo è già tardi” Dopo la prima sigaretta, amara più del caffè, di corsa sull’autobus gli occhi pieni di sonno. In quel piccolo bar di Pavia sempre aperto l’ultimo caffè “corretto perché fuori è freddo” Trascinando gli stivali oltre il Ponte Nuovo il verderame dello stagno ci avrebbe salutato. Oggi il ricordo punge, è un amo conficcato e l’acqua che mi circonda non lava il dolore. Le canne sono pronte, aspettami.

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Ciao Lucio, raccontami ho tante parole, ma la lingua attonita rifiuta potrei scriverle, ma le dita ammanettate negano piange il mare così piccolo per accoglierti, incredulo ma tu sai quant’è profondo, raccontami ciao Lucio *dedicata a Lucio Dalla

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Fiammiferi e frammenti [accantono ricordi per il viaggio] Nel veliero di fiammiferi che ho costruito per te, accanto ai barili stipati di neve e ragnatele di rime, stiverò quei frammenti d’inutili e mute malinconie. -schegge di sogni infranti- Ne farò tessere di mosaico, splendida tarsia di ricordi incorniciata di piccoli legni che accenderanno il cuore. [salperemo prima che il sole se ne avveda]

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Hypnosis [pillole di paura ipnosi di sonno che sopravviene]

metà… soldatino di piombo alla guerra senza gambe

metà… guerriero di terracotta e l’anima in fil di ferro

dormo? raccolgo cocci di me sparsi sul cuscino -là-

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Il compagno di viaggio La cartella piena di sogni sorrisi, giochi e ghiribizzi rubati a notti di fantastiche lune pittati, raccolti e confezionati con la cura di un abile artigiano, dondola al ritmo del pendolino e sobbalza al fischio improvviso. aveva la mia età o forse barava tra le rughe due spilli bucavano l’anima e il sorriso che si apriva intermittente con le luci della galleria non bastava a celare l’ironia dello sguardo Avrei venduto volentieri i miei sogni allo sconosciuto compagno di viaggio, ma alla fine del tunnel trovai solo un biglietto di ritorno e uno specchio. Ho riempito di nuovo la cartella.

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Nell’immediatezza che coglie Non fu subitaneo sentore di parole come primizie, ma reiterati tentativi di un cielo affatto diverso. Non fu l’immediato calore che sorprende gli occhi, le vene e il cuore. Furono versi appena colsi l’inizio della parola fine. Immediatamente.

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Ottomarzo tra le voci Scrivere oggi di mimose e auguri -poche rime in cerca di consensi- è ipocrita ricerca di benevolenza per celare nel sorriso la vergogna. Scrivere di fiori, simboli irranciditi non serve a medicare le sofferenze se non t’accorgi che metà del cielo lacrima sangue e non son tramonti. -Basta!- Le voci siano allora questa parola urlata contro il muro dell’ignavia di chi è indifferente alla violenza, nell’ultima spiaggia della ragione. Ottomarzo, la mia voce. Anche.

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Per me Per me che ho atteso la vita all’angolo di vie sconosciute sigaretta spenta e calzoni cuciti a pelle senza tasche. Che ho azzannato la strada con i denti dell’incoscienza bevendo il fumo pungente della speranza che moriva. Che ho cantato lune asprigne nelle notti orfane d’amore mentre aspettavi sognando mari promessi oltre la nebbia. Per me sono questi versi scritti su un diario mai aperto. Li affido a te.

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Quattro mani di bianco gesso, spago e cotone nuvole di luce d’acrilico biaccate candide lenzuola tese come vele spiegate dai riflessi boreali per rinnovare l’azzurro dei vecchi cieli bastano quattro mani -di bianco-

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Senza Potrei tentare di misurare il vuoto in cui sprofonda il mio respiro o provare a contare le farfalle che frusciano nello stomaco o ancora lasciare che l’apatia rincalzi le mie coperte alla sera, mentre la mano orfana cerca inutilmente l’appiglio consueto. Potrei? Il solo pensiero blocca il respiro, annebbia la vista e ottunde la ragione. È un esercizio crudele, masochistico. Perché immaginare un simile calvario vorrebbe dire esistere, non vivere. E non ha senso vivere nel vuoto di te. Potrei senza di te?

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Sotto la parola, niente. Oggi nevicano inquietudini se alzo lo sguardo al cielo, lassù un punto e virgola, una parentesi fugge via. L’incipit di una poesia d’amore che non ho mai scritto, migra in un’apatia sospesa tra nembi minacciosi. La parola che decide il cammino è la morale della favola, è la sintesi di giorni di volo, di ali spezzate al tramonto. Senza orpelli, nuda alla fine recita la poesia senza voce.

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Specchi deformanti nei riflessi delle vetrine gli occhi s’interrogano

sagome lontane d’ironico disappunto

tra schegge di luce bestemmiano commenti il rosario sgrana i ricordi -tacche sulle costole dell’anima-

cucite con refe di seta bugiarda

urlano ferite mai sanate nel gioco di specchi del tempo

siamo noi?

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Su e giù per le scale Vieni, appoggiati al mio braccio i gradini sono trappole sui nostri saliscendi, il tempo nasconde tra le pieghe il veleno dei sogni, il fiato è rimasto appeso a ieri.

[non mordi più i suoi fianchi lupo affamato, l’amore ormai è un flashback rubato agli anni]

Vieni, appoggiati al mio sorriso.

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Tracce di cinica albagia -mondo- ammantato da falso

velario di realismo

fagociti ogni verità l’acido delle parole

rode l’amore come ossa

reiette da sciacalli

[invano parlano gl’occhi di fame, ma vomita parole la cinica albagia]

cogli con una smorfia

nel disgusto pesti la vita

come merda di cane -tracce rimangono-

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Tsunami di cicale [una marea di cicale nella testa -il loro canto ottunde la mente- come tsunami travolge i giorni] Quale sole è sorto improvviso quale estate riarsa ha liberato nella testa il sibilo incessante di milioni d’insetti canterini? Ho dipinto oceani sulle pareti da giorni il frinire delle cicale è l’urlo che dimora nello spazio di un palmo tra follia e ragione. Nell’angoscia di notti stralunate il fruscio delle onde pare essere sola alternativa a chimiche oasi e il respiro è sincronia del mare.

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Unbreakable Non temere. Ho polsi fragili e mani piccole dita aduse a voli immaginari nell’aria, come frullo d’ali di falene al volger dell’occaso. Non si spezzeranno gli anelli della catena nonostante la ruggine degli anni piovosi, le aritmie di un cuore spaurito. È incatenato all’anima questo amore, è indistruttibile.

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Vademecum del buon cinico

1) salite su un balcone di nuvole e da posizione privilegiata guardate con distacco il formicaio impazzito che si agita senza costrutto apparente

2) carta e penna o un megafono un buon dizionario di velenose parole più una dose massiccia di arroganza e disprezzo malcelato dell’ umanità Non vi manca nulla, verrete osannati come indiscussi vati del realismo 2.0, sarete i guru del nuovo umanesimo incensati e amati dal Grande Fratello.

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Verso sera Verso sera, quando la voce si vela della ragnatela degli anni e il tono si fa sussurro e il respiro emozione, vorrei leggerti una poesia. Verso sera, quando le ragnatele paiono ceselli dorati e i riflessi illudono le voci del mondo, in attesa dell’urlo della notte sorridono mantidi beghine. Verso sera il sussurro è per te.

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Zo de cale Non è uno zefiro gentile quello che preme le spalle stasera e affretta i passi sotto i portici. Racconta l’antica storia del mare sui volti terracotta dei pescatori, sibila tra nasse stese ad asciugare. [non mettermi fretta, ho capito torno a casa, ecco, giro l’angolo] No, non è uno zefiro gentile. Mentre la calle muore nel canale folate irose bucano come spine. Il vento ha accartocciato la notte dai lembi briciole di stelle fuggono e il cielo pare avere il morbillo. [gocce di luce giocano a gibigiana sulla carta argentata della laguna] Zo de cale, il vento è magia. *(giù per la calle)

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Altri la chiamano Non sono poeta. Scrivo. Altri mi chiamano, hanno chiamato.

non ho scelto il mio nome

Tu, potevi scegliere, decidere il mio nome, farne parte.

ora non so più come mi chiami

Nonostante, scriverò ancora di te, anche se ora so che l’eco è aliena al tuo mondo. E non mi ripetere

la chiamo poesia, l’hai scritta tu

non mi lusinga. La uccidi.

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Blue jeans, rock’n’ roll e strelitzie [quelle strelitzie come un cancello parevano uccelli in procinto di volo, l’armonia dei colori era un insulto a un cielo insensibile alla bellezza] Guardiani di un cielo sprangato fiori del paradiso, onirici piumati, mi condussero là, dove l’amore di un giovane smaniava arrivare. Appassirono i fiori, morì la poesia forse fu solo incanto, confusione, perso nella bellezza delle strelitzie lasciai i jeans appesi al cancello. Poi fu rock’n’roll tutta la vita…

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Chioggia, esagerata femmina ostenti la tua bellezza come una poesia sfacciata aspra pungi col salmastro delle reti stese sui bragozzi in sonno impudica ammicchi tra i gabbiani rubando il verde alla laguna forte sfidi il mare nell’attesa senza lacrimar i tuoi uomini schietta dichiari il tuo amore per la vita senza mezze misure …donna!

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Dolceamaro Dolceamaro è questo tempo che vorrebbe da te saggezza, ma tu sei oltre, nel riverbero lunare che incanta e scioglie le asprezze di anni ghiacciati. Nella fornace delle promesse cuoce a fuoco lento la canizie soma onerosa per un mondo che inganna l’età cinicamente mistificando buone intenzioni e barattando il fiele col vento. Così t’offrono giorni fotocopia, bianco/nero, chiazze di toner, farisaiche morali pret-à-porter squallidi bis d’avanspettacolo.

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Flamingo Bar Le ombre allungano i fiori stampati sulle tovaglie, il brusio accaldato scioglie il ghiaccio negli aperitivi. La professoressa interroga le amiche, e il ragioniere assorto annota colombi persi tra le noccioline. Tre vecchi leggono i capitoli della vita contando ad alta voce le rughe sui loro visi. Il vociare dei tacchi sul selciato del Corso è consueto commento allo “struscio” serale, mentre i rintocchi delle campane inseguono il morire del sole nella laguna. L’incanto è un attimo, la bolla di silenzio ondeggia sospesa, poi s’infrange sul muro di voci, richiami, risate. Lo scampanellio delle biciclette, la brezza del mare, scompigliano, accendono i toni.

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…e le nostre parole rimbalzano mute sui cristalli aranciati nell’imbrunire di un pomeriggio al Flamingo Bar.

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Lische di pesce in un affresco Stretto nella mano il coltello è balenio una lama di sole

nella calle, le nasse stese

nei gesti antichi del pescatore è fatica quotidiana.

dal poggiolo, a ciglia socchiuse

Vola il geranio laggiù macchia di fucsia l’argento delle squame

dipinge il sole, al tramonto

e l’ombra di un gatto e lame di luce e lische di pesce.

un affresco, fino a domani

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Non eri un peso Eri leggero quando spingevo nella carrozzina i tuoi cinquant’anni lungo le corsie. Non eri un peso quando ti aggrappavi alle mie spalle e scordavi il letto per pochi momenti. Non eri un peso, quando trattenevo il tuo desiderio di prendere il volo assieme alle rondini. Poi, fu macigno la vita, la tua assenza, papà.

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Non fumo… più, grazie …una sigaretta? [una briciola di tabacco e una lettera d’amore spiegazzata nella tasca dei pantaloni della festa]

-perché?- La mano si distrae sulla tastiera, ricordi la inseguono, affiorano.

-perché?- Eppure vivo il presente, il cuore al domani, le spalle a ieri. Mentendo spudoratamente soccorro l’anima in ambasce mistificando risposte plausibili. Poi, l’offerta di una sigaretta… […quella lettera d’amore mai spedita ingiallita in una presa di tabacco…] Non fumo più, grazie.

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Ombre cinesi All’alba o al tramonto i raggi sono egualmente obliqui, le ombre tremolano incerte. Nell’amore il passo del tempo ha lo stesso cauto procedere, la stessa paura della falena. È forse timida consapevolezza o pudore di specchi indiscreti? L’alba o il tramonto della vita getta ombre gemelle sul cuscino, è illusione, panacea sorridente, nasci e muori senza accorgertene. Ombre cinesi, come in amore.

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Overbooking quando verrà l’ora se l’assenza sarà vento nelle tue mani e piombo i tuoi piedi

non sarà facile partire insieme

non cercarmi il silenzio mentirà “non c’era posto accanto al finestrino”

sarò dentro di te

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Piramidelirio [nel sottosopra di foglie arrugginite crocchianti come chiacchiere di carnevale stagioni pazienti, ingegnose formiche, hanno impilato grigie pietre vulcaniche] Riposo. Lo sguardo attraversa il sudario, occhi atterriti rincorrono fiammelle forano il buio, invocano luce. Immobile. Rovisto pensieri sepolti da foglie, scricchiolii alterano l’incedere ordinato di scarabei dorati. Come Faraone. Attendo il crollo delle stagioni in un divenire senza tempo sospeso tra il sogno e l’urlo dell’incubo. Nella piramide. Con afone parole bestemmio la morte l’eco claustrofobico lacera il velo come dardo blasfemo rivolto al cielo. Deliro.

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Quattro braccia di mare Attesa dietro la porta la vita è nell’altra stanza.

dove ho messo le chiavi?

-conosco queste mura-

laggiù, nel fondo, dopo la paura

Quattro braccia di mare e l’apnea si scioglie al mattino.

risalgo

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Respiri inarcati Scivola la mano, procede sicura ricorda i percorsi, rispetta le soste, se ora paziente indugia tra i seni, frenetica supera le curve dei fianchi. Conosco le regole di questo gioco che inganno ogni volta con il sorriso mentre negli occhi leggo l’assenso le reni inarcate accolgono l’approdo. Prendere il largo è respiro del mare, di nuovo la luna farà il suo dovere e l’alta marea comanderà le danze. …ma il desiderio rimane ancora ingabbiato tra respiri inarcati mentre pareti spoglie di cornici attendono nuovi giochi d’ombra…

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Se il piatto piange, la sporta non ride Amara ironia che m’assale alla finestra quando vedo passeggiare avvinghiati sprezzanti maestri e deliranti parolai giullari stentorei di farisaiche panacee, mezzi pugni chiusi seguaci di Popper. Forza, che il filetto scarseggia e l’ultimo ipod è introvabile! Metto in stand-by la finestra, paletti d’acciaio alle imposte, indosso jeans dagli occhi a mandorla color blu globalizzato esco calzando scarpe gommate di bestemmia ecologica. Passo infastidito tra una selva di mani tese color mattone le supero, sorridendo a mezza bocca bugie invereconde. La dignità scarseggia sui banchi del supermercato della vita non basta la pomice per togliere le incrostazioni del passato. Ho comprato una boccata d’illusoria libertà razionata dal calendario della sopravvivenza, torno alla postazione lampeggiante di lumino rosso, riapro la finestra , vomito. Il Carro de’ Tespi è ancora lì, la tragica farsa continua. Sul palco il piatto piange, ma la sporta ride.

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Solitudine, sottovoce È gelida paura che sale dal ventre, si aggrappa allo sterno e bussa al cuore poi, precipita nell’anima.

“c’era una volta un piccolo naviglio…”

Nenia, filastrocca, ancora soccorri la notte quando gli occhi scalano pareti in silenzio e la solitudine del buio ha il volto e la dimensione di un ricordo, di un’assenza.

[sottovoce]

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Vieni, ti porto via [innaffio le rose con acqua di mare, colorati anemoni spinosi come ricci che bucano il cuore] -vieni- Ancora ti trattiene il sospiro di primavera? Non temere, c’è bonaccia. Il vento spaura al tramonto vedrai sarà lieve il viaggio, ti cullerò sino all’approdo. Profuma di mare -la rosa- sul tuo cuscino, stasera. Vieni, ti porto via.

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Apogeo Che ci faccio io, qui? [la sensazione di essere sceso a una fermata sbagliata, mentre il treno si allontana, mi coglie bagagli in mano] Luna zingara che disconosci e nascondi l’altra faccia, mostrando solo una pallida imitazione di te stessa. Ciclicamente illumini l’arrivo in stazioni diverse e saluti treni in fuga sullo stesso binario. Che ci faccio io, qui? Ciondolo, eterno bambino, tra balocchi persi nel tempo e un tempo che non si balocca. Forse è solo il punto più alto del mio roteare sbarellato intorno alla vita, ma nel frattempo mi allontano…

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Attimi bruciati intorno al falò Scendeva lenta. Una nuvola di polvere bianca inargentava il verde della laguna. Acre l’odore che l’accompagnava mentre tingevo i polpastrelli. Cenere? Il tuono sopravanzò il lampo quando sopravvenne la ragione. Attimi di vita bruciati danzando intorno al falò delle illusioni. L’urlo non sortì, non ebbe voce, rimase così, appeso al dolore come lisca conficcata in gola straziando nel silenzio l’anima. Compresi l’assenza della voce nella cenere di quegli attimi riarsi, il falò era spento da tempo ed io non me n’ero mai accorto. Scendeva lenta. Il mare l’ha inghiottita.

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Auguri senza tempo

è tempo, festeggerò

oggi l’esser madre della mia compagna, atteso che i figli ne abbiano memoria e raccontino ai cuccioli sparsi per la casa

la vita nonostante

nelle feste e nei sorrisi incellofanati di fiori, nei baci e le promesse, umide intese tra le ciglia, nei cuori caramellati offerti a piene mani,

vi sia ipocrisia

di chi specula e uccide i sentimenti vendendo l’amore nei supermercati mentre la tv infiocchetta la vita come scatola di boeri senza premio

e dolore nel ricordo

di te, madre, che il male non aveva alfine piegato ma nel delirio lucido e un sorriso appena acceso mentivi la promessa “tranquillo, torno presto”

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-sì, oggi più che mai ha senso l’attesa di quel momento-

auguri, mamma

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Così, la vita È solo un accidente, un inciampo di lettere che si sovrappongono, una dieresi inespressa oppure un’interiezione vagante nel periodo? Probabilmente è solo il malcelato preavviso di un tuono passeggero nel cielo impiombato. Pronto all’azzurro, dopo l’attimo di paura. Così.

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Dietro l’uscio ti attende Prima di togliere il chiavistello e contare le mandate della porta, assicurati di avere nel taschino l’orologio dell’ignavia incatenato. Pietas è lì. Prendi fiato, come ogni giorno i suoi occhi sono lì, dietro l’uscio. Ciglia basse sui gradini ti affretti, allontani la sua voce insistente. Non c’è scampo. Dietro l’angolo t’interroga di nuovo il suo sguardo riflesso nell’asfalto. Passi oltre, l’orologio ti è compagno, non è tempo di lavare la coscienza. Dietro l’uscio ti attende, sempre.

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Gelosie verde scuro Conosco questa casa. È appuntamento di ogni notte, quando il sogno prende forma e l’anima si acquieta vincendo la nausea e le muffe del passato.

Il portone di legno pesante, la ruggine delle cerniere sul muro di calce bianca, il verde scuro delle gelosie eternamente imbronciate e l’odore di antico respiro che assale a ogni ritorno.

Sì, conosco questa casa. Un paio di pantaloncini corti appesi al gancio arrugginito macchiano di senape antica il verde scuro delle gelosie. Aperte.

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Il circo dalla pista quadrata [inseguo da tempo una nuvola riottosa]

lassù con ali di carta vetrata sfilaccio cieli di bambagia tramuto cirri in sogni e assisto la vita tentare comici girotondi circensi mentre le iene ridono indifferenti nell’arroganza

trapezista è una pista quadrata dove linee segni e parole giocano ai quattro cantoni senza alcuna illusione di fermare quella pallina che rimbalza impazzita come sponde di un flipper

senza rete è un abbaglio un’immagine deformata dal cristallino dei fiocchi di neve colpa delle mie ali di carta vetrata quaggiù la vita gira in tondo rincorrendo la speranza in un falso circo senza spigoli

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Io di te Eh, sì. Nel refolo che spira stasera c’è la tenerezza dell’alito caldo che coccola il mio sonno. Di te. Ho il sorriso che mi accoglie quando tetragono all’ammainar delle vele in porto cerco di soppiatto tra le lenzuola il modo di tirare mattino senza chiudere le ciglia. Tu di me.

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Pag. 99 Era una bella storia. Surreale, ben scritta, avvincente. La mano sfogliava le pagine del libro bevendo avidamente le parole che scorrevano veloci sotto le sue dita. …pag. 99 La mano proseguì, il nulla l’attese. Tornò indietro, delusa. Rimase così, appesa alla pagina di una storia inconclusa, senza fine. Col tempo morì. Fu un bel funerale, ci fu un battimani. Quattro mani la seppellirono sotto un palmo di terra. Dopo 99 anni spuntò un fungo. Una manina. Gialla.

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Quando saprai il nome Quando saprai il nome ragazzo mio, ricordalo perché ti lascerò un piolo e il martello adatto conterai i passi, le gambe parranno di piombo, però avrai mano sicura e cuore per piantarlo. Io non potrei altrimenti, ho cammino incerto e poi la neve sui capelli è un fazzoletto bianco sembra resa all’ingiustizia, al fato maledetto ma il legno che ti lascio è figlio del tuo banco. Spaccagli il cuore allora o succhierà il sangue di questa nostra terra fino all’ultima goccia, e cancellerà l’azzurro del cielo dalla tua bocca impiccando il sole al cappio della connivenza. Quando saprai il nome, basterà un passo. *19 maggio 2012 Brindisi - Italia

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Quel che è rimasto (tra i forse e i perché) forse… è rimasta una briciola di cielo un coriandolo d’azzurro tra i denti di un sorriso vorace forse… un mattino tra le piaghe del mio altare di cartone troverò ceri accesi e non saranno mani giunte a chiederti perché… avrò bisogno di te allora fatti trovare

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Sale sulla coda in una confusione d’ali

È tornata

Ha il sorriso ironico e tagliente di chi conosce la strada e sa dove posare le valigie.

solo per una settimana,

Col piglio della padrona di casa ha occupato la sua stanza ritrovando il suo antico giaciglio.

poi si vedrà. In quella grande confusione d’ali mi affannai inutilmente allora, in realtà non mi alzai mai in volo. Mi aveva messo il sale sulla coda.

La paura.

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Sospetti d’azzurro Guardo l’isola attraverso le parole e ne leggo il mare come cartolina, grande magia nei racconti siciliani le oniriche invenzioni di Camilleri. Affacciato alla terrazza di un sogno contemplo un infinito leopardiano appeso a un filo d’orizzonte laggiù, dove illudono le punte dei minareti. Il disco infuocato trascina calante lembi d’azzurro cielo come vomeri che arano il cobalto di questo mare seminando riflessi dorati all’occaso. Le ombre si allungano sulle pagine, Vigata è nei sogni, distinguo la fine. Ti spedirò questa cartolina stanotte e avrai sospetti d’azzurro tra le dita. Di me solo il profumo delle zagare…

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Surreale paranoia euclidea [ho conservato i buchi delle ciambelle, verranno buoni per quelle riuscite male] Sono un segmento e mi sento un poligono, solo un inizio e una fine, ma è già qualcosa. Non circoscrivo un area, sto tra due punti perciò tutti mi considerano un irregolare. Mistificando potrei raffigurarmi angolo, a volte retto, a volte acuto, spesso ottuso. Del resto non riesco mai a quadrare i conti né a chiudere triangolazioni vantaggiose. Geometricamente anomalo, come una ciambella senza buco. Appunto.

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11 Giugno 1984, quella sera ho pianto Seduto, i gomiti poggiati sul tavolaccio gli occhi erano gonfi di parole spezzate. Accanto a compagni dello stesso viaggio piangevo l’idea che s’ammantava di nero. Era un sentimento, la speranza futura che su quel palco andava morendo così oggi rivedo le primavere vissute all’ombra di un vessillo creduto sincero. Il tempo mostrò le crepe di quelle certezze e il muro crollò travolgendo gli errori, delle macerie di un ideale tradito rimase il ricordo indelebile di un grande uomo. Oggi che il disincanto e il cinico profitto hanno disatteso qualsiasi domani, non rimpiango ciò che la storia condanna ma non rinnego quella tensione ideale. Quella sera ho pianto, Enrico.

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A cavalcioni su una sedia quanti di me ho incontrato persi tra gli spigoli della vita raccattati sull’acciottolato, disegnati in punta di matita la luna un piatto d’avanzi sporco riflesso nella pozza tremula d’acqua di rose peste nel mortaio di sampietrini. notti dolciastre a scendere e risalire e prendere al volo il carrozzone. ho raccontato. riempito pazzie di fogli. quanti di me? ho perso il conto lassù in equilibrio ciondolando sulla treccia di Fantasia puttana sospesa tra realtà e incoscienza. tirar tardi a cantar Contessa e fiabe tra pannolini e conti da saldare, recitar a soggetto pagava le cambiali. ma sì, per quel tanto che ho vissuto, digerito tra calzoni corti e jeans bugiardi passato in fretta, dannatamente in fretta. chissenefrega. cherosene nelle vene sull’assito sdrucciolo il copione è oramai monologo ansante scrivo l’incoerenza col sorriso nelle tasche.

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è l’ultimo atto, canuto istrione a cavalcioni su di una sedia ora puoi stonando Aznavour concludere così la commedia sipario.

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Emersion (surfacing frame by frame) gli occhi al rosso mentre rovescio l’orizzonte immerso nel blu abissale del ventre notturno inarco il respiro all’ingiù dimentico d’apnea nel mare amniotico che protegge il mio sonno così adagiato su di una sottile faglia di corallo anche stanotte ho respirato sogni in bollicine nella realtà gasata che ha inebriato i miei voli ho sospeso l’anima in un confortevole rifugio

annaspo il buio. [recidere il cordone. invertire la rotta. dimenticare deliri di comodo. tornare.]

emergo infine. [respiro con difficoltà. la realtà mi affoga. vorrei immergermi di nuovo. non posso.]

hai acceso la luce.

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Gichero e Passiflora, un amore di veleno [con passo sfrontato attraverso l’incerto tratturo e supero il dosso che divide il sogno dal surreale dai lati dell’onirico paesaggio il verde malato occhieggia con sguardo mefitico il mio incedere] -avrebbe potuto essere un grande amore, ma il corrucciarsi del terreno separava due anime così diverse parimenti velenose-

lui “Pan di Serpe” ingannevole tentatore

incredibile nel frutto color di zafferano acceso si ergeva turgido sul suo stelo variegato con foglie intrecciate ammiccava l’amplesso

lei “Fior di Fiele” perenne icona del fervore

splendido fiore della passione dominava altera mentre offriva al cielo i suoi stami, la corolla pareva blasfemo connubio di sacro e profano

nutrono nella bellezza il sottile veleno dell’amore

-non s’incontrarono mai ciascuno curò, concedendo il suo veleno alla sapienza antica, in giusta misura la cagionevolezza umana- [superato il dosso del sogno e della metafora nello stupore dell’inusuale e sfrontata bellezza colgo il monito che la natura cela ai superbi, l’amore è veleno nelle mani degli improvvidi]

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La tonaca nera e il crocefisso di maiolica [Non so perché per i vecchi ricordare sia il copione più facile da interpretare quando si è sollecitati sul proscenio, sull’assito, a recitare scampoli di vita. O forse è desiderio di mettere a nudo se stessi, come se le tessere del mosaico che compongono un’esistenza fossero scaglie di vergogna di cui liberarsi. Così apriamo i cassetti del canterano mettendo in fila parole, frasi, spezzoni di avvenimenti che raccontano di noi, della nostra vita, e quel faticoso respiro che passa attraverso i mantici del corpo non si ferma allo sterno, ma prende voce e corpo e sale su, sino a liberare l’anima dalla sua atavica ritrosia e timidezza.] Calzoni corti e gambe perennemente ferite dalle ire dei rovi in cui spesso m’infrattavo, uccidevo i noiosi pomeriggi periferici con la caccia alle lucertole e le interminabili partite a ping-pong nell’oratorio. Sedici anni sfrontati con la sfida negli occhi e l’ansia di crescere legata nei pantaloni. Si chiamava Sandro. Don Sandro. Era il giovane prete cui era stata affidata la gestione dell’oratorio di periferia. Il richiamo a un dovere che sentivo imposto, parve essere limitazione alla mia libertà e causò il mio scatto d’ira, un gesto di cui immediatamente mi pentii, ma…volò la racchetta e colpì il rosario appeso alla tonaca. Cadde a terra il piccolo crocefisso.

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Andò in frantumi. Non ho più rivisto quella tonaca nera, e ho spesso cercato d’incollare quei frammenti. Ma ho sepolto i ricordi nel canterano della vita, tra fogli ingialliti e fermagli arrugginiti dal tempo.

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L’unica certezza Odio chi ostenta sicurezza e verità assolute in tasca, chi accende ceri in chiesa quando la corsa termina, e bestemmiando giudica dall’alto di un falso pulpito. Ho accumulato neve di anni vissuti cercando le risposte, mai rinnegando le domande. Alla mia testarda insicurezza è data una sola replica, la vita non dà mai comoda certezza.

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Mai di Sabato Dovessi rinascere, vorrei non fosse Sabato. [questa giornata indecisa, di mezza festa dove metà ti offre vacanza e metà ti tiene dove l’amore attende la metà che manca e la Poesia rimane a mezza voce espressa] Era di Sabato quando non ti ho incontrato. Anche il cielo era sibillino metà turchese e metà piombo indeciso nel sentire lasciava appesi a un’incompiuta. Non erano fiori in attesa di te solo parole inespresse che si rincorrevano ingabbiate nell’illusione della clessidra. T’incontrai finalmente. E non era Sabato. Frantumai il cristallo aguzzino il tempo ingoiò sabbia, liberò parole scrisse l’incipit di questa poesia, di vita vissuta come fosse Domenica. Sempre.

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Me intriga el parlar ciosoto* Non è ancora mia questa nenia, questa cantilena, questo frangersi di acuti e di vocali sugli scogli e le barene della laguna quasi andar delle maree con la luna. Non è ancora mio questo altalenar ritmato e tronco questo parlar dolce seppure asprigno nelle gole arrochite dei pescatori e nell’eco delle “ciacoe soto i porteghi”. Forse non c’è tempo mi sono abbeverato a mille idiomi e ho dato alla mia voce tratto indistinto foresto sono a tutti, anche a me stesso confondo le parole e spesso non capisco. Non è ancora mio, però m’intriga. *dialetto di Chioggia

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Mi racconto un sorriso

Ho il cuore altrove I pensieri hanno il fruscio delle ali di un colibrì innamorato della corolla, non il respiro possente del rapace che in tondo sorvola la sua preda. Catturo iridi ammirando gli amplessi giocosi nei riflessi della laguna, di lassù la luna dispettosa appare e scompare sul boccascena stellato come illusionista provetto.

e l’anima tra le dita. Scrivo per me, stasera mi racconto un sorriso.

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Puntini di sospensione au revoir, et à la prochaine fois… Sono rimasto così, appeso a quel saluto. La sera respirava allegra una fisarmonica mentre il tramonto sulla Senna era un falò che oscurava il carminio dell’estemporanea. Ci siamo salutati e lasciati, Parigi? Ancora oggi, quando il tramonto sul mare colora con lo stesso fuoco, mi addormento dondolando il sorriso sull’amaca dei ricordi che ho sospeso tra la promessa e la speranza. Cancellerò quei puntini di sospensione. In fondo sono solo tre…

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Soul and fantasy Ho lavato e stirato l’anima piegandola con la fantasia, come fazzoletto l’ho infilata tra le costole, sopra il cuore.

infilata tra le costole

Oggi non parlerò dei gabbiani, del loro isterico, aspro vociare muterò il foglio in verde acqua intingendo le parole di laguna.

sedotta dalla fantasia

Salirò sul traghetto dell’utopia raggiungerò l’infinito parallelo, dispiegato il fazzoletto d’anima saluterò l’approdo tra i sorrisi.

l’anima soffoca il cuore

Una medusa insegue i pensieri, -veleggiamo verso l’identica meta- ancorato ai miei battiti terreni respiro in un polmone d’acciaio. Rimetto l’anima al suo posto.

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68. (mutazioni genetiche in corso) poi, diciassette anni bisestili parimenti giorni epagomeni* modificarono poco alla volta geneticamente il mio aspetto. poi, nel gioco di flussi e riflussi diciassette maree lunari sanarono piaghe illividite dai riflessi salini delle onde. sono un granchio violinista. ogni volta replico l’assolo alla prima dello spettacolo allestito nell’anno bisestile. sessantotto granelli di sabbia -silice pesante tra chele dolenti- tracciano solchi sul carapace nelle fughe sghembe dalla vita. perso nelle gore matematiche di mutazioni genetiche in corso concludo con un trillo satanico insabbiando il violino canuto. *giorni supplementari

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Falene rosse e sabbia vento. mare grosso stamane. la sabbia che sale incipria i visi, gratuito make-up cela le rughe. osservo scampoli di terza età arrancare sul bagnasciuga. mani cemento dietro la schiena e sorrisi ipoteche di pensione. aquiloni. falene rosse s’agitano.

-istantanea balneare- mano nella mano sulla rena riempiamo le stesse orme io e te, piccolo ansioso uomo che oggi mi accompagni. sì, vorrei rovesciare le parti interrompere la clessidra, inseguire orme su altri arenili. un altro tempo. non è bastato.

-un miraggio color seppia- il desiderio è un attimo. flash. la sabbia, rigagnoli sulle gote, inesorabile affoga i ricordi. vento. mare grosso stamane.

-falene rosse. appese-

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Fragole rosso sangue sarà un brindisi. quattro gambe incrociate sotto un tavolino di un bar qualsiasi. in un cielo qualsiasi. che importa. io e te e fragole rosso sangue come quel giorno che piovvero e io non c’ero. nei brindisi dei nostri sorrisi saluteremo i cieli avversi. hai ancora il rossetto sulle labbra amore. sono le fragole. cosa mi sono perso quel giorno… champagne?

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Lenzuola di lino e sciacalli afoni ho intriso di dolore altre lenzuola quando l’urlo dello sciacallo raggrinziva il sorriso della luna. quando tra le pieghe della notte attendevano pensieri sicari -lame affilate d’anima inquieta- stanotte no. attendono lenzuola di lino. candide. mentre la luna filtra dalle imposte e il soffitto è volta stellata -blu- mi tieni per mano. sorridi. ho visto altre estati avvolte -ieri- in roventi lenzuola come sudari. mancava il tuo sorriso. le tue mani. stanotte no. ora la luna è pelle di bambino. anche gli sciacalli tacciono.

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Like Zabriskie Point oh, no. non voglio scendere da questa nuvola. sali anche tu. sarà un viaggio meraviglioso alienare tempo al suk dei sogni.

è lama di luce tagliente acido. blu. metà del cielo sparato nelle vene. è uno sballo. tu.

una partenza senza check -in un solo bagaglio a mano l’anima acquistata al “duty free”. finirà presto questa vacanza.

-o forse no?- Heart Beat, Pig Meat il vinile dei Pink Floyd sta andando a manetta. brividi scaldano il motore.

[non abbiamo corso la vita a cavallo di uno strepitoso chopper decorato. abbiamo viaggiato anni incatenati sul nostro cinquantino truccato.]

so, baby, let’s go again!

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Mattinata accartocciata è amaro catrame questo caffè stamattina. senza macchia nero bitume che asfalta la gola. poca gente in giro. il corso ingombro di stand lava i ricordi notturni. tavolini spogli come attrici di burlesque attendono pensionati insonni ai deschi. il sole incattivito sgambetta l’allegria della brezza. tovaglioli di carta planano. -bianche falene ubriache- seduto al tavolino accartoccio questa mattina senza zucchero. l’anima è una bustina bucata.

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Maudit étoile di un antico carillon! Sulle note sfibrate di un vecchio carillon le punte sfondate delle scarpette rosa danzano un improbabile bolero raveliano. Nel gioco di specchi che il tempo propone il tulle lacerato non cela la rossa malizia e il caleidoscopio si compone nella vampa. [le punte non reggono il peso degli anni e lo specchio rimanda una tela di Botero] Passi elefantiaci sfiatano le ultime ore l’étoile attempata del carillon della vita crolla nel fragore del tempo in frantumi. La dernière pirouette. Merde!

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Pantofole di legno e zoccoli di lana non ebbe misura il tempo che passai accovacciato sulla riva del Lete. Crono era il cadavere che attendevo ma la clessidra ammutolì nell’irreale. un ammasso informe attraversò ciondolandosi nelle acque dell’oblio riconobbi terreo il mio sembiante. Il tempo mi aveva fottuto ancora. Panta rei. quante volte in tutti questi anni mi sono trovato assemblato a fatica per attraversare lo stesso fiume. inghiottito dai medesimi mulinelli dimentico di me e della mia meta in balia di correnti e gore assassine. quanti vascelli di carta tremebondi e zattere di dolce pan di zucchero e catamarani di zolfanelli colorati. ogni seducente arte navale fu spesa per iterare la fuga, noi dimentichi delle acque dispensatrici di sogni. all’approdo il sorriso ebete infilava zoccoli di lana, puntuali al ritorno mostravamo le piaghe inevitabili che i tratturi annosi dispensavano. stanco al desco, novello Polifemo, una sola pietanza mi allettava, tu.

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indossando pantofole di legno -piccoli navigli improvvisati- fuggivi dalle profferte amorose e in un sadico gioco mi alienavi accovacciato sulla riva del Lete. in attesa del rientro da te stessa. Panta rei. un aforisma. una filosofica incazzatura.

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Asincronia [rivedere la vita a fumetti. inquadrature. uno storyboard animato. sceneggiatura.]

on all’inizio il respiro è riconoscibile al battito le parole disegnano le arcate delle labbra. tutto si muove armonicamente. stesso ritmo. voce/azione/reazione. sincronia assoluta. frame by frame, inquadrature velocissime. stacchi, dissolvenze, primi piani. ritmo. la camera t’insegue, la regia sollecita. apnea. non c’è tempo. “buona la prima”. sempre.

…async! improvvisi puntini di sospensione. flashback. nei che sfalsano il ritmo respiro/pensiero. parole che inseguono le labbra. eco lontana. alieno “stop and go” di coscienza/incoscienza. la dolly-camera riprende dall’alto in un lungo piano sequenza il bianco e nero del dolore. tre inquadrature soffocanti. grida e voci afone. parole appese ai puntini come corvi in attesa.

off

il led è rosso, sarà solo stand-by? riaccendo.

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Au revoir Disteso sull’erba dolcemente in declivio, lo sguardo perso nell’azzurro, ti confidi. Accanto a te una splendida donna ti ascolta attentamente sorridendo complice. Un’amica. Che vorresti madre, amante e un po’ puttana. Con lei danzeresti l’ultimo tango sul Pont Neuf mentre il bateau mouche passa sotto le arcate e i flash dei giapponesi in gita t’immortalano. Fai l’amore con lei perso in un sogno impossibile tra le tovaglie piegate nel retro di una brasserie, e lasci il pastis morire d’inedia sul tavolino… Sogni e parli, parli e sogni. Lei sorride e ti ascolta… Au revoir, Paris.

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Chez moi…a Montecarlo (1987) La speranza è una falena puttana. Adesca al falò degli inganni acceso all’angolo del tramonto della vita. Andirivieni di senilità in gonnella, tra falene complici di slot machine bruciano sui falò cartocci di monete. Gelida stazione i binari del ritorno. All’alba il falò degli inganni langue, spegne come un vecchio copertone. Mercenaria, illusoria falena! Da quassù il mare è una speranza. Disattesa, seppure prevista. Manchi. Il tavolo è il vuoto che mi circonda. Il riflesso dell’oro nell’unico cristallo di bollicine sulla terrazza del Loews intristisce al tramonto incipiente. Tutto è perfetto, inappuntabile il blu. Non ho monete da spendere alle slot e il falò arde inutilmente all’angolo. Ho atteso. Chez moi..a Montecarlo.

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“Ottembre” la notte. nera rena mi trattiene. invisibili ragni tra i granelli. tele. sospeso in un limbo, costretto tra scaglie di luna argentata.

fluttuo. potrei contare i passi del vento mentre cancella le orme del passato. ma scaltri piedi alati nascondono tracce inevitabili di calzari pesanti.

immagino. porterò l’anima all’approdo con l’avvento della nuova stagione. forse domani, tra un mese. poi. probabilmente in autunno.

sorrido. Ottobre…Novembre…resto sospeso nel limbo delle mie incertezze tra falde argentate l‘eco dei passi confonde i battiti del cuore.

aritmico. …e se fosse “Ottembre”? [ho avvolto in argentee scaglie lunari tutte le mie indecisioni e i treni persi quell’ unico bouquet di fiori di sposa che ti ha atteso al binario della vita]

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Terracotta e fil di ferro […l’immagine piano sbiadiva -è sogno l’incontro inatteso?- il sacco di vita che ho appeso al rullar di tamburi s’apriva] tamburino di terracotta dal sorriso di smalto cariato scandivi la guerra al tempo.

tre volte il rullo prima dell’assalto

l’annuncio s’è fatto più flebile -ingoiato tra macerie di anni- la sordina affoga i tamburi.

mi sproni, ora lo sento sei qui

granatiere di cuore indomito che richiami all’assalto finale è battaglia senza prigionieri.

impudente, io diserto la lotta

soldatino di coccio pittato monco e lacero -riveli- l’anima appesa a un filo di ferro.

raccatto ruggine tra cocci colorati

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The dark side of my soul in the dark side of my soul nobody’s waiting for me only a jocker is laughing isn’t madness, it’s my way conosco il lato oscuro della mia anima. la tela strappata della follia.

(non chiedermi oltre è rinchiusa da tempo)

non insistere. ti prego. la risata ghiaccia è brina polvere che sbianca il cuore.

(orgasmi? insetti incastrati nella tela)

nessuno mi attende. al buio. ho ingoiato le chiavi e jocker insegue la sua eco.

(è l’uscita sul retro di un vicolo cieco)

qui c’è luce. c’è sempre uno spicchio d’anima in attesa. che la brina si sciolga. di te. the dark side of my soul is full of broken memories ever empty of missed loves seems a lightless moonlight

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Calcinculo e gabardine nero -vent’anni di sfrontatezza- se la giostra non ha prezzo e spesso non vale il biglietto a muso duro contro la vita -bastano i pantaloni- Erano come il calcinculo della giostra di periferia. -chi prende il fiocco vince- Sì, volavo alto quella sera quasi aliante nei pantaloni nero gabardine di sartoria. Scorticai l’ebbra vanità rotolando l’amore venale sfiorito sul verde piagato. Nel campo dietro la giostra la paga d’apprendistato fu il prezzo dell’arroganza. Non ricordo a chi dedicai le quattro note stonate di quella sera senza luna. -non vinsi un altro giro- Fu un calcinculo nel buio nero pece come i pantaloni. Di gabardine. Smessi.

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Di rose e lamponi scolora l’azzurro quando colori e profumi confondono e la memoria balla sul filo del sogno anche la laguna pare verde declivio che apre le porte al roveto dell’anima non è possibile. eppure il profumo è inconfondibile. rosa canina. sì. laggiù la linea dell’orizzonte appare intrico di rovi verde sottobosco. un sottile filo di bruma cela il mistero e la sensazione permane. testarda. rose selvatiche e lamponi colorano questa improbabile aurora marina. enigmatico l’intrico che mi affascina -linea di confine sogno/realtà- intingo di rose e lamponi gli occhi e il mare sprofonda. l’azzurro scolora. non svegliatemi. non ora.

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Il camaleonte e la mantide blasfema Un bellissimo tramonto sul soffitto incorniciava la luce tra le imposte. Il sole arrossiva incontrando la sera l’amava da tempo, silenziosamente. L’acqua del canale danzava sinuosa nel riflesso di quell’amore colorato. Ciondolavo indeciso nella tavolozza alla ricerca dell’abito giusto, quando l’incontrai. Passeggiava tra i cuscini. Bella e seducente sembrava in attesa mutai velocemente l’abito e la invitai. Danzammo una notte infinita, fu mia. Nell’amplesso la ingoiai avidamente. Mi divorò pian piano l’anima. Dentro. Un dejà vu? Forse. “Sono la vita -masticò- non ricordi? quella mantide puttana che alla fine vuole mercede, non regala orgasmi.” La vomitai al mattino ai piedi del letto. Sta ancora bestemmiando. (ho cambiato pelle. e cuscini.)

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Lo specchio dietro l’angolo ho asfaltato chilometri d’anima col bitume dell’arroganza. ho percorso ciecamente strade. -mi aspettava a ogni angolo- spesso la sera il rotolare dei dadi incrinava le attese. non lasciavo quel catrame di mere illusioni. -mi ha messo all’angolo- l’ho sfidato. nell’ultima mano ho barato nel dare le carte. ha vinto lui. in corner però.

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Luna, stelle e peperoncino La falce di luna sfrigola tra le stelle come uno spicchio d’aglio in attesa e il gabbiano insonne recita volute rubate alla nottola ubriaca di luce. Questa notte surreale nei suoi umori mette in scena una pièce irripetibile dalla panchina riservata ai sognatori attendo i protagonisti al proscenio. Un’inquietudine di polvere argento ha invecchiato la pagina nell’attesa al finale manca solo il peperoncino non fallire questo recital anima mia. …intanto la luna sfrigola lassù…

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Quindici minuti da rendere Ieri ho firmato una cambiale a Crono. Ho tra le mani un po’ di tempo a tempo. Ho riempito tutti i buchi dell’anima. Ho aggiornato le lancette della mia vita. Mi è rimasto un quarto d’ora tra le dita. Quindici minuti. Che faccio, glieli rendo? No. Li ho pagati troppo cari, me li tengo. Tanto il tempo passa, non se ne accorge. Domani, forse, se non li avrò divorati…

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Se fosse poesia… …come aquila ad ali spiegate lacerando l’infinito raggiungerei il limite dell’orizzonte superando le ingiurie e gli affanni -invece resto- inchiodato a sogni viepiù rarefatti a braccia aperte sulla cima del Golgota nel ridicolo tentativo di vanità blasfema …come mantide divorerei anche i resti del nostro amore nelle ultime tracce di notti stralunate l’insaziabile fame di te mi dilanierebbe -invece sazio- di voglie inappagate e chetate giocoforza scendo a patti con il tempo creditore e pago le mie cambiali di anni incalzanti se fosse poesia…forse basterebbe

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Tra la salvia e il rosmarino quattro del mattino. notte straniata. arruffata silhouette ciondolo in cucina i sensi acuiti da un’insonnia recidiva. ascolto l’aroma del caffè borbottare e passo in rassegna le spezie allineate. déjà-vu. manca solo la Marlboro tra le labbra. amo ancora coglierti all’improvviso. le mani in alto inguantate di farina gli occhi mistificatori di rimprovero. e mentre il sorriso lievita sul tavolo ti arrendi al gioco antico dell’amore. quattro del mattino. il caffè è gelato. e pensare che le stelle paiono forellini nel cielo colapasta rovesciato all’insù. insolito copricapo di un mondo alieno ai sapori e gli amori che la notte regala. déjà-vu… lievita l’amore tra la salvia e il rosmarino.

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Ultimi chicchi di grano maturo Prima di andare ruberò un po’ di spazio, -straccetti di nuvole su cui raccontare anni come chicchi di grano maturo- scriverò di noi in questa vita sfarinata. affonda le mani nel costato stringimi il cuore, ascolta. I battiti stanno suonando le ultime note -parole inaridite di semi mai germogliati nell’affannosa ricerca di carta sul rigo- perse sul margine dal compositore acerbo. la canzone è finita, catturala. poi il vento la canterà per noi È per te.

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Ali di cristallo e parole indigeste ho la nausea. sfuggo il monitor. soffoco la tastiera. L’ultima volta che ti ho visto sedevi sul ciglio d’una fioriera di cemento allacciato ai tentacoli di un’edera, adescato dai fiori della speranza. Il volto segnato dalle troppe lune compagne di notti di veglia coatta, gli occhi riarsi di chi ha raccontato anni di fantasmi in parole e carta. Ai piedi, tra frammenti di crisalide, un paio d’ali di cristallo abbrumato: “Il mio tempo qui è finito. Tocca a te.” e tornasti a cercar lune nel bozzolo. ho la nausea. gingillo tra le mani la mia fragilità. al capezzale di questa pagina bianca ali incrostate d’apatia dileggiano le dita. [ho un mucchietto di parole inacidite incastrate tra lo sterno e la giugulare pencolano come sfilacci di carne frolla] che me ne faccio di queste false penne se non posso volare oltre la mia inerzia?

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Barena in attesa di un altro minuetto Il verde riemerso dopo l’inattesa marea, brilla come gel impomatato sulla barena. Aironi dalle zampe gialle e nivee garzette improvvisano un regale “pas de menuet” mentre raffinati piovanelli dal gilet nero con ciarliere pettegole fanno ala al ballo. Il rosso del tramonto che filtra dal vetro m’imporpora i pensieri rapiti dalla scena. Il finestrino della corriera è il diaframma che mi separa dalla fantasia, dalla realtà. Ancora un sobbalzo sull’asfalto del ponte poi la danza si dissolve in argentei riflessi. Sono arrivato. Meccanicamente la mano scosta la tendina e la laguna è alle spalle. Ti chiamo, un altro diaframma si oppone. Obliqui raggi di sole trafiggono gli occhi e stridii di gabbiani sul canale offendono la voce, mentre il cuore anela il minuetto. Parlo invano. Non mi sento, non ti sento. Come la barena sommersa dall’acqua alta attendo la bassa marea per un’altra danza.

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Block notes disperso Non ho preso appunti. La testa è vuota. Attendo che i pensieri prendano forma mentre inseguo una macchia sul muro e svogliatamente m’immagino il profilo. Sì, vorrei indietro quel mucchietto di ore d’insonnia uccisa da un sonno artefatto, di parole affastellate ai bordi dei pensieri che sgomitavano per affacciarsi al foglio. Quel sonno di pece ha rubato anche i sogni le parole si rifugiano tra le spine dell’anima. Ho perso il mio block notes dai fogli di cielo dove scrivevo le notti colorandole d’azzurro. Perché la neve sui capelli porta all’attesa, si smette d’inseguire il tempo e si attende? È resa incondizionata al divenire urgente o comodo alibi l’adagiarsi sull’inevitabile? Prenderò appunti. Se ritrovo il block notes.

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Bulloni d’acciaio e traversine di quercia Fiuto l’aria. Novembre è ormai alle porte. L’aspro del salmastro fagocita ogni alito, ogni refolo gentile. Come cane da trifola annuso. Cerco nell’aria un profumo, quasi un Dicembre precoce. C’è bora stamane. Mi ancoro con i sogni al molo e osservo il vaporetto salpare. La scia del motore racconta. …sono binari quei solchi che luccicano nella laguna e alghe i bulloni d’acciaio che serrano la nostalgia alle traversine di quercia… Anelo quel profumo rimasto nelle tasche dei pantaloni corti appesi al davanzale della vita. …e resto lì inebetito gli occhi spolverati di zucchero a velo e il sorriso racchiuso tra dita di mandarino…

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Quarantaquattro volte sì [no. stasera non scrivo, voglio parlarti sottovoce sussurro per non svegliarti a mezza luce, la mano su di un fianco inseguo il tuo profilo e non mi stanco]

Ai miei occhi gli anni non han storia di te sei rimasta la stessa,

Potrei sussurrarlo in rime all’infinito eppure resto allacciato al tuo respiro. Sulle labbra ho una raccolta di poesie quarantaquattro pagine di già scritte.

generosa e caparbia hai vinto le ingiurie che dispensa la vita.

La notte è lunga, leggerò di emozioni -piccole gocce di rugiada tra le ciglia- Mentre aspetto l’incipit dell’aurora scriverò una dedica sul frontespizio.

Quelle piccole rughe che increspano il viso -lievi sospiri della luna-

Ho mentito, come vedi sto scrivendo, ché la vita ha altre pagine da riempire. Non svegliarti adesso, voglio restare in questi versi che ti parlano per me.

sono i sorrisi del tempo, abbiamo scritto insieme quarantaquattro volte sì.

*a Conny, nel nostro anniversario.

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Quasi foglie d’Ottobre Quella ruggine crocchiante sotto i passi -noi due le mani allacciate lungo il viale- è ricordo scolorito dal sale acquamarina della laguna ingorda che fagocita il cuore. Nel cauto incedere sul selciato sconnesso il rumore che c’insegue è nota conosciuta mano nella mano come allora sorridiamo degli inverni che s’affacciano negli occhi. Sembrano platani quei lampioni e le luci sono fronde lungo un viale immaginario. Si riflettono nel canale come scaglie d’oro che l’abbraccio della laguna arrugginisce. I passi crocchiano. Quasi foglie d’Ottobre.

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Cos’altro? La chiameresti malinconia. Non foss’altro per il chiarore che si riverbera tutt’intorno nell’acqua dai riflessi di piombo. È così difficile placare mentendo l’irrequieto andare dell’animo. Ora s’annuvola, ora s’azzurra. La chiameresti nostalgia. Non foss’altro per il profumo delle prime caldarroste stradaiole mentre i piccoli sciamano indifferenti le merendine infagottate tra le gote. Bruciano tra le dita come ferite mai consolate e suturate dal tempo. La chiamerei assenza. Non foss’altro per l’ultimo pertugio che ho lasciato aperto nell’anima e che attende di essere colmato. Nient’altro.

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Grido nella nebbia prima dell’arcobaleno …e scavare la nebbia che sale dal fiume -gli occhi ancora incatenati al cuscino- cercando un’emozione, un vibrar di canne poi curvo a raccoglier lacrime di sangue -quasi fossero fragole di bosco disperse- serrandole nei pugni a soffocar il sapore L’urlo è gelo nelle ossa. Annaspi. Laceri l’aria. Il calore del suo seno. Affrancato dall’iride improvvisa affoghi nel Lete lacrime bugiarde. Ormai un sussurro, la tua voce grida l’amore, frantuma la nebbia. Coriandoli d’arcobaleno i riflessi che sorridono tra le nocche schiuse. Sulle sue labbra fragole disperse.

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Il seme nero di un sangue nomade Piccolo, tondo come un cece, nero. Nero, con un occhio rosso sangue. Girellava freneticamente tra le dita e attendeva il conforto di una zolla. Fagocitato dall’eterna inquietudine arzigogolo alibi d’insoddisfazione creando muri e asfaltando terreni canto l’ineluttabile voglia nomade. Domani sarà uguale a ieri, pure l’oggi non trovò pace in nessun luogo. Mai. Non ho deciso dove piantare il seme e la macchia rossa sanguinerà le dita. No, non c’è verso di mutare gli eventi il piccolo cece nero dalla rubra voglia mi seguirà ancora nascosto nella tasca finquando la terra coprirà i miei dubbi. Farà burle di me, ma sarà troppo tardi non ci saranno occhi per i suoi germogli le foglie nero pece picchiettate di rosso daranno frutti zingari all’alitar dei venti.

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L’illusione del roveto immaturo amore da cogliere sfidando le ferite adolescenti attraverso le spine del tempo togliendo il velo alle illusioni Erano rovi -ancora pungono- Spogli, acuminati rovi. Nessun frutto da cogliere poche le more aliene riarse ancor prima di nascere. Eppure lì, dietro quella siepe abbarbicata sulla sponda di un fiume d’acqua malata millantava amore una rosa. L’abbaglio occhieggiava attraverso le spine carceriere

e il dolore pareva sorriso e il desiderio alibi al dolore.

Un’illusione -seppi poi- Quando le spine incanutirono e allentarono il morso al cuore oltre la siepe rinsecchita trovai solo polvere di un fiore mai nato.

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Perché è una fiaba Ancora mi aggrappo ai sogni di bambino alle meraviglie che riempivano gli occhi, quando lievi e iridescenti galleggiavano gli anni come bolle di sapone inarrivabili. Ero già nato quando diverse primavere replicarono lo stupore della prima volta poi inevitabili inverni uccisero i sorrisi. Lasciatemi rannicchiato nella mia bolla con gli occhi all’oblò, rivolto all’azzurro cullandomi a mezz’aria sfuggo il mondo. Posizione di privilegio, fuga dalla realtà? Che importa, in fondo non sono mai nato. Allora non chiedetemi perché ora sorrido. Perché è una fiaba, forse…

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La spina nel cuore è un ago conficcato in gola Dicono la paura dimensione umana. Fosse vero, ancora vivrei. Dicono il coraggio sale della vita. Fosse vero, ne sentirei il sapore. Dicono l’amore panacea di ogni male. Fosse vero, non soffrirei. -è una spina che buca il cuore- Ho divorato il tempo trascorso con te senza misura del domani in attesa. Il pensiero del vuoto punge l’anima scortica le parole appese alle labbra. -è un ago conficcato in gola- Dicono la pazienza virtù dei forti. Fosse vero, avrei già vinto.

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Tra lune farlocche e verità irreali di lassù una luna un po’ farlocca m’irride svanisce e riappare in un cielo sfilacciato -maglione blu notte ormai liso dagli anni- che non copre le ferite delle inutili attese se vuoi per te stasera inventerò una fola poi la racconterò come fosse storia vera se vuoi per te stasera scriverò sottovoce poi mi eclisserò lasciandoti senza parole è una storia senza titolo senza alcun finale solo i vecchi sognatori, liberati da catene sanno inventar parole per addomesticare le paure e gli inganni di ogni falsa morale

se verità aneli non inseguir lune farlocche

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Indice

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*Snake charmer (avanti, c’è posto) ______________ 17

“Buongiorno, come stai?” ______________________ 27

“Ottembre” ________________________________ 132

…e andavo come una Locomotiva* ______________ 54

…e sono ancora qui ___________________________ 31

11 Giugno 1984, quella sera ho pianto___________ 107

19 Marzo (a mio padre) ________________________ 5

68. (mutazioni genetiche in corso) ______________ 120

A cavalcioni su una sedia _____________________ 108

A perdifiato, nel sogno ________________________ 23

Ad occhi nudi ________________________________ 24

Ali di cristallo e parole indigeste _______________ 144

All’ Università della terza età ___________________ 25

Altri la chiamano _____________________________ 74

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Apogeo ____________________________________ 92

Asincronia _________________________________ 129

Attimi bruciati intorno al falò __________________ 93

Au revoir __________________________________ 130

Auguri senza tempo __________________________ 94

Averti… ______________________________________6

Baratti_______________________________________7

Barena in attesa di un altro minuetto___________ 145

Bianco Arcobaleno ___________________________ 26

Block notes disperso ________________________ 146

Blue jeans, rock’n’ roll e strelitzie _______________ 75

Bulloni d’acciaio e traversine di quercia _________ 147

Calce bianca e zinco tempera __________________ 28

Calcinculo e gabardine nero __________________ 135

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Chez moi…a Montecarlo (1987) ________________ 131

Chioggia, esagerata __________________________ 76

Ciao Lucio, raccontami ________________________ 56

Ciondola le gambe, la luna puttana ______________ 29

Cos’altro? __________________________________ 150

Così, la vita _________________________________ 96

Cuore di maiolica ______________________________ 8

Di grembiuli bianchi, aghi e occhi azzurri __________ 30

Di rose e lamponi scolora l’azzurro______________ 136

Dietro l’uscio ti attende________________________ 97

Dolceamaro _________________________________ 78

Eccomi _____________________________________ 10

Emersion (surfacing frame by frame) ____________ 110

Falene rosse e sabbia ________________________ 121

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Fiammiferi e frammenti _______________________ 57

Figlio di puttana _____________________________ 32

Flamingo Bar _______________________________ 78

Fragole rosso sangue ________________________ 122

Frattaglie, mie _______________________________80

Gelosie verde scuro __________________________ 98

Gichero e Passiflora, un amore di veleno ________ 111

Grido nella nebbia prima dell’arcobaleno _______ 151

Ho guardato la notte negli occhi ________________ 11

Ho ritrovato il mio palcoscenico ________________ 33

Hypnosis ___________________________________ 58

I colori di San Valentino _______________________ 34

I conti alla fine tornano sempre ________________ 35

Il camaleonte e la mantide blasfema ___________ 137

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Il circo dalla pista quadrata ____________________ 99

Il compagno di viaggio ________________________ 59

Il seme nero di un sangue nomade ______________ 152

Il velo da sposa ______________________________ 12

Immemore cancello ___________________________ 13

Indice ___________________________________ 157

Io di te ____________________________________ 100

L’illusione del roveto _________________________ 153

L’unica certezza _____________________________ 114

La spina nel cuore è un ago conficcato in gola ____ 155

La tonaca nera e il crocefisso di maiolica _________ 112

Lenzuola di lino e sciacalli afoni ________________ 123

Like Zabriskie Point __________________________ 124

Lische di pesce in un affresco ___________________ 81

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Lo specchio dietro l’angolo ___________________ 138

Lo zoccolo di legno col cinturino di cuoio rosso ____ 36

Luna, stelle e peperoncino ____________________ 139

Mai di Sabato ______________________________ 115

Mandorle amare ____________________________ 37

Mattinata accartocciata _____________________ 125

Maudit étoile di un antico carillon! _____________ 126

Me intriga el parlar ciosoto* __________________ 116

Mi racconto un sorriso _______________________ 117

Nell’immediatezza che coglie __________________ 60

Nelle mani (in punta di dita) ___________________ 38

Nelle mani (in punta di lingua) _________________ 39

Nelle mani (in punta di matita) _________________ 40

Nelle mani (in punta di piedi) __________________ 41

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Nero Notturno Bolero _________________________ 42

Non eri un peso ______________________________ 82

Non fumo… più, grazie ________________________ 83

Non sono Icaro _______________________________ 14

Non svegliarmi_______________________________ 15

Oggi ha nevicato…(ancora mi mancate) ___________ 43

Ombre cinesi ________________________________ 84

Onirico bianco _______________________________ 45

Ottomarzo tra le voci _________________________ 61

Overbooking ________________________________ 85

Pag. 99 ____________________________________ 101

Pantofole di legno e zoccoli di lana _____________ 127

Per me _____________________________________ 62

Perché è una fiaba ___________________________ 154

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Piramidelirio ________________________________ 86

Prefazione ___________________________________4

Puntini di sospensione _______________________ 118

Quando saprai il nome_______________________ 102

Quarantaquattro volte sì _____________________ 148

Quasi foglie d’Ottobre _______________________ 149

Quattro braccia di mare ______________________ 87

Quattro mani di bianco _______________________ 63

Quel che è rimasto __________________________ 103

Quindici minuti da rendere ___________________ 140

Respiri inarcati ______________________________ 88

Sabbia e neve _______________________________ 16

Sale sulla coda in una confusione d’ali __________ 104

Sarà tristezza? ______________________________ 46

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Se fosse poesia… ____________________________ 141

Se il piatto piange, la sporta non ride ____________ 89

Senza ______________________________________ 64

Senza titolo _________________________________ 47

Solitudine, sottovoce __________________________ 90

Sospetti d’azzurro ___________________________ 105

Sotto la parola, niente. ________________________ 65

Soul and fantasy ____________________________ 119

Specchi deformanti ___________________________ 66

Spine della memoria, per non dimenticare ________ 19

Su e giù per le scale ___________________________ 67

Surreale paranoia euclidea ____________________ 106

Tarsia ______________________________________ 20

Terracotta e fil di ferro _______________________ 133

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The dark side of my soul _____________________ 134

Ti direi… ___________________________________ 49

Tic Tac _____________________________________ 50

Tienimi così, stretto __________________________ 52

Tra bistro e ciglia ____________________________ 22

Tra la salvia e il rosmarino ___________________ 142

Tra lune farlocche e verità irreali ______________ 156

Tracce di cinica albagia _______________________ 68

Tsunami di cicale ____________________________ 69

Ultimi chicchi di grano maturo ________________ 143

Un vespaio di sogni coatti _____________________ 53

Unbreakable ________________________________ 70

Vademecum del buon cinico ___________________ 71

Verso sera __________________________________ 72

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Vieni, ti porto via _____________________________ 91

Zo de cale __________________________________ 73

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