Franco Cambi - Insediamenti Ellenistici Nella Sicilia Occidentale

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SCUOLA NORMALE SUPERIORE DI PISA Laboratorio di Storia, Archeologia e Topografia del Mondo Antico QUARTE GIORNATE INTERNAZIONALI DI STUDI SULL’AREA ELIMA (Erice, 1-4 dicembre 2000) ATTI I Pisa 2003

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Quarte Giornate Internazionali di Studi Sull'Area Elima

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SCUOLA NORMALE SUPERIORE DI PISA

Laboratorio di Storia, Archeologia e Topografia del Mondo Antico

QUARTEGIORNATE INTERNAZIONALI DI

STUDI SULL’AREA ELIMA

(Erice, 1-4 dicembre 2000)

ATTI

I

Pisa 2003

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ISBN 88-7642-122-X

Il presente volume è stato curato da Alessandro Corretti.

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INSEDIAMENTI ELLENISTICI

NELLA SICILIA OCCIDENTALE.

IL CASO SEGESTANO

FRANCO CAMBI

I dati che qui presento provengono dall’esperienza delprogetto della carta archeologica di Segesta-Calatafimi. Nel-l’ambito di questo progetto sono stati rinvenuti 475 siti archeologiciin un’area complessiva di ottanta chilometri quadrati, intensiva-mente indagata attraverso la ricognizione. In questa pratica dellaricerca vengono normalmente a sommarsi due difficoltà, una dicarattere descrittivo ed una di carattere interpretativo. Alla primadifficoltà si può far fronte applicando una serie di paradigmianalitici, sui quali non starò qui a dilungarmi, utili a chiarire gliaspetti quantitativi e metrologici dell’insediamento (sue dimen-sioni e forme), gli aspetti cronologici (sua durata nel tempo) edeventualmente gli aspetti morfologici, quali possono essere desuntidai tipi di materiali da costruzione rilevati. Se queste istanzeottengono risposte corrette alcune inferenze potranno essere fattesulla tipologia insediativa (casa, villaggio, villa, tomba) e sulmomento storico di pertinenza. Questa fase di analisi e di datazionedei siti, spesso tanto diversi per tipologia e per ambito cronologi-co, ha richiesto tre anni di lavoro e, soprattutto, un gran numerodi competenze e di approcci interdisciplinari1. Mi pare tuttaviache questo sia il solo modo per potere avviare la ricerca verso lasua naturale conclusione, ovvero l’edizione scientifica.

Ben diverso è, invece, il problema dell’interpretazione avan-zata, laddove una definizione chiara del ritrovamento non potrànon utilizzare, anche se con le dovute cautele, categorieterminologiche antiche. Quel che è più difficile è trovare il giusto

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punto di contatto fra pochi documenti letterari, spesso, ad unprimo esame, non troppo precisi, e una massa di documentiarcheologici, talvolta abbondanti per quantità e qualità. Per lorostessa natura i secondi rischiano di essere fin troppo precisi, nelsenso che tendono a rafforzare in maniera anche troppo netta i datiprovenienti dalle letterature. In questi casi il rischio più grandeper l’archeologo è quello di sovrastimare i dati delle fonti lette-rarie, o, al contrario, di affossarli in modo anche clamorosoperché del tutto in contrasto con le fonti archeologiche. Ilparadigma indiziario, pur sempre una delle colonne portanti delprocedere della conoscenza archeologica, va usato sempre con ladovuta prudenza, a maggior ragione quando l’indizio è effettiva-mente tale. Pochi frammenti di ceramica sparsi in un camporappresentano un contesto decontestualizzato, certamente piùprovvisorio di un gruppo scultoreo o di una stratificazione benconservata eppure, una volta esposti i limiti di questa documen-tazione, non possiamo gettarla via ma provare a inserirla insistemi di informazioni più stabili ovvero a sottoporla ad unasorta di stress di verifica. Se il sistema la accetta e la ingloba,senza forzature, si può continuare a lavorare in tal senso. In casocontrario, sarà il sistema stesso a segnalare che, incongruamente,si è raggiunto un punto critico2.

Accanto alle molte analisi su dati puntuali raccolti nellecampagne, si possono oggi aprire o, se non altro, impostare,alcuni momenti di sintesi, ovvero tentare di vedere in quale modoabbozzare una sorta di percorso dell’interpretazione per i moltidocumenti archeologici inediti. Lo scopo sarà appunto quello dichiamare con un nome antico un ritrovamento fatto da noi e in ciòstesso risiede il fascino e il rischio: nel tentare di descriverel’antico non nei limiti entro i quali noi siamo capaci di descriverloma nel più ampio ambito della percezione che gli antichi ebberodel loro stesso paesaggio.

Fino ad oggi la nostra visione dei paesaggi antichi è stata,forzatamente, poleocentrica. Questo è anche giusto e correttoanche se, non va dimenticato, la base della ricchezza e delleaccumulazioni che rendono possibile l’accrescimento e l’abbel-limento delle città antiche è, molto spesso, la terra e il buon uso

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che di questa risorsa viene fatto. In questo contributo si tenteràuna schematizzazione dei dati relativi alla chora segestana fra ilIV e il II secolo a.C., basando il ragionamento su due concetti:quello di casa e, in second’ordine, quello di villaggio.

Prendiamo il caso della colonizzazione romana. In unaricognizione condotta in un territorio dell’Italia centrale si rin-vengono spesso molti insediamenti attribuibili al periodo diquesta o quella deduzione coloniaria. Se, nella maggior parte deicasi, non si esita a definire villa una lussuosa dimoratardorepubblicana di rango senatorio, quando si deve definire ilritrovamento corrispondente alla dimora del colono romano olatino, sorgono improvvisamente numerose titubanze. Da questediscendono alcune terminologie più o meno improprie: fattoria,villa rustica, addirittura podere. In realtà c’è un termine che inlatino designa esattamente la casa del colono: casa, nella piùsemplice accezione, indicata da molte fonti (Cicerone)3, è anchepreferibile all’alternativa domus rustica, utilizzato comecorrispettivo di domus (urbana) e quindi in qualche modo condi-zionato dalla necessità di ribaltare la prospettiva di osservazione.Fra l’altro, occorre tenere presente che i nostri scrittori, in granparte di età tardorepubblicana, furono spesso di estrazione citta-dina (per non dire urbana) e costantemente proprietari di ville, cheessi consideravano per quello che erano, ovvero modelli dipiccole città trapiantate in campagna per consentire ai proprietariil distacco dagli amati agi urbani.

Nel caso della villa, la tipologia insediativa deve necessaria-mente sposarsi con l’ambiente, inteso come fonte di bellezzaintrinseca ma soprattutto come paesaggio agrario evoluto equindi, nell’ottica dei personaggi, trasformato in giardino-pian-tagione, dove alla ricchezza delle architetture doveva risponderel’elaborata articolazione delle aiuole e delle colture. Ci si è spessochiesti quali siano i prodromi della villa romana e sulla base diquali esperienze poté essere costruita l’idea della villa perfettache ossessiona le pagine di Varrone. Carandini, nel noto saggiosulla villa romana del 19894, intravedeva la possibilità di un«apprendistato» romano in Sicilia e in Africa coincidente con leoperazioni militari della prima guerra punica. Penso che l’intui-

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zione, nelle sue linee generali, fosse giusta anche se, necessaria-mente, da contemperare alla situazione contingente5.

1. Diodoro Siculo e l’epaulis

Una delle nostre principali fonti per la storia della Siciliaellenistica è Diodoro Siculo. Questi appartiene in maniera troppodiretta al mondo tardorepubblicano per potere essere accoltocome testimone diretto delle età tardo-classica ed ellenistica enecessita quindi di alcune considerazioni6.

Tab. 1. L’uso del termine e[pauli" in Diodoro Siculo.

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Vi sono due termini costantemente citati da Diodoro: epaulis(Tab. 1) e agroikia7 (Tab. 2). Il primo, che gode di maggiorfortuna presso lo scrittore, è usato nella maggior parte dellecitazioni per indicare una dimora agricola architettonicamenteevoluta e normalmente circondata da giardini e da horti partico-larmente belli e attraenti8. L’altro sembra indicare una residenzadi campagna, forse priva di giardini ma comunque interessata dabelle decorazioni architettoniche (stucchi in Diod., 20, 8).

Tab. 2. L’uso del termine ajgroikiva in Diodoro Siculo.

Dimostrato, da Diodoro stesso, il tono ‘alto’ di questecostruzioni, va considerato un secondo, fondamentale aspetto: ilregolare collegamento fra evoluzione architettonica, arte topiariae piantagione. L’aspetto di giardino di questi insediamenti non siesauriva, infatti, nell’insediamento stesso ma si estendeva allacampagna circostante. I tipi di colture più citati insieme con leepauleis e le agroikiai sono, nell’ordine, il vigneto, l’oliveto e lapiantagione degli alberi da frutta. I luoghi delle operazioni meglioindividuati sono: l’Argolide, l’Attica, il Peloponneso e la choraacragantina. Nello specifico non viene fatto alcun riferimentoalla Sicilia elima, della quale lo stesso Diodoro parlerà condovizia di particolari nella circostanza delle guerre servili.

La cronologia delle citazioni diodoree pare, almeno ad unprimo esame, poco illuminante. La citazione delle epauleis ha inizioall’indomani della battaglia di Imera, prosegue con una devastazio-ne del territorio operata dagli Ateniesi in Argolide, nel 437 a. C., siconcentra negli anni della guerra del Peloponneso e infine negli

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ultimi dieci anni del IV sec. a. C., prima di comparire nuovamentein relazione alle vicende siceliote della fine del II sec. a. C.

Un dato che qui preme particolarmente sottolineare è laricchezza, si direbbe proverbiale, della chora acragantina a pre-scindere dal periodo storico. Nella prima metà del V sec. a. C., nelcorso della guerra del Peloponneso e in epoca agatoclea, questocomprensorio non cessa di stupire per la sua feracità. Dopo il 480a. C. Gelone è in grado di inviare una quantità di schiavi punici nellepiantagioni di Agrigento, dove esistevano addirittura dei vivai (diviti), estese colture e piantate di alberi di ogni tipo. Nel 406 a. C.,in piena guerra di Sicilia, gli Acragantini sono costretti a indietreg-giare di fronte ai Cartaginesi di Annibale e a portare i raccoltiall’interno delle mura. Il loro territorio è, all’epoca, incredibilmen-te prospero e arricchito da vigneti eccellenti per estensione ebellezza. La maggior parte del territorio è piantata con olivi da cuisi traeva abbondante raccolto, che veniva venduto a Cartagine.

Un commento merita, infine, il passo relativo alle imprese diAgatocle degli anni 311-310 a. C. L’attacco del tiranno alla cittàdi Megalepolis (in Africa) è ambientato in uno scenario ruralediviso in giardini e in piantagioni di ogni genere. Corsi d’acquaimmessi in piccoli canali di allevamento irrigavano ogni parte.Diodoro distingue, almeno superficialmente, due tipi diinsediamenti:

- le agroikìai, che lo scrittore descrive come disposte insuccessione, «lussuose e rivestite con stucco», che davano l’ideadella ricchezza del proprietario;

- le epauleis, dotate di tutto quello che era necessarioall’otium, i cui abitanti per molto tempo avevano immagazzinatouna abbondante varietà di alberi da frutto.

Di seguito si elencano inoltre mandrie di bovini e di cavallie greggi di pecore. Infine viene spiegato il motivo di tutta questaprosperità: da quando la zona era passata al dominio (eparchia)dei Cartaginesi, che qui avevano costituito le loro proprietà, lecose si erano trasformate in meglio, conclude intenzionalmenteDiodoro.

Anche se di ambientazione extra-siceliota, pare questo ilpasso più significativo fra tutti quelli in cui Diodoro impiega il

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termine di epaulis, per due motivi. Il primo, di carattere tipologico-agronomico, risiede nella identificazione, indispensabile agliocchi dello scrittore, fra edificio architettonicamente pregevole eadatto alla apolausis e agricoltura evoluta. Nel termine apolausis,non ben traducibile, possono ben essere ravvisati concetti roma-no-latini familiari, quali fruitio - usus - commodum - fructus.Volendo spingere più oltre l’interpretazione, ci troveremmo difronte alla duplice idea di fructus/delectatio, forse addirittura diotium, che nella sua forma più matura e consapevole si avrà conla villa romana tardo-repubblicana9. In questa accezione l’epauliscesserebbe di essere la semplice dimora rurale e acquisirebbe, giànella primissima età ellenistica, i connotati di un palatium nellecampagne, con giardini e conduzioni agricole estremamenteevolute, sofisticate e volte a valorizzare le specificità geografichelocali.

Il secondo motivo, di carattere ideologico, ricerca specifica-mente nel dominio cartaginese e nel fatto che i Cartaginesi avesseroqui costituito le loro proprietà, l’origine della prosperità. Eviden-temente i Cartaginesi rivestono, almeno agli occhi di Diodoro, ilruolo dei portatori del bonum colere di varroniana memoria.

L’interesse del passo non si ferma qui. Si è infatti individuataalmeno un’altra progenitura da inserire nel dibattito sulla villaromana tardo-repubblicana, rappresentata, appunto, dalla pianta-gione punica, forse sorta in Africa, sicuramente, pare di poterdire, diffusasi nella Sicilia dell’eparchia e nella chora acragantina.

Ora, la frequenza con cui ricorre il ‘modello acragantino’pone una serie di interrogativi. Sono state le epauleis africane aispirare quelle siceliote o viceversa?

Nella tradizione punica mediata dagli scriptores de re rusticaoccupa un posto significativo Magone, citato da Varrone (1, 1, 10)e da Columella (1, 1; 1, 1, 6; 1, 1, 10). Magone avrebbe insistito, neisuoi scritti, particolarmente sull’impiego a vasta scala dellaarboricoltura e dell’allevamento-pastorizia. Si deve allora pensareche altrove fossero i bacini di approvvigionamento cerealicolo diCartagine, magari in Libia, in Sicilia, in Sardegna? In questo casopotrebbe essere contemplata la possibilità di un antecedente model-lo punico nella formazione dell’epaulis. Il processo è, in realtà,

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inverso ed è lo stesso Diodoro a fornirne la descrizione.L’Agrigentino, si scrive, va precocemente orientandosi verso ilpaesaggio della piantagione già dopo il 480 a. C., quando le suecampagne sono dette «ricche di vigneti e di alberi di ogni tipo». Nel406 a. C. i Cartaginesi, impegnati nella campagna di Sicilia, hannomodo di verificare la prosperità della chora agrigentina, ricca dioliveti e di vigneti e tanto ferace da esportare i suoi prodotti inAfrica. Sembra di leggere, in trasparenza nelle parole dello scritto-re, che vi fu dunque un apprendistato siceliota anche per i Cartaginesi.La prova è nel passo relativo alle imprese di Agatocle in Africa. Ilpaesaggio descritto e riferito al 306 a. C. sembra quasi un calco diquello agrigentino di un secolo prima. Le stesse dimore riscontratenelle campagne di Megalepoli hanno un sapore fortemente siceliotae magno-greco, soprattutto quando si tratta di epauleis. L’epaulissembra dunque proporsi come una tipica creazione della Siciliaclassica, non originale (per evidenti parentele greche e magno-greche) ma con connotati certamente forti.

In un momento che possiamo collocare fra la fine del V e gliinizi del IV sec. a. C. questo modello è fatto proprio dai Cartaginesi,che lo adattano alle diverse circostanze geografiche dell’Africadel nord e ad una scala maggiore (con molti più schiavi?). Losviluppo dell’agricoltura punica in senso intensivo nel IV sec. a.C. avrebbe portato al raggiungimento della maturità colturale allafine del secolo e, fra l’altro, si sarebbe verificato in contempora-nea con la formidabile crescita della città10. È da pensare, inoltre,che il modello abbia subito profonde modificazioni sullo stessosuolo siciliano, come dimostrerebbe la persistenza della prospe-rità agrigentina e geloa nel IV sec. a. C.

Questa impressione è, con le dovute cautele, confermatadall’archeologia, nelle sue grandi linee. Ed è proprio l’archeolo-gia a farci intravedere la relativa difficoltà nel reperire esempi diinsediamenti in ambito punico11.

2. L’archeologia e l’epaulis

Il problema è rappresentato dalla scarsità di esempi diinsediamenti di ambito punico e dalla esigenza di ricorrere a quelli

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del mondo greco di Occidente. In prospettiva, è indispensabiletrovare il debito confronto fra residenza cittadina e residenza ruraleanche perché, in molti casi, l’esperienza cittadina procede di paripasso con quella rurale. Le prime case ‘a peristilio’ (o meglio adaule) di Megara Iblea, di Monte Iato e di Morgantina sono databilialla metà del IV sec. a. C. o poco dopo12. Elemento costante diquesta nuova tendenza è lo spazio scoperto più o meno esteso che,nelle costruzioni più antiche, poteva essere anche recinto per glianimali e orto, integrando in parte le funzioni del lotto assegnatonella chora per la coltivazione.Tale spazio evolve successivamen-te in elemento di collegamento, fonte di luce e d’aria, luogoraccolto e chiuso verso l’esterno. Nelle campagne siceliote l’epaulissi diffonde a partire dalla metà del IV sec. a. C., ovvero nel periododi tregua in cui la Sicilia vede rifiorire i maggiori centri già distruttidai Cartaginesi. È questo un periodo di grande affermazionedell’insediamento sparso13. La aule delle dimore rurali è un cortile-spazio centrale14 ai lati del quale si dispongono gli ambientidestinati alla residenza dei proprietari, alla lavorazione e allaconservazione delle derrate alimentari, al ricovero degli animali edegli strumenti. In ogni caso, l’epaulis riproduce fedelmente lacasa greca coloniale di età avanzata, lasciando alle spalle l’espe-rienza delle tradizionali case a ‘L’ e a pastas. Per la verità, latradizione delle case a ‘L’ non venne del tutto abbandonata e nonnello stesso modo. Casi di persistenza di questa tipologia sono notiin area siracusana (Akrai e Noto)15.

In ogni caso, l’oikos cessa di essere la semplice dimoraunifamiliare per divenire unità cellulare complessa, residenzialee produttiva.

Le origini del fenomeno, almeno per quanto riguarda le areecoloniali, risalgono abbastanza indietro nel tempo16. Ricercherecenti nella Sicilia orientale stanno sempre più mostrando comecase a corte anche piuttosto complesse vengano costruite giàattorno alla metà del V sec. a. C.17. Passando alla Sicilia occiden-tale il pieno sviluppo della tendenza si ha invece dopo il 409 a. C.,con la distruzione dei principali abitati (Imera, ad esempio)operata dai Cartaginesi18. Si ebbe allora un fenomeno di tempo-ranea eclissi della città, accompagnato da una netta tendenza

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all’occupazione delle campagne e all’intensificarsi dell’insedia-mento sparso19. Questo, almeno, è quanto emerge anche dallericognizioni fin qui condotte.

Il momento della maturazione, almeno per ciò che riguardala Sicilia, va fissato nella matura età classica, più precisamente inetà timoleontea, ed è particolarmente tangibile nell’area geloa20.

Il momento avanzato (e terminale) dell’esperienza dellaepaulis in Sicilia occidentale è invece ben rappresentato dallagrande dimora di Contrada Mirabile (Mazara del Vallo)21. L’edi-ficio è infatti costruito nel II sec. a. C., ovvero in un momento incui era ormai ben lontano l’orizzonte storico delle epauleis insenso stretto. Benché la Sicilia avesse ormai da tempo superato ilmomento della prima romanizzazione e il momento delle granditrasformazioni indotte da Levino, l’ignoto proprietarioriproponeva, non senza un certo compiacimento, il modelloevoluto della casa greca a corte centrale.

Diverso è, invece, il problema delle conduzioni agricole. Unapporto del mondo punico, fosse esso o meno di lontana matricesiceliota e agrigentina, in questo senso è possibile ma, al momen-to, poco dimostrabile. Pare quindi preferibile ricercare eventualimodelli ispiratori nel mondo greco. Studi recenti22 hanno mostra-to come fra le tanti fonti di ricchezza dell’Attica fra V e IV sec.a. C. sia da annoverare l’agricoltura specializzata e i prodottiagricoli di pregio per il mercato. Nel demo di Atene (sud-ovestdell’Attica) vi sono ‘fattorie’ ben costruite costruite, alcune contorri, macine e torchi per olio. Agli insediamenti è collegato,almeno a partire dagli inizi del IV sec. a. C., un sistema diterrazzamenti, coinvolgente tutta la valle, che consente di mante-nere l’impianto degli oliveti, che producono su larga scala per ilmercato. La ricerca in questione consente di tracciare un quadrosignificativo della evoluzione dell’agricoltura greca nella pienaetà classica, l’immagine di un paesaggio agrario estremamenteevoluto. Contemporaneamente, in ambito magno-greco, cono-sciamo i risultati delle ricerche intraprese particolarmente in areaionica e adriatica23.

Nell’agro Segestano la ricerca aerofotografica ha consentitodi individuare una serie di opere di terrazzamento o di divisione

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agraria di una certa importanza, con particolare riferimento allafertile vallata situata fra il monte Pispisa e il monte Domingo e alvallone della Fusa, in vista del tempio. Naturalmente né la letturadelle fotografie né la ricerca sul terreno hanno consentito didatare queste anomalie. Si può solo dire che esse pertengonoevidentemente ad una fase di forte organizzazione dell’agricoltu-ra (tavv. XVII-XVIII).

È lo stesso Diodoro, in ogni caso, e senza parlare di epaulis,a fornire una bella immagine del paesaggio siciliano nel passag-gio fra età classica ed età ellenistica24, nel passo in cui descrivelo stupore dello storico Policleto di Larissa di fronte alla cantinadel ricco acragantino Tellia, tale da suscitare l’ispirazione per unadettagliata descrizione.

Avvicinandosi al comprensorio che qui interessa, quelloelimo, si è già rilevato quanto questo risulti particolarmentevivace fra la tarda età classica, l’età ellenistica e il II sec. a. C.25

(tav. XIX).Nell’occasione del precedente nostro contributo ericino il

dato emergente con particolare nitidezza nel territorio segestanoera rappresentato dalla alternanza fra fortune cittadine e fortunedelle campagne nel corso dei secoli compresi fra il V e il I sec. a.C. Alla prosperità di Segesta nella prima età classica corrispondevaun sostanziale vuoto nelle campagne; al declino della città all’in-domani dell’instaurarsi dell’eparchia cartaginese corrispondevainvece una crescita esponenziale dell’insediamento sparso (case dipiccole e medie dimensioni, alcuni villaggi nelle aree periferiche);alla ripresa cittadina, inquadrabile alla metà del II sec. a. C.corrispondeva un ripiegamento, relativo ma apprezzabile, delmedesimo insediamento sparso. Intendo precisare che il relativovuoto registrato dalle carte di distribuzione per le età arcaica eclassica, può anche essere soltanto apparente. Nella chorametapontina, ad esempio, le ricerche di J.C. Carter hanno mostratoi meccanismi di trasformazione di un territorio indigeno in unachora coloniale greca, ritrovando sul terreno le tracce deglistanziamenti pre-coloniali26. In genere, tuttavia, è più facile chequeste fasi più antiche siano state enucleate grazie a scavi mirati.Del resto, nella stessa Lucania, la visibilità dell’ethnos indigeno,

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che in ogni caso c’era sempre stato, viene resa improvvisamentenitida nel IV sec. a. C., allorché un più diffuso e più profondoprocesso di ellenizzazione permea in maniera decisiva le diverseculture locali. Allora nella architettura domestica si assiste alpassaggio dagli edifici del V sec. a. C., semplici e caratterizzati daspazi abitativi scarsamente differenziati, a quelli del IV sec. a. C.,con spazi specializzati e differenziazione delle funzioni maschili efemminili27. Inoltre va anche considerato il diverso modo diorganizzare il territorio. Fra V e IV secolo a.C., per esempio, ilprocesso di definizione della Leukania si svolge anche grazieall’affiancamento di case sparse agli oppida, connesse con ladiffusione di colture specializzate come la vite e l’olivo28.

In area elima, stando agli scavi condotti entro le mura diSegesta nelle architetture domestiche, sembra godere di partico-lare fortuna l’usanza di abitare in grotta. Sulle acropoli nord e sudsono stati individuati capanne e insediamenti rupestri di etàtardoarcaica e classica29. La città rupestre quindi potrebbe avereavuto un forte potere accentratore sul popolamento, almeno in etàarcaico-classica e questo potrebbe in parte spiegare la scarsitàdelle tracce archeologiche nel territorio circostante. Già per l’etàclassica possono essere fatte maggiori considerazioni rispetto aquella arcaica. I siti (17 in tutto) si trovano in posizioni significa-tive: alcuni sono poco al di fuori delle mura urbiche di Segesta,altri sono invece localizzati in zone eccentriche e talvolta ‘strate-giche’ (Monte Calemici, M. Pispisa, Terme Segestane, ContradaSasi) ed hanno la caratteristica di una lunga continuità di vita.

Se ciò è vero, non dovrà meravigliarci il fatto che la ricogni-zione trovi poche tracce di età arcaica e classica. Accanto ad unaquantità delle presenze effettivamente minore nei periodi citati,si dovrà considerare una scarsa efficacia del metodo di indaginenel rilevamento degli insediamenti di tipo rupestre. Questi ultimisono forse più facili da individuare attraverso analisi di dettagliodi fotografie aeree a bassa quota, approfondimenti toponomasticie ricognizioni particolarmente mirate e molto intensive. È co-munque un fatto che la ricognizione in generale assicuri unprofitto notevolissimo non appena, dopo la metà del V sec. a. C.,il modo di abitare in campagna si fece sempre meno elimo

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(rupestre) e sempre più greco (case). A riprova di questo è il fattoche l’incremento tumultuoso dell’insediamento sparso, un secolodopo o poco meno, viene documentato sia in superficie sia infotografia aerea, in tutta la sua potenza.

Sulla base delle conoscenze finora disponibili, sembra dipotere distinguere due tipi di esperienze: una greco-coloniale eduna romana. Uno stesso tipo di casa rettangolare oppure ad ‘L’,spesso con torri, che troviamo in Grecia (nella versione a pastas)e in Italia (nella versione tipo Villa Sambuco o Tolve) producedue effetti completamente differenti. In Magna Grecia la costru-zione allungata indigena sembra evolvere precocemente, ancheper effetto di una precoce romanizzazione culturale, verso unatipica casa romana ad atrio: è il caso evidente di Tolve30. In Siciliala persistenza del modello magno-greco e siceliota dell’epaulis ètale che, ormai nella piena età romana, un proprietario sicilianocostruisce la casa di Contrada Mirabile ancora seguendo quelmodello di casa a corte31.

3. Il comprensorio segestano

Contestualizzando i dati archeologici della ricognizionenell’ambito di un sistema di fonti e di documenti più complessi cisi accorgerà di quanto lontano possa arrivare il discorso e quantopiù valorizzata possa essere la materia. Un’area di frammentifittili è senz’altro una generica e anonima casa contadina mentreun’altra, analoga ma al tempo stesso con caratteristiche diverse,può essere interpretata in un altro modo: l’epaulis di DiodoroSiculo. Lo scrittore fornisce un’immagine articolata di questeresidenze: si tratta di case greche in tutto e per tutto, anche semediate dall’esperienza punica, con ambienti specializzati (abi-tazioni, stalle, depositi per alimenti) disposti attorno ad unospazio centrale (la aule) evidentemente aperto, una corte. I passidi Diodoro relativi alle epauleis e alle agroikiai finiscono perrendere comprensibili i ritrovamenti e per collocarli in unaprospettiva storica più ampia. I dati della ricognizione consento-no di intravedere il vorticoso dinamismo che caratterizzò lecampagne della Sicilia occidentale fra il IV e il II sec. a. C. Il

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problema è, semmai, quello di rendere percepibili le diversearticolazioni della tipologia insediativa.

Nella fase finale dell’età classica si avverte, sensibilmente,la crescita dell’insediamento rurale. Si diffondono nelle campa-gne segestane e soprattutto intorno a Segesta, piccoli insediamentirurali di carattere permanente posti in posizione dominante (incima alle colline, su lievi pendii, su pianori).

Una prima domanda sorge spontanea: esiste un nesso fra latemporanea eclissi della città e questo crescente successo dellecampagne? Intanto si dovrà constatare come un qualche rapportosussista fra gli eventi della storia istituzionale e il succedersi delpaesaggio contestuale.

La fitta occupazione delle campagne sembra inaugurarsi all’in-domani degli sconvolgimenti che caratterizzano gli ultimi anni delV secolo a.C. e i primi del IV sec. a. C. (inizio del processo di‘punicizzazione’ della Sicilia occidentale). La supremazia punica inquesta parte della Sicilia, sancita dal trattato del 405 a. C. e ribaditada quello del 374 a. C., trova riscontro, a livello di cultura materiale,nella presenza di anfore puniche che si diffondono in manierasempre più ampia proprio nel corso del IV sec. a. C. anche se inmaniera discontinua. Queste anfore rappresentano il segno tangibiledi contatti abbastanza stretti con la Tunisia e di un consolidamentodelll’eparchia, consolidamento che dovette concretizzarsi soprat-tutto dopo la conferma del trattato, nel 374 a. C.32.

Il paesaggio subisce profondi cambiamenti proprio nellafase di passaggio fra l’età classica ed ellenistica. Basti pensareche quasi il 50% dei siti rinvenuti durante la ricognizione sonodatati in età ellenistica o comunque hanno una fase di vita inquesto periodo. Di questi ritrovamenti solo il 25% possono essereconsiderati come frequentazioni extrasito, trattandosi per la mag-gior parte di siti stanziali a carattere permanente.

L’alta densità insediativa si riscontra in tutte le zone prese inconsiderazione, in particolare nei dintorni della città di Segesta,e la componente dominante del paesaggio periurbano e rurale è,in questo periodo, la ‘casa’.

Per obiettività, nella classificazione interna al progetto (Tab.3), sono stati interpretati come ‘casa1’ i ritrovamenti relativi a

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insediamenti piccoli e caratterizzati da scarsa monumentalità,almeno sulla base dei ritrovamenti di superficie. In queste casepiù modeste doveva risiedere un ceto medio estremamente colle-gato e inserito nella vita cittadina, come sembra dimostrare latendenza di queste dimore a scegliere siti di insediamento pros-simi a Segesta. L’attività economica di rilievo sembra essere inquesto caso l’allevamento ovino, accanto all’ovvia agricoltura disussistenza con qualche margine di surplus in virtù della favore-vole congiuntura agronomica. Si tratterebbe comunque di case dicampagna unifamiliari.

Ben diversa è invece la categoria delle ‘case2’, più grandi e,apparentemente, più ricche e articolate. Anzitutto è importante lalocalizzazione di queste case, situate spesso presso corsi d’acquae generalmente ben collegate alla viabilità principale. Case diquesto genere, come si è accennato, sono state scavate in diversezone della Sicilia, in particolare nel fertile retroterra di Gela(Manfria, Milingiana, Contrada Priorato)33 e nella zona tra Acrie Noto (Contrada Aguglia). Per l’area in questione, purtroppo,non sono disponibili scavi altrettanto illuminanti. In linea dimassima, e con le debite cautele, sembra però riscontrabile unagenerale corrispondenza tra i siti scavati nella Sicilia orientale ele Unità Topografiche individuate nei dintorni di Segesta, perdimensioni, posizione geografica dell’insediamento e tipologiadei manufatti rinvenuti.

Nella ‘casa2’ della ricognizione segestana va con ogniprobabilità ravvisato il tipo della epaulis da Diodoro indicato perla chora acragantina. È ancora una volta lo stesso scrittore afornire un’utile indicazione indiretta. Nel racconto relativo alleguerre servili (34-35, passim) il termine epaulis riemerge nellaforma caratteristica del popolamento delle campagne siciliane apartire dal IV secolo a. C. anche se con embrionali differenze ditipo gestionale, come si vedrà.

Ora, tenendo conto del fatto che l’origine delle guerre serviliè connessa con la geografia elima e segestana (il tumulto sarebbescoppiato ad Halyciae-Salemi), mi pare che vi siano sufficientimotivi per sostenere che nella zona vi erano delle epauleis, anchese diverse da quelle classiche. I confronti fra i ritrovamenti

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segestani e gli insediamenti scavati in altre zone della Siciliasono, al momento, virtuali. Dovendo scegliere una progenituraper l’epaulis diodorea, fra mondo punico, Grecia metropolitanae mondo magno-greco e siceliota, al momento non resta cheorientare la ricerca verso le tipologie più evolute dell’oikosclassico, con elementi di forte interazione da parte del mondocoloniale. Questa è, nei fatti, la fisionomia dei manufatti struttu-rali (tav. XX, 1-2).

In relazione alla visibilità esterna del fenomeno delle epauleistardo-classiche ed ellenistiche un aiuto, sia pure relativo, potrebbeprovenire dallo studio delle anfore commerciali. Si è accennatoalla presenza di anfore puniche, rinvenute nel corso della ricogni-zione in alcuni insediamenti sparsi e, in particolare, in quelliprossimi a Segesta. Le anfore puniche del periodo sono,presumibilmente, olearie e attestano la circolazione di olio nord-africano (cartaginese) in molti siti del Mediterraneo occidentale34.Tuttavia la stragrande maggioranza dei frammenti di contenitorida trasporto è pertinente ad anfore vinarie greco-italiche dei tipi piùantichi, quindi non provenienti dall’Italia centrale tirrenica bensì,con ogni probabilità, dalla Sicilia35. Circa il 97% (800 frammenti)delle anfore greco-italiche raccolte nelle ricognizioni appartienealle produzioni antiche . Anche ammettendo le inevitabili distor-sioni connesse con la documentazione archeologica di superficie,il dato, considerate le dimensioni del campione, appare particolar-mente significativo. La mole, e soprattutto l’implacabile regolari-tà, di questi ritrovamenti, spinge a confermare anche per Segestail quadro, accertato per l’intera Sicilia, di un’ampia diffusione nonsolo del vino italico, ma anche di quello di produzione locale.Accanto ad una diffusa attività pastorizia, attestata soprattuttonelle case più piccole, va quindi contemplata una spiccata vocazio-ne vinicola, generata dalle ‘casa2’/epauleis, in una fase che possia-mo collocare fra la seconda metà del IV e la fine del III sec. a. C.,con una lieve persistenza nei cinquanta-ottanta anni successivi. Ildato collima con il passo diodoreo relativo alla celebre cantina diTellia. Il tenore della vitivinicoltura elima, quantunque, al momen-to, non possa essere equiparato a quello di ambito acragantino,ormai divenuto quasi un topos storiografico confermato dalla

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ricerca archeologica, dovette comunque essere elevato.Ad ulteriore riprova di ciò è l’evidenza negativa rappresen-

tata dalla insignificante scarsità dei frammenti di anfore greco-italiche del tipo più maturo, databili nel II sec. a. C., e l’inconsi-stenza delle attestazioni di anfore Dressel 136.

Il dato ceramologico è confermato dalla epigrafiadell’instrumentum37, la quale mostra inequivocabilmente che icontenitori bollati del tipo greco-italico (MGS V e VI) sonodatabili entro la fine del III sec. a. C. In particolare, per quantoattiene all’ambito segestano, vi sono tre diversi tipi di attestazionirelativi all’antroponimo Onasos-Onasus che pongono una seriedi problemi. Il nome compare infatti:

- su alcune anse di anfore greco-italiche (∆Onavsou), unaconservata nella Collezione Whitaker38, un’altra provenientedalla ricognizione (tipo MGS VI della classificazioneVandermersch), e genericamente inquadrabile nel III sec. a. C.,quindi nella fase iniziale della vita di un sito (SG 108, del qualesi dirà);

- sempre in greco, su tegole ampiamente diffuse nella Siciliaoccidentale39. Dal sito SG108 proviene un frammento di coppocon bollo ∆Onavsou;

- in latino, nelle Verrine: Onasus Segestanus è il personaggiocelebrato da Cicerone per le sue belle qualità morali40.

Le tre attestazioni (anfore, tegole, Verrine) presentano pro-blemi interpretativi di difficile soluzione. A tutt’oggi esiste unasola, possibile, coincidenza, quella fra il personaggio delle tegolee il personaggio di Cicerone anche se tutt’altro che certa. Proprioper queste incertezze, viene da chiedersi se non sia strano che ilproprietario di una figlina per laterizi bollasse in greco i suoiprodotti ancora nel secondo quarto del I sec. a. C. e se sia proprionecessario identificare questi con l’Onasus ciceroniano. Quel cheinvece più interessa, in questa sede, è l’assoluta alterità delpersonaggio ravvisabile nell’antroponimo che compare sulleanse delle anfore greco-italiche41. Questi, infatti, per forza dicose, sarà vissuto almeno cento o centocinquanta anni prima, edavrà avuto un ruolo importante in un intenso commercio vinario,forse nei decenni della creazione della Provincia Prima o, al più

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tardi, in quelli successivi alla seconda guerra punica, commercioevidentemente collegato all’orizzonte delle ‘case2’/epauleis.Saremmo quindi in presenza di anfore inserite nella fase matura,terminale, dell’orizzonte dell’epaulis.

L’orizzonte vitivinicolo dell’epaulis (e della Sicilia), alme-no come fenomeno di ampia portata, è in stretto legame conquesta tipologia anforaria. Il consolidarsi del controllo romanosull’isola, e la diffusione originaria del sistema della villa nel-l’Italia centrale tirrenica, portano ad un drastico ridimensiona-mento della geografia produttiva delle campagne siceliote. Spo-standosi verso il I sec. a. C., si osserva che il numero deiframmenti di anfore vinarie del tipo Dressel 1, dilagante in altriambiti geografici e comprensoriali, è, almeno in questa zona,assolutamente insignificante. Si tratta di un’osservazione preli-minare e provvisoria, per l’insufficienza delle ricerche, ma chepotrebbe contribuire a spiegare almeno alcuni aspetti del grandecambiamento che si verifica nel II sec. a. C.

4. Epaulis e villa romana

L’epaulis si inserisce nel processo di formazione della villaromana attraverso l’«apprendistato siceliota» degli anni dellaprima guerra punica (conquista della chora agrigentina), forseanche attraverso lo stage in terra d’Africa del 255 a. C. (i superstitidell’impresa di Attilio Regolo avranno forse visto anche loro lebelle campagne tunisine attraversate cinquanta anni prima daAgatocle)42 e certamente nel corso della seconda guerra punica.Se si indaga il problema dal solo punto di vista della tipologiaarchitettonica (la casa ad atrio che avrebbe originato la domus equindi la villa), non vi è dubbio che le origini remote della villasi trovino in Etruria e nel Lazio. È ormai certo che i prodromi piùantichi della villa romana tardo-repubblicana vadano ricercatinelle sperimentazioni palaziali di età arcaica43. Fra la fine dell’etàregia e gli inizi dell’età repubblicana sono noti nel suburbiograndi edifici a corte centrale, circondati da vaste proprietà.Questi rappresentano una sorta di filone parallelo nell’evoluzio-ne degli insediamenti rurali, che sembra confluire, a distanza e

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grazie all’indispensabile acquisizione degli elementi provenientidalla temperie culturale ellenistica, nella villa varroniana dellametà del I sec. a. C.44.

Nel mezzo, l’orizzonte siceliota dell’epaulis rappresenta iltramite mediante il quale conoscenze agronomiche ricchissime edisparate, da quelle greche metropolitane a quelle magno-greche esiceliote, per finire alla tradizione punica di Magone, cui è tributatariconoscenza dagli scriptores ancora nel I sec. a. C. e nel I sec. d.C., si trasferiscono su suolo italico. All’indomani della conquista,la scarsa interferenza romana negli affari interni dei Sicelioticonsentì loro di godere un lungo periodo di sostanziale stabilità ebenessere45 e garantì anche ai paesaggi una fase di sostanzialeequilibrio. L’agricoltura dovette subire un nuovo impulso alla finedel III sec. a. C. in seguito al programma portato avanti da ValerioLevino per conto del senato romano, finalizzato alla ripresa produt-tiva della Sicilia all’indomani delle guerre puniche che coinvolseanche la parte occidentale dell’isola46. La stessa costruzione dellaVia Valeria, che congiungeva Messina a Lilibeo, dovuta probabil-mente allo stesso Valerio Levino, dovette favorire il territoriosegestano, in particolare la zona di Ponte Bagni: la statio di etàromana imperiale, individuata nel corso della ricognizione e daidentificare con quella denominata Aquis Segestanis sive Pincianis(Itinerarium Antonini 91, 2), fu sicuramente preceduta da strutturedi età ellenistica con analoghe funzioni.

La riforma, e il conseguente sbarco nell’isola di personaggidi origine romana e italica (soprattutto), massiccia in Siciliaoccidentale, introdussero tuttavia i primi germi di un cambiamen-to che si mostrò soprattutto nel II sec. a. C.47. La provinciaapparve allora come la sede ideale per quelle colture granarie dicui tanto bisogno aveva un’Italia allora sempre più orientataverso la vite e verso l’olivo, tanto più nelle regioni geograficheprossime all’Urbe. Il crescente peso dei rifornimenti annonaricostrinse la provincia a produrre sempre più grano e ad espanderetanto le superfici coltivate a cereali quanto le turmae deglischiavi. Questo portò, nel tempo, alla situazione critica chedeterminò il bellum servile del 136 a. C.

Eppure, almeno in questo caso, non vi sarà un ritorno in

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Sicilia delle libere rielaborazioni avvenute nelle ricche piantagio-ni dell’Italia centrale tirrenica. Il tipo insediativo della villaromana è, in Sicilia, un fantasma, per motivi che ora cercheremodi spiegare. Il concetto della domus/palatium ellenistica non eraestraneo alla Sicilia. Agli inizi del percorso possiamo collocare ilvicino esempio di Monte Iato, dove un grande edificio di 800metri quadrati viene costruito fra la seconda metà del IV e il IIIsec. a. C.48 Gli ambienti sono distribuiti su due piani attorno ad unperistilio e vi sono ambienti di rappresentanza, alcuni dei qualidecorati con mosaici (esedre e due andrones). Al termine delpercorso si pone invece la Domus detta del Navarca, sull’acropoliSud di Segesta49. La Casa rivela, grazie anche alle celebridecorazioni architettoniche a forma di rostro, che hanno consen-tito l’identificazione del proprietario nella figura del navarcaEraclio, amico di Cicerone, un gusto per gli abbellimenti e lefiniture che ben si ambienta nel volgere fra II e I sec. a. C., anchein un centro ormai inesorabilmente avviato a divenire cittadina diprovincia come Segesta. Quantunque il Navarca porti con sél’idea stessa di villa e di domus, dimostrando che vi furonocomunque personaggi di spicco nella zona, a quell’epoca, l’idearimase lettera morta. Nella Sicilia non può descriversi un paesag-gio della villa romana, non solo nei termini evidenti per l’Italiacentrale tirrenica, ma neanche in quelli, più sfumati, riscontrati inApulia50, nella Calabria romana51, nel Bruzio52. Questa convin-zione è basata su alcuni fatti a mio avviso inoppugnabili. Anzitut-to mancano in Sicilia quelle attestazioni, letterarie ed epigrafiche,di senatori romani, ovvero dei personaggi che normalmenteerano fondatori e proprietari delle grandi ville e delle grandiaziende53. Anche se la presenza di personaggi di origine romanae italica appare massiccia in Sicilia occidentale, non sembranoesservi, fra questi, a parte alcuni elementi di rango equestre, chiavrebbe potuto figurare quale dominus di una azienda agricolaparagonabile a quelle del Tirreno centrale54.

Secondariamente le ville, in quanto manufatti architettonicidi rilievo, quindi monumentali, devono, senza possibilità diequivoco, essere trovate (dallo studio delle foto aeree, dagli scavi,dalle ricognizioni), come, in un modo o nell’altro, è avvenuto in

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Apulia, in Calabria e nel Bruzio. Se è possibile indicare almenocinquanta esempi di ‘casa2’/epaulis per il periodo che va dallaseconda metà del IV alla prima metà del II sec. a. C., diventaoltremodo difficoltoso suggerire un esempio di villa per la tardaetà repubblicana nell’agro Segestano. L’unico caso, dubbioso, èquello del sito SG 108, situato ai piedi del monte Pispisa, con bellavista sulla collina del tempio, dal quale proviene il frammento dicoppo con bollo ∆Onavsou (vd. supra), forse identificabile con ilpersonaggio ciceroniano.

In conclusione, vi erano a Segesta personaggi (non romani)ambiziosi al punto di costruire dimore decorate con sfarzo e conricercatezza, già a cavallo dei secoli II-I sec. a. C., e di procurarsile maestranze in grado di realizzare tali aspirazioni. Tutto questoè indice, fra l’altro, di un elevato tenore della vita cittadina55,confermato, se mai ve ne fosse bisogno, dalla scenografica emonumentale risistemazione urbanistica della città, avvenutanella seconda metà del II sec. a. C., quando furono erettisull’acropoli Nord l’agorà, il bouleuterion, il ginnasio, il teatro eun tempio56. Nelle campagne, invece, sembra di assistere ad unafase di stagnazione e non vi è traccia di un nuovo orizzonte,paragonabile a quello cittadino (ad eccezione del citato caso diSG 108, peraltro incerto).

Le fonti contribuiscono a spiegare questa assenza, anche sein maniera indiretta. È, ancora una volta, il passo delle Verrinerelativo all’agro Segestano, a fornire qualche indizio utile. Unadelle vittime di Verre, Diocles, Panhormitanus, Phimescognomine, homo inlustris ac nobilis, coltivava un agrum nelSegestano, da lui affittato (conductum), dal momento che in quelterritorio la terra non può essere oggetto di compravendita,verosimilmente perché di proprietà sacra (del tempio) sulla basedi normative presumibilmente assai arcaiche57. In questa sede anoi interessa soprattutto il fatto che un personaggio inlustris acnobilis, evidentemente ricco, fosse precisamente un conductor(fittavolo, affittuario) e quindi non titolare dello status di dominus.

L’altra, essenziale, informazione, fornita da Cicerone, ri-guarda l’estensione dell’agrum conductum da Diocles, quale puòessere ricostruito dalla elevata decima che questi era tenuto a

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pagare annualmente: 2042 iugeri (ca. 511 ettari)58. Una similesuperficie esorbita (e di molto) rispetto alla scala di grandezzamedia dei fundi delle ville romane di tipo classico, avvicinandosiinvece alle ville dette «periferiche»59, ovvero ad aziende medio-grandi caratterizzate dalla tendenza alla dilatazione, da una mino-re accentuazione verso le colture specializzate e da una maggiorearticolazione delle attività agricole, fra le quali, in ogni caso, lacerealicoltura, meno redditizia e meno rischiosa, doveva occupa-re un ruolo importante. Fra l’altro, il sistema della conductio parecaratteristico e vantaggioso per la gestione di parti anche ampiedi territorio. Esso può funzionare anche bene in contesti cerealicoli,non richiedendo necessariamente la creazione di manipoli dischiavi specializzati nelle diverse attività/settori del fundus maabbisognando delle normali competenze ‘contadine’ degli agri-coltori di condizione libera presenti in zona e della forza lavoronaturale degli schiavi comuni. È evidente che, in una situazionesimile, si è veramente a un passo dal latifondo, inteso almeno insenso generale. Il problema è, a questo punto, cercare di capirequando sia avvenuta la trasformazione da sistema tardo-classicoed ellenistico dell’epaulis a sistema del latifondo quale, forse,vediamo sorgere nel I sec. a. C. e che, per molti versi, prefigurai paesaggi della piena età imperiale.

5. L’esito finale dell’epaulis

Un mito va sfatato, almeno alla luce di queste ultime ricer-che: quello di una nascita precoce del latifondo nel comprensoriotrapanese, nato addirittura agli inizi del III sec. a. C. sull’onda diuna crisi della piccola e della media proprietà60. In realtà i datiquantitativi mostrano univocamente come l’orizzonte dell’epaulisperduri senza eccessivi traumi almeno fino alla prima metà del IIsec. a. C. Un sensibile cambiamento, emergente anche dai dati disuperficie, è rappresentato dalla netta flessione dell’insediamen-to sparso a partire dalla seconda metà del II sec. a. C. Come si eraavuto modo di dire in un contributo precedente61, la concomitanteriorganizzazione della vita urbana spinge a credere che non vi fuun decremento demografico, né per causa del bellum servile né

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per causa delle guerre civili. I dati che pare di potere registraresono: l’abbandono delle aree periferiche rispetto a Segesta e ilcambiamento nelle tipologie insediative. Dei siti ellenistici so-pravvivono i più grandi mentre tendono a scomparire le ‘case1’,segno della crisi inarrestabile del modello della piccola e dellamedia proprietà. Tuttavia questo fenomeno potrebbe non denota-re una flessione demografica rurale, bensì un cambiamentonell’organizzazione socio-economica delle campagne. Infattimentre diminuiscono fortemente le case monofamiliari, rimanepressoché invariato il numero delle unità abitative più grandi,probabili centri di fundi di dimensioni maggiori rispetto al peri-odo ellenistico e in progressiva espansione. Ciò non ci autorizzaa parlare di diffusione del latifondo nel territorio di Segesta in etàromana repubblicana ma ci permette di accertare l’esistenza diproprietà terriere che vanno via via crescendo.

Allora, forse si può dire che l’instabilità delle campagne apartire dal 136 a. C. non causò diminuzione della popolazione macertamente abbandono dei siti piccoli, considerati ormai insicuri,facendo ritenere preferibili insediamenti più grandi e, in qualchemisura, accentrati. Del resto, è ancora Diodoro (34, 27-29) a fornireuna dettagliata spiegazione degli eventi degli ultimi trenta anni delII sec. a. C.: una massa di schiavi, nella quale dobbiamo vedere cosadiversa dai pacifici oiketai che avevano garantito il funzionamentodelle epauleis nei due secoli precedenti, aveva inondato (epekluse)la Sicilia e, con il tempo, aveva finito per costituire vere e propriebande affidate a sé stesse. Costoro, prosegue il racconto, primaammazzavano coloro che si fossero messi in viaggio da soli o inpiccoli gruppi, poi cominciarono ad assalire di notte le epauleis deimeno potenti. Il passo appare assai significativo perché mostracome, inevitabilmente, non poté esserci maturazione fra la fasedell’epaulis e quella della villa. In un dato momento, che possiamofissare all’indomani della distruzione di Cartagine, la Sicilia fuinvasa da una marea di servi. Questa stupefacente disponibilità diforza-lavoro non innescò però nell’isola il processo virtuoso desti-nato a portare agli ordinati paesaggi delle ville, come nel Tirrenocentrale, bensì dette vita ad una crescente destabilizzazione. Esitoanalogo si legge nello sviluppo planimetrico dell’epaulis matura di

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Contrada Mirabile62. Alla casa è aggiunto il nuovo edificio a cortesul lato est nel quale può essere individuato un luogo per l’alloggiodegli schiavi (un ergastulum?), proprio nella seconda metà del IIsec. a. C., ormai sull’orlo delle guerre servili. Fra l’altro, la stessasuperficie arabile disponibile calcolata dagli scavatori, valutata in150 ettari, fa del fundus di Contrada Mirabile una proprietà mediama, in ogni caso, di gran lunga superiore a quella della villa diSettefinestre (125). Come è stato osservato, questo non è il paesag-gio del latifondo e si è ancora più nel fundus che nel saltus. Tuttaviami pare che, nelle architetture e nella stratificazione, ContradaMirabile rifletta un cambiamento in fase embrionale che si svilup-perà poi non nel senso della villa ma nel senso del latifondo.

È il mondo dell’epaulis e della agricoltura specializzata chetramonta e lo stesso edificio finisce per assumere un aspettosempre più accentrato con il passare del tempo.

Questo mondo non venne sostituito da niente che gli assomi-gliasse, anche vagamente. Decolla, già a partire dalla tarda etàrepubblicana, l’orizzonte dei villaggi. A questo, di per sé com-plesso e al di fuori del tema di questo contributo, dedicherò unrapido accenno.

Troppo spesso alcuni insediamenti di un certo spessore sonostati promossi socialmente e interpretati come ville. Il fatto è che,non di rado, il tema e l’immagine ingombrante della villa hannofinito per confondere la vista degli antichi come dei moderni. Inverità gli stessi antichi avevano le idee poco chiare sul tema delvillaggio63 quantunque il villaggio inteso come agglomeratorurale con una certa consistenza demografica fosse un elementocaratteristico dei paesaggi di molte zone dell’Italia antica.

In realtà, in alcuni casi e in alcune circostanze geografiche,l’abitare in villaggio (per pagos o katà kòmas) era condizionetutt’altro che disprezzabile, come può evincersi dagli esempi diagglomerati rurali di aree in cui, pure, la villa fu fenomeno assaicaratterizzante e incisivo, come l’Etruria o la Apulia, aree in cui,spesso, vici e pagi crebbero di importanza fino a diventare dellediocesi64. Nei villaggi potevano trovarsi infrastrutture e oppor-tunità ancor più che nelle stesse città.

Per la verità, anche nel periodo di maggiore intensità dell’in-

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sediamento sparso, il villaggio sembra detenere un proprio ruolo.La carta dei siti dell’età ellenistica mostra chiaramente comenelle aree centrali si abbiano case di maggiori o minori dimensio-ni, nelle aree periferiche i villaggi, in prevalenza. Questo pare undato di straordinario interesse. Come pure interessante pare ilfrequente collegamento fra villaggi e sfruttamento delle risorseidriche. Pagani sono coloro che eadem aqua utuntur dirà poiFesto65 e questa coincidenza appare talvolta direttamente stru-mentale (necessità dell’acqua), talvolta mediata da forme di cultodelle acque, come avviene nel caso delle Aquae Segestanae. Nelcaso, va ricordato che questo santuario, circondato da unanecropoli66, sembra conoscere la sua fase di maggiore spiccoproprio in età ellenistica, ovvero nel periodo d’oro dell’insedia-mento sparso (tav. XX, 3).

Saranno proprio questi villaggi, in gran parte sopravvissuti aisecoli d’oro dell’insediamento sparso (IV-II sec. a. C.) a riprenderein mano le sorti della Sicilia di età imperiale, ormai orfana diinsediamento sparso ma anche di città, e a trasformarsi in poli diaggregazione demica di straordinaria energia. Su questo punto, cheè da considerare di straordinario interesse, la ricerca è appena agliinizi. Non è da escludere, fra l’altro, che, scavando un giorno unaepaulis caratterizzata da una lunga fase di vita, non si debbascoprire che anche alcune di esse, fra le quali, forse, ContradaMirabile, finirono per trasformarsi in villaggi, secondo una linea disviluppo propria di alcune ville dell’Italia centrale67.

La posizione geografica di questo tipo di insediamento èparticolarmente interessante: i villaggi occupano infatti siti dialtura e sono posti in posizione dominante e di controllo rispetto aicorsi d’acqua e alla viabilità principale. I villaggi più grandi sonovicini ai maggiori fiumi della zona: Gaggera, Caldo e Freddo. Sonoinoltre posti sui versanti di una vallata sul fondo della quale sidoveva trovare la strada principale che consentiva lo sbocco almare di Segesta. La zona di Ponte Bagni, occupata in età romanada una statio, risulta frequentata e abitata fin dall’età ellenistica. Ilcontatto di questi insediamenti con il mercato è, del resto, dimostra-to, oltre che dalla loro vicinanza alle principali vie di comunicazio-ne, anche da un’osservazione a suo tempo fatta sui tipi di fossili-

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guida presenti nei villaggi siciliani di età imperiale. Si era visto,infatti, che, nei secoli II-IV d. C., dall’Africa si importano cospicuequantità di vasellame da mensa a fronte di importazioni di anforeolearie e da conserve di pesce assolutamente insignificanti. Queivillaggi avevano dunque un’ottima capacità di acquisto nei con-fronti di merci esterne dal costo contenuto ma, al tempo stesso,dovevano essere autosufficienti dal punto di vista alimentare68,capaci di produrre olio (si ricordi il torchio oleario rinvenuto aSegesta) e vino per il proprio consumo, oltre al grano, la cui diffusapresenza è confermata, se mai ve ne fosse bisogno, dai frammentidi macina in pietra lavica ritrovati in molti siti69.

Si può in ogni caso supporre che almeno in questa parte dellaSicilia occidentale non si praticasse ancora una monocoltura,almeno non nel senso ossessivo che ci si aspetterebbe da unlatifondo pienamente strutturato, ma che si alternassero coltiva-zioni di cereali, di olivi e di viti. Nei grandi villaggi e nelle casesuperstiti del Segestano, probabilmente, risiedeva una popola-zione di estrazione locale, non siamo in grado di dire, al momen-to, se coincidente con quei coloni o servi agricultores di cui si hanotizia dalle fonti70.

Dal ragionamento emerge soprattutto una conclusione pre-liminare: il dinamismo che, giustamente, l’archeologo identificanell’insediamento cittadino, viene ad estendersi alle campagne,troppo spesso viste come il luogo della stagnazione e del tempolungo. In realtà le campagne, almeno quelle siciliane, sannoessere straordinariamente dinamiche, siano esse più o menosensibili e recettive ai modelli urbani. Del resto, a ben vedere, nonrappresenta forse la stessa epaulis una sorta di proiezione dellacittà nella campagna, anche a prescindere delle sorti degliinsediamenti urbani, proprio come, in Italia, le ville romanesaranno delle piccole città nelle campagne? Ed è vero che la partedell’Italia interessata in maniera più precoce e più intensiva dalfenomeno delle ville coincide con quella nella quale più profondae più forte è stata l’incidenza del fenomeno della colonizzazionee della urbanizzazione di età romana (e anche preromana), comese esistesse una sorta di forza di attrazione esercitata sulle ville da

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parte delle aree caratterizzate da una storia urbana antica, profon-da e articolata. Potrebbe essere altrettanto non casuale che,sempre in Italia centrale, la riconversione profonda a cui andaro-no incontro le ville sia stata quasi contestuale all’inizio delladecadenza delle città, a partire dal II sec. d. C.

Si era detto che, almeno dall’età arcaica e fino al I sec. a. C.,esiste un’alternanza fra fortuna della città e fortune delle campa-gne in area segestana71. Le fortune delle campagne, almeno perquel che può essere dimostrato dalla ricerca sul campo, sembranoiniziare con le sfortune cittadine, fra la fine del V e il IV sec. a. C.È però un fatto che le campagne comincino embrionalmente aprosperare prima che la città entri in crisi. Vi è allora da chiedersise il decollo dell’insediamento rurale non cominci proprio quan-do Segesta ha ancora un effetto direzionale sulle campagne e sequindi questo non sia un effetto del consolidarsi della vita urbanapiuttosto che un’alternativa ad esso. È comunque un fatto che,quale che sia la datazione iniziale del fenomeno, il suo emergerein modo prepotente va collocato a partire dalla metà o nellaseconda metà del IV sec. a. C.

Questo contributo apre probabilmente più questioni di quan-te, in realtà, ne risolva. Credo, però che sia giunto il momento diconsiderare realmente il problema delle tipologie insediative, delloro rapporto con il contesto e dei paesaggi che esse stesseconcretamente contribuirono a costruire sia alla luce delle fonti,che alle cose danno un nome, sia alla luce di nuove indaginistratigrafiche che, auspicabilmente, dovranno essere avviate sucase sparse e villaggi della Sicilia.

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NOTE

1 Le recenti esperienze archeologiche nella Sicilia occidentale, esoprattutto le belle relazioni presentate in queste Quarte Giornate dai colleghidel Laboratorio della Scuola Normale, indicano che questo è un buon mododi procedere e fanno pensare se non si debba creare una sorta di Seminarioallargato sul tema dell’insediamento rurale nella Sicilia elima. Questo potreb-be essere realizzato anche verificando la possibilità di una codifica ragionatadelle interpretazioni date ai diversi insediamenti, partendo da quelli noti,scavati e pubblicati fino ad arrivare a quelli scoperti con le recenti ricognizio-ni, sfuggenti per loro stessa natura ma capaci comunque di esercitare un ruoloimportante come massa critica. Tutto questo potrebbe poi essere messo e resoconsultabile in rete e, con il tempo, reso suscettibile di aggiornamenti intempo reale.

2 Intervento di D. Manacorda al Seminario senese di studio suPopulonia.

3 Nella letteratura casa indica un domicilio stabile. Comunementeessa è la dimora rurale o pastorale, collegata a un fundus, ciò che spiega connitidezza la sua pertinenza al mondo della campagna. In poesia può talvoltaessere concettualmente accostata all’immagine, ben più miserabile, deltugurium, oppure a quella, arcaizzante, della dimora degli uomini primitivi.Il termine è infatti usato anche da Livio (3, 13, 10; 3, 26, 9) per indicare eventirelativi a episodi di conquista.

4 A. CARANDINI, La villa romana e la piantagione schiavistica, inStoria di Roma 4, Torino 1989, 101-200, in part. 112-113.

5 Esperienze che possono atavicamente ricollegarsi a quella dellavilla romana sono da individuare nei palazzi e nelle dimore di età arcaica: cf.G. RICCI - N. TERRENATO, La villa dell’Auditorium, in BAR Int. Series, 718,1998, II, 45-52. Il problema è, evidentemente, assai complesso. Da un lato vaconsiderato il radicamento, in molti orizzonti regionali, di modelli palazialivariamente articolati (fra cui quelli etruschi), del quale soltanto da pochi annisi sta tenendo la debita considerazione, dall’altro la diffusione dei ‘nuovi’modelli di ispirazione ellenistica. Un terzo, importante, elemento, è rappre-sentato dalla adozione di un sistema di uso del suolo particolarmente evoluto.Esiste quindi una terza domanda alla quale trovare una risposta: fu, nellaprospettiva della creazione della villa romana, decisivo l’apporto dell’ap-prendistato siceliota?

6 Per un commento alla ‘Bibliotheca’ diodorea, cf. G. CORDIANO,Introduzione generale, in G. CORDIANO - M. ZORAT (a cura di), DiodoroSiculo. Biblioteca storica, libri I-VIII, Milano 1998, 11-34, 11-21.

7 Per cui cf. S. I. MC DOUGALL (ed.), Lexicon in Diodorum Siculum,Hildesheim - Zurich - New York 1983, ad v.

8 Pare significativa la fedeltà di Diodoro a questo lessico: alle dieci

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164 F. CAMBI

citazioni dell’autore (riportate nella tabella) vanno aggiunti soltanto: Plutarco(Pomp., 24; Pericl., 33; Poplic., 5, 8 et alibi); Filone (Vita Mosis, 1); Ateneo(5, 215)..

9 A. CARANDINI (a cura di), Settefinestre. Una villa schiavisticanell’Etruria romana, I*, Modena 1985, 107-108; ID., Schiavi in Italia, Roma1988, passim.

10 CARANDINI, Schiavi... cit., 271.11 Cf. M. DE VOS (a cura di), Rus Africum. Terra, acqua, olio

nell’Africa settentrionale, Catalogo della mostra, Trento 2000.12 M. BARRA BAGNASCO, Edilizia privata e impianti produttivi urbani,

in G. PUGLIESE CARRATELLI (a cura di), I Greci in Occidente, Catalogo dellaMostra, Milano 1996, 353-360.

13 A. BOVE, La tipologia strutturale dell’insediamento agricolo pre-sente nella Sicilia centro-occidentale, SicA, XXVII, 84, 1994, 79-126.

14 Non lo definirei come «atrio», termine che designa esattamente ilcuore della casa romana.

15 P. PELAGATTI - G. CURCIO, Akrai (Siracusa). Ricerche nel territorio,NSA, 1970, 436-523; M. AIELLO, Considerazioni su alcuni siti rurali nelterritorio di Siracusa, in «Insediamenti rurali nella Sicilia antica, Atti delleGiornate di Studio, Caltagirone 1992», Aitna, 2, 1996, 71-73.

16 Si vedano le ottime sintesi per territorio in: M. BARRA BAGNASCO -E. DE MIRO - A. PINZONE (a cura di), «Magna Grecia e Sicilia. Stato degli studie prospettive di ricerca, Atti dell’Incontro di Studi, Messina 1996», Messina1999; «Insediamenti rurali nella Sicilia antica. Atti delle Giornate di Studio,Caltagirone 1992», Aitna, 2, 1996.

17 Nella chora di Camarina: Fattoria Iurato, epaulis di venticinquemetri di lato con torre, cisterne, torchi oleari e granaio. La costruzione diqueste grandi case di campagna è messa in relazione con la rifondazionedemocratica post-tirannica geloa del 461 (G. DI STEFANO, Insediamenti ruralinella chora di Camarina, in «Insediamenti rurali nella Sicilia antica, Attidelle Giornate di Studio, Caltagirone 1992», Aitna, 2, 1996, 25-34.

18 V. ALLIATA - O. BELVEDERE et alii, Himera III, Roma 1988.19 BOVE, La tipologia strutturale... cit.20 Un caso fra gli altri è costituito dal sito di Contrada Priorato (BOVE,

La tipologia strutturale... cit.)21 E. FENTRESS - D. KENNET - I. VALENTI, A Sicilian Villa and its

Landscape (Contrada Mirabile, Mazara del Vallo), Opus, V, 1986, 75-96.22 B. WELLS (ed.), Agriculture in Ancient Greece, Acta Instituti

Atheniensis Regni Sueciae, S. 4°, XLII, 1992, in particolare i contributi di R.Osborne, H. Lohmann, A. Sarpaki, M. C. Amouretti.

23 In generale: contributi in F. D’ANDRIA - K. MANNINO (edd.),«Ricerche sulla casa in Magna Grecia e in Sicilia, Atti del Colloquio, Lecce1992», Galatina1996; M. GUALTIERI (ed.), Fourth Century B.C. Magna

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165INSEDIAMENTI ELLENISTICI NEL TERRITORIO SEGESTANO

Grecia: a Case Study, Jonsered 1993; J.C. CARTER, Between Bradano andBasento: Archaeology of an Ancient Landscape, in W. M. KELSO – R. MOST

(edd.), Earth Patterns. Essays in Landscape Archaeology, Charlottesville -London, 1990, 227-244; D. YNTEMA, Greek, natives and farmsteads in south-eastern Italy, in H. SANCISI - WEERDENBURG et alii (edd.), De Agri cultura,Amsterdam 1993, 78-96.

Metaponto: J.C. CARTER, Vent’anni di ricerca nel territorio di Metaponto,in «Sibaritide e Metapontino. Storia di due territori coloniali. Atti dell’Incon-tro di Studi, Policoro 1991», Napoli - Paestum 1998, 237-260; ID., TheDecline of Magna Graecia in the Age of Pyrrus? New evidence from theChora, in T. HACKENS et alii (edd.), The Age of Pyrrus, ArchaeologiaTransatlantica, XI, Providence-Louvain 1992, 97-145.

Sulla Messapia: F. D’ANDRIA, Insediamenti e territorio: l’età storica, in«I Messapi. Atti del XXX Convegno di Studi sulla Magna Grecia, Taranto -Lecce 1990», Taranto 1991, 393-478; ID., La casa in Messapia, in D’ANDRIA

- MANNINO, Ricerche sulla casa... cit., 403-438; D. YNTEMA, In Search of anAncient Countryside, Amsterdam 1993; G.J.L.M. BURGERS, ConstructingMessapian Landscapes, Amsterdam 1998.

24 DIOD., 13, 83, 3: Policleto nelle sue Storie descrive la cantina nellacasa [di Tellia, ricco acragantino], ancora esistente ai suoi tempi, avendolaegli visitata quando era soldato ad Agrigento: 300 pithoi scavati nella roccia,ciascuno dei quali conteneva 100 anfore. Vi era una vasca intonacata dellacapacità di 1000 anfore, da cui il vino scorreva nei pithoi (F. PESANDO, La casadei Greci, Milano 1989, 150).

25 Cf. S. BERNARDINI - F. CAMBI - A. MOLINARI - I. NERI, Il territoriodi Segesta fra l’età arcaica e il Medioevo, in «Atti delle Terze GiornateInternaz. di Studi sull’Area Elima, Erice - Gibellina - Contessa Entellina1997», Pisa-Gibellina 2000, 90-133.

26 J.C. CARTER, Insediamenti agricoli, in G. PUGLIESE CARRATELLI (acura di), I Greci in Occidente, Milano 1996, 362-368.

27 A. RUSSO TAGLIENTE, Processi di trasformazione nell’ediliziadomestica della Basilicata centro-settentrionale, in M. BARRA BAGNASCO - E.DE MIRO - A. PINZONE (a cura di), «Magna Grecia e Sicilia. Stato degli studie prospettive di ricerca. Atti dell’Incontro di studi, Messina 1996», Messina1999, 107-116.

28 A. RUSSO TAGLIENTE, Tipologie nel mondo indigeno della Basilicatatra IV e III secolo a.C., in BAR, Int.Series, 718, II, Oxford 1998, 65-74.

29 R. CAMERATA SCOVAZZO, Note di topografia segestana, in «Attidelle Seconde Giornate Internaz. di Studi sull’Area Elima, Gibellina 1994»,Pisa-Gibellina 1997, 205-226.

30 RUSSO TAGLIENTE, Tipologie... cit.31 FENTRESS - KENNET - VALENTI, A Sicilian Villa... cit.32 P. ANELLO, L’area elima nel V e IV secolo a.C., in «Atti delle Terze

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166 F. CAMBI

Giornate Internaz. di Studi sull’Area Elima, Erice - Gibellina - ContessaEntellina 1997», Pisa-Gibellina 2000, 13-39.

33 Cf. PELAGATTI - CURCIO, Akrai... cit., in part. 438-499; R. MARTIN

- G. VALLET, L’architettura domestica, in E. GABBA - G. VALLET (a cura di),La Sicilia antica, Napoli 1980, II, 338-340; BARRA BAGNASCO, Ediliziaprivata e impianti produttivi urbani... cit.

34 Per cui si veda J. RAMÓN TORRES, Las ánforas fenicio-punicas delMediterraneo central occidental, Barcelona 1995.

35 C. VANDERMERSCH, Vin et amphores de Grande Grèce et de Sicileen IV-III siècle av. J. Ch., Naples 1994.

36 Al contrario di quanto accade in Etruria, Lazio e Campania, dovele tipologie dei contenitori di passaggio fra le greco-italiche e le anforeDressel 1 tardo-repubblicane tendono ad aumentare costantemente di numeroa partire dai decenni successivi alla guerra annibalica: cf. D. MANACORDA, Aproposito delle anfore cosiddette greco-italiche: una breve nota, in J.Y.EMPEREUR – Y. GARLAN (éds.), «Recherches sur les amphores greques. Actesdu Colloque, Athènes 1984», BCH, Suppl. 13, 1986, 581-586; A. TCHERNIA,Le vin dans l’Italie romaine, Rome 1986.

37 Cf. B. GAROZZO, I bolli anforari della collezione Whitaker, in «Attidelle Terze Giornate Internaz. di Studi sull’Area Elima, Gibellina - Erice -Contessa Entellina 1997», Pisa-Gibellina 2000, 547-633; ID., Nuovi bollianforari dalla Sicilia occidentale, in ASNP, S. IV, Quaderni, 1, 1999, 281-383, 315, n. 47.

38 GAROZZO, I bolli anforari... cit., 570-571, nr. 28; 547-633; ID.,Nuovi bolli anforari... cit., 315, nr. 47.

39 L. BIVONA, Epigrafia romana, Kokalos, XXXIV-XXXV, 1988-1989, 427-436, passim.

40 BIVONA, Epigrafia romana... cit.; G. NENCI, Onasus Segestanus inGirolamo, Ep. 40, RFIC, CXXIII, 1995, 90-94; ID., I toponimi Segesta eCalatafimi e il regime delle terre nell’ager Segestanus, in C. MONTEPAONE (acura di), «Studi in memoria di Ettore Lepore», Napoli 1996, 479-488.

41 La datazione paleografica dei bolli porterebbe alla prima metà delII sec. a. C. (Garozzo, I bolli anforari... cit., 570-571, nr. 28; 547-633; ID.,Nuovi bolli anforari... cit., 315 , nr. 47), con uno slittamento verso il bassodella cronologia, rispetto alla datazione tipologica dell’anfora.

42 G. PUCCI, Schiavitù romana nelle campagne, in A. CARANDINI (acura di), Settefinestre. Una villa schiavistica nell’Etruria romana, I*, Mode-na 1985, 15-21.

43 G. CIFANI, Caratteri degli insediamenti rurali nell’ager Romanustra VI e III secolo a.C., in BAR, Int. Series, 718, II, Oxford 1998, 53-57.

44 TERRENATO - RICCI, La villa dell’Auditorium... cit.; P. CARAFA, Ledomus tardo arcaiche della Sacra via e l’origine della casa italica ad atrio,in BAR, Int. Series, 718, II, Oxford 1998, 35-44.

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167INSEDIAMENTI ELLENISTICI NEL TERRITORIO SEGESTANO

45 PINZONE, La romanizzazione... cit., 859 sgg.46 PINZONE, La romanizzazione... cit., 859 sgg.47 PINZONE, La romanizzazione... cit., 849-878.48 H. P. ISLER, Monte Iato: Scavi 1992-1994, in «Atti delle Seconde

Giornate Internaz. di Studi sull’Area Elima, Gibellina 1994», Pisa-Gibellina1997, 1019-1028; ID., Monte Iato, scavi 1995-1997, in «Atti delle TerzeGiornate Internaz. di Studi sull’Area Elima, Gibellina - Erice - ContessaEntellina 1997», Pisa-Gibellina 2000, 715-729; BARRA BAGNASCO, Ediliziaprivata... cit., 354.

49 Sulla quale B. BECHTOLD, Una villa ellenistico-romana sull’acropolidi Segesta, in «Atti delle Seconde Giornate Internaz. di Studi sull’Area Elima,Gibellina 1994», Pisa-Gibellina 1997, 85-110; R. CAMERATA SCOVAZZO, Ipavimenti ellenistici di Segesta, in «Atti del IV Colloquio AISCOM, Palermo1996», Roma 1997, 107-122; EAD., Note di topografia segestana, in «Attidelle Seconde Giornate Internaz. di Studi sull’Area Elima, Gibellina 1994»,Pisa-Gibellina 1997, 205-226; D. DANIELE, Gli stucchi della villa ellenistico-romana di Segesta (Casa del Navarca), in «Atti delle Terze GiornateInternaz. di Studi sull’Area Elima, Gibellina - Erice - Contessa Entellina1997», Pisa-Gibellina 2000, 327-356. Il proprietario della domus è statoidentificato con il navarca Heraclius, vittima di Verre, da G. Nenci (Novitàepigrafiche dall’area elima, in «Atti delle Seconde Giornate Internaz. diStudi sull’Area Elima, Gibellina 1994», Pisa-Gibellina 1997, 1187-1203, inpart. 1196).

50 G. VOLPE, La Daunia nell’età della romanizzazione, Bari 1990.51 D. MANACORDA, Produzione agricola, produzione ceramica e

proprietà della terra nella Calabria tra Repubblica e Impero, in «VIIRencontre franco-italienne sur l’épigraphie du monde romain, Rome 1992»,Rome 1994, 3-59; F. CAMBI, Calabria romana. Paesaggi tardo-repubblicaninel territorio brindisino, in E. LO CASCIO - A. STORCHI MARINO ( a cura di),«Modalità insediative e strutture agrarie nell’Italia meridionale in età roma-na. Atti del Convegno, Napoli 1998», Bari 2001, 363-390.

52 A. B. SANGINETO, Per la ricostruzione del paesaggio agrario dellecalabrie romane, in S. SETTIS ( a cura di), Storia della Calabria antica, Roma-Reggio Calabria 1994, II, 559-593; ID., Il vino. Il rimpianto e la nostalgia diun’epoca, in Nella terra degli Enotri, Archeologia a Tortora, 1, ReggioCalabria 1996, 111-119.

53 Sul tema: L. BIVONA, La documentazione epigrafica latina in areaelima, in «Atti delle Terze Giornate Internaz. di Studi sull’Area Elima,Gibellina - Erice - Contessa Entellina 1997», Pisa-Gibellina 2000, 153-166.

54 PINZONE, La romanizzazione... cit., 849-878.55 S. DE VIDO, Città elime nelle Verrine di Cicerone, in «Atti delle

Terze Giornate Internaz. di Studi sull’Area Elima, Gibellina - Erice -Contessa Entellina 1997», Pisa-Gibellina 2000, 389-435.

Page 36: Franco Cambi - Insediamenti Ellenistici Nella Sicilia Occidentale

168 F. CAMBI

56 F. D’ANDRIA, Ricerche archeologiche sul teatro di Segesta, in«Atti delle Seconde Giornate Internaz. di Studi sull’Area Elima, Gibellina1994», Pisa-Gibellina 1997, 429-450; CAMERATA SCOVAZZO, Note di topogra-fia segestana... cit.

57 CIC., Verr. 2, 3, 92-93; si rinvia agli esaustivi commenti che diquesto luogo hanno fornito G. Nenci (I toponimi... cit., 485 sgg.) e S. De Vido(Città elime... cit., 400-402).

58 Secondo la ricostruzione fornita da M. Mazza (Terra e lavoratorinella Sicilia tardo repubblicana, in A. GIARDINA - A.SCHIAVONE (a cura di),Società romana e produzione schiavistica, Bari 1981, I, 19-49, in part. 40.

59 A. CARANDINI, I paesaggi agrari dell’Italia romana visti a partiredall’Etruria, in «L’Italie d’Auguste à Dioclétien. Actes du ColloqueInternational, Rome 1992», Rome 1994, 167-174. Sulla evoluzione delsistema, da proprietari di ville a proprietari di latifondi, con particolareriferimento alla situazione salentina, Cf. D. MANACORDA, Sulla proprietàdella terra nella Calabria romana tra repubblica e impero, in «Du Latifundiumau Latifondo. Actes de la Table ronde, Bordeaux 1992», Paris 1994, 143-189.

60 BOVE, La tipologia strutturale... cit.61 BERNARDINI - CAMBI - MOLINARI - NERI, Il territorio di Segesta... cit.,

104-106.62 FENTRESS - KENNET - VALENTI, A Sicilian Villa... cit.63 Cf., dal punto di vista giuridico, il sempre valido contributo di R.

Martini (Il pagus romano nella testimonianza di Siculo Flacco, RIL, CVII,1973, 1041-1056); da ultimo: L. CAPOGROSSI COLOGNESI, Pagi, vici e fundinell’Italia romana, Athenaeum, XC, 1, 2002, 5-48.

64 Sull’Etruria, v. F. CAMBI, Paesaggi d’Etruria e di Puglia, in Storiadi Roma, III.2, Torino 1993, 229-254; ID. Paesaggi romani dell’agro Falisco,in A. WALLACE HADRILL - H. PATTERSON (eds.), «The Middle Tiber ValleyProject. Atti del Colloquio, Roma 1997», c.d.s.; sulla Puglia: G. VOLPE, Perpagos et vias. Un sito di età tardoantica lungo l’Appia nell’ager Brundisinus,in C. MARANGIO - A NITTI (edd.), «Scritti di Antichità in onore di BenitaSciarra Bardaro», Fasano 1994, 69-80; ID., Contadini, pastori e mercantinell’Apulia tardoantica, Bari 1996.

65 FEST. P. 247, Lindsay; il lessico è giustamente messo in rilievo daVOLPE, Per pagos et vias... cit.

66 V. GIUSTOLISI, Parthenicum e le Aquae Segestanae, Palermo 1976;G. CAPECCHI, Una cariatide inedita dal territorio segestano: tipo e significa-to, in «Atti delle Giornate di Internaz. di Studi sull’Area Elima, Gibellina1991», Pisa-Gibellina 1992, 173-190.

67 CAMBI, Paesaggi d’Etruria e di Puglia... cit.; ID., Paesaggi romanidell’agro Falisco... cit.

68 BERNARDINI - CAMBI - MOLINARI - NERI, Il territorio di Segesta... cit.,111-112.

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169INSEDIAMENTI ELLENISTICI NEL TERRITORIO SEGESTANO

69 Numerose citazioni di vini siciliani nelle fonti antiche attestanoche nel primo e medio impero la Sicilia produsse vini pregiati, meritevoliquindi di essere ricordati e diffusi nell’isola, nella penisola italica e nell’Afri-ca settentrionale (R.J.A. WILSON, Sicily under the Roman Empire, Warminster1990, 192). Tuttavia la vocazione vitivinicola siceliota, che abbiamo vistofiorente anche dal punto archeologico, al tempo dell’epaulis e delle anforegreco-italiche, pare in questo caso assai più sfuggente. Finché non sarannoben identificate le anfore vinarie di produzione locale, l’estensione deltraffico del vino siciliano durante l’impero rimarrà in certo senso ambigua. Inalternativa, si può pensare ad una produzione di estrema selezione (un veroe proprio grand cru), tale da essere celebrato dalle fonti per la grande qualitàma prodotto in quantità troppo scarse per lasciare nella documentazionearcheologica (anfore) tracce significative.

70 BERNARDINI - CAMBI - MOLINARI - NERI, Il territorio di Segesta... cit.,112.

71 BERNARDINI - CAMBI - MOLINARI - NERI, Il territorio di Segesta... cit.,107.

Page 38: Franco Cambi - Insediamenti Ellenistici Nella Sicilia Occidentale

TAV. XVII

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.

Page 39: Franco Cambi - Insediamenti Ellenistici Nella Sicilia Occidentale

TAV. XVIII

Teritorio di Segesta. Tracce di divisioni agrarie nel Vallone della Fusa, ad E del MontePispisa.

Page 40: Franco Cambi - Insediamenti Ellenistici Nella Sicilia Occidentale

TAV. XIX

Il territorio segestano fra la seconda metà del IV e la prima metà del II sec. a. C.

Page 41: Franco Cambi - Insediamenti Ellenistici Nella Sicilia Occidentale

TAV. XX

2. Territorio di Segesta. Il sito SG 155 sopra il Monte Domingo. Elementi da costruzione.

1. Territorio di Segesta. Il sito SG 155 sopra il Monte Domingo. Veduta generale.

3. Aquae Segestanae. Elementi strutturali dal sito del santuario ellenistico.