Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

152
ARCHEONIMI DEL LABIRINTO E DELLA NINFA di Francesco Aspesi «L’ERMA» di BRETSCHNEIDER

Transcript of Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

Page 1: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

ARCHEONIMI DEL LABIRINTO E DELLA NINFA

diFrancesco Aspesi

«L’ERMA» di BRETSCHNEIDER

Page 2: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

Francesco AspesiArcheonimi del labirinto e della ninfa

Impaginazione e copertinaRossella Corcione

© Copyright 2011 «L’ERMA» di BRETSCHNEIDERVia Cassiodoro, 19 - 00193 Roma

http://www.lerma.it

Tutti i diritti riservati. è vietata la riproduzionedi testi e illustrazioni senza il permesso scritto dell’Editore.

In copertina:Raffigurazione ninfale dall’affresco sulla parete del “bacino lustrale” (dubure)

nella stanza 3 della Xeste 3 ad Akrotiri (Chistos Boulotis, Aspects of Religious Expression at Akrotiri, “ALS” 3, 2005, p. 37).

Aspesi, Francesco

Archeonimi del labirinto e della ninfa / Francesco Aspesi. - Roma : «L'Erma» di Bretschneider, 2011. - 152 p. : ill. ; 24 cm

ISBN 978-88-8265-595-2

CDD 21. 482

1. Labirinto <vocabolo> - Etimologia2. Ninfa <vocabolo> - Etimologia

Page 3: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

Mia moglie Guja ha reso possibile la realizzazione di questo volume grazie al suo costante incoraggiamento

e alla sua complice e concreta partecipazione

Page 4: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa
Page 5: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

5

INDICE

Presentazione di Mario Negri.......................................................................................... 7Archeonimi ............................................................................................................................ 9

I - Alle origini dell’archeonimo del labirinto ................................................................11

I.1 - Greco labuvrinqoı, ebraico d ebîr ..................................................................................13I.2 - Lineare A (-)du-pu2-re ..................................................................................................33I.3 - Graeco-semitica: divagazioni attorno a un corovı di nome gevranoı ............................................................................................................39I.4 - Aspetti fonetici del confronto fra gr. gevrhn:gevranoı ed ebr. gōren ........................53I.5 - Echi semitici di greco devmaı ..........................................................................................57

II - L’archeonimo della ninfa in relazione a nomi dell’ape, del miele e della profezia ...............................................................................................63

II.1 - Nympha Orientalis ........................................................................................................65II.2 - Parole come miele ...........................................................................................................75II.3 - Considerazioni etimologiche su ebraico nābî’............................................................83

III - Labirinto e ninfa: un’associazione originaria ...........................................................93

III.1 - L’ape e il labirinto. Un possibile nesso lessicale in ebraico nel quadro del sostrato egeo-cananaico ......................................................................95III.2 - Possibili connessioni egee di ebraico ’ªdāmâ: a proposito di Lineare A (i-)da-ma-te ....................................................................................... 105

Page 6: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

6

III.3 - Termini sacrali greci e semitici attribuibili a un sostrato linguistico ‘labirintico’ egeo-cananaico ................................................................... 113

Gli archeonimi del labirinto e della ninfa .................................................. 123Avvertenza ....................................................................................................................... 131Riferimenti bibliografici ........................................................................................ 133Abbreviazioni .................................................................................................................. 149

Page 7: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

7

PRESENTAZIONE

Capita credo a tutti noi, ogni tanto, di “rileggerci”. Spesso ci stupiamo – e non è sempre un male, credo – di quanto sia mutato, su questo o quel tema, il nostro pensiero. Non raramente, almeno per quanto mi riguarda, si desidererebbe di non aver mai scritta questa o quella nota. Talvolta, però, questo cammino a ritroso sulle piste del nostro percorso eu-ristico può riservare invece sorprese piacevoli: come, per esempio, constatare la persistenza profonda di nuclei concettuali che, mutando per evoluzione ma non per contraddizione, descrivono le vicende del nostro aver ricercato, e ricercare. Credo che questo sia capitato al Collega, e amico caro, di cui ho l’onore di presentare questa raccolta di saggi che, scritti in tempi diversi, per un’intuizione felice ha raccolti in un volume organico, cui danno giu-stamente il titolo i due temi, intimamente intersecantisi, e nel pensiero dell’Autore e negli stessi luoghi culturali in cui hanno il loro dove, e cioè in prima istanza la Creta minoica e poi l’Egeo che la circonda soprattutto a oriente, su cui si muove tutta questa ricerca di Aspesi, ossia la “Ninfa” e il “Labirinto”, intesi tanto come individuate unità lessicali quan-to come nuclei culturali e cioè, per utilizzare il neologismo proprio per loro coniato da Aspesi, “archeonimi”.

Leggendo queste pagine il lettore, anche non specialista delle non facili filologie che stanno alle spalle, come garanzia di verità documentaria, dei temi indagati e dei conse-guimenti raggiunti, avrà la ventura di inoltrarsi per le selve cretesi, dove incontrerà figure sfuggenti e alate, con epifanie tanto umane quanto teriomorfe – ragazze e api, di non diversa levità – e, se non sarà stato impaurito dal Mostro che vi si nasconde, potrà seguirle, per quanto gli sarà consentito dalla sua umana pesantezza, nei recessi labirintici che stanno “sotto” a quelle selve, le mille grotte di Creta che, insieme ai suoi Palazzi, si contendono il nome e il ruolo di “Labirinto”. Personalmente sono convinto che i testi minoici – proprio su questo tema lungamente indagati da Aspesi – lascino pochi dubbi su che cosa fossero, almeno per i Minoici, i “labirinti” e cioè grotte: e, per incidens, dobbiamo proprio ad Aspesi una brillante etimologia di questa parola cultuale centrale nella storia e nel folclore cretese, che si innesta su di un altro filone fondante del suo cammino di ricerca, ossia la presenza di una quota di lessico d’ambito sacrale che riunisce Creta e la Grecia a ponente con il levante semitico, esito di circolazioni culturali all’interno di un sostrato che Aspesi da tempo chiama “egeo-cananaico”.

Spero che da questi pochi cenni il lettore possa almeno intuire la ricchezza e, se mi si passa il termine, la suggestione delle pagine che si appresta a leggere. Per parte mia, e se mi si consente in questa sede una concessione intimistica alle memorie personali, rileggendole

Page 8: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

8

sono in più di un caso tornato con un pensiero che non nego nostalgico a lontane visita-zioni cretesi fatte con Franco. E a quando, per la prima volta, sono entrato con lui nell’an-tro Ditteo – citato, ne ho davvero pochi dubbi, in due formule libatorie minoiche –, e in quello di Ilizia, ricordato certamente da due testi micenei di straordinaria suggestio-ne, dove un antico muretto a secco, che racchiude in un recesso di forma labirintica una grande stalagmite cultuale rappresenta come il côté architettonico - l’intervento cioè della mano dell’uomo - all’interno di un labirinto naturale che, di quell’ideazione, è invece la forma archetipica.

Mario Negri

Page 9: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

9

ARCHEONIMI

I termini greci labuvrinqoı e nuvmfh appaiono formati su arcaici elementi lessicali che tro-vano riscontro in lingue semitiche nord-occidentali come l’ebraico. Sono quindi indiziati di far parte di un sostrato linguistico egeo-cananaico penetrato sia in greco che nelle lin-gue semitiche della regione siro-palestinese, durante le fasi di sedentarizzazione nel bacino del Mediterraneo orientale delle popolazioni parlanti questi idiomi. Tali elementi lessicali si trovano inseriti in un ristretto novero di altri termini comuni al greco e all’ebraico, tutti caratterizzati da una cospicua valenza sacrale che ne avrebbe giustificato l’adozione.

Per queste considerevoli valenze simboliche, labuvrinqoı e nuvmfh sono peraltro anco-ra vitali, nel rispetto delle specifiche corrispondenze fonetiche, in italiano e nelle lingue di cultura occidentali contemporanee.

Labirinto e ninfa sono quindi nomi la cui forma fonetica, elaborata dal greco a partire da materiale lessicale preesistente, attraversa i millenni e giunge a noi dalla preistoria lin-guistica del Mediterraneo orientale a seguito di una sorprendente catena di prestiti.

I significati a essi propri conservano nelle numerose connotazioni, di cui si sono via via arricchiti, denotazioni originarie di tale rilievo da farne le denominazioni di due fonda-mentali archetipi.

Attribuendo di conseguenza a labuvrinqoı e nuvmfh la definizione di archeonimi per la loro natura di significanti di archetipi, si vuole sia ricondurre la straordinaria attitudine di questi due nomi ad attraversare epoche e culture alla rilevanza e profondità concettuale di cui sono portatori, sia tentare di individuare, nell’associazione sempre in divenire di significante e significato, la funzione di questi archeonimi nella definizione dei relativi archetipi.

Indirizzata a una formulazione più ampia di tale tematica, cui sarà dedicato il capitolo finale, questa trattazione si avvarrà di diversi studi, relativi anche ad altri termini dello stes-so sostrato linguistico egeo-cananaico, pubblicati dall’autore nel corso di un prolungato periodo di indagini e opportunamente rivisitati.

Page 10: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa
Page 11: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

11

IALLE ORIGINI DELL’ARCHEONIMO DEL LABIRINTO

Tavoletta micenea da Pilo del XIII secolo con rappresentazione del labirinto ‘cretese’ a sette corridoi.

Sotto il profilo lessicale, i primi due studi di questa sezione evidenziano le modalità in cui il termine greco labuvrinqoı prende forma come daburinthos nel miceneo cretese a partire da una base *da(/u)bur assunta da un sostrato linguistico testimoniato dal ‘minoi-co’ sotteso alla Lineare A dubure «grotta cultuale». Tale base penetra anche in ebraico, lingua semitica nord-occidentale, sia come d ebîr «sancta-sanctorum del tempio di Ge-rusalemme» che come ṭabbûr «ombelico, centro cosmico». Il sostrato in questione è quindi d’estensione egeo-cananaica e include altri termini, appartenenti a una precisa sfe-ra cultuale preesistente sulle sponde del Mediterraneo orientale, che penetrano per il loro alto contenuto simbolico-religioso sia in greco sia nelle lingue semitiche nord-occidentali, all’atto dell’insediamento delle popolazioni parlanti tali idiomi, genealogicamente diffe-renziati, nelle loro rispettive sedi storiche sul finire del bronzo.

Page 12: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

12

Labirintica è poi la danza circolare di Teseo e dei reduci da Creta descritta da Callimaco attorno al simulacro ligneo di Afrodite a Delo e che Plutarco denomina gevranoı, termine glossato da Esichio come gevrhn. Il confronto di gevranoı – gevrhn, «danza labirintica» ma anche «luogo stesso della danza labirintica» con ebraico gōren consente, nel terzo capitolo di questa sezione, di attribuire anche a tali termini una comune matrice egeo-cananaica.

Una pronuncia originaria geren di ebraico gōren, del tutto prossima a quella di greco gevrhn, è ipotizzata nel quarto di questi studi, a ulteriore supporto fonetico del confronto proposto.

Anche il greco devmaı, unitamente all’ebraico d emût e all’antico aramaico dmwt, ap-pare qui nel quinto capitolo come l’emergenza di un termine del sostrato egeo-cananaico dal possibile significato originario di «simulacro ligneo (di divinità)», che evoca il centro attorno al quale s’intreccia la danza labirintica.

Già dagli studi che compongono questa prima parte della raccolta, il sostrato egeo-cananaico appare quindi trasmetterci un insieme di nomi afferenti a una specifica ritualità la cui natura verrà meglio a precisarsi nel corso dell’intera trattazione. Di essi, quello che darà origine a labirinto, così come quello che vedremo alla base di ninfa, risulterà aver titolo alla qualifica di archeonimo.

Page 13: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

13

I.1 GRECO labuvrinqoı, EBRAICO d ebîr

Scopo di questo studio è di proporre e argomentare un confronto linguistico fra greco labuvrinqoı «labirinto» ed ebraico biblico d ebîr «sancta sanctorum (del tempio di Ge-rusalemme)».

Un confronto lessicale fra lingue non imparentate implica di per sé il ricorso a conside-razioni extra-linguistiche; nel caso specifico, poi, la complessità delle valenze semantiche dei due termini considerati, impone un percorso espositivo non comprimibile nello spazio di questo capitolo1, nel corso del quale mi limiterò ad accennare alle etimologie fin qui proposte per i due termini, a delineare per sommi capi l’ambito linguistico e culturale che sembra accomunarli e a indicare alcune possibili implicazioni semantiche dell’acco-stamento proposto.

Greco labuvrinqoı

La decifrazione della lineare B e la conseguente attestazione di mic. da-pu2-ri-to2 segna una linea di demarcazione nella storia delle etimologie di labuvrinqoı, col tramonto del confronto classico che connetteva la base del termine, separata dal suffisso anellenico –inqoı, al nome ‘lidio’ lavbruı «bipenne»3 e l’indebolimento di altri accostamenti a termini inizianti per liquida dal significato connesso più o meno direttamente con «pie-

1 La letteratura sul labirinto, in particolare, è peraltro vastissima, addirittura sterminata se ci si allonta-na dall’ambito strettamente linguistico e filologico-archeologico, per sconfinare nell’antropologia, nella storia delle religioni, delle lettere e dell’arte (le raffigurazioni di labirinti persistono attraverso l’arte cri-stiana medievale, del Rinascimento e dell’età moderna fino all’arte contemporanea), e infine nella psica-nalisi: il concetto di labirinto è venuto infatti a costituirsi, nel corso dei millenni, come un radicatissimo e quanto mai intricato archetipo culturale.

2 Nelle tre tavolette, tutte significativamente provenienti da Cnosso, KN Gg 702, KN Oa 745 [+] 7374 e KN Xd 140: in quest’ultima, il secondo segno sillabico è pu anzichè pu2. L’identificazione del ter-mine miceneo è stata operata da Palmer nel 1955. Una prima bibliografia al riguardo figura in Baumbach 1968, p. 150; cfr. anche Gérard-Rousseau 1968, pp. 56-58.

3 Attestato come lidio da Plutarco (M. 302a), ma probabilmente cario. Tale confronto è avanzato per la prima volta da Mayer (1892, p. 191), accolto da Evans (1901, pp. 106-12), confermato da Burrows (1907, p. 130) e fatto proprio, fra i più autorevoli linguisti e storici delle religioni, da Kretschmer (1896, p. 404, 1940, pp. 244-47) e da Nilsson (1941-50, I, pp. 276-78, con letteratura sull’argomento).

Page 14: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

14

tra», quali la~aı, lauvra4 e i nomi asianici labra (licio) e lap(i)risa (lidio) collegabili al toponimo cario Lavbranda, sede del tempio di Zeuvı Labrandeuvı5. Anche se l’alternanza d-/l- che distingue il miceneo dalle altre attestazioni greche potrebbe essere sia di natura diatopica che grafica6, risulta difficile prescindere dalla forma più anticamente attestata come termine di comparazione. Così, nonostante l’improbabile riproposizione del con-fronto con lavbruı operata ancora da Richardson nel 19667, i nuovi tentativi di connessio-ne vanno in direzione di elementi lessicali inizianti per dentale, senza peraltro raggiungere risultati più convincenti, come mostra il rimando al verbo qavptw proposto da Gallavotti (1957)8.

Una delle più recenti ricerche etimologiche su labuvrinqoı risulta essere quella di Gui-di (1990-91) che, operata un’accurata disanima filologica delle tre occorrenze note in mi-ceneo con particolare attenzione agli aspetti fonetici sottostanti all’alternanza in esse dei fonogrammi *50 (=pu) e *29 (=pu2)9, avanza un’etimologia basata sulla scomposizione del significante in elementi significativi minimali, nell’ipotesi che la lingua ‘egea’ dalla quale il termine emergerebbe, potesse essere agglutinante. Tale ipotesi, legittima ma al momento senza ulteriori riscontri, conduce Guidi a un significato originario di «costruzione di pie-tra, casa» che appare nel caso di labuvrinqoı eccessivamente generico, e a isolare lessemi addirittura monoradicali, come l’elemento labiale corrispondente a -b- «il cui significato è pietra» (ivi, p. 189).

La difficoltà nell’individuare paralleli lessicali soddisfacenti intra- o inter-linguistici sul piano del significante, avendo quasi certamente a che fare con un nome di sostrato, quindi non indeuropeo, ha indotto da subito la maggior parte dei numerosissimi tentativi etimo-logici a privilegiare, sull’analisi del significante, la ricerca del significato originario del ter-mine, ricorrendo alla testimonianza delle fonti antiche e dell’archeologia10; il ricorso a tali

4 Già in Müller 18352, p. 50; cfr. ad esempio Heubeck 1961 e, in particolare, la monografia di Güntert (1932).

5 Pugliese Carratelli 1938-39, ripreso da Brandenstein 1950.6 Per un recente tentativo di spiegazione del fenomeno cfr. Redondo 1989.7 Per argomentazioni convincenti contro tale confronto, si rimanda, fra gli altri. a Deroy 1956 (p.

176, n. 4) e a Cagiano de Azevedo 1958 (pp. 42 ss.). Rouse (1901) può essere considerato l’antesignano di tale revisione critica.

8 Questo confronto, foneticamente azzardato, s’inserisce nel filone di ipotesi che vertono sul significato generale di «scavo», quali quelle di Georgiev (1941, I, p. 91) e di Van Windekens (1952, pp. 118-20), basate, sulla falsariga del citato Güntert, su lauvra «corridoio scavato, cava» (cfr. anche Gallini 1959, 165, n. 91); questo significato si amplia a quello di «ipogeo», come nella ricerca non specificamente linguistica di Grégoi-re (1949), cha accosta labuvrinqoı a labivrion. Lo stesso Kretschmer cerca nel 1951 (pp. 152-55) una sintesi fra la sua etimologia «classica» su lavbruı e quella su lauvra.

9 A questi fonogrammi sembrano corrispondere di norma in miceneo, rispettivamente, i valori fonetici [pu] e [phu]: per la possibile interpretazione del segno *29 come sillaba iniziante in labiale sonora, si riman-da a Lejeune 1966, pp. 139-40, alla bibliografia elencata nel lavoro di Guidi alla nota 26 di pagina 180 e, più recentemente, a Witczak 1993.

10 Monografie esplicitamente dedicate all’argomento sono, ad esempio, quelle di Meyer (1882), Wood (1882), Petrie et alii (1912), Müller (1934), Matthews (1922), Eilmann (1931), Zographakis (1933), Cagia-no De Azevedo (1958), Bord (1976), Rangnick (19782), Lekatsa (1973), Saint-Hilaire (1975), Kern (1981), Santarcangeli (19842), Attali (1996), Fanelli (1997), Sarullo (2006-2007), oltre a raccolte di studi come De Launay 1915-16, Hooke 1935, Kerényi 1983 e Lundén 1996-98. Bibliografie al riguardo si possono ricavare da queste stesse opere, integrate da altri lavori recenti quali Krzak 1985, Castleden 1990, Doob 1990, Guidi

Page 15: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

15

ambiti extra-linguistici è peraltro linguisticamente produttivo per nomi ad alto contenuto referenziale in quanto connessi in qualche modo con la cultura materiale, come ci insegna la paleontologia linguistica.

Una considerazione specifica richiedono le etimologie ‘egiziane’ che, basandosi sulle testimonianze di Erodoto e di successivi logografi11, muovono dall’assunto che il labirinto originario fosse l’articolatissima costruzione su due piani, di cui uno ipogeico, opera di Amenemḥē III a Hawâra, presso il lago Moeris nel Fayoum, oggi del tutto scomparsa12. A partire da questo dato filologico, esse consistono in due tipi di confronto con l’antico egi-ziano, uno col sintagma non attestato *r-pr ḥnt «tempio alla bocca del lago»13 e l’altro col prenome di Amenemḥē III, Nj-m’‘t-R’, reso in greco come Lamarhvı, da cui, attraverso uno scambio di labiali, sarebbe derivata in qualche modo la base *labur-14. Le difficoltà semantiche e fonetiche di tali confronti inducono tuttavia a lasciar cadere queste ipotesi e a far proprio il punto di vista di Michałowski (1968, p. 219), di Lloyd (1970, p. 93) e di Armayor (1985, p. 134 e altrove), secondo cui l’estrema complessità della costruzio-ne egiziana sembrerebbe costituire una ragionevole motivazione perché il termine greco labuvrinqoı venisse ad essa applicato a partire da Erodoto.

Il dibattito sull’attribuzione di un referente originario a da-pu2-ri-to / labuvrinqoı, può quindi in grande sintesi ridursi alle diverse tesi di coloro che optano per il cosiddetto ‘palazzo’ cretese, quello di Cnosso in primis, e di coloro che pensano a intricate caverne naturali o comunque siti sotterranei, sia scavati che costruiti. La connotazione sacrale, sot-tesa anche al nodo di tradizioni letterarie sulla vicenda del Minotauro, è spesso implicita nella prima interpretazione e pressoché generalizzata nella seconda. In entrambi i casi si assiste poi all’affermarsi dell’ipotesi di un nome comune originario su quella di un pri-mitivo nome proprio, implicante una precisa localizzazione del prototipo del Labirinto, come invece sostenuto da Evans in riferimento allo scavo di Cnosso (1901, pp. 106-12 e 1921-35, 1, pp. 358-59) o da Faure (1964, pp. 166-73) per la caverna cultuale di Skotinò.

Lascerei del tutto in secondo piano le argomentazioni che rimandano a una terza pos-sibile interpretazione, quella del labirinto primitivamente inteso come specifico tipo di danza e luogo della stessa: essa è avanzata da studiosi come Kerényi (1983) e sostenuta da Kern (1981, pp. 42-49 e altrove), a partire dalla descrizione omerica dello scudo d’Achille (Il., XVIll, 590-606), dove si afferma che Dedalo inventò una danza per Arianna. Anche se

1990-91 e altri, come la quarta edizione del 1999 di Kern 1981. Benché non più aggiornato, Scarpi 1974 presenta un dettagliato status quaestionis.

11 Erodoto, II, 148 (che presenta le più antiche occorrenze alfabetiche di labuvrinqoı). Manetone ( Jakoby, FgrH 3, C, 609, p. 30, 23-25), Diodoro Siculo, 1, 61 e 66, 3-6, Strabone, 17, 1,3.37.42, Plinio, NH, 36, 13, Pomponio Mela, Chorographia, I, 9, 56.

12 Permangono tuttavia i resti dell’attigua piramide che, secondo Deedes (1935, pp. 17-18), costitu-iva con l’edificio scomparso un unico complesso architettonico e funzionale: Deedes afferma che «the internal plan of the pyramid was labyrinthine» (ivi). Sugli scavi relativi a questo complesso si rimanda a Petrie, Wainwright, Mackay (1912).

13 Brugsch 1879-80, II, 501, Lanzone 1896, p. 7 e, ancora recentemente, Stieglitz 1981, pp. 195-98. Per una tempestiva critica in chiave fonetica di questo confronto, cfr. Hall 1905, p. 327.

14 Bernal 1987-2006, ll, pp. 174-7. Bernal si richiama a Maspero (Rec. Trav. 28 -1906-, p. 13), Spie-gelberg (OLZ 3 -1900- pp. 447 ss.) e Evans (1901, p. 109, n. 6), il quale rimanda a sua volta a Jablonski. Bernal aggiunge di suo l’assurdo tentativo di etimologizzare anche il suffisso -inqoı sulla base di egiziano ntr (ivi, p. 175).

Page 16: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

16

questa ipotesi potrebbe essere in qualche modo confortata dalla possibile coincidenza del-le movenze imposte ai danzatori con il tracciato della convenzionale rappresentazione gra-fica del labirinto, così come sembrerebbe suggerire anche la testimonianza etnografica nel nord dell’Europa e altrove, il termine più antico attestato al riguardo è l’omerico corovı15.

La tesi della costruzione particolarmente articolata è la prima ad affermarsi con ampio consenso. Evans, avallando l’attribuzione di labuvrinqoı «casa dell’ascia bipenne» al pa-lazzo del re Minosse operata da Mayer16, la applica al grande complesso architettonico che egli metterà in luce qualche anno più tardi a Cnosso: se il cosiddetto ‘palazzo’ di Cnosso è la reggia di Minosse, dev’essere anche la costruzione dedalica in cui il mito rinserrò il Minotauro, il labirinto di Teseo e Arianna. La riproduzione di tracciati labirintici secon-do uno schema ortogonale canonico su monete cnossiane databili dal V al II secolo17, potrebbe effettivamente riferirsi in modo stilizzato alla pianta di edifici complessi come quello scavato da Evans18: tale schema figura già su una tavoletta con iscrizione in Lineare B rinvenuta a Pilo nel 1957 e databile non oltre il 120019. Anche l’attribuzione del termine operata dagli autori classici al di fuori di Creta non solo all’edificio egiziano di Hawâra, ma ad altre costruzioni monumentali complesse quali, secondo la pur tarda testimonianza di Plinio, l’edificio a centocinquanta colonne di Lemno, lo Heraion di Samo (Nat. Hist., XXXVI, 85) o la ‘tomba’ di Porsenna a Chiusi (ivi, 91), sembrano avvalorare un’intrinse-ca connotazione referenziale architettonica per questo nome. Labuvrinqoı viene denomi-nato dagli stessi costruttori ciascuno dei due anditi, con soffitto a meandri, che portano al piano superiore del tempio di Apollo del III-II secolo a Didima20.

Dai primi anni trenta, tale tipo di identificazione è messo in ombra dall’altro: vasto cre-dito riscuotono infatti, a partire dall’etimologia di Güntert su lauvra, i tentativi di attribu-ire a labuvrinqoı referenti che vadano da «cunicolo intagliato nella pietra», «miniera», a «grotta», «intrico di grotte», «ipogei più o meno artificiali», intesi essenzialmente come luoghi di culto21. I supporti extralinguistici a tali interpretazioni sono di vario genere. Anzitutto, delle numerosissime grotte che costellano il territorio cretese, alcune ci hanno fornito reperti documentanti culti importanti e prolungati, riferiti con ogni probabilità alle

15 Una danza del labirinto, la gevranoı, viene riferita da Plutarco a Teseo nell’isola di Delo (cfr. oltre I.3, pp. 37-51). Movenze ‘labirintiche’ sono attribuibili anche al Troiae Lusus, specie di figura di danza eseguita da giovani iniziandi romani a piedi o a cavallo e descritta da Virgilio (En. V, 545-605). La sua probabile origine etrusca troverebbe riscontro nella cosiddetta brocca di Tragliatella, databile alla fine del VII secolo, dove due cavalieri sembrano uscire da un labirinto spiraliforme (Giglioli 1929, Gallini 1959 e, più recentemente, Small1986). Si veda qui al cap. I.3.

16 Cfr. n. 3.17 Le Rider 1966, tav. XLII, pp. 1-7 e altrove.18 Evans 1921-35, I, pp. 358-59; vedere anche alla pagina seguente e alla n. 24.19 Lang 1958, p. 190 e tav. 46; cfr. anche Heller 1961. Questo schema canonico, il quale, oltre che

ortogonale, può anche essere curvilineo senza che ne venga alterata la struttura, viene di norma definito «cretese» (cfr., p. es., Chiarini 1991, pp. 17 e 23).

20 Lehmann Williams 1965 (pp. 220 ss.), con bibliografia. Benché non denominata esplicitamente labuvrinqoı, la tholos di Epidauro, citata in Pausania II, 27, 3, ci conserva, con le sue fondamenta, «gli unici resti [...] di un edificio dell’Antichità che possa essere designato come un labirinto in senso pro-prio» (Kern 1981, p. 72). Per essa, e per le sue valenze ‘labirintiche’, si rimanda alla importante monogra-fia di Robert sui monumenti circolari nell’architettura religiosa della Grecia (1939).

21 Cfr. sopra, in particolare alla nota 8.

Page 17: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

17

divinità prevalentemente femminili del pantheon cretese: tali culti costituiscono verosi-milmente il sostrato di miti quali quelli connessi con la nascita, lo svezzamento e le nozze dello Zeus cretagene22. Già in epoca rinascimentale, secondo resoconti di viaggiatori della Repubblica Veneta, guide locali mostrano come «il Labirinto» grotte dell’isola quali la cava di Gortina23. Strabone (VIII, 6, 2) attesta il termine in rapporto a grotte ciclopiche nei pressi di Nauplia, mentre il logografo bizantino Giovanni Malala (IV, 108), riecheggiando Claudiano (De Sexto Consul. Hon. Aug., 634), collega la vicenda del Minotauro con una grotta proprio nei pressi di Gortina. Ancor più tardi, Eustazio (1688, 37) e l’Etymologicum Magnum (554, 26) riferiscono essi pure il labirinto a caverne cretesi. I dizionari etimolo-gici del Frisk (1960-72, s.v.) e dello Chantraine (1968, s.v.) privilegiano l’ipotesi di questo referente come originario per da-pu2-ri-to / labuvrinqoı, e importanti studi di carattere generale, fra cui quelli citati di Faure e di Cagiano de Azevedo, si basano su di essa.

La localizzazione primitiva del labirinto nei cosiddetti ‘palazzi’ cretesi trova comunque nuova linfa dalla documentazione in lineare B: la «signora del labirinto» delle tavolet-te di Cnosso Gg 702 e Da 745[+]7374 appare ricevere offerte in un contesto templare-palaziale ben definito, di tipo urbano, secondo le convincenti analisi di Pugliese Carratelli (1956, 1959), di Godard (1975) e di altri24. Un aspetto della questione sembra ricavare da questa testimonianza epigrafica una conferma definitiva: l’essenza cultuale intrinseca al ‘labirinto’ fin dalle origini, sia esso caverna o edificio. Secondo uno studio recente di Castleden (1990) i cosiddetti palazzi cretesi non sarebbero stati altro che complessi tem-plari, come gli analoghi insiemi architettonici nel vicino Oriente: a questa intuizione, già avanzata in precedenza da Faure (1973), Castleden aggiunge la loro identificazione col da-pu2-ri-to / labuvrinqoı.

è possibile tentare una sintesi preliminare di queste due opzioni, labirinto-caverna e labirinto-edificio, nella ricerca del referente originario di da-pu2-ri-to / labuvrinqoı, an-cor prima di inoltrarci nel confronto con ebraico d ebîr, che, come vedremo, sembrerebbe apportatore ulteriori indicazioni in merito?

Entrambe le posizioni appaiono sufficientemente confortate da testimonianze filologi-che ed archeologiche perché si possa senza scrupoli scientifici adottarne una sacrificando l’altra.

Se però distribuiamo nel tempo le due diverse interpretazioni sottolineandone la co-mune connotazione di «luogo di culto», sembra non impossibile riferire la forma pre-ellenica di questo nome alle caverne cretesi che attestano culti già in epoca neolitica: la

22 Faure 1964, pp. 81-197; sulle testimonianze archeologiche di culti in caverne cretesi, cfr. anche Tyree 1975.

23 Woodward 1949. La carta geografica prodotta nel 1562 da Giorgio Sideri da Candia, detto Callo-poda, presenta il toponimo Lanbirito e un simbolo di cinque cerchi concentrici in luogo di Gortina (Mu-seo Correr di Venezia – Portolano 9). Questa e altre carte veneziane di Creta, tutte della seconda metà del Cinquecento, coi toponimi Laberinthus, Laberinto, Labyrinte, Laberintho, Labyrinthus registrati nella zona di Gortina sono riprodotte in Bevilacqua 1997.

24 Ad esempio, Carruba 1968, Lissi Caronna 1970-71, Zancani Montuoro 1975; Cordano (1980, p. 8) afferma esplicitamente che «il disegno del labirinto mette in evidenza soprattutto l’unica entrata, la difficoltà del percorso e la centralità del cortile che si vuol raggiungere con quel percorso: in queste sono evidentemente simboleggiate le strutture principali dei palazzi minoico e miceneo, o più genericamente orientale».

Page 18: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

18

denominazione si sarebbe successivamente estesa anche alle complesse costruzioni del bronzo medio e recente (o a parti di esse caratterizzate da usi rituali) e, al loro definitivo abbandono, si sarebbe di nuovo ristretta, nella forma assunta in greco, alle caverne cultua-li; alcune di esse attestano infatti una persistenza di pratiche religiose fino e oltre l’epoca classica. Ciò renderebbe ragione a un tempo sia della rappresentazione ortogonale sulla ta-voletta d’epoca micenea e sulle posteriori monete cnossiane, adeguata al labirinto edificio, sia delle definizioni di labirinto attribuite alle caverne cultuali dai logografi d’epoca tarda.

Ebraico d ebîr

Ebraico d ebîr, riportabile a un tema *dabîr, ricorre sedici volte nel testo biblico; salvo il senso traslato di Salmi 28, 2, in tutti gli altri casi, concentrati nel primo libro dei Re e nel secondo delle Cronache, il significato di d ebîr si relaziona a un unico preciso referente, l’intimo recesso del tempio salomonico sede dell’arca, denominato secondariamente an-che qōdeš haqqodāšîm «sancta sanctorum».

Il termine appare sostanzialmente isolato in semitico, poiché l’etiopico dāber col si-gnificato di «chiesa, monastero» è considerato continuazione del nome ebraico, forse mutuata dalle trascrizioni dabivr / dabeivr dei Settanta25; estremamente dubbia è l’inter-pretazione sancta sanctorum per dbr dell’iscrizione punica di Bitia in Sardegna, che sem-bra piuttosto da rendersi con l’aggettivo «posteriore»26.

D ebîr ha invece un preciso riscontro extra-semitico nel neo-egiziano dbr «cassa, scri-gno per un idolo», che trova la sua continuazione nel copto TаBIR «santuario»; ma anche in questo caso, secondo Gardiner (1947, p. 66), la matrice è biblica27. *DBR è in semitico una radice dai molti significati di base; secondo i lessicologi arabi, il suo signifi-cato fondamentale è quello di «dosso, posteriore», attestato ad esempio dal tema dubr- / dubur-. In mancanza di confronti più convincenti, è a questo significato che tradizional-mente si vuole ricondurre ebr. d ebîr, inteso come la parte posteriore del tempio. Tuttavia, l’ebraico, come il fenicio e l’ugaritico, ha per tale radice un significato primario di «dire, parola, cosa»: la labilità del confronto tradizionale lascia così margine per altri tentativi etimologici più interni al cananaico, come quelli di Torrance (1955, pp. 1-2)28 e di Moscati (1956, p. 36), basati appunto su dābār «parola»29.

Queste evidenti difficoltà nel ricondurre l’ebraico d ebîr alla semantica di base della ra-dice *DBR ci devono orientare verso un altro tipo di considerazioni; come mi è capitato

25 Leslau 1987, p. 121.26 Levi Della Vida 1935, pp. 195-96; altrettanto dubbia è l’attestazione supposta da Gordon per l’uga-

ritico (1965, pp. 383-84), la cui interpretazione non trova infatti conferma nel dizionario di Aistleitner (19673): cfr. più recentemente Schmuttermayr 1985, p. 22, n. 22.

27 Per un’origine egiziana del termine e del suo referente, cfr. Busink 1970-80, I, pp. 600-02; l’ipotesi di Busink è però basata sull’affermazione che «im Tempelbau Altkanaans gab es... keine genaue Analogie das Debir» (ivi, p. 600) la quale, per quanto esporrò in seguito, mi sembra quanto meno discutibile.

28 Commentato da Barr in 1961, pp. 130-40 e 1962, pp. 92-93.29 Con una scelta tassonomica neutra rispetto alle accennate ipotesi di evoluzione semantica da un

unico significato di base, i lessici dell’ebraico tendono a distinguere per *DBR due o tre radici omofone. Si veda Koehler, Baumgarten 19673, s.v. Questa distinzione è alla base anche di Schmuttermayr 1985.

Page 19: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

19

in altre occasioni di verificare, i termini della cultura materiale sono particolarmente atti a trasmettersi da una popolazione all’altra unitamente alle acquisizioni concettuali e alle innovazioni tecniche che designano: tale trasmissione può attuarsi sia direttamente come prestito, sia come calco, sia come acquisizione dal sostrato.

In particolare nel lessico dell’architettura, specie se sacrale, l’ebraico biblico, oltre ai nomi di formazione autoctona, presenta tutt’e tre questi fenomeni di genesi lessicale30: se ci soffermiamo infatti sul campo semantico relativo al tempio di Salomone, constatiamo a prima vista come l’adozione delle tecniche di costruzione di una sede di culto stabile e complessa, abituale per le popolazioni semitiche stanziate sia della Siria-Palestina che, so-prattutto, della Mesopotamia, ma del tutto nuova per gli Ebrei in fase di definitiva sedente-rizzazione, si rifletta nell’acquisizione sul piano linguistico di neologismi perlopiù allogeni.

Così il sistema tripartito di nomi che distingue in senso tecnico e funzionale le diverse parti del tempio è composto, oltre che da d ebîr, da hêkāl e da ’êlām, rispettivamente «sala centrale del tempio» e «portico anteriore» dello stesso: mentre hêkāl è inequivo-cabilmente prestito dall’accadico ekallu(m) «tempio» (a sua volta dal sumerico é . g a l), ’êlām è stato da alcuni connesso con un altro termine accadico, ellamu, mentre per altri è termine non semitico e quindi di sostrato31. In tale contesto complessivo, d ebîr appare fortemente indiziato di essere esso pure termine di sostrato, in origine estraneo all’ebraico e comunque privo di possibili confronti con l’accadico.

Riferendomi ancora una volta all’alto contenuto di concretezza referenziale dei nomi afferenti alle tecniche e ai portati della cultura materiale, che fa sì, ripeto, che un certo termine passi da una lingua all’altra unitamente allo specifico referente che designa, mi ritengo così legittimato a indagare sulla genesi di ebraico d ebîr rivolgendomi nuovamente a un ambito extra-linguistico, nello specifico quello dell’ archeologia siro-palestinese.

Il d ebîr gerosolimitano trova senza dubbio i suoi precedenti, non tanto nell’elabora-tissimo modello del tempio mesopotamico, che struttura il suo adyton in modo diver-so, quanto in alcuni tipi di tempio preisraelitici della regione siro-palestinese dell’età del bronzo, che anticipano la forma tripartita del tempio salomonico32.

Per quanto riguarda la Palestina, già sullo scorcio del bronzo antico il tempio A dell’acropoli di ‘Ai, la cui pianta è stata peraltro confrontata con quella del coevo santuario minoico del monte Iuktas scavato da Evans33, presenta un adyton in aggiunta a un ambien-te d’ingresso e all’ambiente del santuario vero e proprio34; questi tre elementi appaiono in

30 Mentre, ad esempio, il nome dell’altare bāmâ, appare essere di sostrato, i nomi di due parti dell’al-tare del tempio (Ez. 43, 14-15) sono rispettivamente un prestito (har’ēl «piano superiore», dall’acc. arallū(m) e un calco (ḥêq hā’āreṣ «basamento», dall’acc. irat erṣiti).

31 Per l’ipotesi del prestito accadico, cfr., fra gli altri, Parrot 19622, p. 17. n. 1; per quella del termine di sostrato, Albright 1956, p. 256.

32 Nel nord della Siria, la pianta del tempio di Tell-Ta’yinat viene considerata la più prossima a quella ricostruibile per il tempio salomonico (Parrot 19622, pp. 14 e 16, Aharoni 1982, pp. 227-28, Bahat 1990, p. 29, ecc.); per la sua datazione in piena età del ferro, più che per la posizione decentrata, tale tempio non può però essere considerato un prototipo di quello di Gerusalemme.

33 Hutchinson 1976, p. 188.34 De Vaux 1972, pp. 254-55; Kempinski 1992, pp. 59, 55 fig. 9 e 58, fig. 12. La pianta di questo

tempio è stata direttamente riferita a quella del santuario minoico scavato da Evans sul picco centrale dal monte Iuktas a Creta.

Page 20: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

20

successione longitudinale in templi a TeIl ed-Duweir / Lakish e Beth Shan (questi ultimi parzialmente a cielo aperto), databili al tardo bronzo35. è tuttavia il tempio «degli orto-stati» di Hazor che, nel bronzo medio palestinese, cioè all’incirca nel tredicesimo secolo, anticipa la caratteristica saliente del tempio di Gerusalemme: «la disposizione delle tre parti sulla lunghezza di uno stesso edificio che abbia costante larghezza»36.

Il d ebîr figura quindi come un elemento architettonico autoctono, preesistente sul ter-ritorio e adottato dagli ebrei nella progettazione del Tempio per fornire una sede stabile al Tabernacolo: per quanto detto prima, la presunzione che anche la sua denominazione sia contestualmente assunta in ebraico dal sostrato, mi sembra assumere ulteriore consistenza.

è opportuno cercare di precisare meglio la natura di tale sostrato. Sul versante del re-ferente architettonico, il d ebîr sembra rappresentare il focus anche di templi con altri tipi di pianta, come quello di Tel Mevorakh (tardo bronzo) e quelli successivi di Tel Qasile: per essi gli archeologi hanno stabilito confronti con la tipologia di altri templi ‘egei’, nelle Cicladi (Philakopi), a Cipro (Kition) e nella stessa Micene, interpretando tali affinità in diverso modo37. A partire dalla stretta somiglianza fra i templi di Tel Qasile, che definisce filistei, e quelli di Kition, cui aggiunge confronti coi citati templi di Lakish e Beth Shan, G.R.H. Wright, nella sua ampia monografia del 1985 sull’ architettura antica della Siria meridionale e della Palestina, afferma che tale somiglianza «può suggerire una sottostante affinità etnica che, di fondo, è egea, cioè filisteo-micenea» (ivi, I, p. 486).

La questione delle affinità etnico-culturali fra Creta e la Palestina preisraelitica in que-sta sede non può che essere appena accennata: l’intercambiabilità nella Bibbia dei P elištîm coi K erētîm (Ez. 25, 16) e coi Kaptōrîm (Dt. 2, 23, Am. 9, 7, ecc.), incrociata con la testimonianza antico-egiziana su Kftw («Creta»38) e sui Plst, etnia dei Popoli del Mare, trova altri riscontri archeologici oltre che storico-filologici, come la testimonianza del cul-to di Marna/Zeus Cretagene a Gaza o il riferimento ai «Giudei» in qualità di profughi dall’isola di Creta in Tacito (Hist., V, 2)39. In relazione alla diversità del quadro di rife-rimento anche ideologico, tali affinità, certamente più antiche degli sconvolgimenti nel Mediterraneo sul finire del bronzo, sono state interpretate o come dipendenza culturale del mondo egeo dalle popolazioni semitiche del Levante40 o, all’opposto, come il portato

35 A Tell ed-Duweir tale successione è caratteristica, in particolare, della seconda fase del tempio «del Fos-sato»: cfr. Wright 1985, I, p. 486. Per i templi di Beth Shan, si rimanda, fra gli altri, a Mazar 1992, pp. 173 ss.

36 De Vaux 19773, p. 316. Per il tempio «degli ortostati» a Hazor e le sue relazioni col tempio di Gerusalemme, cfr. Yadin 1958, p. 14 e ancora Mazar 1992, in particolare alle pp. 171-3.

37 Per due opposte interpretazioni della direzione degli influssi, cfr. Negbi 1988 (influssi cananei sull’architettura egea) e Gilmour 1993.

38 Il tentativo pressocchè isolato di Strange (1980) di localizzare Kftw-Kaftôr a Cipro contro la com-munis opinio, trova convincenti argomenti contrari in Vincentelli 1984.

39 Fra le tante indicazioni bibliografiche sull’argomento, riferibili ad aree scientifiche differenziate, si rimanda a Bérard 1951, Gordon 1955 bis, 1963 e 19652, Vercoutter 1956, Erlenmeyer 1960, 1961 e 1964, Prignaud 1964, Mazar 1964, Garbini 1967, 1988 e 1997, G.E. Wright 1966, Schachermeyr 1967, Burn 19682, Crossland, Birchall 1973, Delcor 1978, Pugliese Carratelli 1979, Barnett 1979, Albright 1983, Donadoni 1985, Bunnens 1985, Crowley 1989, e alle bibliografie ivi incluse. Recenti raccolte di studi al riguardo sono Gitin, Mazar, Stern 1998 e Oren 2000. Per un ulteriore aggiornamento si veda anche Micoli 2005-2006 e la relativa bibliografia.

40 Di cui appaiono conseguenze estreme i tentativi di lettura su basi semitiche dei testi in lineare A (cfr., p. es., Gordon 1958 e 1966).

Page 21: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

21

di una sorta di successive colonizzazioni egee dell’antica Palestina. Per quanto riguarda il problema dei Filistei, mi sentirei di far mio l’equilibrato punto di vista di Bunnens (1985, p. 245), il quale sostiene che «la civiltà fllistea non risulta tanto dal trapianto in Palestina di un elemento etnico venuto da ovest, quanto invece testimonia la ricostituzione, con l’aiuto di elementi culturali di diverse origini, di una società urbana e sedentaria dopo la grande crisi del XII secolo». Dei contatti all’origine di questi apporti, contatti distribuiti nel tempo a partire da un’epoca ben più remota dell’invasione dei Popoli del Mare, quelli fra la costa palestinese e l’Egeo cretese sono stati di certo i più continuativi e coinvolgen-ti: ritengo che il loro portato culturale possa essere utilmente individuato ed etichettato come «sostrato egeo-(pre)filisteo», o più sinteticamente «egeo-cananaico».

I due termini a confronto

Già a conclusione di una mia precedente ricerca su un termine ebraico dell’architettura sa-crale, mi è sembrato di poter affermare «una relazione fra ebr. liškâ («stanza annessa a un santuario») e gr. levsch, relazione che appare peraltro frutto di una vicenda lessicale affine a quella sottesa al rapporto fra ebr. bāmâ e gr. bwmovı: in entrambi i casi, infatti, i comuni prototipi architettonico e lessicale vanno piuttosto ricercati negli esiti di tecniche costrut-tive proprie non dell’evolutissima Mesopotamia, ma di civiltà del sostrato siro-palestinesi o, comunque, di sostrati del bacino del Mediterraneo orientale»41.

Ora, per restare nello stesso ristretto ambito semantico, quello dell’ architettura sacra-le, e nello stesso fascio di vicende lessicali, vorrei aggiungere ai due già proposti, il nuovo confronto fra ebr. d ebîr e la base *dabur-42 di da-pu2-ri-to / labuvrinqoı, termini che, come i quattro che costituiscono le altre due coppie, non presentano attendibili etimolo-gie, né semitiche né indeuropee: ritengo a questo punto infatti non azzardato attribuire anche questi due lessemi allo stesso sostrato del bacino del Mediterraneo orientale, sopra precisato come «sostrato egeo-cananaico».

La forma dei due significanti è sufficientemente coincidente per poter procedere al con-fronto di nomi riferibili al sostrato: su di essa ritornerò con una breve precisazione.

Per quanto riguarda il significato, sostanziato in concreto dai rispettivi referenti, il tratto saliente che li accomuna sembra essere quello di «sacro recesso pressoché inaccessibile».

Esso vale infatti sia per il d ebîr salomonico, che per la duplice interpretazione del ter-mine greco-miceneo, «caverna sede di culto, naturale o parzialmente scavata» oppure «costruzione elaborata attorno a un focus cultuale», che il mito rappresenta come il luogo del sacrificio attivo e passivo del Minotauro.

L’oscurità e l’essenzialità della cella recondita del tempio di Gerusalemme può concet-tuaImente ben rapportarsi alle caratteristiche della caverna cultuale cretese. Solo riferen-doci a questo focus cultuale possiamo allargare il confronto ai cosiddetti ‘palazzi’ di Creta, dalla cui pianta sembrano appunto derivare le più antiche rappresentazioni grafiche del labirinto: nelle infinite riflessioni che l’archetipo del labirinto ha generato nella nostra

41 Aspesi 1991, p. 66.42 Uso da qui in avanti *dabur(-) come formula convenzionale, solo rappresentativa dei valori fonetici

effettivamente sottesi alla dentale iniziale e alla labiale intervocalica.

Page 22: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

22

cultura dalla preistoria a oggi, il concetto di centro spesso riassume in sé il valore simboli-co del labirinto intero, riservando all’insieme dei meandri la funzione complementare di percorso, dell’iniziato o del defunto, verso il centro stesso.

Una delle funzioni del suffisso d’origine anellenica -inthos è di formare toponimi43: in epo-ca micenea, quindi, il cosiddetto ‘palazzo’ (o santuario) di Cnosso, così come forse gli altri edifici cretesi consimili, potrebbe ricavare la sua denominazione dal fatto di essere «il luogo del *dabur»: il parallelo referenziale con l’ebraico, non andrebbe ricercato quindi nell’intero edificio quanto nel sito di esso che costituiva il suo focus cultuale, trasposizione, in chiave architettonica, dell’intima parte della caverna di culto, preesistente in questa funzione al re-cesso più sacro dei «palazzi», e destinata a sopravvivere dopo la loro definitiva distruzione.

Per Cnosso, il presunto *dabur, originariamente forse qualcosa di simile alle due tholoi ipogeiche successivamente interrate44, poteva essere rappresentato, in età proto-micenea, da ambienti quali la cosiddetta ‘sala del trono’ e vani annessi: fra questi, il più appartato e probabilmente connesso con le funzioni cultuali tipiche delle grotte cretesi, appare essere il recesso seminterrato noto come ‘bacino lustrale’45.

D’altra parte, in questo contesto complessivo, non appare priva di significato la stretta associazione fra il d ebîr salomonico e la grotta che si apre nella Sakhra, la roccia emer-gente al centro del pavimento della moschea di Omar46. De Vaux (19773, p. 317) afferma che «è certo che bisogna mettere il Tempio in stretto rapporto con questa roccia» e che «alcuni autori sono ritornati a un’antica opinione considerando la roccia sacra come il fondamento del Debir, il Santo dei Santi. [...] Essa trova una certa conferma nella tra-dizione rabbinica secondo cui una pietra affiorava nel Santo dei Santi». Se la Sakhra s’identifica senza difficoltà con la rabbinica š etiyyā, la pietra fondamentale sulla quale il mondo fu creato, la grotta che in essa si apre, per alcuni sacra già in tempi preistorici47,

43 Pugliese Carratelli 1938-39, pp. 293-97, con riferimento ad analoghi suffissi asianici e bibliografia sull’argomento; cfr. anche Gallavotti 1957, 169 e Scarpi 1974, 194. Deroy (1956) ne sottolinea invece la valenza di formante di collettivi (193-95). Per un repertorio dei nomi in -inqoı, cfr. Kober 1942, p. 321 e Buck, Petersen 1970, pp. 445-49. Le due funzioni di tale suffisso, sia di collettivo che di forman-te di toponimi sulla base della «geographische Zugehörigkeit», questa già sottolineata da Kretschmer (1925), sono evidenziate anche in Quattordio Moreschini 1984 (pp. 16 e 17), una monografia com-plessivamente dedicata alle formazioni nominali greche in –nth-: in essa, le pp. 60-67 sono dedicate al termine labuvrinqoı.

44 Evans 1921-35, I, pp. 104 ss. Evans scavò e successivamente reinterrò la tholos sottostante all’angolo sud-ovest del primo palazzo, dell’altezza di sedici metri e del diametro di otto: questa tholos sembra con-figurarsi proprio come una grotta artificiale annessa al palazzo. L’archeologo inglese (ivi, p. 160) precisa che «there are indications that a similar hypogaeum had been filled in at the same time as the other, at the South Eastern Corner of the Palace». Sulla possibile natura labirintica di tali ipogei, rimando a San-tarcangeli 19842, pp. 64-66. Evans (ivi) definisce queste costruzioni sotterranee «bee-hives chambers»; sulle relazioni, che ritengo non solo formali, fra grotte naturali/artificiali di culto (quindi ‘labirintiche’) e alveari in ambito egeo-cananaico, mi riprometto di ritornare in altra sede.

45 Si veda l’excursus al termine di questo capitolo.46 D ebîr è anche un toponimo biblico identificabile con Kirbet-Rabud (cfr. il dibattito al riguardo in

Galling 1954, Albright 1967 e Kochavi 1974). Può essere significativo al riguardo che Gonen (1992, pp. 240-41) sottolinei come tale località sia caratterizzata da numerose caverne-sepolcro. La grotta-sepolcro di Machpe1ah a Hebron mi sembra presentare peraltro. nella tradizione ebraica postbiblica, tratti ‘labi-rintici’ condivisi dalle leggende sul d ebîr (Ginzberg 1909-38, passim).

47 Waterman 1943, p. 284.

Page 23: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

23

sembra raffigurare l’abisso sul quale la š etiyyā galleggiava; nella speculazione araba, tale grotta costituisce il bîr ’al-’aruâḥ, il pozzo delle anime48. Insieme, roccia del d ebîr e grotta sottostante, costituiscono, per la mistica ebraica, araba (unitamente alla Mecca) e cristiana, il centro spirituale e materiale del mondo e dell’intero creato49 in un’impres-sionante fioritura di miti e leggende che trovano riflesso, fra l’altro, nella geografia della Commedia dantesca.

Tale centro del mondo è immaginato come un ombelico e la sua localizzazione si esten-de, nelle tre religioni bibliche, anche al Tempio e all’intera Gerusalemme50.

Il valore simbolico dell’ombelico cosmico è pregnante nelle culture indo-mediterranee, dall’«ombelico dell’increato» nel Rig Veda, all’ojmfalovı di Delfi, centro del culto di Apol-lo: nei santuari in altura, sia a Creta che nella Palestina pre-israelitica (ma anche nelle ete-rodosse bāmôth), il focus del culto è spesso segnalato dalla presenza di steli e, nelle caverne cultuali crete si come quella dell’Amnisos, da corrispondenti stalagmiti: le une e le altre anticipano, nella loro forma, la rappresentazione classica dell’ojmfalovı51. Quest’ultima constatazione ci riporta alla con-centrazione del labirinto, riflessa nella scomposizione della sua denominazione greco-micenea in da-pu2-r - i-to / labuvr- inqoı, per evidenziarne il significato di luogo del *dabur, del sacro recesso. Il nesso fra labirinto e ombelico, il secondo centro del primo, è peraltro già stato accennato da Widengren (1960, p. 14): nonostante la recenziorità dell’attestazione, forse non è priva di significato al riguardo l’attribuzione dell’ invenzione del labirinto al re Salomone in manoscritti medievali greci ed etiopici52.

Orbene, il termine ebraico per ombelico, a partire dalla Bibbia, è ṭabbûr53, privo di etimologia ebraica e del tutto isolato in semitico54, la cui forma rimanda a quella ipotizzata come pre-ellenica priva di suffisso, con ancor maggior precisione di d ebîr, perlomeno per quanto riguarda la vocale lunga55.

Un’unica matrice di sostrato sembra così essere alla base di due nomi, entrambi riferiti a uno stesso ambito cultuale antico ed estremamente ramificato, ma assunti dall’ebraico biblico secondo modalità certamente differenziate, anche se ovviamente non ricostruibili: l’oscillazione fonetica della dentale iniziale e della labiale ben si rapportano alle difficoltà di resa di questi due suoni nelle occorrenze greco-micenee. Lo specifico consonantismo del termine architettonico potrebbe risultare dall’attrazione formale esercitata dalla radi-ce *DBR, sia sulla base della connotazione di «essere posteriore», sia di quella di «par-

48 Vincent, Steve 1956, p. 564, dove vengono descritte le caratteristiche di tale grotta. Cfr. anche le figure 172 di p. 563 e 180 di p. 592.

49 Sul simbolismo del centro mi limito a rimandare a Eliade 1957 e a Guenon 1962, oltre a buona parte dei riferimenti bibliografici che seguiranno per l’ombelico cosmico.

50 Fra gli altri, Wensinck 1917, Caspari 1933 e Terrien 1970, p. 47.51 Monografie di carattere generale sono Roscher 1913 e Hermann 1959; si rimanda anche all’ampia

bibliografia del citato lavoro di Terrien (1970).52 Kern 1981, pp. 163-65.53 Nella Bibbia presenta solo il significato traslato di «ombelico della terra»; Giud. 9, 37, riferito a

Shechem, ed Ez. 38, 12.54 Per una breve rassegna dei tentativi di etimologia, si rimanda a Talmon 1977, p. 246 e relative

note.55 Per quanto riguarda il consonantismo, la dentale enfatica può rendere altrettanto bene che la media

la dentale iniziale di sostrato, mentre il raddoppiamento della labiale sembra garantirne la realizzazione occlusiva, opponendosi al processo di spirantizzazione intervocalica.

Page 24: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

24

lare», essendo il d ebîr la parte più sacra del tempio, dedicata al dio vivente e alla sua pa-rola56; anche il vocalismo, secondo il diffuso schema nominale semitico QaTîL, sembra essere indizio di un maggior grado di «acclimatazione linguistica» di questo termine in ebraico, in rapporto all’altissima valenza specifica che il suo referente viene ad assumere per gli Ebrei pervenuti alla terra promessa.

Nella cosiddetta formula di libagione incisa con varianti su diverse tavole di libagione cretesi in lineare A, appare ragionevole isolare un secondo membro di sintagmi il quale, traslitterato con i valori fonetici del lineare B, figura come (-)du-pu2-re: l’ambito sacrale delle iscrizioni e le considerazioni che figurano nel capitolo successivo (I.2) inducono a ritenere tale lessema l’attestazione pre-ellenica del nostro termine di sostrato, significati-vamente priva del suffisso di localizzazione.

Le argomentazioni al riguardo figurano in questo stesso volume, nello capitolo succes-sivo (I.2): la supposta forma cretese pre-ellenica parrebbe così vicina a quelle emerse in ebraico, l’una e le altre prossime al significato ‘originario’ della comune matrice di sostrato (peraltro già deducibile dal confronto greco-ebraico qui proposto), cioè di focus cultuale di uno specifico tipo di santuario, assolutamente recondito e perlopiù ctonio.

La presumibile adozione del nome di sostrato per l’intima cella del tempio nella Siro-Palestina preisraelitica avrebbe dato luogo a un’acclimatazione limitata alla fonetica al-lorché esso passa, come termine architettonico, in ebraico; il trasferimento di un’analoga denominazione dalla originaria caverna cultuale cretese al centro cultuale ctonio, o semic-tonio, costruito all’interno dei ‘palazzi’, avrebbe posto invece le premesse per l’assunzione del termine nella lingua dei Greci sopraggiunti a Creta dopo la metà del secondo millen-nio: tale assunzione si sarebbe prodotta attraverso l’aggiunta di una suffissazione locativa e la conseguente estensione semantica a significare l’intero ‘palazzo’.

I Greci sembrano infatti denominare i cosiddetti palazzi come labirinti solo in quanto «luoghi del labir(into), luoghi che includono il labir(into) stesso»: è quindi verosimil-mente col predominio dei Micenei a Creta che, attraverso la suffissazione di *dabur e la definizione della sua rappresentazione simbolica nelle forme attestateci dalla tavoletta di Pilo, il concetto di labirinto si salda definitivamente, nella storia millenaria della nostra cultura, alla pianta schematizzata dei ‘palazzi’ cretesi.

ExcursusIl meandro come rappresentazione grafico-simbolica del centro del labirinto: sue possiblli va-lenze ‘egeo-cananaiche’

La denominazione greca da-pu2-ri-to / labuvrinqoı appare dunque custodire l’essenza del suo significato al proprio interno, cioè nel tema privo di suffisso: di fatto è tale tema

56 Rimando ai riferimenti a Torrance, Moscati e Barr (sopra, p. 5 e n. 27). La connessione percepita dai Greci fra ojmfalovı e ojmfhv «parola divina, oracolo» (Delcourt 1955, pp. 148-49) è peraltro paral-lela a una possibile contaminazione fra ṭabbûr e la radice *DBR di ebr. dābār, termine che presenta una specifica connotazione di «parola di Dio e dei profeti». Per un’ipotesi di condivisione da parte del greco e dell’ebraico, a partire da un comune sostrato, proprio di una metafora incentrata sulla parola divina o ispirata, cfr. oltre al cap. II.2.

Page 25: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

25

che, per le considerazioni comparative esposte, esprime il senso primario del concetto di labirinto, cioè quello di «intimo recesso sede del ‘sacro’, perlopiù inaccessibile».

Questa situazione lessicale mi sembra trovare un preciso parallelo nel rapporto fra quel-la che possiamo considerare la rappresentazione grafica canonica del labirinto, a partire appunto dalla Creta micenea, e il suo centro, che, come vedremo, corrisponde al tipo gra-fico del meandro.

Sebbene le innumerevoli rappresentazioni del labirinto distribuite nell’arco dei millen-ni e diffuse in larga parte del pianeta presentino numerose varianti sia nel numero e nello sviluppo delle circonvoluzioni che nella loro risoluzione centrale, mi pare possibile isolare un prototipo cretese, identificabile col tracciato ortogonale «a sette corridoi» inciso sulla tavoletta micenea trovata a Pilo e riscontrabile con assoluta precisione su alcune monete cretesi d’epoca ellenistica57. Altre monete cretesi dello stesso tipo riportano lo stesso trac-ciato, reso tuttavia con linee curve: il labirinto a spirale costituisce anch’esso infatti una tipologia antica e diffusa, come testimoniano quello etrusco dell’oinochoe di Tragliatella, quello siriano di Tell Rifa’at, quello di Pontevedra in Galizia58 o, ancor più significativa-mente, quello cretese su osso segnalato da Meriggi e Poetto nel 1979.

Le due diverse raffigurazioni possono sembrare a prima vista sviluppi autonomi del meandro e della spirale, elementi apparentemente decorativi che dominano l’iconografia del Mediterraneo orientale a partire dal neolitico, come dimostra ad esempio la ceramica di Dimini del IV millennio. Tuttavia, mentre possibili identificazioni del labirinto con una vera e propria spirale sono rare e tarde (dalla raffigurazione del gomitolo d’Arianna in forma di spirale in un rilievo di Sardis59 alla glossa di Esichio che equipara il labirinto a un «luogo a forma di chiocciola»), la raffigurazione schematica a linee curve non è una spi-rale continua, ma una successione di tratti che portano al centro con continue inversioni di tracciato. Essa riproduce infatti esattamente il percorso di quella ortogonale, attraverso un procedimento d’incurvatura dei meandri, così da dover essere in definitiva interpretata come un rifacimento secondario su di essa, motivato forse in origine da necessità concrete di adattamento dell’immagine a superfici circolari.

La rappresentazione a meandri, d’altra parte, sembra proprio presentare una sua intrinse-ca motivazione formale: il suo centro è esso stesso un vero e proprio meandro, se si considerano, oltre al segmento di percorso finale, anche i quattro precedenti e l’intera raffigurazione si delinea come un ampliamento di tale meandro centrale, probabilmente a immagine schematizzata dell’impianto architettonico del cosiddetto ‘palazzo’ cretese, allorché il centro di culto cto-nio, di cui il meandro sembra essere lo specifico simbolo grafico, viene in esso conglobato.

La possibilità che il meandro, racchiuso nel centro della rappresentazione schematica del labirinto cretese, sia in qualche modo la cifra grafica del focus cultuale a Creta, pare infatti trovare alcune significative conferme nell’ ambito geografico creto-cananaico.

La più sorprendente è, a mio avviso, riscontrabile in una delle principali caverne-san-tuario di Creta, la grotta dell’Amnisos, prospiciente l’omonimo porto, citata da Omero

57 Il tracciato labirintico detto cretese presenta anche una variante meno diffusa a undici corridoi (cioè a dodici anse).Per alcune delle raffigurazioni cui si fa riferimento nel testo, si veda alle pp. 28 e seguenti.

58 Per le riproduzioni e gli studi di queste tre attestazioni di labirinto a spirale, si rimanda, rispettiva-mente, a Giglioli 1929, Pecorella 1973 e Peña Santos 1981.

59 Shear 1923.

Page 26: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

26

come sede del culto di Ilitia: reperti votivi attestano in essa una permanenza del culto dal neolitico all’età romana. Al suo interno, il focus cultuale che è identificabile in due stalag-miti affiancate, è circoscritto da un muretto a secco la cui forma è esattamente quella del meandro centrale: sebbene non possa essere datato con precisione, Evans vede in esso un temenos cultuale d’epoca minoica60.

Benché abbia motivi per ritenere che la primitiva trasposizione della caverna cultuale in chiave architettonica all’interno del complesso palaziale a Cnosso possa essere stata costituita dalle due tholoi ipogeiche coeve alla prima fondazione e successivamente inter-rate61, il più tardo focus cultuale, quello ancora in funzione all’affermarsi della supremazia micenea, dovette essere costituito da ambienti di culto recenziori del ‘palazzo’, quali la sala detta del trono con i vani annessi: fra questi il più recondito è il cosiddetto ‘bacino lustrale’, parzialmente ctonio in quanto accessibile dal piano tramite una scala, la cui pian-ta coincide per l’appunto col meandro centrale e quindi con la forma del muretto della grotta dell’Amnisos. A partire da Evans62, questo genere di vano, che troviamo anche nella parte più a nord del ‘palazzo’ e a Festo (si veda la foto di p. 31), viene messo in relazione con le funzioni cultuali ctonie tipiche delle grotte sacre cretesi63.

Anche i successivi scavi del palazzo minoico di Akrotiri a Thera ci hanno restituito, nell’edificio denominato dagli archeologi Xeste 3, un adyton identificato come ‘bacino lustrale’, seminterrato e con pianta a meandro64. Ciò che rende di straordinario interesse questo ambiente di culto palaziale è il suo corredo di affreschi, il cui focus è costituito da una divinità femminile in trono, fiancheggiata da una scimmia e da un grifone, alla quale recano offerte giovani donne in abito cerimoniale65. Ne risulta un preciso rimando a ri-tuali femminili d’iniziazione e di fertilità, estesi all’ambito naturale per la presenza in tale affresco anche di scene di vegetazione66: gli stessi culti presupposti per l’appunto per le ca-verne sacrali egeo-cretesi, alle quali pare accennare direttamente l’ulteriore raffigurazione di un rilievo roccioso.

Lo stesso tipo di meandro assume dignità di segno nelle tre scritture cretesi, geroglifico, lineare A e lineare B. In ambito cananaico, un identico segno fa parte della cosiddetta scrittura proto-gublaita degli inizi del secondo millennio: tale segno sta quasi certamente

60 Evans 1921-35, II, 2, p. 839 e IV, l, p.1l; dello stesso parere sono Marinatos e Platon.61 Evans 1921-35, I, pp. 103-06; si vedano al riguardo le considerazioni alla p. 17 di Cagiano De Aze-

vedo 1958, che attribuisce, come già Robert nel 1937, una valenza labirintica alle costruzioni a tholos. Si veda anche sopra alla n. 20.

62 Evans 1921-35, II, p. 322.63 Spiridion Marinatos (1941, p. 130) ritiene infatti «extremely probable that the curious subterranaean

constructions in Cretan palaces, of which the so-called north lustral basin and the basin of the Room of the Throne at Knossos are the best examples, were simply elaborate imitations of the caves». Sui ‘bacini lustrali’ come adyta si veda in esteso N. Marinatos 1993, pp. 77 ss.

64 N. Marinatos 1984, p. 14 e 1993, pp. 203-11.65 Ivi, pp. 61-72. Si veda in particolare la ricostruzione di tale ambiente alle pp. 66-67, qui riprodotta

alla p. 97. La presenza di un grifone associato alla divinità rimanda alla raffigurazione dei cherubini nel d ebîr salomonico, valorizzando così sia l’accostamento qui proposto fra il dubure cretese e il d ebîr di Gerusalemme, sia il discusso confronto fra gruvy “grifone” ed ebraico kerûb “cherubino” già avanzato nell’ottocento (Delitzch 1873, pp. 106-07, Muss Arnolt 1892, p. 100, Lewy 1895, pp. 11-12) e ripreso recentemente da Brown (1995-2001, vol. II, pp. 303-04).

66 Ivi, pp. 73-84.

Page 27: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

27

all’origine del tracciato della bêth fenicio-ebraica, la cui denominazione significa, oltre che «casa», «tempio».

Poiché in semitico (e in egiziano) è abituale estendere la denominazione per «casa» a indicare il tempio, è possibile che il meandro sia stato acrofonicamente adottato per la lettera bêth in quanto riproducente la pianta di un tipo di casa siro-palestinese; se però ci soffermiamo sulla planimetria dell’elemento che viene interpretato nell’architettura pre-israelitica come il precursore del d ebîr del tempio salomonico, possiamo rilevare un’ulte-riore curiosa coincidenza. Nella maggior parte dei casi, tale elemento, la cella cultuale, è confinata in un angolo a ridosso della parete posteriore del tempio e presenta un piccolo accesso laterale, spesso preceduto da una scala; la sua proiezione sul piano finisce così a configurarsi come un meandro: ciò mi sembra evidente in particolare nella pianta del tem-pio di Tel Qasile (p. 30) e in quella di Tell Ta’yinat in Siria, la cui conformazione viene da alcuni considerata la più prossima a quella del tempio salomonico.

Voglio aggiungere un accenno alla forma a meandro del santuario sud-arabico di Je-bel Balaq al-Janubi67, a ulteriore documentazione della diffusa e profonda associazione del meandro al focus cultuale nell’area del Mediterraneo orientale. Nel millennio succes-sivo troviamo nel semitico d’Etiopia il nome dāber per «chiesa»: tenendo conto dello strettissimo legame non solo linguistico fra le popolazioni semitiche sudarabiche e quelle d’Etiopia, potremmo azzardare l’ipotesi che l’influsso della comune forma a meandro dei referenti originari stia alla base del prestito di ebraico d ebîr in etiopico.

Un’antichissima associazione fra la forma del meandro e la simbolizzazione di un certo tipo di centro cultuale sembra quindi diffusa nel Mediterraneo orientale, ricoprendo forse l’area di ciò che, in chiave linguistica, ho definito come sostrato «egeo-cananaico».

A Creta, essa preesiste verosimilmente alla rappresentazione simbolica del labirinto, testimoniata a partire dall’epoca micenea68, e ne costituisce l’elemento cardine centrale.

Così come nella lingua dei Greci installatisi a Creta sul tramonto della civiltà palaziale, il da-pu2-ri-to sembra essere «il luogo del da-pu2-r», cioè dell’antico centro cultuale ctonio trasferito nell’ambito del cosiddetto ‘palazzo’, la rappresentazione simbolica del da-pu2-ri-to viene costruita a partire dall’antica cifra grafica di tale centro ctonio, cioè dal meandro.

Gli echi di questa sovrapposizione del simbolismo grafico del labirinto a quello del me-andro sembrano riscontrabili ancora in epoca classica, come forse attestano le specifiche valenze della decorazione a meandro su un piatto rinvenuto a Vulci, raffigurante Teseo col Minoauro ucciso69, e sul soffitto dei due corridoi a scale del tempio di Apollo a Didima (III-II sec.), denominati labuvrinqoi dagli stessi costruttori.

67 Jung 1988, p. 201.68 La scoperta da parte di Manfred Bietak della raffigurazione di un labirinto ortogonale, avvenuta nel

corso degli scavi di strutture palaziali ‘minoiche’ a Tell ed-Dab‘a, nel delta del Nilo, potrebbe fornirci un diretto antecedente dello schema labirintico in questione, anche se divergente nel tracciato (in quanto incentrato su rappresentazioni di tori e acrobati) e quindi non ancora definitivamente schematizzato nella forma del labirinto cretese; si veda Bietak 1996, in particolare alle tavv. IV e V.

69 Lehman Williams 1965 e Kern 1981, p. 31 (e bibliografia); contra Elderkin 1910. Kerényi (1992, pp. 103-04), cita queste e altre raffigurazioni del meandro in contesti allusivi all’intero labirinto, citan-dol’affermazione dell’archeologo Paul Wolters secondo la quale il meandro nelle rappresentazioni della leggenda del Minotauro «era adoperato come indicazione simbolica del labirinto».

Page 28: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

28

Tipo ortogonale "cretese" a sette corridoi, con meandro centrale evidenziato.

Tavoletta micenea di bilo.

Moneta ellenistica di Cnosso. Tipo arrotondato a sette corridoi.

Rappresentazione cretese su osso. Moneta ellenistica di Cnosso.

Raffigurazioni labirintiche

Page 29: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

29

Tell Rif 'at (Siria). Pontevedra (Spagna).

Grotta di Ilitia ad Amnisos: muretto a secco alle due stalagmiti.

"Bacino lustrale" annesso alla sala del trono del tardo palazzo di Cnosso.

Varietà del segno AB 58 attestate i lineare A. Iscrizione da Biblos su pietra: segno a forma di meandro.

Page 30: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

30

Tempio di Tel Qasile

Livello XI. Livello X.

Dettagli meandriformi delle due piante.

Temenos sud-arabico di Jebel Balaq al-Janubi.

Kylix attica firmata da Aison (Piatto di Vulci).

Page 31: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

31

‘Bacino lustrale’ dalla tipica pianta a meandro annesso agli appartamenti reali del palazzo di Festo ( fotografia dell’autore).

Page 32: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa
Page 33: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

33

I.2 LINEARE A (-)du-pu2-re

Il sempre maggior numero di segni che, presenti nelle due scritture lineari cretesi, possono essere con buona certezza letti in Lineare A con i valori fonetici che essi presentano in B, autorizza ragionevoli tentativi di rendere foneticamente trasparenti altri segni comuni ai due codici, fermo restando l’onere della prova al momento di affermare nuove sicure equi-valenze fonetiche sottese ai due codici grafici70.

Una lettura infatti che provvisoriamente estenda in modo sistematico i valori fonetici della Lineare B a tutti i sillabogrammi omografi della Lineare A, prassi peraltro di fatto abituale nei tentativi d’interpretazione dei testi in Lineare A a partire dalla decifrazione del miceneo, fornisce un materiale linguistico foneticamente evidente benché insicuro; viene così empiricamente consentita l’interazione fra constatazioni di carattere fonico71 e considerazioni di carattere lessicale che, come nel caso degli acrofoni preliminarmente segnalati da Negri (1997), può consentire di ampliare il novero delle letture A=B pos-sibili, oltre che di avanzare ragionevoli ipotesi di lettura per alcuni segni esclusivi della Lineare A.

Gli elementi lessicali maggiormente atti a essere utilizzati a questo scopo, quelli cioè che hanno maggiori probabilità di appartenere al cosiddetto ‘minoico’, cioè alla lingua sottesa alla Lineare A72, sono essenzialmente i toponimi, teonimi e antroponimi ‘cretesi’ e i termini glossati in greco come cretesi, oltre ai lessemi che la comparazione attribuisce a un sostrato cui possano essere associati ipotetici idiomi pregreci egeo-cretesi73.

Proprio a partire da un lessema ricostruito come di sostrato, quello di cui mi accingo a parlare, muovono le mie considerazioni sulla sequenza di segni (-)51-29-2774 della do-

70 Per un’indagine complessiva volta a rendere foneticamente evidenti i testi in Lineare A si rimanda a Consani, Negri 1999 (PTILA).

71 L’agnosticismo rispetto alla distinzione fra fonetica e fonologia mi pare d’obbligo per la maggior parte di questo materiale.

72 Uso questa dizione semplificata senza voler escludere che la lineare A possa essere stata utilizzata per più di una lingua.

73 Si veda al riguardo Negri 1988.74 Secondo la numerazione di Godart-Olivier 1979-85 (GORlLA), cui farò in seguito riferimento

implicito.

Page 34: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

34

cumentazione in Lineare A, sequenza leggibile preliminarmente come (-)du-pu2-re sulla base dei valori fonetici che tali segni presentano in Lineare B.

Greco labuvrinqoı è notoriamente riferito dagli scrittori classici, oltre che a un tipo di danza, a costruzioni particolarmente complesse e a grotte naturali o scavate. La divergen-za fra i due referenti architettonico-ambientali appare riducibile solo evidenziandone la comune connotazione sacrale adombrata dal mito sacrificale del Minotauro; essa è palese per la caverna cultuale cretese e documentata, per quanto riguarda i cosiddetti ‘palazzi’, dai contesti delle ricorrenze di miceneo da-pu2-ri-to.

Poiché i numerosi e contradditori tentativi etimologici hanno confermato, come unico risultato sicuro, la natura di sostrato di da-pu2-ri-to / labuvrinqoı, è proprio a partire dal-la connotazione architettonico-sacrale di luogo di culto che ho sviluppato un confronto con l’ebraico ebraico d ebîr (<*dabîr) «sancta sanctorum del tempio di Gerusalemme».

La forma di questo nome non sembra opporsi a un confronto con la base del termi-ne greco-miceneo; esso risulta riportabile con difficoltà ai significati di base della radice *DBR e appare essere assunto dal sostrato unitamente all’adozione da parte degli architetti di Salomone del suo specifico referente architettonico, preesistente nell’architettura siro-palestinese pre-israelitica; ciò a differenza delle altre due parti che completano il tempio, ’ûlām e hêkāl, le quali, sia nelle forme monumentali che nella denominazione, denun-ciano l’influsso della predominante architettura templare della Mesopotamia. Allo stesso sostrato sembrano riferirsi, sempre nel ristretto ambito lessicale dell’architettura sacrale, almeno altri due nomi riscontrabili in greco ed in ebraico e altrettanto privi di convincenti confronti in indeuropeo e in camito-semiticò: bwmovı - bāmâ e levsch - liškâ.

Ho proposto di definire tale sostrato come «egeo-cananaico»: di esso abbiamo altri indizi linguistici e archeologici, suffragati dalle testimonianze bibliche, antico-egiziane e classiche sulle strette affinità fra popolazioni cretesi e della Palestina pre-israelitica.

Ritengo quindi che un lessema di sostrato formulabile come *dabur, quale che sia stata con esattezza la sua effettiva consistenza fonetico-fonologica, sia sotteso a ebraico d ebîr e alla base priva di suffisso di greco da-pu2-ri-to / labuvrinqoı, a partire da un significato di fondo comune di «recesso di culto, focus cultuale di un santuario».

La suffissazione -inqoı parrebbe quindi un’aggiunta secondaria: dato che essa pre-senta, fra le altre sue funzioni in greco, anche quella di suffisso locativale, è possibile che il termine di sostrato abbia assunto solo in greco la forma suffissata: i Greci so-praggiunti a Creta dopo la metà del secondo millennio avrebbero esteso, attraverso la suffissazione, il significato di *dabur da «recesso cultuale» a «luogo caratterizzato dalla presenza di uno o più recessi di culto», indicando quindi probabilmente con esso l’intero complesso del cosiddetto ‘palazzo’ cretese: ciò renderebbe ragione della rap-presentazione grafica simbolica che sembra fissarsi nelle sue forme canoniche ortogo-nali proprio in epoca micenea, come ci è testimoniato dalla tavoletta rinvenuta a Pilo. Tale rappresentazione infatti, inadeguata al labirinto come focus cultuale, all’originaria caverna cultuale assunta in forme architettoniche nel ‘palazzo’, sembra invece ben rap-portarsi a una rappresentazione schematizzata dell’intera pianta palaziale incentrata sul presunto *dabur 75.

75 Confronto da me argomentato nel precedente capitolo (I.1).

Page 35: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

35

La lettura preliminare du-pu2-re della sequenza di segni (-)51-29-27 mi consente così di avanzare l’ipotesi che a essa sia sotteso il lessema che sta alla base del nome greco consi-derato e che si collega, in un comune sostrato, con quello ebraico; secondo questa ipotesi, (-)du-pu2-re appare significativamente privo del suffisso locativale attestato in greco e par-rebbe quindi conservare l’accezione più ristretta di «recesso cultuale».

Tale sequenza figura su due tavole di libazione rinvenute a Paleocastro (PK Za 8 e 15) e su di un frammento di pithos proveniente da Haghia Triada (HT Zb 160). Nei primi due casi completa rispettivamente le sequenze ja-na-ki-te-te- e ja-di-ki-te-te- ed è inserita nel contesto della cosiddetta formula di libazione: il segno 51 presenta erasioni in entrambi casi, il segno 29 solo in PK Za 8; in HT Zb 160 essa completa invece la sequenza pa-ta-da-. I segni delle tre sequenze iniziali sono tutti comprovatamente leggibili con i valori fonetici che presentano in miceneo.

Una prima questione che ci si pone è se (-)du-pu2-re possa essere considerato un lesse-ma autonomo e non, come appare a prima vista da questi documenti, solo un segmento terminale di parola. La constatazione che entrambe le due sequenze iniziali, ja-na-ki-te-te- /ja-di-ki-te-te- e pa-ta-da (-) appaiono isolate in altri contesti è però di per sé suffi-ciente a comprovarne la natura autonoma: il primo termine costituisce infatti, con varianti formali, uno degli elementi lessicali caratteristici della formula di libazione in altre sue attestazioni rinvenute a Paleokastro (PK Za Il e 12) e sul monte Iuktas (IO Za 2); meno sicura al riguardo è la testimonianza di pa-ta-da (-) in fine di linea nella tavoletta PH(?) 31a.3, in quanto è seguita da una frattura all’inizio della linea successiva.

In aggiunta a ciò segnalo l’identificazione della nostra sequenza proprio in PK Za 11 da parte di Raison e Pope (1980); tale identificazione è veramente problematica e non è condivisa dagli editori di GORILA: qualora però fosse confermata, essa testimonierebbe una successione di termini della formula di libazione leggibili come a-di-ki-te-te du-pu2-re, senza interposizione del tratto di separazione.

Più probante, per una effettiva occorrenza isolata di (- )du-pu2-re, mi pare invece la sequenza 51-314-27 di KO Za 1; la sua posizione nel contesto di una versione della solita formula di libazione induce a ritenerla un’effettiva ricorrenza isolata del lessema in que-stione: sotto il profilo grafico, infatti, le varianti di segno classificate in GORILA come A 314 non si discostano in modo inconciliabile da quelle registrate per il segno AB 2976.

La soppressione del segno classificato separatamente come A 314 e l’accoglimento delle varianti attribuitegli dagli autori di GORILA fra quelle di AB 29 mi sembrerebbe, en pas-sant, un corollario non improponibile delle considerazioni fin qui condotte.

Ritengo perciò di poter affermare che, nelle sue attestazioni più evidenti, un lessema autonomo du-pu2-re figura come secondo termine di composti nominali.

Una diversa prova dell’esistenza di composti nominali nella lingua sottesa alla lineare A è peraltro costituita dalla sequenza di segni 11-05-81-02 (po-to-ku-ro) di HT 131a e HT 122b: in questo secondo documento è particolarmente chiaro come il numero che segue ciò che leggiamo po-to-ku-ro, collocato alla fine dell’intero testo, rappresenti la somma dei due totali precedentemente espressi, specificati dal noto termine ku-ro «tota-

76 Si confronti in particolare la variante di AB 29 in HT 8b.l con quella attribuita ad A 314 in ARKH 3b.2.

Page 36: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

36

le». Poiché, di conseguenza, il significato di po-to-ku-ro non può discostarsi da quello di «totale complessivo, generale», tale termine è necessariamente un composto su ku-ro: un composto, possiamo aggiungere, di tipo «determinante-determinato». Le costanti indi-viduate dalla tipologia linguistica ci autorizzano di conseguenza a inferire una successione «determinante-determinato» anche per i composti con du-pu2-re.

L’interpretazione ipotetica del lessema autonomo du-pu2-re come occorrenza nella lingua cretese pre-greca di un termine del sostrato egeo-cananaico dal significato di «re-cesso cultuale», naturale (caverna di culto) o artificiale (specifico focus cultuale del ‘palaz-zo’), sembra trovar conforto nel contesto in cui ricorre nei testi in Lineare A.

Le due occorrenze accertate in documenti provenienti da Paleocastro e quella che ri-tengo probabile nell’iscrizione di Kophinas sono infatti inserite in testi sacrali, versioni diverse della cosiddetta formula di libazione.

Nei due testi di Paleocastro du-pu2-re figura essere il secondo membro di un com-posto con uno dei termini ricorrenti sotto varia veste grafico-fonetica in tale formula, la cui forma base è leggibile come (j)a-di-ki-te-te. (J)a-di-ki-te-te è perlopiù interpretato come un toponimo: Owens (1993), ad esempio, lo accosta al miceneo di-ka-ta e lo ritiene «nome di una montagna sacra» (p. 160). Crawther (1988) ne sostiene l’identificazione col monte Dikta che, sulla base di testimonianze classiche (peraltro contraddittorie) e ar-cheologiche, ritiene di individuare proprio nell’altura, con resti di un santuario minoico, sovrastante il tempio greco di Zeus Diktaios a Paleocastro.

All’ipotesi di primo grado secondo cui ja-na-ki-te-te-du-pu2-re di PK Za8 e ja-di-ki-te-te-du-pu2-re di PK Za 1577 possano significare «il recesso cultuale di (J)a.», possibile toponimo non meglio identificabile, si potrebbe così aggiungere un’ipotesi di secondo grado, per la quale tali composti possano addirittura significare «il recesso cultuale del Dikta» e riferirsi in specifico al santuario minoico in altura della località dove le due iscri-zioni sono state rinvenute: questa seconda ipotesi ovviamente non è indispensabile al no-stro assunto.

è comunque curioso al riguardo constatare che, nella formula libatoria di Kophinas (KO Za 1), la sequenza che ritengo di poter leggere come du-pu2-re e che appare separata da quelle circostanti, è seguita dai segni 28-01-08, i-da-a. Poiché la struttura «determi-nante-determinato» dei composti nominali nel corpus cretese in Lineare A non esclude di per sé la compresenza di sintagmi nominali sciolti del tipo «determinato determinante»78 potremmo essere qui in presenza della parallela denominazione di un «recesso cultuale dell’lda»: per i-da possibile oronimo in Lineare A rimando ancora al recente lavoro di Owens, ma desidero ribadire la secondarietà di questi aleatori esercizi di localizzazione rispetto alle più consistenti argomentazioni sulla natura di du-pu2-re. Circa l’iscrizione pa-ta-da-du-pu2-re[ del pithos del museo Pigorini (HT Zb160), che tenderei conseguen-temente a interpretare come «sacro recesso di P.», mi limito a segnalare che dall’altro

77 Il secondo segno in PK Za 8, realizzato con punti in rilievo, potrebbe anche essere una variante di AB 07 (di), anziché di AB 06 (na): benché di norma distinti, i due segni sono infatti graficamente prossimi.

78 Uno status tipologico del genere è ovviamente caratteristico, ad esempio, dell’inglese: si confronti skyline con House of Commons.

Page 37: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

37

contesto in cui pa-ta-da(-) ricorre79 evinciamo la sua qualità di nome proprio, sebbene non sia chiaro se si tratti di un toponimo o di un antroponimo.

Dal punto di vista del significante, la fonologia sottostante a una lettura du-pu2-re della sequenza di segni AB in esame non sembrerebbe incompatibile né con quella della base di greco da-pu2-ri-to / labuvrinqoı (la cui suffissazione, col conseguente ampliamento di si-gnificato, sembrerebbe appunto un’innovazione di questa lingua), né con quella di ebraico d ebîr (<*dabîr)80.

La divergenza fra l’uso del segno iniziale AB 51 (du) per il termine espresso con la Lineare A e il segno iniziale AB 01 di da-pu2-r + i-to non sembra rappresentare infatti un ostacolo insormontabile al confronto ‘minoico’-greco: la lettura ipotetica du-, tratta dal valore fonetico di AB 51 in miceneo, potrebbe registrare una qualche assimilazione del vocalismo alla labiale successiva non recepita dal greco (sempre che il greco non abbia tratto il termine da un’altra varietà linguistica cretese prossima a quella messa per iscritto).

L’adozione del segno 29 pu2 in miceneo, forse quindi contestuale all’assunzione nella lingua dei Greci giunti a Creta della base di da-pu2-ri-to, sembrerebbe confermare sia la realizzazione della labiale come media81, sia la natura di sostrato di tale labiale, finora solo indirettamente dedotta dalla sporadicità delle labiali medie in indeuropeo: nel quadro complessivo di questa mia ipotesi, infine, il segno AB 29 verrebbe ad aggiungersi a quelli leggibili nella Lineare A col valore fonetico attestato per la B.

79 PH(?) 31a.3: vedi sopra.80 Per le questioni fonetiche connesse al confronto con l’ebraico, rimando ancora al capitolo predce-

dente (I.1).81 Per la tesi della seconda serie di labiali in miceneo, mi riferisco a quanto esposto in Negri 1997 sulla

base, in particolare, di Witczak 1993. Lo stesso Negri ritorna sulle considerazioni esposte in questo capitolo in lavori successivi (Facchetti, Negri 2003, pp, 230-31 e Negri 2005, p. 57).

Page 38: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa
Page 39: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

39

I.3 GRAECO-SEMITICA: DIVAGAZIONI ATTORNO A UN corovı

DI NOME gevranoı

Greco corovı presenta in Omero ambiguità di significato, valendo sia «danza», e per esten-sione «insieme di danzatori, coro», che, sporadicamente, «luogo utilizzato per la danza», come in Od. VIII, 260 o in Od. XII, 482.

Il significato locale, che non sembra sopravvivere ad Omero se non in un passo di Pau-sania83, va verosimilmente attribuito anche al corovı di Il. XVIII, 590 raffigurato da Efesto sullo scudo d’Achille, in quanto «simile a quello che un tempo Dedalo aveva apprestato (h[skhsen) nell’ampia Cnosso per Ariadne dai riccioli belli».

Si tratta del rimando più antico ai miti connessi col labirinto cretese nella letteratura greca, dove corovı sembra sintetizzare, nel suo significato generale di «danza», o meglio, nel caso specifico, «luogo per un certo tipo di danza», anche quello di labuvrinqoı, il cui significante ci è attestato per la prima volta in scrittura alfabetica in Erodoto (II, 148), con riferimento però a una complessa costruzione dell’antico Egitto84.

La testimonianza omerica è il punto di partenza per l’attribuzione dell’essenza origi-naria del labirinto alla sfera della danza, operata, fra gli altri, da Kerényi (1983, p. 56 e altrove) e da Kern (1981, pp. 18 ss.)85.

Anche se vi sono buone ragioni per ritenere che l’origine remota del labirinto vada piuttosto ricercata in un tipo di santuario ctonio diffuso nel Mediterraneo, soprattutto orientale, la filologia, l’archeologia e l’etnografia ci forniscono di fatto, a partire da Ome-ro, una consistente documentazione di danze riferite esplicitamente alla mitologia del la-birinto e conformate apparentemente alle sue schematizzazioni grafiche86.

82 E, forse, in Od. VIII, 264 e Od. XII, 4 e 318. Anche corovvnde di Il. III, 393 appare essere un avverbio di moto a luogo.

83 III, 11, 9, dove Xorovı è il nome della ajgora; di Sparta: tale valore di «piazza» parrebbe attestato anche in un’epigrafe cretese (SEG 2, 500, 6) e sembra riscontrabile nei composti omerici kallivcoroı (Od. XI, 581), epiteto della città di Panopeo, e eujruvcoroı (Od., passim), quando riferito anch’esso a città. La gran parte dei composti su corovı si rifanno tuttavia al significato di «danza, coro»: Chantraine (1968, II, p. 1269) ne segnala una ventina, tutti però significativamente post-omerici.

84 Labuvrinqoı trova peraltro attestazioni già nella lineare B (da-pu2 -ri-to), in tavolette da Cnosso (KN Gg 702, KN Oa 745 [+] 7374, KN Xd 140).

85 Un’attribuzione della referenza di labuvrinqoı all’area teatrale del Palazzo di Cnosso, inteso come spazio destinato alla danza (solare), si trova già in Cook (1914-40, I, pp. 473-90) e viene fatta propria da Evans (1921-35). Tale opinione si trova espressa più recentemente anche in Willetts (1962, p. 123).

86 All’interno della tradizione classica, si pensi ad esempio al Troiae lusus, così come descritto da Vir-

Page 40: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

40

Nell’Inno a Delo, ai versi 307-315, Callimaco descrive la danza circolare, attorno all’al-tare con il simulacro ligneo di Afrodite, del coro (corovı) guidato da Teseo dei reduci dal labirinto cretese. I versi seguenti (316-324) ci presentano i marinai dell’Egeo che, sostan-do a Delo di passaggio, colpiscono in cerchio il sacro legno d’olivo sull’altare con le mani legate dietro la schiena, secondo le prescrizioni della ninfa Delia per la felicità del giovane Apollo.

è Plutarco (Thes. 21) a informarci che, «come scrive Dicearco», questo tipo di danza, danzato da Teseo col coro dei giovani attorno all’altare detto Cheratone («perché composto di corna, tutte sinistre»), è chiamato dai Deli gevranoı: contestualmente, Plutarco precisa esplicitamente che tale danza, incentrata sull’altare come nella descrizione di Callimaco, è «ad imitazione degli intricati meandri (periovdwn) del Labirinto (ejn tw/ Laburivnqw/) e del-le evoluzioni (diexovdwn) compiute per uscirne, che si svolgono (ajnelivxeiı) e si alternano (parallavxeiı) secondo un ritmo determinato»87.

L’evidente, anche se discussa, coincidenza fra il corovı deliaco di Callimaco e la gevranoı deliaca di Plutarco88 è rafforzata dalla menzione in Plutarco della dedica operata da Teseo della statua di Afrodite avuta da Arianna, oltre che dalla tarda glossa con la quale Esichio afferma che il composto su gevranoı, geranoulkovı, sta per tou~ corou~ tou~ ejn Dhvlw ejxavrcwn, «colui che guida il corovı, quello di Delo».

Un secolo dopo Callimaco, Polluce (4.101), conferma la descrizione della gevranoı labirintica di Plutarco, sottolineando la presenza di due capicoro, cosa che ha fatto pensare alla gevranoı come danzata da due distinte schiere di danzatori.

Nonostante le congetture autorevoli di Diels (1890, pp. 91 ss.) e di Latte (1913, pp. 68 ss.) circa una disposizione delle due schiere in forma di lambda, Crowhurst, con un accu-rato studio iconografico (1963), ha dimostrato che le relative raffigurazioni su ceramica citate dai due studiosi sono nella sostanza rappresentazioni di cori circolari89. Nell’ipotesi delle due schiere suggerita dalla presenza dei due capicoro, si tratterebbe quindi di due file concentriche, alternanti nella direzione secondo uno schema labirintico curvilineo, così come nel citato corovı omerico cesellato sullo scudo di Achille, dove giovani e giovanette «correvano con i piedi sapienti, agevolmente, come la ruota ben fatta prova il vasaio, se-dendo, per vedere se corre; altre volte correvano in file, gli uni verso gli altri90».

gilio (Aen. V, 545-605) e rappresentato sul vaso etrusco di Tragliatella (Kern 1981, pp. 99-111). Meni-chetti (1992) esamina a fondo il repertorio iconografico di tale vaso e lo riferisce ampiamente alla danza della gevranoı, oggetto di questo mio lavoro. Per una esplicita rappresentazione vascolare dell’approdo a Delo di Teseo, di Arianna col gomitolo del filo, della sua nutrice e delle sette fanciulle mano nella mano coi sette giovanetti, si vedano Johansen 1945, Minto 1952 e Kern 1981, pp. 60-61, a proposito del vaso François, databile attorno al 570 a.C.

87 Nella traduzione di Ampolo (Plutarco 19932, p. 47).88 L’autorevole Nilsson (1906, p. 381) è, al pari di Robert, convinto assertore dell’identità delle due

danze. Non così, ad esempio, Cahen (1923, 1923, pp. 18 ss.) e Lawler (1946, p. 115). In un’ottica ‘la-birintica’, tuttavia, Kern (1981, p. 52) riafferma recentemente l’unicità dell’oggetto delle descrizioni di Plutarco e di Callimaco. Una danza con due cori che convergono al centro interpretabile come gevranoı è raffigurata anche sul collo di una hydria proto-attica del VII secolo attribuita al pittore di Analatos (Mancini 2004-05, pp. 159-61, cui si rimanda anche per l’aggiornamento bibliografico sulla gevranoı riportato alla n. 16).

89 Così in Calame 1977, p. 112.90 Il. XVIII, 599-602, nella traduzione di Rosa Calzecchi Onesti.

Page 41: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

41

Già queste prime ed estremamente succinte considerazioni d’ordine filologico c’indi-rizzano verso l’assimilazione di tale corovı omerico al corovı - gevranoı deliaco, sulla base di uno specifico percorso danzato entro un’area circolare91, forse da due schiere di danza-tori: il probabile alternarsi delle due schiere in tale spazio, parrebbe richiamare lo schema del labirinto cretese curvilineo, del tipo raffiguarto su monete di Cnosso d’epoca elleni-stica. La presenza dell’altare delle corna al centro delle evoluzioni dei danzatori a Delo, sottolinea un altro aspetto di queste danze labirintiche, quello sacrale, che sembrerebbe caratterizzare anche il corovı del passo omerico a giudicare, se non da altro, dalla definizio-ne di «danza in circolo in onore degli dei» dello scoliaste a Il. XVIII, 59092.

Gevranoı è anche il nome greco per «gru» e quindi la danza così denominata è da sempre stata intesa come «danza della gru». Tuttavia la Lawler, che ha dedicato buona parte dei suoi studi alla danza nell’antica Grecia, arriva alla conclusione che, benché siano diffuse anche in Grecia danze che mimano animali93, in realtà non esiste alcuna testimo-nianza letteraria o figurativa di movimenti di danza riferibili in qualche modo alle gru94. Di conseguenza, la Lawler ipotizza che il nome gevranoı della danza labirintica di Delos sia solo un omonimo del nome per la gru, riferibile a una radice *ger- «which denotes ‘to wind’, as of rivers and serpents» e inserisce la gevranoı nel novero delle danze a serpentina, che imitano cioè il movimento del serpente95. Se una danza labirintica è facilmente imma-ginabile come una danza sinuosa, e come tale ce la presenta per l’appunto Plutarco, il rife-rimento al serpente appare piuttosto indiretto e metaforico, tanto più che il serpente, alla stessa stregua della gru, non appare mai direttamente associato al mito del labirinto. Dal punto di vista dell’etimologia, poi, sembra davvero azzardato riferire un nome greco con un significato così tecnico addirittura a una radice ricostruita come indeuropea, piuttosto che a un tema nominale presente in altra lingua con un significato compatibile.

Limitandomi quindi ad accogliere della tesi della Lawler la convincente constatazione dell’autonomia di gevranoı «danza labirintica di Delos» rispetto a gevranoı «gru», mi sembra possibile pervenire ad una più convincente etimologia del primo termine a partire da un suo presumibile significato originario dotato di natura locativa, condiviso nell’am-bito ‘labirintico’ dal ben più diffuso nome per danza corovı: quindi gevranoı come danza eseguita nell’area della gevranoı, secondo la specifica ambiguità di significato di corovı nei passi omerici citati all’inizio. L’uso in parallelo di corovı in Callimaco e di gevranoı in Plutarco per la danza labirintica guidata da Teseo a Delo, cui ho già fatto cenno, mi sem-bra peraltro giustificare preliminarmente una ricerca in tale direzione. Inoltre, il campo semantico inerente alla concettualizzazione del labirinto, concettualizzazione che si lascia intravvedere già particolarmente elaborata nelle diverse civiltà del bronzo fiorite attorno

91 Se non bastasse il riferimento omerico alla ruota del vasaio, una conferma al riguardo ci viene dalla pur tarda glossa di Esichio: corovı: kuvkloı. stevfanoı.

92 Schol. Ven. A Il. XVIII, 590 (Dindorf 2.179); Schol. Ven. B (Dindorf 4.202), citati in Lawler 1946, 113, n. 2.

93 Lawler 1964, pp. 58-73 e altrove.94 Ivi 47 e, più in dettaglio, Lawler 1946, pp. 115 ss. con riferimenti bibliografici ai tentativi di riferire

la danza della gevranoı alla gru. Sachs (1966, p. 272) segnala una danza a imitazione delle gru attestata attorno al 500 a.C. in Cina, ma il suo tentativo di metterla in qualche relazione con la gevranoı deliaca appare del tutto insostenibile.

95 Lawler 1946, pp. 119 ss.

Page 42: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

42

al Mediterraneo orientale e connesa ai culti della fertilità di eredità neolitica96, è per que-sto stesso motivo passibile di confronti lessicali eccedenti i confini delle singole famiglie linguistiche.

In particolare, la stessa base *dabur - di greco labuvrinqoı (miceneo da-pu2-ri-to) mi è parsa ragionevolmente corrispondere ai termini ebraici d ebîr e ṭabbûr, riferibili in modo diverso al tempio di Gerusalemme97; nel caso di questi termini greco-semitici, si tratterebbe di comuni eredità lessicali inerenti a un sostrato definibile come egeo-cananaico, che sem-bra sempre meglio delinearsi sulla base di altre isoglosse lessicali greco-semitiche, spesso afferenti appunto a culti agrari preesistenti agli insediamenti di popolazioni indeuropee e semitiche nelle loro sedi storiche98. La stretta connessione di gevranoı con labuvrinqoı nel mito incentrato su Teseo trova peraltro concordi molti studiosi nel ritenere tale danza un’eredità cretese99, alimentando così indirettamente per gevranoı l’ipotesi di un termine attribuibile a un sostrato egeo. Tale connessione trova anche sostegni sul piano archeologi-co: benché ridimensionate da Nillson100 e più recentemente da Bruneau101, tracce minoiche sono state individuate a Delo nella denominazione della fontana minoa102, nelle cosiddette tombe delle vergini Iperboree e nella zona del monte Cinto103. Dato poi che l’area del-la gevranoı doveva necessariamente collocarsi nella zona prospiciente i templi d’Apollo e l’Artemision, è rilevante sottolineare come tali edifici si fronteggino sulle fondamenta dell’abitato d’epoca micenea104, marcando così una continuità fra la localizzazione dei culti

96 Di cui le grotte-santuario sembravano essere ad esempio a Creta, luoghi privilegiati. In quest’isola, la grotta dell’Amnisos, fra le altre, presenta tracce di culti della fertilità a partire appunto dal neolitico: sulla sua specifica valenza labirintica, si veda sopra alle pp. 25-26. La cavità ctonia, naturale o artificiale, è implicata nei riti della generazione e della vegetazione in quanto ritenuta, in molte culture del Mediterra-neo, luogo di contatto fra il mondo esterno e il regno dei morti (per ulteriori connessioni fra la simbolo-gia del labirinto e la fecondità della donna e dei campi, si veda anche Kern 1981, pp. 28-29).

97 Rispettivamente «sancta sanctorum» del tempio stesso e «ombelico», epiteto attribuito al tempio di Gerusalemme in quanto ritenuto centro del mondo (si veda sopra alle pp. 18-24).

98 Il sostrato egeo-cananaico appare emergere come un’articolazione specifica del più generico so-strato mediterraneo. In questa sede ritornerò più volte sull’argomento e in particolare al cap. III.3; a mio avviso, poi, molti dei risultati dei lavori di Brown (1968, 1969, 1979 e 1980) ben s’inserirebbero in quest’ottica.

99 Fra gli altri, la stessa Lawler 1946, pp. 118 ss., Weege 1926, pp. 61 ss. e, più recentemente, Burns 1974-75, pp. 2, 7 ss. e Verzár 1980, p. 39.

100 Nilsson 19502, pp. 68 e 611 ss.

101 Bruneau, Ducat 1983, pp. 17-18 e altrove.102 Così denominata nelle iscrizioni di Delo, sulle quali tornerò in seguito. La costruzione oggi visibi-

le, suggestiva sopravvivenza di preistorici culti delle acque, è tuttavia da attribuire, secondo Bruneau (ivi, p. 142), alla seconda metà del sesto secolo.

103 Zona dei più antichi insediamenti umani a Delo, risalenti alla seconda metà del terzo millennio. Il culto di Zeus Khynthios comportava dei regolamenti d’origine cretese (Gallet de Santerre 1949, p. 392); d’altra parte, secondo una leggenda testimoniata da una trentina di testi latini e greci (Bruneau 1970, pp. 413-20), il re-sacerdote Anios, cui è dedicato il santuario delio dell’Archeghesion, fu un ufficiale del fratello di Minosse, Radamante, che gli fece dono dell’isola di Delo. Per frammenti di ceramica minoica negli edifici micenei noti come tombe delle vergini Iperboree e nella favissa dell’Artemision, si veda Pi-card 1948, p. 189 e ancora Gallet de Santerre 1949, pp. 392-93.

104 Bruneau, Ducat 1983, p. 133 e fig. 132 di p. 132. Per una rassegna delle fonti documentarie e delle ipotesi moderne di localizzazione dell’altare a corna al centro della gevranoı si veda Bruneau 1970, pp. 26-29.

Page 43: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

43

Scena di danza su di una oinochoe micenea del XII sec. a.C. (da Photiní Zaphiropoulou, Naxos. I monumenti e il Museo, Atene, Casa Editrice Krini, 1988, p. 45).

d’età protostorica e quelli delle epoche successive105. Anche l’altare a corna trova precise corrispondenze cretesi, sia che si tratti in origine dell’altare in pietra con le quattro corna di consacrazione diffuso dall’età del bronzo in tutta l’area egea-cananaica e presente ancora a Delo nei tardi siti di culto orientali106, sia che si debba identificare, almeno in una fase successiva, con l’altare di corna di capra menzionato da Plutarco, per il quale Marinatos sembra individuare un parallelo all’interno del tempio geometrico della cretese Dreros107.

Una oinochoe micenea del XII secolo ritrovata in una tomba di Kamini, sull’isola di Nasso108 è decorata con otto figurine maschili che ballano tenendosi per mano.

105 Il tempio dell’Artemision d’età arcaica, ricostruito in epoca ellenistica, poggia sulle fondamenta d’un edificio miceneo, che alcuni hanno interpretato come un vero e proprio tempio. Si sarebbe così in presenza di un eccezionale esempio non solo di una continuità di culto attraverso il medioevo ellenico, ma anche di un autonomo edificio destinato al culto già in epoca micenea, quando le pratiche cultuali venivano esercitate all’interno del palazzo, come già nel palazzo minoico. Le posizioni degli studiosi al riguardo sono sintetizzate in Bruneau, Ducat 1983, p. 155.

106 Süring 1980. Un altare di questo tipo si trova a Delo davanti al tempio di Iside (Bruneau, Ducat 1983, pp. 228-29).

107 Marinatos 1936, pp. 224-25 e 241-44; si vedano anche Deonna 1940 e Picard 1948, p. 177.108 E conservata nel Museo Archeologico di Nasso col numero d’inventario 1734. Si veda Mastrapas 1991.

Page 44: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

44

Si tratta di un’evidente anticipazione della rappresentazione della danza labirintica raffigurata sul vaso François109, anche se in questo caso al capocoro seguono solo i sette danzatori maschi. La vicinanza a Delo del luogo del ritrovamento di questo vaso e l’im-plicazione della stessa Nasso, luogo dell’abbandono di Arianna, nelle vicende del ritorno di Teseo dal labirinto cretese, sembrerebbero da una parte testimoniare la pratica di tale danza a Delo in epoca micenea già con riferimento a tale mito, dall’altra rimandare a una ancor più antica ritualità preistorica connessa con i culti ‘labirintici’ della fertilità.

Ebraico gōren presenta nella Bibbia il significato generale di «aia utilizzata per la treb-biatura» e viene più volte associato a yeqeb «strettoio, fossa in cui si pigia l’uva per ot-tenerne il mosto» al fine d’ indicarne i rispettivi prodotti, il grano e il vino110. L’impiego primario del gōren per la trebbiatura è esplicitamente attestato ad esempio in Ruth 3, 2, dove si dice che nel gōren Bo’az si appresta a trebbiare l’orzo nel corso della notte. Anche il gebuseo Ornan stava battendo il grano nel suo gōren quando David, su ordine dell’angelo sterminatore, gli si presenta per chiedergli ed ottenerne tale aia in acquisto, al fine di co-struirvi un altare per gli olocausti111. Secondo 2 Cr. 3, 1, è sul gōren di Ornan il Gebuseo, «nel luogo che Davide aveva preparato», che «Salomone cominciò a costruire la casa del dio degli Ebrei a Gerusalemme, sul monte Moriah».

Più che di una vicenda di sacralizzazione in epoca monarchica del gōren, cioè dello spazio dove si rinnovano annualmente le incombenze successive al raccolto dei frutti della terra, in primis la trebbiatura e quindi la vendemmia, questi ultimi due passi della Bibbia sembrano testimoniare l’assunzione da parte degli Ebrei, in occasione della loro sedenterizzazione in terra canaanaica, di preesistenti riti connessi alla fertilità della terra e incentrati appunto sull’aia, sullo spazio cioè destinato all’ammasso e all’elaborazione del raccolto.

Tale processo di acquisizione di culti di sostrato trova conferma appunto nella storia della feste ebraiche del raccolto, in successione la festa delle maṣṣôt (Azzimi), la festa delle šābu‘ôt (Settimane)112 e quella delle sukkôt (Capanne)113. Mentre la festa degli Azzimi,

109 Vedere sopra alla n. 86. Sul vaso miceneo di Nasso, alcuni danzatori lasciano pendere dalle mani al-lacciate, oltre a un stella a cinque punte, due oggetti apparentemente a forma di bastoncino, uno dei quali con un’appendice destrorsa alla base. Tale raffigurazione si presta a un confronto con la decorazione di un’idria attica di stile geometrico della fine dell’VIII secolo, conservata a Monaco e dipinta con un coro di dieci fanciulle pur esse tenentesi per mano: la prima di esse tiene nella mano sinistra un oggetto tondo con dei raggi sulla circonferenza, mentre le mani intrecciate delle altre stringono rami verosimilmente di palma, particolarmente pertinenti alla descrizione callimachea della danza, o di una delle danze, di Delo (Prudhommeau 1965, II, p. 694 e tav 114, n. 833). La stella e il disco dei due vasi suggeriscono dei simboli astrali (per gli aspetti di cosmologia e di simbolismo astrali individuabili nella danza labirintica a Delo e nel labirinto in generale, si veda Kern 1981, pp. 30-33): in particolare la stella del vaso di Nasso potrebbe connettersi con una qualche indicazione di calendario, in relazione forse alle ipotesi che avanzerò alla successiva nota 152.

110 Num. 18, 27 e 30; 2 Re 6, 27; Os. 9, 2.111 1 Cr. 21, 18-26: le cronache riprendono qui l’episodio narrato in 2 Sam. 24, 16-25, dove però non

viene esplicitata l’opera di trebbiatura di Ornan sull’aia. In questo passo di 2 Sam., il nome del Gebuseo appare nella variante Arauna.

112 O bikkûrîm «primizie».113 Denominata anche delle Tende o dei Tabernacoli.

Page 45: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

45

che segna l’inizio della mietitura dell’orzo, si fonde nella festa originariamente ebraica di pesaḥ, di tradizione nomade-pastorale, la seconda celebra il raccolto del frumento e la terza l’ultima fase della raccolta ormai autunnale, quella dell’uva e della frutta in genere.

Esse presentano il loro più antico statuto in Deuteronomio 16, dove sia per šābu‘ôt (16, 11) che per sukkôt (16, 15) il Signore invita a festeggiare il raccolto assieme a figli, servi e forestieri e a «darsi interamente alla gioia», cioè con modalità che paiono più tipiche dei riti di fertilità di popolazioni dedite da lungo tempo all’agricoltura stanziale che non della cultura prevalentemente nomade del popolo ebraico, sia pure in fase di definitiva sedenterizzazione.

Anche se il rifermento alla trebbiatura notturna del grano operata da Bo’az nel suo gōren rientra conseguentemente nella liturgia di šābu‘ôt114, il citato passo del Deuterono-mio si riferisce «al prodotto del gōren e dello strettoio (yekeb)» solo in relazione a suk-kôt (16, 13), quasi a sintetizzare nell’ultimo raccolto dei frutti l’intero ciclo dell’ammasso di prodotti agricoli sull’aia.

L’acquisizione del gōren di Ornan da parte del re David per l’installazione dell’altare a corna destinato dagli Ebrei agli olocausti, sembra far corrispondere la rifunzionalizzazione di tale area al processo di ‘ebraizzazione’ delle feste del calendario agricolo che vengono motivate a nuovo in riferimento a episodi della storia della salvezza del popolo ebraico115.

Gli elementi rituali agresti non cessano però per questo di caratterizzare tali feste e, fra questi, particolare rilievo assume la danza. De Vaux (19773, p. 476) ritiene che sia nel corso di sukkôt, denominata in Giudici 21, 19 semplicemente «festa del Signore», che i Beniaminiti rapiscono le ragazze di Scilò uscite a danzare nelle vigne, situazione richiama-ta con precisione da una tradizione riportata nella Mishna (Ta‘ªnît IV, 8) dove le fanciulle si recano a ballare nelle vigne, indossando tuniche bianche.

Con la sua costruzione, il tempio di Gerusalemme diventa per gli Ebrei la sede privile-giata di tali gioiosi festeggiamenti nel corso dei sette giorni di sukkôt; De Vaux (ivi) sotto-linea come «la danza vi aveva parte ancora all’epoca del Nuovo Testamento: gli uomini pii e importanti della comunità ballavano nell’atrio del Tempio, cantando e brandendo torce accese: era un giubilo popolare, di cui si usava dire: ‘Chi non ha visto la gioia di questa festa notturna, non ha, in tutta la sua vita, visto alcuna vera gioia’»116.

Siamo qui nel tempio ricostruito: non più fanciulle nelle vigne, ma uomini pii nell’atrio del tempio ballano gioiosamente per sukkôt, presumibilmente attorno all’altare a corna, continuazione di quello costruito da David nel gōren della trebbiatura notturna di Or-nan, gōren riutilizzato da Salomone per costruirvi il primo tempio.

Appare ragionevole pensare a danze del genere anche per šābu‘ôt, l’altra festa agricola, quella appunto della mietitura del grano, per la quale viene esplicitamente prescritto il rallegramento per il raccolto.

114 Che prevede appunto la lettura del libro di Ruth.115 A partire da pesaḥ che, sovrappostasi alla festa agricola di maṣṣôt, diventa la celebrazione dell’Eso-

do. La festa di šābu‘ôt a sua volta solo molto tardivamente riallacciata alla storia della salvezza, diventan-do la commemorazione dell’Alleanza sulla base di Es. 19, 1. In modo analogo a sukkôt venne attribuita la memoria del soggiorno in capanne del popolo ebraico all’uscita dell’Egitto (Lev. 23, 42-43).

116 I corsivi acquisteranno rilevanza in rapporto ai confronti lessicali delle pagine seguenti.

Page 46: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

46

Le tre feste agricole d’eredità cananaica sono anche feste di pellegrinaggio al tempio117 e sono quelle in cui, secondo 1 Re 9, 25, Salomone al tempio officiava personalmente: questo a conferma dello stretto collegamento del tempio di Gerusalemme, e del suo cortile sede degli specifici festeggiamenti, con gli antichi riti del raccolto, trebbiatura inclusa.

Come nelle conclusioni del capitolo I.1 greco labuvrinqoı / da-pu2-ri-to appare de-nominare il luogo che include il *dabur- «recesso cultuale originariamente ctonio», e di conseguenza sembra venir riferito dai Micenei a Creta all’intero palazzo, inteso come costruzione articolata attorno a uno o più di questi foci cultuali, così il tempio gerosolimi-tano, cortili inclusi, figura essere in parallelo il contesto architettonico attorno al recesso cultuale del sancta sanctorum, il cui nome in ebraico è significativamente d ebîr, cioè il nome di sostrato corrispondente a *dabur -.

Questa ulteriore considerazione, inquadrata nel nodo delle concezioni labirintiche relative ai culti ctoni della fertilità118, m’induce a questo punto a rientrare entro i confi-ni della comparazione lessicale, per proporre il confronto fra ebraico gōren «luogo del raccolto agricolo e delle connesse feste rituali con danze» e greco gevranoı «luogo di danze labirintiche a Delo, presumibilmente implicate all’origine, come vedremo, con riti agresti»119.

Anzitutto, per quanto riguarda la prossimità dei significanti, sottolineo la rilevanza del-la glossa di Esichio gevrhn:gevranoı120, dove gevrhn appare, nella forma, rapportarsi ancor meglio di gevranoı al termine ebraico121.

117 Es. 23, 14-17; 34, 23. 118 Si rimanda, al riguardo, alla nota 96. 119 E, secondariamente, gevranoı come danza eseguita sulla gevranoı. Secondo Plutarco, gevranoı è

il nome che gli abitanti di Delo danno alla danza labirintica di Teseo, chiamata genericamente corovı da Callimaco; come abbiamo visto sopra nel testo, sembra quindi possibile trasferire trasferire a gevranoı la stessa ambiguità semantica di «danza» e «di luogo della danza» sporadicamente presentata da corovı in Omero, specie nel passo significativamente ‘labirintico’ dello scudo d’Ulisse. Ricordando che questa occasionale valenza locale di corovı affiora con un significato di «piazza» in Pausania e, forse, in un’iscri-zione da Creta, mi sembra opportuno, in un’ipotesi di assunzione da un comune sostrato sia per greco gevranoı che per ebraico gōren, segnalare un significato di «piazza» anche per gōren in 1 Re 22, 10 (passo ripreso in 2 Cr. 18, 9).

120 gevrhn: ªe[ntinoı. oiJ deº gevranoı. Latte 1953-66, I, p. 372.121 Ebraico gōren «aia utilizzata per la trebbiatura» sembra coincidere anche semanticamente con

ugaritico grn. Tale termine non sembra trovare attestazioni in aramaico d’Impero, nonostante un’ipotesi di lettura gwrn’ di Cowley per AP 27, l. 5 (Cowley 1923, p. 101; contra: Porten, Yardeni 1986, pp. 62-63, che leggono ineccepibilmente, come già Ugnad, y- per g- in prima sede). L’aramaico giudaico-palestinese e il siriaco attestano una forma gurnā con significato «urna, arcofago», significato che ritroviamo, ac-canto a quello atteso di «aia», per l’arabo gurn-; «aia» significano il sud-arabico grn e le forme etiopi-che su tale consonantismo riportate in Cohen 1993, p. 188, cui si rimanda anche per altri possibili colle-gamenti. Nonostante infatti apparenti incroci con termini afferenti a radici omofone (accadico garānu «ammucchiare» e arabo garana «macinò»), la distribuzione di questo nome per «aia», ricostruito come *GURN- da Fronzaroli (1969, pp. 295 e 310), sembra denunciare un epicentro cananaico, dove potrebbe per l’appunto essere l’emergenza di un termine di sostrato. Greco gevrhn, da cui forse gevranoı per possibile paretimologia sul nome per «gru», parrebbe così approdare in greco dal sostrato in base a un processo di acclimatamento fonetico parallelo a quello specifico dell’ebraico, caratterizzato dalla presenza di una vocale -e- fra la seconda e la terza radicale consonantica. La realizzazione pre-masoretica geren di ebraico gōren, argomentata nel successivo capitolo I.4, rende peraltro il confronto fonetico con gevrhn perfettamente congruente.

Page 47: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

47

Inoltre, la costellazione di nomi greci passibili di confronto con l’ebraico e riscontrabili nei contesti letterari greci e biblici riguardanti danze ‘labirintiche’, costellazione alla quale la nuova isoglossa che qui propongo verrebbe adeguatamente ad aggiungersi, risulta par-ticolarmente significativa.

Per brevità, mi limiterò a una prima rapida rassegna delle più evidenti di tali isoglosse interfamiliari, con richiami ai passi citati e con succinti rimandi bibliografici in nota:

- gr. labuvr (inqoı) / da-pu2-r (i -to ) «focus cultuale (luogo del)» - ebr. d ebîr «sancta sanctorum, focus cultuale del tempio di Gerusalemme».

Come abbiamo appena visto, tale confronto costituisce l’ambito culturale complessivo in cui includere gr. gevrhn:gevranoı - ebr. gōren e i successivi confronti, oltre a riferirsi direttamente sia alla caratteristica specifica del tipo di danza qui considerato, sia al recesso cultuale del tempio costruito sul gōren di Ornan.

- gr. bwmovı - ebr. bāmâ «altare»122.Un altare è a Delos al centro della danza della gevranoı e verosimilmente della

gevranoı intesa come area, cosi come l’altare degli olocausti viene posto da David al centro del gōren e si ritroverebbe nell’atrio del tempio123 ivi costruito da Salomone, pur esso luogo di danze.

- gr. kevraı (i.e. * ker-(e)n-) - ebr. qeren «corna» (sem. *QRN)124.Al corovı callimacheo danzato da Teseo e dai suoi compagni attorno all’altare col

simulacro ligneo di Afrodite si sovrappone, in Plutarco, l’analoga gevranoı danzata dagli stessi attorno all’altare di corna detto Cheratone125. Fatte salve le specifiche differenze for-mali126, tale altare rientra nella più ampia categoria degli altari con quattro corna angolari, diffusi a Creta e in Egitto e utilizzati dagli Ebrei per gli olocausti: altari a corna di questo tipo ci sono pervenuti dai santuari egiziani a Delos127.

- gr. tau~roı (e altre lingue i.e.) - ebr. šôr «toro, bue» (sem. *TWR)128.All’altare a corna si connette direttamente, almeno nel culto ebraico, l’olocausto di

tori e di bovini in genere, oltre che di altri quadrupedi. Il toro è peraltro rappresentato fin

122 Aspesi 1987, con la relativa rassegna bibliografica da integrare perlomeno con Mayer 1960, p. 333 e Brown 1980, pp. 1-7.

123 Il testo biblico non descrive gli altari per il tempio salomonico, salvo accennare a un altare in rame in 2 Cr., 4, 1; tuttavia le dimensioni e la forma dell’altare di Ezechiele e del secondo tempio depongono per la presenza dell’altare degli olocausti nel cortile interno del Tempio, cioè nel suo atrio. Si veda De Vaux 1977

3, pp. 399-403.

124 Brown 1979, pp. 169-73.125 Sull’altare delle corna a Delo si vedano Homolle 1884, Deonna 1940 e, in particolare, Cahen 1923,

Bruneau 1970, pp. 19-29, e Ampolo in Ampolo, Manfredini 19932, 229-30. Per una distinzione di refe-

renti fra keravtinoı bwmovı e Keratwvn, si veda Roux 1979, pp. 115 ss. Tale distinzione corrisponde a quella operata sul piano archeologico da Bruneau, che interpreta il Keratwvn come una struttura archi-tettonica aperta ospitante il keravtinoı bwmovı e lo localizza accanto all’Artemision (Bruneau, Ducat 1983, pp. 32 e 150-51).

126 L’altare, «composto di corna, tutte sinistre» secondo Dicearco, la fonte di Plutarco, viene piutto-sto immaginato come costituito da corna di cervo.

127 Deonna 1934. Per l’altare a corna e in generale per la simbologia delle corna nel mondo biblico e nelle correlate letteratura e iconografia nella letteratura vicino-orientale, si rimanda a Süring 1980.

128 Brown 1979, pp. 163-68.

Page 48: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

48

dall’età del bronzo al centro di rappresentazioni del labirinto129, come anticipazione del mito recenziore del sacrificio ctonio del Minotauro.

L’estensione di queste due ultime isoglosse alle diverse lingue indeuropee e semitiche, segnala l’emergenza di un sostrato ancor più profondo di quello egeo-cananaico, cui ri-mandano questi altri confronti, incentrati soprattutto sul greco e sull’ebraico: esse sem-brano infatti afferire una diretta quanto naturale associazione «testa di toro - corna» che denuncia valenze rituali sin dalla più antica preistoria130.

- gr. citwvn - ebr. kuttōnet «tunica»131.Il citwvn è indossato dai giovani del corovı labirintico di Il. XVIII e tuniche bianche

vestono le fanciulle che, nella Mishna, ballano per sukkôt132. Nella Bibbia, la kuttōnet, oltre a essere veste femminile133, denuncia la sua fondamentale valenza sacrale come abito sacerdotale134.

- gr. lampavı - ebr. lappîd «fiaccola»135. La Lawler (1946, p. 118), rifacendosi a Latte (1913, p. 68), asserisce che a Delos la

danza della gevranoı «was done at night, by the light of torches and lamps»; tale afferma-zione, che si avvale del sostegno del testo callimacheo136 e della testimonianza epigrafica137 è d’accettazione generalizzata138. Torce accese, d’altra parte, sono nelle mani degli uomini pii che abbiamo visto danzare, presumibilmente attorno all’altare a corna, nell’atrio del secondo Tempio per sukkôt, di notte, echeggiando ritualmente la trebbiatura notturna di Ornan nel gōren preesistente in quello stesso luogo.

Come per gr. gevrhn:gevranoı ed ebr. gōren, questi confronti si avvalgono dell’analogia di contesti letterari greco-ebraici, già teorizzata da Brown come giustificazione della con-cretezza di presunte isoglosse lessicali attribuibili a un comune sostrato ‘mediterraneo’139.

129 Si veda l’affresco frammentario riportato recentemente alla luce durante lo scavo del ‘palazzo mi-noico’ a Tell el-Dab’a, l’antica Avaris, nel delta egiziano (Bietak 1996, pp. 73 ss. e tavv. IV e V).

130 Gimbutas 1989, pp. 265-72 e passim. Sulle due isoglosse per «corna» e «toro», si veda anche Silvestri 1974, pp. 115 e 148.

131 Brown 1980, pp. 7-15. Il simbolismo greco e orientale «tunica-pelle» (ivi, p. 11 ss.), per il quale rimando anche a Simonini in Porfirio 1986, pp. 149-52, denuncia l’ambito sacrificale dell’isoglossa (si consideri il contenuto di Lev. 7,8), inserendola così direttamente nel contesto rituale qui considerato. Il confronto è già segnalato in Lewy (1895, p. 82), come prestito dal semitico al greco. Mayer (1960, p. 11), aggiunge la testimonianza micenea ki-to. In semitico, il termine appare originariamente nord-occiden-tale, in quanto accadico kitinnu sembra essere un prestito occidentale (Oppenheim 1969, pp. 250-51).

132 Anche se in questo passo si trova usata l’espressione più generica bkly lbn «in abiti bianchi».133 Cant. 5, 3, 2 Sam. 13, pp. 18 ss. 134 P. es., in Lev. 8, 7, dove è imposta da Mosè ad Aronne, sommo sacerdote.135 Gordon 1955, p. 61 e Rabin 1963, p. 128, che aggiunge la testimonianza dell’ittito lappiya- e del

luvio lappi(ya)-, nonostante la mancanza, in anatolico, della terminazione in dentale. Sull’implicazione delle fiaccole in probabili riti di fertilità della terra d’origine mediterranea, si veda l’episodio di Sansone in Giud. 15, 4-5.

136 Delos 302-303, quando Callimaco, sul punto di descrivere il corovı labirintico di Teseo, dice che Delo risuona di canti «mentre Espero tramonta».

137 Lawler 1946, p. 115, in riferimento a lampade attestate nelle iscrizioni relative agli inventari dei santuari di Delo (ad esempio in Homolle 1882, p. 23).

138 Ed è condivisa, fra gli altri, anche da Kern (1981, p. 52).139 Brown 1968. Particolare rilevanza assumono in merito i confronti greco-semitici contenuti in Brown

1969, dato il coinvolgimento del vino nei prodotti del gōren, in particolare per quanto riguarda lo strettoio

Page 49: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

49

Tale nucleo complessivo d’isoglosse, d’ambito specificamente ‘labirintico’ in quan-to connesse, come abbiamo visto, ai culti ctoni della fertilità, è certamente suscettibile d’ampliamento; le isoglosse che lo compongono sono tanto più attribuibili a un più circo-scritto sostrato egeo-cananaico quanto maggiormente ristrette al greco e al semitico nord-occidentale.

L’epigrafia di Delos sembra infine fornire un supporto fondamentale per l’attribuzio-ne di una primitiva valenza semantica di tipo spaziale al termine gevranoı, già separato dalla Lawler dall’omofono gevranoı «gru» sia pure sulla base di un significato poco convincente di «danza del serpente»: gevranoı, verosimile adattamento paretimologi-co di gevrhn, varrebbe infatti, a seguito del confronto con l’ebraico, «danza labirintica di Delos» in quanto «danza compiuta sull’area detta gevranoı», presentando la stessa duplicità di significato del corovı attribuito a Dedalo dal testo omerico140.

Solo a partire da un significato primario di «area utilizzabile per la danza» piuttosto che di «danza» tout-court, è infatti possibile attribuire un senso convincente alla formu-lazione ajpo; th~ı geravnou riferita a vasi e coppe e ad altri oggetti registrati in inventari, databili perlopiù al quarto e al terzo secolo a.C., di beni e offerte votive dell’Artemisio di Delo 141.

La gevranoı, intesa come area attrezzata dalla quale provengono tali oggetti e vero-similmente quindi area utilizzata per la danza omonima, va tuttavia a mio avviso tenuta distinta dalla «cosiddetta gevranoı» (hJ kaloumevnh gevranoı), che pure figura spora-dicamente in tali inventari. Nell’inventario del 279142 la «cosiddetta gevranoı» risulta conservata nel tesoro accanto a oJ o{rmoı oJ uJpoteivnwn uJpo; th;n gevranon: qualcosa quindi di trasportabile, forse una fune intrecciata o a una catena143 da distendere sull’area della gevranoı144. Secondo la Lawler (1946, pp. 126-27), con lo o{rmoı potrebbe avere affinità il rJumovı, pure registrato nelle iscrizioni di Delo, che Diels (1890, p. 91), col con-senso a distanza di altri, come Robert (1939, p. 315) e Kerényi (1983, p. 117), intende proprio come «fune per la danza».

Come combinare tutti questi elementi in un’ipotesi dotata di senso?è ancora Esichio a venirci in aiuto, quando attribuisce a gevranoı, assieme a altri si-

gnificati, anche quello di «strumento di legno, nel quale i produttori di farina ‘battono la farina’ (kovptousin ... ta; a[lfita), donde la farina è detta anche geravnia»145.

(yeqeb): si ricordino al riguardo le citate danze nelle vigne delle ragazze di Scilò. 140 Nel citato passo di Il. XVIII, 590. Si veda sopra alla p. 37 e note.141 IG 11.2.161b.7-8; 162b.5-6; 164a.51; 199b.35-36. Gli oggetti dell’inventario IG 11.2.161b, da-

tato al 279 a.C., sono «basamenti e anse» conservati sul decimo scaffale; tale registrazione è ripetuta in IG 11.2.199b; in IG 11.2.164, sempre sul decimo scaffale, sono registrati, come provenienti ajpo; th~ı geravnou, dei POT[HRIWN ÇUNTEQLAÇ]ME[NWN]. Alle rr. 76 e 77 di un’altra iscrizione inventa-riale del 364, trovata in prossimità del tempio di Apollo e pubblicata da Homolle (1886), si legge: tw~n ajpo; th~ı geravnou ajpopeptwkovtwn, ciò che sembra indicare che la gevranoı fosse a tale epoca uno spazio architettonicamente strutturato (al pari della citata ajgora; di Sparta denominata Xorovı e descritta in Pausania III, 11, 9).

142 IG 11.2.161b.61-62.143 Latte 1913, p. 71.144 Si noti l’idea di moto implicata dalla reggenza accusativale di uJpo;. 145 Kai; o[rganon xuvlinon, ejn w~ë kovptousin oiv ajlfitopoioi; ta; a[lfita, o[qen kai; geravnia

ta; a[lfita kalei~sqai: Latte 1953-66, I, p. 371.

Page 50: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

50

Questo collegamento persistente in epoca tarda fra il nome gevranoı e una procedura di battitura dei cereali, sia pur meccanizzata e finalizzata non tanto alla loro trebbiatu-ra quanto alla loro successiva macinatura, ci riporta alle concrete origini agresti dei riti dell’aia, il cui nome di sostrato sarebbe appunto penetrato in ebraico come gōren e in greco, perlomeno a Delos, come gevrhn:gevranoı. Pur se reinterpretata prima come danza raffigurante l’uscita dal labirinto e successivamente, in parallelo con la probabile pareti-mologia gevranoı da gevrhn, anche come danza della «gru»146, la danza della gevranoı si lascerebbe così immaginare come eseguita ancora a imitazione della trebbiatura attorno all’altare a corna sormontato per l’occasione dalla «cosiddetta gevranoı», un oggetto sa-crale147 che prende il nome dalla specifica area cultuale su cui insiste, alla stessa stregua del-la danza ma con la significativa precisazione di kaloumevnh148. L’originaria rappresentazio-ne della trebbiatura, nel tempo evidentemente non più percepita come tale149, risulterebbe ancor più verosimile se volessimo pensare a un qualche collegamento fra la fila, o le file, dei danzatori e la «cosiddetta gevranoı» al centro per mezzo dello o{rmoı o del rJumovı150: un ipotetico avvolgersi e svolgersi dello o{rmoı, o del rJumovı, attorno alla «cosiddetta gevranoı», se collegato per l’altro capo al geranoulkovı151, indurrebbe infatti i danzatori a seguire un percorso a spirali alterne, connettendo l’immagine del labirinto spiraliforme al percorso che il trebbiatore compie per calpestare l’intera aia152.

146 Per aspetti comportamentali e simbolici della gru che, sul piano referenziale, avrebbero potuto rinforzare una tale reinterpretazione, suggerita sul piano formale dalla somiglianza dei significanti, si rimanda, fra gli altri, a Verzár 1980, pp. 40-42 e a Detienne 1983.

147 Interpretabile come il simulacro di Afrodite, probabilmente ligneo (Calame 1977, I, p. 225), por-tato a Delo da Teseo (Callimaco, Delos, 307-9 e Plutarco, Theseus, 21, 1)?

148 Sebbene in tutt’altro quadro interpretativo e con riferimento alla semina anzichè alla trebbiatura, mi sembra rilevante segnalare l’ipotesi di Roux (1979, 118-20) circa una primitiva valenza di rito agrario della gevranoı.

149 Una specie di danza connessa con l’agricoltura è testimoniata, proprio nell’ambito del sostrato cretese della cultura greca, dal famoso vaso cosiddetto dei mietitori da Haghia Triada (circa 1500 a.C.: Demargne 1964, p. 149, figg. 233-34).

150 Robert (1939, p. 315) afferma che «il est probable qu’à Delos, tous les danseurs tenaient une corde, qui les aidait à rester en file régulière; ainsi s’expliquerait le mot rJumoiv, qu’on trouve dans les comptes des hiéropes, parmi l’énumeration des dépenses de la fête». Robert cita in nota Humborg, Kero, Kees 1924 (col. 321) che stabiliscono un rapporto fra questa fune e il filo d’Arianna: Menichetti (1992, p. 20) ravvisa il capo di una fune, «il filo donato ... da Arianna», nell’oggetto tenuto fra le mani del personaggio del vaso di Tragliatella che egli identifica come il geranoulkovı Teseo. Si veda peraltro l’esplicita dizione rJumoiv eijı touvı corouvı nell’inventario del 180 circa a.C. del tempio d’Apollo (Homolle 1882, 23, p. 186). Ancor più significativa, nel quadro dell’interpretazione qui proposta, appare essere la testimonianza rJumovı e[ijı] bwmovn, alla riga 32 dell’inventario IG 11.2.144a (303 a.C. secondo Dürrbach 1911, p. 21), testimonianza che connette diret-tamente un rJumovı all’altare che mi piace pensare possa essere quello a corna al centro dell’area denominata gevranoı.

151 O, a turno, ai due capicoro.152 Dürrbach (1911, p. 20) e, tra gli altri, la Lawler (1946, p. 115) e Calame (1977, I, p. 225), affer-

mano, sulla base del contenuto d’iscrizioni delie, che la danza della gevranoı veniva effettuata in origine nel mese di luglio (jEkatombaiwvn): tale mese ben s’addice alla trebbiatura del frumento. Nelle iscrizioni fenicie di Pyrgi e di Idalion è menzionato un mese di nome kr(r) che, sulla base del significato di questa radice semitica forse di sostrato per la quale rimando alla successiva nota 154, è interpretato come «mese della danza». Esso viene a coincidere col mese di jEkatombaiwvn, cosa che mi sembra risultare partico-larmente significativa per il nostro assunto, tanto più se si considera che nel mese di kr(r) si svolgeva in

Page 51: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

51

Una corda che si svolge e si riavvolge attorno a un asse centrale, posto in orizzontale anzichè in verticale, giustificherebbe l’estensione di significato di gevranoı a denotare l’ar-gano, cioè, secondo la testimonianza di Ateneo, una macchina per sollevare o avvicinare pesi153; a seguito della confusione di omonimi prodottasi nelle fasi più antiche del greco, la continuazione di questo nome nelle lingue moderne proietta ancor oggi, forse indebita-mente, l’immagine dell’esile trampoliere su monumentali impianti di sollevamento.

Sullo sfondo di queste considerazioni, vorrei accennare a una singolare coincidenza lessicale fra danza e trebbiatura riscontrabile proprio in ebraico cioè nella lingua semitico-occidentale che, per la vastità della sua attestazione letteraria, appare, nel confronto col greco, il campo d’indagine privilegiato per la ricerca di eredità linguistiche dal sostrato in genere e da quello «egeo-cananaico» in particolare: una delle numerose radici verbali usate dell’ebraico col significato di «danzare», *RQD, trova impieghi, sia pur postbiblici, giustappunto in riferimento alla trebbiatura del frumento154.

Sull’altro fronte, peraltro, sono i Sali che, nella loro danza a Roma, il tripudium, batto-no con i piedi il suolo in tempi di tre colpi ciascuno «come i trebbiatori»155.

Fenicia la festa di Astarte, una delle dee della fertilità del pantheon semitico che i Greci tendono a identi-ficare con Afrodite (Verzár 1980, p. 69; per il mese di kr(r) come mese della «danza» e le sue connessioni anche col culto di Melqart, si vedano principalmente Degen 1968, Lipinvsky 1969 e Delcor 1974. Sui collegamenti fra Afrodite e Astarte, estesi anche a ipotesi di nessi etimologici, rimando a Dugand 1974.

153 Stephanus 1954, 581 s.v. Esichio, alla glossa citata (n. 56), aggiunge: gevranoı kaiv ejn th~ë skhnh~ë a{rpax kateskeuasmevnoı uJpo; tou~ mhcanopoiou~, ejx ou| oJ ªejskeuasmevvvnoıº uJpokrithvı trag-wëdei~, in riferimento a una macchina da scena.

154 Col significato di «setacciare» (al pi‘ēl). Nella Bibbia, questa radice, col significato di «ballare, saltare», presenta scarse attestazioni in contesti perlopiù arcaici o arcaizzanti, caratterizzati da metafore pastorali (ad esempio in Salmi 29, 6 e 114, 5, Is. 13, 21, Giobbe 21, 11). Ancora in ebraico biblico, ter-mine per «danza» è māḥôl (anche nella forma femminile māḥôlâ) e *šḤQ è radice per «ballare, suo-nare, rallegrarsi». Un participio m ekarkēr «danzante» è attestato in 2 Sam. 6, 14 e 16, in riferimento a David: esso viene considerato una forma raddoppiata su una radice dimorfica *KWR / *KRR, e trova riscontro in forme raddoppiate come ugaritico krkr «ruotare», oltre che in arabo, in etiopico e, nel più ampio ambito camito-semitico, in copto (Gordon 1965, p. 423, nr. 1304). In un’ottica di sostrato, anche se di natura molto più profonda e indeterminata del sostrato egeo-cananaico qui considerato, si è tentati di accostare in qualche modo, a questa serie di corrispondenze, lo stesso greco corovı sulla cui etimologia Chantraine (1968, II, p. 1270) afferma: «incertaine parce que la signification première est elle-même incertaine». Circa la fonetica, la corrispondenza semitico *k- / greco *kh- trova un parallelo in quella riscontrabile nel confronto ebr. kuttōnet / gr. citwvn (vedi sopra nel testo). Una straordinaria rappresentazione, del bronzo finale, di un ballerino con maschera e strumento a corde è venuta alla luce durante scavi a Tel Dan (Biran 1986), attestando modalità di danza sulla costa siro-palestinese del tutto rapportabili a quelle egeo-anatoliche: per quanto riguarda ad esempio un parallelo uso rituale della maschera in ambito cretese-miceneo, si vedano Verzár 1980, pp. 38-39 e, in particolare per la danza, Lucas 1971. Lo strumento a corde imbracciato dal danzatore rimanda a un altro confronto lessicale di sostrato, quello fra gr. kinuvra «arpa» e ebraico kinnôr «strumento a corda» (Mayer 1960, pp. 328-29: per una serie di tali isoglosse interfamiliari nell’ambito degli strumenti musicali, strettamente connessi alla danza, si vedano Lewy 1895, pp. 161-68 e Brown 1965). Benché verosimilmente redatto nella sua forma definitiva in epoca tarda, forse ellenistica (Eissfeldt 1965, p. 490; Garbini 1992, p. 16), il Cantico dei Cantici sembra conservare elementi d’origine cananaica (Albright 1963): in 7, 1 ci si rife-risce a una danza (m eḥôlâ) hammaḥªnāyim «delle due schiere», la cui denominazione ricorda, forse non del tutto casualmente nel contesto complessivo delle nostre considerazioni, la configurazione della danza labirintica a due schiere, di giovani e giovanette, cesellata sullo scudo di Achille.

155 Sachs 1966, p. 279. Livio (XXVII, 37) descrive una danza rituale in cui le fanciulle dell’Urbe «so-

Page 52: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

52

Per concludere, il fatto che gevrhn:gevranoı nel significato di «luogo di danze (‘labi-rintiche’)» emerga in greco dal sostrato, in parallelo a gōren per l’ebraico156, solo e limi-tatamente a Delos può essere attribuito alla concorrenza di corovı, il qual nome, genera-lizzatosi con ben altro successo e diffusione nel significato di «danza, insieme di danza-tori, coro», ha conosciuto, almeno in Omero157, anche le specifiche valenze attribuibili a gevranoı158.

num vocis pulsu pedum modulantes incesserunt», tenendo peraltro una fune fra le mani («per manus reste data»). Anche per il nome Tanz, che è attestato in tedesco a partire dalla fine dell’XI secolo, è stata proposta un’etimologia a partire dal francone danea «aia», sulla base di un’ipotetica forma verbale dal significato «battere come sull’aia, pestare leggermente» (Sachs 1966, p. 300: lo stesso Sachs non sembra però fare propria tale congettura. Per una rassegna delle altre possibili etimologie al riguardo si rimanda a Haas 1964).

156 Nell’iconografia del vaso di Tragliatella, da lui riferita alla situazione della gevranoı a Delo, il Menichetti (1992: si veda sopra alla n. 86) individua la raffigurazione di due «sedili dall’alta spalliera» o «troni» (ivi, 29). Segnalo al riguardo una notevole coincidenza fra questa identificazione e i due troni implicati dallo o{rmoı inventariato in IG 11.2.161b.22 (o{rmoı provı tw~i qrovnoi hjrthmevnoı), troni presumibilmente facenti parte della strutturazione dell’area della gevranoı. Non posso a questo punto esimermi dal rimandare, senza peraltro poter formulare concrete ipotesi di collegamento, al citato gōren di 1 Re 22, 10 (ripreso in 2 Cr. 18, 9: n. 119), piazza prospiciente la porta di Samaria, dove i re di Giuda e d’Israele stanno seduti sui loro due troni.

157 Il corovı di Callimaco a Delos parrebbe peraltro essere il nome comune per «danza» che sottin-tende la specifica danza della gevranoı.

158 L’aspetto formale dei significanti e le connotazioni di significato dell’isoglossa di sostrato greco-ebraica gevrhn:gevranoı / gōren qui proposta inducono a rimandare in qualche modo all’antichissima parola per «chicco di cereale, grano» penetrata in alcune lingue indeuropee e rappresentata in latino da granum. o in tedesco da Korn. Un esame delle possibili implicazioni in tal senso, forse estendibile anche a gr. gevraı «primizia», costituirà materia di ulteriore riflessione.

Page 53: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

53

I.4 ASPETTI FONETICI DEL CONFRONTO FRA GR. gevrhn:gevranoı

ED EBR. gōren

Nel capitolo precedente (I.3) ho avanzato e argomentato un confronto fra greco gevranoı «luogo di danze labirintiche a Delos, presumibilmente implicate all’origine con riti agresti (oltre che nome delle danze quivi eseguite)» ed ebraico biblico gōren «luogo del raccolto agricolo e delle connesse feste rituali con danze». I due nomi appaiono interpretabili ra-gionevolmente come emergenze nelle due lingue di un termine di sostrato riferibile a un nodo di concezioni ‘labirintiche’ relative a culti ctoni della fertilità che s’inquadra in una costellazione lessicale, circoscritta ma significativa e da me attribuita al sostrato «egeo-cananaico», che trova corrispondenti continuazioni nelle due lingue, a partire dal lesse-ma concettualmente fondamentale *da(/u)bur «sacro recesso destinato a culti specifici», testimoniato da greco labuvr- inqoı (mic. da-pu2-r - i-to) e da ebraico d ebîr e ṭabbûr159.

Sotto il profilo della corrispondenza fonetica, nello stesso studio mi sono limitato a osservare che «per quanto riguarda la prossimità dei significanti, sottolineo la rilevanza della glossa di Esichio gevrhn:gevranoı (Latte 1953-66, I, p. 372), dove gevrhn appare, nella forma, rapportarsi ancor meglio di gevranoı al termine ebraico».

In questa nota vorrei, in via del tutto preliminare, accostare sul piano formale il con-fronto gevrhn-gōren ad altre due corrispondenze lessicali greco-ebraiche che, nonostante la sostanziale differenza della loro natura, possono giustificare l’apparente discordanza nel timbro del vocalismo della prima sillaba (e-o) e indurre riflessioni, in materia di storia delle lingue semitiche, sulle vicende in diacronia dei segolati ebraici, o almeno di una classe di essi.

I – Ebraico biblico Gōšen - greco dei Settanta Gesem

Il toponimo ebraico Gōšen figura dodici volte nel testo biblico, dieci nella storia di Giu-seppe che conclude il Genesi e due nel libro di Giosuè: trascurando la complessa questione delle diverse versioni greche del testo biblico e delle varianti in esse contenute, ritengo

159 A tale base sembra potersi riferire anche il lessema du-pu2-re del ‘minoico’ sotteso alla Lineare A cretese. Per tutto ciò, si rimanda ai primi due studi di questa sezione (I.1 e I.2).

Page 54: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

54

sufficiente in questa sede constatare che l’edizione di Rahlfs dei Septuaginta160 presenta uniformemente in corrispondenza di Gōšen del testo masoretico la trascrizione greca Ge-sem negli otto casi161 in cui i traduttori non ritengono di dover parafrasare tale toponimo, non più identificabile geograficamente, con specificazioni topografiche più significative, in particolare Heroönpolis162.

La fonetica di Gesem, con la vocale è anche in prima sede e la nasale labiale in ultima sede, ha indotto Albright (1955, p. 31) a far propria un’ipotesi di Rabinowitz che, basan-dosi sulla specificazione «d’Arabia» aggiunta al nostro toponimo in Gen. 45, 10 e 46, 34, interpreta tale forma come dovuta alla reminiscenza del nome di un principe arabo Ge-shem, omonimo del Gešem ha‘arbî di Nehemia163 e menzionato su una coppa d’argento trovata nei pressi di Tell-el-Maskhūṭah, proprio l’antica (Pithom-) Heroönpolis. Benché non sia infrequente nelle versioni greche del testo biblico, a partire appunto dalla più an-tica traduzione della prima metà del IV secolo a. C. del Pentateuco da parte dei Settanta, la scelta di termini greci basata sulla semplice omofonia164, un vocalismo e presente anche nella prima sillaba del nostro toponimo ebraico mi sembra debba comunque essere posto alla base, in tale epoca, della scelta del termine da far corrispondere in greco165.

II – Ebraico biblico ḥōšen - greco ejsshvn

Mentre le traduzioni greche del testo biblico fanno corrispondere all’ebraico ḥōšen «pettora-le» diversi termini propriamente greci166, Flavio Giuseppe traslittera il termine in greco nella forma ejsshvn (Ant. Iud. 3, 7, 5 e 7; 3, 8, 9). Tralascio qui le possibili implicazioni con gli omoni-mi termini indicanti rispettivamente addetti al culto di Artemide, specie a Efeso, e componenti della setta giudaica degli Esseni167, salvo ipotizzare che anche Giuseppe Flavio possa aver fatto ricorso all’omofonia utilizzando l’assonante nome greco della comunità giudaica di cui tratta

160 Rahlfs 1935.161 Gen. 45, 10; 46, 34; 47, 1, 4 e 27; 50, 8; Es. 8, 18; 9, 16.162 In Gen. 46, 28 e 29. Per la questione relativa alla localizzazione in Egitto della biblica Gōšen e

per un’interessante ipotesi etimologica di tale nome, si veda Somekh 1999 e la bibliografia ivi riportata, specie Albright 1968, pp. 90 (con la n. 95) e 155.

163 Neh. 2, 19 e 6, 1-2-6.164 Si veda al riguardo Tov 1999, pp. 170-74.165 La versione latina di Gerolamo presenta, accanto a Gesem, la forma Gesen con la -n finale

dell’ebraico.166 Dommershausen 2003, p. 326, dove si sottolinea come le traduzioni greche rispecchino interpre-

tazioni diverse, in parte divergenti.167 Anche se tali implicazioni vengono esplicitamente escluse in Gonnelli 1988, p. 101, n. 49, che si

dimostra invece più incline a una possibile connessione fra il nome degli addetti al culto efesino, riecheg-giato da Callimaco e riutilizzato nella parafrasi esametrica del Salterio con il significato di «signore», e quello della setta giudaica (ivi, alla n 45 di p. 99). Su ejsshvn «re, re delle api (a Efeso)» in Callimaco, nei lessicografi e negli scoliasti, si veda ancor più recentemente a Innocente 1991. Per un’etimologia semi-tica del nome degli Esseni giudaici, si rimanda a Vermes 1960 e alla sua replica del 1962. A mio avviso, la questione dei possibili nessi fra questi omofoni, se tali sono davvero nella realtà, merita un’ulteriore considerazione complessiva.

Page 55: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

55

ampiamente nella sua opera168: in ogni caso, si sia trattato di accurata trascrizione in greco o di ricorso all’omofonia, non si può disconoscere che l’Autore abbia avuto a che fare con un termi-ne ebraico con un vocalismo in prima sede di timbro palatale o palatalizzato percepibile come e.

La classe di nomi segolati che i Masoreti, parecchi secoli più tardi delle traduzioni gre-che della Bibbia, a partire dai Settanta, e dell’attività di Flavio Giuseppe, vocalizzano col segno diacritico del ḥōlem (ō) posto dopo la prima radicale rimanda di norma, a seguito della comparazione delle lingue semitiche, a uno schema nominale *qutl, come nel caso di ebr. qōdeš, ar. quds «santità», ecc.169, anche se Gōšen e ḥōšen in particolare presentano etimologie incerte o non consolidate170.

Le altre due classi di segolati, quelle derivate dagli schemi nominali semitici comuni *qitl e *qatl, portano perlopiù a compimento il processo di metafonizzazione in e, pre-valentemente breve, della vocale tematica a seguito dell’influsso della e breve, notata ap-punto dai Masoreti con un s egôl, che in ebraico viene ad inserirsi fra la seconda e terza consonante radicale: sulla base delle due ben più antiche corrispondenze in greco sopra considerate, si potrebbe avanzare l’ipotesi che tale processo di palatalizzazione della vo-cale labiale tematica, benché fosse tale da suggerire ai traduttori greci del testo biblico e a Flavio Giuseppe la scelta dell’emicron per la trascrizione in greco, si fosse di fatto arrestato a una realizzazione intermedia fra labiale e palatale di tipo ö, tale da consentire anche il diverso criterio di scelta nella resa grafica della vocale operata dai Masoreti.

Questa ipotesi acquisterebbe una più convincente prospettiva diacronica se si potesse ragionevolmente supporre che nei secoli attorno al passaggio all’era volgare, quelli delle nostre due trascrizione greche, il processo di metafonizzazione in e della vocale tematica dei segolati ebraici riferibili a *qutl fosse già compiuto o prossimo al compimento e che il recupero di una realizzazione in tutto o in parte labiale all’epoca dei Masoreti fosse dovuto a influssi esterni sull’ebraico nel corso del primo millennio, come quello ben noto dell’ara-maico, lingua che, salvo apparenti e forse artificiali influssi dell’ebraico171, non conosce tali (né altri) segolati e conserva il tema monosillabico etimologico, vocale labiale inclusa.

Di fatto, diversamente da Gōšen e ḥōšen privi di sicuri confronti, ebr. gōren, benché verosimilmente termine con «epicentro cananaico, dove potrebbe per l’appunto essere l’emergenza di un termine di sostrato»172, presenta precise corrispondenze che rimanda-no esplicitamente a un tema *gurn173 a schema *qutl, in particolare in aramaico giudaico-palestinese e siriaco174, a testimonianza di una concreta possibilità d’influsso dell’aramaico

168 In particolare nella lunga digressione ai capitoli 8 (2-14) e 9 (1) del De bello Iudaico.169 Altri esempi in Brockelmann 1908-13, I, pp. 341-42170 Se per Gōšen disponiamo ora dell’interessante ipotesi di Somekh, citata alla n. 162, che collega tale

toponimo al nucleo radicale biconsonantico *gš della radice debole del verbo nāgaš «avvicinarsi», è Dom-merhausen (2003, p. 324) ad affermare che «l’etimologia di ḥōšen è incerta».

171 Casi come melek per malk «re» nelle parti in aramaico dei libri biblici di Ezra e Nehemia possono essere dovuti a un improprio conguaglio masoretico alla vocalizzazione dell’analogo termine in ebraico.

172 Cfr. sopra alla n. 121.173 Per tali corrispondenze, dovute anche a probabili incroci con termini afferenti a radici omonime,

si veda Fronzaroli 1969, pp. 295 e 310.174 Varietà dell’aramaico che presentano una stessa forma gurnā con un significato «urna, sarcofago»,

presente anche nel corrispondente termine arabo gurn- accanto a quello di «aia», possibile luogo di arcaiche sepolture.

Page 56: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

56

sul recupero di un vocalismo in o nel corso del lungo periodo di tempo che ci riguarda, recupero generalizzato forse poi dai Masoreti all’intera classe di nomi sulla base di casi del genere, rispetto a un precedente segolato compiuto175 di tipo geren176.

Una tale forma *geren di ebr. gōren, presupposta per le epoche di molto anteriori dei Settanta e di Flavio Giuseppe in analogia con le attestazioni Gesem e ejsshvn delle forme masoretiche Gōšen e ḥōšen 177, renderebbe perfettamente confrontabile sul piano foneti-co il nome ebraico con il termine gevrhn riportato da Esichio come sinonimo, di natura e provenienza non precisabile, di gevranoı, rafforzando sul piano linguistico la mia conget-tura di duplice emergenza, in ebraico e in greco, di uno stesso termine di sostrato, avanzata sulla base di considerazioni essenzialmente filologiche.

175 O semicompiuto che fosse, cioè con una realizzazione della prima vocale non ancora del tutto palatale.

176 Cui i traduttori del testo biblico fanno corrispondere il nome greco a{lwı/ a{lwn.177 Com’è noto, databili alla fine del primo millennio dell’era volgare.

Page 57: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

57

I.5 ECHI SEMITICI DI GRECO devmaı

Greco devmaı appartiene alla ristretta classe di nomi neutri in -aı attestati, per il loro ar-caismo, quasi esclusivamente al nominativo-accusativo singolare178 e spesso fossilizzati in locuzioni avverbiali. Privo a tutt’oggi di attendibili riscontri in miceneo179, esso è estraneo alla prosa attica e trova in Omero impiego solo come accusativo di relazione per indicare soprattutto la forma del corpo. Sebbene «scoliasti e lessicografi antichi» contrappongano «devmaı a sw~ma come designazione del corpo vivente», Vivante, nella sua analisi sulla designazione del corpo in Omero, ritiene che il significato di fondo di devmaı sia «somi-glianza generica e sommaria», a partire da un «senso vago di ‘massa’ ‘volume’»180. Un valore semantico così generico, evidente ad esempio in Il. XI, 596, dove Troiani e Achei lottano devmaı puro;ı aijqomevnoio «simili a fuoco fiammeggiante»181, appare però ec-cezionale nel testo omerico, dove di norma devmaı è riferito con precisione alla figura e al corpo di divinità e di umani, spesso allorchè gli uni si confrontano agli altri o ne assumo-no le sembianze. Un esempio per tutti è rappresentato dalla dizione formulare Mevntori eijdomevnh hjme;n devmaı hjde; kai; aujdhvn «sembrando Mentore nell’aspetto e nella voce», riferita per cinque volte nell’Odissea ad Atena182, su un totale di quarantadue ri-correnze complessive di devmaı nei poemi omerici183.

è proprio in riferimento alle apparizioni di Atena in sembianze umane che devmaı ri-corre con maggior frequenza relativa, e cioè altre quattro volte nell’Odissea (VIII, 194, XIII, 288, XVI, 157, XX, 31) e tre nell’Iliade (XVII, 555, XXI, 285, XXII, 227); in XXII, 285, Atena si accompagna a Poseidone nell’assumere aspetto umano, e lo stesso

178 Come gevraı, gh~raı, devpaı, sevbaı, tevraı, ecc. (Chantraine 19612, p. 73; per un elenco esaustivo dei diversi tipi di neutri in -aı, si rimanda a Schwyzer 19532, I, pp. 514-16). Al di fuori di questi due casi nominali, devmaı presenta una sola occorrenza di un dativo singolare devmai> in Pindaro (Pae. 6, 80).

179 Delle due possibili interpretazioni avanzate da Aura Jorro (1985, pp. 165-66) per mic. de-ma-si, riferito a destinatari di olio in KN Fh 353 e in KN 5432 versus, e cioè devrmasi «per le pelli» e devmassi «per i corpi», recentemente Bartonèk (2002, p. 546) presenta, sia pure in forma dubitativa, solo la prima (ringrazio l’amico e collega Mario Negri per la segnalazione di questa primizia bibliografica).

180 Vivante 1955, p. 44.181 Lo stesso parallelo figura anche in Il. XIII, 673 e XVIII, 1, oltre che, limitatamente al sintagma

devmaı puro;ı, in Il. XVII, 366.182 II, 268, II, 401, XXII, 206, XXIV, 503 e XXIV, 548.183 Ventinove nell’Odissea e tredici nell’Iliade.

Page 58: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

58

capita singolarmente allo stesso Poseidone e ad Apollo, rispettivamente in XIII, 45 e in XVII, 323.

L’abbinamento di devmaı a participi del perfetto e[oika, in molti di questi casi184, sem-bra sottolineare una somiglianza che rimanda a quella di un’immagine della persona divi-na sia pure sotto mentite spoglie, cioè a una corradicale eijkwvn ricavata, alla stessa stregua che dal legno o dal marmo, dalla materia di un corpo umano.

In Od. IV, 796, devmaı è esplicita apposizione di un ei[dwlon che la stessa Atena poivhse a somiglianza di Iftime, cosa che appare trasferire la funzione di rappresentare ingannevolmente la divinità da un corpo umano a un «idolo» animato costruito dalla stessa Atena: siamo qui molto prossimi all’ambito semantico riferibile alla «costruzione» di una statua di divinità, operazione presumibilmente tesa nell’antichità preclassica a ri-produrre, attraverso il sembiante, anche la natura animata del raffigurato in una sostanza altra, dando così luogo a una nuova entità corporea essa stessa sacra, in grado ad esempio di emettere responsi, e quindi a pieno titolo oggetto e soggetto di culto.

Una prima ipotesi che l’arcaico nome devmaı, considerato nelle sue occorrenze omeri-che, potesse essere in origine portatore anche di una connotazione di significato riferibile a «immagine costruita, idolo, statua» renderebbe più trasparente sul piano linguistico la sua abituale ma altrimenti male argomentabile connessione con il verbo devmw «costruire»185 e significativa la frequente associazione nel testo omerico di devmaı all’opera di Atena, se si considera la specifica attitudine di questa dea a essere oggetto di culto attraverso sue immagini plastiche, dall’antichissimo Palladio, idolo ligneo186 miracoloso e profetico già custodito a Troia da tempo immemorabile, alla impareggiabile opera criso-elefantina di Fidia sull’acropoli ateniese.

Le lingue semitiche, specie quelle nord-occidentali come l’aramaico e il cananaico (cioè essenzialmente l’ebraico e il fenicio), sembrano offrirci aspetti semantici affini a quelli individuati per greco devmaı relativamente a un tema nominale basato su un nucleo consonantico biradicale DM-, corrispondente quindi anche per la forma al nome greco. La comparazione di lessemi fra lingue appartenenti a famiglie linguistiche

184 Eccetto che in Il. XIII, 45 e XVII, 555, dove sono sostituiti dal participio eijsavmenoı É eij-samevnh, e nelle cinque ricorrenze della dizione formulare citata, dove appare il participio corradicale eijdomevnh.

185 Chantraine 1968, I, p. 261, afferma al riguardo di devmaı: «en raison de son archaïsme, il est dis-joint de la racine verbale».

186 Mariani (2001, p. 67, n. 31) richiama l’attenzione sul fatto che Benveniste aveva in un primo tem-po (1935, p. 33) interpretato devmaı come derivato da *devmar, confrontandolo col nome germanico designante «legname da costruzione» *tim(b)ra- (< IE *dem-r-o oppure *dem∂-ro-), da cui anord. timbr, aat. zimbar, ted. Zimmer e il denominativo got. timrjan «fabbricare col legno». La Mariani osserva anche che «l’ipotesi, citata da Frisk (1954-1972), non è però più riportata in Rix (1998)». In effetti, tale congettura non figura più esplicitamente nemmeno in Chantraine 1968 (I, pp. 261-62, citato) e lo stesso Benveniste ritorna più tardi (1955) sulla radice *dem(∂2)- presente in greco e attestata anche in germanico senza ripresentare il confronto fra devmaı e i sostantivi di lingue germaniche da essa derivati. L’uso originario del legno per la costruzione d’immagini divine in Grecia, documentato dagli xovana, potrebbe, nella nostra ipotesi, suggerire l’estensione anche al greco della connotazione «in legno» a *dem(∂2)- «costruire», da cui devmaı, che non va tuttavia necessariamente ricondotto a un tema *dev-mar, cioè a un tema che potrebbe essere invece proprio delle lingue germaniche e che non trova effettiva documentazione in greco.

Page 59: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

59

diverse risulta di norma e a priori arbitraria e attribuibile a somiglianze casuali, salvo l’evidenza di prestiti, ma nel caso specifico appare in concreto confortata dalle seguenti considerazioni:

- l’arcaicità di devmaı in greco e di usi specifici in aramaico del termine semitico posto a confronto;

- la mancanza di confronti indeuropei per il tema nominale greco devmaı e la verosimi-le localizzazione originaria nell’area semitica nord-occidentale del lessema semitico in questione, che lascia spazio a ipotesi di prestito fra le due sponde o di assunzione di uno stesso termine dal sostrato linguistico del Mediterraneo orientale;

- infine, in particolare, la possibile appartenenza di devmaı, almeno nell’ipotesi che qui si vuol delineare di una sua semantica connessa alle statue di divinità, alla costellazione di termini sacrali comuni al greco e alle lingue semitiche nordoccidentali e riferibili a culti e riti di sostrato collocabili nel bacino del Mediterraneo orientale187.

Nell’ebraico biblico, il nome d emût, caratterizzato formalmente dal suffisso d’astratto femminilizzante -ût a partire appunto da una radice *DMY, che presenta una radicale de-bole ricostruita in terza sede a complemento del nucleo biradicale forte DM-, denuncia un significato di base di «somiglianza», immediatamente riportabile a quello di «so-miglianza generica e sommaria» individuato da Vivante come significato di fondo di gr. devmaı. Tale significato generico trova ripetute testimonianze nel libro di Ezechiele188, che ci presenta ben tredici delle ventitre ricorrenze complessive di tale nome che spesso indica, nelle visioni del profeta, la somiglianza d’aspetto con entità diverse dal corpo uma-no, come la gloria di Dio (1, 28), il trono (10, 1), le quattro ruote del carro (1, 16 e 10, 10) o lo strato di ghiaccio (1, 22)189: in quest’ambito, il riferimento di d emût a immagini di fuoco lampeggiante e guizzante in Ez. 1, 13 e 8, 2 appare singolarmente richiamare l’uso di devmaı nel sintagma dell’Iliade sopra considerato devmaı puro;ı aijqomevnoio190.

187 Per la quale costellazione di termini si rimanda al capitolo finale di questa raccolta (III.3).188 Libro visionario, carico di apparizioni sovrannaturali dal simbolismo spesso oscuro, che precorre la

più tarda letterattura apocalittica: sembra conseguirne il fatto che in questo libro d emût appaia perlopiù in parallelismo o come apposizione/predicato del nome mar’eh «vista, visione» (corradicale di rā’āh «vedere»), ricordando lo specifico abbinamento omerico di devmaı a participi su ei\don nei casi citati alla nota 184.

189 L’uso di d emût in similitudini estranee al corpo umano si riscontra anche al di fuori del libro di Ezechiele: in 2 Re 16, 10 è ad esempio riferito al progetto di un altare, mentre in 2 Cr. 4, 3 alla raffigura-zione di buoi su un recipiente metallico. Si vedano anche Is. 13, 4, Ps. 17, 12 e Ps. 58. 5.

190 In Ez. 1, 13, il profeta Ezechiele parla infatti di nōgah lā’ēš ûmin hā’ēš yôṣē’ bārāq «fuoco sfavillante, fuoco da cui lampeggiano folgori» in relazione all’ «aspetto delle Chayyoth» (d emût ha-hayyôt), mentre in 8, 2 così si esprime: wa’er’eh w ehinnê d emût k emar’ê ’ēš «guardai, ed ecco una parvenza come visione di fuoco». L’analogia fra contesti letterari greci e biblici è stata teorizzata da Brown (1968) come giustificazione della concretezza di presunte isoglosse lessicali greco-ebraiche attri-buibili a un comune sostrato ‘mediterraneo’.

Più complesso appare individuare affinità di uso sintattico fra gr. devmaı ed ebr. d emût, a causa anche dell’avanzato processo di rifunzionalizzazione di devmaı da nome a preposizione impropria, sottolineato dalla Mariani (2001), che mette in evidenza come la sua prevalente reggenza genitivale si colleghi a un suo abituale e atteso uso postposizionale (ivi, 64), che trova però eccezioni quali appunto devmaı puro;ı

Page 60: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

60

Il testo biblico ci presenta tuttavia d emût anche in riferimento al corpo umano, ad esempio in Ez. 1, 5, 1, 26 o 23, 15, e in alcuni passi, in modo estremamente significativo rispetto al confronto che qui si propone, l’uso di tale nome «sembra sottolineare una so-miglianza che rimanda a quella di un’immagine della persona divina», come prima costa-tato proprio in questi termini a proposito dell’uso omerico di devmaı: è il caso, ad esempio, del noto inizio di Gen. 1, 26: wayōmer ’ elōîm na‘ªśeh ’ādām b eṣalmēnû kid emûtēnû «e Dio disse: ‘Facciamo un uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza’», dove d emūt «somiglianza» presenta un grado di maggior astrattezza rispetto al semanticamente affi-ne ṣelem «immagine, aspetto»191.

L’apparizione di un dio in fattezze di uomo, addirittura del dio unico degli Ebrei, è, in Dan. 10, 16, quanto di più prossimo alle apparizioni di Atena sotto mentite spoglie umane: egli si staglia in piedi dinnanzi al profeta, dopo avergli toccato le labbra, kid emût b enê ’ādām «come l’immagine di un (figlio di) uomo». In questo uso, devmaı prefissato con ki- « come» e specificato da «figlio di uomo = uomo», presenta ormai un signifi-cato concreto e rimanda all’assunzione da parte della divinità di una materialità in forme umane assimilabile alla concezione preclassica e antico orientale delle statue divine come specie di alter ego del dio.

è nella documentazione di un’altra lingua semitica nord-occidentale, l’antico ara-maico, che l’evidente parallelismo semantico ai vari gradi della scala astratto-concreto di greco devmaı e di ebraico d emût manifesta uno scarto. Infatti il testo aramaico della più antica iscrizione bilingue assiro-aramaica datata alla metà del nono secolo, quella di Tell Fekheriye, presenta due volte il termine dmwt’, nella scrittura consonantica epigrafica e col suffisso di stato determinato -ā espresso dal segno ’, per indicare proprio la statua che fa da supporto all’iscrizione192: si tratta in questo caso di una statua regale e non propria-mente divina, ma la sua sacralità è evidente nella consacrazione al dio Hadad, nell’elen-cazione degli epiteti del dio e nelle formule di maledizione che ne costituiscono il testo. Il termine aramaico dmwt-193, corrispondente a ebraico d emût, è corradicale del verbo

aijqomevnoio. Malgrado il suo uso prevalentemente nominale, anche d emût presenta tuttavia indizi di una deriva avverbiale-preposizionale, come, ad esempio, in ḥªmat lāmô ki-d emût ḥªmat nāḥāš «il veleno (è) a lui come il veleno di un serpente» (Ps. 58, 5), dove d emût assume il significato e la funzione della preposizione prefissata ki- : a tale coincidenza di uso e di significato col devmaı del citato Il. XI, 596, si aggiunge in questo caso una precisa corrispondenza sintattica, in quanto kid emût di Ps. 58, 5 funge da primo termine di un sintagma genitivale di (doppio) stato costrutto.

191 I due termini appaiono scambiati, anche nell’uso delle preposizioni be- e ki-, in Gen. 5.3, dove sono però riferiti al figlio di Adamo; in Gen. 5,1 appare invece, per la somiglianza dell’uomo a Dio, solo bid emût, reso dai Settanta con eijkwvn, mentre in Gen. 9,6 viene usato, per la stessa espressione, solo b eṣelem.

192 Dmwt’ «statua» figura alle righe 1 e 15 dell’iscrizione aramaica, dove appare, con lo stesso signifi-cato, anche jlm alla riga 12. In corrispondenza di entrambi i termini, il testo assiro presenta ṣalmu (ṣalam allo stato costrutto), formalmente corrispondente all’aramaico ṣlm e all’ebraico ṣelem (l’editio maior di questo rilevantissimo documento epigrafico è costituita da Abou Assaf, Bordreuil, Millard 1982). La presenza nell’aramaico di Tell Fekheriye di due sinonimi per «statua» corrispondenti, anche se solo nella forma, ai due termini ebraici presenti in Gen. 1, 26, ha dato origine a numerosi studi che integrano la precedente bibliografia al riguardo (per la quale si veda Preuss 1978), e relativamente ai quali ci limitiamo a segnalare Dohmen 1983, Israel 1983, Cazelles 1987, Martinez Borobio 1991, Gross 1993 e Garr 2000.

193 Che trova continuazioni nelle fasi successive dell’aramaico (aramaico giudaico, aramaico cristiano

Page 61: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

61

che appare in ebraico come dāmā «essere simile», per il quale si pone una terza radicale -h da antica -y. Benché i temi nominali in -ût siano di norma in semitico dei collettivi o astratti derivati, almeno tre considerazioni porterebbero a ritenere in questo caso le voci verbali come denominative:

1° - formalmente, la radice verbale presenta una radicale debole apposta come terza a un nucleo significativo bilittero DM-;

2° - la diffusione di tale verbo è strettamente limitata all’aramaico e all’ebraico, mentre le forme nominali corradicali sono attestate anche in altre lingue semitiche;

3° - la relativamente alta datazione della statua di Tell Fekherye è a favore di un’ipotesi di evoluzione semantica dal concreto all’astratto che veda in qualche modo come prio-ritario il nome dmwt nel suo significato concreto di «statua»: l’arabo e l’etiopico, lingue semitiche meridionali prive di un verbo «essere simile» caratterizzato dalla radice *DMY, presentano rispettivamente i nomi dumyat- dal significato concreto e congruo a quello originario di «bambola, statuetta, immagine» e dumät, «figura, contorno»194.

Se il verbo ebraico dāmā «essere simile, uguale» e le corrispondenti voci verbali dell’aramaico appaiono essere denominative rispetto ad un originario significato «sta-tua, immagine scolpita o comunque ‘costruita’» attestato per l’antico aramaico dmwt, il nome ebraico d emût trova un significativo sinonimo in tabnît «immagine, modello», come risulta in 2 Re 16, 10, dove i due termini figurano posti, come endiadi, sullo stesso piano semantico: tabnît presenta un tema nominale derivato dal verbo bānā «costruire, creare» che gli conferisce la connotazione di «costruito», da cui un significato com-plessivo di «immagine costruita, modello costruito», che ben s’addice al contesto del versetto citato.

Le coincidenze semantiche di greco devmaı, considerato nei contesti omerici, e di ebraico d emwt, esaminato nelle sue occorrenze bibliche, sembrano tali da poter attribu-ire queste due forme così prossime fra loro all’emergenza di un ulteriore nome dal co-siddetto sostrato linguistico egeo-cananaico da aggiungere alla costellazione di termini sopra accennata, afferente alla sfera sacrale di uno specifico culto anch’esso di sostrato e probabilmente riferibile alla celebrazione della fertilità d’eredità neolitica. Di tale termine, il nome dmwt «statua» dell’iscrizione antico-aramaica di Tell Fekheriye do-vrebbe conservare con la maggior approssimazione la denotazione fondamentale, men-tre la connessione in ebraico del sinonimo tabnît con bānâ «costruire» e l’altrimenti semanticamente oscura connessione di greco devmaı con devmw «costruire» parrebbe-ro aggiungervi la connotazione di «costruita»; infine, le implicazioni contestuali qui sottolineate dovrebbero consentirci, con un’ulteriore integrazione di senso, di arrivare ad un minimo comune denominatore semantico di «statua come alter ego della divi-

palestinese, siriaco e mandaico) a partire dall’aramaico ufficiale, ma con significati diversi da «statua» e prossimi a quelli attestati in ebraico.

194 In tigré. Per ulteriori poche quanto dubbie corrispondenze nominali in altre lingue semitiche, si veda Cohen 1993, 272, s.v. DMY. I termini del semitico meridionale potrebbero essere prestiti dall’ara-maico, in primis all’arabo e, tramite l’arabo, all’etiopico.

Page 62: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

62

nità, costruita a sua immagine in forme umane» che vorrei poter attribuire, conscio dei rischi impliciti in una ricostruzione semantica del genere, al presunto termine di sostrato195.

195 Sulle sopravvivenze di culti (pre-)protostorici tributati a idoli litici ritenuti animati nelle culture se-mitiche, quali il dio-pietra Abaddir nella tradizione fenicio-punica, si veda ad esempio Ribichini 1985, pp. 118-25. Di tali tradizioni fanno parte anche statue costruite in legno confrontabili con gli xovana greci (ivi, pp. 85-86), per i quali si veda l’accenno alla n. 186. Circa il debito della Grecia arcaica nei confronti del Vicino Oriente e dell’Egitto relativamente alle modalità di culto tributate a statue di divinità, in origine prevalente-mente lignee (trasporto in processione, vestizione, bagno rituale, nutrizione) si veda, tra l’altro, Bald Romano 1988, in particolare alla p. 133. Un confronto fra greco devmaı ed ebraico d emût nel quadro di altri accosta-menti, peraltro in larga misura discutibili, di termini semitici a neutri greci in -aı è stato intuito e proposto da Handel già nel 1929 (p. 19), cioè in assenza della determinante attestazione antico-aramaica di dmwt.

Page 63: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

63

II L’ARCHEONIMO DELLA NINFA IN RELAZIONE A NOMI DELL’APE,

DEL MIELE E DELLA PROFEZIA

Figura femminile alata, per metà con corpo d’ape, da Camiros (Rodi). VIII secolo a. C.196

196 Citata alla p. 69, n. 218.

196Il confronto di nuvmfh, attestato anche come nuvfh, con nomi semitici nord-occi-dentali per «miele» e nomi per «ape» in altre lingue semitiche a partire da una radice *NWB sembra rendere ragione di un originario significato di «ape» anche per il lessema greco, testimoniato dal mito e da residuali connotazioni semantiche.

Il primo e centrale capitolo di questa sezione è volto a evidenziare come alla base di que-sti nomi greci e semitici figuri un elemento lessicale attribuibile allo stesso sostrato egeo-cananaico di quelli già esaminati. Il passaggio semantico da «ape» a «ninfa» è tuttavia proprio del greco, dove la Ninfa eredita e antropomorfizza le valenze sacrali caratteristiche dell’ape nella pre-protostoria sia egea che cananaica.

196 Citata alla p. 69, n. 218.

Page 64: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

64

In questo ambito, all’ape e al miele è associata la profezia, facoltà che sarà ereditata dalle Ninfe. Il secondo capitolo è dedicato a tale nesso che nel mondo greco si estenderà alla parola poetica, mentre il terzo, a completamento della sezione, s’incentra sul nome ebraico per «profeta» nābî’, presente anche in altre lingue semitiche del Nord-Ovest, per mettere in evidenza come la sua radice *NB’ sia un allomorfo della radice *NWB di «ape» e «miele» e ne condivida aspetti semantici attribuibili al comune nucleo bicon-sonantico NB.

Page 65: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

65

II.1 NYMPHA ORIENTALIS

Greco nuvmfh dispone di poche etimologie moderne, tutte basate, come quelle dei les-sicografi antichi, sul significato di «fanciulla, giovane donna in età di marito, giovane sposa»197: riferendosi ad esse, i principali dizionari etimologici del greco concludono «Nicht sicher erklart» (Frisk 1960-72, s.v.) e «Et.: Obscure» (Chantraine 1968, s.v.).

L’etimologia di Kretschmer che ricostruisce un significato primario di «Geliebte, Liebhaberin»198 dal confronto con lat. nūbere «sposare, maritarsi» e ant. bulg. snubi-ti «amare, chiedere in matrimonio» (i.e. *sneubh-), è l’unica che abbia incontrato un qualche consenso: Meringer (1913, pp. 167-70) ripropone il confronto, ricavando però dall’ulteriore significato «coprire, velare» di nūbere un originario valore semantico di «velata» per nuvmfh. Il confronto di gr. nuvmfh con lat. nūbere risale agli antichi199, che però stabilivano anche un rapporto fra tale verbo e il sostantivo nūbēs, pure riproposto in epoca moderna (p. es. Benveniste 1935, p. 157). Lat. nūbēs sembra tuttavia trovare riscontri, oltre che in possibili forme indo-iraniche, nel cimrico nudd che, come già notato da Thurneysen (1890, p. 488) rimanderebbero a una radice i.e. *sneudh-, con la media aspirata dentale anziché labiale. Un altro ostacolo lungo il percorso verso una possibile eti-mologia indeuropea di gr. nuvmfh è quello evidenziato da Frisk e Chantraine e rappresen-tato dalla nasale interna: un tentativo piuttosto recente di van Windekens (1982-83) di aggirare tale ostacolo attraverso un confronto del segmento -uvmfh con un tema germanico *wambō «ventre materno, utero» (got. wamba, ags. wamb, ecc.), potrebbe giustificare la nasale interna solo a scapito di quella iniziale, per la quale l’autore è costretto a una di-spendiosa quanto improbabile ipotesi di prefissazione.

197 Per una precisa specificazione di questi significati e di quello del suo derivato maschile numfivoı si rimanda a Chantraine 1946-47, pp. 228-30.

198 Kretschmer 1909, p. 331. Kretschmer ritorna sull’argomento nel 1910 e, a proposito di Meringer 1913, nel 1916, p. 354.

199 Per una rassegna al riguardo e per altre rilevanti considerazioni su latino nūbō, si rimanda a Emout-Meillet 1959, p. 449, dove gli autori sembrano optare per l’accostamento di tale voce a nūbēs anziche all’ant. bulgaro snubiti: ciò renderebbe formalmente problematico, appunto per la diversa qualità della media aspirata ricostruibile, l’accostamento a tali voci di gr. nuvmfh, e questo a prescindere dal problema costituito dall’ampliamento in nasale. Si vedano anche gli accenni etimologici al riguardo in Triomphe 1989, pp. 241-43 e note.

Page 66: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

66

Tali significati di natura antropologica200 appaiono comunque, nelle più antiche at-testazioni e in particolare in Omero, di gran lunga meno frequenti di quello di «ninfa» proprio della sfera mitologico-religiosa e verosimilmente ad esso subordinati. Nell’Odis-sea, ad esempio, delle ventinove ricorrenze del termine, solo tre sono riferite a giovani donne o spose201 e Porfirio, nel suo commento al passo del poema omerico descrive l’antro delle Ninfe sull’isola di Itaca, così esplicita la relazione di secondarietà di tali significati rispetto a quello di «ninfa»: «Le Ninfe Naiadi sono dunque le anime che discendono nella generazione. Da qui nasce anche l’uso di chiamare ‘ninfe’ le donne che si sposano come se contraessero un vincolo al fine di generare, e di cospargerle di acque attinte da fonti o correnti o sorgenti perenni»202.

Se gr. nuvmfh pare quindi collocarsi nel novero dei nomi del divino, l’ipotesi di una sua origine non indeuropea, suggerita dalle difficoltà etimologiche appena elencate, sembra rafforzata dalla constatazione del considerevole numero di nomi del pantheon greco privi appunto di convincente etimologia indeuropea203.

Prima però di estendere l’indagine etimologica relativamente a questo termine al di fuori dell’area dell’eredità indeuropea del greco, ritengo opportuno soffermarmi per ac-cenni su alcuni aspetti, fra i tanti, della profonda e ricorrente sovrapposizione concettuale nella mitologia grecolatina fra ninfe e api.

A partire dal lavoro di Robert-Tornow del 1893, subito seguito da quello di Cook (1895), la complessa simbologia dell’ape e del miele, come traspare dalla mitologia classi-ca, è stata oggetto di numerosi studi, spesso estesi, perlopiù con intenti comparativi, anche ad altre culture204.

Particolarmente rilevante al riguardo è il fascio di leggende imperniate sulla nascita dello Zeus cretese. La grotta dove Rhea partorisce il figlio divino a Creta sul monte Ida205 ha, secondo Diodoro Siculo (V, 70) «a che fare con le api, e non dobbiamo ometterne la menzione; il dio, dicono, desiderando conservare un ricordo immortale della sua stretta associazione con le api, cambiò il loro colore facendole simili al rame con raggi d’oro». Che tali api fossero associate nell’antico mito alla nutrizione del piccolo Zeus trapela in

200 Per i quali si rimanda all’approfondita analisi di Valeria Andò (1996).201 IV 743, XI, 38 e 447.202 Porfirio 1986, 52-54 (12, pp. 1-4), nella traduzione di Laura Simonini.203 Ciò vale non solo per i nomi delle divinità maggiori, come jAqhna`, jApovllwn o, molto verosimil-

mente nonostante le apparenze, come Dhmhvthr (si veda oltre alle pp. 105-11 – III.2), Pershfovnh (ivi, l’ipotesi alla n. 413) o ‘Afrodivth (rassegna dei numerosi e contrastanti tenti etimologici in Dugand 1974), ma anche di semidivinità, come Seirhvn o Sivbulla (per i quali nomi sono state proposte etimo-logie semitiche: Lewy 1895, p. 205, e Cohen 1929, pp. 134-35, oltre a 1928, per il primo termine e Coote 1977, per il secondo: al rapporto fra la simbologia delle Sirene e quella delle api, Roscalla, 1998, dedica l’intero secondo capitolo, fornendo anche una rassegna di altri tentativi etimologici per Seirhvn alcuni ancora con termini semitici, e una sua proposta di confronto, su basi fonosimboliche più che fonetiche, con un raro e discusso termine vedico per ape).

204 Fondamentale al riguardo rimane Ransome 1937, Una accurata bibliografia fino alIa data di edizio-ne è quella raccolta da Simonini in Porfirio 1986. Per opportuni aggiornamenti, vedere anche i rimandi ai capitoli II.2 e III.1 e il repertorio bibliografico del recente RoscalIa 1998. Si segnalano anche, per i conte-nuti e la bibliografia, la tesi di laurea di Mariani (1997) e, relativamente alI’antico Egitto, la monografia di Chouliara-Raïos (1989).

205 O secondo altri sul monte Ditte o Diktos.

Page 67: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

67

mitografi tardi: il cristiano Lattanzio (Div. lnstit. l, 22) afferma infatti che le due figlie del re cretese Melisseo, Amaltea e Melissa, «puerum caprino lacte ac melle nutrierunt, unde poëtica illa fabula originem sumpsit advolasse apes atque os pueri melle complesse»206; e nella tarda raccolta di Antonino Liberale, che si rifà a un’opera precedente sull’origine degli uccelli, a sua volta riferita a tradizioni risalenti certamente «a tempi più remoti» (Kerényi 1992, p. 48), tanto che, secondo alcuni, affonderebbero le loro radici nell’età del bronzo207, si legge: «Dicono che a Creta esista una grotta piena di api, in cui, secondo il mito, Rhea partorì Zeus; ed è norma di comportamento imposta dalla religione che nessuno vi entri, né dio né uomo. Ad una certa data, si vede tutti gli anni un gran bagliore di fiamme che si sprigiona dalla grotta. Questo accade, stando al mito che là si racconta, quando il sangue rimasto dopo la nascita di Zeus trabocca. La grotta è abitata da api sacre, che furono le nutrici di Zeus».

Ma nella tradizione consolidata degli autori classici, non sono più le api le nutrici del piccolo Zeus Cretagene: esse diventano significativamente delle ninfe, perlopiù cinque, una delle quali di nome Mevlissa. Proprio nello stesso passo sopra considerato, in cui affiora il ricordo del ruolo avuto dalle api nella grotta della «divina natività», Diodoro Siculo ci fornisce la versione letteraria secondo cui «i Cureti lo (=Zeus) posero in una grotta dove lo consegnarono alle Ninfe, con l’ordine che dovessero provvedere a tutte le sue necessità. Inoltre le Ninfe nutrirono l’infante con una mistura di miele e latte [...]»208. Sempre nell’ambito della nutrizione di neonati divini, o d’origine divina, alle cure prestate da Ninfe al piccolo Dioniso in altro antro, quello di Nisa (Hymn. Hom. XXVI, 3-10), fa da riscontro la nutrizione di Meliteo, nato da Zeus e da una ninfa, da parte di uno sciame di api209.

La divinità femminile che affida il suo piccolo neonato alle cure di ancelle divine o semidivine perché sia da esse svezzato, appare un topos riconducibile ai culti preistorici, nel Mediterraneo orientale, delle grandi dee madri che presiedono alla fertilità della terra. Secondo lo studioso francese Triomphe (1989, pp. 203-4), «la maternità secondaria delle nutrici apparirebbe come il recupero, attraverso il mito, di una maternità ‘primigenia’, in altre parole di una origine preellenica occultata dalle invasioni: se delle Ninfe si trovano a nutrire dei neonati-dei, si deve al fatto che esse occupavano per prime il suolo dove gli dei sono giunti come conquistatori»210.

206 Opportunamente la Marconi 1940, p. 166) annota al riguardo: «Mi sembra da queste parole che Lattanzio ci tenga ad accentuare il maggior valore dell’ape, rispetto ad Amaltea, rifacendosi all’originaria tradizione che celebra l’attività materna di Mélissa, tradizione originaria che sfocia e si confonde nella comune fabula delle api, le api vere dell’alveare, le prodigiose nutrici della creatura, che allora solo aprì gli occhi alla luce».

207 RoscalIa 1998, p. 17 e n. 5.208 Le ninfe sono le nutrici di Giove anche in Callimaco, Apollonio Rodio, Apollodoro, Ateneo, Vir-

gilio, Ovidio, Servio, Igino, Manilio. Per una rassegna dei luoghi relativi, vedere il commento di Simonini in Porfirio 1986, p. 186, e, nel dettaglio, quello di Guidorizzi in Apollodoro 1995, pp. 174-76.

209 Ancora in Antonino Liberale.210 Su un’origine preellenica delle Ninfe, vedere anche Untersteiner 1972, p. 297 e n. 43.

Page 68: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

68

Ninfe o api?

Nell’inno omerico ad Afrodite, il figlio nascituro Enea «lo alleveranno le ninfe oreadi, dal florido seno, che abitano questa alta, divina montagna. Esse non somigliano né ai mortali, né agli immortali: vivono a lungo, e mangiano il cibo degli dei, e amano la bella danza con gli immortali»211. Non è difficile in questa descrizione sostituire alle ninfe oreadi delle api nutrici, specie in considerazione dell’habitat silvestre212, dell’abituale identificazione di nettare e miele213 e, soprattutto, del motivo della danza, precipuamente riportabile all’atti-vità delle api214. L’ambiguità ape-ninfa non si limita naturalmente alla funzione di nutrire infanti per conto di dee madri. Già nell’antro di Itaca descritto da Omero in Od. XIII, 102-12, le ninfe Naiadi convivono con le api, e paiono ad esse sovrapporsi215. A proposito di Pindaro, Pyth., 4, 106, poi, lo scoliaste Mnasea, d’epoca ellenistica, «in una prospettiva rituale coinvolgente Demetra216», afferma: «Api sono coloro che consacrano la loro vita ai riti, e furono queste api-Ninfe a far desistere gli uomini da una dieta carnivora e a inse-gnare loro un regime vegetariano. Una di queste Ninfe, Melissa, per prima scoprì dei favi, ne mangiò e mescolò miele e acqua; istruì le compagne e chiamò gli insetti melissai dal proprio nome217». «Infatti» continuano gli scolii che riportano il passo di Mnasea «sen-za le Ninfe non si celebrano i riti di Demetra [...]». Afferma la Simonini, cui devo l’intera citazione: «Gli scolii quindi non solo sottolineano l’identità di funzioni che avvicinano

211 Vv. 257-61, nella traduzione di Càssola (1981, p. 275).212 Del tutto esplicita al riguardo appare la glossa di Esichio ojrodemniavdeı: nuvmfai, kai; aij me-

vlittai, dove viene sottolineata senza possibilità d’equivoco la sovrapposizione fra ninfe e api silvestri. L’associazione delle api e delle ninfe agli stessi habitat naturali non si limita solo ai boschi, ma si estende agli alberi e alle grotte con acque, cioè ai luoghi naturali dove le api depongono il miele anche allo stato selvatico. Come ho modo altrove di annotare (cfr. oltre, p. 76), la rilevanza economica del miele, qua-le fondamentale elemento dolcificante nell’antichità e diffusa sostanza medicamentosa, si riflette nella mitologia anche attraverso l’attribuzione a dei o semidei (Crono, Apollo, Dioniso, Aristeo) dell’ ‘inven-zione’ del miele, a celebrazione del passaggio dalla fase di raccolta del miele selvatico a quello dell’alle-vamento delle api: le ninfe-api sembrerebbero anche in quest’ottica connettersi alla fase più antica della raccolta, a conferma della citata affermazione di Triomphe e della diversa ma convergente ipotesi della Marconi (1940) sul rilievo preistorico del culto egeo dell’ape. Sulla coincidenza delle sedi naturali delle Ninfe e delle api, specie quelle selvatiche, si rimanda pure a Larson 1995, pp. 352-54; anche il culto tri-butato alle Ninfe nella grotta di Vari, alle pendici sud-occidentali dell’Imetto (Connor 1998, pp. 166 ss.) potrebbe essere collegato alla fama di tale monte come sede di api mellifere (Arrigoni 1967-69, II, pp. 272-77 e Jones 1976).

213 Il «biondo miele» è «dolce cibo degli dei», per esempio, nei vv. 560-62 dell’Inno Omerico a Her-mes. Tale sembra essere anche in Porfirio (1986, p. 59 e, nel commento di Simonini, pp. 160-61). Offerte di miele a divinità femminili a Cnosso sono attestate nella documentazione micenea in Lineare B.

214 Anche se non riferite esplicitamente alle Ninfe, osservazioni molto stimolanti sul rapporto fra danza delle api e danze rituali si trovano in Lawler 1953-54. La stretta associazione fra danze iniziatiche e Ninfe è peraltro sottolineata in Brenner 19992.

215 Tale sovrapposizione sarà uno degli elementi di base del commento di Porfirio, che, seppure in una temperie culturale troppo tarda e specifica per poter essere agevolmente utilizzato nella ricostruzione di valenze religiose pre-classiche, porta all’estremo l’identificazione delle Ninfe con le api.

216 Simonini in Porfirio 1986, p. 171, rifacendosi a Scarpi 1984, pp. 110-11.217 Anche la Driade Euridice «fait partie de ces puissances auxquelles certaines traditions font crédit

de l’invention du miel»: Detienne 1974, p. 62. A questo studio di Detienne si rimanda per le implicazio-ni del mito di Orfeo ed Euridice col miele e l’ape.

Page 69: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

69

sacerdotesse e Ninfe, ma considerano entrambe Api di Demetra». Anche i corteggi di ‘sacerdotesse’ Mélissai che frequentano in epoca classica i santuari delle grandi dee madri dell’Egeo pre-greco, in particolare Rhea, Demetra e Artemide, sembrano così continuare una presenza pre-ellenica di api-Ninfe218.

Con la considerazione complessiva, quindi, che le Ninfe appaiono ereditare nell’epoca classica la specifica rilevante valenza simbolica che le api dovevano rivestire nella religione del sostrato egeo, è opportuno a questo punto tralasciare, almeno per ora, ulteriori accenni a questa vasta e rilevante tematica, per la quale rimando appunto alla bibliografia indicata sopra in nota219, per ritornare alla sostanza etimologica propria di questo mio intervento.

Sottolineerò altrove220 come il nome per «ape» più diffuso nelle lingue semitiche (ac-cadico nūbtu(m) «ape», arabo nūb221 «api», sud-arabico mehri nōbēt, etiopico ge‘ez e tigre nehb «ape») sia formato su di una radice ‘fossile’ *NWB. La scarsissima produtti-vità di *NWB come radice verbale appare soprattutto concentrata nello strato più antico del semitico occidentale, che curiosamente non attesta nomi per «ape» su questa radice, bensì nomi per «miele» (ugaritico nbt, ebraico nōpet, con impropria corrispondenza fo-netica per la tenue labiale). Sulla forma allomorfa *NB’ di questa radice, è formato il nome più diffuso per profeta nelle lingue semitiche nord-occidentali (ebraico nābî’, n ebî’â, eblaitico na-ba-(‘)um?, attestazioni nord-occidentali nell’accadico di Mari (luna–bi-iMEš)e di Emar (lu.mešna–bi-i, mi.mešmu-na(b)-bi-(i)a-ti).

Il significato di fondo di questa relittuale radice «semitica nordoccidentale» *NWB / *NB’ risulta essere «effondere, fluire»222, significato che sembra adeguatamente rappor-tarsi sia ai nomi per «ape» e per «miele», sia a quelli per «profeta» sulla base della metafora che collega il miele alla parola ispirata, profetica (o poetica), e di conseguenza il profeta (o il poeta) all’ape, dalla bocca dei quali il miele/parola ispirata «fluisce». Su que-sta metafora, bene evidenziata in Waszing 1974 per l’ambito greco-latino, mi soffermerò nel capitolo che segue (II.2), rilevando il parallelismo dei suoi effetti linguistici in greco e in ebraico223.

La simbologia dell’ape e del miele sembra nel suo complesso presentare sorprenden-ti affinità nell’intero ambito delle culture del bronzo del Mediterraneo Orientale, senza limitarsi ad esse, e lascia trasparire un suo radicamento nei culti della fertilità di eredi-tà neolitica. Tuttavia, mentre in epoca immediatamente preistorica e protostorica, il suo epicentro sembra collocarsi in una sorta di koiné culturale anatolico-cretese, i suoi effetti lessicali più rilevanti paiono manifestarsi in un ambito di sostrato linguistico che ho preli-minarmente denominato «egeo-cananaico». Tale articolazione specifica del più generico

218 Su «l’identificazione di Nymphai e Melissai», si veda anche Scarpi 1984 alle pagine citate nella nota precedente. In ambito figurativo, tre placchette a rilievo orientalizzanti (VIII/VII secolo) ritrovate a Camiros di Rodi rappresentano giovani donne alate con corpo d’ape dalla cintola in giù (Ransome 1937, p. 61). Si veda la riproduzione di una di esse qui alla p. 63.

219 Nota 204.220 Si veda alle pp. 83-92 (II.3).221 Accanto al più diffuso collettivo naḥl: Halevy 1910, p. 498.222 Secondo la più aggiornata comparazione dell’ugaritico con gli strati più arcaici dell’ebraico biblico,

comparazione che, unitamente alle considerazioni filologiche sui connessi nomi per «profeta», sembra confermare appieno i risultati al riguardo della speculazione ottocentesca del Gesenius.

223 Metafora che viene a interessare rispettivamente le. radici *mel- e *DB(R).

Page 70: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

70

sostrato mediterraneo, sembra giustificare non infrequenti omologie lessicali, anche com-plesse, fra il greco da una parte e le lingue semitiche della regione siro-palestinese, specie per quanto riguarda il lessico sacrale224.

Questo quadro appare adeguato a dar corpo alle seguenti ipotesi:

1 - Greco nuvmfh, privo di un’adeguata etimologia indeuropea e riferibile primariamen-te all’ambito sacrale225, rappresenterebbe l’emergenza dal sostrato egeo in greco226 di un nome indicante l’ape, formalmente avvicinabile a nomi per «ape» o «miele» diffusi nelle diverse lingue semitiche, e anch’essi in qualche modo attribuibili al sostrato, data la natura relittuale in semitico della radice semitico-occidentale *NWB / *NB’ cui si rifanno. Se confrontiamo il termine greco con accadico nūbtu(m) «ape»227, in cui il suffisso -tu(m) è suffisso di femminile, la corrispondenza dei nessi labiali interni acc. -ūb- / gr. -umph-, dove la nasale labiale del greco potrebbe compensare la lunghezza della vocale semitica, è decisamente accettabile, trattandosi appunto verosimilmente di parallele acquisizioni dal sostrato228.

2 - In epoca storica il nome comune dell’ape in greco è mevlissa, che Lohman (1932, p. 82) ha interpretato come un derivato in -ja- dal tema *melit- «miele»229. La struttura se-mantica «quella del miele» e la contigua configurazione di «mosca del miele» si trovano utilizzate in diverse altre lingue dell’Eurasia antica e moderna: designazioni perifrastiche di tale tipo, in particolare per i nomi d’animale, rappresentano evidenti casi di denomina-zione tabuistica. In effetti, il nome dell’ape, così come quello del serpente, dell’orso, del lupo e di altri animali, è frequentemente soggetto ad essere sostituito da nuove denomina-zioni; in alcuni casi, come apparentemente in quello di gr. mevlissa, esse sembrano essere dapprima epiteti del nome originario, a cui si sostituiscono nel tempo230.

Un possibile sintagma nuvmfh mevlissa, «ape, quella del miele», nella immediata preistoria del greco, risulterebbe la controparte linguistica dell’ originario teriomorfismo

224 Si veda al riguardo, oltre agli accenni ricorrenti nell’intera raccolta, il capitolo III.3. 225 Anche se il parallelismo con l’ape sembra estendersi pure ai significati secondari di «giovane spo-

sa», «fanciulla da marito», spesso associati, non solo nella cultura grecoromana, alla laboriosità e alla purezza dell’ape (vedere, ad esempio, Grottanelli 1987, p. 313).

226 Benché segni raffiguranti l’ape facciano già parte del geroglifico cretese, la documentazione in line-are B non sembra restituirci ad oggi nomi micenei per «ape».

227 Lingua semitica dove la scrittura cuneiforme ci testimonia con una certa precisione il vocalismo.228 Il vaso François (570-560 a. C.) e altre testimonianze epigrafiche ci attestano peraltro un plurale

NUFAI (Navarre 1968, p. 128), ma la mancanza della labiale sembrerebbe interpretabile più come feno-meno grafico che fonetico. Anche la testimonianza del greco moderno nuvfh «sposa» non pare potersi utilizzare come indizio per 1’esistenza di un’antica variante di questo nome priva della nasale, dato che, nel passaggio al greco moderno, altri nomi perdono la nasale davanti alle spiranti f, q, c (Thumb 1895, p. 18).

229 In precedenza, Schwyzer (1915) aveva etimologizzato questo nome come il risultato di un’aplo-logia da meli-likh-ja- «colei che lecca il miele», su1la base di sanscrito madhu-lih- «colui che lecca il miele» > «ape».

230 Halevy 1910, pp. 501-6, con la bibliografia ivi citata, in particolare Meillet 1906 e Gauthiot 1910-11.

Page 71: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

71

delle semidivinità che rivestiranno nella religione grecoromana l’immaginario proprio delle Ninfe.

Così, se sotto il profilo della comparazione indeuropea dei nomi dell’ape, mevlissa risulta essere in greco un neologismo tabuistico per «ape», pur comparendo ancora in modo relittuale e sporadico come nome proprio di divinità femminili minori, nuvmfh, venuto a risemantizzarsi in epoca storica come il nome di tali entità della religione greca231, conserva specularmente il suo verosimile primitivo valore semantico di «ape» nella resi-duale testimonianza dei lessicografi: in Esichio232, ad esempio, ma anche in Aristotele233, tale valore di nuvmfh appare ridotto al segmento di campo semantico rappresentato da «crisalide, ape allo stato larvale», secondo le modalità tipiche della riduzione semantica del nome originario nei processi di innovazione lessicale di questo tipo.

In altre parole, la tesi che qui si propone è che, allorché l’epiteto mevlissa viene pro-mosso a denominare a pieno titolo l’ape, presumibilmente sullo scorcio ultimo della prei-storia del greco234, il precedente nome nuvmfh resta disponibile per le Ninfe, eredi, alla luce della documentazione letteraria e archeologica, delle valenze sacrali già proprie dell’ape.

L’attitudine della radice relittuale *NWB / NB’ a essere alla base in semitico, oltre che di nomi per «ape» e per «miele», anche del nome per «profeta» più diffuso nelle lingue semitiche nord-occidentali, sembra trasparire pure nelle valenze semantiche di nu-vmfh, che qui vogliamo appunto considerare come emergenza in greco, dal comune sostra-to egeo-cananaico, dello stesso elemento lessicale.

Ciò m’induce a travalicare di nuovo i confini della considerazione strettamente lingui-stica, per accennare come non manchino, nella letteratura greca, Ninfe (o sacerdotesse) dedite all’attività profetica: basti riferirsi a Delfi e immediati dintorni, dove profetizza la Pizia, significativamente denominata da Pindaro mevlissa Delfivı235, dove la ninfa Dafni fu la prima profetessa di Ge (Paus. X, 5, 5) e dove, più specificamente, le tre vergini-api «dalle rapide ali» dell’inno omerico ad Hermes «abitano una dimora posta sotto la gola del Parnaso e insegnano, in disparte, la divinazione»236, richiamando da vicino la tradizione delle Ninfe coricie237. Altri esempi di Ninfe profetesse, fra i molti su cui il taglio

231 Assumendo quindi, per metafora, i significati «secondari» di «giovane sposa, fanciulla da mari-to». Vedere, al riguardo, anche la nota 225.

232 Latte 1953-66, II, p. 719 (s.v.).233 HA 551b, 555a, ecc.234 Come già precisato (nota 226), il miceneo non sembra documentarci nomi per «ape».235 Pith. IV, 60: crhsmovı ... melivssaı Delfivdoı. In Pindaro 1995, p. 443, Giannini, a commento

di tale verso, afferma tra l’altro: «‘l’ape delfica’ è la Pizia, così chiamata per affinità con le Ninfe-api che, ai piedi del Parnaso, profetavano, inebriate dal miele. Cfr. H. Merc. 552 ss.» (inno al quale mi riferisco qui di seguito).

236 Vv. 555-6. Càssola 19812, pp. 222-23, con note, e 543. Su tali versi e, in generale, sull’implica-zione di Ninfe-Muse-Api nella divinazione a Delfi e dintorni, si vedano Feyel 1946 e Scheinberg 1979; sull’implicazione del culto dell’ape con la divinazione, a partire dall’omphalos di Delfi, si rimanda anche a Richards, Mantzoulinou 1979.

237 Così in Larson 1995. Kerényi (1992, pp. 62-68), sottolineando come il Kwruvkion a[ntron, pur esso ritenuto sede di Ninfe sul Parnaso, significhi alla lettera «antro del sacco di cuoio», collega tale denominazione a quella dei contenitori di cuoio utilizzati per la fermentazione del miele e quindi indi-rettamente al fenomeno della bugonia, cioè della mitica nascita delle api dalle carcasse bovine: questo collegamento rimanda a un ulteriore, anche se tenue, associazione fra le api e le Ninfe.

Page 72: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

72

linguistico di questo lavoro non mi consente più d’indugiare, ma per i quali rimando alla letteratura citata nelle note238, sono quelli forniti ancora da Pausania a proposito della ninfa Erato, un tempo profetessa di Pan in Arcadia (VIII, 37, 11) o delle ninfe oracolanti nella grotta Sphragidion sul Citerone (IX, 3, 9). Nuvmfh quindi, in conclusione, appare essere un nome per «ape» in una fase prei-

storica del greco, confrontabile con nomi per «ape», «miele» e «profeta» in lingue semitiche in quanto tutti dovuti a probabili emergenze sulle due sponde dell’Egeo di uno stesso elemento lessicale da un comune sostrato linguistico egeo-cananaico rappresen-tabile foneticamente come *nu(m)b/bh e attribuibile in via d’ipotesi a una qualche fase medio-antica del bronzo, come stratificazione del più generico sostrato mediterraneo. Possiamo spingerci oltre e cercare d’individuare in questa «area» o «spazio» di sostrato, ispirandoci alla metodologia di Silvestri239, una specifica «pista» che ci indichi anche una qualche direzione preistorica di prestito? La relativa maggior proliferazione di tali termini in semitico, rispetto alla singolarità dell’emergenza di nuvmfh in greco, fa ritenere le lingue semitiche, specie quelle della regione siro-palestinese, più prossime all’epicentro preistori-co di questo fatto lessicale: un accostamento di questa situazione a quella che ho cercato di evidenziare a proposito della possibile ‘secondarietà’ del sostrato egeo di Dhmhvthr rispet-to alla maggior profondità del sostrato del corrispondente teonimo semitico-occidentale adamma240, sembrerebbe evidenziare, nell’ «area» di sostrato egeo-cananaica, una «pi-sta» da est a ovest241.

Ancora una volta la considerazione linguistica sembrerebbe ben inserirsi nel mito te-stimoniato dal dato filologico: l’ipotesi che il nome «originario» delle Api Ninfe possa aver raggiunto l’occidente egeo dalle coste siro-palestinesi, quasi al seguito di quello di Adamma-Demetra, parrebbe trovare una sua rappresentazione poetica nell’ episodio della ninfa Europa (soggetta per l’appunto ad essere identificata con la Demetra dal corteggio

238 E, in generale, a Herter, Heichelheim 1937.239 Vedere, ad esempio, Silvestri 1987 e 1995. I concetti di «spazio» e «pista» vengono qui da me un

po’ forzatamente adattati al microcosmo di singoli fatti lessicali.240 Si veda oltre, al cap. III.2.241 D’altra parte, la curiosa assenza di un nome per «ape» su *NWB (/NB’) proprio e solo nel semi-

tico nord-occidentale non può essere interpretata che come il risultato di una sua sostituzione da parte di altri nomi per «ape» in epoca non remota, tanto più che tale radice relittuale è da attribuirsi proprio alle lingue semitiche del Nord-Ovest: se l’ugaritico non sembra attestarci specifici nomi per «ape» (ma presenta un nome nbt per «miele»), l’ebraico d ebôrâ «ape» e il corrispondente termine aramaico ap-paiono così essere i sostituti in epoca storica di un più antico nome su *NWB (/NB’) testimoniato dalle altre lingue semitiche, orientali e meridionali. Un processo, questo, del tutto parallelo a quello della sosti-tuzione, che qui si propone, di greco mevlissa a nuvmfh, tanto più se si considera che anche ebr. d ebôrâ denuncia l’identica struttura semantica dell’epiteto mevlissa, cioè «quella del miele» (cfr. oltre, p. 82). Un parallelismo così preciso, tale da includere anche la connotazione di «profetessa» comune appunto sia a d ebôrâ che a mevlissa, potrebbe inserirsi in una «pista filistea di ritorno», cioè in un successivo fascio di prestiti culturali e linguistici di sostrato fra le due sponde dell’Egeo secondo un’opposta pista ovest-est, riconducibile al fenomeno dei «popoli del mare» sul finire del bronzo (per il quale fenomeno si rimanda ai recenti Garbini 1997 e Micoli 2005-2006, con le annesse bibliografie): in questo possibile quadro, tutto da delineare, potrebbe inserirsi l’intera metafora greco-ebraica «miele-parola ispirata» analizzata nel capitolo successivo (II.2).

Page 73: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

73

di Mélissai242) portata dal toro divino a Creta dalle coste «fenicie»243, dove si trovava intenta, con le sue compagne, a danzare di fiore in fiore244.

242 Per esempio, in Pausania IX, 39, 6, dove Demetra Europa appare essere ritenuta in Beozia nutrice di Trofonio. Per le ulteriori implicazioni di Trofonio e del suo oracolo a Lebadea con le api e col miele, si vedano, oltre allo stesso Pausania in IX, 40, 2, Elderkin 1939, pp. 209-10 e Simonetta 1994.

243 Apollodoro 1995, III, 1, e altri luoghi citati nel commento di Guidorizzi (p. 283, n. 5).244 Il topos del rapire, o comunque del sorprendere, una giovane divinità femminile, mentre è intenta a

giocare o danzare con le compagne fra i fiori e a raccoglierli, come sciame di api, ricorre nella letteratura classica, a partire dal rapimento di Persefone da parte di Aidoneo nell’inno omerico a Demetra, 5 ss. (si veda il commento in Càssola 19812, pp. 467-68). Per quanto riguarda il ratto di Europa, tale topos è reso esplicitamente in Ovidio (Met. II, 844-45).

Page 74: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa
Page 75: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

75

II.2 PAROLE COME MIELE

La comparazione lessicale fra lingue camito-semitiche e indeuropee rappresenta un ter-reno d’indagine insidioso perché, come per ogni tipo di comparazione fra lingue non strettamente imparentate, manca del supporto di corrispondenze fonetiche costanti che garantiscano il confronto almeno sul piano dell’ espressione.

Al di fuori della poco condivisibile ipotesi nostratica, che pure trova rinnovato credi-to negli Stati Uniti, in Russia e in Georgia, i pochi studi recenti sui riflessi nelle singole lingue degli imponenti contatti e commistioni culturali fra popolazioni di lingue camito-semitiche e di lingue indeuropee attorno al bacino del Mediterraneo e lungo i millenni, tendono a setacciare con maglie strette il gran numero di confronti lessicali proposti nei secoli scorsi e in particolare sullo scorcio dell’Ottocento245.

Nel tentativo di operare sul piano del contenuto delle restrizioni metodologiche che suppliscano alla mancanza di regolari corrispondenze fonetiche, ci si appone in particolare a due ambiti di confronto che si evidenziano come maggiormente affidabili.

Il primo ambito è quello dei termini della cultura materiale, connessi allo sviluppo co-noscitivo e tecnico che caratterizza ancor oggi la nostra civiltà, atti a trasmettersi da una popolazione all’altra unitamente alle acquisizioni concettuali e alle innovazioni tecniche che designano: si tratta in questi casi di isoglosse lessicali riconducibili a prestiti o a calchi linguistici la cui direzione originaria è spesso ricostruibile anche col supporto di dati filo-logici e archeologici246.

Il secondo è quello di nomi (o verbi) meno specifici il cui confronto appoggi su meta-fore accertatamente condivise dalle culture sottostanti alle lingue messe a confronto: tale indicazione metodologica è stata formulata da Rapallo247 e trova eco indiretta in Michel Masson (1984-86), che estende il concetto di metafora a quello di parallelismo semantico in genere.

Scopo della presente comunicazione è di evidenziare una complessa metafora cultu-rale testimoniata sia dalla letteratura greca (e latina) che da quella ebraica, non tanto

245 Per i prestiti semitici in greco, cfr. p. es. Müller 1877, Muss-Arnolt 1892, Lewy 1895; fra gli studi più recenti, cfr. Mayer 1960, Masson E. 1967, Masson M. 1979-84 e 1984-86.

246 I risultati delle ricerche compiute dallo scrivente su termini tecnici negli ambiti della ceramica, dell’architettura e della navigazione possono fornire qualche spunto al riguardo.

247 Si veda in particolare Rapallo 1981, le cui tematiche sono in parte riprese in Rapallo 1994.

Page 76: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

76

per identificare o confermare una isoglossa lessicale (camito-)semito-indeuropea, quanto per proporre, sulla base dell’analogia con la specifica strutturazione del lessico ebraico connesso con tale metafora, l’unificazione di due radici del greco finora considerate se-paratamente.

Nella mitologia greca, il miele e l’ape presentano ricche e variegate valenze simbo-liche, che solo in parte trovano la loro giustificazione materiale nella pur consistente rilevanza del miele come fondamentale alimento dolcificante nell’antichità e diffusa so-stanza medicamentosa248. Troviamo, è vero, miti che celebrano il passaggio dalla fase di raccolta del miele selvatico a quella dell’allevamento delle api, fondati sull’attribuzione a dei o semidei (Crono, Apollo, Dioniso, Aristeo) dell’invenzione del miele, oppure personificazioni mitologiche delle qualità nutritive del miele stesso, a partire dalla Me-lissa nutrice di Zeus a Creta, ma la simbologia del miele e dell’ape nella cultura testi-moniata dell’antica Grecia trascende ampiamente i suoi possibili presupposti di natura economica249. Tale simbologia, estremamente ramificata, riprende in parte e sviluppa infatti riferimenti ctoni, astronomici, naturalistici e cultuali di cui troviamo varia testi-monianza in tutte le culture antiche, dal Mediterraneo all’India, e ai quali farò cenno parziale in seguito250.

Com’è noto, un tema che trova particolare elaborazione nella letteratura greca, e che viene fatto proprio dagli autori latini, è costituito dal parallelismo ricorrente fra la parola e il miele: Omero, ad esempio, dice di Nestore che tou~ kai; ajpo; glwvsshı mevlitoı glukivon rJeven aujdhv («dalla sua lingua anche più dolce del miele la parola scorreva», Il. I, 249); analoga-mente si esprime Esiodo nella Teogonia (tou dV e[peV e[k stovmatoı rJei~ meivlica «dalla sua bocca fluiscono dolci parole» di v. 84 e, similmente, al v. 97)251. Più spesso, al miele sono riferiti espressamente l’eloquio ispirato, profetico o poetico, e il canto252.

Già in Pindaro, aggettivi composti su meli- sono attribuiti a termini per profezia, poesia o canto, come meliga`ruı «dal dolce suono» detto di ojmfav «oracolo», u{mnoi «inni» e kw~moi «epinici» e quattro delle sei attestazioni di mevli mostrano un uso meta-

248 Per questo uso nell’antico Egitto, cfr. recentemente Chouliara-Raïos 1989 e Nielsen1992-93.249 Si veda al riguardo anche Aspesi 2002.250 L’argomento è stato oggetto di numerosi studi, sia di carattere generale, come Glock 18972, Ran-

some 1937 e Crane 1980, che riferiti alle singole culture. Cfr. indicativamente per l’antico Egitto, Arm-bruster 1931, Kueny 1950, Leclant 1968; per la Mesopotamia, Leibovici 1968; per l’antico Israele e la Palestina, Armbruster 1932, Bodenheimer 1934, Caquot 1968, Neufeld 1978, oltre ai riferimenti alle api in lavori come Bodenheimer 1960 e Harpaz 1973 e al miele in Forbes 1955, Triomphe 1982 e Roscalla 1998. Relativamente all’India, mi limito a rimandare a Simonini in Porfirio 1986, nn. 51 (pp. 155-56) e 58 (pp. 160-61), coi connessi rimandi bibliografici; cfr. anche le note 259 e 260 che qui seguono. L’ambito della mitologia greca (e latina) è quello maggiormente frequentato: cfr. per esempio, in generale, Robert-Tomow 1893, Cook 1895 e, recentemente, Triomphe 1989; l’ape e la sua simbologia hanno ampio spazio anche in opere come Fernandez 1959, Bodson 1978 e Davies-Kathirithamby 1986 dedicate alla zoonimia greca. Esempi di studi specifici che collegano l’ape e il miele a singole individualità del Pantheon (egeo-)greco sono Elderkin 1939, Marconi 1940, Chomarat 1974, Detienne 1974, Scheinberg 1979, oltre a parti importanti di opere più ampie come Kerény 1992 e il citato commento di Simonini a Porfirio 1986.

251 Per l’associazione di meivlicoı a mevli, cfr. Chantraine 1968, II, p. 678.252 Cfr., in particolare, Waszing 1974; cfr. anche, fra l’altro, Durante 1960, p. 233, n. 10, dove si affer-

ma anche la sostanziale identità, nella cultura greca, dell’ispirazione profetica e di quella poetica (ivi, pp. 231-32). Su tale tema s’incentra la monografia di Chadwick (1942).

Page 77: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

77

forico per «poesia»253. Nella XI Nemea il verbo derivato melivzw «celebrare con canti» è associato a meligdouvpoisi ... ajoidai``ı («con canti dolcemente risonanti», v. 18): tali fatti inducono Verdenius, in un suo lavoro sulla seconda Istmica (1982, p. 5), ad affermare che Pindaro «felt a connection between méli and mélos», connessione che trova esplici-tazione altrove, come nella poetica allitterazione mevlea meliptevrwta «canti dalle ali di miele» riportata da Ateneo (XIV, 33).

E sono appunto tav mevlh, nello Ione di Platone (534 b), i versi che, a mo’ di mevlittai, i poeti volteggiando raccolgono presso sorgenti di miele (ajpo; krhnw`n melirruvtwn) in certi giardini e recessi delle Muse: topos questo ripreso da Aristofane (Uccelli, 748-51) in riferimento a Frinico.

Le api sono a loro volta strettamente connesse all’ispirazione profetica. Nell’inno ome-rico a Hermes, tre vergini esultanti dalle rapide ali, con la testa cosparsa di farina bianca, insegnano in disparte la divinazione allo stesso Apollo fanciullo (vv. 552-57). Esse poi, volando ora da una parte, ora dall’altra, si nutrono col miele dei favi e su ogni cosa danno profezie veritiere; e quando, per aver mangiato il biondo miele, sono prese dall’ispirazio-ne, benignamente consentono a rivelare la verità (vv. 558-61)254. La Scheinberg (1979) accosta in modo convincente queste tre vergini-api alle Qriaiv, secondo Filocoro ninfe nutrici di Apollo, in relazione alle quali qriavzw significa «profetizzo»: Esichio le defi-nisce le prime mavnteiı. Pindaro (Pitica IV, 60-61) parla della Pizia come della mevlissa di Delfi e Pausania narra (Periegesis, X, 9) che il secondo tempio apollineo di Delfi, evi-dentemente anch’esso sede dell’oracolo, fu costruito in cera (e piume) dalle api; sempre in ambito apollineo, l’ape è strettamente connessa al culto di Artemide, in particolare a Efeso. Secondo Esichio, mevlissai sono aiJ th`ı Dhvmhtroı muvstideı «le ministre di Demetra» e i tardi scrittori latini Servio e Lattanzio riportano leggendarie attestazioni di Mevlissai, rispettivamente prime sacerdotesse di Demetra a Corinto e di Rea a Creta.

In grande sintesi, api come profetesse sacerdotali, quindi, interpreti delle divinità; e api raf-figuranti in qualche modo il tramite dell’ispirazione poetica (connaturata a quella profetica) attraverso l’apporto del miele, che innesca appunto l’eloquio ispirato. Lo stretto parallelismo simbolico fra api e ninfe, emerso a proposito delle Qriaiv e diffuso nella letteratura greca, per-mea ad esempio l’Antro delle Ninfe di Porfirio, dove ninfe-api rappresentano le anime; Meli-vth è inoltre il nome di una delle Nereidi (Il. XVIll, 42) ed Esichio afferma che nuvmmh indica la crisalide dell’ ape. Le Muse, ispiratrici del poeta, appartengono a questa figurazione metaforica: esse infatti, al pari delle Qriaiv e delle ninfe-api dell’Inno a Hermes, figurano spesso come una sola triade, ad esempio nel racconto di Pausania in IX, 29, 2-3, e il pastore Comata, secondo Teocrito, fu nutrito nel sarcofago dalle api delle Muse, probabile rappresentazione teriomorfa delle Muse stesse255: mousa significa direttamente anche «canto, poesia»256. Pure le Sirene co-stituiscono per alcune fonti una triade: nell’Odissea (XII, 187) hanno una voce melivghrun e in Aristotele (Storia degli animali, IX, 40) seirhvn è una sorta di ape silvestre che vive isolata257.

253 Cfr. Scheinberg 1979, p. 23.254 Secondo la traduzione di Càssola (1975, p. 223).255 Per ulteriori identificazioni delle Muse con le Ninfe, cfr. Triomphe 1989, p. 263, n. 50. 256 Ad esempio, nel citato Inno a Hermes (v. 447).257 Sulle Sirene e il loro canto si vedano, recentemente, Gigante Lanzara 1986, Lao 2000, Mancini

2005, Bettini, Spina 2007 e Moro 2008.

Page 78: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

78

Un unico filo quindi passa e ripassa nella letteratura greca dall’ambito concettuale della produzione animale del miele a quello della genesi della parola ispirata, poetico-profetica, annodando strettamente, attraverso usi metaforici, ampliamenti di significato e composti nominali in funzione di attributo, il campo lessicale del miele e dell’ape rispettivamente a quello dell’ispirazione divina e della sua espressione vocale e a quello dei soggetti interme-di e finali di tale ispirazione, le Ninfe-Muse, le profetesse-sacerdotesse e i poeti.

Nella comparazione indeuropea, greco mélit-, attestato già in miceneo, trova corri-spondenze precise in ittito (milit-, luvio mal(l)it-) e in gotico (milith-). L’albanese mjaltë rimanda alla stessa base ampliata in -om, mentre l’irlandese mil è declinato come un tema in -i e l’arm. mełr come un tema in -u (Chantraine 1968, Il, pp. 681-82). Il denominatore comune di tale isoglossa appare quindi essere una radice mel-, piuttosto che il tema me-lit- tradizionalmente accolto nei dizionari etimologici: tale considerazione ci consente di inserire a pieno titolo in questa isoglossa lat. mel, mellis, nome per il quale il Benveniste (1935, pp. 7-8) propone una base *mel-n-.

Greco mélissa- è per Lohman (1932, p. 82) un derivato in -ja- da mélit-: la più antica eti-mologia di Schwyzer (1915) vede mélissa- come il risultato di un’aplologia da *meli-likh-ja-«colei che lecca il miele», sulla base di sscr. madhu-lih-, «colui che lecca il miele» > «ape»258: in ogni caso si tratterebbe di un derivato femminile dal nome del miele. L’ipotesi di Schwyzer mi fornisce l’occasione per accennare all’altro nome per miele diffuso in diverse lingue indeuropee, che troviamo in ario, balto-slavo e in alcune lingue celtiche e che, com’è noto, in greco assume il significato di «vino», probabilmente in base alla connotazione di bevanda inebriante condivisa sia dal vino che dalle bevande a base di miele fermentato (idromele)259. L’epiteto melivglwssoı corrisponde così perfettamente a mádhujihva- «dal-la lingua di miele», epiteto di Agni e Soma260: seppur non sviluppata come nella cultura greca, la metafora che collega il miele alla facoltà oratoria è presente anche nella letteratura antico-indiana (esempi in Atharva Veda, IX, 1.19 e in un inno agli Aśvin del Rig-Veda)261.

Szemerényi, in un articolo dal titolo «Latin promulgare», apparso nel 1954 sulla rivista Emerita, isola una radice *mel-, cui attribuisce un valore semantico di «solemn recital» (p. 171) attraverso il confronto del tema verbale latino con termini ittiti, armeni, balto-slavi, ger-manici e celtici. A tale radice, che può presentare ampliamenti in -dh-, -g(h)- e -p-, Szemerényi connette le voci greche mevlpw, col significato fondamentale di «to celebrate (in song/reci-tal)» e mevloı «song, liric poetry, ecc.» In un precedente lavoro del 1951, Szemerényi aveva peraltro operato una netta distinzione fra mevloı «membro, arto» e mevloı «canto, poesia lirica», attribuendo il primo termine ad una radice i.e. *mel- «andare» (attraverso confronti

258 Il nome per «ape» più ricorrente in sanscrito è tuttavia bhramará-: l’uso delle onomatopee e la sovrabbondanza di significanti per designare questo insetto nelle diverse lingue indeuropee inducono Gauthiot, che considera anche le lingue ugro-finniche (1910-11), ad aggiungere l’ape all’elenco di ani-mali soggetti a tabù linguistico compilato da Meillet nel 1906. Per interessanti connessioni dello stesso sscr. bhramará- con l’ambito dell’ispirazione profetica, cfr. Autran 1924, pp. 171-73. Rocca (1992) ri-prende il tema del tabù linguistico che colpisce l’ape nelle lingue indeuropee, con particolare riferimento all’armeno.

259 Su una possibile gradazione del significato originario di questi due nomi, da «miele» a «bevanda ferrnentata», cfr. ancora Gauthiot 1910-11, pp. 269-70.

260 Cfr. Schmitt 1967, p. 256 e Durante 1960, p. 233, n. 10.261 Cfr. Scheinberg 1979, p. 234.

Page 79: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

79

col celtico, ivi p. 367) e considerando quindi due nomi omofoni quelli che, nonostante la diversità dei significati, compaiono tradizionalmente nei dizionari sotto un’unico lemma262.

Se si ritiene che le conclusioni di Szemerényi siano sufficientemente fondate, in consi-derazione anche della mancanza di altre etimologie attendibili, la radice di mélo- «canto, poesia lirica» appare formalmente identica a quella della isoglossa lessicale per «miele» sopra esaminata; essa appaleserebbe inoltre un significato di fondo ricostruibile come «re-citazione solenne», senso assai prossimo a quello di «eloquio ispirato» del profeta e del poeta (e del rapsodo che recita poesie, come nello Ione platonico).

Limitarsi ad affermare a questo punto che *mel- di melit- e *mel- di melo- costituisco-no semplicemente due radici omofone, appare riduttivo già alla luce delle considerazioni esposte sui riflessi linguistici in greco della metafora esaminata.

Un’ulteriore argomentazione a favore di un nesso più intrinseco fra queste due radici si può ricavare, come anticipato all’inizio, da una sorprendente analogia fra il greco e l’ebrai-co biblico nell’articolazione di tale metafora e dalla particolare strutturazione in ebraico del relativo lessico.

La metafora che collega il miele e l’ape alla profezia, intesa come parola di Dio e dei profeti, è ben attestata in diversi libri biblici. Nel Salmo 19 (10, 11), ad esempio, i giudizi di Dio sono più dolci del miele e nel libro dei Giudici, la profetessa Debora (d ebôrâ), il cui nome significa «ape», giudica ispirata da Dio sotto una palma del monte di Efraim.

Se il collegamento fra il miele e la parola divina è presente già in accadico263 e le valen-ze magico-religiose del miele e dell’ape sono diffuse in tutte le culture del Mediterraneo orientale antico264, sopravvivendo in culture appartate come quella berbera265, altri speci-fici aspetti mitologici e letterari incentrati sul miele e sull’ape sono singolarmente comuni

262 A sostegno della tradizionale attribuzione dei due significati ad un unico lessema, Svenbro, in un recente approfondito lavoro (1988), si appoggia a metafore presenti nella poesia e nel teatro greco, oltre che su giudizi e atteggiamenti di Platone e Aristotele circa la poesia. In casi come questi, è arduo stabilire il prius fra influsso delle metafore sulla forma della langue e influsso opposto: costellazioni di metafore fra concetti non più sentiti come contigui ed espressi da significanti identici (ma considerati solo omofoni) possono essere testimonianza di una ‘originaria’ unità lessicale e, d’altra parte, assonanze casuali di signifi-canti possono indurre metafore fra concetti separati. Come il lettore potrà constatare, la tesi complessiva che qui sostengo si basa anch’essa sulla prima ipotesi, che mi sembra acquisire valore esplicativo rispetto all’ipotesi alternativa solo in quanto trova un puntuale e significativo riscontro in un ulteriore ambito lin-guistico, quello dell’ebraico. Nello specifico di mevloı «canto» in rapporto a mevloı «arto», tale mia tesi può costituire un’indiretta conferma dell’argomentazione innovativa di Szemerényi, di per sé con-vincente sul piano linguistico: le metafore che Svenbro rileva, sarebbero quindi, diversamente da quanto ritiene l’autore, generate in questo caso dalla casuale identità formale di due diversi segni linguistici.

263 In un inno antico babilonese, ad esempio, si afferma di Ishtar che ša-ap-ti-in du-uš-šu-pa-at ba-la-ṭu-um pi-i-ša «le (sue) labbra sono dolci come il miele, vita è la sua bocca» (Meissner 1902. p. 14, v. 9); anche in sumerico, peraltro, il sintagma k a - l a l «bocca di miele» è epiteto di divinità (Triomphe 1982, p. 115, n. 9).

264 A partire dall’antico Egitto; cfr. la precedente n. 248.265 Gzemg-ak awal s wudi ṭ-ṭament «ti taglio la parola col burro e col miele», formula di cortesia

cabila con la quale si toglie la parola (Bentolila 1986, p. 565), testimonia del collegamento fra la parola stessa e il miele; per un ambito più significativamente religioso, la collega Paulette Galand Pemet, che qui ringrazio, mi trascrive amabilmente per lettera i distici 638-40 di un testo chleuh degli inizi del XVIII sec. (Stricker 1960), nei quali il miele è per le api ciò che l’esortazione del predicatore è per i cuori inclini alla virtù e all’obbedienza a Dio.

Page 80: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

alla Bibbia e alla letteratura greca (e latina), dalle api nutrici266 alla genesi delle api dal cor-po in decomposizione di grandi animali emblemi di forza267, dall’associazione del miele col latte268 all’ingestione del miele intesa come acquisizione di sapienza divina269.

Dal punto di vista strettamente letterario non appaiono casuali abbinamenti for-mulari di nomi per miele con verbi che significano effondere e scorrere270 o simi-

266 Come infatti l’ape nutrice è immagine poetica diffusa nel mondo classico, dalla citata Melissa nu-trice del piccolo Zeus in Lattanzio alle api che in Teocrito nutrono il poeta-pastore Comata, così una seconda Debora biblica, quella di Genesi 35, 8, è nutrice di Rebecca.

267 Il bue nelle letterature greca e latina e il leone nella Bibbia. La testimonianza classica più famosa della bugonia (la nascita appunto delle api dalla carcassa di un bue o di un toro) è l’episodio di Aristeo nelle Georgiche virgiliane (IV, 317-559), ma non mancano accenni a tale tipo di fenomeni negli autori ellenistici e latini (Simonini in Porfirio 1986, p. 177; Marconi 1940, p. 171, n. 2); api e miele fuoriescono dal corpo del leone squarciato da Sansone nel famoso racconto di Giudici 14. Il leone e il toro si alternano in Mesopotamia come simboli della possanza regale (Triomphe 1982, p. 121); nelle lingue semitiche, uno stesso nome può indicare il leone o un bovide sulla base del sema comune di «animale forte e selvati-co», come l’ebraico ’arî «leone» e il corrispondente termine sudarabico epigrafico ’rw «stambecco». D’altra parte proprio la letteratura dell’antico Egitto, terra dove Virgilio ambienta la sua bugonia, ci fornisce col papiro di Leida, nel quale la saliva della leonessa Tefnut è paragonata al miele, il più antico accenno alla nascita spontanea di api da cadaveri di animali (Triomphe 1982, pp. 113 e 124).

268 è Amaltea, col suo latte, che si affianca a Mélissa, dispensatrice di miele, nella nutrizione del piccolo Zeus a Creta (entrambe sono figlie del re Melisseo); il latte e il miele sono in Grecia ingredienti di libagioni funebri già nei poemi omerici. Latte e miele si trovano sotto la lingua dell’amata nel Cantico dei Cantici (4, Il); la ricorrente immagine biblica della terra promessa come il paese dove scorrono il latte e il miele richiama alla mente i fiumi di miele e di latte ai quali attingono le baccanti di Platone (Ione 534 a) e si trova quasi ri-flessa in Claudiano: ferunt mellisque lacus et f1umina lactis erupisse solo (citato in Usener 1902, p. 178 e n. 8; a questo lavoro si rimanda per un maggior dettaglio sull’associazione del latte al miele nel mondo classico).

269 Oltre che fungere da alimento per Zeus infante, il miele veniva posto sulle labbra del piccolo Dioniso prima della sua nutrizione (Apollonio Rodio, Argonautiche, IV, 1136): tali episodi presentano un’evidente valenza iniziatica di natura divina, specie se si considera la complementarità del miele, del nettare e del soma nelle religioni indeuropee (Hastings 1913, pp. 770-71). Su aneddoti attestanti poeti e filosofi (Omero, Saffo, Pitagora, Pindaro, Platone ecc.) «nutriti e illuminati dal miele divino» e sul miele cibo della rinascita iniziatica nei misteri Eleusini, si rimanda ancora a Simonini in Porfirio 1986, p. 159. L’invito al figlio a mangiare il miele per acquisire la sapienza, il bene dell’anima, è esplicito nei Proverbi (24, 13-14); l’Emmanuele di Isaia «mangerà crema e miele finche sappia riprovare il male e scegliere il bene» (7, 15). L’uso di porre una porzione di miele e di latte sulle labbra nel neo-battezzato nel cristia-nesimo delle origini (Hastings 1913, p. 770) sembra sintetizzare gli aspetti comuni alle tradizioni greca ed ebraica e trova un riscontro letterario nella leggenda delle api che depongono il miele nelle labbra di Sant’Ambrogio bambino, riportata da Paolo Diacono (Vita Ambrosii, 3). Un altro aspetto di tale con-cezione è, nella Bibbia, la cosiddetta logofagia, ossia l’ingestione della parola di Dio (Geremia 15, 16), anche materialmente scritta su un rotolo «dolce come il miele» (Ezechiele 3, 13): quest’ultimo topos è ripreso nell’Apocalisse, 10, 9-10, dove il rotolo è sostituito dal libretto. è probabilmente da annettere alla logofagia la cerimonia istituita nel Medio Evo per iniziare i bimbi agli studi giudaici e consistente nel far loro leccare del miele apposto sulla superficie di una lavagna iscritta con le lettere dell’alfabeto ebraico (Encyclopaedia Judaica, VIlI, p. 963).

270 ‘Revw è il verbo che di norma s’accompagna a mélit- nella letteratura greca e nei Settanta; esso è significativamente usato da Omero per indicare il fluire dalla bocca della parola «più dolce del miele» (Il., I, 249, citato sopra nel testo).

In riferimento all’effondersi del miele, l’ebraico presenta voci verbali sulla radice *ZWB (Deut. 6, 3 e al-trove); nell’ambito della metafora qui considerata, l’affermazione che «la bocca del giusto emette sapien-za» (Prov. 10, 31) vede in parallelo l’impiego dell’imperfettivo su *NWB. Entrambe queste radici stanno alla base di nomi semitici per «ape» o insetti similari (rispettivamente acc. zubbu, zumbu, ebr. z ebûb,

Page 81: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

81

litudini fra sciami d’api e eserciti che troviamo nella Bibbia e in greco a partire da Omero271.

Ebbene, in ebraico biblico d ebaš è il più ricorrente dei tre nomi per miele (gli altri sono nōpet e ya‘ar) e indica sia il miele delle api che un miele vegetale ricavato dai datteri, d ebôrâ significa «ape» e dābār «parola, cosa in genere, e specificamente la parola di Dio e dei profeti» (Neher 1984, p. 272): quest’ultimo nome, come il pi‘ēl della corri-spondente radice verbale con significato di «dire», è esclusivamente cananaico. Una base biradicale DB- è comune quindi in ebraico a questa costellazione di termini afferenti alla metafora allo studio. D ebaš è tuttavia considerato un aramaismo che sembra nascondere un più antico nome del miele (Bauer 1912 e Segert 1984, p. 456, n. 13: d ebaš trova infatti riscontri solo in aramaico e nel semitico meridionale).

Secondo Margulies 1974, la discordanza fra ebraico hēlek d ebaš «stillava miele» e greco dei Settanta ejporeuveto lalwvn «proseguì parlando» nello stesso luogo di I Sa-muele 14, 26, può far pensare alla presenza nel testo ebraico originario di una forma *dbr anziché dbš, reinterpretata nella traduzione greca come «parlare». Margulies intende tale *dbr come un originario collettivo per «api», peraltro non attestato altrove; appare però preferibile ipotizzare un antico nome per «miele» scritto dbr, frainteso dai Settanta ed emendato nel più tardo testo ebraico a noi pervenuto: tale ipotesi renderebbe ragione anche della forma del nome derivato d ebôrâ, dato che, come in greco, nella maggior parte delle lingue del Mediterraneo, sumerico e antico egiziano inclusi, l’ape è «la mosca del miele» o «quella del miele». In questo caso, i tre termini ebraici per «miele», «ape» e «parola, eloquio divino e profetico» avrebbero in comune non solo una base DB-, ma l’intera radice *DBR.

Alla conformità di specifiche figurazioni relative alla simbologia del miele e dell’ape nella letteratura greca e nella Bibbia, e in particolare delle modalità della metafora miele-ape-parola ispirata, sembra così corrispondere un’ analogia formale in greco e in ebraico fra strutture di lessico a questa pertinenti.

Ancor più stretta appare tale analogia se si giunge a ritenere la base radicale *mel- di greco méli- in qualche modo comune a gr. mélo-, fra i tanti nomi greci per «canto» e «poesia»272 uno di quelli che non presentano confronti con altre lingue indeuropee (così come non presenta confronti extra-cananaici il nome dābār «parola profetica»): ciò ren-derebbe oltretutto ragione della ricca proliferazione di aggettivi composti sulla base meli- e riferiti a mélo- e ad altri nomi per «poesia, canto, eloquio ispirato».

sir. da/debbābā, ar. dubāb, amar. zemb «mosche/mosca o simili» e acc. nūbtu, ar. nūb, et. nehb «ape, vespa»), forse intesi come «coloro che effondono» (miele? ronzio assimilabile a parole sussurrate? Cfr. il possibile valore fonosimbolico specie della prima delle due isoglosse, analogo a quello ipotizzato da Autran -1924, p. 172- per il termine sanscrito per ape bhramará-). *NWB è anche alla base di ug. nbt «miele» (Keret IV, 165), evidentemente connesso, nonostante la fonetica, con nōpet, altro nome ebraico per miele, che peraltro presenta nell’ebraico seriore e moderno anche il significato di «discorso piacevole».

In questo contesto generale, non appare particolarmente azzardato ipotizzare una qualche relazione, sulla base del comune nucleo biradicale NB, fra le radici «deboli» *NWB e *NB’, quest’ultima matrice di ebr. nābî’ «profeta» (per le etimologie avanzate a proposito di tale nome, cfr. Jenni-Westermann 1982, II, pp. 6-7). Si veda al riguardo il capitolo successivo (II.3).

271 Cfr., p. es., Il., XII, 164-72 e, nella Bibbia, Deut. 1, 44 e Salmi, 118, 12. 272 Si vedano Pagliaro 1951 e Durante 1960.

Page 82: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

82

L’intuizione della stretta connessione fra i due nomi espressa da Pindaro e da Platone, e propria ancora dei lessici bizantini (per quel che vale, una delle due etimologie per mevloı riportate dall’Etymologicon Magnum è ajpov thvı tou~ mevlitoı glukuvthtoı «dalla dolcezza del miele») potrebbe così fondarsi su una concreta ipotesi di una genesi di mélo- nell’ambito delle proiezioni sulla lingua della metafora «miele»-«parola»: le specifiche analogie metaforiche e linguistiche greco-ebraiche parrebbero rimandare a un comune sostrato egeo-cananaico. *

* In appendice alle considerazioni esposte, aggiungo che aramaico millā corrisponde se-manticamente a ebr. dābār e l’intensivo della radice (mallil) significa «parlare». In ebraico tali voci sono chiaramente degli aramaismi, così come in arabo il verbo malla alla quarta forma (Wagner 1966, pp. 77-78). La singolare vicinanza fonetica con la base radicale *mel- del greco può far pensare a un diverso tipo d’interferenza linguistica ‘mediterranea’ che coinvolge anche il significante e che si sovrappone, nello stesso ambito lessicale, a quella ipotizzata nel testo. In questo caso, se si vuol azzardare ipotesi basate su indizi tanto tenui, si dovrebbe pensare piutto-sto a quell’area di innovazioni ‘amorree’, di cui l’aramaico è spesso erede, che a volte presentano evidenti affinità con elementi innovativi delle lingue indeuropee del Mediterraneo orientale (vedere al riguardo l’interpretazione di Garbini 1984, p. 267; cfr. anche Aspesi 1983, p. 57 e 1984). Temi verbali riferibili alla forma mel significano «dire» in alcuni dialetti berberi (Serra 1968, p. 124, n. 3).

Page 83: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

83

II.3 CONSIDERAZIONI ETIMOLOGICHE SU EBRAICO nābî’

Il nome nābî’ «profeta» trova in ebraico le sue più antiche testimonianze nel testo bibli-co e nel materiale paleografico di Lachish, databile agli inizi del sesto secolo273.

Le sue corrispondenze in semitico, che apparivano limitate all’aramaico, biblico e siria-co, dato che in arabo, nel sudarabico moderno e in etiopico figura verosimilmente come prestito, sembrano ora interessare anche la documentazione cuneiforme ‘occidentale’ di Mari, Emar ed Ebla274.

Nei testi accadici di Mari a contenuto profetico del XVIII secolo, accanto a termini accadici per profeta come mukhkhûm / mukhkhūtum275 e āpilum / āpiltum, compare un plurale luna–bi-iMEš «profeti»276, riferito però ai Khanei che sembrano rappresentare un elemento semitico occidentale della popolazione277.

Gli archivi del XIII secolo di Emar278, sull’Eufrate siriano, ci attestano, oltre allo stesso nome lu.mešna–bi-i, quattro ricorrenze di un femminile plurale corradicale mi.mešmu-na(b)-bi-(i)a-ti)279, con riferimento al personale maschile e femminile addetto al culto della dea Iškhara. Nel cuore della Siria, infine, già nel terzo millennio, il vocabolario bilingue di Ebla mette in relazione, sia pure in mancanza di altre indicazioni contestuali, un termine na-ba-(’)um al sumerico p à (d) «chiamare, recitare, nominare»280.

è proprio sul confronto con il verbo accadico di analogo significato, nabû(m) «chia-mare, invocare, nominare», che si basano le più recenti etimologie nel nome ebraico nābî’ e dei correlati termini semitici occidentali281, ultime di una lunga serie di ipotesi così di-

273 hnb’, III, 20 (Donner, Röllig 19794, pp. 35-36, nr. 193) e XVI, 5. Per un’ipotesi d’integrazione h[nb’] anche in VI, 5, si veda Gibson 1971, pp. 45-46, che rimanda a Torczyner 1938.

274 Per un’aggiornata quanto accurata trattazione comparativo-etimologica e filologica del termine, si rimanda in particolare a Müller 1986 e, più in sintesi, a Jeremias 1978-82.

275 Nell’accadico più propriamente mesopotamico il termine in questione appare come makhkhû(m): per la questione dei rapporti fra le due forme, vedere Wohl 1970-71, in particolare alle pp. 115-17.

276 Durand 1988, p. 444, lettera 216, r. 7 (Cagni 1995, p. 81). 277 Durand (1988, p. 378, n. 9) ipotizza l’equazione «Hanean» = «Amorite». Si vedano anche Fle-

ming 1993, p. 220 e Lemaire 1996, p. 427.278 Arnaud 1985-87.279 Riferimenti testuali in Fleming 1993, p. 220. 280 Pettinato 1982, pp. 16 e 281 (nr. 725, TM.75.G.2000). Pettinato (1979, pp. 129 e 274) accenna

anche a una forma na-bí-ú-tum in TM .75.G.454 (ivi, p. 170, n. 21 e p. 287, n. 10). 281 Eccetto le due attestazioni ‘occidentali’ sopra considerate, per una coniderazione complessiva delle

Page 84: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

84

versificate fra di loro da far considerare questa questione etimologica ancora irrisolta. Il ricorso al verbo di un’altra lingua semitica per far luce sul significato di fondo della radice che sta alla base di ebraico nābî’ è giustificato dal fatto che il corradicale verbo ebraico, nelle sue forme del nip‘al e dello hitpa‘ēl, appare esserne il denominativo282.

In funzione dell’attribuzione di una diatesi attiva oppure passiva alla forma participiale nābî’, le etimologie correnti che ricorrono alla semantica del verbo accadico nabû(m), attribuiscono al nome ebraico per «profeta» i significati opposti di «colui che chiama, colui che invoca» o di «colui che è chiamato»283.

Una situazione di questo genere determina quindi a oggi una impasse etimologica che, in attesa di possibili significativi apporti conseguenti a future acquisizioni testuali, induce, sulla base di una concezione stratificata dell’etimologia, a recedere provvisoriamente dal livello che possiamo definire dell’ «etimo prossimo» per tentare di rintracciare, a livelli etimologici più «remoti», ulteriori utili indicazioni di significato284.

Come è già stato messo in rilievo285, un evidente nesso fra la parola ispirata e il miele traspa-re nella Bibbia e, parallelamente, nella letteratura e nella mitologia classica: tale metafora, ra-dicata in un sostrato egeo-cananaico, sembra riflettersi anche nel lessico del greco e dell’ebrai-co, dove, nell’ordine, una base radicale *mel- sarebbe comune in greco sia a mevloı (tema mélo- «canto, poesia lirica») che a mevli (tema mélit- «miele») e una base radicale *DB(R) renderebbe ragione sia di ebraico dābār «parola ispirata» che di ebraico d ebaš «miele».

Il parallelismo appare ancor più rilevante se si considera che la parola ispirata trova in Grecia come intermediari gli stessi poeti286, mentre nella Bibbia, in corrispondenza ad

quali si rimanda a Fleming 1993 bis, l’accadico non presenta infatti tale forma nominale. Nel semitico nord-occidentale è da rilevare la mancanza a tutt’oggi di un’occorrenza ugaritica del termine.

282 Müller 1986, p. 143, § 1, con bibliografia. Una voce d‘isolato dissenso al riguardo è costituita da Vawter 1985, p. 217.

283 Per una rassegna delle etimologie di ebraico nābî’ si rimanda nuovamente a Müller 1986 (coll. 141-3), aggiornata almeno da Fleming 1993 e 1993 bis, Durand 1997 e Heintz 1997, con i riferimenti bibliografici in tali studi contenuti. A prescindere dalle etimologie egiziane di Walker (1961) e Görg (1982 e 1983) e dell’ipotesi di paretimologia sulla prima persona plurale dell’imperfettivo hip’îl della ra-dice BW’ (Curtis 1979, che riprende l’ipotesi di Buber in 1956, pp. 125-26; contra Shaviv 1984 e Vawter 1985, 215-6), nella schiera dei fautori dell’etimologia attiva sulla base di acc. nabû(m) troviamo semitisti del calibro di Barth e Brockelmann (1908-13, I, p. 354), mentre quella passiva annovera un maggior nu-mero di sostenitori, fra cui Torczyner (1931) e Albright (1968). Nonostante che in Jeremias (1978-82, II, p. 7) si affermi che «si preferisce oggi a ragione l’interpretazione passiva», Fleming (1993 e 1993 bis) rivaluta di recente l’interpretazione attiva sulla base del confronto coi termini siriani e della già notata pertinenza dello schema qātîl del participio passivo anche a nomi di significato attivo, come ebr pāqîd «sovrintendente» o pālîl «giudice». Malgrado l’affermazione di Fleming (1993, p. 221) che «the D participle munabbiātu is not likely passive», Heintz (1997, p. 200), da ultimo, tenta di conciliare gli opposti supponendo un «usage hybride» del termine, «qui ne peut se traduire systématiquement ou exclusivement ni comme une forme passive ... ni comme une forme active». La questione potrebbe forse inquadrarsi in un’ipotesi di «originaria» indifferenza alla diatesi del participio semitico (Aspesi 1984, p. 82), correlabile all’esistenza di un’unica forma di participio in accadico.

284 Prendo a prestito la distinzione fra «etimo prossimo» e «etimo remoto» adottata nella ricerca na-zionale Atlante Tematico Linguistico Antropologico Storico del Mediterraneo: 1. Atlante Generale dell’Ali-mentazione Mediterranea, diretta da Domenico Silvestri.

285 Si veda qui il precedente capitolo II.2.286 Identificati essi pure con le api nel celebre passo dello Ione platonico (534 b).

Page 85: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

85

essi, il tramite del dābār divino sono i profeti. Ai poeti greci e ai profeti biblici, si affian-cano inoltre figure femminili che profetizzano (o giudicano), sempre sotto ispirazione: esse appaiono denominate come api, sia in Grecia287 che nella Bibbia, a sottolineare la loro funzione di effondere parole ispirate, così come appunto le api effondono il miele.

Un «etimo remoto» di ebraico nābî’ è già stato abbozzato in una nota del precedente capitolo288, nota che si ritiene utile riportare qui nel testo:

«ÔRevw è il verbo che di norma s’accompagna a mēlit- nella letteratura greca e nei Settan-ta; esso è significativamente usato da Omero per indicare il fluire dalla bocca della parola ‘più dolce del miele’ (Il., I, 249). In riferimento all’effondersi del miele, l’ebraico presenta voci verbali sulla radice *ZWB (Deut. 6,3 e altrove)». Omettendo l’ovvia precisazione che tale radice ebraica si rapporta a una radice semitica *DWB, il testo della nota continua affermando che «nell’ambito della metafora qui considerata, l’affermazione che ‘la bocca del giusto emette sapienza’ (Prov. 10, 31) vede in parallelo l’impiego dell’imperfettivo su *NWB.» «Entrambe queste radici - proseguivo - stanno alla base di nomi semitici per ‘ape’ o insetti similari (rispettivamente acc. zubbu, zumbu, ebr. z ebûb, sir. da/debbābā, ar. dubāb, amar. zemb ‘mosche / mosca o sim.’289 e acc. nūbtu, ar. nūb, et. nehb ‘ape’290), forse intesi come ‘coloro che effondono’ (miele? ronzio assimilabile a parole sussurrate? Cfr. il possibile valore fonosimbolico specie della prima delle due isoglosse, analogo a quello ipotizzato da Autran -1924, p. 172- per il termine sanscrito per ape bhramará-). *NWB è anche alla base di ug. nbt ‘miele’ (Keret IV, 165), evidentemente connesso, nonostante la fonetica, con nōpet, altro nome ebraico per miele, che peraltro presenta nell’ebraico serio-re e moderno anche il significato di ‘discorso piacevole’. In questo contesto generale, non appare particolarmente azzardato ipotizzare una qualche relazione, sulla base del comune nucleo biradicale NB, fra le radici ‘deboli’ NWB e NB’, quest’ultima matrice di ebr. nābî’ ‘profeta’».

Il contenuto di questa nota richiede anzitutto delle precisazioni di natura comparativa e semantica a proposito dell’isoglossa relativa ad acc. zubbu, zumbu e ai termini semitici correlati291. In effetti la radice semitica a cui tale isoglossa va riportata, è piuttosto *DBB che non *DWB, radice che presiede invece direttamente nell’ebraico biblico al participio femminile zābāt- / zābâ «che stilla, effonde», attribuito formularmente alla terra pro-messa a proposito del latte e del miele, e che informa di sé il verbo acc. zâbu(m), dall’ana-logo significato292. Sotto il profilo semantico, poi, il significato primo di tale nome in se-mitico appare essere quello di «mosca», anziché di «ape», per il quale insetto esistono appunto anche termini specifici: a questo riguardo, è opportuno però sottolineare come in Mesopotamia l’ape sia vista anche come «la mosca del miele», e come tale denominata in sumerico e spesso in accadico, dove in corrispondenza di sum. n i m - l à l, appunto

287 Pindaro, ad esmpio, definisce la Pizia «ape delfica» (Pyt. IV, 60).288 Capitolo II.2, n. 270.289 Oltre a ugaritico dbb (Van Soldt 1989).290 Termine attestato anche in sudarabico moderno (mehri nōbēt).291 Più ampiamente descritta in Cohen 1993, p. 326.292 Cfr. Cohen 1993, p. 329; oltre a interessare le altre lingue semitiche, questa isoglossa sembra esten-

dersi anche all’egiziano, dove un verbo s3b / z3b presenta tale significato. L’abbinamento formulare di zābâ a ḥālāb «latte» e a d ebaš «miele» ricorre nella Bibbia in Deut. 6,3 e in un’altra ventina di luoghi.

Page 86: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

86

«mosca del miele», si alternano nelle liste lessicali bilingui sia il calco zumbu/i dišpi che il termine accadico proprio per «ape» nūbtu(m)293. In base all’attitudine a denominare l’ape come colei che emette il miele294, sembra così difficile poter disgiungere in accadi-co zubbu / zumbu (*DBB) dal verbo zâbu(m) (*DWB): si confermerebbe quindi anche per questo caso, nell’ambito delle radici cosiddette deboli in (camito-)semitico e per uno stesso nucleo radicale biconsonantico, la ben nota affinità, fra strutture a seconda radicale raddoppiata e strutture ‘concave’ (con la radicale debole in seconda sede), affinità che si configura spesso come un vero e proprio dimorfismo295.

L’esistenza in accadico di un termine zabbu(m) e del suo femminile zabbatu(m) con significato di «profeta» e «profetessa», verosimilmente estatici, è di fondamentale im-portanza per la tesi qui avanzata perché ci mostra un nome per profeta che possiamo con-siderare come corradicale del verbo zâbu(m) «effondere» e che è formalmente molto prossimo al nome zubbu «mosca» e «ape» (se inteso in stato costrutto con dišpi «del miele»)296; benché il tratto rappresentato dall’analogia fra «miele» e «parola ispirata, poetica o profetica» appaia lessicalmente produttivo solo in un ambito che ho definito come sostrato egeo-cananaico297, gli altri elementi della complessa e profonda metafora che collegano il profeta, e altrove il poeta, all’ape presentano dunque riscontri lessicali anche nel semitico di Mesopotamia: la terminologia dell’ape e quella della sua funzione di effondere il miele informano di sé in parallelo sia la terminologia del personale profetico, maschile e femminile, che quella del profetare, evento nel corso del quale la bocca del pro-feta, quasi strumento della divinità298, emette parole ispirate.

Questa situazione riscontrata in accadico, induce così a ricercare al riguardo analoghe configurazioni lessicali nel semitico occidentale, a partire dall’ebraico biblico, dove la complessa isoida di sostrato posta alla base di queste considerazioni traspare con maggior evidenza, in conseguenza della centralità dell’ebraico rispetto all’estensione dell’isoida stessa, che abbiamo visto estendersi nel Mediterraneo ed emergere anche in greco.

Nell’ebraico biblico, che ci fornisce una diretta attribuzione del nome per ape d ebôrâ alla profetessa che giudicava sotto la palma omonima sul monte di Efraim299, il termine

293 Von Soden 1965-81, II, p. 800.294 O, più sinteticamente, «quella del miele», come è attestato in buona parte delle lingue del Medi-

terraneo, sia indeuropee che camito-semitiche. 295 Per il solo ebraico, riporto alcuni esempi di tale dimorfismo tratti da Kuryłowicz 1972, pp. 10-

11: *HWM / *HMM «confondere, agitare», *ZWR / *ZRR «spremere», *MWK / *MKK «sprofon-dare», *MWL / *MLL «circoncidere», *MWš / *Mšš «percepire», *PWR / *PRR «distruggere», *ṢWR / *ṢRR «mostrare ostilità», *RWM / *RMM «sorgere», ecc.

296 Le forme zabbu(m) «profeta» e zubbu «mosca, ape» sembrano addirittura sovrapporsi sl’una all’altra, se si considera l’alternanza fra makhkhû e mukhkhûm per il nome di un altro tipo di profeta esta-tico, già citato sopra relativamente alla documentazione di Mari: per tale alternanza, cfr. Wohl 1970-71.

297 Per gr. *mel- ed ebraico *DB(R), entrambi alla base di nomi per «miele» e «parola ispirata», vedere sopra in questo stesso capitolo (sulla possibilità che il nome biblico per miele d ebaš sia un’inno-vazione, forse tabuistica, rispetto a un precedente nome su *DBR, anche in relazione al nome dell’ape d ebôrâ, versosimilmente derivato da quello del miele, si veda alla p. 81). In accadico non figurano invece nomi corradicali per questi due significati.

298 Fra i numerosi passi della Bibbia dave il profeta appare prestare la voce alla divinità, si rimanda, a titolo d’esempio, a Ez. 37, 4-14, Am. 3, 8, Ger. 19, 14-15 e, in particolare, 1, 9.

299 Giud. 4, 5. Sostituendo la quercia alla palma, queste modalità di esercizio della profezia, richia-

Page 87: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

87

più diffuso per profeta è per l’appunto nābî’300: esso designa diversi tipi di profeta mol-to diversificati fra loro, che includono, oltre ai peculiari profeti-scrittori, patriarchi come Abramo e Mosè, i giudici-profeti, i profeti estatici dell’epoca di Samuele e del IX secolo, profeti cultuali come lo stesso Samuele, fino al profeta apocalittico Daniele; lo stesso ter-mine designa anche i falsi profeti (Ger. 14, 14). N ebî’îm, poi, sono denominati sia i profeti estatici del Dio d’Israele (1 Sam. 19, 20), che quelli di Ba‘al (1 Re 18, 25 e altrove)301.

Ebbene, come anticipato nella nota sopra riportata, sembra ragionevole affermare che, seppur a un livello etimologico non di superficie, anche il nome comune di profeta nābî’ nell’ebraico biblico, così come il più direttamente evidente nome proprio d ebôrâ, sia in qualche modo frutto di questa isoida di sostrato e che la sua genesi presenti affinità signi-ficative con la quella di acc. zabbu(m).

è opportuno infatti riallacciarsi all’affermazione che, in parallelo all’uso abituale in ebraico di voci verbali a base *DWB proprio in riferimento all’effondersi del miele, in Prov. 10, 31 si trova l’imperfettivo yānûb nel contesto pî-ṣaddîq yānûb ḥokmâ «la bocca del giusto effonde sapienza». La sapienza, che si effonde in forma di dābār dalla bocca del giusto, evocando il parallelo egeo-cananaico fra l’emissione della «parola ispirata» e quella del «miele»302, trova peraltro un diretto rimando al miele in Prov. 24, 13-14, dove il figlio viene invitato a mangiare il miele (d ebaš e nōpet, in parallelismo) al fine di cono-scere la sapienza (ḥokmâ).

L’imperfettivo yānûb si basa su una radice debole *NWB ben poco produttiva nell’ebraico biblico e complessivamente in semitico: mentre il verbo figura ancora al qal in Ps. 62, 11 e 92, 15 e al pôlēl in Zacc. 9, 17, abbiamo isolate e discusse attestazioni di un nome corradicale t enûbâ «provento, frutto?» e di un interessante k etîb in Is. 57, 19, sul quale ritornerò nelle conclusioni.

Nonostante le abituali traduzioni che rimandano, faute de mieux, alla nozione di «fruttificare»303, Dahood attribuisce a queste sporadiche occorrenze della radice *NWB in ebraico proprio il significato di «to flow, distil», ricavandolo dalla constatazione che in ugaritico questa stessa radice è alla base del nome nbt «miele»: così, oltre a tradurre opportunamente «will flow» lo yānûb di Prov. 10, 31, interpreta come «they will be full of juice» (succo, linfa, umore) lo y enûbûn di Ps. 92, 15, riferito ai giusti nella loro vecchiaia304.

Queste interpretazioni indotte dall’ugaritico e accolte da Fisher nel primo volume dei Ras Shamra Parallells (1972, pp. 427-28), sembrano pienamente giustificate dal fatto che

mano, in un ambito egeo-cananaico, quelle attribuite alla profezia femminile connessa in Grecia ai culti della fertilità, spesso ctoni, tributati a divinità ‘pre-olimpiche’ come Demetra, nel cui personale di culto figurano le Mélissai.

300 I termini rō’eh e ḥōzeh significano propriamente «veggente». Sul dibattuto contenuto di I Sam. 9, 9, dove fra i termini rō’eh e nābî’ viene stabilita una relazione diacronica, vedere, recentemente, Fen-ton 1997.

301 Non è questa certo la sede per una classificazione, sia pur sommaria, dei diversi aspetti del profeti-smo ebraico cui si estende il termine nābî’: per una recente sintesi sulla profezia in Israele, si rimanda, fra l’amplissima letteratura disponibile, a Sacchi 1993.

302 Vedere sopra, pp. 76-78.303 Significato proprio della contigua radice *NYB.304 Dahood 1963, p. 20.

Page 88: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

88

le relittuali occorrenze della radice in esame appaiono nel testo biblico in contesti preva-lentemente sapienziali, dove l’eredità cananaica nel lessico dell’ebraico appare più evidente.

Nelle altre lingue semitiche, peraltro, *NWB figura formalmente solo come radice, ol-tre che del nome ugaritico per «miele», di termini per api o vespe in accadico (nūbtu(m) «ape», nambūbtu «vespa») e nel semitico meridionale (ar. nūb «api», mehri nōbēt, ge‘ez e tigré nehb «ape»); per trovare qualche forma verbale, oltre a quelle relittuali viste in ebraico, dobbiamo ricorrere al suo allotropo *NBB, che forma temi verbali nel semitico d’Etiopia (ge‘ez e tigré) con significati come «parlare, mormorare, leggere», non privi d’interesse per il nostro assunto305.

Il collegamento a questa radice ‘fossile’ di ebraico nābî’ e dei più antichi termini oc-cidentali ad esso correlati, collegamento da porsi a un livello etimologico evidentemente non di superficie, riprodurrebbe così esattamente la configurazione semantico-lessicale «effondere- insetto che effonde (il miele) - profeta, come colui che effonde (la parola ispirata)», che si esplicita in accadico a partire dalla ben più vitale radice *DWB / *DBB.

Da un punto di vista strettamente formale, è infatti incontestabile che tali termini si rifacciano in ultima analisi a una radice *NB’, che però non pare presentare temi verbali nel semitico occidentale al di fuori delle due forme del nip‘al e dello hitpa‘ēl dello stesso ebraico, derivate proprio da nābî’ in quanto denominative. In arabo, nabîy «profeta» è preso a prestito dall’ebraico biblico e sembra influire sulla semantica di alcune forme costruzioni del verbo naba’a, che alla prima forma rimanda a un significato di fondo di «essere alto, eminente»306.

A livello di etimologia prossima, sembrano giustificarsi quindi i tentativi corren-ti di collegare formalmente ebr. nābî’, sia in senso attivo che passivo, al verbo accadico nabû(m) «chiamare, invocare, nominare», la cui forma antico assira nabā’um attesta esplicitamente l’occlusiva laringale in terza sede.

Sussistono tuttavia al riguardo due difficoltà di non poco conto: la mancanza di un ter-mine semitico orientale per profeta derivato da tale radice, essendo da considerarsi perti-nenti al semitico occidentale i nomi per profeta su *NB’ a Mari e a Emar, e, d’altra parte, la mancanza di attestazioni di una radice verbale con questa forma nel semitico occidentale.

305 Murtonen 1989, p. 269. 306 Oltre che di «abbaiare». In arabo, il significato di «annunciare, informare» per questa radice è

riscontrabile alla seconda e quarta forma (rispettivamente intensiva e causativa) e, nella modalità della reciprocità, alla terza (Lane 1863-77, II, pp. 2752-53). Tale sema potrebbe apparire a prima vista «origi-nario» se collegato in qualche modo ai significati di accadico nabû(m) «chiamare, invocare, nominare», che non mi sembrano però agevolmente sovrapponibili a quelli di «annunciare, informare». La coin-cidenza invece di significato e forma fra la forma tD (riflessiva) di questa radice *NB’ in siriaco «ergersi come profeta» e dell’analoga quinta forma tanabba’a dell’arabo «arrogarsi il dono della profezia, o la funzione del profeta», può essere indizio di un processo di affermazione secondaria in arabo del si-gnificato «annunciare, informare», in forme diverse dalla prima (cioè dalla forma base). Tale processo avrebbe potuto avere come punto di partenza il termine biblico nābî’, che passando in arabo attraverso il siriaco, avrebbe determinato in entrambe queste lingue significati denominativali aggiuntivi in forme-costruzioni della radice *NB’. Per completezza d’informazione, aggiungo qui che il nome della divinità babilonese della scrittura Nabû, che non trova attestazioni in eblaitico né in antico accadico, viene abi-tualmente connesso col verbo omofono; l’interpretazione di tale nome come «Berufener» (Von Soden 1965-81, II, pp. 697-98) appare però più dovuta a questo accostamento che alle effettive prerogative di tale divinità, per una sintesi delle quali si rimanda alla voce Nabû in Millard 19992.

Page 89: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

89

Queste difficoltà, inserite nella situazione complessiva fin qui delineata, m’inducono così a riprendere in considerazione le possibilità di polimorfismo di radici semitiche che presentino un nucleo biradicale comune diversamente complementato da un terzo ele-mento radicale debole.

Se i casi di compresenza, accanto a radici a seconda radicale raddoppiata, di corradicali verbi sinonimi di tipo concavo sono così frequenti nelle lingue semitiche da consentirci, come detto, di considerare queste due strutture come due allomorfi di una stessa forma-zione radicale debole307, non mancano altre coppie di sinonimi rappresentati da altri tipi di radici deboli incentrate su uno stesso nucleo biradicale. Kuryłowicz (1972, p. 11), ad esempio, rifacendosi peraltro ad osservazioni già del Brockelmann (1908-13, I, p. 632), af-ferma che un gran numero di verbi con R3 = y, w «are closely related to verbs containing other enlargements».

Di questa fenomenologia, riportabile a una possibile origine biconsonantica delle radi-ci deboli in semitico, fa parte anche la coppia di verbi deboli ebraici dākā’ / dûk «pestare, battere»308: tale dimorfismo *DK’ / *DWK309, riproduce esattamente, nell’alternanza di determinati elementi deboli rispetto a un comune nucleo biradicale, la struttura di un pos-sibile dimorfismo *NB’ / *NWB, sul quale fondare un rapporto anche formale in ebraico fra nābî’ «profeta, inteso come colui che effonde (la parola ispirata)» e le sporadiche attestazioni di una radice verbale *NWB «effondere».

Lo strato etimologico nel quale diventerebbe lessicalmente produttiva la complessa isoida che collega una condizione di «emissione» a coppie concettuali per «profeta (e poeta) / ape» e per «parola ispirata / miele» sembrerebbe così da individuarsi nel so-strato semitico nord-occidentale dell’ebraico, e troverebbe come possibile termine ante quem l’epoca di attestazione dell’eblaitico. Benché radicata nel sostrato egeo-cananaico, la produttività linguistica di tale isoida viene a interessare parzialmente anche l’accadico, dove però il segmento «parola ispirata / miele» resta lessicalmente inespresso.

Un significato di fondo di ebr. nābî’ come «colui che effonde parole ispirate (dalla divinità)» sembra comporre in una diatesi mediale l’antitesi fra le contrastanti etimologie passiva («colui che è chiamato») e attiva («colui che invoca»)310: esso è particolarmente prossimo a quello risultante da un’ etimologia ottocentesca del Gesenius che, attraverso un’ esaustiva e raffinata analisi dei contesti di nābî’ nella Bibbia, vede il profeta «afflatu divino seu spiritu divino actus»311.

Di conseguenza, alla base di nābî’, Gesenius pone una forma qal non attestata in ebrai-co, nābā’, cui attribuisce un significato di «ebullivit, inde copiose effudit sermonem, ut faciunt qui cum ardore vel mente divinite agitata loquuntur, ut vates prophetae»312, per-fettamente utilizzabile per le considerazioni etimologiche che qui propongo.

307 Cfr. n. 295. 308 Gray 1933, p. 126: in questo studio, ricco di esempi al riguardo, l’Autore esordisce affermando:

«Que le même ‘verbe faible’ puisse avoir plus d’un type en hébreu n’est nullement une découverte nou-velle».

309 Che nel caso specifico è addirittura un polimorfismo, presentandosi questa radice in ebraico anche come *DKK e *DKH.

310 Vedere n. 283.311 Gesenius 1829-58, II, p. 839.312 Ivi, p. 838: il corsivo è mio.

Page 90: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

90

Ciò che sembra rendere inaccettabile alla moderna comparazione tale etimologia, così riccamente documentata sotto il profilo testuale, è l’affermazione del Gesenius che, dal punto di vista formale, la terza radicale ’alep di nābî’ sarebbe il risultato di una ‘lenizio-ne’ di una ‘ayin313, dato che la vis primaria semantica «scaturivit» sarebbe conservata nell’arabo naba‘a314.

In ultima analisi, non è certo lecito assimilare ’alep a ‘ayin, fonemi nettamente distinti in semitico315. Se ci si pone però nell’ottica di una considerazione stratificata dell’etimolo-gia, possiamo cercare di riformulare la sbrigativa affermazione del Gesenius in termini di etimologia remota, ad ulteriore sostegno dell’ipotesi che uno dei valori semantici fonda-mentali del nucleo biradicale NB- fosse proprio quello di «scaturire, effondere», estrapo-lato filologicamente dal Gesenius e adeguato alle considerazioni qui esposte.

Lo stesso Gesenius afferma esplicitamente, proprio a proposito del significato di ebr. nûb, che la sua «origo est in scaturiendo, ebulliendo, quam vim habet syllaba nb haben-tque radices ab ea orientes, ut (hebr.) nābā’, (arab.) nb‘, nbg, nbṭ, nbg»316. Egli estende quindi l’esame di tale nucleo oltre che alle radici trilittere ottenute con l’aggiunta di una terza radicale debole, anche a quelle in cui esso è complementato da una radicale forte e anticipa così il fecondo dibattito della semitistica del nostro secolo sul bilitterismo e trilitterismo317.

La comparazione camito-semitica, induce peraltro Orel e Stolbova (1995, p. 394) ad inserire la radice semitica di ebr. nābî’ ed acc. nabû(m)318 in una isoglossa che comprende anche il tangale (ciadico occidentale) nabi, «raccontare, leggere» e il deverbativo hamer (omotico) nabi, naabi «nome»: da tale isoglossa i due comparatisti russi ricavano per l’appunto una «primitiva» radice biconsonantica *nab-.

Ritornando, per concludere, alla semantica di base di ebraico nābî’ e dei suoi prece-denti semitici nord-occidentali319, un significato mediale di «colui dalla cui bocca sgorga

313 Così si esprime Gesenius: « ‘ emollito in ’ » (ablativo assoluto: ivi, p. 838).314 Per le corrispondenze nelle altre lingue semitiche di ar. naba’a, si rimanda a Murtonen 1989, p.

271.315 Come opportunamente precisa Müller (1986, p. 147).316 Gesenius 1829-58, II, p. 859.317 Per il quale dibattito si rimanda in particolare a Zaborski 1969-70, che ritorna più recentemente

sull’argomento nel 1991 e nel 1994, e alle bibliografie incluse in questi lavori. 318 Lo stesso verbo accadico nabû(m) è riportabile sia a *NB’ che a *NBY (Müller 1986, pp. 143-44).319 Una collocazione così circoscritta di questo termine nell’ambito siro-palestinese, proprio delle lingue

semitiche nord-occidentale, può far pensare anche alla sua assunzione da una lingua di sostrato. Nel lessico hurrico del Laroche figura un nome nabi (1978-79, p. 175), per il quale l’Autore non fornisce ipotesi di traduzione. Devo all’amabile cortesia della Collega M. Cl. Trémouille dell’Istituto per gli Studi Micenei ed Egeo-Anatolici del C.N.R., unitamente ad altre preziose informazioni per lettera sull’argomento, la seguen-te precisazione: «il termine hurrico nawi (con le varianti grafiche nabi-, naui- ed eventiuali ‘desinenze’) appartiene alla sfera semantica del ‘pascolare’ < verbo naw-». L’indizio è del tutto labile, specie se la possi-bile testimonianza eblaitica del terzo millennio risultasse davvero riferirsi ad un tipo di «profeta». Mi sia consentito tuttavia di sottolineare al riguardo come la chiamata profetica si sia più volte indirizzata a pastori, come nel caso del più antico profeta-scrittore Amos, e di porre sullo sfondo di queste argomentazioni anche la remota possibilità che un tale termine di sostrato sia penetrato nel semitico nord-occidenatale e, all’atto della sua risemantizzazione da «pastore» a «profeta», abbia subito un processo di «acclimatazione» lin-guistica attraverso la sua integrazione alla radice *NWB / *NB’. La lettera della Collega Trémouille fornisce peraltro un’ulteriore vaga possibilità, affermando ancora: «I verbi del dire finora noti in hurrico sono quat-

Page 91: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

91

e si effonde la parola ispirata», troverebbe riscontro nel fatto che il connesso verbo deno-minativo ebraico ci è attestato solo nelle forme passiva e riflessiva (nip‘al e hitpa‘ēl): è sempre il Gesenius a sottolineare come tali forme siano usate in quanto il profeta «alienis magisquam suis viribus moveri», così come il latino usa analogamente i deponenti tipo loqui, fari, vociferari, concionari, vaticinari320.

In questo senso la connessione semantica di base che qui propongo fra nābî’ e la radice *NWB «effondere» sarebbe iscritta nel citato Is. 57, 19. Infatti il k etîb NWB non stareb-be per nîb «frutto», ma, secondo l’interpretazione «flusso» di Dahood321 perfettamente consona alla nostra tesi, per un hapax sostantivale su tale radice: Dio, quindi, afferme-rebbe in questo versetto di «creare il flusso delle labbra», ciò che costituisce una nitida rappresentazione del ruolo di pura intermediazione del profeta, che sembra limitarsi a mettere la propria bocca a disposizione del Dio che parla.

La presumibile lessicalizzazione di una metafora egeo-cananaica che collega l’emissione del miele da parte dell’ape all’emissione della parola ispirata da parte del profeta (o del po-eta) sembrerebbe comunque riferirsi a uno strato etimologico ormai sommerso nell’ebrai-co biblico, che estende l’impiego del nome nābî’ ad indicare molteplici tipi di profeta, da quello estatico, forse il più prossimo alla semantica ‘originaria’322, ai grandi profeti scritto-ri: la storia delle parole, specie ad alta valenza culturale, è in continuo divenire in relazione alle vicende storico-culturali delle comunità che le impiegano. Nel caso specifico, peraltro, il tabù biblico del miele323 potrebbe forse essere in qualche modo correlato con l’evoluzio-ne semantica del nostro termine.

tro: kad- «dire», al(u)- «parlare», hil(l)- «dire, parlare, partecipare», k/gul- «dire, comunicare». Però: nella lettera di Mitanni col. III riga 8 si ha una forma na-wu-uk-ku-ú-un, che dal contesto sembre «rilevare, spiegare», «manifestare». La radice alla base di questa forma sembra essere naw-. è una traccia?».

320 Gesenius 1829-58, II, p. 838.321 Riportata in Fisher 1972, p. 428. Vedere sopra a pagina 87.322 Affermazione, questa, discutibile e discussa. Fra i sostenitori di un preminente significato, almeno

in origine, di «profeta estatico» per nābî’, si collocano fra gli altri, oltre allo stesso Gesenius, Albright (1968, p. 25) e Neher (1984, p. 88); si veda, da ultimo, Fenton 1997, p. 32. Il più rilevante supporto testuale a questa tesi è rappresentato dall’accostamento di nābî’ a mešugga’ in 2 Re 9, 11, Os. 9, 7 e Ger. 29, 26.

323 Lev. 2, 11.

Page 92: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

92

SCHEMA ILLUSTRATIVO

*DWB / *DBB in semitico -

1 - temi verbali in semitico con significato di «sgorgare, effondere, fluire»:acc. zâbu(m), ebr., zābâ, sir. dāb, ar. dāba («fondere»), ecc.

2 - temi nominali in semitico per «mosca», «mosche» (> «api» = «mosche del miele»):acc. zubbu, zumbu, ug. dbb, ebr. z ebûb, sir. da/debbābā, ar. dubb, amar. zemb, ecc.

3 - temi nominali in accadico per «profeta», «profetessa»:zabbu(m), zabbatu(m)

Altri esempi di dimorfismo C1WC2 / C1 C2 C2 di radici deboli in semitico:ebr. *HWM / *HMM «confondere, agitare», *ZWR / *ZRR «spremere», *MWK / *MKK «sprofondare», *MWL / *MLL «circoncidere», *MWš / *Mšš «percepire»,*PWR / *PRR «distruggere», *ṢWR / *ṢRR «mostrare ostilità», *RWM / *RMM «sorgere», ecc.

*NWB / *NB’ nel semitico nord-occidentale -

1 - temi verbali su *NWB con significato di «sgorgare, effondere, fluire»:testimonianze relittuali solo in ebraico biblico (Prov. 10,31, Ps. 62,11 e 92,15, Zacc. 9,17).(Il nip‘al e lo hitpa‘ēl su *NB’ risultano denominativi da nābî’, così pure le rare attestazion in aramaico).

2 - temi nominali su *NWB per «miele»:ug. nbt (> ebr. nōpet).(Sono testimoniati temi corradicali per «ape» solo al di fuori del semitico nord-occidentale: acc. nūbtu, ar. nūb, s.ar. mod. nōbēt, et. nehb).

3 - temi nominali su *NB’ per «profeta», «profetessa»:ebr. nābî’, n ebî’â, ebl. na-ba-(’)um ?, attestazioni «nord-occidentali» nell’acc. di Mari (luna–bi-iMEš) e di Emar (lu.mešna–bi-i, mi.mešmu-na(b)-bi-(i)a-ti).

Altro esempio di possibile dimorfismo C1W C2 / C1 C2’ di radici deboli in ebrai-che: *DWK / *DK’ «pestare, battere».

Page 93: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

93

III LABIRINTO E NINFA:

UN’ASSOCIAZIONE ORIGINARIA

La stanza 3 della Xeste 3 di Akrotiri a Thera nella ricostruzione di Nanno Marinatos: sulla destra il ‘bacino lustrale’324

Le figure ninfali presenti nell’affresco sulle pareti del bacino lustrale ‘minoico’ della Xeste 3 dell’Akrotiri a Thera rimandano, sul fronte delle emergenze in ebraico del sostrato egeo-cananaico, al nesso lessicale ape-labirinto individuato nel primo capitolo di quest’ul-tima sezione. Questo a testimonianza, sia pure indiziaria, del profondo collegamento ori-ginario fra i significati destinati a precisarsi come «labirinto» e «ninfa» impliciti nelle

324 In N. Marinatos 1984, pp. 66-67. Si veda, nel nostro testo, anche alle pp. 25 e 135.

Page 94: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

94

basi lessicali pre-grece e pre-semitiche ricostruibili nelle forme fonetiche *da(/u)bur e *nu(m)b/bh. Su questa profonda connessione tornerò nella sezione finale dedicata ai due relativi archeonimi.

Il secondo capitolo, dove si confronta la verosimile attestazione ‘minoica’ del nome di Demetra con un arcaico teonimo femminile naturalizzato dell’ebraico biblico, risulta apparentemente eterogeneo rispetto al tema generale di questa raccolta. L’ambito egeo-cananaico del confronto e la pertinenza di divinità femminili, direttamente connesse alla fertilità, ai temi qui trattati mi sembrano giustificarne tuttavia l’inserimento, specie se si considera la simbiosi, lessicalizzata nel teonimo duale Qewv, di Demetra con la figlia Core, dea-ninfa dalle peregrinazioni labirintiche.

Una prima sintesi delle considerazioni fin qui condotte in modo occasionale sul sostra-to egeo-cananaico, che include i prodromi lessicali di «labirinto» e «ninfa», conclude la sezione e l’intera silloge.

Page 95: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

95

III.1 L’APE E IL LABIRINTO.

UN POSSIBILE NESSO LESSICALE IN EBRAICO NEL QUADRO DEL SOSTRATO EGEO-CANANAICO

Il nome d ebôrâ che specifica l’ape in ebraico presenta cinque ricorrenze nel testo bibli-co325 e figura inoltre come nome proprio di due personaggi femminili, la profetessa giudice d’Israele il cui celebre canto costituisce uno dei più arcaici componimenti della Bibbia e la nutrice di Rebecca (Gen. 35, 8).

Tale nome per ape appare piuttosto isolato in semitico, trovando riscontri solo in aramai-co, arabo e sudarabico moderno, con significati riferiti anche alle vespe e ai calabroni. In ara-maico, un’ipotetica ricorrenza *dbrh nella più antica fase epigrafica (iscrizione di Sefire, I A 31) è resa fortemente dubbia da una più evidente e accreditata lettura dbbh «orso»326; questo nome appare effettivamente perciò attestato solo nelle fasi recenti, come quelle dell’aramaico palestinese, sia giudaico (dabberîtā, dibborîtā) che cristiano (dbryt’), e del siriaco (debbōrā, debbōrtā), dove ragionevolmente potrebbe essere penetrato come prestito dall’ebraico, per l’influenza indiscussa del testo biblico sulle letterature di queste lingue. Anche la marginalità, rispetto ad altri più diffusi sinonimi, di termini consimili sulla radice *DBR in arabo, può rimandare ad una loro adozione secondaria, come possibile apporto appunto dell’aramai-co, fonte accertata di numerosi prestiti linguistici all’arabo, non solo lessicali. Infatti, men-tre il termine per ape comune anche nell’arabo contemporaneo è naḥlat-327, lo stesso del titolo dell’omonima sura coranica, si trovano nella letteratura classica solo rare attestazioni di un collettivo dibr- «sciame di api, calabroni o grandi vespe», con ancor più sporadiche attestazioni di un plurale dubūr- «api», accanto a un pluralis paucitatis ’adbur-328. A loro volta i nomi per ape su *DBR nei dialetti sudarabici moderni329 sono fortemente indiziati di essere esiti del superstrato arabo su tali parlate, dato che, benché il sudarabico epigrafico non sembri attestare nomi per ape, il semitico etiopico, radicato in sostanza sull’idioma dei

325 Deut. 1, 44, Giud. 14, 8, 1 Sam. 14, 25, Is. 7, 18, Salmi 118, 12. Per una recente esaustiva esegesi dei passi in cui d ebôrâ compare, si rimanda a Kagerer 2002.

326 Fitzmyer 1967, pp. 14-15 e 48-49.327 Nomen unitatis del collettivo naḥl -.328 Lane 1863-93, s.v., dove appare l’indicazione dei luoghi. Freytag 1830-37, aggiunge anche un’ul-

teriore forma di plurale dibār-.329 Secondo Cohen 1993, p. 213, mehri, harsusi debēr, shauri edbir, mehri haydebir, soqotri ’idbe-

her.

Page 96: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

96

Sabei installatisi nel Corno d’Africa, denomini l’ape a partire da schemi nominali sulla radice *NWB (ge‘ez e tigré nehb, amarico nèb): lo stesso mehri, peraltro, presenta per «ape» anche nōbēt. *NWB è alla base del nome dell’ape più diffuso nelle lingue semitiche, dall’accadico nūbtu(m) al semitico meridionale, per l’appunto, trovando riscontro anche in relittuali atte-stazioni di un plurale arabo nūb330: nel semitico occidentale essa dà origine a nomi per «mie-le», come ugaritico nbt e, con impropria corrispondenza per la labiale, ebraico nōpet331.

Sulla base quindi di queste considerazioni, lo specifico nome per «ape, (vespa)» for-mato su una radice *DBR, parrebbe avere il suo epicentro nel semitico cananaico, dove si evidenzia a partire dalle più antiche fasi dell’ebraico biblico332; dal confronto delle forme che assume nelle lingue semitiche in cui si diffonde, Cohen (1993, p. 213) ricostruisce per esse uno schema nominale comune *dabbūr-.

Se nell’intero ambito delle lingue semitiche i temi verbali e nominali che presenta-no una struttura radicale DBR sono portatori di significati talmente differenziati da non poter essere ricondotti ad un’unica radice, malgrado una molto relativa prevalenza del significato di «essere posteriore»333, nello stesso ebraico biblico tali significati sono diver-genti al punto da indurre i lessicografi a postulare per lo meno due diverse radici omofone, ferma restando l’impossibilità di attribuire con certezza tutti i termini corradicali ad una delle due334: si consideri infatti la latitudine semantica su cui si distribuiscono nomi come d ebîr «sancta sanctorum del tempio di Gerusalemme», dōber «pascolo, pastura», de-ber «peste», dōberâ «zattera», midbār «deserto, steppa». Per di più, un nome della pregnanza significativa di dābār «parola, cosa in genere» è anch’esso sostanzialmente proprio del semitico cananaico e assume nell’ebraico biblico anche la valenza particolare di «parola di Dio e dei profeti»335: tipica ed esclusiva dell’ebraico e del fenicio-punico è peraltro la forma verbale a seconda raddoppiata dibbēr col significato di «parlare»336.

330 Halévy 1910, p. 498331 Circa il significato profondo «sgorgare, effondere, fluire» della radice *NWB e del suo allomorfo

*NB’, che stanno alla base di nomi per «miele» e «profeta» nel semitico occidentale, rimando al capi-tolo II.3. Per la natura «relittuale» di tale radice in semitico e la sua possibile attribuzione al sostrato egeo-cananaico sulla base dell’ipotesi che greco nuvmfh fosse un originario nome per «ape», si veda invece il capitolo II.1. Il termine egiziano nft di un’iscrizione dell’Antico Regno potrebbe essere un nome per «miele» collegabile a ug. nbt ed ebraico nōpet (Aspesi 2004).

332 In particolare come nome proprio per l’appunto nel cantico di Debora (Giud. 5).333 Si veda la voce DBR in Cohen 1993, pp. 212-15.334 In Koehler, Baumgarten 19673, pp. 201-202, un lemma radicale DBR I si riferisce al significato

generale di «essere dietro, essere posteriore» e un altro lemma DBR II a quello di «parlare»: a essi gli autori aggiungono curiosamente un ulteriore lemma DBR III al solo fine di specificare l’isolata forma verbale y edabbēr di Pr. 21, 28. Su DBR I, e sulle sue possibili contaminazioni con DBR II, si vedano le argomentazioni contenute in Schmuttermayr 1985.

335 Neher 1984, p. 272.336 Per le attestazioni delle due forme, verbale e nominale, in fenicio-punico si rimanda a Hoftijzer,

Jongeling 1995, I, pp. 238-40, rispettivamente sotto le voci dbr1 e dbr3. Le poche occorrenze ivi registrate di dbr3 nell’epigrafia dell’aramaico ufficiale, si riferiscono perlopiù alla locuzione avverbiale ‘ldbr /‘ld-brh «riguardo a» e comunque pertengono al lessico giuridico, dove parrebbero verosimilmente essere un prestito dal semitico cananaico: tale locuzione è ritenuta infatti «derivata dalla lingua cancelleresca cananaica» da Schmidt (2002, p. 111). La stessa locuzione ‘al dibrat nell’aramaico di Daniele (2, 30, ripetuta in 4, 14 con ‘ad per ‘al) è attestata anche in ebraico (Qoh. 3, 18 e 8, 2). Il termine aramaico specifico per «cosa, parola» è peraltro mlh/millâ.

Page 97: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

97

Dei numerosi tentativi di collegare i significati dei diversi nomi su *DBR337, vorrei qui soffermarmi su due che fanno capo proprio a dābār, cioè al nome che in ebraico si carica del significato pregnante di «parola di Dio e dei profeti».

Il primo è quello proposto da Torrance338 il quale connette dābār con d ebîr, che pren-derebbe il nome dalle «dieci Parole o d ebarîm», le tavole coi dieci comandamenti divini in esso custodite. Barr (1961, pp. 136-37) accetta l’accostamento, ma più che di un’eti-mologia originaria su dābār/dibber di quello che definisce «l’oscuro termine d ebîr»339, ritiene che si sia da subito stabilita nel parlante una stretta relazione fra tali parole in una sorta di etimologia popolare: vedremo come sia possibile, sulla base di un’ipotesi da me avanzata, che un tale profondo e generalizzato processo di rietimologizzazione abbia po-tuto verosimilmente influire sulla determinazione della forma stessa del nome d ebîr.

Il secondo tentativo consiste nel collegamento indiretto di dābār a d ebôrâ effettuato nel capitolo II.2 attraverso il nome per «miele» d ebaš340. L’incongruenza formale relativa alla terza consonante radicale mi aveva fatto propendere per l’affermazione di Bauer, fatta propria da Segert341, che d ebaš sia in ebraico un aramaismo e ritenere che di un più anti-co nome ebraico per «miele» *d ebar fosse rimasta traccia nella significativa discordanza fra il testo ebraico di I Sam. 14, 26 e la traduzione dei Settanta342. Dopo aver constatato la diffusione nella Grecia antica e nella Bibbia di una stessa metafora che con modalità sorprendentemente affini collega la parola ispirata, poetica o profetica, al miele e all’ape, mi è sembrato d’individuare una parallela analogia fra la strutturazione termini ebraici su *DB(R) per «parola ispirata», «miele» e «ape» e i corrispondenti nomi greci mevloı, mevli e mevlissa343, All’ambito geografico di tale metafora sembrano corrispondere così, sul piano linguistico, i confini tracciati dalla corrispondente isoida, che ho supposto appartenere a una specifica articolazione del cosiddetto sostrato mediterraneo. Ulteriori indagini incentrate su alcuni elementi lessicali comuni al greco e all’ebraico e portatori di significati attinenti alla sfera del sacro, mi hanno consentito di meglio precisare la consi-stenza e la profondità di tale sostrato linguistico da me denominato «egeo-cananaico»344.

337 Per un accenno ai quali e, in particolare per le indicazioni bibliografiche, si rimanda ancora a Sch-midt 2002, pp. 109-111.

338 Torrance 1955, pp. 1 ss.339 Barr 1961, pp. 136-37.340 Oltre a d ebaš e a nōpet, l’ebraico biblico presenta nell’ambito semantico del «miele» un terzo

nome ya‘ar «(favo di) miele», anch’esso probabilmente implicato nel sostrato egeo-cananaico (Aspesi 2008).

341 Bauer 1912 e Segert 1984, p. 456, n. 13.342 Sopra, p. 81. Secondo la brillante osservazione di Margulies (1974), la traduzione ejporeuveto lalwn

«proseguì parlando» dell’ebraico hēlek d ebaš «stillava miele» rimanda a un antico nome scritto dbr, frain-teso dai Settanta ed emendato nel più tardo testo masoretico (che Margulies interpreta però come un collettivo per «api», privo di altre attestazioni).

343 Tale constatazione mi ha consentito di ipotizzare un’unica radice *mel- alla base dei tre nomi greci. L’analogia mi è parsa estendendersi alla modalità di derivazione del nome dell’ape da quello del miele (mevlissa < mélit- + -ja- come d ebōrâ < *d eb-V-r + -ā, in entrambi i casi «ape = quella del miele») e alle valenze simboliche dell’utilizzo di tale nome come nome proprio di profetesse (la Mevlissa di Delfi e la D ebôrâ dei Giudici).

344 Ovviamente in questo caso il termine cananaico, componente del sintagma qui utilizzato per defi-nire uno specifico sostrato linguistico-cultuale dell’ebraico biblico, vede tutt’altro impiego rispetto alla

Page 98: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

98

Di tali isoglosse, che costituiscono una costellazione di nomi afferenti a specifici culti e riti riferiti alla sfera della fertilità, la più rilevante, direi in qualche modo fondante, è quella che a mio avviso collega la base di gr. labuvrinqoı, precisata foneticamente come *dabur- in considerazione della testimonianza micenea da-pu2-ri-to, proprio con l’ebraico d ebîr, dove la base greca starebbe per «focus cultuale» (e l’intero termine per «labirinto» in quanto luogo di uno specifico focus cultuale») e il nome ebraico per «focus cultuale del tempio di Gerusalemme»345.

Se la consistenza assunta dall’ipotesi di un sostrato linguistico-cultuale egeo-cananaico nel corso delle mie reiterate ricerche pare conferire una maggior concretezza alla mia più che decennale connessione fra dābār «parola ispirata, divina e profetica» e d ebôrâ «ape, profetessa» attraverso d ebaš / *d ebar «miele», questo stesso ambito di sostrato sembra consentire un collegamento in ebraico fra d ebôrâ e d ebîr, in considerazione delle relazioni fra ape e labirinto, inteso questo come specifico luogo di culto incentrato su di un sacro re-cesso, che si evidenziano nelle testimonianze letterarie e archeologiche dell’area egea, oltre che nello strato intravedibile come egeo di parti del testo biblico che potremmo esse pure definire egeo-cananaiche, come in particolare l’episodio della profetessa D ebôrâ. Tale ipo-tesi conferisce circolarità ai due collegamenti centrati sul pregnante nome ebraico dābār, quelli appunto di Torrance fra d ebîr e dābār e quello fra dābār e d ebôrâ, mettendone in connessione i due estremi.

Sulle tracce di un nesso profondo fra l’ape e il labirinto in un ambito cultuale pre-pro-tostorico con epicentro a Creta, non posso qui che limitarmi a degli accenni, basandomi sia su alcuni dati archeologici ed epigrafici d’epoca minoica e micenea, sia su testimonian-ze letterarie che presentano elementi particolarmente arcaici del mito e rito greci.

I Micenei sopraggiunti a Creta avrebbero per l’appunto coniato il termine da-pu2-ri-to / labuvrinqoı aggiungendo il suffisso locativo -i-to / -inqoı al nome autoctono col quale le popolazioni minoiche indicavano uno specifico luogo di culto insito nei cosid-detti palazzi cretesi, denominando così l’intero complesso come il sito di tale focus cul-tuale: questo luogo di culto, identificabile con una struttura seminterrata caratterizzata da una scala a forma di meandro, sarebbe stata, al sorgere dei palazzi, la reinterpretazione in chiave architettonica delle grotte di culto cretesi: di queste avrebbe conservato il nome, verosimilmente la sequenza di segni leggibile come du-pu2-re in tre iscrizioni nell’idioma cretese sotteso alla Lineare A, relative a luoghi di culto in altura346.

Gli scavi nelle grotte-labirinto cretesi attestano tracce di riti risalenti alle ultime fasi del neolitico. La grotta situata sull’altura sopra il porto dell’Amnisos, ad esempio, pre-senta tracce di persistenza per cinquemila anni di culti connessi alla fertilità attorno a due stalagmiti dalla evidente simbologia fallica racchiuse peraltro da un muretto a forma di

definizione strettamente linguistica di cananaico come sottoraggruppamento del semitico nord-occiden-tale. Il sostrato cultu(r)ale che sta alla base di quello linguistico da me definito «egeo-cananaico» appare più profondo degli apporti filistei alla cultura cananaica, che di tale sostrato costituiscono un ultimo e più superficiale livello. Su tale sostrato, su cui ritorno più volte nel corso dell’intero volume, si veda in particolare il capitolo conclusivo (III.3).

345 Per le argomentazioni al riguardo, si veda sopra al capitolo I.1.346 Sopra, capitolo I.2: pu2 pare sottendere la stessa realizzazione fonetica [bu] della Lineare B anche nella

Lineare A.

Page 99: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

99

meandro: Omero la cita come sede del culto di Ilitia347, divinità d’origine cretese assun-ta al pantheon greco in qualità di divinità femminile preposta al parto. Un intero fascio di leggende s’intreccia sul parto di Rhea e la prima alimentazione dell’infante divino, lo Zeus cretese, la cui nascita si colloca nella grotta-labirinto assiale rispetto alla conforma-zione di Creta, quella del monte Ida. In questa pluralità di miti, riportati perlopiù da tardi mitografi, l’associazione fra il labirinto e le api risulta della massima evidenza. Antonino Liberale, fra gli altri, rifacendosi a tradizioni che affonderebbero per alcuni le loro radici nell’età del bronzo348, afferma: «Dicono che a Creta esista una grotta piena di api, in cui, secondo il mito Rhea partorì Zeus; ed è norma di comportamento imposta dalla religio-ne che nessuno vi entri, né dio né uomo. Ad una certa data, si vede tutti gli anni un gran bagliore di fiamme che si sprigiona dalla grotta. Questo accade, stando al mito che là si racconta, quando il sangue rimasto dopo la nascita di Zeus trabocca. La grotta è abitata da api sacre, che furono le nutrici di Zeus». In altre versioni, le fiamme sono in relazione a un’esondazione periodica del miele prodotto da tali api: da questa, si evince in ogni caso la sacralità e l’inaccessibilità che caratterizza il presunto du-pu2-re come recesso ctonio sede di culti della fertilità. Quando altrove le api nutrici sono antropomorfizzate in ninfe, riferibili verosimilmente agli operatori femminili di tali culti, una di esse assume il nome Mevlissa e nutre di miele il neonato Zeus349. Se la famosa tavoletta da Cnosso, databile alla fine del quindicesimo secolo, registra nella Lineare B del greco miceneo l’offerta pro-prio di un vaso di miele alla Signora del Labirinto, da-pu2-ri-to-jo po-ti-ni-ja350, in questo caso del ‘palazzo’ incentrato sul *da(/u)bur- (lineare A du-pu2-re) in esso artificialmente riprodotto, il mito greco è permeato di motivi che collegano l’ape con altri recessi naturali, sedi di culti preistorici con valenze labirintiche, come l’episodio dello sciame d’api che in Pausania (IX, 40, 2) guida Trofonio all’antro oracolare di Lebadea: ed è significativa-mente proprio Dedalo, il mitico costruttore del labirinto cretese, che, in questo passo di Pausania, edificherà qui a Lebadea l’edificio che prende il nome dallo stesso Trofonio (ivi, 3)351. Della connessione fra api, o api-ninfe, e profezia ho già in più riprese trattato nella seconda sezione dedicata all’archeonimo della ninfa e qui mi limito a ricordare l’epiteto di Mevlissa attribuito da Pindaro alla Pizia di Delfi352, mentre ritengo opportuno rimandare ad altra sede l’esposizione e lo sviluppo di numerosi ulteriori elementi su cui poggia la con-statazione complessiva di un evidente nesso fra ape e labirinto nel mondo egeo e pre-greco.

347 Od. 19, 188.348 Roscalla 1998, p. 17 e n. 5. Kerényi (1992, p. 48) si limita a precisare che l’autore si rifà a un’opera

precedente sull’origine degli uccelli, a sua volta riferita a tradizioni risalenti certamente «a tempi più remoti».

349 Lattanzio (Div. Inst. I, 22) afferma infatti che le due figlie del re cretese Melisseo, Amaltea e Melissa «puerum caprino lacte ac melle nutrierunt, unde poëtica illa fabula originem sumpsit advolasse apes atque os pueri melle complesse».

350 Si veda la tavoletta Gg 702 presentata e commentata in Godart 1976 unitamente alle altre due in lineare A che a tutt’oggi riportano il termine da-pu

2-ri-to, la Oa 745, sempre da Cnosso, e la Xd 140: il

miele offerto a una presumibile Grande Madre cretese, sembra confermare la stretta pertinenza del miele, e di conseguenza dell’ape, ai culti della fertilità egei. Su questo sintagma miceneo si veda anche Boëlle 2004, in particolare alle pp. 64-66.

351 Sulla fortuna di Lebadea come sede oracolare fra le principali della Grecia, si veda per esempio Erodoto I, 46 e VIII, 134.

352 Pitica IV, pp. 245-47.

Page 100: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

100

Se torniamo all’arcaico testo di Giudici 5, dove appare la più antica attestazione in ebraico e nell’intero semitico del nome d ebôrâ come nome proprio della profetessa-giudice d’Israele, non possiamo che constatare lo sfondo egeo, sottostante all’ambiente filisteo, dell’episodio che vi si narra, carico di un simbolismo mitologico sempre più sot-tolineato nei recenti studi biblici. Garbini ricorre addirittura alla Lineare A cretese delle cosiddette tavole da libazione per offrirci un’ipotetica etimologia del nome del condot-tiero filisteo Sîs erā’353, dopo aver stabilito un rapporto proprio fra lo Zeus cretese354 e il dio filisteo Marnas di Gaza che tale mitico condottiero impersonerebbe, in una convin-cente interpretazione teologica dell’intero episodio basata su una sorta di rovesciamento del mito cretese355. Accanto all’autrice del canto D ebôrâ, l’altra protagonista femminile dell’episodio è Yā’ēl, il cui nome significa «capra», protagonista dell’uccisione rituale dello stesso Sîs erā’, la divinità filistea che si opporrebbe a quella ebraica. Tale sacrificio divino, rovesciamento appunto della nascita dello Zeuvı Krhtogenhvı, è preceduto da una simbolica scena di nutrizione infantile nella quale Yā’ēl offre una coppa di latte alla sua vittima, rimandando esplicitamente alla ninfa-capra ∆Amavlqeia che, proprio con la ninfa-ape Mevlissa, entrambe figlie del re cretese Melisseuvı, contribuisce secondo Lat-tanzio alla nutrizione del piccolo Zeus nel labirinto primigenio, il sacro recesso dell’Ida. A proposito poi di una possibile corrispondente funzione di nutrice anche per D ebôrâ, è interessante rilevare come un biblista della taglia di Noth proponga la sua identificazione con l’altra D ebôrâ biblica, quella che appare in Gen. 35, 8 proprio come nutrice di Re-becca356: se le api-profetesse sono ben radicate anche nel coté vicino-orientale del sostrato che definisco egeo-cananaico, le api-nutrici appaiono sostanzialmente proprie del mondo egeo, come dimostra appunto la mitologia cretese e l’antropomorfizzazione delle stesse in ninfe357, confermando così lo scenario egeo del canto biblico. Un ulteriore elemento egeo è costituito dal rilievo dato alla rappresentazione della madre di Sîs erā’ che si staglia in ansia nel riquadro di una finestra, il cui simbolismo profondo non è sfuggito né a Gar-bini né a Grottanelli358: benché il prototipo della divinità femminile alla finestra sia alla base di alcune raffigurazioni di Astarte tanto da farlo ritenere da Garbini «tipicamente asiatico»359, esso sembra affondare le sue radici nella ritualità minoica, come si può arguire dalle funzioni sacrali attribuibili alle cosiddette «windows of appearance» dei palazzi

353 Garbini 1997, pp. 239-40. Tale ipotesi etimologica minoica basata su un significato di «Signore» era già stata avanzata dal Garbini nel 1978 (pp. 20-21), a partire dalla connessione stabilita da Pugliese Carratelli (1976) fra il segmento (j)a-sa-sa-ra della cosiddetta formula di libazione della Lineare A e l’arcaico teonimo greco Saisavra, con un significato riconducibile a «Signora». Contra, Negri 2009, p. 22. Per un’accurata analisi distributiva di tale segmento, peraltro attestato anche su materiali diversi dalle tavole di libazione, si veda Consani 1999.

354 A partire appunto dalla descrizione della sua nascita sull’Ida in Diodoro Siculo, V 70, 1-3 e 5-6 (Garbini 1997 citato, pp. 178 ss.).

355 L’episodio è infatti letto da Garbini come la rappresentazione rituale di una teomachia, nella quale il dio degli Ebrei ha la meglio sulla divinità creto-filistea.

356 Grottanelli, che giudica accettabile tale identificazione nel suo articolo del 1982 (p. 31, n. 13), assume più tardi al riguardo una posizione agnostica (1998, p. 146, n. 29).

357 Per una sintesi dei riferimenti a tale sovrapposizione di ninfe ad api, si veda sopra alle pp. 68-69.358 Garbini 1978, pp. 28 e 31; Grottanelli 1998, p. 159 e n. 43.359 Garbini 1978 citato, p. 31. Per la riproduzione di un’Astarte «alla finestra», si veda Bonnet 1996,

p. 147, pl. XI e per le considerazioni dell’Autrice sull’argomento, ivi alle pp. 127 ss.

Page 101: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

101

cretesi in epoca pre-micenea360 e dalle eredità occidentali greco-romane rappresentate da Afroditi alla finestra361 o da episodi come quello della dea Fortuna nel quale la finestra del palazzo serve da tramite per la sua unione con Servio Tullio362.

In questo quadro di rimandi del Cantico di Debora al mondo egeo-cretese, è possibile aggiungere tracce di un nesso fra l’ape e il labirinto? La risposta sembra essere affermativa se ci riferiamo al rapporto fra labirinto e ombelico, il secondo centro del primo e quindi coincidente col suo focus cultuale: per le manifestazioni di tale relazione sia nell’ambito egeo, dove le stalagmiti della grotta dell’Amnisos anticipano sub specie naturae la forma e le valenze del celebre ojmfalovı di Delfi363, la città-santuario «ombelico della terra» per i Greci, sia nell’ambito ebraico, allorchè si riconoscano le valenze labirintiche del d ebîr di Gerusalemme esso pure centro del mondo e dell’intero creato, rimando ancora ad al capitolo iniziale (I.1) e ai relativi riferimenti bibliografici364. Diventa così particolarmente significativo constatare che il corrispondente sintagma ebraico ṭabbûr hā’āreṣ «ombeli-co della terra» figura proprio nel libro dei Giudici (9, 37)365 per indicare i monti di Efraim sovrastanti Sichem, le stesse alture dove profetizza e giudica D ebôrâ366: valenza ombelicale di asse cosmico assumono anche la quercia degli indovini sul ṭabbûr hā’āreṣ di Giud. 9 e la palma vaticinale di D ebôrâ, secondo il simbolismo dell’albero cultuale in ambito egeo-cananaico367.

360 In particolare a Thera, dove gli scavi del palazzo minoico ci hanno restituito uno splendido esempio di tale tipo di finestra: si veda Marinatos 1984, pp. 11, 16, 51 (ultima riga) e la relativa bibliografia a p. 125.

361 Benché la Verzár non neghi il legame fra tali Afroditi a Cipro e le Astarti siro-palestinesi, avanza l’ipotesi «che anche Creta abbia potuto costituire un tramite per l’Afrodite di Cipro».

362 Sulle implicazioni astrali di tale mito e la sua connessione con la fertilità femminile, si vedano Magini 1996, pp. 15 ss. e 2003, pp. 39 ss.

363 Rilevante per il rapporto con l’ape, appare il confronto formale fra l’ojmfalovı del tipo di quello di Delfi e gli alveari argomentato da Richards-Mantzoulinou (1979) e già avanzato da Davaras 1986 (p. 40, n. 13). Analoga è peraltro la forma degli edifici a tholos minoico-micenei, a partire dal gigantesco vano ipogeico all’angolo sud-ovest del primo palazzo di Cnosso scoperto e reinterrato da Evans (1921-35, I, pp. 104 ss.), dallo stesso denominato «bee-hives chamber» (ivi, p. 160). La natura intenzionalmente labirintica di tali edifici originariamente a forma d’alveare, affermata ad esempio da Santarcangeli (19842, pp. 64-66), sembra trovare tarda conferma nella tholos di Epidauro, le cui «enigmatiche» fondamenta «sono gli unici resti che si siano conservati di un edificio dell’antichità che possa essere designato come un labirinto in senso proprio» (Kern 1981, pp. 72 e ss.).

364 A cui aggiungere perlomeno Ottosson 2002, pp. 441-42. Sulle testimonianze medievali di una tra-dizione che attribuisce la costruzione di un labirinto a Salomone, si veda peraltro Kern 1981, pp. 163-65.

365 Oltre che in Ez. 38, 12: queste sono anche le uniche ricorrenze bibliche del termine ṭabbûr.366 Giud. 4, 8. Le pratiche cultuali in altura sono tipiche dell’area egeo-cananaica, oltre che anatolica. Se

per il versante cananaico la bibliografia sulla storia e preistoria degli ‘alti luoghi’ di culto riflessi nella Bibbia è davvero vasta, altrettanta attenzione è stata riservata alle testimonianze di culti in altura a Creta. Wright (1970 e 1972) confronta le valenze di ‘ombelico della terra’ della regione montagnosa di Sichem, sede di un grande santuario preisraelitico amfizionico e oracolare (Grottanelli 1976), e di Delfi, mettendo in relazione rispettivamente le sepolture mitiche di Giuseppe e di Dioniso: aspetti ‘labirintici’ ancor più espliciti per un santuario in altura, quello minoico di Paleocastro sovrastante il tempio greco di Zeus Diktaios, sembrano emergere a Creta dalla lettura di due testi in Lineare A ivi rinvenuti (PK Za 8 e, in particolare, PK Za15: ja-di-ki-te-te-du-pu2-re) come «focus cultuale (dubure) del monte Dikte» (si veda al capitolo I.2).

367 Circa la diffusa sacralizzazione di alberi sulla base dell’attribuzione di un simbolismo cosmico di assi del mondo, ben radicata nell’ambito egeo-cananaico, si vedano perlomeno Evans 1901, Wensink 1916 e,

Page 102: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

102

Ed è proprio ṭabbûr «ombelico» il corrispondente foneticamente più prossimo in ebraico alla base pre-ellenica *dabur- sulla quale i Greci sopraggiunti a Creta formano il termine per «labirinto»: rispetto a d ebîr, infatti, conserverebbe il vocalismo in -u- in seconda sede, mentre il raddoppiamento della media labiale sembra garantirne la realiz-zazione occlusiva, opponendosi al processo di spirantizzazione intervocalica. «Un’unica matrice di sostrato sembra così essere alla base di due nomi, entrambi riferiti a uno stesso ambito cultuale antico ed estremamente ramificato, ma assunti dall’ebraico biblico secon-do modalità certamente differenziate, anche se ovviamente non ricostruibili: l’oscillazio-ne della dentale iniziale e della labiale ben si rapportano alle difficoltà di resa di questi due suoni nelle occorrenze greco-micenee. Lo specifico consonantismo del termine architet-tonico d ebîr potrebbe risultare dall’attrazione formale esercitata dalla radice *DBR, sia sulla base della connotazione di ‘essere posteriore’, sia di quella di ‘parlare’, essendo il d ebîr la parte più sacra del tempio, dedicata - e qui mi rifaccio al citato collegamento di Tor-rance e alla sua interpretazione da parte di Barr - al dio vivente e alla sua parola; anche il vocalismo, conforme al diffuso schema nominale semitico QaTîL, sembra essere indizio di un maggior grado di ‘acclimatazione linguistica’ di questo termine in ebraico, in rapporto all’altissima valenza specifica che il suo referente viene ad assumere per gli Ebrei pervenuti alla terra promessa.»368

Un analogo processo di acclimatazione linguistica sembra essere alla base della forma-zione di d ebôrâ «ape», che abbiamo visto essere originariamente proprio del semitico cananaico, rispetto ad altri nome per ape diffusi in semitico. Un sicuro influsso forma-le del nome del «miele» sulla base della diffusa isoida che vede l’ape come «quella del miele»369 implica il fatto che a sua volta il nome pansemitico per «miele», basato sulla radice *DB/Pš370, abbia in ebraico assunto una forma *d ebar con rotacismo della terza radicale371: anche in questo caso l’evoluzione fonetica sarebbe stata indotta dall’influsso dei lessemi su *DBR per «parlare profeticamente» e «parola profetica», tipici dell’ebrai-co biblico, sulla base delle mie ipotesi di un collegamento egeo-cananaico fra il miele e la parola ispirata.

più recentemente, Butterworth 1970. Nel testo biblico, inoltre, benché si tratti di luoghi e piante diverse, la possibile identificazione delle due D ebôrâ bibliche (sopra, p. 105 e n. 356) porta all’accostamento della palma e della quercia sottolineandone le valenze vaticinali: se la quercia della sepoltura della D ebôrâ nu-trice a Beth-El è denominata ’ēlôn bākût «quercia del pianto» in Gen. 35, 8, la quercia, peraltro posta in parallelismo con ṭabbûr hā’āreṣ «ombelico della terra» proprio nel citato Giud. 9, 37, è denominata ’ēlôn m e‘ôn enîm «quercia degli indovini»: sulle funzioni vaticinali della quercia anche sull’altro versante del mondo egeo-cananaico, è sufficiente riferirsi alle querce sussurranti dell’arcaico santuario pre-greco di Dodona. La loro duplice natura, dunque, di alberi oracolari connessi anche in natura all’ape e al miele, come vedremo più avanti nel testo e in nota, e di alberi ombelicali (per rappresentazioni che vorrei definire archetipiche di singoli alberi assiali al centro di labirinti in epoca rinascimentale e successive, si vedano Kern 1981, pp. 265 e 295, e l’opera grafica di Alik Cavaliere) costituisce un ulteriore collegamento fra il simbolismo dell’ape e quello del labirinto.

368 Sopra, pp. 23-24. Per gli antecedenti architettonici egeo-(cananaico-)filistei del d ebîr in Palestina, che giustificano l’adozione dal sostrato della denominazione in ebraico con i due diversi adattamenti fonetici, sopra alle pp. 19-20.

369 Si veda sopra, alla n. 19.370 Cohen 1993, pp. 215-16.371 Sopra, p. 97.

Page 103: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

103

Alla luce delle considerazioni fin qui prodotte, non si può tuttavia escludere che alla formazione di ebraico d ebôrâ abbia contribuito anche la percezione di un suo collega-mento con ṭabbûr «ombelico, centro focale della terra», sia nella prima attestazione di D ebôrâ come nome proprio nella Bibbia, sia in generale come nuovo nome cananaico per ape a causa dell’associazione naturale dell’ape alle grotte e alle cavità arboree, in partico-lare di alberi sacri come le querce, dove l’ape non addomesticata depone il suo miele372. In un processo di graduale acclimatazione del neologismo ebraico per «ape», governato dall’influsso formale dei lessemi su *DBR relativi alla parola divina e profetica, si potrebbe così postulare un’originaria forma *ṭabbûrâ, idonea all’ape e alla stessa profetessa-nutri-ce-ape come «quella del ṭabbûr» ed evolutasi in *dabbûrâ per tale influsso formale373. Un nome proprio Tbrt figura peraltro in una stele egiziana dell’avanzata diciottesima dinastia374 e trova confronti con altre analoghe attestazioni dell’onomastica egiziana del Nuovo Regno, riconducibili a Tbry375. Gli editori Hüttner e Satzinger avanzano un ragio-nevole accostamento di questo nome con l’ebraico D ebôrâ376 sulla base dell’abituale tra-scrizione egiziana t della d semitica377, anticipando così al XIV secolo l’attestazione di tale nome: una t egiziana può tuttavia pure correlarsi all’enfatica semitica ṭ378 e rimandare così anche alla possibile fonetica originaria con *ṭ- iniziale qui supposta per il nome proprio ebraico. La tarda notazione masoretica caratterizzata dal vocalismo di D ebôrâ379 e dalla mancanza di raddoppiamento della labiale intermedia380 contrasterebbe peraltro sia con la testimonianza della doppia labiale nei termini passati dall’ebraico in aramaico, sia con la ricostruzione del lemma comune nel Dictionnaire des Racines Sémitiques di David Co-hen381, che risulta appunto essere *dabbûr- (â), in tutto adeguata, salvo che nella qualità della dentale iniziale, alla mia ulteriore ipotesi etimologica.

Ritengo tuttavia sufficienti le argomentazioni volte a ricondurre a una stessa radice *DBR sia i nomi ebraici per ape e miele, sia il termine d ebîr, che appare condividere con

372 Sebbene più indirettamente, la connessione col miele dell’altro albero oracolare della Bibbia, la palma, si evince dalla comune denominazione in semitico del miele delle api e di quello ricavato dai datteri: si veda ancora Cohen 1993, pp. 215-16, al lemma citato. Sull’argomento: Aspesi 2002, pp. 919 (n. 1) e 925.

373 Sulla probabile pertinenza di un tratto di sonorità nella realizzazione in epoca antica della dentale enfatica semitica, si veda Loprieno 1977, p. 136, che fa tra l’altro riferimento all’uso paleo-babilonese del segno grafico d per la resa del fonema ṭ. La connessione percepita dai Greci fra ojmfalovı e ojmfhv «parola divina, oracolo» (Delcourt 1955, pp. 148-49) è peraltro parallela a una possibile contaminazione di ṭabbûr con la radice *DBR di dābār, termine che presenta una specifica connotazione di «parola di Dio e dei profeti (o profetesse)», come ho già avuto modo di rilevare (sopra, p. 24, n. 56).

374 Hüttner, Satzinger 1999, p. 114.375 Ranke 1935, p. 379 (22) e Schneider 1992, p. 147.376 Hüttner, Satzinger 1999 citato, p. 116; tale avvicinamento viene proposto anche da Schneider

(1992, ancora alla p. 147) per il nome di una cantatrice di Amun dell’epoca di Ramses II.377 Helk 19712, p. 538.378 Si vedano Cohen 1969, pp. 155-56, che si riferisce tuttavia non tanto alle trascrizioni quanto alle

corrispondenze fonetiche d’ordine genealogico, e Loprieno 1977 citato, p. 138, che registra, proprio a partire dalla seconda parte della diciottesima dinastia, la tendenza a trascrivere in egiziano l’enfatica ṭ del semitico anche con t.

379 Sostanzialmente conforme a quello della forma ricostruita. 380 Possibile esito di un ulteriore adeguamento a termini su *DBR, in primis dābār.381 Cohen 1993 citato, p. 213.

Page 104: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

104

ṭabbûr il collegamento con la base egea *da(/u)bur- di greco da-pu2-ri-to / labuvrinqoı, per poter affermare che il nesso egeo-cananaico fra l’ape e il labirinto sembra trovare pro-prio in ebraico delle modalità di lessicalizzazione.

Page 105: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

105

III.2 POSSIBILI CONNESSIONI EGEE DI EBRAICO ’ªdāmâ:

A PROPOSITO DI LINEARE A (i-)da-ma-te

Secondo alcune accreditate ipotesi d’interpretazione382, la lettura i-da-ma-te delle due iscrizioni in Lineare A su bipenne AR Zf 1 e 2, che presentano i quattro segni AB 28 - AB 01 - AB 80 - AB 04383, operata adottando i valori fonetici accertati per la Lineare B384, ci attesterebbe il nome cretese alla base di greco Dhmhvthr385.

I tentativi di attribuire a Dhmhvthr un’etimologia indeuropea, a partire da un’invo-gliante scansione Dh-mhvthr che parrebbe facilmente rimandare alle caratteristiche ma-terne della divinità greca della vegetazione e del raccolto, sono incappati nella difficoltà di attribuire,un confronto convincente a Dh-, volta a volta riferito a nomi per «terra» (il fantomatico *da~ di Kretschmer, il cqwvn delle etimologie illiriche di Pisani e Georgiev, il termine pre-greco imparentato a cqwvn di Heubeck o il dh~moı di Benfey riproposto da Durante386), per «casa» (indeuropeo *dem-, secondo Fick-Bechtel e Fraenkel387), oppure per «razione, porzione alimentare» (Van Windekens 1966, sulla base di daivı, daitovı o daitrovn388). Di fatto è la polimorfia del nome nei diversi dialetti greci (a fianco dell’at-teso dorico Damavthr, si ha a che fare con l’eolico Dwmavthr e col tessalico Dammavthr) a impedirne un’etimologia soddisfacente389 e a suggerire la tesi che le sue diverse forme testimonino delle difficoltà di adattamento al greco di un teonimo di sostrato390.

382 Pope 1956, pp. 134-35, Townsend Vermeule 1959, Negri 1998. 383 Secondo la numerazione dei segni e la catalogazione dei testi di Godart, Olivier 1979-85 (GORILA).384 Consani, Negri 1999 (PTILA), in particolare alle pp. 230 e 265.385 Occorre comunque segnalare che questa interpretazione non è di accettazione generalizzata. Si

vedano, ad esempio, i dubbi al riguardo in Duhoux 1994-95 e la stessa posizione complessivamente agno-stica espressa nell’opera citata alla nota precedente.

386 Kretschmer, Wahrmann 1926, 240, Pisani 1935, pp. 30 e 38-39, Georgiev 1937, pp. 9 ss. e 20 ss., Heubeck 1961, pp. 75 ss., Durante 1970, pp. 49 ss.

387 Fick 1894, p. 439, Fraenke 1953, pp. 50 ss.388 Semanticamente affine all’etimologia di Van Windekens è quella antica su cretese dhaiv (glossa

dell’Et. Magn. 264, 12, s.v. Dhwv): si vedano, al riguardo, Threatte 1967, pp. 188 ss. e Beschi 1988, p. 844.389 Nonostante il tentativo di Hamp (1968, p. 200) per riportare tali occorrenze a una serie apofonica

indeuropea, glissando sulla geminazione della nasale labiale in tessalico.390 Baumbach 1979, pp. 149-50, Pope 1956, p. 134, n. 2 e, soprattutto, Townsend Vermeule 1959,

sulle cui argomentazioni ritornerò in seguito. Chantraine stesso (1968, p. 273) accenna a tale ipotesi, ritenendola comunque «indimostrabile».

Page 106: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

106

A dispetto dell’originaria lettura Dhmhvthr da parte di Ventris e Chadwick (1953, p. 58) di Lineare B da-ma-te nella tavoletta catastale En 609 di Pilo, molto più verosimilmente interpretabile come davmarteı «casa, famiglia, proprietà familiari» o come il nome d’un tipo di funzionario391, il nostro teonimo non sembra trovare attestazioni esplicite a tutt’oggi in miceneo. Proprio l’assenza di un nome per Demetra nella documentazione in Lineare B, ha indotto il linguista Adrados a pensare a tale divinità a proposito delle ricorrenze di po-ti-ni-ja392, bene adattandosi le caratteristiche di Demetra ai culti connessi con le divinità femminili che l’archeologia micenea ci attesta in continuità con quella minoica393. La natura di Demetra, peraltro, la qualità dei miti ctoni su di essa incentrati e i riti misterici ad essa indirizzati, in primis quelli eleusini, collocano tale divinità in un ambito non solo proto-greco, ma quasi certamente pre-greco394, indiziariamente più mediterraneo che indeuropeo.

è Picard, fra gli storici della religione greca, il più deciso assertore dell’origine cretese del culto di Demetra, a partire dal suo lavoro del 1927, dal significativo titolo Sur la patrie et les pérégrinations de Déméter; nella sua opera del 1948 sulle religioni pre-elleniche, riaf-ferma ripetutamente tale origine (p. 144 e altrove) e sottolinea come i culti agrari a Creta siano serviti per l’organizzazione dei misteri (p. 148)395.

Non senza fondamento, quindi, Pope, già nel 1956 (pp. 134-35), suggerisce la possibi-lità di interpretare come «Damate(r) = Demeter» i tre segni successivi al primo dell’iscri-zione in lineare A sul frammento di bipenne votiva d’argento del museo d’Iraklion (AR Zf 2), a condizione che il primo segno «were used as a prefix».

In una nota dello stesso articolo, l’autore sottolinea l’associazione della doppia ascia con divinità femminili a Micene e a Creta; Pope fa particolare riferimento all’anello d’oro del tesoro dell’ acropoli di Micene dove una dea seduta con papaveri riceve offerte396, aven-do una doppia ascia sullo sfondo397.

391 Secondo, rispettivamente, Pugliese Carratelli (1954, p. 92 e 1954 bis, p. 225) e Lejeune (1958, pp. 192 ss.). L’interpretazione di Pugliese Carratelli è stata ed è largamente condivisa. Per una rassegna biblio-graflca del dibattito al 1968, epoca in cui le opinioni in merito possono considerarsi consolidate, si rimanda a Gerard Rousseau (1968, pp. 53-54).

392 Adrados 1956, pp. 396-97. Ovviamente tale accostamento rimane nel campo delle ipotesi, tant’è che altri pensano ad identificazioni della Potnia micenea con divinità come Artemide (Palmer 19652, p. 138) o Atena (Pugliese Carratelli 1959 bis, p. 415), o con altre ad esse assimilabili. Gallavotti (1957 bis) ritiene un epiteto di Demetra pe-re-82 del testo di Pylos Tn 316.

393 Anche le vestigia micenee scoperte sotto il telesterion di Eleusi sembrano testimoniare direttamente del culto di Demetra in tale epoca (Darque 1981).

394 Sull’arcaicità dei culti dedicati a Demetra, si rimanda, uno per tutti, a Beschi 1988, p. 845. Circa le identificazioni della dea con divinità femminili della terra in Asia Minore e a Creta, cfr. Farnell 1907, pp. 31 ss.

395 Nell’inno ‘omerico’ a Demetra, «one of the earliest and most important literary testimonial to the Eleusinian mysteries» (Alderink 1982, p. 1), è la stessa dea che dice di essere venuta da Creta (vv. 123-24); Esiodo (Theog. 969-71) ambienta peraltro a Creta lo iJerovı gavmoı della dea con Iason e Diodoro (5, 77) riferisce della celebrazione dei suoi riti iniziatori a Cnosso, «sin dai tempi antichi» e «apertamente nei confronti di tutti».

396 La dea è seduta ai piedi di un albero da frutta; mentre due personaggi della stessa taglia della dea le offrono fiori, altre due figure più piccole attorno ad essa, sempre femminili, hanno a che fare una con la frutta e l’altra con orzo o con grano, forse solo casualmente uno degli elementi più caratteristici dell’ico-nografia di Demetra in epoca classica.

397 Circa l’associazione della doppia ascia con divinità femminili, Pope cita Whaites (1923) e Evans

Page 107: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

107

Townsend Vermeule (1959), fornendo a proposito dell’altra bipenne votiva da Arka-lochori con la stessa iscrizione, quella aurea conservata al Museum of Fine Arts di Boston (AR Zf 1), ampie e persuasive argomentazioni di carattere archeologico-letterario, parzial-mente anticipate qui in nota e alle quali complessivamente rimando, sostiene con ancor maggior decisione l’attribuzione del senso dell’iscrizione a Demetra. L’autrice, pur non approfondendo più di tanto la complessa problematica più strettamente epigrafica, opta per la lettura i- del primo segno, della quale non appare più lecito dubitare oggi dopo la pubblicazione di Godart-Olivier 1979-85398, e presenta le due più evidentemente possibili interpretazioni per la sequenza i-da-ma-te: quella di Pope basata sul nome di Demetra e quella di Boufides (1953-54), prima edizione dello stesso frammento argenteo del museo d’Iraklion, «Ida mater», «la (dea-) madre del monte Ida»399. Poiché «the mater (di Ida Mater) is Greek, the inscription is not», la Townsend Vermeule (1959, p. 7), che pro-pende per il significato di Demetra anche per le ragioni extra-epigrafiche sopra accennate, nonostante giudichi in apparenza verosimile un’etimologia greca di Dhmhvthr, afferma che «l’unico modo di salvare Demetra come dea minoica è di accettare che il suo nome sia di fatto a false folk etymology, e che essa sia diventata fondamentale nella religione greca per ciò che concerne la terra e la coltivazione, non per essere stata greca fin dalle origini, ma perche i Greci, giungendo dal nord, s’imbatterono in essa quando era un’antica divinità egea in saldo possesso della terra e saggiamente l’adottarono come loro» (ivi, pp. 7-8).

Le argomentazioni filologiche accennate da Pope e approfondite dalla Townsend Ver-meule per un’interpretazione incentrata su Demetra delle iscrizioni AB 28-01-80-04 «i-da-ma-te» sulle due bipenni votive da Arkolochori bene si conformano con quanto detto sopra a proposito della natura pre-greca di tale divinità e, in particolare, alle posizioni al riguardo di Picard sulla sua genesi ‘cretese’.

(1921-35, II, p. 277). L’anello è descritto in Nilsson 1927, p. 300. lvi, p. 187, n. 1, Nilsson discute la questione in disaccordo con Cook (1914-40, II, p. 533: Cook ritiene la bipenne pertinenza anzitutto del dio-cielo e solo secondariamente della dea-terra) e si rifà a Picard (1922, pp. 517-20); alle pp. 191-92 ritor-na sull’argomento a proposito dello stampo di Palaikastro (cita anch’egli Evans 1921-35, ma in I, p. 447). Cfr. anche Pestalozza 1945, II, 295-96 e, in particolare, Pestalozza 1938, oltre a Townsend Vermeule 1959, pp. 6 e 9; da ultimo, Marinatos 1993, p. 4. La doppia ascia non appare comunque esplicitamente come attributo di Demetra in epoca classica (Townsend Vermeule 1959, p. 13), «but the cult of the double axe in Caria supplies the missing link» (ivi, dove si portano altri elementi al riguardo; per l’ascia e la bipenne nella monetazione lidia e frigia in tarda epoca imperiale, cfr. Collini 1990, p. 268): particolarmente sugge-stiva appare poi, in Townsend Vermeule 1959, p. 14, l’interpretazione di miceneo wa-o seguito dall’ide-ogramma della bipenne in Ta 716 (Pylos) come lo a[or di crusavoroı, epiteto di Demetra al quarto verso dell’inno omerico a lei intitolato.

398 Pope (1956, p. 134), infatti, oscilla ancora fra tre possibili letture del primo segno, i-, -ai e -no, preferendo «to leave the question open». Altri hanno proposto anche una lettura se (p.es., Georgiev 1957, p. 5). L’identificazione del primo segno di entrambe queste iscrizioni su bipenne da Arkalochori con il segno AB 28, il cui valore fonetico [i] in Lineare B è accertatamente condiviso dalla Lineare A, è infatti ormai fuor di dubbio (Godart-Olivier 1979-85, IV, pp. 142-43); la lettura -da-ma-te degli altri tre segni, in successione - AB 01- AB 80 - AB 04, è altrettanto certa in Lineare A (Negri 1998 e 1998 bis).

399 Questa interpretazione sulla base del greco, o comunque di una lingua indeuropea, viene ripresa da Pugliese Carratelli (1957, pp. 171 ss.) e da Peruzzi (1959-60, pp. 103 ss.). Crevatin (1975, pp. 32-33) accetta come possibile l’identificazione di i-da con l’oronimo cretese, ma, affermando che l’analisi morfologica dei testi votivi in Lineare A ci presenta una lingua «per certo non indeuropea», avanza una diversa ipotesi interpretativa per il segmento -ma-te.

Page 108: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

108

Resta il problema della i- iniziale in cui Pope vorrebbe genericamente riconoscere «un prefisso». Egli fornisce due altri possibili casi di alternanza i-/0- all’inizio di una stessa successione di segni, esempi che appaiono piuttosto poco significativi400: i casi più eviden-ti di alternanza i -/0- si hanno nelle note coppie di termini delle cosiddette ‘formule di libazione’, come ja-sa-sa-ra- / a-sa-sa-ra-, ja-di-ki-te- / a-di-ki-te-te e ja-ta-i-301-u-ja / a-ta-i-301-wa-ja: in questi casi, però, la i- iniziale è di tipo semivocalico in quanto seguita da vocale a- e soggetta quindi anche a fenomeni di grafia difettosa, specie nelle scritture di tipo sillabico. è in ogni caso a tutt’oggi impossibile, alla luce degli studi sulla Lineare A e sulla lingua (o lingue) ad essa sottese, attribuire a un prefisso i- un valore di preposizione dativale.

Un approccio comparativo della duplice iscrizione i-da-ma-te, intesa come unico lesse-ma e in particolare come il nome di una divinità femminile della terra e della vegetazione, nell’ambito del sostrato che ho denominato «egeo-cananaico», sembrerebbe fornire una nuova chiave interpretativa.

In altra mia ricerca401, mi dedico a mettere in rilievo, a partire dai suoi impieghi concla-matamente teologici402, le connotazioni antropomorfiche-sacrali dell’ impiego nella Bib-bia di ebraico ’ªdāmâ (da un tema femminile *’adamat- ) «terra come sostanza materia-le», «suolo» e, in alcuni significativi contesti, «terra fertile, fruttifera», giungendo alla conclusione che tale nome sia la continuazione, sub specie di denominazione di elemento naturale, di un antico teonimo riferito ad una divinità femminile; fenomeno non insolito nell’ebraico biblico, dove i nomi di altre divinità cananaiche o pre-cananaiche figurano risemantizzati a significare elementi naturali con esse strettamente connessi, in una sorta di ‘naturalizzazione’ di antiche divinità consona al processo che porta dal politeismo cana-naico al monoteismo dei profeti d’Israele.

Senza scendere in ulteriori dettagli filologici e bibliografici, riprendo qui una delle testi-monianze che ritengo più significative al riguardo, il testo di Gioele 1, 10: šuddad śādeh ’āb elâ ’ªdāmâ kî šuddad dāgān hôbîš tîrôš ’umlal yiṣhār. In questo versetto’ªdāmâ è in lutto poiché (o «allorché») dāgān, il grano, è distrutto, tîrôš, il mosto, è disseccato e yiṣhār, l’olio, languisce. Come’ªdāmâ rispetto al quasi-sinonimo’ereṣ, questi tre nomi di prodotti agricoli figurano spesso in formulazioni cultuali, molto più frequentemente e significativamente dei loro sinonimi più diffusi in semitico e di uso più corrente nella Bib-

400 Si tratta, utilizzando qui l’edizione dei testi e la numerazione dei segni di Godart-Olivier 1979-85, delle successioni di segni AB 28-16-118 (i-qa-dwo) di HT 44a e AB ]28-67-60 (]i-ki-ra) di HT 25a. La prima viene confrontata da Pope con AB 16-118-60-27 (qa-dwo-ra-re) di HT 96b: siamo in presenza di due ha-pax non riportabili con certezza ad uno stesso lessema, perché non è accertabile la natura morfematica della terminazione -ra-re. Oggi siamo in grado di aggiungere altri due possibili confronti: AB 16-118(?)-31 (qa-dwo?-sa) di HT 70, hapax anch’esso e nelle stesse precarie condizioni di confrontabilità di AB 16-118-60-27, e AB 16-118[ ] (qa-dwo [ ]) di KH 10, sempre hapax, ma che potrebbe meglio rappresentare l’alternanza iniziale i-/O-, se non fosse per l’incertezza determinata dalla frattura con erasione che segue il segno 118. La seconda sequenza, AB ]28-67-60 di HT 25a (hapax), viene accostata da Pope alla successione AB 67-60 (ki-ra) di HT 103 e di ZA 8: qui, è la frattura che precede il segno 28 in HT 25a a ostacolare il confronto. In generale, poi, la collocazione nei rispettivi testi, scarne registrazioni contabili, di tutti questi hapax e delle due ricorrenze di AB 67-60, presumibilmente toponimi o antroponirni, non consente di intravedere possibili condizioni di opposizione morfologica.

401 Aspesi 1996.402 Plöger 1988, in particolare dalla col. 200.

Page 109: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

109

bia403: dāgān e tîrôš sono accertatamente due divinità cananaiche (o precananaiche)404 ri-dotte a elementi naturali nella Bibbia, yiṣhār, nonostante manchi a tutt’oggi di un preciso confronto, è sospettato di essere tale405. A possibile indiretta conferma della loro originaria natura di nomi propri, questi stessi tre nomi figurano poi, in questo e in altri passi, privi dell’atteso articolo determinativo; il ricorrere di ’ªdāmâ senza articolo in questo contesto costituisce, a mio parere, un indizio consistente di un analogo precedente divino per tale nome, precedente che ritengo possa individuarsi nel teonimo femminile adamma di una divinità hurrita, teonimo che è attestato, oltre che a Ugarit, Khattusha e Alalakh, già in testi eblaitici del terzo millennio, dove compare come il nome della paredra di Rasap.

Sebbene la causa specifica della devastazione descritta in questo stesso versetto e in quelli ad esso circostanti sia attribuita in Gioele ad una invasione di cavallette, il conte-nuto agreste arcaizzante del libro fa supporre l’uso di formule e di materiale più antico della datazione che oggi si tende ad attribuirgli406. Tale fraseologia ‘tradizionale’ appare connessa con antichi culti della fertilità del vicino oriente e cananaico407 e descrive il lutto della natura con risonanze che ricordano l’atmosfera dei versi 302-309 dell’inno ‘omerico’ a Demetra, laddove la bionda dea, sedendo in disparte da tutti gli dei e struggendosi nel rimpianto della figlia (baquzwvnoio qugatrovı) Persefone dalla vita sottile, rese quell’an-no agli uomini infausto e tremendo sulla terra feconda (ejpi; cqovna poulubovteiran). In questo contesto, i «molti ricurvi aratri (che) i buoi trascinavano invano sui campi» e il «molto candido orzo (che) cadde a vuoto nella terra» dei versi 308 e 309 dell’inno evocano il versetto di Gioele successivo a quello preso in considerazione, hōbîšû ’ikkārîm hêlîlû kōr emîm ‘al ḥiṭṭâ w e‘al ś e‘ôrâ kî ’ābad q eṣîr śādeh (1, 11), con gli agricoltori confusi e i vignaioli imprecanti per il frumento e per l’orzo, per il raccolto dei campi an-dato in rovina.

Più in generale, Gaster (1969, pp. 642-47 e note) mette in relazione il contenuto del libto di Gioele, dove il lutto della terra prelude al giorno del trionfo di Yahweh, con i miti diffusi in Oriente e altrove nel mondo nei quali la pausa annuale della vegetazione, cui s’accompagna spesso il digiuno rituale, precede le feste del ritorno della fertilità ed è spesso associata al viaggio sotterraneo di una divinità ctonia: lo stesso storico delle religioni, che si rifà a Frazer, compie al riguardo collegamenti espliciti fra il libro di Gioele e i miti di Demetra e Persefone (ivi, pp. 643-45).

Non appare quindi privo di giustificazioni un confronto fra Lineare A i-da-ma-te e ebraico ’ªdāmâ ( < *’adamat- ), pensando a due diverse attualizzazioni di un anti-co teonimo riferito a una divinità femminile della fertilità della terra. Tale confronto renderebbe ragione della i-iniziale delle iscrizioni di Arkalochori, che, come abbiamo visto, costituisce un problema irrisolto per i filologi che propendono per un’interpre-

403 Rispettivamente ḥiṭṭâ, yayin e šemen.404 Healey 19992 e Healey 19992 bis,405 Albright 1968, p. 186.406 Treves 1957, Soggin 19742, pp. 463-64. Per un recente ritorno a una datazione pre-esilica del libro

di Gioele, si veda tuttavia Keller in Jacob, Keller, Amsler 19923, pp. 103-34.407 Soggin (19742, p. 463) ritiene infatti che le tematiche di Gioele siano «in relazione molto stretta

coi culti di fertilità e coi loro problemi», Anche Eissfeldt (1965, p. 363), rifacendosi a Kapelrud 1948, riferisce che «the basic material of the book.. (is) closely connected .. with the ancient Near Eastem and Canaanite fertility cult».

Page 110: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

110

tazione «Damate(r) = Demeter» delle iscrizioni cretesi: essa potrebbe invece così ade-guatamente corrispondere all’attacco vocalico, seppure di timbro diverso, del teonimo vicino-orientale, che in ebraico tende ad affievolirsi quando non si presenti allo stato costrutto.

Ovviamente le due testimonianze lessicali non sono sincroniche, ma il presunto teoni-mo sotteso alle iscrizioni cretesi408 potrebbe a mio avviso connettersi con un antecedente lessicale del nome ebraico nell’ambito del sostrato egeo-cananaico, cioè di quella sorta di lega culturale di cui si evidenziano indizi linguistici e archeologici, suffragati dalle testi-monianze bibliche, antico-egiziane e classiche sulle strette affinità fra popolazioni cretesi e della Palestina pre-israelitica409.

Nel caso specifico, il prototipo (o comunque una sua realizzazione molto antica) delle due emergenze cretese e cananaica dei presunti teonimi qui allo studio parrebbe essere in-dividuabile proprio nelle attestazioni del nome divino adamma a Ebla410 e a Ugarit411, che trovano riscontro negli archivi ittiti di Khattusha e Alalakh412. Come già anticipato, tale nome, di probabile origine siriana, è attribuito nei testi di Ebla alla paredra di Rasap413.

Il quadro d’ipotesi qui delineato conduce ovviamente a considerare il teonimo greco Dhmhvthr come un adattamento al greco del nome cretese, adattamento che si sarebbe

408 Peraltro, secondo Vandenabeele (1985, p. 5), di difficile datazione.409 Sul sostrato egeo-cananaico, cui più volte si è fatto riferimento, si rimanda in generale al capitolo suc-

cessivo (III.3). 410 Per le attestazioni eblaite si rimanda a Pomponio 1993.411 Xella 1981, pp. 317 e 321.412 Laroche 1976, p. 35, Archi 1992, pp. 6-7 e Haas 1978, pp. 67-68.413 Mi sembra pertinente riportare qui in nota quanto da me affermato a proposito di Rasap-Adamma in

Aspesi 1996: «Eblaitico dra-sa-ap, cui corrispondono ršp in ugaritico, fenicio e aramaico e rešep in ebrai-co, benche trovi attestazioni anche in accadico e in antico egiziano (r-š-p-w), è riconosciuto come ‘il nome di una delle più popolari divinità semitico-occidentali, venerata in Siria, Palestina ed Egitto’ (Xella 19992, pp. 1324-25): a Ebla, Rasap sembra messo in relazione con la necropoli reale in qualità di divinità vindice di natura ctonia, caratteristica che è particolarmente evidenziata a Ugarit, dove esso risulta essere il guardiano del cancello del mondo sotterraneo e viene identificato con Nergal. Per non addentrarmi ulteriormente in un ambito, quello della storia comparata delle religioni, che non è di mia specifica competenza, mi limito ad affermare superficialmente come le divinità ctonie e della terra, intesa in particolare come luogo della fertilità, intreccino ripetutamente le loro vicende nella mitologia del Mediterraneo Orientale e della Me-sopotamia: la consorte di Nergal stesso, ad esempio, essa pure sovrana del mondo sotterraneo, è Ereshkigal il cui nome significa in sumerico ‘signora della grande terra’. In generale, divinità ctonie sono associate alla fertilità della terra, fertilità che è spesso propiziata dal viaggio e dalla permanenza negli inferi di una divinità di superficie: in ambito non semitico, ma neppure ‘originariamente’ greco, Demetra e Persefone rappresen-tano il paradigma di una coppia divina, anche se non eterosessuale, che salda nel mito la fertilità della terra al periodico viaggio nell’ombra. Benché nulla si sappia delle caratteristiche di Adamma a Ebla, non si può escludere quindi, in quanto associata a Rasap-Reshef, una sua qualche implicazione con la fertilità della terra che possa rendere il suo collegamento con ebraico ’ªdāmâ sostenibile anche sul piano semantico».

Aggiungo in questa sede la segnalazione della singolare offerta di una bipenne a Rasap in una delle tavolette di Ebla dove Rasap figura con Adamma (Pomponio 1993, p. 5); sarei altresì tentato di azzardare l’ipotesi «estrema» di un qualche influsso sulla genesi di greco Pershfovnh, privo di etimologia convin-cente, di egiziano p’-r-š-f-w, cioè del nome di Reshef preceduto dall’articolo maschile, sulla base delle affinità di ruolo nel mondo infero delle due divinità e della possibile connessione dei nomi delle rispettive compagne (per la rappresentazione maschile di una Persefone-Core, come un bambino-«forestiero», si veda Collini 1990, p. 266).

Page 111: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

111

determinato attraverso la perdita della protesi vocalica e una probabile riformalizzazione della seconda parte del termine in base a una paretimologia su mhvthr.

Nel settembre del 1993 è stato rinvenuto un vaso votivo in pietra a forma di cucchiaio nel santuario minoico extra-cretese di Citera; tale vaso porta iscritti i tre segni AB 01, 80 e 04 in successione. Questo documento, pubblicato da Sakellarakis e Olivier (1994) e classificato come KY Za 2, ci presenta quindi un’attestazione leggibile come da-ma-te in Lineare A414. Gli editori, constatandone l’impiego chiaramente votivo al pari delle due doppie asce da Arkolochori, non dubitano dell’identità sostanziale del messaggio recato dai tre oggetti e non esitano a pensare anche per esso al nome cretese di Demetra. Per l’alternanza i- / 0-, essi si limitano a riportare l’ipotesi di Pope qui sopra esposta, in base alla quale i- non potrebbe essere che un prefisso. Non posso che lasciare la questione in sospeso, non senza però avanzare un tentativo di spiegazione diverso, che, più coerente con le deduzioni fin qui operate, consente di ovviare alla possibile obiezione che le de-diche di oggetti votivi ad una stessa divinità devono presentare, in una medesima tradi-zione scribale antica, una loro certa omogeneità. Appare insolito infatti che una formula dedicatoria possa essere in due casi qualcosa di interpretabile come «a Demetra» e in un terzo caso il solo nome di tale divinità: è forse preferibile, come pura ipotesi di lavoro destinata probabilmente a rimaner tale, avanzare la congettura che, per una differenza più topologica che cronologica, l’iscrizione in un santuario minoico situato fuori di Creta attesti il venir meno della vocale iniziale in conseguenza di una sua progressiva riduzione a evanescente attacco vocalico. Questo fenomeno richiama in qualche modo la tendenza all’indebolimento di ’a- in ebraico ’ªdāmâ, suggerendoci la possibilità di due esiti separati di una comune potenzialità riferibile a uno stesso prototipo, attraverso processi di deriva differenziati anche cronologicamente.

414 Gli editori (ivi, p. 348, n. 19) danno per quasi certe le letture dei segni AB 01 (da) e 04 (te) secon-do i valori fonetici che presentano in Lineare B. Noi riteniamo affidabile anche la lettura di AB 80 (ma) sulla base delle considerazioni di Negri 1998 bis. Sulla rilevanza delle testimonianze della lineare A al di fuori di Creta e in particolare di questa iscrizione di Citera, si veda recentemente Notti 2009, pp. 145-47.

Page 112: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa
Page 113: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

113

III.3 TERMINI SACRALI GRECI E SEMITICI ATTRIBUIBILI A UN SOSTRA-

TO LINGUISTICO ‘LABIRINTICO’ EGEO-CANANAICO

L’evidenza di una specifica interferenza lessicale fra il greco e l’ebraico già in epoca pre-protostorica ha attratto a più riprese l’attenzione degli studiosi, addirittura a partire da Bochart, nella sua Geographia Sacra del 1646. Nell’ambito della linguistica storica, tale attenzione si concentra sostanzialmente nel corso di tre diverse fasi: la prima si colloca alla fine dell’Ottocento e interpreta i lessemi che appaiono comuni a queste due lingue come antichi prestiti dal semitico, in particolare dal cananaico, al greco (Müller 1877, Muss-Arnoldt 1892, Lewy 1895); agli inizi del Novecento prevale invece un’ottica di sostrato, di cui sono portatori in particolare A. Cuny e M. Cohen che interpretano tali affinità lessicali come emergenza separata nelle due lingue da un comune sostrato lingui-stico mediterraneo415. Infine, una terza più recente fase, tuttora in corso, tende ad operare una restrizione del numero di tali confronti, espungendone i più dubbi, e a individuare, dove possibile, le differenti modalità d’origine per ciascuno di essi o per loro insiemi (Ma-yer, in particolare 1960, E. Masson 1967, M. Masson 1979-84, Brown 1968 e altrove, da ultimo 2003).

Di fatto, del ridotto inventario di termini identificabili oggi come comuni al greco e alle lingue semitiche nord-occidentali, in particolare all’ebraico biblico, una parte signifi-cativa per il rilevante contenuto simbolico attinente alla sfera del sacro sembra costituire una costellazione di nomi afferente a specifici culti e riti che, come cercherò di mettere in luce, paiono in particolare riferirsi alla sfera della fertilità e sembrano, almeno in parte, sussistere in epoche successive come possibile eredità neolitica.

Ulteriori confronti da me proposti, come gr. labuvr (inqoı)- da-pu2-r (i-to) « focus cultuale (luogo del)» / ebr. d ebîr «sancta sanctorum, focus cultuale del tempio di Gerusa-lemme», gr. gevranoı (gevrhn nella forma testimoniata da Esichio) «luogo di danze labi-rintiche a Delos, presumibilmente implicate con originari riti agresti» / ebr. gōren «luo-go del raccolto agricolo e delle connesse feste rituali e danze» e gr. devmaı/ ebr. d emût- ant. aram. dmwt «immagine, somiglianza < statua, idolo (significato di base non più attestato in greco)»416, vengono infatti a costituire un nucleo di termini sacrali attorno al quale

415 Si vedano p. es. Cuny 1910 e Cohen 1927. 416 Si vedano, in questo volume, i capitoli I.1 e I.2 per gr. labuvr (inqoı) - da-pu2-r (i –to) / ebr. d ebîr,

i capitoli I.3 e I.4 per gr. gevranoı-gevrhn / ebr. gōren e il capitolo I.5 per gr. devmaı / ebr. d emût.

Page 114: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

114

possono adeguatamente connettersi alcuni altri confronti lessicali greco-semitici già con-solidati e che intendo qui pure ripresentare in quest’ottica.

In particolare, cardine di questo insieme di termini e della interpretazione che di essi si vuol suggerire mi sembra proprio il confronto gr. labuvr (inqoı)- da-pu2-r (i -to) / ebr. d ebîr, delle cui argomentazioni ritengo opportuno riportare qui una pur sommaria e lacunosa sintesi.

La decifrazione della lineare B e la conseguente attestazione di mic. da-pu2-ri-to se-gna una linea di demarcazione nella storia delle etimologie di labuvrinqoı col tramonto del confronto classico che connetteva la base del termine, separata dal suffisso anellenico -inqoı al nome «lidio» lavbruı «bipenne» e l’indebolimento di altri accostamenti a ter-mini inizianti per liquida dal significato connesso più o meno direttamente con «pietra», quali la`aı, lau`ra e i nomi asianici laßra e lap(i)-risa. Anche se l’alternanza d-/l- che distingue il miceneo dalle altre attestazioni greche potrebbe essere sia di natura diatopica che grafica, risulta difficile prescindere dalla forma più anticamente attestata come termi-ne di comparazione. I nuovi tentativi di connessione vanno così in direzione di elementi lessicali inizianti per occlusiva, senza peraltro raggiungere risultati più convincenti.

La difficoltà nell’individuare paralleli lessicali soddisfacenti intra- o inter-linguistici sul piano del significante, avendo quasi certamente a che fare con un nome di sostrato non indeuropeo, ha indotto da subito la maggior parte dei numerosissimi tentativi etimologici a privilegiare, sull’analisi del significante, la ricerca del significato originario del termine, ricorrendo alla testimonianza delle fonti antiche e dell’archeologia; il ricorso a tali ambiti extra-linguistici è peraltro linguisticamente produttivo per nomi ad alto contenuto refe-renziale in quanto connessi in qualche modo con la cultura materiale, come ci insegna la paleontologia linguistica.

Il dibattito sull’attribuzione di un referente originario da-pu2-ri-to / labuvrinqoı può in grande sintesi ridursi alle diverse tesi di coloro che optano per il cosiddetto «palazzo» cretese, quello di Cnosso in primis, e di coloro che pensano a intricate caverne naturali o comunque siti sotterranei, sia scavati che costruiti. La connotazione sacrale, sottesa anche al nodo di tradizioni letterarie sulla vicenda del Minotauro, è spesso implicita nella prima interpretazione e pressocché generalizzata nella seconda.

Entrambe le posizioni appaiono sufficientemente confortate da testimonianze filolo-giche ed archeologiche perché si possa senza scrupoli scientifici adottarne una sacrifican-do l’altra. Se però distribuiamo nel tempo le due diverse interpretazioni sottolineandone la comune connotazione di «luogo di culto», sembra non impossibile riferire la forma preellenica di questo nome alle caverne cretesi che attestano culti già in epoca neolitica: la denominazione si sarebbe successivamente estesa anche alle complesse costruzioni del bronzo medio e recente (o a parti di esse caratterizzate da usi rituali) e, al loro definitivo abbandono, si sarebbe di nuovo ristretta, nella forma assunta in greco-miceneo, alle ca-verne cultuali; alcune di esse attestano infatti una persistenza di pratiche religiose fino e oltre l’epoca classica. Ciò renderebbe ragione a un tempo sia della rappresentazione or-togonale su di una tavoletta d’epoca micenea e su posteriori monete cnossiane, adeguata al labirinto-edificio, sia delle definizioni di labirinto attribuite alle caverne cultuali dai logografi d’epoca tarda.

Un confronto della base di da-pu2-r - i-to / labuvr - inqoı, con ebraico d ebîr «san-cta sanctorum del tempio di Gerusalemme», riportabile a un tema *dabîr, sembra contri-

Page 115: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

115

buire a confermare e meglio definire questo quadro: la forma dei due lessemi è peraltro sufficiente prossima per potersi opporre a un loro accostamento nell’ambito del sostrato. D ebîr non trova confronti in semitico, salvo continuazioni secondarie in etiopico: il tenta-tivo di etimologia su ar. dubr- «dosso, posteriore», debole rispetto al tipo di formazione tematica e al senso, soffre del pregiudizio panarabo della comparazione ottocentesca. Per quanto riguarda poi il referente, il d ebîr rappresenta una particolarità del tempio di Geru-salemme, che si aggiunge alle due parti canoniche del tempio semitico d’influsso mesopo-tamico, ’ûlām e hêkāl, per le quali l’ebraico attesta appunto la terminologia orientale: tale particolarità è invece un’eredità autoctona preisraelitica, come testimonia l’archeologia palestinese. L’oscurità e l’essenzialità della cella recondita del tempio di Gerusalemme può d’altra parte ben rapportarsi alle caratteristiche della caverna cultuale cretese e della sua continuazione rappresentata da un centro cultuale almeno parzialmente ctonio nei cosid-detti palazzi dell’isola, da identificare con ogni probabilità nel cosiddetto bacino lustra-le417. Dato che una delle funzioni del suffisso greco -inqoı è di formare toponimi, una serie di ulteriori considerazioni induce a ritenere che un comune termine di sostrato possa es-sere all’origine sia di ebr. d ebîr che della base non suffissata di da-pu2-ri-to / labuvrinqoı, indicante, in una lingua cretese pregreca, dapprima la caverna cultuale e in seguito il focus cultuale del ‘palazzo minoico’: solo con la sua assunzione in greco, concomitante col so-praggiungere a Creta dei Micenei attorno alla metà del secondo millennio, tale termine assumerebbe la suffissazione locativale ampliando la sua significazione a denotare l’intero «palazzo». I Greci sembrano quindi denominare in tal modo i cosiddetti palazzi in quan-to «luoghi del labir(into), luoghi che includono il labir(into) stesso»: è col predominio dei micenei a Creta, forse pertanto, che, attraverso la suffissazione della base sottesa alla grafia da-pu2-r e la definizione della sua rappresentazione simbolica nelle forme attesta-teci dalla tavoletta di Pilo, il concetto di labirinto si salda definitivamente, nella storia millenaria della nostra cultura, alla pianta schematizzata dei ‘palazzi’ cretesi, all’interno della quale il meandro centrale parrebbe rappresentare simbolicamente il focus cultuale.

Il meandro è infatti significativamente la cifra architettonica, espressa in pianta, sia del bacino lustrale del ‘palazzo’ cretese che del verosimile antecedente architettonico rappre-sentato dal tempio filisteo di Tel Qasile del d ebîr gerosolimitano, quest’ultimo conside-rato non solo il centro cultuale assoluto per l’ebraismo, ma anche l’ombelico della terra.

Il nesso fra labirinto e ombelico, il secondo centro del primo nella rappresentazione canonica del labirinto cretese ortogonale allo stesso modo quindi del meandro centrale, è stato peraltro già messo in evidenza418. Il termine ebraico per «ombelico» appare signi-ficativamente, a partire dalla Bibbia, nella forma di ṭabbûr, priva di etimologia ebraica e isolata in semitico, ma che rimanda con precisione ancor maggiore di d ebîr alla base pre-ellenica *da-pu2-r-: un’unica matrice di sostrato sembra quindi essere alla base dei due nomi ebraici, «entrambi riferiti a uno stesso ambito cultuale antico ed estremamen-te ramificato, ma assunti dall’ebraico biblico secondo modalità certamente differenziate, anche se ovviamente non ricostruibili: l’oscillazione fonetica della dentale iniziale e della

417 Tale ambiente è interpretato come la resa architettonica delle grotte cultuali cretesi nell’ambito del palazzo già in S. Marinatos 1941, p. 130. Si veda di recente anche N. Marinatos 1993, pp. 77 ss., con i relativi rimandi bibliografici.

418 Widengren 1960, p. 14

Page 116: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

116

labiale ben si rapportano alle difficoltà di resa di questi due suoni nelle occorrenze greco-micenee».

La base di gr. da-pu2-r - i-to / labuvr-inqoı mi sembra peraltro trovare riscontro proprio nella lingua anellenica cretese sottesa alla Lineare A, il cosiddetto minoico, che presenta un lessema trascrivibile come (-)du-pu2-re

419 sulla base delle omologie grafiche con la Lineare B. Esso figura almeno due volte come verosimile secondo termine di com-posti nominali attestati su di una tavola di libazione da Paleocastro (PK Za 15) e su di un frammento di pithos rinvenuto a Haghia Triada (HT Zb 160) e, per ragioni al contempo filologiche e archeologiche, può essere interpretato come ‘recesso cultuale’ delle località denominate col primo termine di tali presunti composti.

Una delle principali caverne-santuario di Creta è la grotta dell’Amnisos, prossima all’omonimo porto direttamente collegato al ‘palazzo’ di Cnosso e citata da Omero come sede del culto di Ilitia: «reperti votivi attestano in essa una permanenza del culto dal neoli-tico all’età romana. Al suo interno, il focus cultuale che è identificabile in due stalagmiti af-fiancate, è circoscritto da un muretto a secco la cui forma è esattamente quella del meandro centrale: sebbene non possa essere datato con precisione, Evans vede in esso un temenos cultuale d’epoca minoica» (sopra, p. 26). Con tutte le precauzioni implicite nel tentativo di far corrispondere nomi a referenti in fasi protostoriche, non sembra particolarmente az-zardato associare tale termine di sostrato, già penetrato in «minoico», a specifici santuari ctoni di questo tipo, fin dalle origini connessi probabilmente con culti relativi alla fertilità della terra e femminile, la cui cifra architettonica, rappresentata appunto dal meandro, viene poi formalizzata in quelle particolari sedi di culto costituite dai citati ‘bacini lustrali’ degli edifici palatini: come già detto, i sopraggiunti micenei avrebbero formato, attraverso l’assunzione e la suffissazione -i-to (-inqoı) di questo termine, il nome greco dell’intero ‘palazzo’ cretese, inteso come luogo del du-pu2-re / da-pu2-r - (labuvr-).

Il rilevante nesso formale stabilito fra questo termine ed ebraico d ebîr, nome di un recesso templare destinato a tutt’altro genere di culto, ma che dal punto di vista architet-tonico risulta essere l’eredità del focus cultuale di templi preesistenti sul territorio filisteo-cananaico caratterizzato da una pianta a meandro, induce ad attribuire una diffusione di tale tipo di luogo di culto, in origine ctonio, in un ambito egeo-cananaico, nel quale porre anche la relativa denominazione originaria: non è possibile formulare congetture sull’epoca a cui si può far risalire l’associazione del termine di sostrato che sta alla base di du-pu2-re / da-pu2-r - (labuvr-) e di d ebîr (oltre che di ṭabbûr) a un santuario ctonio pre-sumibilmente adibito a culti della fertilità, e tanto meno alla sua connessione con la forma del meandro o della spirale, o di più complesse rappresentazioni labirintiche a partire da essi, ma le argomentazioni esposte, in particolare per quanto riguarda Creta, ci rimandano a una qualche epoca anteriore, anche di molto, al bronzo recente.

In tale sostrato egeo-cananaico sembra puntualmente inserirsi un’altra connessione lessicale greco-ebraica, significativamente pertinente al labirinto e ai culti della fertilità ad esso riferibili. Si tratta per l’appunto del confronto fra greco gevranoı (in particolare nella forma gevrhn testimoniata da Esichio) «luogo di danze labirintiche a Delos attor-

419 Secondo la numerazione di Godart, Olivier 1979-85 (GORILA) si tratta dei segni (-)51-29-27 della Lineare A.

Page 117: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

117

no all’altare a corna, presumibilmente implicate con originari riti agresti» ed ebr. gōren «luogo della trebbiatura, del raccolto agricolo». Mentre rimando ai capitoli I.3 e I.4 per il dettaglio delle argomentazioni in merito, mi limito qui ad accennare che, a partire da un’interpretazione di gevranoı-gevrhn come nome di danza labirintica coincidente col nome dell’area della danza stessa420, alla stessa stregua di corovı, il confronto con ebraico gōren si giustifica, oltre che sul piano formale421, sulla base appunto del significato di aia destinata alla trebbiatura e al raccolto, luogo di feste agricole, specie notturne, animate da danze; l’ulteriore implicazione con le concezioni labirintiche appare evidente nel raccon-to biblico, allorchè si specifica come il gōren del gebuseo Ornan fosse stato acquistato da David per insediarvi un altare a corna per gli olocausti (2 Sam. 24, 16-25; 1 Cr. 21, 18-26) e successivamente utilizzato da Solomone per costruirvi il tempio di Gerusalemme (2 Cr. 3, 1), incentrato sul d ebîr e ṭabbûr hā’āreṣ «ombelico della terra» per eccellenza.

L’emergenza in greco e in cananaico d’indizi lessicali così simbolicamente pregnanti di sistemi cultuali prevalentemente ctoni diffusi presumibilmente dal neolitico nel baci-no del Mediterraneo orientale, sommersi ma in parte assorbiti da quelli essenzialmente uranici delle popolazioni indeuropee e semitiche ivi sopraggiunte, m’inducono così ad at-tribuire ad un’eredità lessicale in qualche modo omogenea e di questa natura altri termini comuni al greco e all’ebraico.

Nel capitolo 1.5, cerco di mettere in rilievo come greco devmaı, arcaico neutro in -aı, presenti in Omero usi contestuali che rimandano agli impieghi di d emût nell’ebraico della Bibbia, dove riveste un significato di base di «somiglianza», immediatamente riportabile a quello di «somiglianza generica e sommaria», individuato come significato di fondo di gr. devmaı da Vivante, nella sua analisi sulla designazione del corpo in Omero422. La recente acquisizione di un termine dmwt con significato di «statua» in un’iscrizione antico-aramaica del nono secolo423 ci attesta un precedente semitico nord-occidentale dell’ebraico biblico d emût che sembra restituire non solo il concreto significato primario del termine in semitico, ma, secondo l’analisi da me condotta e a cui rimando, anche un possibile significato concreto originario di greco devmaı del tipo «immagine costruita, idolo, statua». La rilevanza di rappresentazioni sotto forma di statua o di idolo prevalen-temente ligneo di divinità perlopiù femminili in culti di sostrato assunti dal mondo greco e presenti in quello cananaico all’epoca della sedenterizzazione del popolo ebraico non è da dimostrare: la gevranoı labirintica di origine minoica veniva danzata a Delos ancora ai tempi di Callimaco attorno al simulacro ligneo di Afrodite posto sull’altare a corna, mentre la ’ªšērâ, palo cultuale a verosimile immagine dell’omonima dea cananaica cui venivano tributati culti della fertilità, faceva parte del corredo delle bāmôt, «luoghi alti di culto», sulla cui denominazione ritornerò, esecrati dai profeti del monoteismo ebraico:

420 Significato da considerare come primario rispetto a quello di «gru», che parrebbe dovuto ad una paretimologia, sia pure già affermatasi in epoca classica. Per l’ipotesi della paretimologia, si veda anche Lawler 1946, che però ipotizza un significato originario diverso.

421 Specie in relazione con la forma riportata in Esichio, con l’ovvia constatazione che termini sussunti da lingue diverse da una stessa matrice di sostrato subiscono specifici assestamenti fonetici.

422 Vivante 1955, p. 44.423 L’iscrizione assiro-aramaica di Tell Fekheriye, dove dmwt con significato di «statua» appare alle

righe 1 e 15 del testo aramaico nella forma determinata dmwt’ (Abou-Assaf, Bordreuil, Millard 1982, p. 23).

Page 118: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

118

nel quadro che qui si delinea, sembra conseguente ipotizzare un’unica matrice lessicale per il greco e il semitico nord-occidentale omogenea alle precedenti.

A partire dalle modalità ricostruibili come comuni allo svolgimento della gevranoı labirintica di Delos e alle danze connesse alle feste del raccolto incentrate sull’area del gōren, ritualizzate successivamente nel Tempio su di esso costruito, ho proposto di indivi-duare come esito di questo specifico sostrato ‘labirintico’ egeo-cananaico confronti lessica-li greco-ebraici già riconosciuti come pertinenti a un più generico sostrato mediterraneo, quali gr. citwvn / ebr. kuttōnet «tunica» 424 e gr. lampavı / ebr. lappîd «fiaccola»425.

Una tale più specifica attribuzione mi è sembrata poi ancor più adeguata al noto e più volte avanzato confronto gr. bwmovı / ebr. bāmâ «altare»426. Un altare di corna è infatti a Delos al centro della danza della gevranoı e della gevranoı-gevrhn intesa come area sacra caratterizzata da tale danza, così come l’altare a corna degli olocausti viene posto da David al centro del gōren, trovandosi poi collocato nell’atrio, pur esso luogo di danze, del tempio ivi costruito da Salomone. L’altare è di per sé un manufatto che, alla stregua del muretto a meandro della grotta dell’Amnisos, costituisce il centro anche simbolico di un luogo di culto, e nei casi concreti la presenza di corna d’animale rimanda a specifici culti sacrificali diffusi nel Mediterraneo antico e dall’originaria valenza di propiziazione della fertilità. In semitico nomi femminili con consonantismo radicale manifesto BM sono portatori di un significato di base «dorso, rilievo» e trovano rare attestazioni solo in ugaritico, babilonese e in moabitico e un uso più esteso in ebraico: già la loro complessiva sporadicità e l’ano-mala omorganicità delle radicali, contrastante con la tipologia delle radici semitiche427, depongono per una loro origine di sostrato.

424 Sopra, pp. 46-47. Il citwvn è indossato dai giovani del corovı labirintico di Il. XVIII e tuniche bian-che vestono le fanciulle che, nella Mishna, ballano per sukkôt «capanne», la festa ebraica inizialmente connessa all’ultima fase della raccolta ormai autunnale, quella dell’uva e della frutta in genere. Nella Bibbia, la kuttōnet, oltre a essere veste femminile, denuncia la sua fondamentale valenza sacrale come abito sacerdo-tale. Il confronto è già segnalato in Lewy (1895, p. 82), come prestito dal semitico al greco. Mayer (1960, p. 11) aggiunge la testimonianza micenea ki-to. Si veda in extenso Brown 1980, pp. 7-15, ripreso in Brown 1995-2001, vol. I, pp. 204-209. In semitico, il termine appare peraltro originariamente nord-occidentale, in quanto l’accadico kitinnu sembra essere un prestito occidentale (Oppenheim 1969, pp. 250-51).

425 La Lawler (1946, p. 118), rifacendosi a Latte (1913, p. 68), asserisce che a Delos la danza della gevranoı «was done at night, by the light of torches and lamps»; tale affermazione, che si avvale del so-stegno del testo callimacheo e della testimonianza epigrafica costituita dalle iscrizioni relative agli inventari dei santuari di (si veda ad esempio Homolle 1882, p. 23) è d’accettazione generalizzata. Torce accese, d’altra parte, sono nelle mani degli uomini pii che, come riportato in De Vaux (19773, p. 476), ancora all’epoca del Nuovo Testamento, danzano nell’atrio del secondo Tempio per sukkôt, di notte, echeggiando ritualmente la trebbiatura notturna di Ornan nel gōren preesistente in quello stesso luogo.

Per il confronto greco-ebraico si rimanda a Gordon 1955, p. 61 e a Rabin 1963, p. 128, che aggiunge la testimonianza dell’ittito lappiya- e del luvio lappi(ya)-, nonostante la mancanza, in anatolico, della terminazione in dentale. Sull’implicazione delle fiaccole in probabili riti di fertilità della terra, d’origine mediterranea, si veda l’episodio di Sansone in Giud. 15, 4-5.

426 Per questo confronto si rimanda almeno a Mayer 1960, p. 333, Brown 1980, pp. 1-7 (rieaborato in Brown 1995-2001, vol. I, pp. 201-204), e Aspesi 1987, su cui ritornerò, oltre ai riferimenti bibliografici ivi contenuti.

427 Sia che si tratti effettivamente di una radice bilittera, già di per sé rara in semitico, sia che fra le radi-cali b e m si voglia interposta una radicale «debole», la omorganicità in base al tratto della labialità delle radicali iniziale e finale contrasta con la tipologia caratteristica delle radici semitiche (Greenberg 1950).

Page 119: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

119

In ebraico biblico bāmâ denota anche specificamente un altare costruito su di un altura e più in particolare l’intero luogo di culto in altura inteso appunto come un grande e com-plesso altare destinato a culti sacrificali ‘cananaici’: la connotazione sacrale aggiuntiva po-trebbe essere il risultato dell’influsso culturale della Mesopotamia sui luoghi di culto della regione palestinese dato che il sintagma bêt-bāmôt «casa, tempio delle alture cultuali»428 appare riconoscibile come calco semantico dal nome mesopotamico della ziqqurat che è in accadico ekurru, prestito dal sumerico E2.KUR.RA «casa, tempio (E2) delle alture, dell’altura (KUR)», calco indotto dall’analogia dei referenti, la ziqqurat e l’altura natu-rale, entrambe basi elevate di luoghi di culto. Tale influsso culturale, per ciò che attiene ai referenti, potrebbe aver raggiunto mediatamente anche la Grecia429, ma la diretta influen-za dell’altare miceneo d’eredità minoica e la diffusione dei luoghi alti di culto nell’intero bacino del Mediterraneo centro-orientale e in particolare a Creta, oltre ovviamente alle considerazioni di natura linguistica, portano a individuare nel confronto bwmovı / bāmâ gli esiti di un comune sostrato collocabile nel bacino del Mediterraneo orientale, precisa-bile anch’esso, alla luce di quanto detto sopra, come egeo-cananaico430.

Per inciso, l’affinità già da me rilevata fra tale vicenda lessicale così interpretata e quella ricostruibile per l’altrettanto collaudato confronto fra greco levsch ed ebraico biblico liškâ sulla base dell’evidente congruenza formale e di un analogo significato di «stanza annessa a un santuario»431 m’induce ad avanzare la possibilità che anche la matrice lessica-le riferibile a questi due termini possa essere ascritta allo stesso tipo di sostrato ‘labirintico’. Tale ipotesi sembra trovare sostegni sul fronte dei referenti, dato che sia levsch che liškâ sono ambienti pertinenti appunto a santuari: una liškâ è poi annessa proprio al tempio salomonico caratterizzato cultualmente dal d ebîr e la sua funzione parrebbe significati-vamente essere quella di locale destinato alla «raccolta delle offerte e in particolare delle primizie»432.

Ritornando all’ambito labirintico della gevranoı, al confronto gr. bwmovı - ebr. bāmâ si connette immediatamente l’accostamento anche formale di gr. kevraı (i.e. * ker-(e)n-) a ebr. qeren (sem. *QRN), dato che, sul piano dei referenti, «al corovı callimacheo danzato da Teseo e dai suoi compagni attorno all’altare col simulacro ligneo di Afrodite si sovrap-pone, in Plutarco, l’analoga gevranoı danzata dagli stessi attorno all’altare a corna detto Cheratone. Fatte salve le specifiche differenze formali, tale altare rientra nella più ampia

428 Tale sintagma figura cinque volte nella Bibbia e una in moabitico, dove si presenta nella grafia consonantica bt-bmt: esso pare riferirsi a un edificio di culto, presente nel perimetro della bāmâ (Aspesi 1985).

429 In Aspesi 1987, p. 185, segnalo che «dalla descrizione del grande bwmovı panellenico di Zeus Olimpico ad Olimpia lasciataci da Pausania (V, 13, 8 ss.), ricaviamo l’immagine di una rudimentale ziqqurat: formato infatti di strati sovrapposti di ceneri dei precedenti sacrifici, esso presenta una scala d’accesso alla sua sommità».

430 Il mio punto di vista espresso nel citato Aspesi 1987 sul confronto in oggetto, e cioè che bwmovı fosse il risultato di una sorta di prestito molto antico dal semitico occidentale, è venuto così a modificarsi nel corso delle mie ulteriori riflessioni.

431 Per questo confronto si veda Aspesi 1991 e, in particolare, alcuni riferimenti bibliografici ivi ri-portati.

432 Aspesi 1991, p. 56: liškâ presenta nel testo biblico un allomorfo niškâ, fatto che costituisce un ulteriore indizio della sua origine di sostrato.

Page 120: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

120

categoria degli altari con quattro corna angolari, diffusi a Creta e in Egitto e utilizzati dagli Ebrei per gli olocausti: altari a corna di questo tipo ci sono pervenuti dai santuari egiziani a Delos»433.

L’altare a corna rimanda poi direttamente, almeno nel culto ebraico, all’olocausto di tori e bovini in genere, oltre che di altri quadrupedi; il toro è peraltro inserito fin dall’età del bronzo al centro di rappresentazioni del labirinto434, come anticipazione del mito re-cenziore del sacrificio ctonio del Minotauro. Non appare fuor di luogo quindi richiamare a questo riguardo un’ulteriore accostamento lessicale greco-ebraico, quello più volte pro-posto fra gr. tau`roı, non isolato in indeuropeo, ed ebr. šôr «toro, bue» (sem. *TWR).

Mentre i confronti lessicali precedenti appaiono confinati al greco e all’ebraico435 e pos-sono così più agevolmente essere interpretati come pertinenti a uno stesso strato linguisti-co prossimo all’insediamento delle popolazioni greche e semitiche occidentali nelle loro sedi storiche, i confronti kevraı / qeren e tau`roı / šôr segnalano, con la loro estensione alle altre lingue indeuropee e semitiche, l’emergenza di un sostrato più profondo. L’omo-geneità complessiva di tutti questi confronti, riportabili in toto a una specifica ritualità preistorica di tipo ‘labirintico’ e ascrivibili nel loro insieme a una definita area di sostrato, quella appunto egeo-cananaica, induce tuttavia a ipotizzare un’assunzione delle due ma-trici lessicali preistoriche di kevraı / qeren e tau`roı / šôr da parte del sostrato egeo-ca-nanaico preliminare alla loro emergenza in greco e in ebraico, oppure ad assegnare a strati linguistici più profondi le matrici degli altri termini, attribuendo il fatto che siano emerse solo in greco e in ebraico alla specificità dei culti di sostrato cui si erano trovate connesse; per quanto concerne il confronto cardine gr. labuvr - (inqoı) - da-pu2-r - (i-to) / ebr. d ebîr, tale profondità temporale sembra consona, oltre ai riferimenti indiziari ai remotis-simi culti ctoni cretesi come quelli dell’Amnisos, all’antichità delle prime testimonianze grafiche relative al labirinto436.

Anche l’implicazione del sacrificio cruento nei culti ctoni propiziatori della fertilità, di cui l’uccisione del Minotauro è un riflesso nel nodo delle concezioni labirintiche e le isoglosse di sostrato greco-ebraiche relative all’altare, alle corna e al toro appaiono essere un riscontro lessicale437, mi autorizza a ritenere passibili d’inclusione nel sostrato egeo-ca-nanaico i confronti greco-ebraici che Brown (1979, 1980 e 1995-2001) accorpa sulla base della condivisa constatazione delle evidenti somiglianze, evidentemente di sostrato, nei culti sacrificali dei Greci e degli Ebrei438. Ai nomi del toro, delle corna, dell’altare e della

433 Sopra, p. 47, con le relative note.434 Si veda l’affresco frammentario riportato alla luce durante lo scavo del «palazzo minoico» a Tell-

el-Dab’a, l’antica Avaris, nel delta egiziano (Bietak 1996, pp. 73 ss. e tavv. IV e V).435 Salvo lo sporadico coinvolgimento di altre lingue semitiche del nord-ovest, come il moabitico bmt

(peraltro, al pari dell’ebraico, varietà del cananaico) e l’antico aramaico dmwt.436 Per le quali si veda Kern 1982, in particolare alle pp. 87 ss. 437 Il simbolismo greco e orientale «tunica-pelle», per il quale rimando a Brown 1980, pp. 11 ss. e

a Simonini in Porfirio 1986, pp. 149-52, denuncia peraltro l’ambito sacrificale anche dell’isoglossa gr. citwvn - ebr. kuttōnet «tunica» (si consideri il contenuto di Lev. 7, 8).

438 Si vedano, fra gli altri, Yerkes 1952, De Vaux 1964 e più recentemente Grottanelli 1988, oltre naturalmente i tre lavori di Brown citati nel testo. In De Vaux 1964, p. 47, troviamo altri confronti greco-ebraici che l’autore inserisce in tali somiglianze, dei quali almeno gr. mavza / ebr. maṣṣâ «pane azzimo» potrebbe essere ascritto al sostrato egeo-cananaico per le concrete caratteristiche del referente e le sue

Page 121: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

121

tunica, anche da me presi in considerazione, egli aggiunge in quest’ambito i confronti gr. oi\noı / ebr. yayin «vino»439 e gr. livbanoı / ebr. l ebônâ «incenso»440, dato che libazioni di vino e offerte d’incenso s’accompagnano ai sacrifici cruenti. La diffusione di tali nomi in altre lingue indeuropee e semitiche suggerisce di attribuire le matrici di tali termini al sostrato profondo dei nomi per toro e corna, ma la loro natura di termini sacrificali li can-dida a un’assunzione al successivo strato linguistico ‘labirintico’ egeo-cananico.

Questa specifica articolazione del più generico sostrato linguistico mediterraneo, nel corso di un suo ulteriore approfondimento e consolidamento, potrà accogliere, nel no-vero piuttosto ristretto di quelli finora formulati441, ulteriori confronti greco / ebraici (o comunque greco / semitico-occidentali) a contenuto più direttamente sacrale o riferibile ad accessori del culto, come nomi di vasi o di strumenti musicali.

All’ambito areale egeo-cananaico pertiene anche un’ampia metafora che connette il miele alla parola ispirata, profetica o poetica, e l’ape alla profezia, e che presenta la stessa configurazione nel testo ebraico della Bibbia e nella letteratura greca antica. Lo studio di questa articolata metafora mi ha condotto ad assimilare sul piano lessicale la radice mel- di greco mevloı «canto lirico, poesia», il significato di base della quale è per Szemerényi «declamare solennemente», alla radice mel- di greco mevli (*mélit-) «miele», da cui me-vlissa «ape», per analogia con la struttura dei termini ebraici per «parola (profetica)», «miele» e «ape», basata sulla comune radice consonantica *DB(R)442.

In questo quadro viene a determinarsi un altro confronto greco-ebraico, quello appun-to fra greco mevloı, così ridefinito etimologicamente, ed ebraico millâ, che, termine gene-rico per «parola» in aramaico, penetra nell’ebraico biblico, dove, ancor più del termine propriamente ebraico per parola dābār (su *DBR), assume connotazioni di «eloquio solenne»443, adeguato quindi alle cerimonie rituali.

L’implicazione dell’ape e del miele nella profezia, testimoniata fra l’altro dalla presenza di api-profetesse sia nel mondo greco che in ambito ebraico, la Pizia mevlissa di Delfi e la D ebôrâ («Ape») giudicessa d’Israele che profetizza all’ombra di una palma, mi ha con-sentito di collegare a una stessa radice egeo-cananaica (che figura emergere nel semitico nord-occidentale come *NWB - *NB’) nomi semitici per «miele», «ape» e per «profe-

connotazioni rituali (oltre all’accostamento dei nomi greci ed ebraici per l’altare e il vino, De Vaux avanza qui anche un confronto gr. mw~moı - ebr. m e’ûm basato sul significato astratto di « mancanza»).

439 Particolare rilevanza «labirintica» assumono in merito i confronti greco-semitici contenuti in Brown 1969, dato il coinvolgimento del vino nei prodotti del gōren, in particolare per quanto riguarda lo strettoio (yeqeb: sopra, p. 43).

440 Per il quale confronto e per le diverse ipotesi d’inquadramento si vedano almeno Muss-Arnolt 1892, pp. 117-18, Lewy 1895, pp. 44-45, Mayer 1960, p. 324 e Masson 1967, pp. 53-54.

441 A partire dai lavori citati nella precedente nota. 442 Capitolo II.2.443 Ivi, p. 82, dove postulo per il semitico nord-occidentale, una delle possibili innovazioni di tipo

amorreo, innovazioni che agevolmente si affiancano alle emergenze del sostrato egeo-cananaico diretta-mente nelle lingue cosiddette cananaiche (sostanzialmente il fenicio, l’ebraico e il moabitico, più alcuni esigui resti epigrafici): si consideri la stretta commistione fra elementi linguistici amorrei e cananaici già in ugaritico. Secondo l’interpretazione di Szemerényi (1954), che considera mevloı «canto» e mevloı «arto» due lemmi distinti, mevloı «canto» non trova riscontri in altre lingue indeuropee, situazione che ci consente di ipotizzare anche per il greco un’emergenza dal sostrato.

Page 122: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

122

ta» (in primis l’ebraico nâbî’ 444) e il nome greco nuvmfh «ninfa», sia per la frequente identificazione delle Ninfe con le api nel mondo greco, sia per la funzione mantica spesso attribuita alle Ninfe stesse445.

Questa ampia metafora, con le implicazioni d’ordine lessicale qui accennate, sembra peraltro potersi attribuire al sostrato egeo-cananico, non solo per la sua estensione areale, ma anche per le sue connotazioni ‘labirintiche’: l’archeologia, l’epigrafia e lo stesso lessico testimoniano di strette connessioni fra l’ape, simbolo della mantica, specie femminile, e il labirinto, inteso come centro ctonio di culto e di riti essenzialmente riservati alla fertilità della terra e della donna446.

Lungi dal presumere di poter fin d’ora collocare adeguatamente questa specifica arti-colazione del sostrato linguistico mediterraneo nella complessità del quadro relativo ai «contatti e conflitti di lingue nell’antico Mediterraneo»447, mi sembra opportuno met-terla in evidenza per la sua specificità areale e di contenuto. L’area è quella del Mediter-raneo orientale e più in particolare quella dell’Egeo, destinata a diventare la sede storica dei Greci indeuropei e quella della contrapposta sponda siro-palestinese, che accoglierà le popolazioni semitiche nord-occidentali, lasciando in qualche modo a margine, almeno per quanto riguarda i riscontri lessicali, l’Egitto, l’Anatolia e la stessa Mesopotamia; il contenuto si configura come una compatta costellazione di termini sacrali relativi alle sedi e ai riti di specifici culti ‘labirintici’ della fertilità affondanti le loro radici presumibilmente nella società agricola precedente la formazione delle prime entità urbane: questa costella-zione di nomi avrebbe accompagnato i processi sia di sincretismo che di emarginazione conseguenti al contatto coi sistemi religiosi delle popolazioni indeuropee e semitiche so-pravvenute su tali due sponde, penetrando, con diverse modalità di adattamento formale e semantico, nei loro idiomi, grazie all’elevato carico simbolico che ne ha assicurato la per-sistenza. La diffusione preistorica di una tale specifica koiné cultuale può, a titolo d’ipo-tesi, essere attribuita a una sorta di pre-anfizionia costiera resa possibile dall’antichissima stabilizzazione delle rotte nel bacino del Mediterraneo orientale448.

444 Su ebraico nâbî’ e le sue connessioni in semitico con termini per ape e miele, si rimanda al capitolo II.3.445 Capitolo II.1.446 Mi limito qui ad accennare per l’archeologia alle connessioni formali riscontrate fra edifici ctoni

riconosciuti come ‘labirintici’, quali la Tholos di Epidauro (Kern 1982, pp. 82-84) e gli alveari, come pure fra questi e rappresentazioni dell’ojmfalovı del tipo di quella di Delfi (Richards-Mantzoulinou 1979); per quanto riguarda l’epigrafia è sufficiente rimandare preliminarmente al contenuto della tavoletta micenea KN Gg 702, relativo all’associazione di un vaso di miele alla «Signora del Labirinto», mentre per gli indizi lessicali assume rilevanza la constatazione che una stessa radice *DBR è alla base in ebraico del nome del ‘labirintico’ d ebîr e di quello dell’ape (per questi ultimi si rimanda sopra al capitolo III.1). In quest’ottica potrebbero diventare significative le omologie fra le evoluzioni tipiche delle danze labirinti-che e quelle della cosiddetta danza delle api, ben nota agli antichi.

447 Faccio mio, fra virgolette, il titolo di un illuminante articolo di Bertoldi (1937). Per gli sviluppi della teoria del sostrato, con particolare riferimento alla complessità degli aspetti del cosiddetto sostrato mediterraneo, rimando ai fondamentali lavori di Silvestri, uno per tutti Silvestri 1995 con la relativa bibliografia.

448 Si pensi all’ambivalenza cultuale di divinità femminili preposte sia alla fertilità che alla naviga-zione, quali Afrodite, Hera, Demetra, Anat e Astarte, e all’arcaicità dei miti e dei riti a esse attribuite in santuari costieri come Delos, Samos, Eleusi, Ugarit, Tiro, eccetera.

Page 123: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

123

GLI ARCHEONIMI DEL LABIRINTO E DELLA NINFA

Del segmentato percorso fin qui compiuto, articolato in capitoli concepiti come conclusi in sé ma al contempo incentrati su un unico complessivo argomento, veri e propri meandri di un solo labirinto, alcuni più di altri direttamente indirizzati verso il centro argomentati-vo dell’intera esposizione, ritengo opportuno soffermarmi ulteriormente sulla lunga storia lessicale che caratterizza i nomi italiani labirinto e ninfa. Con essi intendo riferirmi alle due intere classi di nomi che, a partire dai lessemi greci labuvrinqoı e nuvmfh, sono stati fatti propri, direttamente dal greco o tramite la mediazione diretta o indiretta del latino (labyrinthos/labyrinthus e nymphe/nympha) dalle principali lingue di cultura moderne, in particolare europee449.

La specificità di queste due classi di lessemi riferibili a labirinto e ninfa, di cui già questa sorta d’intraducibilità nelle diverse lingue appare come un elemento di caratterizzazione, m’induce a classificarli come archeonimi, in quanto nomi la cui complessa significazio-ne, stratificatasi nel corso di millenni, si può identificare negli archetipi cui si riferiscono. L’opportunità di distinguerli dagli altri nomi con una denominazione propria, aldilà della suggestione del vago parallelismo fra archeonimo/archetipo e significante/significato, risul-terà forse da alcune considerazioni sintetiche sia sulla loro natura che sulla loro storia, peraltro strettamente intrecciate.

La poliedrica significazione del nome labirinto si sintetizza essenzialmente in un’im-magine, quella di un insieme di segmenti ortogonali o curvilinei che determinano un percorso intricato verso un possibile centro: volendo associare un significato in qual-che modo univoco al significante labirinto dobbiamo infatti ricorrere non tanto a un concetto verbalizzabile quanto appunto a un’immagine di questo tipo. L’amplissima gamma di connotazioni che ne costituiscono la significazione globale, discende dall’ap-plicazione di un tale schema geometrico di fondo. A partire da esso il labirinto è stato così, fra l’altro, il luogo di una danza collettiva ondivaga nell’antichità e la danza stessa, il tracciato penitenziale o iniziatico intarsiato nei pavimenti della cattedrali cristiane, il percorso galante vegetale incluso nei giardini dal Rinascimento in poi e continua a esse-re tutto ciò a cui tale immagine può sovrapporsi, per esempio, un intrico di strade urba-

449 Si considerino a titolo d’esempio le seguenti coppie: albanese labirint e nimfë, basco labirinto e ninfa, ceco labyrint e nymfa, estone labürint e nümf, francese labyrinthe e nymphe, inglese labyrinth e nymph, lettone labirints e nimfa, olandese labyrint e nimf, polacco labyrint e nimfa, romeno labirint e nimfă, russo labirint e nimfa, serbo-croato labirint e nimfa, spagnolo labirinto e ninfa, svedese labyrint e nymf, tedesco Labyrinth e Nymphe, turco labirent e nimfa, ucraino labyrint e nimfa, ecc.

Page 124: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

124

ne che ostacolano l’orientamento, dei tracciati di giochi infantili o enigmistici, i circuiti stampati alla base della strumentazione elettronica, oppure, in termini più astratti, la rappresentazione di un problema di cui non s’intravvede immediatamente la soluzione, e così via.

è proprio infatti la diretta associazione di labirinto con una immagine geometrica più o meno definita, di percorso segmentato e a prima vista indecidibile, che conferisce a questo nome una straordinaria produttività semantica sulla base di processi metaforici. Anche i diversi tentativi degli studiosi moderni di attribuire un significato primario al termine greco daburinthos / labuvrinqoı (labirinto-grotta, labirinto-palazzo, labirinto-città, labirinto-necropoli450) o di enucleare un’immagine labirintica dai viaggi marini di Ulisse e di Enea451 testimoniano dell’attitudine a generare significati propria di tale associazione.

Fondamentale per la composizione complessiva del significato di labirinto è proprio la sua plurimillenaria storia a partire dal greco miceneo, grazie alla quale una gran quantità di significati e di referenti si è stratificata su questo nome.

Se il daburinthos della tavoletta micenea di Cnosso, alla cui divina Signora è dedicata`l’offerta di miele, è verosimilmente l’intero palazzo cretese sul quale si proiet-ta l’immagine schematizzata della sua pianta incentrata sul sacro recesso del da(/u)bur, l’associazione di daburinthos / labuvrinqoı al mito cretese è conseguenza della valenza sacrale implicita nel termine, che si riflette nella rappresentazione del labirinto dedalico come luogo del sacrificio dei giovani ateniesi e del Minotauro, oltre che percorso iniziatico di morte e, per Arianna e Teseo, di ritorno alla vita.

Sia l’associazione a un’immagine geometrica che la rilevante connotazione sacrale affondano nella preistoria del termine greco e appaiono il portato, alla luce delle consi-derazioni fin qui condotte, della sua base egeo-cananaica *da(/u)bur. Il termine cretese pre-greco sotteso alla sequenza in Lineare A du-pu2-re «grotta cultuale cretese» e l’emer-genza di tale base in ebraico sotto forma di d ebîr «sancta sanctorum del tempio di Geru-salemme» ne testimoniano infatti il rilevante significato sacrale originario e risultano essi stessi abbinati strettamente a un’immagine geometrica, quella del meandro: come abbia-mo visto, in parallelo all’ampliamento in greco di *da(/u)bur con un suffisso locativo nella formazione di daburinthos / labuvrinqoı, la struttura del meandro evidente nel muretto minoico della grotta dell’Amnisos e nella pianta degli antecedenti cananaico-filistei del focus cultuale del tempio salomonico, si amplia a costituire l’immagine canonica ortogo-nale del labirinto cretese a sette corridoi che si trova attestata a partire da un’altra tavoletta micenea proveniente da Pilo452.

L’immagine evocata dalla classe di nomi che includono italiano labirinto trova un pre-ciso riscontro in alcune delle immagini descritte da soggetti in analisi e che Jung classifica come mandala. Al simbolismo dei mandala lo psicanalista degli archetipi dell’inconscio collettivo dedica particolare attenzione e fra i mandala riportati nella sua opera specifica-

450 Si vedano, nell’ordine e a titolo d’esempio, Faure 1964, Evans 1921-35, Cordano 1980, Castleden 1990.

451 Rispettivamente Chiarini 1991 e Doob 1990 (cap. VIII), cui fa eco, con altre argomentazioni connesse alla ‘danza’ degli astri, Chiarini 1994, pp. 74-89.

452 Elementi grafici, ortogonali o spiraliformi, carichi di evidente simbolismo sono peraltro presenti nella preistoria di diverse regioni europee ed extra-europee e nella pre-proto-storia egiziana.

Page 125: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

125

tamente dedicata alla sua teoria degli archetipi alcuni presentano una struttura del tutto labirintica, di spazio circoscritto includente un percorso al centro453.

Il riscontro psicologico della significazione archetipica del labirinto, il suo diretto refe-rente archetipico interiorizzato, completa la natura particolare di tale nome, per il quale ritengo appunto utile la definizione di archeonimo.

Mentre esistono archetipi che si denominano secondo modalità descrittive, come ad esempio, restando nell’ambito della ricerca di Jung e della sua applicazione alla mitologia operata da Kerényi454, l’archetipo del fanciullo o quello della madre, il complesso archeti-pico del labirinto non può prescindere dalla sua denominazione specifica: l’archeonimo labirinto, con la sua storia a partire dal greco e la sua preistoria egeo-cananaica, è intrinse-camente implicato nell’incessante accumulo di connotazioni cui l’ha esposto la sua vicen-da plurimillenaria, fin dalle origini associata alla sfera della sacralità.

Se consideriamo infatti quale carica di simbolismo ha conservato nella nostra cultura l’insieme concettuale connesso alla denominazione del labirinto e come sia stata così a lungo inesauribile fonte di elaborazione e ispirazione artistica, sia letteraria che figurati-va, possiamo ragionevolmente far risalire una parte di tale straordinaria valenza simbolica alla denominazione pre-greca del santuario presumibilmente più rappresentativo dei culti femminili della fertilità d’eredita neolitica sulle coste del Mediterraneo e giustificarne la sua inclusione, rideterminata con un suffisso locativo, nel lessico simbolico del mito dei soprag-giunti Greci, portatori di altro sistema di concezioni religiose. Analoghe considerazioni possono essere avanzate per l’assunzione di un tale nome nel lessico sacrale dell’ebraico, a indicare addirittura il luogo assiale, ombelicale, del culto monoteista degli Ebrei.

Il nome della ninfa emerge anch’esso, sulla base degli studi specifici qui riportati, da un tale profondo sostrato lessicale pertinente a culti della fertilità d’origine neolitica, come mi è parso di poter inferire dalle comuni origini egeo-cananaiche di lessemi dell’ape, del miele e della profezia nelle lingue semitiche, specie nord-occidentali, e di greco nuvmfh, la cui significazione originaria sembra rimandare appunto a quella dell’ape per la frequente identificazione delle Ninfe con le api nel mondo greco e per la funzione mantica spesso loro attribuita. Archeonimo quindi ci appare il nome della ninfa, in parallelo con labi-rinto, sia nell’accezione ristretta di significante giuntoci dalla preistoria del greco e delle lingue semitiche, ma anche per la sua conseguente, seppur non necessaria, associazione ad un archetipo, in quanto possibile specificazione dell’archetipo che Jung e Kerényi identifi-cano con la figura di Core455, ninfa per eccellenza, «in quanto esemplificazione mitica del passaggio dallo stato virginale a quello coniugale»456. Sul piano più propriamente lessica-le, ninfa condivide con labirinto la sua attitudine ad evocare un’immagine ben definita, ri-feribile sia a una giovane donna che si affaccia appunto alla dialettica amorosa e ne diventa

453 Jung 1980, tavv., XVII/B, XXXIV/B ed altre, come le figurative tavole XVI/B, XVIII/B, XXI/B. L’immagine della tavola IV/B può ritenersi paradigmatica, in quanto il percorso al centro inizia con meandri ortogonali e si conclude con una spirale. Su labirinto e mandala, con riferimenti a Jung, si veda anche Fanelli 1997, pp. 46-49. Per un’autorevole definizione del Labirinto come archetipo negli studi dell’antichità si rimanda a Colli 1975, p. 29.

454 Jung, Kerényi 1972.455 Jung 1980, pp. 175-97 e Jung, Kérenyi 1972, pp. 149 ss.456 Lambrugo 2009, p. 140. Schirripa 2009, p. 72, ricorda il ruolo delle ninfe nei misteri di Demetra,

dove esse «tornano sempre associate a Kore».

Page 126: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

126

poi protagonista nel ruolo di giovane sposa, secondo l’uso sociale in greco del termine nuvmfh457, quanto all’archetipo della giovane semidivinità femminile dalla natura ambigua e dalle varie e frequenti epifanie nel mito, nella letturatura e nell’arte, la Nuvmfh, che figura originariamente come teonimo a partire da nomi dell’ape d’eredità egeo-cananaica incen-trati su una base fonetica rappresentabile come *nu(m)b/bh458.

Al verosimile processo di trasformazione di nuvmfh nella protostoria del greco da zo-onimo a teonimo459, appare correlarsi l’immagine silvestre della Ninfa, componente del chorós di Artemide cacciatrice460 negli ambienti naturali propri delle api selvatiche, boschi, foreste montane, sorgenti e specchi d’acqua. Si tratta della ninfa che abita nell’oscurità delle grotte, sedi di favi selvatici o, come l’Amadriade, che vive in intimità con gli alberi, nelle cui cavità l’ape non addomesticata pure depone il suo miele. Dell’immagine «bipo-lare e tensiva»461 della ninfa, nel significato originario di nuvmfh sembra prevalere il polo rappresentato dalla semidivinità vergine, che rifugge l’amore (anche se spesso è vittima involontaria della violenza maschile), impegnata con le sue compagne di caccia nella ri-cerca e nell’inseguimento di prede animali, così come le api, ritenute nell’antichità avulse dalla sessualità, s’involano in sciame alla ricerca del miele. Anche la danza dei cori di ninfe artemidei462, come la ricorrente immagine delle ninfe affaccendate nella raccolta di fiori463, evoca la cosiddetta danza delle api, sia in presenza delle compagne per indicare direzione e distanza dei fiori idonei alla raccolta del polline, sia attorno ai fiori stessi464.

Tuttavia da subito nuvmfh rimanda anche alle più variegate rappresentazioni dell’amo-re femminile, alla giovane donna, divina o mortale, coinvolta con il dio o con l’uomo nella dialettica amorosa, che in qualche modo incarna e rappresenta, siano esse Arianna o Calipso: quest’aspetto della ninfa, contradditorio con la natura dell’ape e della ninfa delle selve, attiene forse anch’esso all’ampia valenza sacrale rivestita dall’ape nel mondo egeo-cananaico pre-greco, una sorta di epifania delle divinità femminili connesse ai culti della fertilità d’eredità neolitica, soggetta a una sorta di decadenza all’atto della sua annes-sione come ninfa nella sopraggiunta religione olimpica. Questa ninfa amorosa, in qualche modo seconda rispetto a quella in fuga dall’amore maschile, è destinata ad una afferma-zione durevole nel tempo e costituisce la connotazione principale del termine nell’uso contemporaneo. Ninfa amorosa sì, ma non priva della traccia del pungiglione originario, trasformatosi nell’arco delle ninfe cacciatrici al seguito di Artemide: nell’immagine atem-porale della ninfa, quintessenza delle incrostazioni semantiche prodottesi nel corso del tempo sul suo significante, il miele amoroso convive infatti col veleno, difesa-offesa nei

457 Si veda l’esauriente analisi al riguardo di Andò 1996, che connette l’uso comune di nuvmfh come specificazione di una età della donna alla sua fase di piena sessualità, così da essere adeguato sia alla fan-ciulla in età da marito che alla giovane sposa.

458 Cfr. sopra, p. 72.459 Si rimanda, in generale, al capitolo II.1.460 A partire da Il. VI, 103-106.461 Agamben 2007, p. 31. 462 Pou~ ga;r h; «Artemiı oujk ejcovreusen… «Dove mai Artemide non partecipa ai cori di dan-

za?» (Aes., Prov. 9).463 Che spesso connota il paradigma mitico del rapimento di fanciulle divine, come Core o Europa. 464 Il rapporto fra Ninfe e api è particolarmente indagato nel capitolo II.1 di questo volume. Per quan-

to riguarda lo specifico motivo della danza, si vedano gli accenni alla p. 68 e alla relativa n. 214.

Page 127: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

127

confronti della sempre incombente minaccia maschile, sia nel mito greco, dove è paradig-matica la sorte di Hylas, che nella sensibilità moderna, a partire dalla Lolita di Nabokov465.

In modo ancora più evidente che per labirinto, ninfa, o meglio, come detto sopra, la classe di nomi riferibili a italiano ninfa penetrati in un ampio numero di lingue a partire da greco nuvmfh, merita così di essere specificato come archeonimo, non solo per il rilevante valore simbolico che la sua matrice fonetica, al pari di quella di labirinto, presenta già nella preistoria egea-cananaica, ma soprattutto per il suo conseguente correlarsi alla poliedri-ca immagine archetipica della giovane donna, partecipe della facoltà divina d’ingenerare amore e generare nuove vite.

Una volta stabilitasi tale associazione fra archetipo e presunto archeonimo, arbitraria e non necessaria466, sembra stabilirsi una interazione in qualche modo analoga a quella linguistica fra significato e significante.

Da una parte, infatti, la complessità della significazione archetipica si riflette nel calei-doscopio dei significati depositatisi su ninfa in un arco di tempo così prolungato: sebbene un archetipo di tale profondità interessi un ampio spettro di altre denominazioni, si pensi ai nomi propri delle varie Ninfe, in particolare alla Core della psicanalisi junghiana, alle specificazioni di raggruppamenti di Ninfe in relazione ai loro habitat, Naiadi, Oreadi, Amadriadi, Hyadi, ai nomi delle diverse epifanie ninfali nel mondo greco (come Muse, Grazie, Ore, Trie, Moire, Sirene, Sibille, Baccanti, Erinni, Lamie, queste ultime denomi-nazioni della ‘ninfa cattiva’) e nelle altre mitologie (Ondine, Fate, Rusalki, eccetera467), l’immaginario archetipico che complessivamente si associa a ninfa fa di questo nome l’ipe-ronimo di riferimento di tutto tale insieme lessicale468. D’altra parte, in modo speculare, le valenze semantiche assunte in successione da nuvmfh, dal significato originario di ape ereditato dalla preistoria egeo-cananaica a quello teo-antropomorfico di Ninfa, sembrano fissare, se non in parte apportare, componenti culturali dell’archetipo della ninfa risalenti verosimilmente a culti preistorici della fertilità riferibili all’ape. In tale modo l’archeoni-mo interagisce con l’archetipo nell’incessante ridefinizione dell’immagine della ninfa469, provvedendole peraltro un complessivo ancoraggio lessicale.

L’intreccio fra labirinto e ninfa è remoto e affonda verosimilmente in uno strato cul-turale molto antico in cui le cavità naturali, fungendo da sedi di culti della fertilità, ve-devano l’incontro di divinità femminili a essi preposte, al cui corteggio potevano essere

465 Calasso (2005, p. 48) segnala le pagine dell’edizione italiana nelle quali «seguire le tracce delle Ninfe, sparse con magnanima dovizia in tutto Lolita».

466 Come sopra accennato (p. 125), non a tutti gli archetipi corrisponde un nome specifico.467 Non è questa la sede dove soffermarsi sulla quantità di esseri femminili che, nelle mitologie e nel

folklore dei vari paesi, condividono aspetti della Ninfa. Devo a Carla Muschio preziose schede che ri-assumono i risultati sulle sue ricerche sulle ‘ninfe’ nelle tradizioni russe, inglesi e francesi, materiali che invitano a un’indagine complessiva sull’argomento.

468 Analogamente, all’idea di labirinto possono corrispondere altri nomi, come inglese maze e tedesco Irrgarten, che però si affiancano, senza sostituirle, alle rispettive continuazioni archeonimiche labyrinth e Labyrinth

469 Che l’associazione a un’immagine sia caratteristica fondamentale dell’archeonimo ninfa, così come abbiamo visto con maggiore evidenza per l’archeonimo labirinto, appare comprovato dall’attitu-dine della ninfa a essere raffigurata attraverso tutto il corso della storia dell’arte. «La ninfa è l’immagine dell’immagine», afferma Agamben (2007 citato, pp. 53-54) in riferimento alla ninfa dell’atlante war-burghiano Mnemosyne.

Page 128: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

128

assimilabili le api, con giovani donne in età fertile. Mentre la persistenza del rito fa sì, ad esempio, che la dea Ilitia, assunta al pantheon olimpico come protettrice delle partorienti, risieda fino al tramonto del culto greco nella grotta cretese dell’Amnisos, di cui la pianta a meandro del muretto minoico attorno alle stalagmiti cultuali contrassegna la natura labi-rintica470, il mito fa di Arianna la ninfa del Labirinto cretese471.

I ninfei, i cui prodromi nell’età del bronzo vengono riconosciuti in grotte come l’antro Coricio nella Focide e quelli di Lera a Creta o del Parnaso in Attica, anche se il culto delle ninfe in grotta è documentato con certezza solo dall’età arcaica472, costituiscono l’eredità dell’associazione labirinto-ninfa e la sede della ritualità ad essa connessa473.

Rito e mito testimoniano così del radicamento di questa associazione archetipica e mi sembra particolarmente rilevante, sul piano linguistico, che essa trovi riscontro nell’ori-ginaria connessione fra i due archeonimi corrispondenti. Basti ricordare come tracce evidenti di una tale connessione siano presenti nel lessico ebraico riferibile al sostrato egeo-cananaico474 e come, sul versante del greco, allorchè la base pregreca *da(/u)bur vie-ne rideterminata in miceneo come daburinthos, appaia documentata a Creta quale per-tinenza di una divinità femminile, della Signora del Labirinto stesso, alla quale vengono significativamente offerti vasi di miele. Sulla parete a fianco del dubure minoico costituito dal cosiddetto bacino lustrale della Xeste 3 del palazzo di Akrotiri a Thera sono peraltro rappresentate due figure ninfali in un paesaggio silvestre nel registro inferiore di un af-fresco che raffigura in alto una divinità femminile in trono, fronteggiata, oltre che da un babbuino, da un’ancella divina475.

Labirinto e ninfa sono associati anche nel rituale della danza: il corovı, in greco nome generico per la danza, di cui sono spesso protagoniste le Ninfe specie al seguito di Arte-mide, è nell’Iliade anche il luogo «simile a quello che un tempo Dedalo aveva appresta-to nell’ampia Cnosso per Ariadne dai riccioli belli». Plutarco e Callimaco denominano gevranoı la danza labirintica cui un tale spazio risulta adeguato, termine che abbiamo visto originare anch’esso dal sostrato egeo-cananaico476.

470 Sopra, pp. 25-26.471 Su cui Mati 2006, pp. 107-33 e, più recentemente e più in generale, Ieranò 2007. Per le testimo-

nianze dell’associazione di una giovane donna al labirinto in diverse tradizioni culturali e in particolare nel folclore dell’Europa del nord, si rimanda a Kraft 1985.

472 De Francesco 2009 e, in particolare, p. 101. 473 Il santuario extra-urbano delle Ninfe Ctonie a Cirene (Micheli, Santucci, 2000), benché elabo-

rato architettonicamente soprattutto in epoca ellenistica, include le cavità naturali del culto originario. L’origine therese della colonia cirenaica, che rimanda all’Akrotiri minoica (sui precedenti nell’età del bronzo della mitica fondazione di Cirene in età arcaica si vedano Stucchi 1967 e 1990, Bacchielli 1979 e Parisi Presicce 2002), la sua posizione rispetto alla vicina Creta e l’eponima ninfa Cirene connessa alle api attraverso le vicende del figlio Aristeo rendono questo santuario particolarmente evocativo nel contesto complessivo di questo mio lavoto.

474 Si veda, sopra, il capitolo III.1.475 Sopra, p. 26 e l’illustrazione di p. 93. Una delle figure ninfali costituisce l’immagine di copertina.476 Si rimanda al riguardo agli studi I.3 e I.4. Come abbiamo visto qui sopra, la danza è propria anche

della primitiva epifania zoomorfa della Ninfa, l’ape. Se sul piano del referente c’è chi ha proposto un parallelo formale fra l’omphalos, focus del labirinto, e l’alveare (Richards-Mantzoulinou 1979) il lessico ebraico (post-biblico) presenta nomi dell’alveare sulla radice dimorfica *kwr / *krr «muoversi in cerchio, danzare».

Page 129: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

129

Le caratteristiche dei termini che ho individuato come riferibili a tale specifico sostrato linguistico, precedente all’installazione di popolazioni grecofone e parlanti lingue semi-tiche sulle due sponde del Mediterraneo orientale, apportatore in tali lingue di nomi affe-renti a un ambito sacrale riportabile a culti della fertilità di eredità neolitica477, appaiono in conclusione necessarie ma non sufficienti a conferire a due di essi, quelli che in greco figurano appunto come daburinthos / labuvrinqoı e nuvmfh, la qualità di archeonimi.

In un preliminare tentativo di sintetizzare quanto ritengo faccia di questi due nomi degli archeonimi, all’imprescindibile condizione che il loro significante abbia attraver-sato i millenni in una catena di prestiti che affonda nella preistoria delle lingue di an-tica documentazione, e questo a partire da una rilevante valenza simbolica originaria, occorre aggiungere la constatazione che la loro significazione non tende a fissarsi in un ambito concettualmente definito, ma resta aperta nel tempo all’accumulo di significati apparentemente diversificati, che sembrano trovare una loro indistinta unità solo in una sfera percettiva profonda e radicata nell’inconscio. In modo più evidente per labirinto che per ninfa, ciò sembra determinarsi attraverso il rimando dell’archeonimo essenzialmente a un’immagine, e solo mediatamente ai diversi referenti che tale immagine è suscettibile di evocare. Così dapprima l’immagine del meandro si associa alla base egeo-cananaica *da(/u)bur e, raffigurando verosimilmente col massimo di astrazione il ‘centro’, la rende atta a significare sia il centro cultuale ctonio che l’assialità cosmica e concettuale in gene-re; in seguito è all’immagine più complessa del labirinto includente il meandro centrale nella cornice dei corridoi ortogonali478 che rimanda nella sua accezione più generale il greco daburinthos / labuvrinqoı e le sue continuazioni ad oggi nella maggior parte delle lingue di cultura non solo europee, con la miriade di connotazioni di significato che tale immagine ha prodotto. Essa aggiunge alla dimensione spaziale del centro e delle sue circo-stanze quella temporale del percorso al centro, vera e propria sintesi spazio-temporale479 che fa di labirinto anche l’espressione lessicale, appunto l’archeonimo, dell’esperienza del percorso esistenziale inscritta nell’inconscio individuale e collettivo dell’umanità, con le conseguenti manifestazioni archetipiche nel mito e nel rito.

Anche ninfa, la cui storia lessicale si presenta parallela a quella di labirinto, dalla prei-storia egeo-cananaica alla sua definizione in greco e alle sue diramazioni nelle lingue se-mitiche nord-occidentali, mi è parsa riferirsi essenzialmente a un’immagine, tanto che la sua altrettanto stratificata significazione verbale finisce con l’integrarsi con l’insieme delle raffigurazioni che della ninfa la pittura e la scultura hanno generato e generano, a parti-re dall’arte classica. E anche l’immagine connessa a ninfa, quella della femminilità che si misura in positivo o in negativo480 con la straordinaria facoltà di procreare, dando luogo a un incessante accumulo di significati specifici, spesso ambigui e contraddittori, rimanda a un'esperienza archetipica del genere umano testimoniata dal mito e dalla ritualità.

Dell’archeonimo risulta infine caratteristica la permanenza dei significanti nel tempo e

477 Capitolo III.3, in particolare alla p. 122.478 Sette nella canonica rappresentazione del labirinto a Creta testimoniata dalla più volte citata tavo-

letta micenea, qui riprodotta alla p. 11.479 «Il Labirinto non è un’espressione soltanto spaziale, ma anche temporale» (Santarcangeli 1972,

p. 193).480 La Ninfa amorosa e la sfuggente Ninfa-ape.

Page 130: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

130

nelle diverse lingue, fatti salvi gli adattamenti specifici alla fonetica peculiare a ciascuna di esse, caratteristica che mi ha indotto, in apertura di queste conclusioni, a parlare di labirin-to e ninfa come di due classi di lessemi. Questa tendenza alla persistenza dei significanti di labuvrinqoı e nuvmfh sembra ulteriormente definire la loro natura di archeonimi, sottoli-neandone appunto la funzione di ancoraggio linguistico nei confronti dei corrispondenti archetipi.

Page 131: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

131

AVVERTENZA

Scopo del presente volume è la formulazione e la definizione del concetto di archeonimo, applicato in particolare ai termini che fanno capo a italiano labirinto e ninfa.

Benché del tutto innovativo rispetto alla precedente pluriennale indagine dell’autore sui termini del sostrato egeo-cananaico, esso incorpora, sotto forma di capitoli interni alle tre sezioni, il frutto di tale ricerca preliminare.

Ciascun capitolo è peraltro il risultato di un’elaborazione degli scritti precedenti finaliz-zata alla loro omogeneizzazione e indirizzata allo scopo precipuo dell’opera complessiva.

Si elencano qui di seguito le collocazioni degli studi che sono stati utilizzati come fonti dei singoli capitoli e di cui si è voluto conservare i titoli originari in quanto ritenuti ade-guatamente significativi.

Capitolo I.1 - da Arena, R., Bologna, M.P., Mayer Modena, Passi, A. (a cura di), Ban-dhu. Scritti in onore di Carlo Della Casa, 2 voll., Alessandria 1997, vol. II, pp. 491-513. Capitolo I.2 - da Banfi, E. (a cura di), Atti del Secondo Incontro Internazionale di Lingui-stica greca, Trento 1997, pp. 29-36. Capitolo I.3 - da Consani, C., Mucciante, L. (a cura di), Norma e variazione nel diasistema greco, Alessandria 2001, pp. 17-34. Capitolo I.4 - da Borbone, G., Mengozzi, A., Tosco, M. (a cura di), Loquentes linguis. Studi linguistici e orientali in onore di Fabrizio A. Pennacchietti, Wiesbaden 2006, pp. 29-33. Capitolo I.5 - da Rocca, G. (a cura di), Dialetti, dialettismi, generi letterari e funzioni sociali. Atti del V Colloquio Internazionale di Linguistica Greca (Milano, 12-13 settembre 2002), Alessan-dria 2004, pp. 7-15. Capitolo II.1 - da Finazzi, R.B., Tornaghi, P. (a cura di), Cinquant’an-ni di ricerche linguistiche: problemi, risultati e prospettive per il terzo millennio. Atti del IX Convegno Internazionale di Linguisti. Milano, 8-9-10 ottobre 1998, Alessandria 2001, pp. 135-49. Capitolo II.2 - da Brugnatelli, V. (a cura di), Sem Cam Iafet. Atti della 7a Giornata di Studi Camito-Semitici e Indeuropei (Milano, 1° giugno 1993), Milano 1994, pp. 1-18. Capitolo II.3 - da Lamberti, M., Tonelli, L. (a cura di), Afroasiatica Tergestina. Contri-buti presentati al 9° Incontro di Linguistica Afroasiatica (Camito-Semitica), Trieste, 23-24 aprile 1998, Trieste 1999, pp. 47-62. Capitolo III.1 - da Moriggi, M. (a cura di), XII In-contro Italiano di Linguistica Camito-semitica (Afroasiatica). Atti, Soveria Mannelli 2006, pp. 127-38. Capitolo III.2 - da Bausi, A., Tosco, M. (a cura di), Afroasiatica Neapolitana. Contributi presentati all’8° Incontro di Linguistica Afroasiatica (Camito-Semitica). Napoli, 25-26 Gennaio 1996, Napoli 1997, pp. 253-64. Capitolo III.3 - da Orioles, V., Toso, F. (a cura di), Circolazioni Linguistiche e Culturali nello Spazio Mediterraneo, Recco - Genova, 2008, pp. 1-16.

Page 132: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa
Page 133: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

133

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

Abou Assaf, A., Bordreuil, P., Millard, A., 1982, La statue de Tell Fekherye et son inscription bilingue assyro-araméenne, Paris.

Adrados, F.R., 1956, El culto real en Pilos y la distribucion de la tierra en epoca micenea, «Emerita» 24, pp. 353-416.

Agamben, G., 2007, Ninfe, Torino.Aharoni, Y., 1982, The Archaeology of the Land of Israel, London. Aistleitner, J., 19673, Wörterbuch der ugaritischen Sprache, Berlin. Albright, W. F., 1955, New Light on Early Recensions of the Hebrew Bible, «BASOR» 140, pp. 27-35.Albright, W.F., 1956, Recensione a Pope, M.H., 1955, El in the Ugaritic Texts («VTS» 2), Leiden,

«JBL» 75, pp. 255-257. Albright, W.F., 1963, Archaic Survivals in the Text of the Canticles, in Aa. Vv., Hebrew and Semitic Studies

Presented to G.R. Driver, Oxford, pp. 1-7. Albright, W.F., 1967, Debir, in Thomas, D.W. (Ed.), Archaeology and old Testament Study, Oxford, pp.

207-220.Albright, W.F., 1968, Yahweh and the Gods of Canaan. A Historical Analysis of Two Contrasting Faiths,

London.Albright, W.F., 1983, La Siria, i Filistei e la Fenicia, in Edwards, I.E.S., Gadd, C.J., Hammond, N.G.L.,

Sollberg, E. (Eds.), Il Medio Oriente e l’area egea, 1380-1000 a.C. circa, Università di Cambridge, Storia antica, vol. II, 4, tr.it., Milano, pp. 757-785.

Alderink, L.J., 1982, Mithical and Cosmological Structure in the Homeric Hymn to Demeter, «Numen» 29, pp. 1-16.

Ampolo, C., Manfredini, M. (a cura di), 19932, Le vite di Teseo e di Romolo di Plutarco, Milano. Andò, V., 1996, Nymphe: la sposa e le Ninfe, «QUCC» 52, pp. 47-79.Apollodoro, 1995. Biblioteca, ed. it. a cura di G. Guidorizzi, Milano. Archi, A., 1992, Substrate: Some Remarks on the Formation of the West Hurrian Pantheon, in Festschrift

für Sedat Alp, Ankara, pp. 7-14. Armayor, O.K., 1985, Herodotus’ Autopsy of the Fayoum: lake Moeris and the Labyrinth of Egypt, Am-

sterdam. Armbruster, L., 1931, Die Biene im Orient I: Der über 5000 Jahre alte Bienenstand Ägyptens, «Archiv

für Bienenkunde» 12. Armbruster, L., 1932, Die Biene im Orient II: Bibel und Biene, «Archiv für Bienenkunde» 13, pp. 1-43. Arnaud, D., 1985-87, Recherches au pays d’Aštata 6 (Sumerian and Akkadian Texts - 3 vols.), Paris. Arrigoni, E., 1967-69, Elementi per una ricostruzione del paesaggio in Attica nell’epoca classica, «Nuova

Rivista Storica», I, pp. 51, 267-96; II, pp. 53, 265-322. Aspesi, F., 1983, Gr. kádos nella comparazione linguistica, «Acme» 36, pp. 51-59. Aspesi, F., 1984, Innovazioni linguistiche non lessicali caratteristiche di lingue semitiche del Nord-Ovest

avvicinabili ad aspetti della tipologia di lingue indeuropee del Mediterraneo orientale, in Pennacchietti,

Page 134: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

134

F.A., Roccati, A. (a cura di), Atti della Terza Giornata di Studi Camito-Semitici e Indoeuropei, Roma, pp. 75-84 (ristampato in Aspesi 2004 bis, pp. 43-51).

Aspesi, F., 1985, A proposito di un ‘toponimo’ moabita, «ASGM» 25, pp. 70-77 (ristampato in Aspesi 2004 bis, pp. 235-43).

Aspesi, F., 1987, Semitico BM.T e gr. bwmovı, in Bolognesi, G., Pisani, V. (a cura di), Linguistica e filologia. Atti del VII Convegno Internazionale di Linguisti. Milano, 12-14 settembre 1984, Brescia, pp. 179-186.

Aspesi, F., 1991, Una particolarità lessicale del libro di Nehemia, in Aa. Vv., Studia Linguistica Amico et Magistro Oblata, Milano, pp. 53-70 (ristampato in Aspesi 2004 bis, pp. 183-202).

Aspesi, F. 1996, Precedenti divini di ’ ªdāmâ, «SEL» 13, pp. 15-23 (ristampato in Aspesi 2004 bis, pp. 223-34).

Aspesi, F., 2002, Il miele, cibo degli dei, in Saperi e sapori mediterranei. La cultura dell’alimentazione e i suoi riflessi linguistici (Napoli, 13-16 ottobre 1999), 3 voll., a cura di D. Silvestri, A. Marra, I. Pinto, «Quaderni di AIΏN N.S. 3», Napoli, pp. 919-29.

Aspesi, F., 2004, The Lexical Item NFT of an Old Egyptian Inscription, in Takács, G. (Ed.), Egyptian and Semito-Hamitic (Afro-Asiatic) Studies in Memoriam W. Vycichl, Leiden-Boston, pp. 3-12 (ristampato in Aspesi 2004 bis, pp. 171-82).

Aspesi, F., 2004 bis, Studi di Linguistica Camito-Semitica (Studi Camito-Semitici 7), Milano. Aspesi, F., 2008, Il miele di Gionata, in Rosenzweig, C., Callow, A.L., Brugnatelli, V., Aspesi, F. (a cura

di), Florilegio Filologico Linguistico. Haninura de Bon Siman a Maria Luisa Mayer Modena, Milano, pp. 17-31.

Attali, J., 1996, Chemins de sagesse. Traité du labyrinthe, Paris.Aura Jorro, F. (1985), Diccionario Micénico, vol. I, Madrid.Autran, C., 1924, La Grèce et l’Orient ancien, «Babyloniaca» 8, fasc. 3-4, pp. 129-218.Bacchielli, L., 1979, Contatti fra Libya e mondo egeo nell’età del bronzo: una conferma, «RANL» VIII,

vol. 34, fasc. 3-4, pp. 163-68 + tav.Bahat, D., 1990, The Illustrated Atlas of Jerusalem, Jerusalem. Bald Romano, I., 1988, Early Greek Cult Images and Cult Practices, in Häggs, R., Marinatos, N., Nor-

dquist, C. (Eds.), Early Greek Cult Practice. Proceedings of the Fifth International Symposium at the Swedish Institute at Athens, 26-29 June, 1986, Stockholm.

Barnett, R.D., 1979, I popoli del Mare, in Edwards I.E.S., Gadd C.J., Hammond, N.G.L., Sollberg, E. (Eds.), Il Medio Oriente e l’area egea, 1380-1000 circa, Università di Cambridge, Storia antica, vol. II, 3, tr. it., Milano, pp. 421-38.

Barr, J., 1961, The Semantics of Biblical Language, Oxford. Bartonĕk, A., 2002, Handbuch des mykenischen Griechisch, Heidelberg.Bauer, H., 1912, Zu Simson Rätsel in Richter Kapitel 14, «ZDMG» 66, pp. 473-74. Baumbach, L., 1968, Studies in Mycenaean lnscriptions and Dialect 1953-64, Roma. Baumbach, L., 1979, The Mycenaean Contribution to the Study of Greek Religion in the Bronze Age,

«SMEA» 20, pp. 143-160. Bentolila, F. (Ed.), 1986, Devinettes berbères, Paris. Ben-Tor, A. (Ed.), 1992, The Archaeology of Ancient lsrael, West Hanover (Massachusset). Benveniste, E., 1935, Origines de la formation des noms en indo-européen, Paris.Benveniste, E. 1955, Homophonie radicales en indo-européen, «BSL», pp. 51-41.Berard, J., 1951, Philistins et Prehellènes, «RA», ser. VI, 37, pp. 129-142. Bernal, M., 1987-2006, Black Athena. The Afroasiatic Roots of Classical Civilisation, 3 voll., London. Bertoldi, V., 1937, Contatti e conflitti di lingue nell’antico Mediterraneo, «ZRPh» 57, pp. 137-69.Beschi, L., 1988, Demeter, in Aa.Vv., Lexicon Iconographicum Mythologiae Classicae (LIMC), IV, pp. 844-

892. Bettini, M., Spina, L., 2007, Il mito delle Sirene. Immagini e racconti dalla Grecia a oggi, Torino.

Page 135: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

135

Bevilacqua, E. (a cura di), 1997, Le immagini dell’isola di Creta nella cartografia storica, Venezia.Bietak, M., 1996, Avaris the Capital of the Hyksos. Recent Excavations at Tell-el-Dab‘a, London. Biran, A., 1986, The Dancer from Dan, the Empty Tomb and the Altar Room, «IEJ» 36, pp. 168-87.Bochart, S., 1646, Geographia sacra, Pars prior: Phaleg seu de dispersione gentium et terrarum divisione

facta in aedificatione turris Babel etc. Pars altera: Chanaan, seu de coloniis et sermone Phoenicium, Munich.

Bodenheimer, F.S., 1934, The Honeybee in Ancient Palestine, «The Bee World» 15. Bodenheimer, F.S., 1960, Animal and Man in Bible Lands, Leiden. Bodson, L., 1978, ‘IERA ZWIA. Contribution à l’étude de la place de l’animal dans la religion grecque

ancienne, BruxelIes.Boëlle, C., 2004, PO-TI-NI-JA. L’élément féminin dans la religion mycénienne (d’après les archives en

linéaire B), Nancy-Paris.Bonnet, C., 1996, Astarté. Dossier documentaire et perspectives historiques, Roma.Bord, J., 1976, Mazes and Labyrinths of the World, London. Botterweck, G.I., Ringgren, H. (Eds.), 1988, Grande lessico dell’Antico Testamento, tr. it., vol. I, Brescia. Botterweck, G.J., Ringgren, H. (Eds.), 2002, Grande Lessico dell’Antico Testamento, tr. it., vol. II, Brescia. Botterweck, G.J., Ringgren, H. (Eds.), 2003, Grande Lessico dell’Antico Testamento, tr. it., vol. III, Brescia. Boufides, N., 1953-54, Krhtomuvkhn aiükai; ejpigrafai; ejx jArkalocwrivou Krhvthı, «Eph. Arch.»

(1958), pp. 60-74. Brandenstein, W., 1950, Der Name Labyrinth, «Die Sprache» 2, pp. 72-76. Bremmer, J.N., 19992, Nymph, in Van der Toorn, Becking, Van der Horst 19992, pp. 635-36. Brice, W.C., 1990, Notes on the Cretan Hieroglyphic Script, «Kadmos» 29, pp. 1-10. Brockelmann, C., 1908-13, Grundriss der vergleichenden Grammatik der semitischen Sprachen, 2 voll.,

Berlin. Brown, J.P., 1965, Kothar, Kinyras, and Kythereia, «JSS» 10, pp. 197-219. Brown, J.P., 1968, Literary Contexts of the Common Hebrew-Greek Vocabulary, «JSS» 13, pp. 163-91.Brown, J.P., 1969, The Mediterranean Vocabulary of the Wine, «VT» 19, pp. 146-70.Brown, J.P., 1979, The Sacrifical Cult and its Critique in Greek and Hebrew (I), «JSS» 24, pp. 159-73.Brown, J.P., 1980, The Sacrifical Cult and its Critique in Greek and Hebrew (II), «JSS» 25, pp. 1-21.Brown, J.P., 1995-2001, Israel and Hellas, 3 voll., Berlin-New York.Brown, J.P., 2003, Ancient Israel and Ancient Greece. Religion, Politics, and Culture, Minneapolis.Brugsch, H., 1879-80, Dictionnaire géographique de l’ancienne Égypte, 2 voll., Leipzig. Bruneau, Ph., 1970, Recherches sur les cultes de Délos à l’époque hellénistique et à l’époque impériale, Paris.Bruneau, Ph., Ducat, J., 1983, Guide de Délos, Paris.Buber, M., 1956, Die Erzählung von Sauls Königswahl, «VT» 6, pp. 113-73.Buch, C.D., Petersen, W., 1970, A Reverse lndex of Greek Nouns and Adjectives, Hildesheim-New York. Bunnens, G. (Ed.), Essays on Syrian in the Iron Age, Leipzig.Burn, A.R., 19682, Minoans, Philistines and Greeks B. C. 1400-900, London. Burns, A., 1974-75, The Chorus of Ariadne, «CJ» 70, 1/2, pp. 1-12. Burrows, R.M., 1907, Discoveries in Crete, London. Busink, Th., 1970-80, Der Tempel von Jerusalem, 2 voll., Leiden. Butterworth, E.A.S., 1970, The Tree at the Navel of the Earth, Berlin.Cagiano De Azevedo, M., 1958, Saggio sul labirinto, Milano. Cagni, L. (a cura di), 1995, Le profezie di Mari, Brescia. Cahen, E., 1923, L’autel des cornes et l’hymne à Dèlos de Callimaque, «REG» 36, pp. 14-25. Calame, C., 1977, Les choeurs de jeunes filles en Grèce Archaïque, 2 voll., Roma. Calasso, R., 2005, La follia che viene dalle Ninfe, Milano.Caquot, A., 1968, L’abeilIe et le miel dans l’Israël antique, in Chauvin, R. (Ed.), Traité de biologie de

l’abeille, vol. V, Paris, pp. 46-47.

Page 136: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

136

Carruba, O., 1968, ∆Aqhna~, in Atti e Memorie del I Congresso Internazionale di Micenologia (1967), Roma, pp. 932-44.

Caspari, W., 1933, ṭabur (Nabel), «ZDMG» 86, pp. 49-65. Càssola, F. (a cura di), 19812, Inni omerici, Milano. Castleden, R., 1990, The Knossos Labyrinth. A New View of the «Palace of Minos» at Knossos, London-

New York.Cazelles, H., 1987, ṣelem et demût en Gn. 1, 26-28, in Aa.Vv., La vie de la Parole. De l’Ancien au Nouve-

au Testament: Études d’exégèse et d’herméneutique bibliques offertes à Pierre Grelot, Paris, pp. 103-04.Chadwick, N.K., 1942, Poetry and Profecy, Cambridge.Chantraine, P., 1946-47, Les noms du mari et de la femme du père et de la mère en grec, «REG» 59-60,

pp. 219-50. Chantraine, P., 19612, Morphologie historique du grec, Paris.Chantraine, P., 1968, Dictionnaire étymologique de la langue grecque. Histoire des mots, 2 voll., Paris.Chiarini, G., 1991, Odisseo. Il labirinto marino, Roma. Chiarini, G., 1994, La danza degli astri, in Colmagro, S. (a cura di), Letture omeriche, Venezia, pp. 63-89.Chomarat, J., 1974, L’initiation d’Aristée, «REL» 52, pp. 185-207. Chouliara-Raïos, H., 1989, L’abeille et le miel en Égypte d’après les papyrus grecs, Joannina.Cohen, D., 1993, Dictionnaire des Racines Sémitiques ou attestées dans les langues sémitiques, fasc. 3: GLD

– DHML/R, avec la collaboration de F. Bron et A. Lonnet, Leuven.Cohen, D., 1993 bis, Dictionnaire des racines sémitique ou attestées dans les langues sémitiques, fasc. 4:

DHMM-DRR, avec la collaboration de F. Bron et A. Lonnet, Leuven.Cohen, M., 1927, Sur le nom d’un contenant à entrelacs dans le monde méditerranéen, «BSL» 27, pp.

81-120.Cohen, M., 1969, Essai comparatif sur le vocabulaire et la phonétique du chamito-sémitique, Paris.Colli, G., 1975, La nascita della filosofia, Milano.Collini, P., 1990, Gli dei cabiri di Samotracia: origine indigena o semitica?, «SCO» 40, pp. 237-87. Connor, W.R., 1988, Seized by the Nymphs: Nympholepsy and Symbolic Expression in Classical Greece,

«CA» 7, pp. 155-89. Consani, C., 1999, JA/A-SA-SA-RA-ME, in La Rosa, V., Palermo, D., Vagnetti, L. (a cura di), Epiv povn-

ton plazovmenoi. Simposio Italiano di Studi Egei dedicato a Luigi Bernabò Brea e Giovanni Pugliese Carratelli, Roma, pp. 245-47.

Consani, C., Negri, M., 1999, in collaborazione con F. Aspesi e C. Lembo, Testi minoici trascritti. Con interpretazione e glossario (PTILA), Roma.

Cook, A.B., 1895. The Bee in Greek Mythology, «JHS» 15, pp. 1-24. Cook, A.B., 1914-40, Zeus: a Study in Ancient Religion, 3 voll., Cambridge. Coote, R.B., 1977, Sibyl: «Oracle», «JNSL» 5, pp. 3-8. Cordano, F., 1980, Il labirinto come simbolo grafico della città, «MEFRA» 92, pp. 7-15.Cowley, A., 1923, Aramaic Papyri of the Fifth Century B.C., Oxford.Crane, E., 1980, A Book of Honey, New York. Crevatin, F., 1975, La lingua «minoica»: metodi d’indagine e problemi, in Aa.Vv., Studi triestini in onore

di Luigia Achillea Stella, Trieste, pp. 1-63. Crossland, R.A., Birchall, A. (Eds.), 1973, Bronze Age Migrations in theAegean, London. Crowhurst, R., 1963, Representations of Performances of Choral Lyric on the Greek Monuments, tesi dat-

tilografata, London.Crowley, J.L., 1989, The Aegean and the East. An Investigation into the Transference of Artistic Motifs

between the Aegean, Egypt, and the Near East in the Bronze Age, Jonsered. Crowter, Ch., 1988, A Note on Minoan Dikta, «ABSA» 83, pp. 37-44. Cuny, A., 1910, Les mots du fond préhellénique en grec, latin et sémitique occidental, «REA» 12, pp. 154-64. Curtis, J.B., 1979, A Folk Etymology of nābî’, «VT» 29, pp. 491-93.

Page 137: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

137

Dahood, M.J., 1963, Proverbs and North-West Semitic Philology, Roma.Darque, P., 1981, Les vestiges mycénièns découvertes sous le télestérion d’Eleusis, «BCH» 105, pp. 593-

605. Davaras, C., 1986, A New Interpretation of the Ideogram *168, in «Kadmos» 25, pp. 38-43.Davies, M., Kathirithamby, J., 1986, Greek Insects, Oxford. De Francesco, S., 2009, I ninfei in Grecia e Magna Grecia, in Giacobello, Schirripa 2009, pp. 99-114.Deedes, C.N., 1935, The Labyrinth, in Hooke 1935, pp. 1-42.Degen, R., 1968, Zum «phönizisch-punischen» monatsnamen krr, «RSO» 43, pp. 239-242.De Launay, R., 1915-16, Les fallacieux detours du Labyrinth, «RA» 2 (1915), pp. 114-25, 348-63; 3

(1916), pp. 116-26, 294-300, 387-97; 4 (1916), pp. 119-27, 286-94, 414-21. Delcor, M., 1974, Le Hieros Gamos d’Astarté, «RSF» 2, pp. 55-68.Delcor, M., 1978, Les Kéréthim et les Crétois, «VT» 28, pp. 409-22. Delcourt, M., 1955, L’oracle de Delphes, Paris. Delitzsch, F., 1873, Studien über indogermanisch-semitische Wurzelverwandtschaft. Inauguraldissertation,

Leipzig.Demargne, P., 1964, Arte egea, tr. it., Milano.Deonna, W., 1934, Mobilier délien. II - BWMOI KERAOUCOI, «BCH» 58, pp. 381-447. Deonna, W., 1940, Les cornes gauches des autels de Dréros et de Délos, «REA» 42, pp. 111-26. Deroy, L., 1956, La valeur du suffixe préhellénique -nth- d’après quelques noms grecs en -nqoı «Glotta»

35, pp. 171-95. Detienne, M., 1974, Orphée et le miel, in Le Goff, J., Nora, P. (Eds.), Faire de l’Histoire Ill, Paris, pp. 56-75. Detienne, M., 1983, La grue et le labyrinthe, «MEFRA» 95, pp. 341-53. De Vaux, R., 1964, Les sacrifices de l’Ancien Testament, Paris.De Vaux, R., 1972, La Palestina durante l’Età del Bronzo Antico, in Edward, I.E.S., Gadd, C.J., Ham-

mond, N.G.L. (Eds.), Storia antica del Medio Oriente, Università di Cambridge, Storia antica, vol. I, 3, tr.it., Milano, pp. 241-70.

De Vaux, R., 19773, Le istituzioni dell’Antico Testamento, Casale Monferrato.Diels, H., 1890, Sibyllinische Blätter, Berlin.Dohmen, C., 1983, Die Statue von Tell Fecherije und die Gottesebenbildlichkeit des Menschen: Ein Beitrag

zur Bilderterminologie, «BN» 22, pp. 91-106.Dommershausen, W., 2003, ḥōšen in Botterweck, Ringgren 2003, coll. 323-26. Donadoni, S.F., 1985, Egei ed egiziani, in Musti, D. (a cura di), Le origini dei Greci. Dori e mondo egeo,

Bari, pp. 207-17.Donner, H., Röllig, W., 19794, Kanaanäische und Aramäische Inschriften, vol. I, Wiesbaden. Doob, P.H., 1990, The Idea of the Labyrinth from Classical Antiquity through the Middle Ages, Ithaca-

London.Dugand, J.É., 1974, Aphrodite-Astarté (de l’étymologie du nom d’Aphrodite), «Annales de la Faculté des

Lettres et Sciences Humaines de Nice» 21, pp. 73-98.Duhoux, Y., 1994-95, LA>B da-ma-te = Déméter? Sur la langue du Linéaire A, «Minos» 29-30, pp.

289-94.Durand, J.M., 1988, Archives épistolaires de Mari, I/I, (ARM 26/1, Recherches sur les Civilisations),

Paris.Durand, J.M., 1997, Les prophéties des textes de Mari, in Heintz, J.G. (Ed.), Oracles et prophéties dans

l’antiquité, Paris, pp. 115-34. Durante, M., 1960, Ricerche sulla preistoria della lingua poetica greca. La terminologia relativa alla crea-

zione poetica, «RANL» VIII, vol. 15, fasc. 5-6, pp. 231-44 Durante, M., 1970, Etimologie greche, «SMEA» 11-12, pp. 43-57. Dürrbach, F., 1911, Fouilles de Délos exécutées aux frais de M. le Duc de Loubat. Inscriptions financières

(1906-1909) (1), «BCH» 35, pp. 5-86.

Page 138: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

138

Eilmann, R., 1931, Labyrinthos. Ein Beitrag zur Geschichte einer Vorstellung und eines Omaments, Athen. Eissfeldt, O., 1965, The Old Testament. An Introduction, tr. ingl., Oxford. Elderkin, G.W,. 1910, Meander or Labyrinth, «AJA» 14, pp. 185-90. Elderkin, G.W., 1939, The Bee of Artemis, «AJPh» 60, pp. 203-13. Eliade, M., 1957, Centre du monde, temple, maison, in Aa.Vv., Le symbolisme cosmique des monuments

religieux, Roma, pp. 57-82. Encyclopaedia Judaica, 1972, 16 voll., Jerusalem.Erlenmeyer, M.L., Er1enmeyer, H., 1960, 1961, 1964, Über Philister und Kreter, «Or.» 29 (1960), pp.

121-50 e 241-72, 30 (1961), pp. 269-93, 33 (1964), pp. 199-237. Ernout, A., Meillet, A., 19594, Dictionnaire étymologique de la langue latine. Histoire des mots, Paris. Evans, A., 1901, Mycenaean Tree and Pillar Cult and its Mediterranean Relations. With Illustrations from

Recent Cretan Finds, «JHS» 21, pp. 99-204.Evans, A., 1921-35, The Palace of Minos, I-IV, London.Facchetti, G.M., Negri, M., 2003, Creta minoica. Sulle tracce delle più antiche scritture d’Europa, Firenze.Fanelli, M.C., 1997, Labirinti. Storia, geografia e interpretazione di un simbolo millenario, Rimini. Farnell, L.R., 1907, The Cults of the Greek States, vol. III, Oxford. Faure, P., 1964, Fonctions des cavernes cretoises, Paris. Fenton, T.L., 1997, Deuteronomistc Advocacy of the nābî’: I Samuel IX 9 and Questions of Israelite Pro-

phecy, «VT» 47, pp. 23-42. Fernandez, L.G., 1959, Nombres de insectos en griego antiguo, Madrid. Feyel, M., 1946, Smh~nai. Étude sur le v. 552 de l’hymne homérique a Hermès, «RA», ser. VI, 25, pp.

5-22. Fick, A,, 1894, Die griechischen Personennamen nach ihrer Bildung erklärt und systematisch geordnet.

Zweite Auflage bearbeitet von Fritz Bechtel und August Fich, Göttingen.Fisher, L.R. (Ed.), 1972, Ras Shamra Parallels. The Texts from Ugarit and the Hebrew Bible, vol. I, Roma. Fleming, D.E., 1993 bis, nābû and munabbiātu: Two New Syrian Religious Personnel, «JAOS» 113, pp.

175-83. Fleming, D.E., 1993, The Ethimological Origins of the Hebrew nābî’: The One Who Invokes God, «Catho-

lic Biblical Quarterly» 55, pp. 217-24. Forbes, R.J., 1955, Studies in Ancient Technology, vol. III, Leiden, pp. 78-109. Fraenkel, E., 1953, Demeter und Proserpina, «Lexis» 3, pp. 50-63. Frisk, H., 1960-72, Griechisches etymologisches Wörterbuch, 2 voll., Heidelberg. Fronzaroli, P., 1969, Studi sul lessico comune semitico. VI - La natura domestica, «RANL» VIII, vol. 24,

pp. 285-320.Gallavotti, C., 1957, Labyrinthos, «PP» 12, pp. 161-76. Gallavotti, C., 1957 bis, Demetra micenea, «PP» 12, pp. 241-49. Gallet de Santerre, H., 1949, Délos, la Crète et le continent mycénien au second millénaire, in Aa.Vv., Mé-

langes d’Archéologie et d’Histoire offerts à Charles Picard à l’occasion de son 65e anniversaire, I, pp. 387-400.

Galling, K., 1954, Zur Lokalisierung von Debir, «ZDPV» 70, pp. 135-41. Gallini, L., 1959, Potinija Dapuritoio, «Acme» 12, pp. 147-76. Garbini, G. (a cura di), 1992, Cantico dei cantici. Testo, traduzione, note e commento, Brescia.Garbini, G., 1967, Elementi ‘egei’ nella cultura siro-palestinese, in Aa.Vv., Atti e Memorie del I Congresso

Internazionale di Micenologia, Roma 27 settembre - 3 ottobre 1967, Roma, pp. 66-77. Garbini, G., 1978, Il cantico di Debora, in «PP» 33, pp. 5-31.Garbini, G., 1984, Le lingue semitiche. Studi di storia linguistica. Seconda edizione riveduta e ampliata,

Napoli. Garbini, G., 1988, «Popoli del mare», Tarsis e Filistei, in Acquaro, E. (a cura di), Momenti precoloniali nel

Mediterraneo antico, Roma.

Page 139: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

139

Garbini, G., 1997, I Filistei. Gli antagonisti d’Israele, Milano. Gardiner, A.H., 1947, Ancient Egyptian Onomastica, 3 voll., Oxford. Garr, W.R., 2000, ‘Image’ and ‘Likeness’ in the Inscription from Tell Fakhariyeh, «IEJ» 50, pp. 227-34.Gaster, T.H., 1969, Mith, Legend and Custom in the Old Testament, New York-Evantson. Gauthiot, R., 1910-11, Des noms de l’abeille et de la ruche en indo-europeen et en finno-ougrien, «MSL»

16, pp. 264-79. Georgiev, V.I., 1937, Urgriechen und lllyrier, Sofia, Georgiev, V.I., 1941, Vorgriechische Sprachwissenschaft, Sofia. Georgiev, V.I., 1957, Le déchiffrement des inscriptions crétoises en lineare A, Sofia. Gérard-Rousseau, M., 1968, Mentions religeuses dans les tablettes myceniennes, Roma. Gesenius, W., 1829-58, Thesaurus Philologicus Criticus Linguae Hebraeae et Chaldaeae, 3 voll., Lipsiae. Giacobello, F., Schirripa, P. (a cura di), 2009, Ninfe nel mito e nella città dalla Grecia a Roma, Milano.Gibson, J.C.L., 1971, Textbook of Syrian Semitic Inscriptions. Volume 1: Hebrew and Moabite Inscriptions,

Oxford. Giese, R.L., Jr., 1992, Strength through Wisdom and the Bee in LXX-Prov 6,8 a-c, «Biblica» 73, pp.

404-11. Gigante Lanzara, V., 1986, Il segreto delle Sirene, Napoli.Giglioli, G.Q., 1929, L’oinochoe di Tragliatella, «SE» 3, 111-59. Gilmour, G., 1993, Aegean Sanctuaries and the Levant in the Late Bronze Age, «ABSA» 88, pp. 125-34. Gimbutas, M., 1989, The Language of the Goddess, London.Ginzberg, L., 1909-38, The Legends of the Jews, 7 voll., Philadelphia. Gitin, S., Mazar, A., Stern, E. (Eds.), 1998, Peoples in Transition. Thirteen to Early Tenth Centuries B.C.E.,

Jerusalem.Glock, J.P., 18972, Die Symbolik der Bienen und ihrer Produkte in Sage, Dichtung, Kultus, Kunst und

Briäuchen der Völker, Heidelberg.Godart, L., 1976, Il labirinto e la Potnia nei testi micenei, «RAAN» N.S. 50 (1975), pp. 141-52. Godart, L., Olivier, J.P., 1976-85, Recueil des Inscriptions en Linéaire A, 5 voll. (GORILA), Paris.Gonen, R., 1992, The Late Bronze Age, in Ben-Tor 1992, pp. 211-56. Gonnelli, F., 1988, Parole «callimachee» nella parafrasi del Salterio, «SIFC» 81, pp. 91-104.Gordon, C.H., 1955, Homer and Bible. The Origin and Character of East Mediterranean Literature,

«HUCA» 26, pp. 43-108.Gordon, C.H., 1955 bis, Ugarit and Caphtor, «Minos» 3, pp. 126-32. Gordon, C.H., 1958, Minoan Linear A, «JNES» 17, pp. 245-55. Gordon, C.H., 1963, The Mediterranean Factor in the Old Testament, «VTS» 9, pp. 19-31. Gordon, C.H., 1965, Ugaritic Textbook, Roma. Gordon, C.H., 19652, The Common Background of Greek and Hebrew Civilisation, NewYork. Gordon, C.H., 1966, Evidence for the Minoan Language, Ventnor (N.J.). Görg, M., 1982, Der nābî’- «Berufener» oder «Seher», «BN» 17, pp. 23-25.Görg, M., 1983, Weiteres zur Etymologie von nābî’, «BN» 22, pp. 9-11.Gray, L.H., 1933, Notes étymologiques sur les «verbes faibles» en hebreu biblique, «Ar. Or.» 5, pp. 124-30. Greenberg, J.H., 1950, The Patterning of Root Morphemes in Semitic, « Word « 6, pp. 162-81.Gregoire, H., 1949, Asklépios, Apollon Smintheus et Rudra, «Memoires de l’Académie Belgique» 45, pp.

119-26. Gross, W., 1993, Die Gottesebenbildlickeit des Menschens nach Gen. 1, 26-27 in der Diskussion des letzten

Jahrzehnts, «BN», pp. 22, 42.Grottanelli, C., 1976, Spunti comparativi per la storia biblica di Giuseppe, «OA» 15, pp. 115-40.Grottanelli, C., 1982, L’inno a Hermes e il cantico di Deborah: due facce di un tema mitico, «RSO» 56,

pp. 27-37.Grottanelli, C., 1987, Api romane, api lituane, «SMSR» 11, pp. 311-16.

Page 140: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

140

Grottanelli, G., 1988, Aspetti del sacrificio nel mondo greco e nella Bibbia ebraica, in Grottanelli, C., Parise, N.F. (a cura di), Sacrificio e società nel mondo antico, Bari, pp. 123-62.

Grottanelli, C., 1998, Sette storie bibliche, Brescia.Guenon, R., 1962, Symboles fondamentaux de la Science sacrée, Paris.Guidi, M., 1990-91, Greco labuvrinqoı: note di linguistica mediterranea, «Minos» N.S. 25-26, pp. 175-

93. Güntert, H., 1932, Labyrinth. Eine sprachwisseschaftliche Untersuchung, Heidelberg. Haas, O., 1964, Danser und ballare, «Orbis» 13, pp. 598-603.Haas, V., 1978, Substratgottheiten des westhurrischen Pantheons, «RHA» 36, pp. 59-69. Halévy, J., 19.10, Le nom de l’abeille et du miel dans les langues sémitiques, «Revue Sémitique» 18, pp.

497-506. Hall, H.R., 1905, The two Labyrinths, «JHS» 25, pp. 320-37. Hamp, E.P., 1969, Postscript on Demeter and Poseidon, «Minos» 10, pp. 93-95. Hamp, E.P., 1968, The Name of Demeter, «Minos» 9, pp. 198-204. Handel, J., 1929, Graeco-Semitica, «Eos» 32, pp. 19-21.Harpaz, I., 1973, Early Entomology in the Middle East, in Smith, R.F., Mittle, Th.A., Smith, C.N. (Eds.),

History of Entomology, Palo Alto.Hastings, J. (Ed.), 1913, Encyclopaedia of Religion and Ethics, vol. IV, New York. Healey, I.F., 19992, Dagon, in Van der Toorn, Becking, Van der Horst 19992, pp. 216-19.Healey, J.F., 19992 bis, Tirash, in Van der Toorn, Becking, Van der Horst 19992, pp. 871-72. Heintz, J.G., 1997, La «fin» des prophètes bibliques? Nouvelles théories et documents sémitiques anciens, in

Heintz, J.G. (Ed.), Oracles et prophéties dans l’antiquité, Paris, pp. 195-213.Helck, W., 19712, Die Beziehungen Ägyptens zu Vorderasien im 3. und 2. Jahrtausend v. Chr., Wiesbaden.Heller, J.L., 1961, A Labyrinth from Pylos?, «AJA» 65, pp. 57-62. Herrmann, H. V., 1959, Omphalos, Bonn. Herter, H., Heichelheim, F., 1937, Nymphai, in Wissowa, G. (Ed.), Paulys Realencyklopädie der classi-

schen Altertumswissenschaft, Stuttgart, vol. XVlI, 2, coll. 1527-99. Heubeck, A., 1961, Myk. *ra-o la~oı «Stein» und Verwandtes, «IF» 66, pp. 29-34. Heubeck, A., 1961, Praegraeca. Sprachliche Untersuchungen zum vorgriechisch-indogennanischen Sub-

strat, Erlangen. Hoftijzer, J., Jongeling, K., 1995, Dictionary of the North-West Semitic Inscriptions, 2 voll., Leiden-New

York-Köln.Homolle, Th., 1882, Comptes des hiéropes du temple d’Apollon délien, «BCH» 6, pp. 1-167. Homolle, Th., 1884, L’autel des cornes a Délos. KERATINOS BWMOS, «BCH» 8, pp. 417-38 e tavv. Homolle, Th., 1886, Inventaires des temples déliens en l’année 364, «BCH» 10, pp. 461-75. Hooke, S.H. (Ed.), 1935, The Labyrinth. Further Studies in the Relation between Myth and Ritual in the

Ancient World, London-New York.Humborg, Karo, Kees, 1924, Labyrinthos, in Pauly-Wissowa, RE, vol. 12, Stuttgart, coll. 312-26.Hutchinson, R.W., 1976, L’antica civiltà cretese, tr. it., Torino. Hüttner, M., Satzinger, H., 1999, Stelen, Inschriftsteine und Reliefs aus der Zeit der 18. Dynastie, Mainz

am Rhein.Ieranò, G., 2007, Il mito di Arianna. Da Omero a Borges, Roma.Innocente, L., 1991, jEsshvn, «ILing.» 14, pp. 115-24.Israel, F., 1983, L’iscrizione di Tell Fekherye e l’antropologia biblica, in F. Vattioni (a cura di), Atti della

settimana: Sangue e antropologia biblica nella letteratura cristiana (Roma, 29 novembre-4 dicembre 1982), Roma, pp. 79-81.

Jenni, E., Westermann, C., 1978-82 Dizionario teologico dell’ Antico Testamento, tr. it., 2 voll., Torino. Jeremias, J., 1978-82, nābî’, in Jenni, E., Westermann, C., 1978-82, Dizionario Teologico dell’Antico Testa-

mento, 2 voll., tr.it., Torino, II, coll. 6-24.

Page 141: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

141

Johansen, K.F., 1945, Thésé et la danse à Délos, Copenhagen. Jones, J.E. 1976, Hives and Honey of Hymettus, Beekeeping in Ancient Greece, «Archaeology» 29, pp. 80-91. Jung, C.G., 1980, Gli archetipi e l’inconscio collettivo, tr. it.Jung, C.G., Kerényi, K., 1972, Prolegomeni allo studio scientifico della mitologia, tr. it., Torino.Jung, M., 1988, The Religious Monuments of Ancient South Arabia. A Preliminary Typological Classifica-

tion, «AION» 48, pp. 177-218 e tavv. Kagerer, B., 2002, Die Biene in der Bibel. Ein Beitrag zur Exegese der d ebôrâ - Stellen, «BN» 114-115,

pp. 71-88.Kapelrud, A.D., 1948, Joel Studies, Uppsala. Kempinski, A., 1992, Chalcolithic and Early Bronze Age Temples, in Kempinski, A., Reich, R. (Eds.), The

Architecture of Ancient lsrael from the Prehistoric to the Persian Period, Jerusalem, pp. 53-59. Kerényi, K., 1983, Nel labirinto, tr.it., Torino 1983. Kerény, K., 1992, Dioniso, tr.it., Milano. Kern, H., 1981, Labyrinthe. Erscheinungsformen und Deutungen. 5000 Jahre Gegenwart eines Urbilds,

München.Kober, A.E., 1942, The Gender of Nouns Ending in -inthos, «AJPh» 68, pp. 320-27. Kochavi, M., 1974, Khirbet Rabûd = Debir, «Tel Aviv» 1, pp. 1-33. Koehler, L., Baumgartner, W., 19673, Hebräisches und aramäisches Lexikon zum Alten Testament, vol. I,

Leiden.Kraft, J., 1985, The Goddess in the Labyrinth, Åbo.Kretschmer, P., 1896, Einleitung in die Geschichte der griechischen Sprache, Göttingen. Kretschmer, P., 1909, Zur griechischen und lateinischen Wortforschung, «Glotta» 1, pp. 323-33.Kretschmer, P., 1910, Nochmals lat. nūbo, «Glotta» 2, pp. 82-83. Kretschmer, P. 1916. Literaturbericht für das Jahr 1913, «Glotta» 7, pp. 321-59. Kretschmer, P., 1925, Das nt-Suffix, «Glotta» 14, pp. 84-106.Kretschmer, P., 1940, Die vorgriechischen Sprach- und Volksschichten, «Glotta» 28, pp. 231-84. Kretschmer, P., 1950, Kontammation lautähnlicher Wörter, «Die Sprache» 2, pp. 150-55. Kretschmer, P., Wabrmann, P., 1929, Literaturberichtfiir das Jahr 1926, «Glotta» 17, pp. 191-271. Krzak, Z., 1985, Labyrinth. A Path of Initiations, «Archaeologia Polona» 24, pp. 135-48. Kuény, G., 1950, Scènes apicoles dans l’ancienne Egypte, «JNES» 9, pp. 84-93. Kuryłowicz, J., 1972, Studies in Semitic Grammar and Metrics, Wrocëaw-Warszawa. Lambrugo, C., 2009, Ninfe di Sicilia. Luoghi di culto, riti, immagini, in Giacobello, Schirripa 2009, pp.

133-54.Lane, E.W., 1863-77, Arabic-English Lexicon, 2 voll., Cambridge. Lang, M., 1958, The Palace of Nestor. Excavations of 1957. Part II, «AJA» 62, pp. 175-91, tavv. XXXVIII-

XLII. Lanzone, R.V., 1896, Les Papyrus du Lac Moeris, Torino. Lao, M., 2000, Il libro delle Sirene, Roma.Laroche, E., 1976, Glossaire de la langue hourrite. Première partie (A-L), «RHA» 34. Larson, J., 1995, The Corycian Nymphs and the Bee Maidens of the Homeric Hymn to Hermes, «GRBS»

36, pp. 341-57. Latte, K., 1913, De saltationibus Graecorum capita quinque, Giessen.Latte, K., 1953-66, Hesychii Alexandrini Lexicon, 2 volI., Copenaghen. Lawler, L.B., 1946, The Geranos Dance: a New Interpretation, «TAPhA» 77, pp. 112-30. Lawler, L.B., 1953-54, The Dances and the sacred Bees, «Classical Weekly» 47, pp. 103-06.Lawler, L.B., 1964, The Dance in Ancient Greece, London. Le Rider, G., 1966, Monnais Crétoises du Ve au Ier Siècle av. J.-C. (Études Cretoises 15), Paris. Leclant, J. 1968, L’abeille et le miel dans l’Egypte pharaonique, in Chauvin, R. (Ed.), Traité de biologie de

l’abeille, V, Paris.

Page 142: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

142

Lehmann Williams, P., 1965, The Meander Door, a Labyrinthine Symbol, in Aa.Vv., Studi in onore di Luisa Banti, Roma, pp. 193-198.

Leibovici, M., 1968, L’abeille et le miel selon la tradition babylonienne, in Chauvin, R. (Ed.), Traité de biologie de l’abeille, Paris, pp. 41-42.

Lejeune, M., 1958, Mémoire de philologie mycenienne, Paris. Lejeune, M., 1966, Doublets et complexes, in Palmer, L.R., Chadwick, J. (Eds.), Proceedings of the Cam-

bridge Colloquium on Mycenaean Studies, Cambridge, pp. 135-49. Lekatsa, P., 1973, Ho Labyrinthos, Athinai. Lemaire, A., 1996, Les textes prophétiques de Mari dans leurs relations avec l’Ouest, in Durand, J.M. (Ed.),

Amurru 1. Mari, Ébla et les Hourrites. Dix ans des travaux. Première partie, Paris, pp. 427-38.Leslau, W., 1987, Comparative Dictionary oi Ge‘ez, Wiesbaden. Levi Della Vida, G., 1935, L’iscrizione punica di Bitia in Sardegna, «Atti della Regia Accademia delle

Scienze di Torino» 70, pp. 185-98. Lewy, H., 1895, Die semitischen Fremdwörter im Griechischen, Berlin.Lipinvsky, É., 1970, La fête de l’ensevelissement et de la résurrection de Melqart, in Finet, A. (Ed.), Actes de

la XVIIe Rencontre Assyriologique Internationale, Bruxelles, pp. 30-58.Lissi Caronna, E., 1970-71: Labirinti?, «Atti e Memorie della Società della Magna Grecia» N.S. 11-12,

pp. 95 ss., tav. XL-XLI. Lloyd, A.B., 1970, The Egyptian Labyrinth, «JEA» 56, pp. 81-100. Lohmann, J., 1932, Genus und Sexus, Göttingen. Loprieno, A., 1977, A proposito delle consonanti dentali e velari in egiziano ed in semitico, «AION» 37,

pp. 125-42.Lucas, H., 1971, Der Tanz der Kraniche und die Hochzeit auf dem Meeresgrund. Ein Beitrag zur verglei-

chenden Maskenforschung, Emsdetten.Lundén, S., 1996-98, The Labyrinth in the Mediterranean, «Caerdroia» 27 (1996), pp. 27-54; 28

(1997), pp. 28-34; 29 (1998), pp. 38-42.Magini, L., 1996, Le feste di Venere. Fertilità femminile e configurazioni astrali nel calendario di Roma

antica, Roma.Magini, L., 2003, Astronomia etrusco-romana, Roma.Mancini, L., 2004-05, La danza per ‘figure’: Immagini del movimento ritmico nella Grecia arcaica, «Qua-

derni Warburg Italia» 2-3, pp. 153-94.Mancini, L., 2005, Il rovinoso incanto. Storie di Sirene antiche, Bologna.Marconi, M., 1940, Mevlissa dea cretese, «Athenaeum», NS 18, pp. 162-78. Margulies, H., 1974, Das Rätsel der Biene im Alten Testament, «VT» 24, pp. 56-76.Mariani, G.M., 1997, Api ed apicoltura nell’antichità, tesi di laurea, Milano. Mariani, M., 2001, Grammaticalizzazione e comparazione linguistica: riflessioni in margine ad un’ipotesi,

in M. Mariani, R. Ronzitti (a cura di), Ricerche di linguistica diacronica, prospettica e retrospettiva, Alessandria, pp. 62-76.

Marinatos, N., 1984, Art and Religion in Thera. Reconstructing a Bronze Age Society, Athens.Marinatos, N., 1993, Minoan Religion. Ritual, Image, and Symbol, Columbia (South Carolina).Marinatos, S., 1936, Le temple geométrique de Dréros, «BCH» 60, pp. 214-54, 2 tavv.Marinatos, S., 1941, The Cult of the Cretan Caves, «The Review of Religion» 5, pp. 129-36.Martinez Borobio, E., 1991, DMWT’, ṣLM, NṣB, «Estatua» en la epigrafia aramea, «Sefarad» 51,

pp. 86-89.Masson, E., 1967, Recherches sur les plus anciens emprunts sémitiques en grec, Paris.Masson, M., 1979-84, A propos des critères permettant d’établir l’origine sémitique de certains mots grecs,

«GLECS» 24-28, pp. 199-231. Masson, M., 1984-86, A propos des parallelismes sémantiques, «GLECS» 29-30, pp. 221-43. Mastrapas, A.N., 1996, Udriva me hqmwtov kuavqio apov to UK/UE III G nekrotafeivo Kaminivou

Page 143: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

143

Navxou, in De Miro, E., Godart, L., Sacconi, A. (a cura di), Atti e Memorie del Secondo Congresso Internazionale di Micenologia, Roma-Napoli, 14-20 ottobre 1991, vol. II, pp. 797-803.

Mati, S., 2006, Ninfa in labirinto. Epifanie di una divinità in fuga, Bergamo.Matthews, W.H., 1922, Mazes and Labyrinths: a General Account of Their History and Developments,

London-New York-Toronto-Bombay-Calcutta-Madras. Mayer, M., 1892, Mykenische Beiträtge. I - Stierfang, «Jahrbuch des Kaiserlich Deutschen Archäologhi-

schen Instituts» 7, pp. 72-81. Mayer, M.L., 1960, Ricerche sul problema dei rapporti fra lingue indeuropee e lingue semitiche, «Acme»

13, pp. 77-100.Mayer, M.L., 1960, Gli imprestiti semitici in greco, «RIL», Lettere, 94, pp. 311-51.Mazar, A., 1992, Temples of the Middle and Late Bronze Ages and the Iron Age, in Kempinski, A., Reich,

R. (Eds.), The Architecture of Ancient Israel from the Preistoric to the Persian Period, Jerusalem, pp. 161-87.

Mazar, B., 1964, The Philistines and the Rise of Israel and Tyre, Jerusalem. Meillet, A., 1906, Quelques hypothèses sur des interdictions de vocabulaire dans les langues indo-européen-

nes, Paris, riprodotto in A. Meillet, Linguistique historique et linguistique générale, Paris 19262, pp. 281-91.

Meissner, B., 1902, Ein altbabyonisches Fragment des Gilgameš-Epos, «Mitteilungen der Vorderasiati-schen Gesellschaft» 7, pp. 14 ss.

Menichetti, M., 1992, L’oinochóe di Tragliatella: mito e rito tra Grecia ed Etruria, «Ostraka» 1, pp. 7-30.

Meriggi, P., Poetto, M., 1979, Nuovi sigilli cretesi, «Kadmos» 18, pp. 97-99. Meringer, R., von, 1913, Einige primäre Gefühle des Menschen, ihr Inimischer und sprachlicher Ausdruck,

«Wörter und Sachen» 5, pp. 129-71. Meyer, W., 1882, Ein Labyrinth mit Versen, «Sitzungsberichte der K. Bayerischen Akademie der Wis-

senschaften - Philosophisch-philologischen und historischen Klasse» 2, pp. 267-300. Michałowski, K., 1968, The Labyrinth Enigma: Archeological Suggestions, «JEA» 54, pp. 219-22. Micheli, M.E., Santucci, A. (a cura di), 2000, Il santuario delle Nymphai Chthoniai a Cirene. Il sito e le

terrecotte, Roma.Micoli, G., 2005-2006, I popoli del mare. Studi, ipotesi, problemi, Tesi di laurea specialistica, Università

degli Studi di Pavia.Millard, A.R., 19992, Nabû, in Van der Toorn, Becking, Van der Horst 19992, pp. 607-10.Minto, A., 1952, Il DHLIAKON PLOION di Teseo e la theoria sacra del GERANOS. Alcune note di

commento alla ceramografia di Klitias sul Vaso François, «Atti e Memorie dell’Accademia Toscana di Scienze e Lettere La Colombaria», 17, N.S. 3 (1951-52), pp. 99-118.

Moro, E., 2008, L’enigma delle sirene. Due corpi, un nome, Napoli-Roma.Moscati, S., 1956, I predecessori d’Israele. Studi sulle più antiche genti semitiche in Siria e Palestina, Roma. Muller, F.J., 1934, De Betekenis van het Labyrinth, Amsterdam. Müller, A., 1877, Semitische Lehnwörte in älteren Griechisch, «Beiträge zur Kunde der indogermanischen

Sprachen» 1, pp. 273-301. Müller, J.P., 1986, nābî’, in Botterweck, G.J., Ringgren, H., Fabry, H.J. (Eds.), Theologisches Wörterbuch

zum Alten Testament, vol. 5, Stuttgart, coll. 140-63.Müller, K.O., 18352, Handbuch der Archäologie der Kunst, Breslau. Murtonen, A., 1989, Hebrew in its Semitic Setting, Part I, Section Bb, Leiden. Muss-Arnoldt, W., 1892, On Semitic Words in Greek and Latin, «TAPhA» 23, pp. 35-157.Navarre, O., 1963, Nymphae, in Daremberg, Ch., Saglio, E. (Eds.), Dictionnaire des Antiquités Grecques

et Romaines, Graz, pp. 124-28. Negbi, O., 1988, Levantine Elements in the Sacred Architecture of the Aegean at the Close of the Bronze Age,

«ABSA» 83, pp. 339-57.

Page 144: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

144

Negri, M., 1997, Si può leggere la Lineare A?, in Banfi, E. (a cura di), Atti del Secondo Incontro Internazio-nale di Linguistica greca, Trento, pp. 21-28.

Negri, M., 1998, Prima del greco, in Melazzo, L. (a cura di), Continuità e discontinuità nella storia del gre-co. Atti del Convegno della Società Italiana di Glottologia, Palermo, 24-26 ottobre 1994, Pisa-Roma-Napoli-Milano-Venezia-Vienna, pp. 31-59.

Negri, M., 1998 bis, Nuovi documenti egei, «ASGM» 37-38, pp. 7-18.Negri, M., 2005, Scrivono palazzi e labirinti, Alessandria.Negri, M., 2009, L'inno delle Erinni, «Paideia» 64, pp. 9-26.Neher, A., 1972, L’essenza del profetismo, tr.it., Casale Monferrato. Neufeld, E., 1978, Apicolture in Ancient Palestine (Early and Middle Iron Age) within the Framework of

the Ancient Near East, «UF» 10, pp. 219-47.Nielsen, E. R., 1992-93, Honey in medicine, in Aa.Vv., Atti del VI Congresso Internazionale di Egittologia,

vol. II, Torino, pp. 415-19.Nilsson, M.P., 1906, Griechische Feste, Leipzig.Nilsson, M.P., 1941-50, Geschichte der griechischen Religion, 2 voll., München. Nilsson, M.P., 19502, The Minoan-Mycenaean Religion and its Survival in Greek Religion, Lund.Notti, E., 2009, Atlantide, Milano.Oppenheim, A.L., 1969, Essay on Overland Trade in the First Millennium A. C., «JCS» 21, pp. 236-54. Orel, V.E., Stolbova, O.V., 1995, Hamito-Semitic Etymological Dictionary. Materials for a Reconstruction,

Leiden-New York-Köln. Oren, E.D. (Ed.), 2000, The Sea Peoples and their World: a Reassessment, Philadelphia.Ottosson, M., 2002, hêkāl, in Botterweck, Ringgren 2002, coll. 435-42.Owens, G., 1993, Minoan DI-KA-TA, «Kadmos» 32, pp. 156-61. Pagliaro. A., 1951, La terminologia poetica di Omero e l’origine dell’epica, «Ricerche Linguistiche» 2,

pp. 1-46. Palmer, L.R., 1955, Observations on the Linear «B» Tablets from Mycenae, «BICS» 2, pp. 36-45. Palmer, L.R., 19652, Mycenaeans and Minoans, London. Parisi Presicce, C., 2002, Un altare di forma minoica dal Santuario di Apollo a Cirene, «Quaderni di

Archeologia della Libya» 16, pp. 19-44.Parrot, A., 19622, Le temple de Jérusalem, Neuchatel. Pecorella, P.E., 1973, Antichità Cretesi I. Studi in onore di Doro Levi, Catania. Peña Santos, A., de la, 1981, El tema del laberinto en el arte rupestre Gallego, «Bollettino del Centro

Camuno di Studi Preistorici» 18, pp. 65-74. Peruzzi, E., 1959-60, Le iscrizioni minoiche, «Atti e Memorie dell’ Accademia Toscana di Scienze e Let-

tere La Colombaria» 24, pp. 31-128. Pestalozza, U., 1938, La potnia minoica, il toro e la bipenne, «RIL», Lettere, 72, pp. 3-12, ristampato in

Pestalozza, U., 1951, Religione mediterranea. Vecchi e nuovi studi, Milano, pp. 181-90. Pestalozza, U., 1945, Pagine di religione mediterranea, 2 voll., Milano-Messina. Pestalozza, U., 1964, Nuovi saggi di religione mediterranea, Milano. Petrie, W.M.F., Wainwright, G.A., Mackay, E., 1912, The Labirinth, Gerzeh and Mazghuneh, London.Pettinato, G., 1979, Ebla. Un impero inciso nell’argilla, Milano. Pettinato, G., 1982, Testi lessicali bilingui della biblioteca L. 2769, Napoli. Picard, Ch., 1922, Ephèse et Claros, Paris. Picard, Ch., 1927, Sur la patrie et les pérégrinations de Déméter, «REG» 40, pp. 320-69. Picard, Ch., 1948, Les religions préhelléniques (Crète et Mycènes), Paris.Pindaro 1995. Le Pitiche, a cura di B. Gentili, P. A. Bernardini, E. Cingano, P. Giannini, Milano. Pisani, V., 1935, Notulae Graeco-Latinae, «IF» 53, pp. 22-39.Plöger, J.G., 1988, ’àdāmâ, in Botterweck, Ringgren, colI. 187-210. Pomponio, F., 1993, Adamma paredra di Rasap, «SEL» 10, pp. 3-7.

Page 145: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

145

Pope, M., 1956, Cretan Axe-Heads with Linear A Inscriptions, «ABSA» 51, pp. 132-35 + 2 tavv. Porfirio, 1986, L’antro delle Ninfe. a cura di Laura Simonini, Milano. Porten, B., Yardeni, A., 1986, Textbook of Aramaic Documents from Ancient Egypt, Jerusalem.Preuss, H.D., 1978, dāmāh, d emût, in Botterweck, Ringgren 2002, coll. 286-98.Prignaud, J., 1964, Caftorim et Keretim, «RB» 71, pp. 215-29. Prudhommeau, G., 1965, La danse grecque antique, 2 voll., Paris.Pugliese Carratelli, L.R., 1938-39, Labranda e Labyrinthos, «RAAN» 19, pp. 238-300. Pugliese Carratelli, G., 1954, La decifrazione dei testi micenei, «PP» 35, pp. 81-117. Pugliese Carratelli, G., 1954 bis, Nuovi studi sui testi micenei, «PP» 36, pp. 215-28. Pugliese Carratelli, G., 1956, Minos e Cocalos, «Kokalos» 2, pp. 89-103. Pugliese Carratelli, G., 1957, Sulle epigrafi in lineare A di carattere sacrale, «Minos» 5, pp. 163-73. Pugliese Carratelli, G., 1959, Aspetti e problemi della monarchia micenea, «PP» 59, pp. 401-31. Pugliese Carratelli, G., 1976, SAISARA, «PP» 31, pp. 123-28.Pugliese Carratelli, G., 1979, Afrodite cretese, «SMEA» 20, pp. 131-41. Quattordio Moreschini, A., 1984, Le formazioni nominali greche in -nth-, Roma.Rabin, Ch., 1963, Hittite Words in Hebrew, « Or» 32, pp. 113-39.Rahlfs, A. (Ed.), 1935, Septuaginta. Id est Vetus Testamentum graece iusta LXX interpretes, Stuttgart.Raison, J., Pope. M., 1971, Index du Linéaire A, Roma.Rangnick, J., 19782, Labyrinthe, Ravensburg. Ranke, H., 1935, Die ägyptiscen Personennamen, vol. I, Glückstadt.Ransome, H.M., 1937, The Sacred Bee in Ancient Times and Folklore, Boston. Rapallo. U., 1981, Metafore indeuropee e camito-semitiche, «ASGM» 21, pp. 73-81. Rapallo, U., 1994, Considerazioni sulle convergenze lessicali camito-semitiche-indeuropee, in Brugnatelli,

V. (a cura di), Sem Cam Iafet. Atti della 7° Giornata di Studi Camito-Semitici e Indeuropei (Milano, 1° giugno 1993), pp. 169-82.

Redondo, J., 1989, Mycénien DA-PU-RI-TO, DE-RE–U–KO: une seule question de phonétique, «Mi-nos» 1989, pp. 187-98.

Ribichini, S. (1985), Poenus advena. Gli dei fenici e l’interpretazione classica, Roma.Richards-Mantzoulinou, E., 1979, MELISSA POTNIA, «Archaiologiká Analekta ex Athenón» 12,

pp. 72-92. Richardson, L.J.D., 1966, The Labyrinth, in Palmer, L.R., Chadwick, J. (Eds.), Proceedings of the Cam-

bridge Colloquium on Mycenaean Studies, Cambridge, pp. 285-99. Rix, H.R., 1998, Lexicon der indogermanischen Verben. Die Wurzeln und Ihre Primärstammbildungen,

Wiesbaden.Robert, F., 1939, Thymélé, Paris Robert-Tornow, W., 1893, De apium mellisque apud veteres significatione et symbolica et mythologica, Ber-

lin. Rocca, G., 1992, Zoonimia e tabù in armeno, «ASGM» 30, pp. 186-93. Roscalla, F., 1998, Presenze simboliche dell’ape nella Grecia antica, Firenze. Roscher, W.H., 1913, Omphalos: eine philologisch-archäologish-volkskundliche Abhandlung über die Vor-

stellungen der Griechen und anderer Völker vom «Nabel der Erde», Leipzig. Rouse, W.H.D., 1901, The Double Axe and the Labyrinth, «JHS» 21, pp. 268-74. Roux, G., 1979, Le vrai temple d’Apollon à Délos, «BCH» 103, pp. 109-35.Sacchi, P., 1993, La profezia in Israele, in Sordi, M. (a cura di), La profezia nel mondo antico, Milano, pp.

3-20. Sachs, C., 1966, Storia della danza, tr. it., Milano.Saint-Hilaire, P., de, 1975, L’enigme des labyrinthes, Bruxelles-Paris. Sakellarakis, I., Olivier, J.P., 1994, Un vase en pierre avec inscription en lineaire A du sanctuaire de sommet

minoen de Cythère, «BCH» 118, pp. 343-351.

Page 146: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

146

Santarcangeli, P., 1972, Riflessioni labirintiche, «Conoscenza Religiosa» 1, pp. 193-211.Santarcangeli, P., 19842, Il libro dei labirinti. Storia di un mito e di un simbolo, Firenze. Sarullo, G., 2006-2007, Il labirinto nelle culture del Mediterraneo: letteratura, iconografia e mito, Tesi di

Dottorato di ricerca, Libera Università di Lingue e Comunicazione IULM, Milano.Scarpi, P., 1974, Daidalos e il Labyrinthos, «BIFG» 1, pp. 194-210. Schachermeyr, F., 1967, Agäis und Orient. Die überseeischen Kulturbeziehungen von Kreta und Myke-

nai mit Ägypten, der Levante und Kleinasien unter besonderer Berücksichtigung des 2. Jahrtausends v. Chr., Wien.

Scheinberg, S., 1979, The Bee Maidens of the Homeric Hymn to Hermes, «HSCP» 83, pp. 1-29. Schirripa, P., 2009, La ninfa cattiva, in Giacobello, Schirripa 2009, pp. 71-98.Schmidt, W. H., 2002, dābār, in Botterweck, Ringgren 2002, coll. 106-44.Schmitt, R., 1967, Dichtung und Dichtersprache in Indogermanischer Zeit, Wiesbaden. Schmuttermayr, G., 1985, Studien zur hebräischen Basis DBR I. Ein Beitrag zum Problem der Homonyme,

St. Ottilien. Schneider, Th., 1992, Asiatische Personennamen in ägyptischen Quellen des Neuen Reiches, Göttingen.Schult, H., 1964, Der Debir im salomonischen Tempel, «ZDPV» 80, pp. 46-54. Schwyzer, E., 19532, Griechische Grammatik auf des Grundlage von Karl Brugmanns Griechischer Gram-

matik, München.Schwyzer, E., 1915, Mélissa, «Glotta» 6, pp. 84-86. Segert, S., 1984, Paronomasia in the Samson Narrative in Judges XIII-XVI, «VT» 34, pp. 454-61. Serra, L., 1968, Due racconti in dialetto berbero di Zuara (Tripolitania), «Studi Magrebini» 2, pp. 123-28. Shaviv, Sh., 1984, nābî’ and nāgîd in 1 Samuel IX 1-X 16, «VT» 34, pp. 108-13. Shear, Th.L, 1923, A Terra-Cotta Relief from Sardis, «AJA» 27, pp. 131-50. Silvestri, D., 1974, La nozione di indomediterraneo in linguistica storica, Napoli. Silvestri, D., 1987, Riflessi onomastici indomediterranei, «ASGM» 27, pp. 138-58. Silvestri, D., 1995, Preistoria e protostoria linguistica nel Mediterraneo, in Landi, A. (a cura di), L’Italia e

il Mediterraneo antico. Atti del Convegno della Società Italiana di Glottologia. Fisciano, Amalfi, Raito, 4-5-6 novembre 1993, Pisa, pp. 139-71.

Simonetta, R., 1994, Nascita dell’oracolo di Trofonio, «Aevum» 68, pp. 27-32. Small, J.P., 1986, The Tragliatella Oinochoe, «RM» 93, pp. 63-96. Soggin J.A. 19742, Introduzione all’Antico Testamento, Brescia. Somekh, A.M., 1999, The Toponym Goshen in Genesis about some «qutl-segolate» Nouns with a third

Nasal in Biblical Hebrew, in Lamberti, M., Tonelli, L. (Eds.), Afroasiatica Tergestina. Papers from the 9th Italian Meeting of Afro-Asiatic (Hamito-Semitic) Linguistics. Trieste, April 23-24, 1998, Padova, pp. 63-69.

Stephanus, 1954 (rist.), Thesaurus Graecae Linguae, III, Graz.Stieglitz, R.P., 1981, Labyrinth: Anatolian Axe or Egyptian Edifice, in Casson, L. (Ed.), Coins, Culture

and History in the Ancient World, Detroit, pp. 195-98. Strange, J., 1980, Caphtor/Keftiu. A New Investigation, Leiden. Stricker, B.H. (Ed.), 1960, L’océan des pleurs (Baḥr ad-dumû‘) [di Muḥammad al Awzalî], Leyde. Stucchi, S., 1967, Prime tracce tardo-minoiche a Cirene: i rapporti della Lybia con il mondo greco, «Qua-

derni di Archeologia della Libia» 5, pp. 19-45. Stucchi, S., 1990, Il Giardino delle Esperidi e le tappe della conoscenza greca della costa cirenaica, in Gentili,

B. (a cura di), Cirene. Storia, mito, letteratura. Atti del Convegno della S.I.S.A.C. (Urbino 3 luglio 1988), pp. 19-73.

Süring, M.L., 1980, The Horn-Motif in the Hebrew Bible and Related Ancient Near Eastern Literature and Iconography, Berrien Springs (Michigan).

Svenbro, J., 1988, Il taglio della poesia. Note sulle origini sacrificali della poetica greca, in Grottanelli, C., Parise, N.F. (a cura di), Sacrificio e società nel mondo antico, Bari, pp. 231-52.

Page 147: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

147

Szemerényi, O., 1951, Greek méllō. A Historical and Comparative Study, «AJPh» 72, pp. 346-68. Szemerényi, O., 1954, Latin promulgare, «Emerita» 22, pp. 159-74.Talmon, Sh., 1977, The ‘Navel of the Earth’ and the Comparative Method, in Merril, A.L., Overholt,

Th.W. (Eds.), Scripture in History & Theology: Essays in Honor of J. Coert Rylaarsdam, Pittsburgh, pp. 243-68.

Threatte, L., 1967, An Interpretation of a Sixth-Century Corinthian Dipinto, «Glotta» 45, pp. 186-94. Tercien, S., 1970, The Omphalos Myth and Hebrew Religion, «VT» 20, pp. 317-38. Thumb, A., 1895, Handbuch der neugriechischen Volkssprache. Grammatik. Texte. Glossar, Strassburg. Thurneysen, R., 1890. Lateinisches, «KZ» 30, pp. 485-503. Torczyner, H., 1938, Lachish I. The Lachish Letters, Oxford.Torczyner, H., 1931, Das literarische Problem der Bible, «ZDMG» 85, pp. 287-324.Torrance, F.T., 1955, Royal Priesthood, Edinburgh. Tov, E., 1999, The Greek and the Hebrew Bible. Collected Essays on the Septuagint («VTS»), Brill.Townsend Vermeule, E., 1959, A Gold Minoan Double Axe, «Bulletin of the Museum of Fine Arts - Bo-

ston» 57, pp. 516. Treves, M., 1957, The Date of Joel, «VT» 7, pp. 149-56. Triomphe, R., 1982, Le lion et le miel, «RHPR», 62, pp. 113-40.Triomphe, R., 1989, Le lion, la vierge et le miel, Paris. Tyree, L., 1975, Cretan Sacred Caves: Archaeological Evidence, Ann Arbor. Untersteiner, M., 19722, La fisiologia del mito, Firenze. Usener, H., 1902, Milch und Honig, «RM» 57 NF, pp. 177-95. Vandenabeele, F., 1985, La chronologie des documents en lineare A, «BCH» 109, pp. 3-20. Van der Toorn, K., Becking, B., Van der Horst, P.W. (Eds.), 19992, Dictionary of Deities and Demons in

the Bible, Leiden-New York- Koln. Van Soldt, W.H., 1989, The Ugaritic Word for ‘Fly’, «UF» 21, pp. 369-373. Van Windekens, A.J., 1952, Le Pélasgique. Essai sur une langue indo-européenne préhellénique, Louvain. Van Windekens, A.J., 1966, Dhmhvthr, nom grec d’une déesse égéenne, «Die Sprache» 12, pp. 94-97. Van Windekens, A.J. 1982-83, Grec nuvmfh < «femme enceinte», «KZ» 96, pp. 93-94. Vawter, B., 1985, Where the Prophets nābî’?, «Biblica» 66, pp. 206-20. Ventris, M., Chadwick, J., 1956, Documents in Mycenaean Greek. Three Hundred Selected Tables from

Knossos, Pylos and Mycenae With Commentary and Vocabulary, Cambridge. Vercoutter, J., 1956, L’Égypte et le monde égéen préhellénique, Le Caire. Verdenius, W J., 1982, Pindar’s Second Isthmian Ode. A Commentary, «Mnemosyne» 35, pp. 1-37. Vermes, G., 1960, The etymology of «Essenes», «Revue de Qumran» 7 (t. 2, f. 3), pp. 427-43.Vermes, G., 1962, Essenes and Therapeutai, «Revue de Qumran» 12 (t. 3, f. 4), pp. 495-504.Verzár, M., 1980, Pyrgi e l’Afrodite di Cipro. Considerazioni sul programma decorativo del tempio B, «ME-

FRA» 92, pp. 35-86.Vincent, L.H., Steve, A.M., 1956, Jérusalem de l’Ancien Testament, II-III, Paris. Vincentelli, I., 1984, Appunti sulle nuove proposte di localizzazione di Caphtor/Keftiw, «SMEA» 24, pp.

263-69. Vivante, P., 1955, Sulla designazione del corpo in Omero, «AGI» 40, pp. 39-50.Von Soden, W., 1965-81, Akkadisches Handwörterbuch, 3 voll., Wiesbaden. Wagner, M., 1966, Die lexikalischen und grammatikalischen Aramaismen im alttestamentlichen He-

bräisch, Berlin. Walker, N., 1961, What is a nābî’?, «ZAW» 73, pp. 99-100.Waszing, J.H.. 1974. Biene und Honig als Symbol des Dichters und der Dichtung in der griechisch-römi-

schen Antike, Opladen. Waterman, L., 1943, The Damaged «Blueprints» of the TempIe of Solomon, «JNES» 2, pp. 284-94. Weege, F., 1926, Der Tanz in der Antike, Halle-Saale.

Page 148: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

148

Wensinck, A.J., 1916, The Ideas of the Western Semites Concerning the Navel of the Earth, Amsterdam.Whaites, M., 1923, The Deities of the Sacred Axe, «AJA» 27, pp. 25-56. Widengren, G., 1960, Aspetti simbolici dei templi e luoghi di culto del Vicino Oriente Antico, «Numen»

7, pp. 1-25.Willetts, R.F., 1962, Cretan Cults and Festivals, London.Witczak, K.T., 1993, A B-Series in Linear B, «Kadmos» 32, pp. 162-71. Wohl, H., 1970-71, The Problem of the makhkhû, «JANES» 3, pp. 113-18. Wood, H., 1882, Le Labyrinthe (Within the Maze), 2 volI., Paris. Woodward, A.M., 1949, The Gorthin «labyrinth», «ABSA» 44, p. 324. Wright, G. R. H., 1970, The Mythology of Pre-Israelite Shechem, «VT» 20, pp. 75-82.Wright, G. R. H., 1972, Joseph’s Grave under the Tree by the Omphalos at Shechem, «VT» 22, pp. 476-86.Wright, G.R.H., 1985, Ancient Building in South Syria and Palestine, 2 volI., Leiden-Köln. Wright, O.E., 1966, Fresh Evidence for the Philistine Story, «BA» 29, pp. 70-86. Xella, P., 1981, I testi rituali di Ugarit, I, Roma. Xella, P., 19992, Resheph, in Van der Toorn, Becking, Van der Horst 19992, pp. 700-03. Yadin, Y., 1958, Excavations at Hazor, 1957. Preliminary Communiqué, «IEJ» 8, pp. 1-14. Yerkes, R.K., 1952, Sacrifice in Greek and Roman Religion and Early Judaism, New York. Zaborski, A., 1969-70, Prefixes, Root-Determinatives and the Problem of Biconsonantal Roots in Semitic,

«Folia Orientalia» 11, pp. 307-13. Zaborski, A., 1991, Biconsonantal Roots and Triconsonantal Root Variation in Semitic: Solutions and Pro-

spects, in Kaye, A.S. (Ed.), Semitic Studies in Honor of Wolf Leslau on the Occasion of his 85th Birthday, 2 voll., Wiesbaden, pp. 1675-1703.

Zaborski, A., 1994, Exceptionless Incompatibility Rules and Verbal Root Structure in Semitic, in Golden-berg, G., Raz, Sh. (Eds.), Semitic and Cushitic Studies, Wiesbaden, pp. 1-18.

Zancani Montuoro, P., 1975, I labirinti di Francavilla e il culto di Atena, «RAAN» 50, pp. 125-40 e tavv. Zographakis, G.C., 1933, Labrys et Labyrinthe, Salonicco.

Page 149: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

149

ABBREVIAZIONI

ABSA The Annual of the British School at Athens, Athens-LondonAGI Archivio Glottologico Italiano, FirenzeAION Annali dell’Istituto Orientale di Napoli, NapoliAIΩN Annali del Dipartimento di Studi del Mondo Classico e del Mediterraneo Antico.

Sezione linguistica, NapoliAJA American Journal of Archaeology, BostonAJPh American Journal of Philology, BaltimoreAr. Or. Archiv Orientálni, Praha ASGM Atti del Sodalizio Glottologico Milanese, MilanoBA Biblical Archaeologist, BostonBASOR Bulletin of the American Schools of Oriental Research, AtlantaBCH Bulletin de Correspondance Hellénique, AthènesBICS Bulletin of the Institute of Classical Studies, LondonBIFG Beiträge zur Namenforshung, HeidelbergBN Biblische Notizen, Salzburg BSL Bulletin de la Société de Linguistique de Paris, ParisCA Cahiers Archéologiques, ParisCJ The Classical Journal, AshlandEph. Arch. Ephemeris Archaiologiké, AthinaiGLECS Comptes Rendus du Groupe Linguistique d’Études Chamito-Sémitiques, ParisGRBS Greek, Roman and Byzantine Studies, DurhanHSCP Harward Studies in Classical Philology, Cambridge, MassachusettsHUCA The Hebrew Union College Annual, CincinnatiIEJ Israel Exploration Journal, JerusalemIF Indogermanische Forshungen. Zeitschrift für Indogermanistik und Allgemeine

Sprachwissenshaft, BerlinILing. Incontri Linguistici, PisaJANES Journal of the Ancient Near Eastern Studies, MelbourneJAOS Journal of the American Oriental Society, Ann ArborJBL Journal of Biblical Literature, AtlantaJCS Journal of Cuneiform Studies, BostonJEA The Journal of Egyptitian Archaeology, LondonJHS The Journal of Egyptian Studies, LondonJNES Journal of Near Eastern Studies, LondonJNSL Journal of Northwest Semitic Languages, LeidenJSS Journal of Semitic Studies, Oxford

Page 150: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa

150

KZ Zeitschrift für vergleichende Sprachforschung auf dem Gebiete der indogermani-schen Sprachen, Göttingen

MEFRA Mélanges de l’École Française de Rome. Antiquité, Rome-ParisMSL Mémoires de la Société de Linguistique de Paris, ParisOA Oriens Antiquus, RomaOr Orientalia, RomaPP La Parola del Passato. Rivista di Studi Antichi, NapoliQUCC Quaderni Urbinati di Cultura Classica, PisaRA Revue Archéologique, ParisRAAN Rendiconti della Accademia di Archeologia, Lettere e Belle Arti, NapoliRANL Rendiconti della Accademia Nazionale dei Lincei, RomaRB Revue Biblique, Jerusalem-ParisREA Revue des Études Anciennes, PessacREG Revue des Études Grecques, ParisREL Revue des Études Latines, ParisRHA Revue Hittite et Asianique, ParisRHPR Revue d’Histoire et de Philosophie Religieuses, StrasbourgRIL Rendiconti dell’Istituto Lombardo, Accademia di Scienze e Lettere, MilanoRM Rheinische Museum, Leipzig-BerlinRSF Rivista di Studi Fenici, Pisa-RomaRSO Rivista degli Studi Orientali, RomaSCO Studi Classici e Orientali, Pisa-RomaSE Studi Etruschi, RomaSEL Studi Epigrafici Linguistici sul Vicino Oriente Antico, VeronaSIFC Studi Italiani di Filologia Classica, FirenzeSMEA Studi Micenei ed Egeo-Anatolici, RomaSMSR Studi e Materiali di Storia delle Religioni, L’AquilaTAPhA Transactions of the American Philological Association, BaltimoraUF Ugarit-Forschungen. Internationales Jahrbuch für die Altertumskunde Syrien-Palä-

stines, KevalaerVT Vetus Testamentum, LeidenVTS Supplements to Vetus Testamentum, LeidenZAW Zeitschrift für die Alttestamentliche Wissenschaft, Berlin-New YorkZDMG Zeitschrift der Deutschen Morgenländischen Gesellschaft, StuttgartZDPV Zeitschrift des Deutschen Palästina-Vereins, WiesbadenZRPh Zeitschrift für Romanische Philologie, Tübingen

Page 151: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa
Page 152: Francesco Aspesi_Archeonimi Del Labirinto e Della Ninfa