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Sono ammessi, anche nelnostro regime penitenzia-rio, rapporti affettivi stabi-

li con altre persone, in particolarecon i familiari, sia con la corri-spondenza postale, sia con i col-loqui, che si svolgono con il con-trollo visivo del personale del car-cere. Per vero, la legge peniten-ziaria inserisce fra gli elementi deltrattamento, l’agevolazione deirapporti con la famiglia e unospecifico articolo dispone che“particolare cura è dedicata amantenere, migliorare o ristabili-re le relazioni dei reclusi con lefamiglie”.

Questa particolare cura è spe-cificata nel regolamentodi esecuzione alla leggepenitenziaria, nella con-cessione di colloqui,oltre quelli ordinari enella autorizzazione alle“visite” che consentonodi trascorrere, insieme acoloro che sono ammes-si ai colloqui, parte dellagiornata in appositi loca-li o all’aperto e di consu-mare un pasto insieme,fermo restando il con-trollo visivo del persona-le di sorveglianza.

Sovente, le modalitàdei colloqui in spaziristretti ed affollati limi-tano fortemente anchela sola espressione degliaffetti fra le persone. Insostanza nelle realtà piùfrequenti anche l’espres-

sione della semplice affettività èlimitata e rischia l’inaridimentodei rapporti con il resto dellafamiglia. Le testimonianze suquesto sono molteplici e sonofrequenti i casi nei quali i figliminori non vengono portati aicolloqui per le modalità con cuiquesti si svolgono. E’ chiaro chemanca un qualunque modo diaffrontare il problema della ses-sualità.

Vi sono regole diverse nellevarie legislazioni. Si possonoapprofondire quelle che dannoun particolare valore alla affetti-vità fino a consentire anche laespressione della sessualità con

un partner, ovviamente in localiseparati e senza controllo visivo.Queste regole hanno, in certicasi, solo soluzioni sperimentali ein altri, invece, vere e propriesoluzioni di sistema, concepitecome concessioni discrezionalidelle direzioni del carcere o comeveri e propri diritti dei detenuti,non prevedono limiti sui partnerammessi o introducono, invece,particolari limitazioni di sesso o dilegittimità del rapporto familiare.

Scendendo alla analisi concre-ta di tali regole, è utile citarequelle del Consiglio d’Europa,approvate dal Comitato deiMinistri dei 46 Stati europei (ade-

renti al Consiglio)l’11/1/2006. La regola24 - Contatti con ilmondo esterno - alpunto 4, reca questaindicazione: “Lemodalità delle visitedevono consentire aidetenuti di conservaree di sviluppare rapportifamiliari nel modo piùnormale possibile”.Tale regola è commen-tata in calce con que-ste parole: “La regola24.4 mette in rilievol’importanza particola-re delle visite per idetenuti, ma ancheper le loro famiglie.Ove possibile, devonoessere autorizzate visi-te familiari prolungate

l’editoriale

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AFFETTIVITA’ e SESSUALITA’

di Sandro Margara

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(fino a 72 ore, ad esempio, comeavviene in numerosi paesidell’Europa dell’Est). Dette visiteprolungate consentono ai dete-nuti di avere rapporti intimi con ilproprio partner. Le visite coniuga-li più brevi autorizzate a questofine possono avere un effettoumiliante per entrambi i partner.”Questa regola, quindi, non soloavverte che il problema sessualedel detenuto deve trovare solu-zione, ma che la deve trovareproprio in un quadro affettivofamiliare normale, attraverso visi-te prolungate e non, invece, convisite intime brevi, controindicateper l’effetto umiliante che posso-no produrre.

Nel documento contestualeche accompagna le “Regole”, sidanno ulteriori notizie: la Spagnaha scelto le visite familiari/intimebrevi; così anche alcuni paesiscandinavi, che presentano, però,anche altre soluzioni. In alcunipaesi dell’Est Europa vi sono inve-ce modalità più umane, consen-tendo le visite in appositi appar-tamentini, in cui può trovareaccoglienza la famiglia in tutte lesue componenti: in tale quadro èpossibile lo svolgersi di rapportisessuali con il partner.

In sostanza le esperienze sonomolto numerose ed interessano,in Europa e fuori Europa, moltipaesi di diverso sviluppo e carat-teristiche civili.

Proviamo a cercare di indivi-duare la realtà del carcere, làdove vigono regole proibizionistee nessuna soluzione del proble-ma sessuale. Si ha, da un lato, il

sesso sognato, attestato dalleimmagini che tappezzano i muridegli spazi interni in molte realtà:la conseguenza di questo sta nelsesso solitario. Dall’altro lato, siha l’omosessualità ricercata ocoatta, sia che la coazione conse-gua alla violenza o alla minaccia oa un consenso rassegnato allasituazione. In un suo articolo,Francesco Ceraudo, esperto diproblemi sanitari in carcere e diri-gente del Centro Clinico presso laCasa Circondariale di Pisa, citauna ricerca italiana che parla del90% dei detenuti coinvolti inesperienze omosessuali.

E’ chiaro,comunque, che èassolutamente improbabile unascelta di continenza da parte diun numero significativo di dete-

nuti, così che residuano le duescelte indicate (masturbazione eomosessualità, indotte dallasituazione) che hanno una evi-dente caratteristica di degrado eavvilimento personale, avvertito afondo da chi vi è costretto. Unadinamica contraria, all’evidenza,a percorsi di riabilitazione.

Cerchiamo di cogliere le moti-vazioni della scelta negazionista.

La prima si potrebbe interpre-tare così: il sesso non può esserelibero, ma disciplinato (largamen-te questo avviene anche per iliberi, ma, per questi, si tratta diun disciplinamento morale, incarcere, invece, di una inibizionereale), non può essere liberato nelcarcere, che è espressione dellarestrizione. L’altra motivazionecollega strettamente alla pena l’i-nibizione dei rapporti sessuali conun partner: la pena perderebbe

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l’editoriale

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Le malattie ci vengono,anche perché ci troviamonel carcere, ma non sono

sempre la catastrofe.Gli spazi ristretti e chiusi, la

solitudine e la lontananza dagliaffetti familiari, possono esserestimolati a far sorgere dellemalattie; è dimostrato, ad esem-pio, che gli attacchi di panicopossono sparire all’improvviso,così come sono comparsi; lo stes-so discorso vale per alcuni tipi didepressione che, come si sa,indeboliscono tutte le difeseimmunitarie. Purtroppo il dirittoalla salute viene calpestato nel-l’ambiente penitenziario.

Posso supporre quanto siaintensa la rottura che la malattiaintroduce nella vita di una perso-na. Spesso si rompe l’equilibriopsichico, la persona detenuta èparticolarmente debole in questoluogo, per come si svolge la pro-pria vita. Mi sono fatto un pen-siero sull’argomento, e adesso inpoche parole, lo descrivocon una metafora.

La malattia è il latonotturno della vita diuna persona, comeuna cittadinanza piùonerosa dell’altra.Tutti quelli chenascono, anchesani e di buonasalute, hannouna doppia cit-tadinanza, nelregno dello starbene e in quello dello star male.

Preferiremmo tutti servirci sol-tanto del passaporto buono, ma

prima o poi ognuno vienecostretto, almeno in un certoperiodo, a riconoscersi citta-dino di quell’altro paese.

Quando la malattia cibutta fuori dall’angolo tran-quillo in cui ci sentiamo sicu-ri, e siamo costretti a prende-re un passaporto per quell’al-tro paese in cui ci sentiamostranieri, l’aspirazione è che ilviaggio finisca presto.

Desideriamo che tutto tornicome prima, anche se sono certoche dopo essere passato attraver-so una malattia, non saremo piùcome prima, saremo migliori opeggiori, non lo so, in ogni casosaremo diversi.

Saremo diversi di certo dentroil carcere, ammesso di superare eabbattere la malattia.

Riflettiamo su come un dete-nuto affronta la malattia, nellapropria buia e triste cella, senzaavere nessun familiare al propriofianco, solo come un cane. Laqualità dell’altro passaporto

dipende da questoche stiamo utiliz-zando dentro lemura. Dunque,

tutti quelli che hannoun’altra cittadinanza

dovrebbero esserefortemente inte-

ressati dall’esi-to di questache noi vivia-mo…

N e s s u n opensa alla teoria del boomerang,un’arma che libera torna a colpirechi la scaglia!

di Antonio Miano

LA MALATTIA NON LASCEGLIAMO IN CARCERE

Mariadi Salvatore Talamo

Da quando in me è nato il veroamore ci sei stata sempre e solo tunel mio cuore…Si alza la luna, s’illumina una stel-la, io ti vedo in ogni cosa che puòessere splendida, luminosa e bella.Ti sento in ogni melodia, musica,canzone, in qualsiasi cosa cheporta un brivido o un’emozione: seiuna dolcissima nota che mi accom-pagna negl’istanti di ogni giornata.Muri, montagne che separano, pen-sieri che si incrociano, ma tu sei stampata in me e non tipotrò mai cancellare, perché soloaccanto a te, vivendo del tuo amoreriesco ancora a sognare. Un sogno, che nella sua bellezzariaccende il fuoco di ogni speranza.Scopo d’esistenza, scuola d’espe-rienza, favola infinita, sei tu la miavera vita.Il tuo equilibrio è un punto forteper il mio cammino e solo vicino ate non riesco a trattenere quell’e-splosione d’amore che mi accompagnerà per la miastrada e la mia vita.Una vita fatta di gioia, passione,gelosia e amore. Ma soprattutto Maria.

lo sguardodalle sbarre

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Dalle stelle alle stalle, è unracconto che tenta diripercorrere una vita negli

ultimi vent’anni. Partito alla ricercadell’avventura e della consapevo-lezza di voler conoscere il resto delmondo mi ritrovai in una meravi-gliosa spiaggia nel profondo suddella Spagna, dove negli anni 80sembrava ancora incontaminata ditutto quello che noi oggi chiamia-mo consumismo.

La sensazione di benesse-re che mi colpì fu talmentegrande che decisi di restare;lasciavo alle spalle una cittàcome Roma, dove il caosgiornaliero era già diventatoinsostenibile, quindi ritrovar-mi in una “pace” di silenzinaturali, dove il suono delvento e del mare era l’unicamusica da sentire, sembrò unsogno; il tutto era conditodal calore del sole che scalda-va il motore dei miei pensieri.Così iniziai a progettarecome e cosa fare per poter man-tenere vivo questo sogno...

Ricordo che avevano appenafinito i lavori di restauro dellalinea telefonica, abbandonandoquei vecchi pali in legno che a mepotevano servire per costruire unrifugio. Così, con tanta fatica ecarico di speranza, “mi appro-priai” di quei vecchi pali incusto-diti ed iniziai a scavare nella sab-bia per piantarceli, fino a formareun piccolo chiosco coperto conun vecchio telone di un camionche giaceva abbandonato lungola strada, anche lui.

Piano piano, così, rifinivo ilchiosco con delle palme secche

che raccoglievo al rientro dallemie lunghe passeggiate nellaboscaglia limitrofa. Comunque,in breve tempo vedevo nascerequello che poi sarebbe diventatoil mio chiringuito praticamenteuno dei più movimentati bar sullaspiaggia di Marbella, il tempopassava velocemente fra giornatedi sole e frutta fresca e notti“calienti” piene di rum…

I turisti si avvicinavano curiosial suono di quella meravigliosamusica “latino-americana” chemuoveva i culi di tutte le donne.

Insomma, gli affari andavanobene e io, felice della mia “impre-sa”, mi godevo lo spettacoloconoscendo personaggi di tutto ilmondo e di tutti i tipi, dal sempli-ce turista fai da tè, al ricconeimprenditore che spendeva unafortuna senza battere ciglio, alsolo scopo di trasgredire da quel-la che era la sua monotona vitaquotidiana.

Così mi dedicavo interamentea “procurare” i vari divertimenti etutte le trasgressioni a questi

“personaggi”... e si sa… da cosanasce cosa…

Nel senso che dopo un paiod’anni di attività “regolare” vede-vo che i profitti di quelli che iochiamavo “gli extra” erano supe-riori a quelli degli incassi normali,e divenni “famoso” proprio perquesto, perché al mio bar potevitrovare di tutto: dalle colazioni difrutti di mare, alla signorina che timassaggiava bevendo champa-gne o a quella che ti accompa-gnava nei “vari” percorsi turistici

Dalle stelle alle sdi Spartaco Ambrosio

così va il mondo

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o erotici (che dir sivoglia), il tutto condi-to, per chi lo volesse,da fragole e cocaina.Bene!

Si sa, in certi giri siincontra un certo tipodi gente, come dire:

chi va per questi mari questi pesciprende... Comunque, vi assicuroche le richieste erano sempretante e anche le proposte di uncerto tipo “d’affari” non eranoda meno. Così, per soddisfaretutta la mia “clientela”, iniziai arifornirmi all’ingrosso… In breve ilmio bar era frequentato da tutti ipersonaggi del jet set internazio-nale, attori, toreri, cantanti, balle-rine… e fra questi anche deigrandi narcotrafficanti con i qualiio strinsi una vera “amicizia”,

fatta di gite in barca e notti confeste in ville Hollywoodiane, dovenaturalmente ci si divertiva, maallo stesso tempo concludevo“affari” di ogni tipo.

Così facendo, i miei profittiaumentavano pericolosamente,permettendomi una vita da vero“principe”, potevo permettermi divivere in una di quelle ville cheprima avevo solo sognato, unabella fuori serie, moto, cavalli, bar-che… e ogni tanto mi chiudevo inuno di quei centri estetici dove tiriempivano di attenzioni e cremineper farti sentire più bello.Insomma ero arrivato a “toccare le

stelle”. Dopo annidi attività, eviden-temente, forse perinvidia degli altri“commercianti”della zona, inizia-rono i primi pro-blemi nel sensoche qualcunopensò bene dimandarmi deicontrolli fiscali conrelative perquisi-zioni etc, etc…

Insomma, iniziò “un inverno”e persi quella serenità che duravaormai da troppo tempo. Il “chi-ringuito” andava alla grande,però mi resi conto che comunqueero finito in un “elenco” di per-sone considerate indesiderate,anche perché, io per “loro”, erosempre un italiano in terra stra-niera e quindi li disturbavo trop-po. La decisione drastica di ven-dere quel sogno diventato realtànon tardò molto e così alla finetrattai l’affare con una delleragazze che mi era stata vicino findall’inizio dell’avventura e tro-vammo un accordo. Dicevo addioa tutto quello che mi rendeva feli-ce di esserci. Conclusi la venditadi tutti i miei “beni” tranne labarca che mi serviva come allog-gio e per partire verso una nuova

avventura... Navigai per giorni,insieme alla mia compagna diallora, e ritrovai quella serenitàche avevo cercato, fino ad arriva-re alle Isole Canarie.

Attraccammo a Playa delIngles, un piccolo porto di LasPalmas. Dopo vari giorni di relax egite turistiche, casualmenteincontrai, ad una festa riservata aipochi vip della zona, un amico excliente, uno di quei narcos chefrequentavano il mio “chiringui-to”. Lui, venezuelano d’origine,ma ormai trapiantato da anni neimari spagnoli, si dedicava,appunto, al trasporto di cocaina:avvicinava quei grandi mercantiliche fanno rotta verso il sudAmerica e caricava il suo velieroper arrivare alle coste spagnole;senza tanti preamboli mi proposeun “carico” e così andai; mi ritro-vai a navigare sopra un mare dicoca quando, in direzioneGibilterra, praticamente l’unicoingresso nel Mediterraneo, spun-tarono motovedette ed elicotteridella Guardia Costiera spagnola.

Ci ritrovammo come dire: cir-condati in acque internazionali.Scoppiai a ridere (per non pian-gere) e improvvisamente vedevosparire, dietro quell’orizzontemeraviglioso, tutti i miei sogni.Dopo i controlli di routine, miritrovai in una cella umida, buia elegato ad una sedia; improvvisa-mente accecato da una luce diuna lampada per essere interro-gato, non riuscivo a vedere nien-te ma sentivo i colpi sui fianchiche mi arrivavano probabilmentedall’agitare una frusta, un vec-chio asciugamano bagnato… riu-scivo a malapena a respirare echiudendo gli occhi senza parla-re, per non sentire il dolore,immaginavo ancora quella spiag-gia meravigliosa dove tutto ebbeinizio. Rimasi per tre giorni e duenotti legato a quella sedia senza

stallecosì va il mondo

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mangiare e riuscivo abere un po d’acquasolo quando me netiravano addossodelle secchiate persvegliarmi. Il processofu una vera e propria“forza” e solo alloracapii che quel vene-zuelano mi aveva“venduto” per conti-nuare i suoi illeciti“viaggetti”.

Catapultato nelcortile di un vecchiocarcere nel deserto diAlmeria, dove la civiltà purtropponon era ancora arrivata, mi ritro-vai in mezzo a gente “strana” diogni parte del mondo, i lorosguardi erano assenti e senzacolore e la loro pelle bruciata dairaggi di quel sole che scaldava leinterminabili giornate.

Marocchini, gitani,indigeni, vari africa-ni… insomma, unaconfusione di culturediverse, una dimensio-ne alla quale non miriuscivo a posizionare,non riuscivo ad ade-guarmi a quello“schifo” che avevainvaso la mia vita. Aquel punto capii diaver toccato veramen-te il fondo. Dopo annidi sofferenze in quelle“stalle”, lontano da

tutto quello che aveva riempito lamia vita fino a prima, sono riusci-to a tornare in Italia, in quellaRoma che avevo lasciato caotica erumorosa, ma con la consapevo-lezza che risalire dalle stalle allestelle sarebbe stato molto più dif-ficile, in quanto reinserirsi social-

mente nella nostra Italia è semprepiù faticoso, specialmente per chi,come me, ha ancora quei sogni dilibertà. Oggi, fortunatamente, horitrovato le mie stelle: ho riscoper-to l’amore, l’affetto ed ho unbambino meraviglioso insieme allamia compagna fantastica e fra noic’è quella magìa che non si puòscrivere sopra un foglio di carta,ma si può sentire solo se si è vis-suto quel viaggio di andata e ritor-no… Dalle stelle alle stalle.

Devo dire che in tutto questoha giocato la sua parte anche iltempo, l’età: all’inizio della storia ilbenessere ed il ben sentire eralegato prevalentemente all’agiomateriale, ora prevale nettamenteun ben sentire interiore, maturo,legato agli affetti, ai sentimenti,che mi consentono di affrontare esostenere tutti i disagi materiali delcarcere relativizzandoli.

Dietro ad ogni realtàdell’essere umano,c’è un mondo lon-

tano dal nostro vedere.Spesso si viene discriminatisenza prima capire. Se inve-ce si fosse discreti nel giudi-care in modo giusto e coe-rente, ma soprattutto guar-dando indietro, nel passatodella persona che sì è davalutare, troveremmo lasoluzione alle conseguenze.E nel comprendere i gestiche si realizzano, capiremmo per-ché si arriva a tanto. Abbiamotutti dei patemi!!!

Ognuno di noi non sa con cer-tezza dove và a finire la via chestiamo percorrendo. E non sap-piamo neanche cosa realmentefaremo. Ci sono cose che si fanno

per disperazione, per debolezza,o perché semplicemente… si ècostretti. Ogni strada ha tantedeviazioni, ognuna le proprie dif-ficoltà, i propri ostacoli. Ognunacon la sua scalinata e la vetta daraggiungere. Ma la cruda realtà èche… dopo tanti sacrifici per arri-

vare alla fine della strada, aseconda di dove ognuno hacercato di arrivare, sappiamoche prima o poi cadrà. Perché“viviamo per soffrire e mori-remo per capire“. E mentre ilmondo gira... non ci rendia-mo conto che và al contrario,ovvero sempre di più versol’ipocrisia e l’indifferenza. C’ègente che muore per fame, oviene ammazzata per unniente, o che si trova al postosbagliato al momento sba-gliato. I potenti dichiarano

guerre, e i poveri diventerannovittime. E in qualche angolonascosto, l’uomo mostro haavuto la caparbietà di essere cru-dele nel pianto degli strilli dellamia bambina. Tra le mani stringoil male, e nell’animo un perdono.

di Raffaele Corona

così va il mondo

così va il mondo Misericordia

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frammentil ’enigma

C’è chi muore, c’è chi vive,c’è chi fa soldi, questesono le piazze di Scampia,

lì dove i tossicodipendenti vivonocon quanto gli offre il Sert: meta-done e subutex. Ma agli operato-ri di questa struttura di “recupe-ro” non interessa dare uno stimo-lo agli utenti per uscire dalladroga; ci riempiono di metadonecon dosaggi che arrivano fino a100mg di concentrato, pari a500mg del vecchio metadone, ecosì facendo si moltiplicano i casidi cirrosi epatica, tanto chi muoreè il “tossico”. E tutti i soldi deifinanziamenti destinati ai Sert perle varie attività dove vanno a fini-re? Dove sono queste attività?

La realtà è che il Sert si limitaa somministrare la terapia control’astinenza e poi i ragazzi sonoabbandonati a loro stessi, eccoperché poi vicino ai Sert si creanoi presupposti per lo spaccio disubtex e metadone. Se la tossico-dipendenza non viene curata, masi pensa ad eliminare solo i sinto-mi dell’astinenza, il tossico fa ditutto per procurarsi i soldi percontinuare a drogarsi, ancherivendersi la scorta di medicinali

data in affi-damento dalSert. Io hocomprato 12pasticche da2 mg di sub-tex, equiva-lenti a unapasticca emezzo da 8mg, e sono stato con-dannato a 4 anni, confermati inappello. Se il Sert offrisse unaterapia psicologica, oltre quellafarmacologia, con colloqui egruppi di sostegno, oltre ad atti-vità ricreative che tenesseroimpegnati gli utenti, come unbiliardino, un tavolo da ping-pong, proiezioni di film, tornei dicalcetto, sono sicuro che avrebbepiù potere curativo.

Non si tiene conto del fattoche se un ragazzo ce la fa aduscire dalla droga, ne può aiutarea sua volta altri dieci.

Altra cosa importante è l’eli-minazione dell’affidamento dellaterapia per evitare lo spaccio, mafar venire gli utenti tutti i giornicosì da coinvolgerli nelle varieattività. Invece ci riempiono distupefacenti in fretta e furia per-ché a mezzogiorno devono chiu-

dere, e noi, pieni diqueste sostanze oci andiamo a droga-re... con tanti chemuoiono di overdo-se, o andiamo afare qualche reato esi finisce carceraticon un minimo di 6anni per rapina. Iovorrei dire ai signori

del Sert “non riempiteci di farma-ci che poi ci portano alla morte oin carcere”!!!

La riabilitazione non può con-sistere solo nella cura farmacolo-gia. Anzi, la molla che ci spingeverso le droghe è di natura fonda-mentalmente sociale. Si tratta diuna patologia complessa la cuisemplificazione sanitaria complicaancora di più il quadro già com-plesso. Non esistono soluzionisemplici (farmaci, carcere…) perproblemi complessi… La dimen-sione sociale del fenomeno dellatossicomania non si risolve con lescorciatoie sanitarie e giudiziarie,che invece riproducono all’infinitoil fenomeno che dicono di voler“curare”. Forse è l’ignoranza,forse la malafede, forse la scarsavolontà politica di affrontare econtrastare davvero un fenomenoche ha ormai dimensioni socialidavvero allargate. Il paradosso stanel fatto che il tentativo (fallimen-tare) di semplificare il problemaha costi economici a carico dellasalute pubblica, decisamentemaggiori di quelli richiesti da uncorretto affronto del problema.Senza contare i costi umani edella sicurezza pubblica… e l’e-stensione del fenomeno. A cheserve? A chi serve?

di Davide Carandente

Tossicomania: dal sociale al sanitario, al giudiziario...

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Iniziamo a specificare che leprigioni a cui fa riferimento iltitolo non è solo il penitenzia-

rio in cui una persona detenuta sitrova reclusa, ma consiste anchenel micro-cosmo mentale di ogniindividuo, delineato dall’espe-rienza quotidiana e dal propriovissuto nell’arco della vita.

La scelta del termine“prigione” vuole evidenziarel’inevitabile limite dellanostra percezione e relativainterpretazione degli avveni-menti esterni al nostroambiente rispetto alla realtàdei fatti.

Un esempio banale puòessere fatto in base allerecenti e molteplici notizieche, giornali e notiziari,riportano del quartiere“Scampia”. In base a taliinformazioni è naturale pen-sare che la vita a Scampia siaun inferno: omicidi, rapine,sparatorie e numerosi crimi-ni si susseguirebbero conuna vorticosa frequenza,giorno per giorno e senzasoluzione di continuità, ren-dendo il quartiere invivibile.

In realtà testimonianze di per-sone che abitano il territorio cisvelano una realtà opposta, unaragazza nata e residente aScampia ha dichiarato di nonaver mai avuto nessun tipo diproblema nell’andare in giro dasola, anche all’interno delle fami-gerate “vele” della 167.

I fattori da analizzare per cer-care di capire l’origine della diver-

genza tra queste testimonianze el’idea che una persona qualsiasi,detenuta o no, può avere, posso-no essere estrapolati da due con-testi. Il primo: essendo estraneialla realtà non si hanno termini diparagone per interpretare le noti-zie che ci pervengono dai media inmodo diverso da come vengono

diffuse, infatti spesso ciò che acca-de nelle zone lontane a Scampiaviene comunicato in modo errato,chiamando il luogo di tale eventosempre Scampia. Al contrario,abbiamo verificato che, ad esem-pio, escludendo il periodo dellaguerra per il controllo dei territoritra i clan “Di Lauro” e gli“Scissionisti”, è estremamenteraro che avvenga un omicidio o unattentato all’interno di del quartie-

re stesso, mentre i palcoscenicivanno da Miano a Secondiglianopassando per Arzano e tanti altripaesi adiacenti.

Ugualmente i casi di rapina oanche di semplice furto sono unaminoranza all’interno di questoquartiere rispetto al resto dell’in-terland napoletano, nelle vicinan-

ze. Eppure sui giornali e suinotiziari l’accaduto vieneassociato a Scampia. Ora,una persona detenuta cheha solo queste fonti, cosìcome qualsiasi altro indivi-duo estraneo alla zona,come può anche solo avereun dubbio sulla veridicità diqueste informazioni?

Il secondo, il proprio vis-suto ha insegnato che, in undeterminato contesto, unacerta situazione si svolge e sievolve in un modo specifico.Un individuo che vive aRoma nel quartiere Tor BellaMonaca convive con unarealtà fatta di piazze dispaccio di droga legato adinnumerevoli crimini com-piuti dai tossicodipendentiche frequentano il quartie-

re, spinti dal bisogno di procurar-si il denaro necessario all’acquistodi droga; in base a quali elemen-ti potrebbe costui pensare che aScampia le cose vanno diversa-mente?

Naturalmente una conoscen-za del territorio, nonché delledinamiche proprie della malavitaorganizzata di stampo camorristi-co, offrono le informazioni neces-sarie per capire la differenza tra

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frammenticosì va il mondo

La percezione degli evental di fuori delle nostre “prdi Richard Gennaro

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queste due realtà, ma in mancan-za di ciò siamo “prigionieri” del-l’influenza delle notizie che cipervengono, influenza dovuta,nel primo caso, alla mancanza ditermini di paragone, mentre nelsecondo caso è proprio l’espe-rienza acquisita ad influenzarel’interpretazione dei fatti.

E’ fuori discussione che aScampia ci sia un grosso proble-ma legato allo spaccio di droga,ovvero un’emergenza relativa allacriminalità organizzata, ma para-dossalmente io credo che vadacercato proprio in questo conte-sto il motivo percui sono rari gliepisodi di micro-criminalità. Vieneda chiedersi per-ché le fontimediatiche dii n f o r m a z i o n ediano una descri-zione dei fatticosì lontana dalla

realtà. La mia opinione è che leistituzioni non potrebbero maiammettere che la criminalitàorganizzata riesce a tenere abada la micro-criminalità e, addi-rittura, a fornire una sorta di pro-tezione agli abitanti del territorio,mente lo Stato no, e per questo

motivo si sforzano di far apparireagli occhi dell’opinione pubblicaquesti due fenomeni di crimina-lità, così diversi tra loro, come unasituazione di causa-effetto.

Quello di Scampia, e più ingenerale delle dinamiche legatealle associazioni di stampo mafio-so/camorristico, è solo un esempiodi come le nostre “prigioni”, reali ementali, influenzano la percezioneche abbiamo della realtà e la nostrainterpretazione delle notizie, maquesto mio ragionamento puòessere, secondo me, ugualmentevalido se portato all’intolleranza

verso gli immigrati,o al problema delcaro vita, figlio del-l’entrata in vigoredella moneta unicaeuropea, ma anchea molte “notizie”che girano per il car-cere e che, improv-visamente, si rivela-no infondate.

nti...prigioni”

Cos’è lagiustizia?di Carlo Marchese

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Un giorno mi trovai perla prima volta inun’aula giudiziaria, e

fui colpito dagli abiti indossatidal Giudice, dal PubblicoMinistero, e dagli Avvocati.

Mi sono subito detto “que-sta è una cosa seria”.

Guardai alle spalle delGiudice, e mi diedi una secon-da illusoria risposta, mi fecicoraggio che avrei dimostratofacilmente la mia innocenza,che la giustizia è quella raffi-gurata dalla bilancia e laspada, che soppesava prove etestimonianze, e la paragonaial gioco degli Shangai, dovechi ti giudica, toglie dal fasci-colo dibattimentale ognipagliuzza con delicatezza,ogni prova falsa viene scartata,fino ad arrivare alla verità, adimostrazione della tua colpe-volezza o innocenza.

Oggi, l’ho capito bene cosaè la giustizia “luogo dove sidecide la sepoltura a vita perchi non è politico o non èpotente nella società, anche seè innocente”. Una storia anti-ca, che si rinnova sempre,dove la verità oggettiva è sem-pre latitante…

l ’enigma

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frammenti

E’ cosa risaputa che in Italiail sistema giudiziario epenitenziario sono da rin-

novare: i processi hanno unadurata lunghissima e di conse-guenza la carcerazione preventi-va diventa insopportabile.

Si sente sempre dire che laciviltà di un paese si misura dalsistema giudiziario e da quellopenitenziario. Purtroppo, l’Italiain questo è distratta e sorda, per-tanto le parole rimangono solo esempre parole. In un paese che siritiene democratico e civile que-sto non dovrebbe accadere,l’Italia si ostina sempre a volerinsegnare ad altri, mentredovrebbe avere l’umiltà di impa-rare dagli altri.

Facciamo il percorso completodi una persona privata dellalibertà in altri paesi.

In Spagna quando si è arresta-ti si viene portati nella commisse-ria, dove il comandante chiede sesi vuole essere interrogati da lui odal giudice. Nel caso si sceglie ilgiudice bisogna aspettare duegiorni, in quella circostanza il pro-prio avvocato può chiedere l’ap-

plicazione della cauzione e ilrisarcimento, nel caso ci fosserostati dei danni. Il giudice valutatala gravità dei fatti, decide serimettere in libertà oppure man-dare in carcere, però fissa subitoil giorno e la Corte che giudi-cherà ed invia in un carcere diprimo livello, cioè in quello pergiudicabili; solo dopo la condan-na di primo grado si cambiaIstituto.

Nel primo invio ci sono piùlivelli penitenziari e il sistema èuguale per tutti: aria obbligatoriadalle 09:00 alle 17:00, solo in casodi certificazione medica si puòrestare in cella, l’aria è senza muri,c’è solo una rete metallica primadel muro di cinta, è grandissima econtiene il campo da calcio convigilanza armata, palestra, passeg-gio e altri spazi, c’è solo un agen-te e una torretta per il controllodei detenuti; inoltre, c’è un repar-to con i telefoni, ogni detenutopuò acquistare una scheda telefo-nica al mese di circa 15,00 euro epuò telefonare quando vuole e achi vuole, fino all’esaurimentodella scheda stessa. Alle 12:00 sipranza in un refettorio comunefino alle 13:00.

I colloqui sono in locali con ilvetro e si parla con il citofono,però ogni 15 giorni ci sono le dueore e mezza di affettività.Consiste nel fare entrare mogli,fidanzate, compagne o unadonna a proprio piacimento; perquesti incontri ci sono localiappositi separati dalla struttura,sempre interni al carcere. Questodell’affettività è uno spazio vissu-to da tutti, detenuti e agenti, inmaniera naturale e semplice (inItalia sarà mai possibile?). Per i

detenuti con condanna definiti-va, con pene meno gravi, ci sonomolte alternative, che vanno dailavori socialmente utili, pulizie dispiagge e di giardini, accompa-gnamento delle persone invalide,e di quelle anziane, tutto ciò peressere pronto per la libertà vigila-ta, quando raggiungi la metàpena, mentre per chi sta scontan-do pene per reati più gravi, a

Mondi a confrontodi Francesco Mazzoni

teorica/mente

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metà della penasi riunisce den-tro il carcere, ungiudice, il diret-tore, l’educato-re, il medico, lapsicologa, ilprete e ilc o m a n d a n t e ,valutano tutte lei n f o r m a t i v eprese dagliagenti peniten-ziari e decidonoil percorso che lapersona detenu-ta deve fare per un tempo da lorostabilito. Facciamo l’esempio diuna persona condannata allapena di 12 anni, appena sei defi-nitivo la direzione toglie subito iquattro mesi di liberazione antici-pata che spettano ogni anno,pertanto sono 12-5=7, metàpena è quando sconti 3 anni emezzo di reclusione effettiva. E’un sistema giudiziario all’ameri-cana, nel 2001 è stata indotta lagiuria popolare.

In Germania subito dopo l’ar-resto si va da un giudice, al qualesi può fare richiesta di libertà sucauzione, se il giudice decide per

il carcere si dovrà fareil processo di primogrado entro sei mesi,l’appello entro i seimesi successivi, e lacassazione nei seimesi successivi, all’ap-pello perciò i tempidei tre gradi di giudi-zio non devono supe-rare i 18 mesi. Da defi-nitivo il lavoro è obbli-gatorio nelle fabbri-che interne agli istitutio nelle mansioni ine-renti all’istituto. Unavolta scontata metàpena si riuniscono ilgiudice, l’ispettore, ilprete, l’assistente

sociale e unagente di repar-to per una con-ferenza, posso-no decidere perla semilibertà oil lavoro in car-cere con l’uscitaper il fine setti-mana in deten-zione o libero.Da libero si vieneaiutati per i 3anni successivi, ilservizio sociale oil carcere stesso

procura un appartamento, se nonsi trova il lavoro subito il sociale tifarà avere, fino a quando non sitrova, 600 euro al mese. Anchequi, una volta definitivo, il benefi-cio della liberazione anticipata,che è di 4 mesi l’anno, viene toltodalla direzione.

Stessa cosa accade inOlanda, in Inghilterra ecc... Tuttii paesi Europei adottano unsistema più veloce per i processi,mettono in atto il mezzo dellacauzione e una volta definitivi,tutto passa all’interno degli isti-tuti si mette in atto il principiodella rieducazione del condan-nato, inoltre danno modo allepersone detenute (questo dalmomento dell’arresto) di nonavere il distacco dalla propriaaffettività e intimità, inoltre lapena dell’ergastolo è solo perreati di terrorismo e strage.

Anime sospesedi Eduardo Pignalosa

Gocce di pioggia rompono il silenzio della notte,anime sospese sopraffatte dall’insonniache parlando con le ombre fanno compagnia.Anime disperse nelle tenebre, sono appese ad un filo di speranza,infrante dal dolore.Immagini vaganti di un desertoesteso e senza destinazione,dove uno sguardo per seguire un’aquilareale è frutto dell’immaginazione…L’anima è ad un passo dal trapasso, al 41 bis,inferno dei vivi, ai confini dell’umanità…

L’amoredi Ciro Manzo

Ogni ora, ogni minuto della giornata e della notte il mio cuore è sempre con te.Ormai, pur sapendo che non ti può conquistare...non si vuole rassegnare. E tu che fai?Con la tua indifferenza mi fai soffrire, però a volte basta che i tuoi occhi sono rivolti su di me, per farmi felice;basta, ormai questa storia non può più durare,anche se il mio cuore è afflitto... devo dimenticarti.Ma poi... penso e dico “come si fa?”

contro/versi

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Dove vige la Sharia si muoreper una relazione extraco-niugale. Eppure questa

legge ha il nome di una donnaShaira. L’ultima notizia ha fattovelocemente il giro del mondo,divulgata dall’avvocato della vitti-ma, dal nome sconosciuto, perciòchiamata la ragazza di Qatif.Questa, di 19 anni, appartatasicon il suo fidanzato, è stata vio-lentata da un gruppo di stuprato-ri, si dice che anche il ragazzo

abbia subito violenze. Denunciatoil fatto, i 7 stupratori sono statiarrestati e condannati, ma anchela ragazza è stata condannata.

Prima dell’appello la ragazzasi sposa, e fa divulgare la notiziadal proprio avvocato. Il risultato èstato che il numero delle frustateè stato aumentato a 200, 6 mesidi carcere e l’avvocato si è vistosospendere la licenza. Il tutto innome della Sharia, difesa dalMinistro della Giustizia Saudita inquanto la legge islamica prevedequesto, ed è inutile sollevare pol-veroni tramite i media. Dagli USAun solo grido “vergognatevi”, sututti Hilary Clinton, per far can-cellare quelle assurde accuse erelativa condanna.

Anche il segretario di StatoUSA, Condoleeza Rice, si rivolgecon una lettera al Re saudita;nonostante questo e gli appellidel mondo intero, la giustiziasaudita se così si vuol definire, fail suo corso. Giustizia che non hala comprensione, nè pietà per gliomosessuali, per i quali, se sco-perti a fare sesso, non solo ven-gono condannati ad un periododi carcere duro, ma devono rice-vere una cifra intorno alle 50 fru-state al giorno fino alle 300. Perle adultere è diverso, anche seincinte, vengono lapidate.

Questo in tutti i paesi dovevige la Sharia (Arabia Saudita,Iran, Nigeria).

Chi è riconosciuto colpevoledi relazione extraconiugale vienelapidato, il codice islamico descri-ve anche le modalità del martirio.In Iran si prevede che le pietrenon devono essere grosse dapoter uccidere subito il condan-nato, nè tanto piccole. Nei paesiislamici si condanna a morteanche per impiccagione, il ritosembra quasi una festa, in piazza,o in uno stadio con pubblicoanche di donne e bambini, lostesso vale per la lapida-zione e decapitazione.

I condannati vengo-no anche frustati daiparenti delle vittimeprima dell’esecuzione.In Iraq ai disertori dell’e-sercito si tagliavano leorecchie. In Libia vige lalegge del taglione, l’am-putazione della manoper i ladri, la flagellazio-ne per le adultere.

Non manca la decapitazione,con mutilazione degli arti o degliocchi prima di salire sul patibolo,gli arti mutilati vengono appesi ailampioni delle strade. In Sudan lamaggioranza delle bambine ècostretta a svolgere lavori pesan-ti. In Indonesia le donne lavoranopiù degli uomini, in condizionidisumane, per lavori particolari,ricevono metà dello stipendiodegli uomini, e se restano incintevengono licenziate. Tutto questooggi, dove la globalizzazione, ilmodernismo ha cambiato usi emodo di vivere, dove si parlatanto, ma si agisce poco, quantoconta aver commesso o meno unreato. O forse lo è essere donna.Intanto si legge, si discute, sidisapprova, ma…

L’inesorabile giustizia cheattua la legge dell’Islamdi Antonio Collàro

l’attualità

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Mi ricordo che qualcheanno fa c’era una granconfusione in giro per

l’Italia. C’era sempre qualcunoche affermava di sapere quali fos-sero i mali del paese e comecurarli, ma ogni ricetta era diver-sa, eppure la descrizione del pro-blema appariva unica.

Oggi invece vedo che lo sce-nario politico ci propone duegrandi schieramenti chela pensano quasi allostesso modo: addirit-tura i due programmisi differenziano in soli6 punti. Sembra quindiche finalmente chi è alpotere abbia le ideechiare su cosa fare, indi-stintamente dalla voca-zione politica, e questodà una sensazione rassi-curante.

Ma secondo me è solo un’illu-sione, studiata a tavolino per col-pire la gente lì dove ne ha piùbisogno; nella società di oggi chesembra andare allo sfascio in tutti

i suoi aspetti, non c’è niente dipiù efficace del senso di rassicu-razione per avere consensi, quin-di voti.

Se ci penso bene questauguaglianza di intenti nella politi-ca di oggi risulta come un appiat-timento del sistema democratico.

Se sono tutti d’accordo che cistanno a fare due coalizioni, unadi governo e l’altra di opposizio-ne? Ma in Italia tutto ciò si riflet-te anche nella vita quotidiana,non solo in politica, siccomemolte testate giornalistiche fra le

più diffuse appartengono allostesso pacchetto azionario,

così come le televisioni pri-vate più diffuse, lac o m u n i c a z i o n emediatica è spesso a

senso unico, dando anco-ra una volta l’immagine appiat-

tita della realtà.Purtroppo, molte persone

seguono questa linea ideologicaperché gli viene riproposta incontinuazione e in tutte le salse.

Ma quali sono i paesi in cui sifa di tutto per imporre un’unicalinea di pensiero?

Quelli a regime totalitario,ovvero dove c’è una dittatura,così come penso che il bello dellavita stia nel fatto che ognuno dinoi è diverso dall’altro, sono con-vinto sia importante fare di tuttoper farsi una propria opinione,andando a sentire tutte le cam-pane, non solo quelle che suona-no più forte.

Per concludere, vorrei farnotare che per via dell’appiatti-mento mentale indotto negli ulti-mi anni è nata una nuova profes-sione: l’opinionista, ovvero qual-cuno pagato fior fiore di quattriniunicamente per avere un’opinio-

ne su qualcosa, che poi diventeràla famosa “opinione pubblica”!

In democrazia tutto ciò nondovrebbe accadere, se accadecome accade, è perché nellamigliore delle ipotesi si tratta diuna democrazia malata, grave-mente malata, talmente malatada somigliare ad una dittatura difatto. Come se ne esce? Si puòuscirne? A quale prezzo? Partendoda dove?

Forse bisognerebbe mettere alcentro la questione morale, senzala quale tutti i sogni diventanoincubi!

Quanto vale un’opinione?di Ciro Manzo

Se tu non esistessidi Ciro Manzo

Mentre il tramonto scolorae si appresta a calare la nottesono qui, d’avanti a una finestrache osservo le grandezze della vita, fra un passaggio e l’altro.Uno spiffero di ventoche mi arriva da una fessurami accende la mente!E penso:si, la vita è grande!Ma se tu non esistessi,la vita cosa sarebbe?

l ’enigma

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Carissimi amici, vi invio unariflessione fatta tempo fa quandomi trovavo in Albania. Forse vichiederete perché invio a voi que-sta storia. E’ semplice. Come cre-dente vorrei dirvi che è possibilepensare che non dobbiamo faregrandi cose per amare Dio, ma ènecessario rendere grandi le coseche ci sembrano persino piccole,inutili e insignificanti. Insomma,tutto ha un senso. Basta soloorientare il tutto verso la vita. Tuttoè “Grazia”. Vi saluto con affetto,nella speranza che questo mioricordo albanese, sia accolto comeuna carezza che rallegra l’anima.

Scrivo al termine di unagiornata, tornando dadue villaggi che sono alla

periferia di Scutari. E’ impressio-nante ed emozionante allo stes-so tempo vedere questo popoloin cammino percorrere diversichilometri per partecipare all’eu-caristia.

Queste persone, mi hanno cir-condato con il loro calore. I pic-coli mi guardavano incantati per-ché tutto ciò che è nuovo li stupi-sce. Facevano di tutto per inter-cettare il mio sguardo e ad ognicarezza data, corrispondeva sem-pre un largo e illuminante sorriso.Ad un certo punto è apparsaanche una macchina fotografica.Davanti a certe miserie, l’idea difotografare mi sembra invadentee in un certo senso anche offen-sivo. Non credo che quelle perso-ne desiderano mostrare la loropovertà. Ma fotografare l’incon-tro era un loro desiderio e nonpotevo rifiutare un tale invito. Misembrava di essere come in unapellicola di un vecchio film in

bianco e nero, dove l’occidentalealto e opulento viene ammiratocome qualcosa da imitare ed invi-diare. Ma nel cuore di questoincontro è apparsa una famiglia,di quelle che non si vorrebberomai incontrare per non sentirel’urlo che sale da quel poco diinnocenza che mi rimane. Dueconiugi psicolabili, accompagna-ti da una coppia di parenti,hanno voluto mettere tra le miebraccia, prima del battesimo, laloro piccola bambina di nomeDajana. Una bambina nata dapochi giorni con una gravemalformazione agli occhi, senzaalcuna possibilità di poter vedere.Mi hanno chiesto di tenerla inbraccio per una foto, ma soprat-tutto perché le donassi la benedi-zione di Dio. La madrina, con gliocchi pieni di lacrime mi diceva distringere forte a me la piccolaDajana. Per loro questo abbraccioera un modo concreto per otte-

nere la benedizione di Dio. In unitaliano semplice e con tantopudore, mi ha fatto notare che lecoccole che donavo a Dajana rap-presentavano la carezza di Dio, diquel Dio che non abbandona mainessuno. E più volte con grandeumiltà mi hanno ringraziato per ilsolo fatto che avevo avvoltoDajana con il mio affetto.

Questo incontro è nato dopola Messa, nella quale celebrazio-ne, mentre ascoltavo la Parola diDio, ho notato un crocifisso“abbandonato” sull’armadioposto a lato dell’altare di questachiesa-capannone. Il Cristo croci-fisso era in terra cotta e malridotto. Mi hanno detto che stavalì perché sarebbe stato pocodignitoso esporlo alla vista ditutti. Alla gamba destra mancavaun pezzo e le mani erano frantu-mate. Solo dopo l’eventualerestauro l’avrebbero esposto nuo-

Preghiera per la piccola di Don Tonino Palmese

il racconto

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vamente al culto dei fedeli. In unattimo mi è tornata in mentel’immagine di questo popolo incammino per strade polveroseche si reca alla messa festiva. Hoproposto a quella comunità dispolverare quel crocifisso e dimetterlo in quel momento cosìcome si presentava appeso allaparete dietro l’altare, affinchéfosse visto da tutti. Ho ricordato illoro viaggio verso quella chiesa eho detto che ciò che manca aGesù su quella croce, essi lo com-pletano con una fede veramentemartiriale, espressa appunto inquel viaggio fatto per celebrare lasanta messa. Nell’andare versoquella chiesa, diventano certa-mente motivo di consolazioneper quel Crocifisso. Sembra disentire questo popolo dire aGesù: “Non preoccuparti, cam-miniamo noi con Te e per Te.Veniamo noi a cercarTi e sani e

salvi saliamo sulla Tua Croce atenerTi compagnia”.

Dopo la “solenne” collocazio-ne del Crocefisso alla parete dellabaracca, i miei occhi sono andativerso quella prima fila dove c’erala piccola Dajana. Dinnanzi aquell’“anima di Dio”, ho deside-rato rivolgermi a Gesù dicendo-gli: “Adorato mio Gesù, per quelpoco che posso sapere di Te,penso che Tu nei confronti diquesta bambina ti senti in “debi-to” e averti una sconfinata com-passione. Infatti, sai bene che leiassieme ai suoi compagni di viag-gio, viene verso Te, perché Tupossa essere qui celebrato ecustodito nell’eucaristia.

Pertanto, ascolta la nostrapreghiera, donale la vista, perchéquesto viaggio nella vita sia piùsicuro e sereno. Mi preoccupa l’i-dea che Dajana possa riceveresolo la vista frutto della scienza.Così vedrebbe in quale culla-leta-maio noi l’abbiamo accolta. Ma,se invece, a donarle la vista saraiprima di tutto Tu, allora i suoiocchi vedranno ciò che vedi Tu,anzi ciò che Tu vedesti un giornoin quell’incrocio di sguardi tra tee la Tua Mamma. Infatti, a Lei,desidero rivolgere una specialepreghiera. Si speciale, perché a

pronunciarla è stato un grandeuomo di fede, che adesso vivenella pace del Paradiso: donTonino Bello, che fu vescovo ditutti, ma soprattutto dei piùpoveri. Egli disse: “Santa Maria,donna del primo sguardo, donacila grazia della tenerezza. Le tuepalpebre, quella notte, sfioraronol’Agnello deposto ai tuoi piedicon un tiepido brivido d’ala. Lenostre, invece, si poggiano sullecose, pesanti come pietre.Passano sulla pelle, ruvide comestracci di bottega. Feriscono ivolti, come lame di rasoio. I tuoiocchi vestirono di carità il Figlio diDio. I nostri, invece, spoglianocon cupidigia i figli dell’uomo.

(…) Santa Maria, donna delprimo sguardo, grazie perché,curva su quel bambino, ci rappre-senti tutti.

Perdonaci se i nostri sguardisono protesi altrove. Se inseguia-mo altri volti. Se corriamo dietroad altre sembianze. Ma tu sai chenel fondo dell’anima ci è rimastala nostalgia di quello sguardo.Anzi, di quegli sguardi: del tuo edel suo. E allora, un’occhiata dac-cela pure a noi, madre di miseri-cordia. Soprattutto quando speri-mentiamo che, a volerci bene,non ci sei rimasta che tu”.

a Dajanail racconto

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Visitarla a passo d’uomoper scoprire un mondoantico e futuristico.

Amsterdam puoi anche vederlacome un grande porto per casegalleggianti che hanno il motore,il timone, ma sempre lì ferme, sene contano almeno 2500. Lamaggioranza di queste larghechiatte sono fissate alla riva delprimo e più vecchio canale dellacittà, il Singel. Barche, con i vasidei fiori davanti agli oblò, come siusa sui davanzali dellefinestre delle case; i turistia scrutare e fotografaretra quei vetri; le personeche ci vivono sembranomarinai; gli occupanti, inrealtà, sono persone nor-mali che al mattino scen-dono dalla passerella econ la bicicletta si recanoal lavoro, a scuola... Oggila città è composta permetà di giovani.

E’ stupefacente ammi-rare le bellezze, non soloper i canali al posto dellestrade, perché in Italiaabbiamo Venezia, ma giàall’arrivo ti si presenta conun’atmosfera fuori dagli

schemi, in qual-siasi posto. Igiovani posso-no fare ciò chenon possonoaltrove, ed

essere quelli che non hanno ilcoraggio di essere a casa loro. Maè lo stesso per i meno giovaninon più alla ricerca della trasgres-sione, sono stupìti e affascinatida tutto, dall’antico al nuovo.

Amsterdam, infatti, ha unastoria antica, era un piccolo borgodi marinai e divenne uno dei piùimportanti centri per il commerciodel tempo. Il primo insediamentoera composto da 23000 personesulle rive del fiume Amstel che

sfociava nel mare del Nord con ungrande canale. Man mano che lapopolazione aumentava si dove-vano creare nuovi spazi, così siinventavano nuovi canali...L’Amstel è l’unico corso d’acquanaturale, tutto il resto è artificiale;infatti, scavavano nuovi canalipartendo dal mare, uniti tra diloro da una serie di canali paralle-li a forma di ragnatela. I canalierano comode strade e su di essesi costruivano case e magazzinistretti ed alti per risparmiare spa-zio. Così il cosa fare adAmsterdam inizia con il conoscerela città nei suoi passaggi storici.

Tutto sommato la città è pic-cola e conta 750 mila abitanti. In

AMSTTTT EEEEdi Paolo Ambrosio

effetto natura

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realtà per la città è bello girare apiedi, quando fa freddo, e conuna bicicletta quando il tempo èbuono, i mezzi servono solo perraggiungere i quartieri più alti.Volendo ci sono taxi, carrozzelle ecavalli, e risciò spinti da ragazzi eragazze che vi portano in giro perle piste ciclabili. Un punto di riferi-mento della città e piazza Dam, adue passi un vecchio e pittorescoquartiere che ha contribuito, insie-me ai coffee shop, alla fama dicittà trasgressiva e fuori daglischemi. Distante un paio di canalivi è il quartiere a luci rosse conalcune strade dedicate al sesso,con le celebri vetrine in cui leragazze si mettono in mostra inattesa di clienti. E’ un qualcosa di

pittoresco, piùche volgare otrasgressivo; ituristi ci vannocome si va avedere unmuseo. Delresto, la prostituzione adAmsterdam è considerata un lavo-ro e le lavoratrici regolarmentetassate. I coffee shop sono piccolilocali dove si consente di venderee consumare piccole dosi di dro-ghe leggere, marijuana, hashish equalche funghetto allucinogeno.Da non perdersi una serata nellaclassica discoteca “Il Paradiso”che è stata ricavata da una chiesasconsacrata, dove è facile incon-trare vecchi hippy. Ma subito fuori

dai canali, Amsterdam è una cittàfrenetica e all’avanguardia.

Il turista può trovarci di tutto,dai locali dove ci puoi entrare solose porti giacca e cravatta, ai rino-mati ristoranti che ti deliziano conle varie atmosfere e varie cucine.Ma non è da trascurare la classicaAmsterdam, con il Van GoghMuseum, la casa di Anna Frank, lacasa o il museo di Rembrandt, ilmercato dei fiori, il museo dei dia-manti, o quello che chiamano

museo House of Bols’, inrealtà una specie di avventu-ra interattiva alcolica, lacelebrazione in tutte leforme della bevanda tradi-zionale, il Jenver, e la suastorica marca Bols. Che cittàAmsterdam! E’ facile quifarsi prendere da questedolcezze estetiche…

Perché Amsterdam avràpure gli aspetti duri chetutte le metropoli grandi opiccole hanno, ma non rie-sce ad abbandonare quelsuo candore semplice di vil-laggio felice, un poco nellenuvole dell’utopia. Come sipuò non essere felice den-tro questo quadro naif?

EEEE RRRRDAMeffetto natura

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Ogni mese il numero tota-le delle persone detenu-te nel nostro paese cre-

sce di mille unità. Di queste, 250sono persone tossicodipendenti,3000 ogni anno!

Le persone detenute, con sto-rie di tossicodipendenza alle spal-le, sono in prigione per-ché hanno fatto dei reati.Si tratta di scippi, furti,rapine, spesso messi asegno in condizione diastinenza… Si trattaquasi sempre di perso-ne… maldestre, di quelleche non hanno “scelto”il crimine come profes-sione. E’ lo stato di biso-gno, determinato dall’u-so di sostanze stupefa-centi, a spingerli a procu-rarsi i soldi necessari peracquistare le droghenelle quali sono intrap-polati. Il problema è,dunque, a monte del lorostato di detenzione ed amonte della stessa com-missione del reato. Dipiù. Si tratta di un problema amonte persino dell’uso di sostan-ze, ove minimamente ci si inter-roghi sul “perché” il ricorso allesostanze. Se i nostri ragazzi,infatti, cercano qualcosa nellesostanze stupefacenti, evidente-

mente la vita che fanno, o meglioquella vita che gli adulti gli fannofare, non è una vita entusiasman-te e neppure desiderabile. Persemplificare potremmo dire che sitratta di una vita gravata da disa-gi più o meno pesanti che imodelli educativi non compren-dono. Abbandonando ciascuno apiangersi i suoi propri guai. Come

dire: un problema sociale com-plesso (la formazione delle giova-ni generazioni) che non riscuotealcuna attenzione sociale, politi-ca, istituzionale. Un problemacomplesso risolto nel modo piùsemplice: la rimozione totale. Unproblema non visto che cioè sem-

plicemente… non esiste! E que-sta è la prima e semplificazione.

La seconda semplificazione laopera, in solitudine, il protagoni-sta stesso che taglia per la tan-gente: “provo con le sostanze,forse mi sentirò meglio”. Quiscatta la trappola giacchè alcunesostanze causano, più o menoimmediatamente, la dipendenza

fisica e/o psicologica, esiccome le sostanze stu-pefacenti sono tutte ille-gali, anche il loro prezzo(e la qualità) è assoluta-mente incontrollabile. Daqui la commissione deireati per procurarsi i soldinecessari.

Quindi abbiamo l’ulti-ma semplificazione: ilcarcere! Eccolo, dunque,per semplificazioni suc-cessive, come un proble-ma sociale complessodiventa un problemapenale semplice. Quanteillusioni successive!!!Tutti questi passaggi sisuccedono secondo unacoazione a ripetere alluci-

nante. Perché si considerano le“politiche sociali” uno spreco, iservizi alle persone un optional!Ad illudersi non è solo la personaintrappolata nelle sostanze che iochiamo… ergastolana a rate,bensì tutti quegli attori sociali,politici, amministrativi, istituzio-

Tossicodipendenza e cadal sociale al penale, dal complesso adi Beppe Battaglia

l’attualità

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nali e non, che fanno finta di nonvedere, di non sapere. Persinol’Ordinamento Giudiziario che siostina ad inviare in carcere le per-sone tossicodipendenti, certointerpretando l’impianto legislati-vo in materia sempre in modorestrittivo, mostrano di non avereuna visione sistemica. Il risultatosembra… l’arte dei pazzi: unquarto della popolazione detenu-ta è composto da persone tossi-codipendenti, con un turnoverpiù o meno rapido e l’esito dalcarcere segna la posizione diripartenza.

Un servizio, il carcere, assolu-tamente inutile, anzi dannososotto tutti i punti di vista, di cuinessuno rende conto ai cittadinicontribuenti. Al contrario, si insi-ste nella semplificazione costosadell’incarcerazione senza che

n e s s u n osenta laresponsa-bilità di direil risultato!S e n z aavvertire l’in-congruenza diuna soluzione sempli-ce (il carcere) per unproblema comples-so (la tossico-mania). Maormai, anchequesta è unamoda: sempli-ce è bello.

Un ’ ipo tes ipiù ragionevole di quella che pro-duce l’arte dei pazzi?

Il nostro Ordinamento giudi-ziario dispone di una gamma esa-gerata di penalità. Il carceredovrebbe rappresentare… l’estre-ma ratio, per i casi gravi e gravis-simi. Infatti, i potenti, i protetti,anche quando fanno reati moltopiù gravi di quelli che fanno lepersone tossicodipendenti, nonvengono inviati in carcere. Per

loro si “scopro-no” gli istituticautelari alter-nativi al carce-re: dagli arrestid o m i c i l i a r iall’affidamentoai servizi sociali,alla detenzioned o m i c i l i a r e ,quando non sirisolve il tuttocon sanzionipecuniarie o sitira la cordafino alla pre-

scrizione.Ecco cosa si

potrebbe fare ora equi: l’applicazione mas-siccia delle misure alter-native al carcere, econo-

micamente meno costosee socialmente più produtti-

ve. Ma anche in questo casol’etica della responsabilità vor-

rebbe che si mettesse inconto una certa percen-tuale di disfunzione.

Voglio dire che se unapersona tossicodipendente

ricommette un reato inmisura alternativa al carcere,

a fronte della stragrande mag-gioranza che osserva tutte le pre-scrizioni, non dovrebbe fare scop-piare lo scandalo mediatico conrelativo processo pubblico almagistrato che ha comminato lamisura alternativa.

Quando si parla di “certezzadella pena” è a questa diffusairresponsabilità che si fa riferi-mento. Per questo io dico checon la pancia si uccide la giusti-zia! L’esito scontato di questamiopia politica sarà (è già) l’incar-cerazione di massa senza che perquesto i cittadini contribuentipossono sentirsi più sicuri. E’ lateoria del boomerang, ossia lacapacità di farsi male da soli, esempre di più, con masochisticogusto.

Del resto, anche la sicurezzanon è più “un fatto”, bensì “unapercezione” (ciò che i media sta-biliscono): gomma americana chepuò essere tirata dove si vuole,fino a farla diventare lucidamen-te… la fabbrica della colpa chegenera la paura.

carcere:o al semplice

l’attualità

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Dopo anni la Spagna ritor-na ad impazzire per laPlaza de Toros. Grazie a

Jose Tomas un matador che parlapoco ma piace più di Ronaldinho.

Non solo in Spagna, ma ilmondo intero ricorda il più famo-so torero Manolete, un mito cheresiste ancora. Esordì nell’arena a13 anni e si esibì nelle più impor-tanti corride della Spagna e delsud America, fu consacrato il piùgrande torero del mondo. Fuucciso proprio in un incontro daun toro, nella Plaza de Toros nel1947 furono, persino, proclamati3 giorni di lutto nazionale.

Di Jose si dice che abbia unqualcosa di sacro, lo sguardo cheipnotiza, i momenti misurati,controllo di emozioni e riflessi edun sorriso simile al matador piùgrande di tutti i tempi: Manolete.

Alcuni vorrebbero premiarlocome sacerdote, massimo ricono-scimento per questi uomini chesfidano questi animali nellearene; per il gusto del trofeo,tagliano l’orecchio dopo averucciso il toro. Ormai si èperso il conto delle orec-chie che già è riuscito atagliare ai tori, dal giornodel suo debutto. Di sicuroJose ha risuscitato la cor-rida. Se ne parla di nuovonelle prime pagine deigiornali, il quotidiano “ElPais” è tornato adannunciare gli appunta-menti delle corride nellevarie arene del paese,dopo anni di arene semi-

deserte, dopo che l’UnioneEuropea aveva vietato la cor-rida per la barbara e san-guinosa uccisione deltoro in una battaglia,dichiarata impari emascherata dallospettacolo, dal 2002 visono state molte conte-stazioni delle giovani gene-razioni verso la corrida,che ha distaccato un po’ lagente dalla Plaza deToros.

Jose è riuscito ariscaldare gli animi,nato nel 1975alla periferia diMadrid, oggiha raccoltol’eredità diManolete,ha trovato tantissimi supporterche aumentano il loro sostegnogiorno dopo giorno, compresi imembri del partito socialista dicui un consigliere è diventato pre-sidente dell’associazione che hatrovato un gran seguito, tutti

pronti a gri-dare ad ognipasso, nellaPlaza de

Toros, per ilnuovo idolo. Il

presidente dell’asso-ciazione afferma che ilParlamento Europeo non èstato giusto a schierarsicontro la corrida, senzaconsiderare le emozioni chesa regalare. E’ vero che viene

ucciso un toro, ma è pure untoro prescelto per la corrida,curato ed allevato dai 3 ai 5anni. Intanto Jose sospintodai sostenitori pro-corrida,fa scandire a squarciagola ilsuo nome nell’arena mentre

gli gettano rose.Il segretario generale

dell’Unione degli Allevatori tori,definisce Jose uno scultore chemodella la creta.

Ma il toro che ha di fronte, chefa ammirare la bellezza nella suaesibizione e non il dolore. Ormaiper gli appassionati e tante altre

persone, Jose è un gransacerdote, che nondovrebbe mai togliersi eltraje de luces, l’abito deltorero, turchese e oro,perché è riuscito a farrinascere la corrida, lo sivede anche dai ragazzi,che per la prima voltamettono tra i poster e lemagliette del Real e delBarca il già mitico JoseTomas Roman Martin,per tutti Jose.

di Felice Equino

Torna di moda LA CORRIDA

l’attualità

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Cosa mi ha spinto a scriverequesto articolo? Forse ilsemplice motivo, per me

che vivo in questo posto triste edesolato (e non solo) semprechiacchierato da tutti, ma nel

cuore di nessuno. Sul nostroconto spesso si dice di tutto e dipiù, solo perché siamo detenuti,ma in realtà sono assai pochiquelli che ci conoscono.

Tutti puntano il dito su di noi,ma nessuno allunga la mano…

Tutti ci accusano, a ragione oa torto, ma nessuno fa il proprioesame di coscienza; in questemura ci sono persone che guar-dano alla vita con ottimismo; per-

sone sfortunate la cui sorte hariservato il carcere e che mai nes-suno ha insegnato loro comediventare grandi e quali erano ivalori da seguire. Ciò non toglie,però, che di noi si debba sempree soltanto dire male. E non è

affatto vero che quidentro ci sono solovite perdute; ci sono

anche persone che mirano adun vivere normale. Qui c’è gente

capace di credere nei valori, mache ha bisogno soprattutto disostegno, che dovrebbe arrivaredalle istituzioni, perché, fin tantoche si pensa solo a colpevolizzare,senza guardare la natura di quelgesto o azione, il senso di civiltàcollettivo non può dirsi tale.

Tutto il malfatto non sta soloin ciò che appare degradante, main chi poteva e non ha voluto (enon vuole) far nulla per sostenerei più deboli. Solo in questo modo,per i tanti giovani e non, costrettia vivere un’esistenza a quadretti,si potrebbe aprire la prospettivadi una vita migliore, creando lepremesse per un possibile… benecomune.

Continuo a credere che moltierrori sono nati grazie al mene-freghismo di chi sta seduto sullecomode poltrone della rassegna-zione e della popolarità facendodi tutto per farci credere che perrisolvere i problemi sia sufficientemanifestare ottimismo, che è l’ar-te del politico, e credo che siastato questo uno dei motivi per ilquale tanti si sono allontanati dalbuon senso e dalla retta via…

Basterebbe riflettere sul can-can che si scatena sui media ogni

volta che un politico, un notabile,un potente s’impiglia nella retedella giustizia (questa gente,peraltro, con puntualità sconcer-tante, riesce sempre ad evitare ilcarcere! Per loro la certezza dellapena non vale). Così non è, ovvia-mente, per le migliaia di “povericristi” che riempiono le carceri,relegati ad un silenzio assordan-te. È la logica del “capro espiato-rio” ma soprattutto della doppiamorale. Per questa via la sicurez-za sociale (o l’ottimismo) resta unvaneggiamento delirante, unaprosopopea che non incanta piùnessuno.

Ti lasceròdi Raffaele Corona

Ti lascerò andare, perché non ho potuto trattenerti.Ti lascerò le mie parole.Ti lascerò le mie carezze.Ti lascerò il mio amore.Ma devi sceglierne solo una.O nessuna.Di sicuro ti ho lasciato tutto me stesso.

Chiacchiere da tutti, ma nel cuore di nessunodi Salvatore Muscato

teorica/mente

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Il principio dell’inflessibilitàdella pena e quindi della cer-tezza dei castighi legali non è

mai esistito, se non appunto aparole o nella testa dei giuristi.

Credo che molta confusioneoggi regni sovrana in tema di inef-fettività ed incertezza delle pene.Come se si trattasse di un feno-meno relativamente nuovo, unasorta di patologia del presente.

Se ci poniamo da un punto divista esterno al sistema legale,cioè se guardiamo nell’otticasociologica che cerca di descrive-re il sistema della giustizia penalecosì com’è “nei fatti” e noncome “dovrebbe essere”, l’inef-fettività e l’incertezza della rea-zione punitiva sono le note strut-turali e pertanto permanenti eduniversali della giustizia penale.Ineffettività e incertezza sonoinfatti i necessari attributi dellanatura selettiva del sistema pena-le; come altrimenti dire che lagiustizia penale può esistere inquanto si assumano i costi dellasua incertezza e ineffettività.

Il sistema della giustizia crimi-nale è altamente incerto ed inef-fettivo in tutti i momenti in cui si

sviluppa il processo di criminaliz-zazione.

Il primo livello di ineffettivitàed incertezza si colloca nella sele-zione della criminalità manifestae quindi perseguibile rispetto aquella latente, ma reale. La recen-te ricerca ISTAT in tema di vitti-mizzazione, per quanto concernesolo alcuni delitti contro la pro-prietà ed alcuni contro la perso-na, stima una propensionedenunciataria a livello nazionaleintorno al 40%. Il che significache limitatamente ai soli reatipredatori [per altro quelli nei con-fronti dei quali la propensionedenunciataria è più elevata, comela rapina, lo scippo, il furto, ecc.],oltre il 60% dei reati consumatinon viene neppure a conoscenzadell’autorità di polizia. E sia benchiaro che questa percentuale ènella media degli altri paesi occi-dentali. Così nel Regno Unito, incui le ricerche empiriche sonoancora una cosa seria, si calcolache i fatti di reato annualmenteperpetrati nell’ultima decadesiano sull’ordine dei 15-12 milio-ni, appunto ogni anno. Stanteche la popolazione inglese è dipoco inferiore a quella italiana,non credo proprio che nel nostropaese il totale di violazioni dellalegge penale si discosti per difet-to. Anzi, sarei propenso a pensa-re il contrario, se non altro perchèla maggior parte dei reati con-travvenzionali in Italia sono illecitiamministrativi in Inghilterra.Ipotizzare quindi 20 milioni direati consumati annualmenteoggi in Italia (si taccia dei tentati,che pure sona reati) mi sembrarealistico. Certo non scandaloso.

Di 20 milioni di fatti penal-mente illeciti in Italia, quellidenunciati sono mediamenteintorno ai 2,5-3 milioni annui. Diquesta sola criminalità manifesta,una parte contenuta passa attra-verso il secondo stadio, quelloprocessuale-giudiziario. In Italia ireati di autore ignoto sono nel-l’ordine del 85% dei reati denun-ciati. E anche in questo caso, larealtà italiana è in tutto simile aquanto avviene altrove, ovvia-mente. In un sistema come ilnostro di obbligatorietà dell’azio-ne penale questo dato è impres-sionante; diversamente nei paesiove regna il principio dell’oppor-tunità dell’azione penale, neiquali l’azione viene esperita solose gli autori presunti sono indivi-

Le bugie, le gambe corte e la certezza della pena

di Massimo Pavarini

teorica/menteframmenti

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duati, per cui non viene esplicita-to il dato degli autori ignoti.

Insomma: su 1.000 delitticommessi, circa 150 vengono aconoscenza del sistema della giu-stizia penale e di questi non più diventi conoscono un qualche esitoprocessuale di cui la metà è diproscioglimento e/o assoluzione.Mille delitti e ben che vada solo10 condannati: di questi circa 4 apena condizionalmente sospesa;dei restanti circa 2 o 3 godrannoo di sole pene pecuniarie o deibenefici penitenziari delladetenzione domiciliareintrabiennale o dell’affida-mento in prova dallo statodi libertà, senza quindi var-care mai le porte del carce-re. Solo 3 condannati infi-ne finiranno oltre quellemura. E tutto ciò - ci inse-gna la penologia - è asso-lutamente fisiologico.

Se mai il sistema dellagiustizia penale dovesseessere giudicato in un’otti-ca di produttività - cometendono a fare le retorichedi moda che parlano di“impresa giustizia” - il fal-limento sarebbe stato giàda tempo inesorabilmentedichiarato. Non conosco infattialtra istituzione così drammatica-mente inefficiente da non esserein grado di “conoscere” e “trat-tare” - si badi: in regime dimonopolio - appena il 3 per1.000 del proprio mercato!

Bene: tutti gli studi che sonostati rivolti al funzionamento delsistema della criminalizzazionesecondaria, concordano nel rico-noscere che questa esasperataselettività non solo non puòragionevolmente essere ridotta eciò per precisi ed invalicabili limitidi compatibilità con il sistemadella democrazia e con quellodell’economia, ma che anzi,quasi tutti i sistemi di giustizia

penale si muovono semmai nelsenso di ulteriormente ampliarela propria selettività.

Ma di più: i criteri di selettivitànon sono “governati” né “gover-nabili” dall’interno del sistemapenale stesso, cioè non rinviano acriteri “normativi” di selezione,ma sono in qualche modo“sociologici” (la coscienza socia-le, le risorse economiche disponi-bili, il livello di conflittualità, ilgrado di fiducia/sfiducia nei con-fronti del sistema penale stesso,

ecc.) e pertanto operano al di làdi ogni criterio giustificativo econdiviso. E tutto ciò - da unpunto di vista normativo - signifi-ca totale incertezza ed assolutadisuguaglianza. Ma così è ovun-que la realtà del sistema di giusti-zia penale.

Così ad esempio, la sempredenunciata natura classista delsistema penale - in ragione dellaquale il diritto penale è nei fattidiseguale in ragione della variabi-le socio-economica degli attorisociali - non appartiene oggi (eforse mai è appartenuto nellaModernità) ad alcuna esplicitavolontà del sistema penale stes-so, che al contrario si è sempre

legittimato - al suo interno -come diritto per eccellenza“uguale”, anche se tutto ciò nongli ha impedito - nella sua dimen-sione funzionale - di produrre eriprodurre disuguaglianza. La cer-tezza ed effettività del dirittopenale e di conseguenza la cer-tezza e l’effettività delle penesono pertanto criteri di legittima-zione “interni” del sistema pena-le che gli consentano - per segui-re l’analisi di Luhmann - di opera-re una differenziazione funziona-

le tra sé e gli altri sistemi,cioè per preservare lapropria specializzazione.E questa certezza edeffettività delle pene ècomunque garantita“normativamente” a pre-scindere se, nei fatti, ilsistema penale operi“sociologicamente” nel-l’assoluta incertezza edinaffettività. Se il sistemapenale è per eccellenza“cognitivamente aper-to”, quanto “normativa-mente chiuso”, cioè puòrecepire dall’esterno soloquanto a sé funzionale,possiamo ben dire chel’incertezza e l’ineffetti-

vità del suo “agire” è a garanziadella “certezza” ed “effettività”del suo essere. In questo sensol’irruzione della negoziabilità nelsistema penale (patteggiamento,flessibilità della pena in fase ese-cutiva per ragione special-preven-tiva, o altre ragioni come la pre-mialità o le necessità di sfoltimen-to della popolazione detenuta)opera appunto come formidabilegate-keeper volto a preservarel’autopoiesi del sistema penalestesso.

Ripeto: tutto ciò fa parte dellafisiologia del sistema penale nelsuo effettivo operare. In Francia,ove l’azione penale non è obbli-

teorica/mente

>continua

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gatoria, il 20% del carico penaleè risolto attraverso la diversioneprocessuale a contenuto media-torio; un terzo con lavoro sostitu-tivo di pubblica utilità. Negli ulti-mi 15 anni sono stati emanantiprovvedimenti ampli di clemenzadi massa (indulti ed amnistie)quasi annualmente. In Germania,si è calcolato che solo 6 condan-nati su 100 finiranno per sconta-re l’intera pena giudizialmentecomminata.

Tacciamo dell’Inghilterra, oveè consolidato il sistema - propriodi un corretto meccanismo san-zionatorio bifasico - di condanneindeterminate nel massimo conun mandatory minimum conte-nuto; del tipo: condanna perrapina a pena indeterminata conobbligo di scontare in carcerealmeno 3 mesi. Si pensi gli USA,quelli terribili di questi ultimi 20anni, nella loro esasperazione avolere riaffermare il valore dellapena certa, nonostante le regoledello Terzo Strike, riconoscono dipotere garantire un mandatorymaximum di esclusione totale oparziale dai benefici offerti dalmodello correzionale, per non piùdel 20% dei casi di con-dannati a pena detenti-va. E questo fa gridareallo scandolo i sacerdotidella nuova cultura pati-bolare nord-americanaal punto che alcuni edanche autorevoli “scien-ziati” giustificano la pre-senza imbarazzante

della pena capitale, perchè la solacapace di garantire la certezza delcastigo!

Insomma, senza volere provo-care, mi sembra che comparativa-mente l’Italia sia ancora uno deipochi paesi occidentali a penamoderatamente certa, comun-que meno incerta che altrove. Sedobbiamo prestare fede ad unaricerca di EU.R.E.S, di pochi annifa, l’indice di certezza della pena,vale a dire la percentuale di annieffettivamente espiati in carceresu quelli inflitti, si muoveva tra il38.4% (anno 2001) e il 44.9%(anno 2005). Una performanceeccezionale, certamente tale dasuscitare l’invidia di Bush in per-sona!

Quando oggi si parla di inef-fettività e di incertezza dei casti-ghi legali, evidentemente si parladi altro, che nulla ha a che vede-re con l’incertezza ed ineffettivitàstrutturale del sistema di giustiziacriminale. Oggi con la richiesta dimaggiore certezza ed effettivitàdelle pene si esprime in terminieducati ed edulcorati solo unadomanda sociale di maggiorpenalità nei fatti. E nella situazio-ne sopra descritta di strutturaleineffettività ed incertezza delsistema di giustizia criminale,invocare maggior certezza edeffettività delle pene equivale adomandare solo un aumentodel/nel valore simbolico dellarepressione in una prospettivapopulista volta a soddisfare ladilagante cultura patibolare.

Massimo Pavarini

Er sogno der carceratodi Spartaco Ambrosio

Appena spunta er sole, un raggiode luce me sveia da sto sogno.N’artra giornata sta per comincià, cerco ancora nellamente, come se fosse vero, stosogno dove l’ho visto già?Forse quanno stavo in libertà!Ma poi me guardo intorno e faccio er conto co sta bruttarealtà.C’è ancora chi dorme come nacreatura, chissà che se sta asognà? So e sette!Manco dovessi lavorà.Ma come tutte le mattine, un sor caffè me devo preparà.L’odore, li sveia a tutti, e io che sto già in piedi gliò voio fa assaggià.Questo è er buongiorno pe chinun cià voia de sta senza parlà.So le otto! e la conta sta perarrivà. Eccoli qua! A sbatte sti “cancelli”de quà e de là. Ce salutano si! Manco le dovessimo pagà.Come se fossimo n’orchestra, a ognuno no strumento chi naspugna, chi na scopa, chi no straccio e cominciamotutti a sonà,c’è na musica che ci accompagnae qualcuno ce prova pure acantà, così tanto pe nun faccela pesà.Si! Oggi è festa, ma pe me e nartra giornata fotocopia che sta pe comincià.Ma o resto nun vo voio raccontà.Si! Oggi è festa e mi sento allegro e nun ve voio intossicà……Tanto, tutto questo un giornofinirà!“Tu, mi amor eres el sol quecalienta mi memoria, no lo olvides nunca que te chierode verdàd”.

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Il 24/02/2008 il quotidianoCronache di Napoli riportaval’ennesimo articolo in merito

al sovraffollamento delle carceriin Campania e sulla restrizione daparte del Tribunale diSorveglianza di Napoli nel conce-dere misure alternative al carcere.

E’ l’ennesima dimostrazionedi come in Campania sia un tabùconcedere una misura alternativa.Ma è possibile che nessun magi-strato si rende conto che cosìfacendo le carceri Campanediventeranno sempre di più“discariche sociali” e non più unluogo di espiazione della penadetentiva? E’ possibile che nessu-no si rende conto che il carcere, èil luogo dove un soggetto nel per-corso della sua detenzionedovrebbe essere avviato verso ungraduale reinserimento nellasocietà, così come prevedel’Ordinamento Penitenziario e lanostra Costituzione?

La maggior parte delle auto-rità politiche non ha fatto altro

che criticare l’indultoe chi ha votato afavore, ma nessunodice che l’indulto hariportato quel mini-mo di vivibilità nellecarceri, ma soprat-tutto ha riportato ladignità che perdeuna persona chevarca la porta di uncarcere, costretto aduna convivenza for-zata, in una situazio-ne di vivibilità disu-mana, ammassati inpochi metri quadra-ti. Ci sono associa-zioni che si battonoper i diritti degli animali, hannostabilito che per avere un anima-le occorre avere un habitat ade-guato e misurabile.

Forse è il caso di dire che situtelano più gli animali che unessere umano detenuto. Quindi,per quanto l’opinione pubblicaabbia criticato l’indulto, ben sipuò dire che ha ridato vivibilità edignità nelle carceri. Non se nepuò più di leggere quei rigettiprivi di ogni fondamento; si parlasempre di reinserimento… è veropure che c’è una parte dei bene-ficiari delle misure alternative alcarcere che non si inserisce nellasocietà, ma a quell’altra parteche veramente si vuole reinserirechi è che gli dà la possibilità? Aduna persona che ha sbagliato,anche per una volta, non gli

viene data mai nessuna possibi-lità di riscatto.

Mi chiedo dove finisca la“responsabilità individuale” sepoi organi istituzionali, come ilTribunale di Sorveglianza ubbidi-scono alle ondate emotive cheseguono ogni reato veramentegrave che succede fuori dal car-cere. Come dire: fuori si fanno ireati e quelli che già sono in gale-ra subiscono gli effetti! Non solo.Se un irresponsabile disattende lemisure prescrittive durante l’ese-cuzione penale in misura alterna-tiva, tutti gli altri che la richiedo-no subiscono gli effetti negativi. Ela responsabilità individuale?Forse è più facile presumere checonoscere; forse è più facile inter-pretare una legge in negativo,riducendo il positivo ad optional!Anche per un magistrato.

Misure alternativee responsabilità

lo sguardodalle sbarre

di Antonio Rossetti

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PremessaLa presente fa parte di un raccol-ta di lettere, indirizzate a personeimmaginarie, e vuole essere unospazio di pensieri, di sentimenti edi emozioni nel quale tutti posso-no ritrovarsi fosse anche per unattimo a vivere la nostra umanità.

Avolte mi chiedo e ti chie-do quale è il senso dellavita, della nostra vita.

Me lo chiedo e te lo chiedo ogniqual volta apprendo la notiziache qualcuno a me vicino… a tevicino… qualcuno che, semplice-mente conoscevo di vista o con ilquale proprio l’altro giorno hoscambiato qualche chiacchiera,ha deciso di affrettarsi a conclu-dere il percorso della propria vita,prima ancora del naturale tra-guardo della stessa, prima ancorache il nostro buon Dio decidessedi fissargli una data. Una datache Lui ha nascosto nel nostrocodice genetico e che neanche lascienza più evoluta riuscirà mai asapere perché non bisogna averfretta di vivere e neanche di mori-re, ma assaporare imomenti della nostravita, belli o brutti chesiano, ogni giornoallo stesso modo!

Proprio oggi hoavuto la notizia cheun mio conoscente,un mio collega…quasi amico… quasiparente è stato trova-to riverso in un ango-lo buio della sua casa.Lo hanno descrittopallido, a tratti viola-ceo, gli occhi spalan-cati come se avesse

visto un mostro, lalingua incastrata frai denti, turgida e diun colore avorio…il palmo di ognimano rivolto versochi guarda… in unsenso di accoglien-za nella propriaanima scappata viaprima che chiunqueavesse la possibilitàdi conoscerla vera-mente… di tratte-nerla per salutar-la… il corpo abban-donato nel buio,lasciato in eredità achi anche per unattimo lo ha conosciuto.

Mi chiedo e ti chiedo alloraquale possa essere stato il suoultimo pensiero, ora gelosamentecustodito da un corpo senza piùl’anima… senza più un cuore…senza più una coscienza di sé…ma quel palmo di mano a me… ate indirizzato è forse un saluto?Una beffa per chi lo conosceva?Un dispetto al mondo? Il sensodella propria vita mendicanteamore? Un tentativo di allentare

la morsa della soli-tudine nell’abbrac-cio con la morte?Di sentirsi per unistante padrone…di quell’unica cosadi cui possiamodisporre al mondo?Di essere in quelmomento più gran-de di Dio?

Mi chiedo e tichiedo se è propriocosì brutta questavita, se era propriocosì brutta la vita diquesta persona…

Chissà se la paura di vivere puòessere più grande del coraggio dilasciarsi morire? Evidentementesì! Ma allora si può essere tantovili nella vita quanto forti nellamorte?

Mi chiedo e ti chiedo… cosapossa rimanere ad una personaquando è convinto di aver persotutto: la famiglia, i soldi, ladignità, la libertà, l’amicizia, lafede, il futuro. Forse rimane solola vita… senza neanche la curio-sità di sapere come viverla… eallora la si butta via, la si rinnegaperché ci incatena in un mondoche non ci ha capito… che ci hadato più dolori che gioie. Delresto, non abbiamo chiesto noi divivere, forse lo hanno deciso inostri genitori o forse Dio. Poi…ci si accorge che questo regaloforse era un “pacco” e se avessi-mo potuto scegliere magari nonlo avremmo accettato dall’inizio,piuttosto che restituirlo in malomodo dopo averlo aperto.Restituirlo e tornare da dovesiamo venuti… niente eravamo…e niente siamo stati. Io però

Vivere o lasciarsi morire?di Antimo Cicala

il racconto

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credo che, se niente eravamo…nel “pacco” della vita, c’è lapossibilità di essere qualcosavivendo, e credo che anche chinon ha niente ed è privato ditutto può essere e dare qualco-sa, non solo a se stessi masoprattutto agli altri.

Credo che la vita non sia un“pacco” fatto a noi ma un rega-lo da fare agli altri, dare qualcosaagli altri significa dare molto a noistessi… si è generosi quando siha poco o niente da dare ma quelpoco o quel niente che abbiamolo spendiamo per gli altri.

Vivere è… gli odori della natu-

ra a primavera, il canto degliuccelli, un buon piatto di pastamangiato in compagnia, disegna-re, scrivere, la musica, una paroladi conforto ad un amico, unabbraccio, il sorriso di un bambi-no, di un figlio, fare l’amore conla donna che si ama… sono que-sti, motivi troppo labili per vivere?Io credo di no… qualcuno hadetto che la felicità non sta nel-l’arrivo di un viaggio… ma nelviaggio stesso, i momenti bruttidel viaggio fanno parte del viag-gio ed esistono semplicementeper apprezzare di più quelli belli,per metterci alla prova, e forse

solo per tenerci impegnati pernon farci annoiare, del resto cosasarebbe la vita senza problemi?

Mia madre non decise dimorire perché aveva una granvoglia di vivere… ma una malat-tia ha deciso per lei… se propriovogliamo buttare via la nostravita pensiamo di regalarla a qual-cuno che desidera viverla pernoi… probabilmente in quell’atti-mo… in quel buio... in quella soli-tudine non saremo più soli… equel palmo di quella mano vivrànel primo vero gesto d’amore cheavremmo fatto prima che a noistessi… alla vita.

“Signore, aiutami a capire le coseche posso cambiare ed aiutami acambiarle.Signore, aiutami a capire le coseche non posso cambiare ed aiuta-mi a non accanirmi”.

L’ho trovata nelle mie cartequesta strana preghiera.Quando hai lavorato un inte-

ro anno, una bufera di una nottedistrugge tutto. Tu sei lì a guardarequegli steli strappati. Cerchi unsenso. Ed il senso non c’è.

Quando per anni hai lottatoper vincere la tua dipendenza dal-l’eroina, ti ritrovi una sera con unago nelle vene. Pensi alla fine,che non sarà mai più possibileriprendersi e liberarsi.

Quando hai per anni coltivatoun amore, un giorno ti ritrovi spa-ventato e povero, perché scopriche è stata una lunga, disumanaillusione. Ti agiti, vuoi una rispo-sta. Ma le macerie di un rapportonon hanno risposte. Mi ricordoquella vecchietta con il cesto delleuova in testa. Andava al mercatoe mentre percorreva la lunga stra-da che da casa portava al merca-to, pensava, fantasticava.

“Andrò al mercato, venderò leuova. Dovrò comprare altre galli-ne. Ed ogni mattina porterò almercato un cesto più grande. Epoi comprerò un vitello ed unavacca, venderò il latte. Costruiròuna stalla. Farò una casa grande.E tanta gente verrà da me equando entrerà nel mio cortile,mi saluterà dicendo: Buongiornosignora. E si inchineranno davan-ti a me”.

E la vecchietta, mentre sogna-va ad occhi aperti, simulò l’inchi-no. Aveva dimenticato di avere leuova in testa. Caddero le uova equella mattina la vecchietta tornòpiù povera di prima alla sua casa.

Quando il piccolo castello dei

tuoi sogni si infrange e vorrestirecuperare qualcosa, ti accorgiche i sogni sono come gli uccelliin volo. Non lasciano impronte.

I sogni infranti ti lasciano solopiccole sensazioni e nostalgie.

Quando hai vissuto due annicon lui, aiutandolo a recuperareuna vita diversa ed un brutto gior-no lui torna a drogarsi, senti ilmondo cadere sulle tue spalle.Vorresti scappare, andare lontano enon sentire i morsi della sconfitta.

Quando ti assale la malattia, lapaura, l’angoscia.

Quando ti accorgi che haicostruito solitudini e che ti riduciad elemosinare una telefonata eduna presenza.

Quando ti agiti e cerchi all’o-rizzonte segnali di cambiamento,avverti che niente capita e chenulla si muove.

Quando arriva la notte, allora èil momento di ripetere la stranapreghiera:

”Signore, aiutami a capire lecose che posso cambiare ed aiu-tami a cambiarle.

Signore, aiutami a capire lecose che non posso cambiare edaiutami a non accanirmi”.

La preghiera di uno sconfittodi Carlo Petrella

la favola

il racconto

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Gabriel Garcia Marquez ladefinì il più bel posto delmondo. Cartagena si

trova sulla costa caraibica dellaColombia. Quando si arriva inquesta città ci si sente rinascere.Come nessuna altra località almondo Cartagena è come unasirena che ti attrae e ti catturaall’istante. Fuori la vita è stress, lapolitica latita e l’economia impaz-za. I narcoterrorismi delle Farcuccidono e sequestrano. I cartellidella droga producono cocaina atonnellate per i mercati Americanied Europei.

Dentro la città protetta dallemura, lunghe 11 Km e spesse 15m, ti senti rinchiuso come in unguscio dove puoi ritrovare te stes-so, il senso vero dell’esistenza, icolori, i profumi e i suoni. Questacittà fortificata, opera degli spa-gnoli intorno al 500, servì perresistere agli assalti dei bucanieri,che volevano rubare l’oro deposi-tato dai conquistadores spagnoli,in attesa che i galeoni li riportas-sero in patria. Saccheggi, incendie assedi non l’hanno mai piegata,tanto che Simon Bolivar l’ha bat-

tezzata “la eroica”. Oggi quellefortificazioni preservano un patri-monio dell’umanità, le mura etanto altro è stato restaurato. Inrealtà ci sono tre Cartagena, laprima è quella coloniale, poi c’èla nuova Cartagena quella delturismo di massa, alla ricerca delsole e dell’avventura sessuale abasso costo. Infine ci sono i bar-rios, i quartieri della periferia,dove vivono i diseredati e i rifu-giati. Ce ne sarebbe una quarta,quella dellefavolose isolecoralline dellabaia, denomi-nate per laloro confor-mazione Islasdel Rosario, acirca due oredi viaggiodalla terraferma. Il mare delle isole è verdecome gli smeraldi colombiani; leamache sotto le piante di coccoavvolgono i corpi di chi va a cer-care riposo, e le piccole aragostedeliziano il palato. Ma Cartagenaè da ricordare come la città dovegli schiavi venivano venduti ecomprati nelle piazze, dalle tor-

tuose stradine del centro storico,alle abitazioni in stile andalusorimesse a nuovo, ma fedeli al lorostile originario, ai balconi coloratie profumati dalle tante varietà difiori, e l’atmosfera coloniale ecaraibica con mix di spagnolo,nero e indio, che amalgama tra-dizione cattolica e sensualità, ballie gioia di vivere. Di Cartagena tirimane dentro la sua cultura, lesue arti, la sua musica. Oggi virisiedono circa 500 italiani, che cierano andati come turisti, ma nesono rimasti attratti da rimanercia vivere, in quella città che oggi sipuò definire la capitale culturaledella Colombia e forsedell’America latina.

Cartagena si lascia amare, dalclima tropicale, all’atmosferaromantica, dall’architettura benconservata, e da quelle case

usuali ma sem-plici che ti colpi-scono i venditoridi acquerelli cheti circondanonelle piazze, ledonne che por-tano sulla testaenormi cesti difrutta, di con-trabbandieri di

sigari cubani, o dai ragazzi che tioffrono di telefonare con i cellu-lari affittati a minuti. L’immensa eammirevole casa di GarciaMarquez, con l’enorme cancellosempre sbarrato. ComunqueCartagena è proprio un tuttodiverso, restarci da solo non tisenti mai triste, anzi ti ritrovi inuna immensa sensazione di esse-re arrivato.

Certo, non si può trascurare laletteratura con la quale GarziaMarquez ci ha reso un’immaginevera: i troppo ricchi ed i troppopoveri, uno spartiacque capace direndere tristi persino le bellezzenaturali di un paese socialmentedilaniato.

Cartagenadi Francesco Catalano

effetto natura

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spessore e contenuto se si con-sentisse questo.

Nei paesi, invece, in cui siaccetta l’accesso dei reclusi a rap-porti sessuali con un partner, sisuperano quelle due motivazioninegative: non si considera natu-rale la imposizione dell’astinenzasessuale e si ritiene che la penanon abbia bisogno di questa peressere pena.

Fra le due impostazioni unaconsiderazione diversa sia delsesso, sia della pena.

Quanto al sesso, per chiammette i rapporti sessuali, vienevalutato una espressione naturaledell’uomo che non può esserenegata; per chi li nega, il sessocon un partner, sempre discipli-nato nella società, non può nonessere escluso in carcere.

Quanto alla pena, per i nega-zionisti, sembra riemergere unaesigenza di afflittività (che fa pen-sare a una visione retributiva enon socialmente inclusiva dellapena), mentre l’ammissione deirapporti sessuali con un partner,propria dell’altra soluzione, espri-me il riconoscimento delle esi-genze umane che favorisce, ci siao meno il riferimento al quadropiù ampio dell’affettività e deirapporti familiari, una visionedella pena socialmente inclusiva.

Si potrebbe anche esprimerela differenza fra le due posizioninella diversa valutazione dell’ef-

fetto del carceresulla libertà dellapersona. Per i soste-nitori della tesi libe-rale, il carcere limitasoltanto la libertà dimovimento dellepersone e lasciasopravvivere le altrelibertà; mentre, peri negazionisti, il car-cere importa limita-zioni a tutte lelibertà (solo in qual-che parte, preve-dendo regimi auto-rizzativi da parte diun organo pubbli-co, con valutazionidi volta in volta),dando alla carcerazione quel valo-re di esclusione dalla società che siè già sottolineato.

Certo che, così impostata laquestione, non si può non mani-festare perplessità sulla posizionenegazionista nel nostro paese,nel quale la funzione inclusivadella pena è espressa nell’art.27della Costituzione e riaffermatain ogni sede.

Tanto premesso, vorrei svolge-re una breve riflessione che cerchiil senso della questione nel rap-porto fra la persona detenuta el’istituzione in cui è chiusa.Imposto la riflessione in due parti.

Prima parte della riflessio-ne: bisogna cogliere i nodi dellanegazione di rapporti sessuali

con il proprio part-ner nel nostro siste-ma. Questi nonriguardano le perso-ne che si relaziona-no al detenuto, inquanto, nelle ipotesiavanzate e nelleesperienze stranie-re, sono le stesseche sono ammesseai colloqui. Nonsono le vicinanze

dei corpi di queste persone con ildetenuto, in quanto l’abbandonodel bancone e l’incontro intornoad un tavolo o, nella visita (che èammessa anche da noi), la consu-mazione insieme del pasto, lasciaspazio a manifestazioni affettivefra familiari e ovviamente anchefra partners, manifestazioni chesono naturali: non ovviamenterapporti sessuali, ma baci e carez-ze, la cui possibilità e naturalezzacreano contrasti e tensioni fra idetenuti e i loro familiari, da unaparte, e, dall’altra, il personale disorveglianza, chiamato a difficili ediscrezionali valutazioni. Allora, ilvero nodo della proibizione è pro-prio la ritenuta necessità del con-trollo visivo, enunciata dallalegge per i colloqui e la costruzio-ne come colloquio della relazioneintima e anche di quella pura-mente affettiva in privato.

Allora: si deve comparare lapretesa di una costante sorve-glianza di principio (ripeto, diprincipio: altra è in sostanza laconcretezza delle situazioni) suidetenuti con il rispetto di una esi-genza naturale degli stessi. E sidovrebbe anche riflettere sul

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fatto che l’affermazione del prin-cipio di sorveglianza interviene inun luogo che è espressione dellasorveglianza nelle sue mura, nellaorganizzazione degli spazi, che è,insomma, sostanza e simbolodella sorveglianza. E’ logico pen-sare che il diritto è costantementescelta fra situazioni in possibileconflitto: qui, il principio di sorve-glianza prevale sulla soddisfazionedi una esigenza incontestabilmen-te naturale del detenuto. Sipotrebbe dire, ripetendo Foucault,che la sorveglianza è la pena eche, se non si accetta il principiodella capillarità del controllo inogni luogo e in ogni momento, lapena non c’è più.

Posto così il nododel problema nel nostroregime, che scegliequesta opzione, ci sideve chiedere se la pre-valenza di quel principiosu quella esigenza natu-rale sia legittima equale costruzione giuri-dica riconoscere alla esi-genza stessa. Alla fine,ci si deve pur chiederese non ci sia un dirittodel detenuto ad avereuna risposta alla richie-sta naturale del rappor-to sessuale con un part-ner e più in genere ad un rappor-to affettivo con i familiari nonsottoposto a sorveglianza.

Sappiamo dalla sentenza26/99 della C. C. che i detenutimantengono una serie di diritti incarcere, per i quali la Corte, conquella sentenza, stabilisce anchela necessità di una garanzia giuri-sdizionale. Limitandoci alle regolecostituzionali e ai diritti che nederivano, ci si può chiedere se,nella questione, non siano inte-ressati:• il diritto alla salute dell’art.32

Costituzione, quando si deter-minano situazioni che impedi-

scono la soddisfazione di esi-genze fisiche naturali dellapersona;

• il diritto alla protezione deirapporti familiari dell’art.31Costituzione, quando i rap-porti affettivi con i congiuntivengono consentiti in modoincompleto e insoddisfacente;

• l’art.27, comma 3, Costituzionequando, come si è dimostratoa suo luogo, si costringono ireclusi a comportamentidegradanti e, quindi, contrarial senso di umanità e comun-que negativi per lo sviluppodel percorso rieducativoenunciato dalla norma.

La risposta affermativa alladomanda non pare affatto temeraria.

Seconda parte della rifles-sione: credo sia legittimo porsiuna domanda: l’imposizionedella astinenza dai rapporti ses-suali con un partner è una penacorporale?

Bisogna dire che la penadetentiva ha sostituito le penecorporali, ma non è priva di moltiaspetti di penosità corporale. Unaricerca francese, illustrata in un’o-pera molto nota - Gonin, Il corpoincarcerato, ed. Gruppo Abele,1994 - ha accertato il rapportostretto fra detenzione e specifi-

che e numerose patologie, anchedopo periodi brevi di reclusione.Si può dire, quindi, che il carcereè patogeno e che il corpo incar-cerato soffre, sta male, si trovamolto vicino alle pene corporali,ma molto dipende, poi, dallemodalità della carcerazione. Adesempio la limitazione al movi-mento con chiusure in cella pro-tratte, se non addirittura conti-nuative, ha aspetti di pena corpo-rale e, quando si accompagna alsovraffollamento (e quindi inconnessione stretta con l’attua-lità), è stata considerata tortura etrattamento contrario al senso diumanità e degradante: in tal

senso si sono pronun-ciati il Comitato per laprevenzione tortura ela Corte Europea per idiritti umani delConsiglio d’Europa.Questo dipende, dun-que, da modalità con-crete di esecuzione,anche se purtroppostraordinariamentefrequenti, ma siinquadra comunquenella patogenicitàpropria del carcerecome una esaspera-zione della stessa. Laastinenza sessuale

coatta fa parte di queste dinami-che e colpisce il corpo in unadelle sue funzioni fondamentali.

La risposta, comunque, alladomanda se sia pena corporale èfortemente influenzata dall’avereconsiderato e dal considerareancora l’astinenza sessuale inevi-tabile in carcere. Se ci si libera daquesta petizione di principio, larisposta può facilmente cambiaresegno: da negativa a positiva.Certo, sia o meno una pena cor-porale, non è, come si è dettoalla fine della prima riflessione,un trattamento in linea con ilsenso di umanità.

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La opzione sicuramentemigliore per rispondere al proble-ma sessualità/affettività è quelladei permessi fuori dal carcere,perché riporta la sessualità in unasituazione di libertà con il ritornonei propri ambiti personali esocio-familiari. Come è noto talepossibilità è prevista dall’O. P.,all’art. 30ter, con i permessi pre-mio e può collegarsi anche ai per-messi per gravi motivi familiariprevisti dall’art.30, siapure per eventi eccezio-nali. Ma la stessa nonpuò concernere tutti idetenuti, ed anzi, nelnostro regime, rendeinammissibili ai permessi,oltre tutti i detenuti giu-dicabili (oggi sono dueterzi del totale, per effet-to dell’indulto del 2006,ma dovrebbero tornaread essere circa un terzo),almeno il 20% dei dete-nuti definitivi, percentuale indeciso aumento per effetto dellalegge c.d. ex-Cirielli. La quotarestante, astrattamente ammissi-bile, ne fruisce in misura tutt’altroche maggioritaria.

In sostanza, la vera risposta èdata da quella presente negli altrisistemi: l’ammissione in carceredei rapporti sessuali con il part-ner: con la preferenza data aduna soluzione che affronti ad untempo il problema affettività equello sessualità.

Va ricordato che, nel nostropaese, si è pensato ad una solu-zione del genere. Ci sono statitentativi di affrontare il problemanei termini ora detti, fermarestando la legislazione attuale. Ilprimo, nel 1996-7, pose il proble-ma in termini sperimentali, atti-vando i singoli istituti per indivi-duare aree degli stessi in cui fossepossibile realizzare un esperimen-to di accoglienza dei detenuti conle famiglie. Questa prima iniziati-

va non ha avuto seguito. E’ statariproposta, però, come soluzionestabile, sia per i giudicabili cheper i definitivi, nel corso del1998, quando venne posta manoalla completa revisione del rego-lamento di esecuzione alla leggepenitenziaria, che si concluse nelcorso del 1999 e mise capo alnuovo testo nel giugno 2000. Ilregolamento prevedeva, comeprogressione nel trattamento,

oltre ai colloqui supplementari ele visite, oggi previsti alle letterea) e b) dell’art. 61, anche per-messi di incontro con i familiari,senza controllo visivo del perso-nale di sorveglianza, da 6 a 24ore, concessi dalla direzione, ripe-tibili una volta al mese.

Il testo del nuovo regolamen-to era già pronto all’inizio del1999 ed aveva già avuto anche ilparere favorevole dell’ufficio legi-slativo del ministero della giusti-zia. Il parere del Consiglio diStato, obbligatorio, ma non vin-colante, fu invece contrario e,dinanzi a tale parere, il testo delregolamento fu emendato con lasoppressione della parte cheriguardava i permessi interni perl’affettività.

Secondo il Consiglio di Stato,contrariamente a quanto ritenutonel testo predisposto, con parerefavorevole dell’Ufficio Legislativodel Ministero della Giustizia, ilproblema doveva essere risolto in

via legislativa, non amministrati-va, come era quella del regola-mento.

Non si ritennero persuasive leosservazioni contrarie contenutenella relazione al progetto, cheinsisteva sull’aspetto di permessointerno e non di colloquio, chepoteva trovare il suo aggancionormativo, se occorreva, nel testodell’art. 28 dell’O.P., che dispone-va: “Particolare cura è dedicata a

mantenere, migliorareo ristabilire le relazionidei detenuti e degliinternati con le fami-glie”. Si badi che non cisi riferiva, con questanorma, ai colloqui, per iquali altra norma(art.18, comma 3) pre-scriveva che “particola-re favore viene accorda-to ai colloqui con i fami-liari”. Nell’ambito del-l’art. 28 ci poteva stare

ragionevolmente uno spazio per laaffettività, senza sorveglianzadiretta: la sorveglianza generale,come si è già detto, restava attra-verso la struttura dell’istituto, per-sonale e degli edifici, entro i qualiera chiuso quel luogo di incontro.E va aggiunto, comunque, che iltesto dell’art.28 era rivolto allaamministrazione penitenziaria,che ben poteva interpretarlo allaluce delle sue scelte e di quelleoperate in un gran numero dipaesi.

Il Consiglio di Stato ha applica-to puntualmente quel principioche la sorveglianza è la pena e chenon vi è pena senza sorveglianzadiretta del personale e il suo pare-re è stato seguito subito, e forsevolentieri, disattendendo le posi-zioni diverse espresse nel testopredisposto dal DAP e dal Ministroe nel parere dell’Ufficio legislativodel Ministero della giustizia.

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Già che ci siamo, si può parla-re anche di questo, dato che ognitanto il tema viene ripropostopubblicamente quando coinvolgequalche caso più noto. Si devedire che, per quanto a conoscen-za, la risposta favorevole è statacostante, anche se sempre conpercorsi problematici.

Si può osservare che tale solu-zione dimostra il pieno rispettodella soluzione negazionista deirapporti sessuali con il partner.L’accesso alla soluzione tecnolo-gica è la conseguenza dell’affer-mazione del principio della nega-zione dei rapporti. Se vogliamo,qui è in gioco il diritto alla pro-creazione, interno al diritto ai rap-porti sessuali, ma posto a unlivello ancora più alto: credonon ci sia bisogno di spiega-re questo. Cogliamo la corri-spondenza fra la normalità deicasi di fecondazione assistitanella società libera, rappresentatida limiti naturali, e il caso in que-stione, determinato esclusiva-mente dalla eccezionalità dei limi-ti legali allo svolgersi di rapportisessuali normali e naturali. Cosadire di una imposizione legale chesi sostituisce ai limiti naturali inun aspetto centrale dellerelazioni umane?

Nelle legislature prece-denti all’attuale furono pre-sentati progetti di leggeche consentivano lo svolgimentodi rapporti sessuali con il partner.Erano stati presentati dagli onore-voli Pisapia e Folena. Il progetto afirma Boato, Ruggeri e molti altri èstato presentato nella legislaturaprecedente all’attuale e ripresenta-to in questa. La caratteristica ditale progetto è nato in occasionedi un convegno tenuto il10/5/2002 nella Casa di Reclusionedi Padova, per iniziativa di questa,di Ristretti Orizzonti, pubblicazionedi quell’istituto e di associazioni divolontariato della zona.

Nel primo articolo del proget-to, la rubrica dell’art.28 O. P. èmodificata così che risulta“Rapporti con la famiglia e dirittoalla affettività”. Il testo dell’unicocomma attuale dello stesso arti-colo è sostituito da un nuovotesto di due commi, che cosidispone: “1. Particolare cura èdedicata a mantenere, migliorareo ristabilire le relazioni dei dete-

nuti

edegli

internati con le famiglie. 2.Particolare cura è altresì dedicataa coltivare i rapporti affettivi. Atal fine i detenuti e gli internatihanno diritto ad una visita almese della durata minima di seiore e massima di 24 ore con lepersone autorizzate ai colloqui.Le visite si svolgono in locali adi-biti o realizzati a tale scopo senzacontrolli visivi ed auditivi.”

Si noti che i fruitori di questapossibilità sono i detenuti, e quin-di giudicabili e definitivi, e gli inter-nati, anch’essi provvisori o definiti-

vi. E ancora: è esplicita la costru-zione di un diritto dei detenuti einternati, non rimesso quindi alladiscrezionalità delle direzioni degliistituti, che dovranno verificaresoltanto, la ricorrenza delle condi-zioni di legge.

Vi sono poi, negli altri tre arti-coli del progetto, interventi cheriguardano l’ampliamento dellepossibilità di ammissione ai per-messi. In particolare, una modificadei permessi per gravi motivi fami-liari - art.2 - l’aggiunta ai permessipremio di una ulteriore concessio-ne di 10 gg a semestre per l’affet-tività - art.3 - e, infine, la conces-sione di una telefonata supple-mentare quando è “saltato” il col-loquio. Purtroppo, il progetto

Boato non ha fatto alcun passoavanti in sede legislativa. Le

conclusioni sono molto brevi. Leregole penitenziarie europee el’esempio, ormai maggioritario,degli altri paesi dovrebbero con-sigliare di trovare una soluzioneai problemi esaminati anche nel

nostro sistema penitenziario. Amio avviso e non si tratta di unavviso isolato, si potrebbe pro-cedere anche in sede ammini-

strativa, sia con interventi speri-mentali, sia riprendendo lemodifiche già studiate del

Regolamento di esecuzioneall’Ordinamento penitenziario. E’vero che si potrebbero ripresenta-re gli stessi dissensi già espressi.

E allora si cerchi una celeresoluzione in sede legislativa. Nellepagine precedenti si è cercato didimostrare che la soluzione delproblema della sessualità in car-cere, particolarmente se operatanel quadro di quella della affetti-vità, restituisce alla pena le valen-ze costituzionali, rispetto allequali la situazione attuale è chia-ramente in difetto. Provvedere,quindi, è necessario.

Sandro Margara

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