FOTOGRAFIA ASTRONOMICA per ASTROFILI · Andrea, si dedica alla fotografia astronomica. Nella sua...

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ACCADEMIA DI BELLE ARTI DI URBINO Corso di Scenografia Tesi di diploma di FOTOGRAFIA FOTOGRAFIA ASTRONOMICA per ASTROFILI anno accademico 2006/2007 sessione autunnale relatore Prof. Massimo Tosello allievo Andrea Pagnoni

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ACCADEMIA DI BELLE ARTI DI URBINOCorso di Scenografia

Tesi di diplomadi

FOTOGRAFIA

FOTOGRAFIA ASTRONOMICAper ASTROFILI

anno accademico 2006/2007sessione autunnale

relatoreProf. Massimo Tosello

allievoAndrea Pagnoni

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Indice

Prefazione

Introduzione

La fotografia astronomicacome ricerca scientifica Onde radio Infrarosso Ultravioletto Raggi X e gamma Onde gravitazionali

Tipi di fotografie astronomiche

Materiali

Tecniche a grande campo Cavalletto Fotografia in parallelo

Tecniche a piccolo campo Afocale Fotografia al fuoco diretto Proiezione da oculare, barlow e riduttore di focale Webcam

Elaborazioni Sistema solare Grande campo e oggetti deboli

Conclusioni

Siti internet

Ringraziamenti

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Prefazione

All’interno di una stella atomi di idrogeno si scontrano producendo, dopo varie reazioni, atomi di elio e fotoni ad altissima energia.I fotoni prodotti dissipano energia spostandosi verso l’esterno della stella e ne escono alla fine come luce visibile ed altre forme di radiazione elettromagnetica.La luce viaggia poi per decine, centinaia, migliaia, milioni di anni indisturbata nello spazio vuoto.Saranno “pochi” i fotoni che alla fine, dopo il lungo viaggio, raggiungeranno le lenti di un obiettivo e si poseranno su di una pellicola fotosensibile o ecciteranno i pixel di un sensore.Riuscire a catturare questi fotoni nel modo migliore è lo scopo di chi, come Andrea, si dedica alla fotografia astronomica.Nella sua Tesi vengono esposte e documentate con molte foto sia le tecniche classiche sia le più recenti della fotografia astronomica.Un lavoro interessante, svolto con pazienza e passione.

Michelangelo Rocchetti

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Introduzione

Il cielo stellato è uno degli spettacoli più belli che la natura ci offre e da sempre l’uomo ne rimane affascinato.Sin dalle prime civiltà conosciute, Sole, stelle e pianeti rappresentavano una parte significativa nella vita degli individui. Molto spesso erano parti integranti delle culture primitive, giocando un ruolo fondamentale nelle tradizioni, negli usi e costumi, nella religione.I nostri primi antenati vivevano a stretto contatto con la natura e davanti ai loro occhi si manifestavano di continuo fenomeni che la loro ragione non poteva comprendere. Tali fenomeni venivano allora associati ad entità superiori, capaci quindi di far piovere, scagliare fulmini, illuminare e riscaldare.Ecco che nacquero, così, una serie di dei, personaggi e racconti fantastici legati a quegli avvenimenti che oggi ci fanno quasi sorridere data la semplicità delle loro dinamiche. Basta pensare al più banale e ripetitivo fenomeno astronomico: il sorgere e tramontare del Sole. Indagando tra le diverse culture, si viene a conoscenza, ad esempio, di come il passaggio del Sole in cielo venisse attribuito dai greci al dio Elios che, ogni mattina, guidava il carro del Sole, trainato da cavalli, sopra l’orizzonte, preceduto di poco dalla sorella Eos, dea dell’Aurora. Oppure al dio Ra, per gli egiziani, spesso rappresentato a bordo di una barca, mentre solca il cielo, da Est verso Ovest.

Con il passare dei secoli, le scoperte scientifiche iniziarono a spiegare quei fenomeni prima incomprensibili e l’uomo abbandonò le motivazioni attribuite alle divinità; ma la sua curiosità verso il cielo non andava attenuandosi; piuttosto si evolse, e lo sguardo passò da una semplice contemplazione di avvenimenti a una osservazione più attenta a capire i meccanismi celesti.

In questa mappa sono visibili le figure relative alle costellazioniEmisfero Celeste Boreale. Uranometria, 1603 Emisfero Celeste Australe. Uranometria, 1603

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I primi semplici strumenti astronomici riuscivano a calcolare e prevedere la posizione degli astri, facilitando di molto le osservazioni; ma è con l’avvento del telescopio che si aprì, a partire dal 1608, grazie allo scienziato Galileo Galilei, una nuova era per l’astronomia.Questo oggetto meraviglioso poteva mostrare centinaia di crateri sulla Luna, alcune delle lune di Giove, il sistema di anelli di Saturno, e man mano che si perfezionava si scoprivano nebulose lontane, ammassi di stelle, nuove galassie…Gli astronomi per divulgare le loro scoperte, o semplicemente per prendere appunti, erano soliti disegnare ciò che vedevano attraverso gli oculari dei loro strumenti. E’ del 1781 la pubblicazione del Catalogo Messier, che recensiva 103 oggetti dall’aspetto nebulare, molti dei quali accompagnati da accurati disegni. Stupisce ancor oggi la loro precisione e l’assomiglianza che hanno con le moderne riprese fotografiche.

Per quanto ben fatti, però, i disegni erano sempre legati all’abilità dell’astronomo e alla sua sensibilità personale. Occorreva qualcosa che quasi meccanicamente riuscisse a prelevare la debole luce proveniente dal cielo e restituirla, fedele, su un supporto permanente.Tutto ciò iniziò a svilupparsi nei primi del 1800, e nel 1826 Joseph Nicephore Niepce ottenne la prima fotografia della storia.Il nuovo sistema per creare immagini fu migliorato, e negli anni quaranta dell’ottocento, per mezzo del dagherrotipo, ne vennero realizzate di soddisfacenti della Luna e del Sole, dei quali si distinguevano numerosi dettagli. Era nata la fotografia astronomica.

Galileo Galilei (1564-1642)

Appunti di Galileo Galilei sulle osservazioni di Giove e dei suoi quattro principali satelliti eseguite col suo cannocchiale

Disegni di Galileo in seguito all’osseravazione delle fasi lunari

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Una moderna ripresa di M42, la celebre Nebulosa di Orione, e nel riquadro un disegno di Lord Rosse eseguito a metà dell’800

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In seguito tale disciplina divenne utile per lo studio vero e proprio del cielo, analizzando ad esempio le caratteristiche superficiali del Sole, che ben si prestava ad essere fotografato data la sua grande luminosità.Si susseguirono procedimenti sempre nuovi fino ad arrivare a produrre fotografie capaci di registrare migliaia di stelle e nebulose che l’occhio, nemmeno al telescopio, riusciva a scorgere.La pratica dell’osservazione visuale e del disegno astronomico caddero lentamente

in disuso e la fotografia astronomica si affermò sempre più.Passando dal dagherrotipo, alla pellicola, sino al digitale di oggi, i procedimenti sono diventati molto più semplici. Si sono anche drasticamente ridotti i tempi per produrre fotografie e, altra cosa molto importante, i costi sono diventati accessibili anche ai non professionisti del settore, rendendo di fatto la fotografia astronomica molto diffusa anche tra gli astrofili.Quando si guarda attraverso un telescopio si rimane spesso delusi dalla piccola, sbiadita immaginetta che si vede proiettata. E’ la tipica reazione di chi non ha mai osservato il cielo con uno strumento e di chi, di solito, è abituato a vedere le meravigliose immagini a colori (di Luna, pianeti o galassie che siano) che si trovano nei libri..La maggior parte degli astrofili, seppur estasiati dalla mesta visione telescopica, dopo diverso tempo di “pratica” e di osservazione visuale, tendono quasi naturalmente al grande passo verso la fotografia. E’ una strada tutt’altro che facile, che richiede una discreta conoscenza del cielo, tanti sacrifici ed infinita pazienza, provando e riprovando, fino a raggiungere i primi, sudatissimi, discreti risultati. Allora sarà immensa la soddisfazione nel veder impressa, su pellicola o supporto elettronico, anche il più semplice dei soggetti astronomici, con dettagli, colori o sfumature tipiche che fino a poco tempo prima era quasi impensabile riuscire a riprendere.Come nella maggior parte delle cose, anche qui, la pratica è la miglior maestra. Le notti passate e apparentemente sprecate sopra una macchina fotografica e un telescopio sono fondamentali per prendere confidenza con i mezzi e le tecniche. Si comprende cosa funziona e cosa no, qual è il sito giusto per determinati soggetti, se la serata è adatta…oppure è meglio lasciar perdere, al fine di ottenere una buona immagine. Tante sono le variabili che solo l’esperienza (nostra e/o altrui) può aiutarci.La passione, la pazienza e la costanza, prima di tutto.

Di seguito verranno proposte e spiegate diverse tecniche di astrofotografia, procedendo con ordine dalle più semplici ed economiche, fino a quelle più complesse.L’esposizione è tesa ad illustrare quei procedimenti che di sicuro accompagneranno l’aspirante astrofotografo ai primi risultati soddisfacenti, utilizzando una comune strumentazione amatoriale o poco più.

La prima fotografia della storia (Joseph Nicephore Niepce, 1826)

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La fotografia astronomica come ricerca scientifica

A che cosa serve la fotografia astronomica?Fondamentalmente possiamo dividere il suo utilizzo in tre parti ben distinte: la fotografia estetica, che mira solamente ad ottenere belle riprese di soggetti astronomici, e che è la protagonista di questa Tesi, la fotografia impiegata nell’astronomia di posizione, utile a studiare le traiettorie dei corpi celesti, e la fotografia impiegata in astrofisica (fisica degli astri), che sostanzialmente attraverso l’analisi della luce emessa o assorbita dai vari corpi consente di stabilirne la genesi, le dimensioni, la massa, la velocità e l’età.Quest’ultimo aspetto è forte e presente tutt’oggi, e la maggior parte del lavoro in tal senso viene svolto dalle strutture professionali specializzate, come i grandi osservatori in cui sono posizionati potenti strumenti che tentano di guardare sempre più lontano nello spazio, e di conseguenza, più lontano nel tempo. Non deve sorprendere l’accoppiamento spazio-tempo come fossero due cose strettamente legate. In effetti, più il soggetto che guardiamo è lontano, più tempo impiegherà la sua luce ad arrivare fino a noi. La velocità della luce è di circa 300.000 chilometri al secondo, e per quanto sia di gran lunga la cosa più veloce all’universo, le distanze in esso in gioco sono talmente grandi che anche tale velocità risulta poca cosa; ad esempio la luce che parte ora dalla stella più vicina a noi (Sole escluso), Proxima Centauri, viaggerà per più di quattro anni prima di arrivare sulla Terra. Quando arriverà, quindi, noi vedremo la stella non come sarà in quel momento preciso, ma così come era quando quella luce è partita, cioè quattro anni prima, in un tempo passato. Le galassie sono distanti milioni e miliardi di anni luce, per cui le vediamo com’erano da giovani, dando agli astronomi informazioni importantissime sulle prime fasi di vita dell’Universo. Il tempo viene quindi considerato la vera e propria quarta dimensione spaziale.

Una ricerca forte è presente anche tra gli astrofili, che essendo tanti e sparpagliati per i vari continenti, hanno un fortissimo potere indagatore. I loro campi vertono ovviamente su quelle tematiche alla portata dei loro strumenti amatoriali, sfornando a volte foto ugualmente interessanti. Gli astrofili ad esempio si dedicano alla ricerche di comete (la cometa Hale Bopp, che passò nel 1997, venne scoperta proprio da due astrofili). Oppure alla ricerca di supernove che esolodono in galassie lontane. Eseguendo ripetute fotografie a distanza di più giorni dello stesso soggetto, si potrebbe scoprire una

supernova e seguirne lo sviluppo. Anche le perturbazioni nelle atmosfere dei pianeti vicini e gli sciami meteorici interessano gli astrofili, che ad esempio, cercano i bagliori generati da meteoroidi che cadono nella mezzaluna buia, se la fase lunare lo consente.Le immagini che vengono ottenute dai professionisti per la ricerca sono completamente diverse

La cometa Hale-Bopp che passò nel 1997

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da quelle spettacolari che invece nascono con fini puramente estetici. Spesso si mostrano come foto a “falsi colori”, ovvero con tonalità non reali, fatte di colori accesi e puramente indicativi per riconoscere in tali zone valori di temperature definite e altre caratteristiche proprie del campo inquadrato. A volte appaiono piene di punti luminosi, come una normale ripresa stellare, celando ancor di più il reale valore scientifico dello scatto. Ce ne sono di tanti tipi diversi, a seconda di quale è stata la tecnica usata e in quale zona dello spettro elettromagnetico ci si è esposti.Lo spettro, infatti, è piuttosto ampio, e comprende, nella sua interezza, onde con lunghezze molto differenti, e quindi con energie diverse. Partendo dalla parte più “debole” dello spettro, e proseguendo verso la più energetica, troviamo: le onde radio, l’infrarosso, la parte visibile, l’ultravioletto, i raggi x e i raggi gamma.

L’universo è un serbatoio pressoché infinito di tali energie, scaturite da processi molto complessi e di proporzioni immense. Tutti gli astri, le galassie (nonché la nostra), le nubi interstellari, le nebulose, le esplosioni di supernove, ecc., emettono radiazioni nelle varie lunghezze d’onda. In ogni oggetto predomina una porzione di spettro, che non sempre coincide con quella che siamo in grado di percepire a occhio nudo. L’occhio umano è infatti sensibile solo per una sua piccolissima parte, alle lunghezze comprese indicativamente tra i 400 nanometri (nm), per il rosso e i 700 per il violetto. Un nanometro è un milionesimo di millimetro. Le onde alle estremità dello spettro vanno circa dalle decine di chilometri per le onde radio, ai 0,0005 nm per i raggi gamma. Si capisce quindi che la maggior parte dell’universo, ci è di fatto invisibile. Nell’ultimo secolo gli enormi progressi scientifici hanno portato a risultati inimmaginabili, tanto che oggigiorno gli astrofisici, tramite sofisticate attrezzature e telescopi specifici, riescono a vedere anche nelle bande dello spettro interdette all’occhio umano. In questo modo la quantità di informazioni a disposizione per tentare di comprendere l’universo aumentano notevolmente.

Lo spettro elettromagnetico

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Onde radio

Lo studio del cielo nelle onde radio prese il via negli anni ’30 del novecento, quasi per caso. Nei primi anni del secolo si stava enormemente affermando la comunicazione radiofonica ed erano tanti gli esperimenti che si facevano tramite le antenne per cercare di sviluppare sempre più, e meglio, questa tecnologia. Diversi erano i laboratori dedicati, ma i Bell Laboratories americani erano forse i più avanzati, disponendo di numerosi strumenti e dedicando ampio spazio alla ricerca. Indagando su alcuni disturbi che affliggevano le comunicazioni un tecnico Bell, Karl Jansky, trovò che in direzione della costellazione del Sagittario, in piena Via Lattea, provenivano costantemente segnali radio. Era proprio l’emissione scaturita dalla nostra Galassia. Nel corso degli anni la radioastronomia divenne importantissima, ma è nel 1964 che, sempre casualmente e sempre dai Bell Laboratories, si fece una tra le scoperte più importanti per la storia dell’evoluzione scientifica: due ingegneri, Robert Wilson e Arno Penzias scoprirono una sorta di disturbo che interferiva nelle comunicazioni, debole ma costante e proveniente allo stesso modo da qualsiasi zona del cielo. Anche se inconsciamente avevano scoperto sul campo ciò che un fisico russo, George Gamow, ipotizzò due decenni prima: la radiazione cosmica di fondo. Ossia la “traccia fossile” del Big Bang; una debolissima radiazione nelle microonde (onde radio con lunghezza d’onda di 21 centimetri) della temperatura di 3° K.

Questa scoperta fu una prova fortissima della validità della teoria cosmologica del Big Bang. Un’ulteriore conferma si ha dalla fotografia scattata dal satellite COBE, nel 1992. Essa mostra, a seguito di milioni di misurazioni nella banda delle microonde, che la radiazione non è uniforme, e le seppur piccolissime variazioni della sua temperature significavano un

universo capace di formare galassie, miliardi di anni fa. Oltre questa avventurosa parentesi storica (doverosa) la radioastronomia ha continuato e continua tutt’ora a essere di fondamentale importanza per la ricerca e la comprensione dell’Universo. Vengono studiati il Sole, i pianeti ma anche esplosioni e resti di supernove, lenti gravitazionali (spiegati grazie alle teorie di Einstein) e oggetti lontani miliardi di anni luce, come quasar (giovani galassie, estremamente brillanti).

La famosa immagine scattata dal satellite COBE nel 1992. Le macchie rappresentano le variazioni di temperatura

Immagine radio di un quasar sdoppiato per effetto di una lente gravitazionale 11

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Infrarosso

La banda dell’infrarosso (Ir) è più energetica della radio, si avvicina alla luce visibile, ma ri-mane sempre invisibile all’occhio umano. E’ molto interessante indagare l’universo in questa banda poiché essa è emessa da un grandissimo numero di oggetti celesti, come il Sole, la Luna e i pianeti. Inoltre è anche possibile osservare la polvere cosmica, la formazione di stelle e di nuovi sistemi solari, la Via Lattea e le galassie più distanti. L’infrarosso è la radiazione termica di un corpo, e anche il corpo umano ne emette. Per riprenderla occorre un sensore estremamen-te raffreddato, in modo che la ripresa non sia alterata dal calore del sensore stesso. L’atmosfera terrestre (o meglio le goccioline d’acqua che in essa è contenuta) è un debole schermo per l’Ir, lasciandolo passare abbastanza. Da Terra, quindi, anche se la finestra di lavoro è un po’ limitata si può tentare di riprendere questa radiazione. I migliori risultati si ottengono però nelle zone particolarmente sopraelevate rispetto il livello del mare e piuttosto fredde. L’Antartide, con un’altitudine elevata, temperature glaciali e ottime trasparenza e secchezza del cielo, risulta essere uno dei luoghi più adatti per l’indagine all’Ir. Oppure, ovviamente, lo spazio. Il primo satellite per l’infrarosso fu IRAS, lanciato nel 1983, fornendo numerose fotografie in grado di coprire tutto il cielo.

La Nebulosa di Orione in Ir

Ripresa a grande campo delle regioni del Toro, Auriga e Orione dal satellite IRAS

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Ultravioletto

L’ultravioletto (Uv) Segue la luce visibile, pertanto ne è di poco più energetica. Lo studio del cielo nell’ultravioletto permette di reperire informazioni su corpi celesti quali le stelle calde, le novae e le supernovae, i dischi d’accrescimento nei sistemi binari, i nuclei galattici attivi.Anche la radiazione Uv è quasi totalmente schermata dalla nostra atmosfera (fortunatamente, dato che è estremamente dannosa per il nostro corpo) quindi è dallo spazio che si possono compiere le migliori osservazioni. Nel 1978 è stato lanciato il satellite IUE che ha segnato l’inizio

della astronomia nell’ultravioletto. Grazie alle immagini che ha catturato ininterrottamente per più di 13 anni (circa 11mila oggetti osservati) ad esempio, IUE ha fornito il primo studio sistematico delle variazioni d’attività di una cometa durante il suo viaggio attraverso il sistema solare, ha rivelato la presenza di fenomeni d’aurora su Giove ed ha permesso di studiare le loro variazioni all’interno del ciclo solare che ha una durata di 11 anni. Ancora più lontano dal nostro Sistema Solare, IUE ha permesso la prima osservazione diretta dell’alone nella nostra galassia - un’enorme quantità di

materia caldissima nelle zone estreme della Via Lattea - ed anche di misurare le dimensioni di un buco nero presente nel nucleo di una galassia attiva. Inoltre, l’unico quasar ad alto redshift studiato nell’UV è stato scoperto proprio da IUE.

Planisfero Celeste ripreso dal satellite IUE

La galassia Vortice (M51) nei Cani da caccia ripresa in Uv 13

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Raggi X e gamma

L’astronomia nei raggi X e gamma si occupa delle parti più energetiche dello spettro elettromagnetico. Queste onde sono emesse ogni volta che ci sono degli avvenimenti estremamente violenti, di maestosa portata. Più nello specifico ci vengono fornite informazioni interessanti riguardo le stelle di neutroni, i quasar, la caduta di materiale dentro i buchi neri, i gamma ray burst (ossia violentissime esplosioni con rilascio di raggi gamma), ammassi di galassie, nuclei galattici attivi, resti di supernova, e tanti altri. L’atmosfera ci protegge da entrambe queste radiazioni per cui, anche in questo caso, lo spazio è il luogo migliore da dove poter compiere osservazioni. Non sono quindi mancati lanci di satelliti per fotografare il cielo in queste bande. Per quanto riguarda i raggi X nel 1996 è stato lanciato il satellite Beppo SAX, dedicato al fisico fossempronese Giuseppe Occhialini, padre dell’astrofisica italiana. Il satellite era equipaggiato di telescopi particolari e rilevatori che gli permettevano di raccogliere informazioni in tutta la banda degli X; Beppo SAX ha dato un notevole contributo alla comprensione dei gamma ray burst, identificandoli come lontani da noi miliardi di anni luce.

Una data storica nello sviluppo dell’astronomia gamma fu il 1991, quando la NASA lanciò in orbita il Compton Gamma Ray Observatory (CGRO). In circa dieci anni di operatività ha rivelato circa 2 milioni di fotoni gamma; di questi, molti costituiscono il fondo di radiazione gamma diffusa di origine galattica ed extragalattica, e in parte sono riconducibili a sorgenti gamma quali le pulsar e i nuclei galattici attivi. Inoltre, sono stati rilevati migliaia di Gamma Ray Burst.

Fasi finali di un Gamma Ray Burst, riprese dal satellite Beppo SAX

Il Sole ripreso nei raggi X dal satellite SkyLabImmagine ai raggi gamma di un resto di supernova nella costellazione dello Scorpione 14

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Onde gravitazionali

La ricerca delle onde gravitazionali è un campo ancora in attesa dei primi risultati. Sebbene ci siano diversi centri e strutture imponenti per il rilevamento e lo studio di queste onde, ancora manca purtroppo un’osservazione diretta che dia la prova della loro effettiva esistenza.Le onde gravitazionali sono state ipotizzate e descriverebbero la propagazione di un campo gravitazionale deformando e increspando lo spazio-tempo entro cui gli oggetti si trovano.Riuscire a rilevarle significherebbe un notevole passo in avanti nell’astrofisica e nella scienza in generale. Strumenti appositi, allora, sarebbero in grado di “mostrarcele”, nascoste sotto forma di immagini che indicano le concentrazioni di tali increspature.Aspettiamo ansiosi.

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Tipi di fotografie astronomiche

Ma cosa possono realizzare gli astrofili, in termini di fotografie astronomiche?Parlando di fotografia astronomica è quasi obbligatorio fare delle distinzioni e imporsi delle categorie in modo da non racchiudere, in maniera disordinata, entro questa pratica, aspetti molto diversi. Esistono numerose possibilità infatti per riprendere i più svariati soggetti. La distinzione che propongo è un po’ inusuale e non si rifà, come spesso avviene, alla tecnica usata o al soggetto, ma piuttosto al campo inquadrato nella foto.Quindi, in questo caso, la divisione proposta è: fotografia a “grande campo” (o “campo largo”) e a “piccolo campo” (o “campo stretto).Per “campo inquadrato” si intende quanto spazio riusciamo a far entrare nella nostra fotografia. Ad esempio se si inquadra solo la Luna, in modo che occupi tutta la foto, il campo inquadrato sarà minore piuttosto che, se oltre alla Luna, in foto si vedono anche le stelle attorno e parti di paesaggio terrestre.Nel grande campo possiamo includere riprese di intere costellazioni, le classiche fotografie del sorgere e del tramontare del Sole (considerando che è, come accennato in precedenza, un vero e proprio fenomeno astronomico), oppure le tracce naturalmente disegnate dalle stelle, che con il passare del tempo sembrano ruotare attorno alla stella Polare. Anche foto di scorci di Via Lattea entrano prepotentemente in questa categoria, evidenziando talvolta forma e struttura della nostra galassia. Viene perciò qui esclusa la possibilità di vedere singoli particolari piuttosto ingranditi dei vari oggetti celesti;

Fotografia a grande campo. Si vedono la Luna piena che sta sorgendo e parti di paesaggio terrestre 16

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Il piccolo campo si concentra invece proprio ad immortalare tali particolari, selezionando la piccola porzione di cielo entro cui si trovano. Quindi Sole, Luna, pianeti, galassie, nebulose, ammassi, stelle doppie… vengono fotografati in maniera precisa e dettagliata, diventando il soggetto principale dell’immagine. Si riconosceranno qui le nature stesse dei soggetti. I pianeti, ad esempio, non appariranno come semplici puntini luminosi, ma come veri e propri deschetti, all’interno dei quali (o anche all’esterno, per Saturno) si vedranno più o meno caratteristiche dell’atmosfera e della morfologia a seconda dei momenti.Oppure le nebulose ad emissione, oltre che come semplici “batuffoli di cotone”, si mostrano come complesse trame di gas brillanti spesso aventi colori precisi, di solito tendenti al rosso.In alcuni casi le tecniche esposte sono simili, se non identiche, per entrambe le categorie. Quello che cambia è l’utilizzo di strumenti diversi, che sviluppano più o meno ingrandimenti. Ad alti ingrandimenti è molto più difficile eseguire una buona foto, in quanto si deve far fronte ad un maggior numero di problemi. In linea di massima, quindi, anche se hanno diversi punti in comune, le fotografie a grande campo sono le più semplici, e adatte quindi, per fare le prime esperienze.

Due particolari della superficie lunare, nei pressi del terminatore.

Il campo inquadrato è molto piccolo

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Entrambe le categorie comunque sono estremamente affascinanti, e se ben sviluppate, serbano foto di grande spettacolarità. La scelta dell’una o dell’altra è determinata da numerosi fattori:

• In primo luogo, da cosa si vuol fotografare. Ovvero da quale si voglia che sia il risultato finale. Ognuno, inoltre, predilige uno dei due campi e tende a specializzarsi e a ritrarlo più frequentemente.• Si sceglie anche in base al materiale che si ha a disposizione. Il campo stretto necessita di strumenti specifici (ad esempio è necessario un telescopio) ed è un percorso più laborioso da affrontare.• Il sito di ripresa è fondamentale. Se siamo in presenza di un forte inquinamento luminoso, ad esempio, è sconsigliata la fotografia a grande campo e di oggetti deboli, in quanto il cielo anziché nero risulterebbe chiarissimo non permettendo la visibilità di numerose stelle.• Le condizioni della serata in cui si effettuano le riprese sono molto importanti e spesso influenzano le decisioni del fotografo. Ovviamente con “condizioni” non si intende se il cielo è sereno o meno (in caso di cielo nuvoloso o coperto non ha senso parlare di fotografia astronomica), piuttosto si parla di “seeing” e di “trasparenza”, termini che indicano appunto la qualità del cielo. Un buon seeing prevede che le immagini appaiano ferme, a fuoco, nitide e precise nei contorni. Di solito si ha quando c’è poca turbolenza nell’aria. Quindi il vento e le masse d’aria di diverse temperature che si spostano ad alta quota causano cattivo seeing. La trasparenza dell’aria, invece, indica proprio se il cielo è trasparente, cioè ad esempio, se riusciamo o meno a vedere numerose stelle, magari anche quelle più deboli. Solitamente si scelgono foto di astri del Sistema Solare quando il seeing è migliore, degli oggetti deboli e in generale foto a grande campo quando è migliore la trasparenza. Non è detto che buoni seeing e trasparenza siano presenti assieme.

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Materiali

Per realizzare fotografie astronomiche, al contrario di quello che si potrebbe pensare, non occorrono strumenti particolarmente strani o complessi. Certo è che non basta una qualsiasi macchina fotografica da puntare a mano verso il cielo e scattare: non uscirebbe fuori nemmeno una stella!A seconda se vogliamo dedicarci ad una o l’altra categoria di foto astronomiche abbiamo bisogno di attrezzature differenti.

Per quel che riguarda il grande campo, è obbligatorio premettere che sono necessari, nella maggior parte dei casi, tempi di esposizione piuttosto lunghi (si parla di decine di secondi), in modo da fissare le deboli luci delle stelle. Fondamentale è quindi una fotocamera che sia in grado di farlo. Tale caratteristica si trova sia nelle analogiche che nelle digitali. In entrambi i casi, però, bisogna far attenzione: le più diffuse macchine fotografiche che si trovano nella maggior parte delle case, sono le cosiddette “compatte”, adatte alle foto terrestri e senza la possibilità di cambiare obiettivi e gestire i comuni parametri di ripresa (tempi e diaframmi), che sono invece indispensabili in astronomia. Solo alcune compatte di fascia medio-alta hanno queste caratteristiche, che le rendono, di fatto, più adatte per il cielo.

Le migliori macchine sono dunque le “reflex”, analogiche o digitali che siano, che si prestano meravigliosamente alla fotografia astronomica. La completa gestione delle opzioni di ripresa ci permette di adattare la macchina ad ogni situazione, semplificando non poco la vita del fotografo. Cambiando gli obiettivi, inoltre, la gamma di possibilità si estende notevolmente riuscendo a spaziare tra numerosi soggetti diversi, passando talvolta dal grande al piccolo campo.

La fotocamera compatta Kodak DX7630. La possibilità di gestire manualmente alcuni parametri la rende una delle poche compatte adatte alla fotografia astronomica

La reflex digitale Canon 350D è una delle più comuni fotocamere utilizzate dagli astrofili

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Volendo spendere alcune parole sugli obiettivi, occorre precisare quali sono le loro caratteristiche che ci interessano, in campo prettamente astronomico: ogni obiettivo ha un paio di numeri che ci danno informazioni importanti. Il primo è la lunghezza focale, espressa in millimetri, ossia la distanza che c’è tra la lente dell’obiettivo e il piano in cui l’immagine va a fuoco. Di solito, i più comuni obiettivi che sono venduti assieme alle macchine, variano circa tra i 20 e 200 mm. Esistono dei modelli zoom che hanno la focale variabile. In sostanza, più il numero è basso, più campo si riesce a inquadrare nel fotogramma. A titolo indicativo, a 20 mm si riprendono, nella stessa foto, numerose costellazioni, a 200 mm solo parte del Grande Carro. Il secondo numero indica il rapporto focale. E’ il rapporto che c’è tra la lunghezza focale e il diametro dell’obiettivo (in mm) e si presenta come una frazione con al numeratore la lettera “f” o una divisione dove al dividendo c’è il numero “1”. Alcuni esempi, tra i più comuni, possono essere: 1:3,5 oppure f/3,5 – 1:2,8 o f/2,8. Nei modelli zoom si trovano due numeri: uno corrispondente alla focale minima e uno alla massima, ad esempio f/3,5 – 5,6. Questo numero è utile per due cose: sapere la luminosità dell’obiettivo e determinare la profondità di campo, cioè lo spazio entro cui le immagini riprese risultano essere a fuoco. Ad un numero piccolo corrisponde maggiore luminosità e minore profondità di campo. Il valore riportato indica sempre la massima luminosità, quindi il numero è il più piccolo possibile. Lo si può aumentare chiudendo il diaframma (quindi diminuisce la luminosità, occorrono tempi più lunghi, ma aumenta la profondità di campo). In base alle esigenze si cambiano gli obiettivi e si modificano i valori. Anche se al momento il neofito risulta disorientato, rassicuro dicendo che basta veramente poco per prendere confidenza con i numeri, e in seguito tutto sarà alquanto immediato.

Utile, ma non indispensabile, potrebbe essere uno scatto flessibile che evita le vibrazioni causate dal dito premuto nel pulsante dell’otturatore.

Dati i lunghi tempi di posa è obbligatorio munirsi di un cavalletto sul quale fissare la fotocamera, onde evitare di ottenere immagini mosse. Con le sue numerose possibili regolazioni, è utilissimo per cambiare inquadratura in pochissimi secondi ed essere subito operativi per altri scatti. In casi di emergenza, nulla

vieta comunque, di appoggiare la macchina sopra un qualsiasi supporto di fortuna.

Altra cosa fondamentale, da tener presente per chi lavora in analogico, è la scelta della pellicola, che dovrà

avere una sensibilità adatta al tipo di ripresa. Si potrebbe pensare che un numero ISO maggiore sia consigliato data la debolezza dei soggetti, in realtà è meglio utilizzare pellicole a media sensibilità, diciamo comprese tra i 200 e gli 800 ISO. Più saliamo in questa scala, maggiore è la grana prodotta e visibile in foto. Si tratta di un disturbo creato dagli alogenuri d’argento (le particelle fotosensibili della pellicola) che sono tanto più grandi quanto più è sensibile la pellicola. Ai massimi valori, tranne in alcuni casi eccezionali, la grana è visibilissima e crea un notevole disturbo in tutta l’immagine. Il tempo di posa, inoltre, influisce negativamente: più si espone, maggiore diventa la dimensione dei grani. Occorre quindi trovare il compromesso giusto tra i vari fattori onde evitare spiacevoli sorprese.Chi lavora con il digitale deve tenere presente un problema analogo. Anche nelle reflex

L’obiettivo fornito insieme alla Canon 350D.Si notino i numeri descritti nel testo

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digitali è possibile variare gli ISO e anche qui impostando un valore alto si aumenta, oltre che la sensibilità, un “rumore” fastidiosissimo che va a deturpare l’immagine finale. Si tratta dell’equivalente della grana analogica, ma in questo caso è dovuta alla corrente elettrica che scalda il sensore; i pixel rispondono in maniera diversa e a caso, nella foto, si vedono punti più o meno luminosi. Anche qui maggiore il tempo, maggiore il rumore.

Un altro tipo di fotografia a grande campo, detta “in parallelo”, necessita obbligatoriamente dello strumento astronomico per eccellenza: il telescopio. Ovviamente non lo si usa per fotografarci attraverso, ma come supporto della fotocamera, come fosse un cavalletto. Serve come “guida” per compensare il moto di rotazione terrestre. Infatti, una fotografia dal cavalletto tradizionale non potrà avere tempi di posa lunghissimi, in quanto la Terra, girando su se stessa, produrrà un effetto di mosso sulle stelle, che invece rimangono fisse.La maggior parte dei telescopi hanno la possibilità, invece, di inseguire gli oggetti celesti, che apparentemente si muovono in cielo, agendo su delle manopole o più comodamente, attivando dei particolari motori elettrici. In questo modo, se l’inseguimento è preciso, i tempi di posa si possono allungare notevolmente senza avere la percezione del mosso. Così si riescono a far risaltare anche i dettagli più deboli.

Occorre perciò un accessorio che sia in grado di collegare i due strumenti. Alcuni telescopi hanno un vite a passo fotografico installata nella sommità della montatura. Altrimenti è possibile, con un po’ d’ingegno, costruirsi qualcosa che possa fare al caso nostro.

Un oculare di media focale con un reticolo illuminato all’interno, anche se non fondamentale, può essere utile per essere più precisi durante l’inseguimento, o per correggere eventuali errori dei motori.

Le fotografie a piccolo campo sono equamente divise tra quelle che necessitano di lunghe e corte pose e gli strumenti necessari sono un po’ più specifici, alcuni dei quali di largo utilizzo per coloro che già da un po’ sono appassionati praticanti di astronomia.Il telescopio, indispensabile nel “piccolo campo” dovrà essere adatto al tipo si soggetto. Ciò che è importante ai fini della fotografia è il rapporto focale del telescopio, che esattamente come in un obiettivo fotografico, ne indica la luminosità. Gli strumenti amatoriali hanno luminosità, per così dire, abbastanza

Il piccolo telescopio (Ø 114 mm) che utlizzo in alcune fotografie astronomiche.Si noti la montatura di tipo “equatoriale” sprovvista di motori. Tramite le due leve flessibili è possibile effettuare piccole correzioni di puntamento, utili, ad esempio, per inseguire gli oggetti celesti.

Ecco cosa si vede guardando attraverso un telescopio con reticolo illuminato.Nel centro dei filamenti luminosi si posiziona una stella e si cerca di mantenerla ferma agendo sui movimenti micrometrici 21

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I miei oculari. Partendo dal primo in alto a sinistra, fino all’ultimo in basso a destra, le focali sono: 25mm - 20mm - 20mm - 12mm - 12mm - 10mm - 6mm - 4mm - 4mm

standardizzate, ovvero i “riflettori” sono in genere più luminosi, (poiché hanno diametri generosi) e quindi adatti per gli oggetti deboli (nebulose, galassie, comete, ammassi globulari), mentre i “rifrattori” hanno rapporti focali maggiori, quindi sono più bui e meglio si adattano alle riprese in alta definizione di oggetti luminosi (Sole, Luna e pianeti).Esistono anche rifrattori a corta focale, combinando un’elevata luminosità ad una eccellente lavorazione delle ottiche, ma qui i prezzi salgono parecchio.

Per il metodo “afocale” occorre un telescopio, una gamma di oculari vasta il più possibile e una macchina fotografica. Va bene, in questo caso, anche una semplice compatta (molto meglio digitale, dato che consente di visualizzare la foto appena scattata, ed eventualmente, di apportare subito le dovute correzioni). In questo modo, con un po’ di pratica, si riusciranno ad ottenere foto interessanti degli astri più brillanti.

Per il “fuoco diretto” sono indispensabili un paio di raccordi posti tra la macchina fotografica priva di obiettivo (dunque si può usare solo una reflex, in questo caso) e il focheggiatore del telescopio (che funge così da obiettivo). Il primo è il cosiddetto “anello T2”. Da una parte si applica al posto dell’obiettivo della macchina, dall’altra ha una filettatura per l’innesto di altri accessori, anche non astronomici. Il secondo è un raccordo specifico che andrà avvitato nell’estremità libera dell’anello e poi inserito nel focheggiatore, come un comune oculare.

E’ importante, soprattutto se il soggetto è debole e richiede un tempo di posa assai lungo, che il telescopio insegua piuttosto bene, con margini di errore bassissimi o praticamente nulli, altrimenti, data la focale spinta, i soggetti risulteranno allungati. E’ opportuno quindi che la montatura sia motorizzata (lo sono ormai la maggior parte) o che si provveda a montare un altro piccolo telescopio, in parallelo, con il quale inseguire a mano anche se è piuttosto difficile ed impegnativo. Si può incrementare ulteriormente l’ingrandimento frapponendo tra la macchina e il telescopio un oculare o una lente di Barlow; ma attenzione, perché le difficoltà aumentano in proporzione all’ingrandimento sviluppato.

Gli stessi raccordi avvitati insieme e pronti per l’uso

I due raccordi descritti nel testo smontati

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Infine, uno strumento utilissimo, e di recente impiego, è una comune webcam.Queste piccole ed economiche telecamere da applicare al computer sono utilissime per la fotografia degli oggetti del sistema solare. L’unica accortezza è di sceglierne una con risoluzione di almeno 640 x 480 px e con la possibilità di essere smontata. Il suo obiettivo, infatti, non serve, e la camera viene usata con le ottiche del telescopio.

Una tra le webcam più quotate per l’uso astronomico:la Philips Toucam Pro III (SPC900NC)

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Tecniche a grande campo

Le tecniche a grande campo sono le più semplici da realizzare.Per questo sono le prime che gli astrofili prendono in considerazione per iniziare a far foto astronomiche. Si possono realizzare in molti casi e da molti siti. Anche quando il seeing e la trasparenza non sono ottimali, si riescono a fare foto abbastanza buone. La città, contrariamente a quanto si possa credere, può essere un buon punto di partenza, dove fare le prime esperienza e prendere dimestichezza con gli strumenti.

Volendo essere il più precisi possibile, possiamo dividere queste tecniche in due categorie: le fotografie “da cavalletto” e “in parallelo”. Per le prime occorre semplicemente una fotocamera e un cavalletto, mentre nella seconda è necessario anche un telescopio.I soggetti che è possibile riprendere in questa categoria sono numerosissimi, e alcuni sembrano addirittura non essere attinenti con l’astronomia.

Fotografia “da cavalletto”

La fotocamera posizionata sul cavalletto, ponta per scattare

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• Procedendo con ordine, le foto più semplici da realizzare sono quelle dei tramonti e delle albe, quando il Sole è quindi vicinissimo all’orizzonte e il cielo assume la caratteristica colorazione rossastra. In questo caso, data la grande luminosità, non è nemmeno necessario il più delle volte, il cavalletto. I parametri tecnici da regolare sono pochissimi e anche settate in “automatico”, le macchine di solito producono ottime immagini. Si usano corte o medie focali, perciò va benissimo anche una qualsiasi compatta. E’ importante qui, più di ogni altra fotografia astronomica, preoccuparsi dell’inquadratura, in modo da rendere piacevole l’immagine e conferire originalità ad un soggetto gia molto in voga tra i fotografi. Utilissimi sono i particolari terrestri che fanno da contorno al fenomeno. E’ consigliato, infatti, far rientrare in foto anche il paesaggio terrestre onde evitare di produrre immagini con solo cielo, prive di identità, che potrebbero essere state scattate in qualsiasi parte del pianeta e da chiunque. Possono essere molto interessanti luoghi dove dominano imponenti gru, cantieri, strade trafficate, grandi strutture architettoniche. Anche elementi naturali come montagne, colline, corsi d’acqua, sono importanti e di grande aiuto. Attenzione particolare va posta alla linea dell’orizzonte: salvo i rari casi dove potrebbe essere interessante qualche gioco di simmetria, è opportuno attenersi alla “regola dei terzi”, ponendola a 1 o 2 terzi dal bordo dell’inquadratura. Di grande impatto sono le fotografie effettuate con obiettivi a cortissima focale e diaframmati di qualche stop (per sfruttare una maggior profondità di campo ed avere, così, tutto a fuoco) dove si vedono ampissime porzioni di cielo e terra.L’ultima cosa da dover decidere è, a questo punto, la scelta dell’esposizione; cioè se vogliamo che sia correttamente esposto il paesaggio, o il cielo con il Sole. Le due varianti producono effetti diversi: nel primo caso il cielo verrà sovraesposto, si perde un po’ l’effetto alba o tramonto, ma si vedranno molto bene i particolari terrestri. Nel secondo il cielo sarà della giusta tonalità, con il Sole ben visibile, e l’orizzonte apparirà come un’unica sagoma nera.

• Un soggetto altrettanto semplice da fotografare è il “parelio solare”. Si tratta di un riflesso solare che è visibile ogni tanto in cielo, durante le ore diurne, quando sono presenti particolari nubi, alte e stratiformi: i cirri. Il parelio si manifesta come un piccolo bagliore di luce a lato del Sole e talvolta è visibile sia a destra sia a sinistra. E’ dovuto alla rifrazione dei reggi solari nei piccoli cristalli di ghiaccio dei cirri. In questo modo la luce viene scomposta e il parelio assume i colori tipici dell’arcobaleno. Il rosso è sempre verso il Sole. I parametri e le modalità di ripresa sono gli stessi che per i tramonti e le albe. La cosa più difficile, quindi, è trovarsi nel posto giusto al momento giusto.

• Un tipo di fotografia molto in voga tra i principianti (e non solo) è la classica strisciata attorno la stella Polare. Si tratta di lasciare aperto l’otturatore della macchina per un tempo sufficientemente lungo da mostrare le tracce prodotte dalle stelle mentre ruotano (apparentemente, dato che in realtà è la Terra a ruotare) attorno alla stella Polare. Dal punto di vista tecnico si capisce subito la semplicità di questo tipo di foto. Anche qui, però, ci sono accortezze da tenere a mente: innanzi tutto è bene non scegliere una sensibilità troppo elevata, altrimenti il fondo cielo diverrebbe troppo chiaro. Meglio non superare gli 800 ISO. E’ opportuno inoltre, diaframmare di uno o due stop l’obiettivo per avere immagini più incise, una maggior profondità di campo, e poter usufruire di più tempo di posa (= strisciate più lunghe) mantenendo accettabile il fondo cielo. E’ anche importante sapere che parte di cielo si sta inquadrando per determinare il corretto tempo di posa. Si consideri che le stelle in cielo non ruotano tutte con la stessa velocità lineare (in un dato tempo percorrono lunghezze diverse): la stella Polare rimane fissa (in realtà quasi fissa, dato che non si trova esattamente sul Polo Nord celeste), e man mano che le stelle si trovano più lontano da lei ruotano sempre più velocemente, raggiungendo il massimo lungo l’Equatore celeste. Puntando in quest’ultima direzione, piuttosto che in un’altra, quindi, a parità di tempo, la strisciata risulterà maggiore. Anche il tipo d’obiettivo è importante per determinare i tempi. Una focale lunga produrrà velocemente l’effetto mosso, mentre una corta necessita,

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in casi estremi, anche di diversi minuti. Anche in questo caso è importante l’inquadratura, che potrà essere solo “astronomica”, includendo solo stelle, o “ibrida”, incorporando parte di paesaggio.

• Riducendo opportunamente i tempi, si possono riprendere intere costellazioni, senza però far apparire le strisciate. Sono foto molto belle, se ben eseguite, e di grande soddisfazione per l’astrofotografo alle prime armi, perché talvolta si riescono ad individuare le deboli strutture di qualche galassia, o nebulosa. Oppure la Via Lattea, con le sue zone oscure all’interno. In ogni caso, comunque, si contano in foto tante stelle in più di quelle che si vedono ad occhio nudo. Di seguito è riportata una tabella con i tempi massimi, in base alla focale utilizzata e alla declinazione dell’area inquadrata.

Focale in mm T max a 0° T max a 15° T max a 30° T max a 45° T max a 60°18 30” 32” 35” 43” 61”28 19” 20” 23” 28” 39”35 15” 16” 18” 22” 31”50 11” 12” 13” 16” 22”80 7” 7” 8” 10” 13”135 4” 4” 5” 6” 8”200 3” 3” 4” 5” 6”300 2” 2” 2” 3” 4”

La tabella si riferisce specificatamente alle classiche macchine analogiche, con pellicola 35mm.Lavorando in digitale i valori esatti saranno leggermente diversi.

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Parelio solareKodak DX7630 - 39 mm - f/8 - 1/1000 sec - iso 100

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Fotografia in parallelo

La fotografia in parallelo è forse quella che, tra le tecniche più semplici, da maggiori soddisfazioni. La tecnica è molto semplice: la fotografia si realizza con l’ottica della macchina.Il fotografo deve osservare nell’oculare del telescopio una stella guida usando il massimo ingrandimento possibile. Questa inizia naturalmente a spostarsi, a causa della rotazione terrestre. Quindi bisogna cercare di compensare il movimento e mantenere la stella il più possibile ferma nella sua posizione agendo sulle leve del telescopio. Si muoverà così anche la macchina fotografica che gli è attaccata, e la foto risulterà ferma.Ovviamente più si è precisi nell’inseguimento manuale, migliore risulterà essere la foto, ma non bisogna spaventarsi: una volta presa la mano è piuttosto semplice inseguire e la cosa più importante è che sono ammessi errori abbastanza grossolani (in base all’obiettivo usato: focali corte = ammessi errori maggiori). Il campo inquadrato dall’obiettivo, infatti, è molto maggiore di quello inquadrato dal telescopio, quindi il movimento apparente è molto meno marcato. Minore è il campo, più velocemente gli astri sembrano spostarsi, ed è per questo che è meglio

Il telescopio con la Canon montata nella barra del contrappeso pronta all’uso.Si notino lo scatto remoto autocostruito e il sostegno per la fotocamera, anch’esso autocostruito

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inseguire con ingrandimenti molto alti, così si è molto più precisi!E’ molto utile un oculare con un reticolo illuminato all’interno. Si tratta di un filamento luminoso, inserito dentro l’oculare, che forma una croce. Un ulteriore punto di riferimento nel quale posizionare la stella guida. Non è tuttavia un accessorio indispensabile, soprattutto se la posa non supera i 4-5 minuti.La macchina dovrà, per forza, consentire pose piuttosto lunghe, almeno di trenta secondi, per essere certi di ottenere qualcosa di soddisfacente. Sono quindi consigliate le reflex che, impostando la posa B (bulb), permettono un qualsiasi tempo voluto dal fotografo.Per quanto riguarda gli obiettivi anche qui, come per la tecnica precedente, è bene mantenersi su focali corte e numeri f/ piccoli (obiettivi luminosi). Salendo con la focale si riesce a selezionare una piccola parte di cielo, ma è molto più difficile ottenere immagini ferme.La messa a fuoco è forse la cosa più difficile. Deve essere perfetta per ottenere stelle puntiformi. Se si lavora in digitale, sono utili delle prove da rivedere al momento, e correggere in fase di ripresa gli eventuali errori. Posizionare la ghiera della messa a fuoco su “infinito” non sempre garantisce la massima precisione. Diaframmando di un paio di stop e allungando quindi la profondità di campo, si ha un fuoco sicuramente migliore. Inoltre chiudere il diaframma comporta anche ridurre notevolmente le aberrazioni dell’obiettivo. Indicativamente sono spesso buone, le foto realizzate tra f/4 e f/5.6, anche se richiedono tempi un po’ più lunghi. La procedura da effettuare per poter essere operativi richiede qualche passaggio fondamentale, ma tutto si può dire, tranne che sia complicata.Innanzi tutto occorre precisare che il telescopio dovrà essere equipaggiato di una montatura “equatoriale”, adatta all’inseguimento degli oggetti celesti. Sebbene anche le montature “altazimutali” permettano di farlo, le fotografie con essa effettuate risulteranno affette dalla “rotazione di campo”. (Vediamo in seguito che significa).La prima cosa necessaria è lo “stazionamento” del telescopio. Tecnicamente significa renderlo parallelo con l’asse terrestre, facendo puntare l’asse polare del telescopio verso un polo celeste (ovviamente per noi, si parla di polo Nord), in modo da renderlo effettivamente pronto per l’inseguimento. Le istruzioni per lo stazionamento si trovano solitamente nel manuale allegato allo strumento oppure facilmente, facendo una ricerca sul Web. Dopo le prime volte, lo stazionamento risulterà molto semplice e intuitivo e non richiederà più di una manciata di minuti. E’ importante curare questa prima fase poiché uno stazionamento ben fatto semplifica notevolmente l’inseguimento.

Il passo successivo è collegare la macchina al telescopio. Alcune montature hanno una vite con passo fotografico sulla sommità. In questo caso i due strumenti appaiono perfettamente allineati e paralleli. Quindi ognuno punterà la stessa zona di cielo. Oppure esistono numerosi raccordi, da applicare in diverse parti della montatura, per fissare la macchina in parallelo. Quello proposto è un pezzo da me progettato e fatto realizzare da un fabbro.

Il sostegno in dettaglio.Consente di fissare qualsiasi fotocamera mediante la vite a passo fotografico (di fianco a destra) e di eseguire fotografie in parallelo sfruttando un allinea-mento disassato, utile per essere più precisi nell’inseguimento 35

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Consente anche l’inseguimento “dissasato”, che può essere talvolta vantaggiosa: il telescopio e la macchina puntano zone differenti. Si usa quando si vogliono ottenere inseguimenti particolarmente precisi. In questo caso la macchina si punta verso il soggetto, mentre il telescopio verso una stella guida posta lungo l’Equatore celeste o in prossimità di questo. In quella direzione il moto apparente risulta molto più veloce, quindi si sarà costretti a continue, piccole, precise correzioni.Le foto potrebbero però essere affette dalla “rotazione di campo” se il telescopio non è stato allineato al polo con sufficiente precisione. Essa appare come una sorta di leggero mosso, con le tracce stellari arcuate, con centro nella stella guida, maggiore man mano che da lei ci si allontana, e proporzionale a tempo di posa.

Fatto questo, si puntano gli strumenti. Se l’inseguimento è in asse (perfettamente parallelo), non è detto che nel campo dell’oculare ci sia una stella luminosa adatta per fare da guida. In tal caso basta muoversi in ascensione retta o in declinazione fino a trovarne una. Se ci si muove di poco, l’inquadratura della fotocamera rimarrà praticamente la stessa.

Ora è tutto pronto per scattare. Conviene iniziare a inseguire un po’ prima, così da prendere confidenza con il movimento da fare e conviene anche, se la macchina lo consente, sollevare prima lo specchio, aspettare qualche secondo che finiscano le vibrazioni, e successivamente aprire l’otturatore. Alcuni telescopi, la maggior parte ormai, sono equipaggiati di un motore elettrico sull’asse di ascensione retta (alcuni anche in declinazione) per inseguire in automatico. I motori sono effettivamente molto utili, e fanno gran parte del lavoro, ma l’inseguimento va sempre controllato attraverso l’oculare, anche qui meglio se illuminato. Ogni tanto, a causa di uno stazionamento non perfetto e dell’errore periodico (imperfezioni meccaniche tipiche delle montature, anche delle più costose), la stella guida tende comunque a muoversi. Qui si interviene manualmente, con i movimenti micrometrici, e si riporta la stella alla posizione iniziale. Questa operazione si chiama “posa guidata”, oltre che essere, ovviamente, “inseguita”.La guida è utilissima, e quasi indispensabile (soprattutto nelle foto a piccolo campo dove gli errori di inseguimento sono molto più visibili). E’ possibile anche guidare in automatico, servendosi di una telecamera da inserire nel portaoculari che, collegata ad un computer, collegato a sua volta al telescopio, calcola lo spostamento della stella guida e fornisce i dati necessari per far muovere i motori e riportarla nella giusta posizione. E’ tuttavia un processo un po’ laborioso, e più che altro, necessita di strumenti che non sono in possesso di un neofito che si avvicina per la prima volta all’astrofotografia, per questo non mi soffermo a trattarlo.

La nebulosa Nord America ripresa in parallelo. A sinistra è stato sovrapposto il disegno della nebulosa, da confrontare con la foto originale di destra. 36

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Tecniche a Piccolo campo

Le tecniche a piccolo campo, come si è detto, sono volte a riprendere piccole parte di cielo. I soggetti preferiti sono tutti gli astri del sistema solare (Luna, Sole, pianeti, comete) e i più svariati oggetti di “profondo cielo” (stelle, nebulose, ammassi, galassie). Non tutto questo può essere però fotografato nello stesso modo e con le stesse condizioni esterne: per i soggetti del Sisema Solare anche la città va benissimo, anzi, dato che non si riscontrano particolari differenze nei risultati, rimanere ad esempio nel cortile di casa, o anche in un terrazzo, può talvolta essere molto più comodo. Gli oggetti di profondo cielo, invece, sono bisognosi di lunghe pose che farebbero risaltare il cielo inquinato della città. In questo caso un sito buio è indispensabile. Buoni seeing e trasparenze, e assenza di turbolenza, aiutano in ogni caso.Come già molte volte detto, più il soggetto è luminoso, più semplice sarà eseguire la foto, in quanto occorre esporre per meno tempo. Il sole e la Luna sono quindi i favoriti. Contrariamente a quanto si possa pensare, tra i due, è la Luna l’astro più semplice. Il Sole è talmente luminoso che se osservato attraverso un’ottica (ma anche ad occhio nudo) recherebbe gravi danni ai nostri occhi … e alle ottiche stesse. E’ quindi necessario un filtro (appositamente creato per usi astronomici) per fotografarlo.Per ogni tecnica qui presentata è fondamentale avere un telescopio, meglio se dotato di montatura equatoriale motorizzata, attraverso il quale fotografare. In queste tecniche l’ottica usata è sempre quella del telescopio che potrà essere abbinata o meno ad altre, ad esempio a quella di una macchina digitale.

Metodo Afocale

Il metodo afocale 41

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E’ il metodo più facile per ottenere foto discrete e a buona risoluzione, con diversi dettagli quindi, di Luna, pianeti e, se dotati dell’apposito filtro, anche del Sole. Si tratta di rendere il telescopio operativo per l’osservazione visuale e scattare accostando la macchina fotografica all’oculare. Conviene far pratica sulla Luna, dispensatrice infinita di banchi di prova. La maggior parte di coloro che si sono avvicinati alle riprese in alta risoluzione hanno cominciato con il nostro satellite, data la sua luminosità, il suo generoso diametro e la ricchezza di dettagli e paesaggi mozzafiato di cui è ricca. Inoltre è visibile molto spesso in cielo, anche se in ore e zone diverse, e non ci sono, come invece accade per gli altri soggetti, lunghi momenti dell’anno in cui non si presenta mai sopra l’orizzonte. E ogni giorno è sempre un po’ diversa, riproponendo ciclicamente ogni ventinove giorni l’intera varietà delle sue fasi. Fornisce, quindi, spunti costanti per gli astrofotografi, anche i più esperti.

La procedura è piuttosto semplice e possiamo spiegarla in pochi passaggi.Prima cosa da fare è puntare con il telescopio il soggetto (facciamo l’esempio proprio della Luna), e osservarlo con un oculare. Si possono fare prove con diversi oculari, determinando ingrandimenti tali da far rientrare tutta la Luna nel fotogramma o solo alcuni suoi dettagli. Poi si è quasi pronti per scattare. Paradossalmente con una compatta (meglio digitale) le operazioni risultano più semplici e immediate che con una reflex. Infatti settando la macchina in automatico (ricordandosi però di escludere il flash), rimane una sola operazione prima dello scatto: la messa a fuoco.

Come in ogni tecnica, la messa a fuoco, è molto importante e richiede un po’ di pazienza. In questo caso si deve impostare “infinito” sulla macchina, e focheggiare direttamente dal telescopio, finche attraverso il display l’immagine sembra nitida. Sicuramente si vedrà una vignettatura (calo di luminosità nei bordi della foto) molto marcata, o addirittura intorno

Dettagli lunari ripresi in afocale con una piccola digitale compatta, appoggiandola a mano nell’oculare.f/4,5 - 1/60 sec - iso 100

Stessa tecnica della foto precedente. Si noti la marcata vignettatura attorno il soggetto.f/2,8 - 1/60 sec - iso 100

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al soggetto, la sagoma nera del bordo dell’oculare. Più piccolo è il diametro della lente dell’oculare, maggiore sarà tale difetto. Si può eliminarlo sia in post-produzione, tramite fotoritocco al computer, sia direttamente in fase di ripresa, ma solo se la macchina è dotata di zoom. Prendiamo in considerazione solo uno zoom ottico, escludendo a priori quello digitale, che deteriora incredibilmente l’immagine. Zoomando, quindi, si estende a tutto fotogramma, o a gran parte di esso, l’immagine che ci interessa, evitando di sprecare pixel utili con un fondo completamente nero.

Deciso l’uso o meno dello zoom, tutto è pronto. Tenendo il tutto molto fermo si provare a scattare. La prima cosa da fare è controllare nel display il risultato. E’ questa il grande vantaggio della fotografia digitale, potendo eventualmente correggere al momento eventuali errori. Per vedere meglio se l’immagine è a fuoco è opportuno zoomare il “review” al massimo. Per la Luna non dovrebbero esserci grandi difficoltà, in quanto i suoi dettagli sono molto ben visibili, anche attraverso un piccolo display. Quindi la messa a fuoco, dopo alcuni tentativi, dovrebbe riuscire abbastanza bene. Inoltre è un soggetto luminosissimo per cui la macchina setterà un tempo veloce, indispensabile, date le numerosi vibrazioni che scaturiscono nel tenerla appoggiata a mano all’oculare. Per i pianeti, invece, le cose sono un po’ più complesse, in quanto sono soggetti piuttosto piccoli. Il fotogramma rimane per lo più nero, e la macchina imposta un tempo lungo. Meglio, se possibile, impostare la modalità manuale decidendo i tempi opportuni. Si consideri che non tutti sono fotografabili. Si può tentare con gli unici cinque visibili anche ad occhio nudo, che nell’ordine di luminosità, sono: Venere, Giove, Saturno e Marte (dipende dai periodi quale è il più brillante tra i due), e Mercurio. Di solito sono i primi tre, a dare qualche soddisfazione in più.

Facendo delle prove, si riesce ad identificare il proprio set-up migliore, decidendo, ad esempio, qual è l’oculare migliore o se è opportuno o meno usare lo zoom della macchina. (Personalmente lo sconsiglio dato che a focali spinte, il numero f/ sale, la luminosità cala, e la posa si allunga ulteriormente.) E’ importante anche non esagerare nel voler immagini grandi.La ricerca dell’ingrandimento è una caratteristica tipica dei neofiti, tesi ad ingrandire al massimo i soggetti, sia in visuale che in fotografia. Ma c’è un limite tecnico, consentito in primo luogo dagli strumenti usati e in secondo dalle condizioni del cielo, che va rispettato.

Eclisse parziale di Sole del 29 marzo 2006Kodak DX 7630 - 39 mm - f/2,8 - 1/32 sec - iso 100Telescopio riflettore, Ø 114 mm - lunghezza focale 1000 mmcon filtro solare

Alcuni pianeti ripresi in afocale usando diversi oculari

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Luna in afocale. L’oculare a lunga focale ha permesso la ripresa dell’intera LunaKodak DX 7630 - 39 mm - f/2,8 - 1/45 sec - iso 100Telescopio rifrattore, Ø 70 mm - lunghezza focale 910 mm

E’ meglio una immagine più piccola ma nitida, che una grande ma mossa e priva di dettagli.Anche scattando con una reflex si ottengono risultati positivi. E’ solo un po’ più impegnativa la preparazione prima di arrivare allo scatto. Intanto non è possibile osservare attraverso il display, ma per forza attraverso il mirino. Quindi dobbiamo stare attaccati alla macchina anche con la testa, aumentando le vibrazioni. Anche durante lo scatto, visto che specchio e otturatore si muovono, il mosso è in agguato. Sono fotocamere più ingombranti, e risulta più complesso tenerle con una mano sola, mentre con l’altra si agisce sul focheggiatore del telescopio. E’ comunque tutta questione di pratica. Prendendo dimestichezza con una reflex, che generalmente ha un’ottica e una resa migliori, le foto risulteranno sicuramente meglio riuscite.

Volendo scattare in condizioni di minor precarietà, è possibile acquistare delle staffe appositamente create per sostenere le fotocamere vicino l’oculare. Sono regolabili in più modi, così da adattarle a qualsiasi situazione e apparecchiatura. Se si è provvisti di una spiccata manualità e ingegno, è possibile provare a costruirsi da soli tale accessorio.

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Fotografie al fuoco diretto

La fotografia al fuoco diretto sfrutta appieno il telescopio. Questo diventa infatti l’obiettivo della macchina fotografica. E’ scontato, quindi, che per questa tecnica la macchina deve per forza essere una reflex. Non vanno bene le compatte.

Fotografare in questo modo non è molto semplice se scegliamo soggetti molto deboli che richiedono tempi lunghi, come nebulose o galassie. Il problema è sempre lo stesso: data la focale spinta del telescopio, il campo inquadrato sarà piccolo, e il movimento apparente del soggetto risulterà maggiore. L’inseguimento deve essere perfetto per non evidenziare il mosso.I motori non sempre, anzi quasi mai, sono sufficienti a garantire la precisione necessaria per pose di alcuni minuti. Inoltre non è possibile guidare a mano usando un oculare poiché il focheggiatore è occupato dalla fotocamera. In realtà esistono accessori particolari che permettono sia l’innesto della fotocamera sia di un oculare che inquadra un campo di poco a lato a quello del soggetto; occorre essere abbastanza fortunati di riuscire qui a trovare una stella abbastanza luminosa per la guida. La tecnica prende il nome di “guida fuori asse”.Si può anche fissare un altro telescopio, in parallelo al primo, dove poter inserire un oculare illuminato, o una telecamera per la guida automatica. Ovviamente la montatura deve essere molto robusta, in quanto dovrà sopportare il peso di due telescopi più la macchina fotografica. Il tutto dovrà essere ben bilanciato affinché i motori facciano al meglio il loro lavoro. Si capisce che tale soluzione non è né di semplice realizzazione né economica, pertanto in questa tecnica l’autoguida è quantomai utile.

La fotocamera al fuoco diretto del telescopio.Si inserisce nel portaoculari mediante due raccordi.

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Le cose cambiano se si fotografano gli oggetti del Sistema Solare. Qui bastano pose al massimo di qualche secondo. Inutile dire che la Luna è il miglior soggetto per iniziare.

Tecnicamente servono dei raccordi per collegare la macchina fotografica al telescopio. Sono due: il primo è un anello che va applicato al posto dell’obiettivo della macchina. Si chiama “Anello T2”. Da una parte ha l’innesto per la macchina (le diverse marche, e alcuni modelli, avranno il loro anello dedicato), dall’altra una vite con filettatura adatta a vari

accessori fotografici. In questa estremità andrà avvitata una estremità del secondo adattatore, appositamente creato per l’astrofotografia;l’altra si inserisce al posto dell’oculare del telescopio.

Per mettere a fuoco si agisce sul focheggiatore. Non è semplicissimo trovare il giusto fuoco guardando dentro il mirino della reflex, quindi alcune prove iniziali sono fondamentali. Onde evitare di creare vibrazioni è opportuno utilizzare uno scatto flessibile e anche in questo caso, così come in precedenza, è meglio sollevare anticipatamente lo specchio della reflex.

Saturno al fuoco diretto di un grande telescopio(Ø 40 cm, f/8)

Occultazione di Saturno (in basso a destra; si vede metà pianeta. L’altra metà è nascosta dietro la Luna) del 22/05/2007Canon 350D al fuoco diretto di un rifrattore 70/700. Posa di 1/10 sec a 800 iso 46

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Nebulosa di Orione (M42), parte centrale.Canon 350D al fuoco diretto di un Ritchey Chrétien di 400 mm e 3200 di focale.Media di 4 pose da 311 sec (iso 400), 289 sec (iso 800), 60 sec (iso 200), 74 sec (iso 200) 47

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strisciata dell’eclisse da aprire

Fasi dell’eclisse totale di Luna del 3/03/2007.Canon 350D al fuoco del rifrattore 70/700

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Proiezione da oculare, da Barlow e da riduttore di focale

Per queste tecniche il set-up è simile alla tecnica precedente. Qui, in più, si posiziona un oculare o una lente di barlow (che aumenta la focale del telescopio) tra il telescopio e la macchina. Solitamente i raccordi hanno una filettatura interna adatta all’innesto degli oculari, mentre la lente si posiziona direttamente nel portaoculari e poi, di seguito, il raccordo con la reflex. Il risultato sarà quello di avere una immagine più ingrandita del soggetto inquadrato, aumentando come sempre in questi casi, le difficoltà per ottenere una buona foto.Oppure si applica un riduttore di focale, che invece serve per diminuire la focale dello strumento e aumentare la luminosità e il campo inquadrato.

LunaCanon 350D al fuoco del piccolo rifrattore 70/7001/80 sec - iso 100

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Webcam

Recentemente sono di grandissimo utilizzo le webcam, le piccole telecamere che si collegano al computer nate perlopiù per effettuare videoconferenze o simili. Sono utilissime anche in campo astronomico e permettono di ottenere risultati di gran lunga migliori che ne usando una macchina fotografica.Il campo d’azione utile delle webcam si riduce alla fotografia degli oggetti del Sistema Solare: Sole, Luna e pianeti.Il concetto è abbastanza semplice: si sfrutta la possibilità della telecamera di eseguire filmati. Questi sono fondamentalmente una serie di fotografie (fotogrammi) scattate in rapidissima successione, con tempi piuttosto brevi, che vanno bene quindi per gli oggetti brillanti. Di solito, la maggior parte delle camere, permettono di arrivare fino un massimo di 30 fotogrammi al secondo (30 fps). In seguito, con appositi software (alcuni fortunatamente gratuiti) si elabora il filmato usando i fotogrammi migliori. Tecnicamente significa prendere tutti i fotogrammi scelti, sovrapporli perfettamente e fare una media matematica delle loro luminosità, in modo da ottenerne uno unico, finale, che sia esente da numerosi errori.Ad esempio, mediando molti scatti, si migliora il rapporto s/n (signal/noise = segnale/rumore), dove per segnale si intende sostanzialmente l’immagine del soggetto, che è più o meno la stessa in ogni fotogramma, e per rumore il rumore di fondo dei sensori, che è casuale, andandosi ad

Il set-up pronto all’uso per fare fotografie con la webcam (inserita nel focheggiatore del telescopio) e il pc dal quale controllare le riprese e i parametri

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“appiattire” dopo molti fotogrammi mediati. Anche l’effetto turbolento delle immagini distorte tende ad annullarsi con l’aumentare dei fotogrammi mediati. La procedura, che sembra complessa, viene in realtà completamente eseguita in qualche minuto dai software dedicati. Infine, tramite un qualsiasi programma di elaborazione digitale, si applicano le ultime correzioni.

Quasi ogni webcam dovrebbe essere adatta.Per esserlo deve rispettare alcune caratteristiche fondamentali:

• l’obiettivo deve essere removibile. Solitamente, dopo aver tolto le coperture esterne, l’obiettivo si può svitare ed estrarre completamente, lasciando “scoperto” il piccolo sensore;

• La risoluzione reale (numero di pixel del sensore) deve essere almeno 640x840 permettendoci di ottenere immagini sufficientemente grandi e dettagliate;

• Il software che gestisce la webcam deve permettere la regolazione manuale di alcuni parametri fondamentali: esposizione e guadagno primi fra tutti, che opportunamente modificati servono per determinare la giusta luminosità del soggetto, prima di iniziare l’acquisizione. Questo punto può essere garantito da altri software gratuiti dedicati;

• E’ indispensabile un computer portatile, al quale collegare la webcam. Il computer e il telescopio dovrebbero vicini, in modo da vedere in tempo reale l’immagine fornita dalla camera, regolarla, e correggere gli eventuali errori;

Le webcam si possono usare al fuoco diretto, ovvero si svita il piccolo obiettivo, e la si fissa, tramite un raccordo (spesso autocostruito) al portaoculari del telescopio, oppure, come nel precedente caso delle reflex, con oculari e lenti di Barlow, per aumentare l’ingrandimento (molto utile nei pianeti, dove si cerca il massimo ingrandimento utile).Il consiglio è comunque di far pratica senza questi accessori.

Da questa angolazione si nota il sensore di piccolissime dimensioni

La webcam da me utilizzata sprovvista del suo obiettivo e con l’adattatore inserito

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Le fasi per procedere alla realizzazione di una fotografia sono le seguenti:

• una volta scelto il soggetto (consiglio sempre la Luna – specialmente con le webcam - per fare esperienza) vi si punta il telescopio e si inserisce la webcam, già collegata al computer, nel portaoculari. Il raccordo può essere facilmente realizzato con un contenitore di pellicole fotografiche. Sono cilindretti di plastica che si prestano perfettamente in quanto hanno un diametro di circa 32 mm, esattamente come la maggior parte dei portaoculari. Eliminato il fondo, si fissa saldamente una estremità del raccordo (di solito la più grande, dove si incastrava il tappo) alla webcam sprovvista di obiettivo, cercando di mantenere l’asse del raccordo perpendicolare al sensore. E’ importante essere precisi: viste le ridotte dimensioni del sensore, è difficile inquadrare i pianeti se la camera non è perfettamente allineata al telescopio;

• Quando nel monitor del computer si vede la superficie lunare occorre regolare la messa a fuoco, tramite il focheggiatore del telescopio, e trovare la giusta combinazione tra esposizione e guadagno fino a vedere bene tutte le parti e i dettagli, senza saturare alcuna parte dell’immagine;

• A questo punto è possibile iniziare ad acquisire il filmato. Dovrà essere acquisito alla massima risoluzione possibile (consigliata 640 x 480, o più). Se il telescopio è sprovvisto di motori, si vedrà l’immagine del soggetto attraversare molto velocemente il fotogramma, fino a scomparire. In questo caso consiglio di far partire e fermare il video quando il soggetto è interamente visibile. Conviene impostare il massimo numero di frame per secondo. Avremo così un filmato di non moltissimi fotogrammi, ma in ognuno di essi il soggetto è presente totalmente. In fase di elaborazione quindi, il programma allineerà tutti i fotogrammi per poi prendere i migliori. Conviene ripetere più volte questa operazione, salvando sull’hard disk numerosi filmati, da elaborare separatamente, avendo più possibilità di ottenere una valida immagina finale.

Il pianeta Giove, ripreso con la webcam al fuoco diretto di un piccolo rifrattre 70/910.Media di circa 50 fotogrammi

Per questa foto ho utilizzato un telescopio da Ø 250 mm a f/10.Media di quattro fotografie ottenute da altrettanti filmati diversi.I due satelliti sono Ganimede e Io

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Congiunzione Venere-Saturno.E’ stata prima eseguita una foto in afocale, per stabilire le posizioni dei pianeti all’interno del campo dell’oculare, poi tramite un fotomontaggio sono stati applicati nei punti corretti i due pianeti elaborati singolarmente da alcuni filmati

Dettagli lunari.Mosaico di due foto ottenute tramite webcam.Telescopio da 2500 mm di focale

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Altri esempi di dettagli lunari ottenuti con il riflettore 114/1000.Dove si vede molto rumore di fondo, sono stati mediati pochi fotogrammi

Mosaico dell’intera superficie lunare pochi istanti prima che occultasse Saturno

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Mosaico lunare composto da venti diverse fotografie, ognuna ottenuta da un filmato

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Elaborazioni

Elaborare una fotografia significa sottoporla a dei trattamenti che permettono di renderla migliore.Tali trattamenti vengono eseguiti tramite software dedicati all’elaborazione di immagini digitali o più in particolare alle immagini astronomiche. Alcuni sono a pagamento altri invece sono gratuitamente rapibili tramite la rete. In ogni caso, i parametri su cui intervenire per apportare le giuste modifiche, sono i principali, che dovrebbero pertanto essere riportati su ogni software, anche gratuito, dedicato all’”imaging”.Segnalo e raccomando due programmi freeware (gratuiti) molto utili all’astrofotografo. Sono di facile utilizzo, ed essendo concepiti appositamente per l’astronomia, prevedono dei passaggi completamente automatici aiutando chi è alle prime armi, permettendo comunque di ottenere ottimi risultati. Il primo è “Deep Sky Stacker”, utile nelle riprese a grande campo, e degli oggetti deboli. Il secondo è “Registax”, che permette di elaborare i filmati delle webcam, ed è pertanto indispensabile per le foto del Sistema Solare.

In questo capitolo vengono prese in considerazione le fotografie realizzate con un supporto elettronico, vale a dire una macchina digitale o un sensore ccd dedicato all’astronomia.Nel nostro specifico caso, migliorare una fotografia astronomica, significa in genere cercare di eseguire due operazioni fondamentali:

• eliminare, o quantomeno ridurre, i difetti dell’immagine;

• estrapolare più informazioni possibili dal soggetto che si è ripreso senza alterare la veridicità della foto stessa.

Per quanto riguarda il primo punto occorre intanto descrivere brevemente i difetti più comuni ai quali sono affette le fotografie astronomiche.

• In primo luogo, come già più volte ripetuto, il rumore di fondo determinato dal sensore è forse il più fastidioso.

• Il cielo molto chiaro, magari dovuto all’inquinamento luminoso, può andare a nascondere parti del soggetto, soprattutto se è debole e non ben definito, come una nebulosa, ad esempio.

• Così come escono dalla macchina, le foto spesso appaiono un po’ basse nei toni e nei contrasti, e il soggetto tende un po’ ad impastarsi con lo sfondo.

Per il secondo punto bastano alcune precisazioni: spesso si cerca, con l’elaborazione, di fare dei piccoli miracoli, e di ottenere belle foto anche se in partenza, gli scatti sono pessimi.E’ bene tenere a mente, che la fase più importante è la ripresa sul campo. Una buona immagine di partenza si presta meglio ad essere elaborata, ed è una sicura base per arrivare ad avere ottime fotografie finali. Bisogna fare attenzione a non elaborare troppo le immagini, andando a creare artefatti, cioè dettagli che in realtà non fanno parte del soggetto ma si sono resi appunto visibili

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dopo un’elaborazione troppo forzata. Questo è l’errore in cui spesso cadono i neofiti, abbagliati dalle meravigliose fotografie degli astroimagers esperti, e vogliosi di imitare i loro risultati.

Le operazioni viste sopra sono tipiche di tutte le foto, ma per effettuarle si usano tecniche diverse a seconda se le riprese sono state ottenute con una webcam (per il Sistema Solare), disponendo quindi di un filmato, o con una macchina fotografica (per gli altri soggetti), ottenendo singoli scatti.

Fotografie del Sistema Solare

In questo caso tutto il lavoro necessario per l’elaborazione viene svolto dal software. Come già scritto in precedenza, Registax fa al caso nostro, essendo un programma gratuito, e di facile utilizzo.Propongo una prima serie di passaggi da effettuare per trasformare il filmato in una fotografia. Sono i più semplici, indispensabili almeno all’inizio, quando ancora non si è pratici. In rete si trovano comunque guide più complete, che aiutano nelle operazioni più evolute.

• Una volta aperto il programma, importare il filmato tramite il comando “select” in alto a sinistra;

• A questo punto occorre selezionare il fotogramma migliore, in modo da farlo comparare con gli altri e determinare tra tutti, quali sono da scartare e quali da tenere per la media finale. Si fa scorrendo a mano la lista dei fotogrammi, visualizzando la cartella “framelist”, in basso a destra. Trovato il migliore, si clicca in un dettaglio del soggetto, che sarà il riferimento usato dal programma per allineare tutti gli altri. Cliccare in seguito su “Align”. Il programma provvede all’allineamento di tutti i frames.

• Il tasto “limit” elimina i fotogrammi non buoni, in base a quanto sono differenti dal primo selezionato. Tale differenza la possiamo stabilire impostando la percentuale che troviamo in alto, nella sezione “quality estimete”. Indicativamente conviene non scendere sotto al 70%.

• Con “Optimize and Stack” il programma elabora tutti i fotogrammi scelti, creandone uno finale. Passando infine alla scheda “Wavelet”, si possono apportare notevoli migliorie spostando i vari cursori posti in basso a sinistra. Il contrasto dell’immagine, e i dettagli superficiali miglioreranno sensibilmente in quest’ultima fase. Attenzione a non tirare troppo l’elaborazione, altrimenti è qui che inizieranno ad essere visibili gli artefatti di cui sopra ho parlato.

• Infine si salva l’immagine, meglio in formato Tiff, per evitare che una compressione esagerata vada a deturpare la fotografia.

Differenze tra i fotogrammi singoli (sinistra) e l’elaborazione di quelli scelti e mediati con Registax (destra) delle foto di Giove già viste in precedenza

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Fotografie a grande campo e di oggetti deboli

Per ridurre il rumore di fondo esistono parecchie tecniche.Alcuni programmi offrono dei filtri appositi, ma non sono mai precisi come dovrebbero e andrebbero evitati.Il modo migliore per abbassare il noise, è probabilmente fare la media di molte pose. In fase di ripresa, conviene quindi scattare molte foto al soggetto, e mediarle successivamente.Il concetto è semplice: ogni foto avrà un rumore diverso dalle altre (dato che perlopiù esso è casuale, i pixel “rumorosi” saranno diversi in ogni foto). Mediando più scatti, cioè facendo la media matematica delle varie luminosità, riusciremo a livellare questi picchi isolati, e rendere abbastanza uniforme il fondo cielo. Più scatti si fanno, migliore sarà il risultato finale.Già questa media, potrebbe bastare per ottenere ottime foto. In più, oltre ad avere la componente casuale, il noise ha un valore fisso, tipico per ogni singolo pixel. Come dire cioè che ogni pixel ha il suo rumore costante, che si ripropone in ogni scatto, da sommare ogni volta al valore dettato dal caso. Sapendo i singoli valori costanti, possiamo andarli ad eliminare completamente con una sorta di “operazione inversa”: occorre ottenere una foto completamente nera (dark frame) in cui siano presenti solamente tali punti che poi si andranno a sottrarre dalla foto vera e propria. Anche in questo caso è opportuno ottenere una media dei dark (master dark) da sottrarre ad ogni singola posa.Quindi, riassumendo, le operazioni sono le seguenti:

• In fase di ripresa fare numerosi scatti allo stesso soggetto (light frame). E’ bene, se la macchina digitale lo consente, riprendere in modalità RAW, in modo da avere memorizzate nel file molte più informazioni che nel formato JPG.

• Sempre in fase di ripresa, fare i dark frame. Essi sono sostanzialmente delle foto identiche a quelle del soggetto, ma con il tappo sull’obiettivo. Devono avere gli stessi parametri dei light frame: tempo, iso, temperatura esterna, ecc. Procedere sempre in RAW.

• Tramite Deep Sky Stacker, ad esempio, ottenere la media dei dark e la sua sottrazione per ogni posa light. Mediare infine tutte le pose risultanti. Sembra questa un’operazione complessa. In realtà fa tutto il software automaticamente. Dobbiamo solo dirgli quali sono i dark, quali i light, e lui ci restituisce l’immagine finale.

A questo punto, possiamo intervenire sui parametri tipo “luminosità/contrasto”, “curve” e “livelli” per tentare di scurire il fondo cielo, rendere più visibili le stelle e soprattutto enfatizzare la presenza e la struttura dei soggetti deboli, contrastandoli contro il cielo.Con un po’ di pazienza si troveranno le combinazioni migliori e i giusti valori di queste importanti regolazioni.

Differenze tra la singola posa (sinistra) e la media di sette diverse pose (destra).Si vede la drastica riduzione del rumore di fondo

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Due versioni della stessa fotografia (M31):Canon 350D - 112 mm - 76 sec - f/6,3 - iso 1600.

- in alto non è stata eseguita alcuna elaborazione. Così è come si presenta la foto appena scaricata dalla memory card della fotocamera- in basso la foto è stata elaborata tramite i comandi “livelli” e “luminosità/contrasto”. Oltre alla galassia emerge molto rumore di fondo

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Conclusioni

Queste pagine scritte da un astrofotografo che è quasi alle prime armi, devono semplicemente essere d’aiuto a chi inizia a muoversi in questo affascinante mondo.Non vogliono nel modo più assoluto essere considerate una guida completa ed esaustiva sulla fotografia astronomica. In esse sono comunque riportati i temi e i concetti fondamentali di questa impegnativa e bellissima disciplina al fine di poterla affrontare con la giusta consapevolezza.L’obiettivo era quello di esporre le principali tecniche in modo sufficiente per iniziare a provare, a divertirsi, ad appassionarsi, a fotografare…

Prendendo queste pagine come spunto, l’astrofilo non deve perciò fermarsi e credere di essere arrivato, anzi, tutt’altro; armato dalla smodata passione per il cielo stellato dovrà essere pronto a passare intere serate senza che possa uscire una foto decente; a spendere un po’ di risparmi per la strumentazione più appropriata; a confrontarsi con persone più esperte di lui chiedendo lumi; a gioire quando finalmente i risultati lo permettono.

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Siti Internet

Astronomia generale:

www.nasa.govwww.esa.itwww.astronomia.com

Pagine personali di Astrofili

www.danilopivato.comhttp://marcobracale.altervista.orghttp://digilander.libero.it/skyimageshttp://xoomer.alice.it/astrosergiohttp://astrotillo.altervista.orgwww.danielegasparri.comwww.renzodelrosso.comwww.astropix.itwww.ar-dec.net

Siti internet dei software

Registax:http://www.astronomie.be/registax/index.html

Deep Sky Stacker:http://deepskystacker.free.fr/english/index.html

nota: alcune informazioni inserite nel capitolo “La fotografia astronomica come ricerca scientifica” sono state reperite dai portali “www.wikipedia.it” e “http://it.encarta.msn.com/”

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Ringraziamenti

Desidero infine ringraziare vivamente tutti coloro che hanno partecipato attivamente alla mia vita accademica durante questi quattro anni, e in particolare:

• Francesco Calcagnini e Christian Cassar, per la passione costante dimostrata in questi anni di insegnamento;

• Massimo Tosello, per l’assoluta disponibilità, pazienza e dedizione mostrata nei miei confronti durante gli ultimi due anni e in questo periodo di compilazione della tesi, nonché per gli insegnamenti sulla Tecnica e Storia della Fotografia;

• Cecilia Marino, da molti anni carissima amica e compagna di studi;

• Tutti i compagni del corso di Scenografia;

e soprattutto ringrazio chi ha svolto un ruolo fondamentale per la stesura di questa tesi, e in particolare:

• Massimo Tosello, docente relatore;

• Ivaldo Cervini, esperto astrofotografo, per il preziosissimo contributo dato, leggendo e correggendo più volte, queste pagine;

• Michelangelo Rocchetti, Eugenio Bertozzi e Giovanni Coltro, colleghi di lavoro, per aver messo a mia disposizione il loro tempo e le loro competenze;

• La mia famiglia e Alice, per il sostegno, la comprensione e la pazienza;

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