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1 Foto 01 introduzione Foto 2 esposizione contesti ed eventi salienti 2 Guerra mondiale Marcello La guerra civile spagnola (1936-1939) può essere considerata un Foto 3 banco di prova per la 2 a Guerra Mondiale. Nei due schieramenti che si combatterono con asprezza c’erano anche dei moriani. A fianco dei Franchisti figurava, tra gli altri, Foto 4 Bruno Grisi, che divenne maggiore della Milizia e fu fucilato nel milanese dai partigiani nel maggio 1945. Gigi Nelle brigate internazionali in difesa della Repubblica, combattè, come comandante di batteria, Giacomo Caneppele, e Silvio Bianchi, il quale, secondo le testimonianze, può essere considerato il simbolo della Mori della Liberazione. L’Italia entra in guerra con l’attacco alla Francia, il 10 giugno 1940. Remigio Ferrari. Foto 5 Ricordo il famoso discorso del duce, che, dal balcone di palazzo Venezia, , arringando la folla, chiedeva a gran voce “Volete la guerra?” e tutti in coro rispondevamo “Vogliamo la guerra!!!”. Purtroppo non ci accorgevamo del baratro in cui ci stavano trascinando”. Giacomo Caliari

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Foto 01 introduzione

Foto 2 esposizione contesti ed eventi salienti 2 Guerra

mondiale

Marcello

La guerra civile spagnola (1936-1939) può essere considerata

un Foto 3 banco di prova per la 2a Guerra Mondiale.

Nei due schieramenti che si combatterono con asprezza c’erano

anche dei moriani. A fianco dei Franchisti figurava, tra gli altri, Foto

4 Bruno Grisi, che divenne maggiore della Milizia e fu fucilato nel

milanese dai partigiani nel maggio 1945.

Gigi Nelle brigate internazionali in difesa della Repubblica,

combattè, come comandante di batteria, Giacomo Caneppele, e

Silvio Bianchi, il quale, secondo le testimonianze, può essere

considerato il simbolo della Mori della Liberazione.

“L’Italia entra in guerra con l’attacco alla Francia, il 10

giugno 1940.

Remigio Ferrari.

Foto 5

“Ricordo il famoso discorso del duce, che, dal balcone di palazzo

Venezia, , arringando la folla, chiedeva a gran voce “Volete la

guerra?” e tutti in coro rispondevamo “Vogliamo la guerra!!!”.

Purtroppo non ci accorgevamo del baratro in cui ci stavano

trascinando”.

Giacomo Caliari

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Foto 6

“………………….causa una punizione per indisciplina devo

raggiungere il mio Battaglione Val Fassa, a Giaveno (To), dove

ritrovo gli amici moriani Vasco Cescatti, Romolo Caliari, Francesco

Turella, Bruno Meneghelli, Bernardo Benedetti.

Il 10 giugno, il battaglione viene spostato in fondo alla Valle

Stretta.

Il 21 giugno saliamo in quota, a circa 2900 metri; sotto una

fitta nevicata attacchiamo le postazioni francesi in valle Seresien. In

fondo alla valle c’è un fortino da cui ci vengono lanciate gragnuole

di bombe a grappolo. Per fortuna molte cadendo nella neve e non

scoppiano. Sosteniamo cinque giorni di combattimento in cui

rimangono uccisi cinque nostri compagni.

Foto 7.. Poi ci trasferiamo a Salice d’Ulzio, dove costruiamo la

chiesetta di Ciao Pais…

Nello spolpare un pezzo di carne congelata mi taglio il tendine

del pollice. Un colpo di “fortuna” perché evito così di essere

mandato su un nuovo fronte. Durante la convalescenza, a Marco,

vedo la tradotta del mio battaglione che torna dalla Francia e che,

di lì a pochi giorni, partirà per la guerra di Grecia”.

Vittorio Angeli “……L’attacco alla Francia si risolve in pochi

giorni …. vengono richiamate le classi dal 1913 al 1916. Arrivano

alla mia compagnia Bernardo Benedetti, Ismaele Bertolini, Carlo

Modena, Fabio Poli (tutti del ‘15)…”

Marcello

Foto 8A L’aggressione alla Grecia .

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Voluta da Mussolini perché, dopo l’attacco alla Francia, ormai

conquistata dai Tedeschi e la guerra in Nord Africa che si sta

rivelando un fallimento, ha bisogno di un successo militare per

recuperare il consenso degli Italiani nel regime.

Foto 8 B Bernardo Tranquillini.

“…Nel settembre 1940 veniamo imbarcati per l’Albania;

durante tutta la traversata siamo presi dall’angoscia di venire

affondati dagli inglesi.

Combattiamo sul fronte greco-albanese, ma durante l’inverno

veniamo respinti fin quasi al mare. Ricordo i tanti morti per colpi dei

mortai e a causa del tifo petecchiale, i patimenti per il freddo, le

trincee allagate dalla pioggia e la mancanza dei rifornimenti.

Non posso scordare i lamenti dei feriti, il pietoso recupero delle

salme, della piastrina di riconoscimento; la tristezza delle frettolose

sepolture.” …..

FOTO 9 Augusto Dalus. Il sommergibilista redivivo.

.

“ Il mio sogno è sempre stato quello di fare il sommergibilista….

All’imbrunire del 27 giugno 1940, di fronte all’isola di Creta, i

cacciatorpedinieri inglesi ci intercettano e, dopo un’ impari lotta,

hanno il sopravvento. Il comandante L.Bezzi dà l’ordine di

abbandonare il sommergibile, mentre lui si autoaffonda col suo

mezzo, per non consegnarlo al nemico.

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Fatto prigioniero, dopo molte peripezie, vengo portato in India,

nel campo di Bophal.

Nel frattempo, poiché tutti mi davano per morto, monsignor

Viesi celebra un solenne ufficio funebre alla memoria del primo

caduto della borgata nell’odierna guerra, Foto 10 l’eroico

sommergibilista Augusto Dalus”.

Finita finalmente la prigionia, sbarco a Napoli il 29 giugno 1946,

dopo sei anni dal naufragio”

Di un altro marinaio, Quinto Cescatti, si avrà notizia della sua

morte dopo 3 anni dall’affondamento del suo cacciatorpediniere.

Per la sua famiglia la storia è stata matrigna; anche suo zio

Quinto morì nel mar Nero durante la 1^ Guerra Mondiale,

imbarcato con la marina imperiale Asburgica”.

Gigi

Fronte del Nord Africa. FOTO 11

Nell’estate del 1940 Hitler non riesce ad invadere la Gran

Bretagna e coglie quindi il momento di difficoltà degli Italiani nel

Nord Africa per intervenire al loro fianco,nel febbraio 1942, nel

tentativo di riconquistare i territori occupati dagli inglesi e giungere

al canale di Suez. Ma le truppe dell’Asse verrano sconfitte.

Felice Manzinello foto 12

“ marzo 1941: se non è destino questo! per essermi

presentato al comando con un anticipo di cinque minuti , ho la

fortuna di evitare di seguire la sorte dei miei compagni, aggregati

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alla Divisione Acqui, molti dei quali verranno fucilati dai tedeschi a

Cefalonia.

Io, invece, vengo mandato in Libia, catturato a Tobruk dagli

Inglesi e condotto in un campo ai piedi dell’Himalaya, dove rimango

per quattro anni, assieme a 10.000 ufficiali.

Dapprima si sprofonda nell’inedia, ma poi, grazie ai libri che

arrivano da casa, si può almeno tenere occupata la mente…..

imparo il tedesco, il francese e l’inglese. Tengo dei corsi per i

soldati analfabeti, faccio escursioni e raggiungo la vetta più alta del

Dhaula Dhar a 5230 metri.

Al momento del rientro, nel 1946, non mi rendevo conto del

tempo che era trascorso; per cinque anni era stato un numero,

l’118041. Nemmeno al momento dello sbarco a Napoli quando sul

molo migliaia di persone in ansia si sbracciavano per noi”.

Marcello

Fronte russo Foto 13 Per ricordare i 104.000 soldati italiani che

non ritornarono da quella nefasta avventura, Marta Turella recita

questa poesia che ha posto sulla lapide di papà Giuseppe, nel

cimitero di Mori.

ALPINI ‘N RUSSIA 1943

“Ma ‘n do né soldài da ste bande?

En do né cari fioi sbandài,

pòri alpini famài,

senza màie che vé tègna via ‘l frèt,

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co le scarpe che vègn drènto la nef?

Volé polsàr en pezòt,

Sugàrve le ròbe,

E scaldàrve ‘n momènt?

Anca mì,g’ò ‘n fiol via lontàm

che aspèto de nòt e de dì!

La diseva pianzèndo na mama,

‘n ten parlàr che pochi i capìss.

Ma èlo na dona

o n’anzol vegnù zo dal ziel?

Anca noi ghèm lontana na mama

i diseva i alpini sfinii.

Anca noi ghèm na casa lontam

e la sposa coì pòpi che aspèta!

En le nòt, d vènt e de nèf,

per na stèpa che mài no finiva,

‘n ògni ombra i vedeva so casa,

ma quel sògn tut de còlp el spariva.

Ogni tànt, se fermeva n’alpim

en quel posto i ‘npianteva na cròss

e lontàm - lo speteva na mama

quel so fiol fermà lì dal destim!”

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FOTO 15 Remigio Ferrari

“……Ricordo le notizie sull’andamento della guerra contro l’Etiopia

del 35-36, tra cui c’erano tre giovani di Besagno (Virginio Girardelli,

Angelo Giuliani e Clesio Bona).

Vedo partire per la Russia i miei cugini Elio e Antonio Girardelli ,

Virgilio Bona, Lodovico Bona, Giuseppe Faccioli, Mario Pizzini, Mario

Giuliani.

Elio,dopo aver salutato suo padre, si appoggia al muro e piange

a dirotto. Di tutti questi tornano solo in due”

“Di fronte a tutto quello che stà accadendo, pur essendo ancora

giovane e convinto fascista, mi rendo conto che tutto quello che mi

avevano insegnato si stava rivelando un grande bluff".

Giuseppe Turella FOTO 15

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“….dopo aver combattuto sul fronte francese e greco-

albanese,vengo mandato in Russia con la Divisione Tridentina e

partecipo alla battaglia di Nikolajevka, in cui c’era anche Elio

Girardelli di Besagno, che rimase ucciso da una granata”.

“ In Russia gli italiani erano ben accetti dai pochi abitanti dei

villaggi (per lo più donne vecchi e bambini) e riuscivano sempre a

barattare qualcosa da mangiare. La temperatura scendeva anche a

-41°gradi”

. Durante la ritirata mi si congelano i piedi ed a Varsavia mi viene

amputato il piede sinistro e le prime falangi del destro“E son sta

fortunà”, perché ho evitato i terribili campi di prigionia russi.”

Remo Pizzini. FOTO 16

“Nell’agosto ’42, per arginare la potente offensiva russa, gli

Alpini, diretti verso il Caucaso, vengono dirottati invece sul Don.

Nella steppa incontro Celso Dall’Alda, Renzo Nicolussi, poi

disperso, Giovanni Calliari, Bernardo Benedetti.

L’11 dicembre del ‘42 inizia la seconda grande controffensiva

russa.

Due mie compagni, assillati dal pensiero dei loro figli piccoli

lontani, non ce la fanno più, impazziscono, si mettono a correre e

vanno a morire nella steppa gelata.

Veniamo accerchiati e si crea una confusione tremenda con

migliaia e migliaia di sbandati.

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Decido di saltare su un camion; l’autista è ubriaco e, nella più

totale incoscienza, ci porta verso i campi minati. Una mina

distrugge la parte posteriore del camion, ma, in qualche modo, con

la forza della disperazione, riusciamo ad arrivare vicino a

Nikolajewka, dove incrociamo la fiumana di soldati che avevano

sfondato il giorno precedente.

Quando arrivo ad Osoppo, eravamo in 27 su 247!

Adriano Bettini si era fatto promotore, a Tierno, della raccolta di

lana per i soldati in Russia quando, con rabbia, scopro che i

magazzini di Castelnuovo Veronese erano pieni di vestiario ed

equipaggiamento invernale sufficiente per vestire 200.000 uomini”

Marcello

Nikolajewka. Foto 17 A

Bernardo Benedetti, alpino della Julia, degradato da caporal

maggiore la mattina della partenza per la Russia per essere

rientrato tardi in caserma.Si era fermato a ballare a Borgo sacco,

pensando che non sarebbe più tornato.

Foto 17 B “E’ il pomeriggio del 26 gennaio del ’43. Immersi nelle ombre lunghe dell’inverno russo…. migliaia di soldati dell’Asse sono in ritirata...…la Julia è distrutta… Dietro al tomo ferroviario di Nikolajewka l’Armata Rossa ci sta aspettando. Questa fiumana umana sa che, se non

riesce a passare oltre, sarà la fine.

C’è però la Tridentina ,ancora in perfetta efficienza. Il Gen.Reverberi dà l’ordine….“Tridentina avanti!!!” Un potente urlo si alza e gli alpini vanno all’attacco, affiancati da tutti noi sbandati. Assistiamo impotenti di fronte all’estremo combattimento che i compagni della Tridentina fanno per tutti noi. Con il supporto di alcuni lanciarazzi tedeschi e con la forza della disperazione, convinti che al di

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là c’è la salvezza, riescono a sfondare e in migliaia

possiamo far ritorno a casa……”.

Dalla canzone “L’ultima notte” di Bepi De Marzi , suonata da

Angelo Franchini.

"Mormorando, stremata, centomila voci stanche,

di un coro che si perde fino al cielo

avanzava in lunga fila

la marcia dei fantasmi in grigio verde

Non è il sole che illumina gli stanchi

Gigli di neve sulla terra rossa.

Gli alpini vanno come angeli bianchi

E ad ogni passo coprono una fossa."

“Le ultime lettere di chi non è più tornato.

FOTO 18 Enrico Grigolli e Giuseppe Caproni.

L’ultima cartolina che Beppi manda alla mamma Giuseppina

Caproni, è datata 24 ottobre 1942.

Enrico Grigolli, che morirà di lì a poco, scrive alla mamma di

Giuseppe: “Era diverso tempo che con Giuseppe non ci vedevamo,

oggi finalmente ci siamo ritrovati, stiamo bene ambedue e speriamo

in una vita diversa. Foto 19 Saluti distinti Grigolli Enrico”.

Sua madre, come tante altre mamme, non abbandonò mai la

speranza di vederlo un giorno tornare. Per questo tenne per molto

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tempo in perfetto ordine la sua camera, come se Enrico dovesse

comparire da un momento all’altro.

Foto 20 Beppi scrive : “Cara mamma, io sto sempre bene

come spero di voi tutti. Come ti avevo detto ho fatto san Martino, ci

siamo trasferiti dall’accampamento, ma ora sono a posto

definitivamente e aspetto l’inverno con poca paura perché siamo

nelle case. Oggi, dopo molto tempo ho visto Enrico Grigolli, sta

bene anche lui. Ti scrivo da una casa di russi perché fuori fa freddo.

Per via del pacco solo sigarette e vino e poco altro. E’ finita l’

“America” delle galline ma è incominciata quella del miele. Termino

salutandoti caramente. Tuo figlio Beppi.”

FOTO 21

Gigi

25 luglio 1943, la caduta di Mussolini. L’8 settembre 1943,

l’armistizio con gli Anglo-Americani.

La caduta di Mussolini ed il suo arresto avviene a seguito

dell’approvazione dell’odg Grandi da parte del Gran consiglio del

Fascismo, all’alba del 25 luglio 1943 (19 favorevoli, otto contrari, 1

astenuto).

FOTO 21 B

Questa storica decisione fu preceduta dallo sbarco degli Alleati

in Sicilia il 10 luglio 1943 e dal primo bombardamento di Roma del

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18, da parte degli Americani, che causò più di tremila morti e

migliaia di feriti.

FOTO 22

L'8 settembre Badoglio annuncia l’armistizio. I Tedeschi

reagiscono con estrema durezza attuando l'Operazione Achse

("asse"), Foto 23 ovvero l'occupazione militare dell’Italia.

“Cefalonia, Corfù, Zante”.

FOTO 24 Mario Martinelli

“Vengo trasferito a Cefalonia l’8 maggio 1943 con la Divisione

Acqui.

Dopo l’8 settembre giungono ordini contradditori. Il 14

settembre, con un referendum voluto dal comandante, generale

Gandin, si decide di non arrendersi ai tedeschi e di combattere.

In un primo momento riusciamo a reggere ma poi veniamo

sopraffatti. Chi viene catturato viene immediatamente fucilato.

Cerchiamo disperatamente di salvarci la vita: assieme ad una

ventina di compagni ci nascondiamo in una cava.

Vi rimaniamo nascosti per quattro giorni (sentivamo passare i

tedeschi sopra le nostre teste), senza mangiare e senza bere,

FOTO 25 un’attesa interminabile, fino a che la rappresaglia finisce.

Ma alla fine veniamo fatti prigionieri.

Nelle campagne, sotto gli ulivi, vedevamo enormi cataste di

cadaveri d’ italiani fucilati. Gli abitanti delle isole vicine vedevano le

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fiamme dei roghi nella notte e dicevano che erano le anime degli

italiani che salivano al cielo. Durante la traversata in mare verso la

Jugoslavia i traghetti vengono colpiti e affondati. Annegano fra i

flutti tremila nostri compagni. Alfine, veniamo catturati dall’Armata

Rossa dei partigiani di Tito e portati in Crimea.

La fame e la dissenteria la facevano da padrone. Incontro

Mariano Filigrana, ricoverato in infermeria, su un giaciglio di paglia,

ammalato di dissenteria, in brutte condizioni, tanto che sono

convinto di non rivederlo più”.

Bruno Bertolini

Foto 26 Di lui sappiamo dalla sorella Cesarina: “Dopo aver

combattuto contro i tedeschi a Corfù, è fatto prigioniero e portato a

Salonicco. Sta per essere fucilato, legato con altri undici compagni,

ai margini della fossa comune appena scavata. Dopo la raffica, è

trascinato nella buca dai fucilati e si accorge, terrorizzato, d’essere

vivo.

Fatto prigioniero dai partigiani yugoslavi riesce a scappare su

un treno carico di soldati malati di tifo petecchiale diretto a Trieste,

liberata dagli Anglo-Americani”.

Bernardo Benedetti. Foto 17 A

“ Fatto prigioniero dai Tedeschi a Trento è caricato su una

tradotta diretta ai campi di concentramento …

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I macchinisti erano italiani; per un tratto andavano veloci, per

un altro rallentavano, per consentire ai prigionieri di saltare. Così

fecero alcuni suoi compagni, che cercarono di convincerlo a fare lo

stesso..

Ma a lui ormai non importava più nulla: dopo averne passate

di tutti i colori, aveva perso la voglia di vivere. Era convinto che dai

campi di concentramento non sarebbe più tornato.

Era nello stesso stato d’animo di quando, transitando da Mori

con la tradotta diretta in Russia non se l’era sentita di guardare dal

finestrino casa sua, le Casotte, che distavano 150 metri dalla

ferrovia.

Alla stazione di Bolzano, gettando lo sguardo dal finestrino,

Bernardo scorge Guido Bertolini, un amico d’infanzia. Si parlano e

Guido intuisce la situazione.

Lo invita con forza a saltare dal treno, ma lo vede ormai

rassegnato. Allora gioca il tutto per tutto, mette in campo tutta la

sua capacità persuasiva. E…succede il miracolo.

A Bernardo ritorna la voglia di continuare a vivere, che lo

aveva sostenuto sui molti fronti di guerra. Appena la sentinella

scompare dal fondo del treno, salta giù e si butta in mezzo al

gruppo dei giovani, che erano operai della Montecatini di Mori. Il

suo esempio vien di lì a poco imitato da un altro commilitone , ma

la sentinella che lo vede spara e lo colpisce.

Giovanna Tranquillini

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Durante il ventennio la scuola era un potente strumento di

formazione dei giovani agli obiettivi del regime. Il sabato

pomeriggio, tutto era finalizzato all’educazione fascista: pensieri

riflessioni e soprattutto ginnastica.

FOTO 27

Mi rivedo in piazza di Mori, in divisa da piccola italiana, schierata

assieme a tutti gli altri alunni, pronta ad eseguire, a tempo e con

precisione, esercizi ginnici a ritmo di banda, che proponeva il

dirigente di turno su un’alta predella.

E alla fine il grido: “Saluto al Re! Viva il Duce! A noi!”.

… si scioglievano le file con un respiro di sollievo.

….Ricordo un’iniziativa dell’anno scolastico 1941-42, voluta dal

Duce, a favore dei nostri soldati in guerra: “Un pugno di lana per i

nostri soldati”. In tre abbiamo imparato a filare la lana: davanti al

nostro mulinello ci sentivamo importanti e responsabili di

un’iniziativa tanto umana, ma anche tanto triste.

Questo lavoro continuò per circa due anni con lettere di

ringraziamento che ci arrivavano dal fronte.

Dopo l’8 settembre un’insegnante, Maria Silvia Nones di

Tierno, ebbe l’idea di aiutare i nostri soldati deportati in Germania.

Si decise di portare a questi amati nostri soldati da mangiare e di

farsi dare gli indirizzi delle loro famiglie per informarle della

situazione.

FOTO 28

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La mattina dopo il punto di ritrovo fu a Molina: eravamo in otto,

con cesti pieni di panini imbottiti, carte e matite; marciammo verso

Mori Stazione accompagnate dalla signorina Nones. Lei era in

contatto con il comando tedesco; conosceva bene il Tedesco ed

aveva ottenuto il permesso di fermata per i treni dei prigionieri.

Mano a mano che arrivavano i convogli salivamo e distribuivamo i

panini e da bere. Senza farci vedere dalle guardie, consegnavamo

ai prigionieri carta e matita per scrivere gli indirizzi delle famiglie. Si

parlava un po’ con loro, si cercava di infondere loro coraggio, si

raccoglievano gli indirizzi. Dopo due o tre treni interveniva un altro

gruppo di ragazze e poi un un terzo gruppo. La signorina Nones era

sempre presente.

Nel pomeriggio ci si riuniva e si scriveva “la triste

comunicazione” alle famiglie dei prigionieri. La signorina Nones poi

raccoglieva le lettere e le spediva. E così si fece per diversi giorni.

Qualche soldato riusciva a scappare e a rifugiarsi nei paesi

vicini. A casa mia bussarono in molti, bisognosi di tutto. Davamo

loro da mangiare, sostituivamo la divisa con vestiti da lavoro e

quando si sentivano pronti, li accompagnavamo con una zappa sulle

spalle, da farli sembrare contadini, fino dopo la Montecatini. Li

prendevano i sentieri dei boschi e via verso i loro paesi. Noi si

ritornava a casa con la zappa, soddisfatti di essere stati loro di

aiuto.

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Ricordo l’ospitalità anche ai giovani della repubblica di Salò.

Dopo anni che era finita la guerra, c’è stato chi è tornato a

ringraziare con la sua nuova famiglia portandoci anche dei doni,

orgoglio delle loro terre di origine.”

“Gli Internati Militari Italiani e i prigionieri dell’Armata

Rossa.

Augusto Montibeller “ FOTO 29

“...Fui fortunato a non partire per la Russia a fine dicembre

1941, perché ero con i complementi ………. Purtroppo di quel

convoglio non tornò nessuno …

… Fatto prigioniero dai Tedeschi vengo portato nella fortezza di

Deblin in Polonia, in compagnia di molti trentini, dove sentivo i

morsi della fame e il freddo che ci penetrava nelle ossa. Si passò il

primo Natale (1943) lontano da casa.

FOTO 30 Una sera il prof. Nino Betta con il commento di un

canto della Divina Commedia seppe farci dimenticare la prigionia ed

il freddo; il fratello Bruno cercava di prepararci con idee politiche

per un futuro migliore. Conobbi il prof Giuseppe Lazzati e l’avv.

Tullio Odorizzi che fu Presidente della nostra Regione.

Come la gran parte di noi, rifiutò di aderire alla RSI.

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18

Nel campo era attiva una radio clandestina con cui si ascoltava

radio Londra e la sera il cappellano ci portava le notizie desiderate,

non sempre felici.

Don Pasa potè rientrare in Italia prima di noi e portò i nostri

nominativi alla Radio vaticana che li trasmetteva al mondo.”

...

Lino Poli Foto 31

“Catturati a Bolzano, veniamo portati in Germania. Appena si

presenta l’occasione di lavorare in una fattoria, vado a Lagow, in

Polonia. FOTO 32

Mangiavamo patate a volontà; la padrona era una contessa, di

fede evangelica, una persona di cuore, che ci ha accolti come

vittime di guerra. Non era sicuramente un’hitleriana.

Verso l’agosto 1944, cercano di convincerci a firmare la

richiesta di diventare civili. A fronte del nostro rifiuto ci

sottopongono a tante violenze. La contessa Pùchler intervenne con

decisione a nostro favore, rischiando di venir fucilata dalle SS.

Nessuno firmò e la forza che ci sostenne nel non cedere derivò dalla

consapevolezza che come equiparati ai civili “oltre a poter

frequentare le ragazze tedesche come diceva la propaganda”

saremmo stati mandati al fronte, che voleva dire contro i Russi, il

nemico mortale. Inoltre si era formata in noi una resistenza morale

e politica di ferma opposizione al fascismo e al Duce. Dopo quello

che avevamo visto e vissuto ogni illusione era crollata

definitivamente.

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Voglio ricordare che la contessa aveva due figli dispersi in

marina e la figlia aveva il marito disperso in Russia; ciononostante

quando m’incontrava nella fattoria aveva ancora la forza di

incoraggiarmi e di dirmi delle buone parole.

Foto 33 Nella fattoria lavoravano anche prigionieri e deportati

polacchi, russi, ucraini, francesi, olandesi ecc… Quando si discuteva

di politica alcuni di noi, di fronte alla triste esperienza del fascismo,

tendevamo a pensare che il comunismo fosse una via possibile e

migliore per risolvere i problemi dell’Italia liberata. Senonchè ci

pensavano i russi ed i polacchi a dissuaderci, ribattendo che il

comunismo bisognava provarlo sulla propria pelle e non era tanto

migliore del fascismo e del nazismo”.

Renato Filagrana racconta del fratello Mariano.

Foto 34

“Graziato dalla fucilazione a Cefalonia, forse perché proveniente

dall’Alpenvorland, viene fatto prigioniero dai partigiani

montenegrini, poi liberato dai tedeschi e infine catturato

dall’Armata Rossa e prigioniero in Crimea.

Nella primavera del ’46 arriva il momento del rimpatrio da

Rostov, ma è debilitato e fa fatica a salire sulla tradotta.

Nella zuffa per accappararsi un posto, un commilitone

bresciano lo butta giù dal treno perché non lo ritiene in condizioni di

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sopportare le fatiche del viaggio. Sulle tradotte era stato

predisposto un foro da 40 x40 cm per espellere gli escrementi ed i

morti durante il viaggio.

Nota la scena una sentinella russa, la quale interviene subito

in soccorso di Mariano, reclude il bresciano nel vagone di testa,

quello dei puniti, rincuora Mariano, gli dona dei vestiti e degli stivali

ed una borsa di montone, contenente del sale grosso e chicchi di

granoturco.

Spiegandosi a gesti, raccomanda a Mariano di mangiare ogni

giorno cinque chicchi di mais ed un grano di sale.

Mio fratello non scorderà mai questo nobile gesto di umana

solidarietà.

FOTO 34B

Mariano, adempì ad un voto e nella nostra casa in Largo

Villanuova, proprio l’8 dicembre del ‘54, a dieci anni dalla tragedia

di Cefalonia, scoprì un capitello dedicato all’Immacolata. Poi

assieme a Giovanni Zanotti, reduce dal fronte Nord africano ed a

Giuseppe Manfredi, in collaborazione con lo scultore Luigi Bombana

che scolpì la Madonnina in legno, costruirono il capitello a Cima

Bassa, che s’incontra sul sentiero verso lo Stivo”.

Attilio Gazzini foto 35

“ Sono emigrato in Francia nel 1932 e dopo l’8 settembre sono

stato fatto prigioniero in Val d’Ultimo. Non dai Tedeschi, ma da

civili altoatesini; questi ci consegnano ai Tedeschi, i quali, a loro

volta, ci trasferiscono in un campo di concentramento vicino a

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Berlino….Io, che parlavo il francese, facevo da interprete. Un

orologio veniva scambiato con 4-5 filoni di pane nero da 2 kg !

Dopo vari trasferimenti , nel marzo del ’44, arrivo nei cantieri navali

di Danzica. Eravamo in otto-novecento; i tedeschi ci odiavano

perché nessuno di noi aveva accettato di arruolarsi con loro.

Nel gennaio 1945, i tedeschi spariscono e rimaniamo liberi.

Finchè arriva l’Armata rossa, foto16B con cui lavoriamo alla

ferrovia per l’attacco finale a Berlino. In tre giorni di lavoro

ininterrotto la ferrovia è fatta; FILMATO 36

https://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&

v=y4oxGzUw4JQ per l’attacco finale a Berlino. Arrivano i treni,

scarichiamo le munizioni per le katiusce, carichiamo i camion per il

fronte. L’alimentazione è buona ed abbondante, curata da italiani; i

russi ci rispettano e ci danno fiducia.

Foto 37 Alla fine di agosto del 1945 veniamo consegnati al

Comando americano a Monaco Lì abbiamo incontrato un gruppo di

donne ebree, sopravvissute allo sterminio; erano puri scheletri

vaganti; non sembravano più persone. Erano ammassate le une

alle altre, forse per pudore.”

Il rinato Esercito italiano. FOTO 38A

Edo Benedetti. “Il 9 settembre 1943 mi trovo con il mio reggimento

dei Granatieri di Sardegna nel campo di aviazione di Gioa Del Colle;

i tedeschi ci circondano ma riusciamo a fuggire, sgusciando tra viti

ed olivi e ci consegnamo al comando inglese.

Chiediamo di far parte del 1^ reparto italiano aggregato alla V^

Armata. In pochi giorni siamo in 8000 uomini.

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A Mignano Monte Lungo (CE) l’8 dicembre, giorno dell’Immacolata,

abbiamo il nostro battesimo del fuoco. Vedo morire alcuni amici

della Scuola Allievi Ufficiali.

Riusciamo a sfondare sulla piana di Cassino, ma poi rimaniamo

bloccati tutto l’inverno 43-44. A Natale del ’43 facciamo il bagno nel

Volturno.

Nel febbraio-marzo 1944 nella paludi dell’Agro Pontino, dove per la

prima volta ci troviamo a combattere contro reparti italiani della

RSI. Decidiamo di evitare lo scontro fratricida; i repubblichini

cedono le armi e li lasciamo tornare alle loro case al Sud .

Nella zona di Velletri –Genzano, ci imbattiamo nella retroguardia

della divisione Göehring, composta da ragazzi di 18-20 anni, che

fanno i cecchini, appollaiati sulle piante. La reazione degli Anglo-

Americani è dura e non fanno prigionieri.

FOTO 38B

l 5 giugno 1944 Roma è liberata. Il 7 giugno Papa Pio XII

accoglie tutti i militari in Piazza San Pietro; ci saluta in varie lingue

e ci benedice in un clima di forte commozione. E’ la prima volta che

molti di noi vedono il Papa di persona. Interpretiamo questo gesto

come una specie di assoluzione per tutto il male che, purtroppo,

abbiamo commesso combattendo.

FOTO 39

Vengo a sapere che in Vaticano c’è Alcide Degasperi e riesco a

farmi ricevere nella biblioteca vaticana, dove è da tempo fuggito

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per sottrarsi al regime. Lo vedo per la prima volta; mi fa una certa

impressione; aria severa, alto, magro. Mi presento e lo informo di

quanto so sugli ultimi avvenimenti bellici e sul neo costituito Regio

Esercito italiano.

Mi chiede cosa penso della “democrazia”, della nuova situazione

politica che si va delineando. Tento di balbettare qualcosa anche

perché avere un’idea di democrazia a quei tempi non era poi così

facile.

Degasperi mi spiega cosa intende per democrazia e come essa

doveva funzionare nella nuova Italia liberata, per riscattarsi dalla

dittatura fascista, con i rinati partiti da protagonisti. Sottolineò che i

cattolici dovevano impegnarsi con forza.

Poi mi chiese sul futuro assetto istituzionale dell’Italia: Monarchia o

Repubblica, ricordando il comportamento del Re nei confronti del

suo Popolo e delle Forze Armate.

Io non posso che manifestargli il profondo rispetto per l’Istituto

monarchico, perché casa Savoia aveva unito l’Italia.”

“Al che Degasperi puntualizza:“ Quello che lei dice ha fondamento

storico, però “la Repubblica è una Democrazia più compiuta “”.

Mi chiede sul futuro del Trentino- Alto Adige. Al che rimango

ammutolito, perché non so niente. Prende dei foglietti scritti a

mano su cui sono tracciate le linee del futuro statuto di Autonomia

e me le legge “La regione Trentino Alto-Adige dovrà essere un

contenitore, una cornice, entro la quale dovranno convivere i tre

gruppi etnici: italiano, tedesco e ladino” . Circa le possibili

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competenze indica la scuola, per la quale, dice, dobbiamo imparare

dagli Austriaci con la scuola che non solo insegna ma anche educa.

Poi mi parla del legno, che considera un grande giacimento naturale

della nostra terra e che dobbiamo saper valorizzare in tutti i suoi

aspetti

FOTO 40

Terza competenza indica l’energia idroelettrica per sfruttare le

nostre risorse idriche”.

Marcello

Anche grazie a queste intuizioni la nostra Regione ha potuto

rappresentare un modello di convivenza ed il Trentino, grazie

all’Autonomia ed alle conseguenti competenze e risorse, può ora,

tra le altre cose, produrre il 125% del suo fabbisogno con le

centrali idroelettriche acquisite da Dolomiti energia, detenuta per il

67% dagli Enti pubblici locali.

Gigi

Situazione in Trentino Alto Adige.

Dopo l’8 settembre ‘43, i Tedeschi occupano anche il Trentino-

Alto Adige e la provincia di Belluno. Foto 41 Con ordinanza di Hitler

viene costituita l’Operationszone Alpenvorland, con la quale

diventiamo provincia del Reich. Viene nominato il Gaulaiter

del Tirolo-Voralberg, con pieni poteri. A novembre viene imposto al

Trentino anche il diritto penale germanico.

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Con la costituzione dell’Alpenvorland molti giovani trentini

vengono Foto 42 coscritti nel C.S.T, la Polizia trentina e nella Flak,

la contraerea.

Il prof Umberto Corsini scrisse: “il nuovo Commissario Prefetto,

avv. Adolfo de Bertolini, aveva intuito che, favorendo la formazione

del CST, si potevano ottenere due risultati positivi: rafforzare il

sistema di difesa del Trentino con giovani locali, ed evitare ai nostri

ragazzi di venire mandati sui vari fronti di guerra”

Secondo le testimonianze l’obiettivo era anche quello di evitare

l’influenza della RSI nel Trentino, che era considerata dalla nostra

gente peggio dei tedeschi.

Si ritiene che il reclutamento abbia fornito all’Alpenvorland poco

meno di 6000 giovani, metà nel CST e metà nella Flack. Vi furono

casi di renitenza alla chiamata e di diserzione: essi furono puniti

con l’arresto dei genitori e familiari; i casi di ribellione furono puniti

con la fucilazione, che avveniva a Mas Desert…”

Marcello

Foto 43 I moriani nella Polizia trentina e nella Flak.

Nel CST ricordiamo: Fabio Toblini, Fabio Grisi, Lino Bertola,

Diego Dossi, Giovitta Grigolli, Mario Cescatti, Quinto Gazzini, Guido

Cescatti, Giuseppe Torbol, Giacomo Chizzola, Rolando Ramielli,

Giuseppe Bertolini, Fausto Cescatti, Bruno Zanfei, Francesco Pizzini,

Fulvio Depretto, Ferruccio Mutinelli, Tullio Beozzo, Aldo Galvagni,

Livio Zanotti, Ezio Moscatelli.

Nella Flak : Giuseppe Poli, Giacomo Bertolini, Giuseppe Longhi.

Giovita Grigolli.

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Foto 44 “Quando mi arrivò l’arruolamento nel CST obbedii,

anche per avere l’opportunità di rimanere vicino a casa ed evitare

di essere mandato al fronte.

I tedeschi non volevano ufficiali italiani nei ranghi del CST. I

sottufficiali erano, in prevalenza, già stati sottufficiali nell’esercito

italiano; i comandanti, invece, erano solo tedeschi.

Cercavano un fotografo; mi offrii subito, così mi trovai a fare le

foto tessera a tutto il battaglione ed evitai di essere inviato sul

Grappa per una vasta e tragica operazione di rastrellamento dei

partigiani. Nell’operazione rimasero uccisi molti civili e partigiani.

Foto 45 Molti dei catturati vennero impiccati agli alberi del viale

principale di Bassano, ora viale dei Martiri.

L’undici maggio del ’44 ci fu il bombardamento di Trento e ci

mandarono a recuperare i numerosi morti.

Ricordo anche la missione a Cima Dodici, sempre contro i

partigiani. Poi fui trasferito a Vestone dove le bande dei “banditen”

erano organizzate e attive.

Poi un giorno, a S.Croce del Bleggio, dove stavo frequentando il

corso ufficiali, il tenente ci comunicò: “Hitler kaputt, la guerra è

finita, potete andarvene”.

Lasciai volentieri la pistola e il mitra. Io non sono mai andato in

cerca di grane”.

Foto 46 Ricordiamo Giuseppe Torbol, recentemente

scomparso:

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Dopo un periodo d’istruzione a Trento la nostra compagnia è

destinata a Belluno, dove venivamo impiegati, in appoggio ai

tedeschi, in operazioni di rastrellamento antipartigiano… ..Dal

nostro distaccamento fuggono una ventina di compagni che si

aggregano alle formazioni partigiane.

Una notte, un commilitone si mette a sparare contro ombre e

rumori che credeva partigiani; si scatena un inferno, tutti sparano,

il paese è messo a soqquadro. Le autorità vengono a protestare al

nostro Comando per questa reazione, giudicata sproporzionata. …

Dopo questi fatti una nostra delegazione chiede al Comando di

non venire impiegati fuori dal Trentino e poco dopo veniamo

stornati a presidiare le valli di Fiemme e di Fassa. Verso i primi

d’aprile ‘45 ricevo una lettera da mamma Carmela che mi dice che

danno a giorni la sconfitta dei Tedeschi e m’implora di scappare “Ti

terrò nascosto nel bosco vicino a casa fino alla fine della guerra”.

Sono salito sul camion dell’Annonaria fino a Trento; il 25 aprile

arrivo a Mori e rimango nascosto nel bosco fino al 2 maggio; il 3

mattina vedo passare le prime pattuglie alleate e grossi carri.Papà

Silvio, dalla gioia, offre loro fiaschi di vino”.

Giuseppe Poli.

foto 47 I giovani moriani del ‘24, ‘25 e del ‘26 erano reclutati o

nel CST o nella Flak. Alla visita di leva potei scegliere di andare nel

CST ma mi trovai nella Flak! Fui assegnato ad una batteria

antiaerea nei pressi di Campotrentino, quasi di fronte all’ex Sloi. La

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batteria era formata da 5 o 6 cannoni da 88 mm e da una centrale

operativa che comandava tutti i pezzi.

Foto 48 Ho un vivo ricordo del secondo massiccio

bombardamento di Trento del 13 maggio 1944, che provocò

numerosi morti. Era impressionante vedere le bombe che

centravano le case; allo scoppio il tetto si sollevava, per qualche

frazione di secondo, quasi tutto intero, per poi sfasciarsi sulle

macerie.

A fine ottobre veniamo trasferiti a Candriai. Il nostro comando

affermava che avevamo abbattuto più di 20 apparecchi americani.

Ad ogni abbattimento aggiungevamo un anello bianco sul cannone

a mò di trofeo.

Negli ultimi giorni d’aprile ‘45 non arrivavano ormai più le

munizioni ed il comandante ci comunicò che potevamo

abbandonare i pezzi, però senza armi. Rientrai a Mori il 5 maggio

‘45, a guerra finita”.

Marcello

Da queste testimonianze, come anche da quella di Gina

Depretto, emerge anche il rapporto quasi paterno con i loro

comandanti tedeschi, di una certa età, taluni di cultura. Costoro

erano ormai consapevoli del disastro in cui il nazismo aveva

trascinato il suo popolo. E nei ragazzi del CST vedevano i loro

stessi figli mandati a morire sui fronti di tutta Europa e che non

avrebbero più rivisto.

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“Vita quotidiana a Mori durante la II guerra mondiale

Renato Bianchi Foto 49 “ La vita sociale ed economica risentiva

pesantemente della situazione di guerra; quasi tutti i negozi erano

praticamente chiusi. Aprivano solo per due, tre ore la sera e

disponevano solo di pochi generi di prima necessità. Era in vigore il

razionamento, ci voleva la tessera”.

Danilo Galvagni : “ veniva distribuito il frumento, ogni

quadrimestre 10 kg al mese per sei persone, in totale 240 kg, da

macinare al molino Piccoli”.

“ Erano aperte alcune osterie, che svolgevano anche

un’importante funzione di sostegno psicologico. Stare insieme,

infatti, infondeva un po’ di sicurezza e sollievo in quei drammatici

momenti. ( le trattorie erano : la Sirena; ilGiardino Grisi; la

Scaletta; la Vecchia Mori; al Mercato; alla Pesa; la Gradela; alla

Scaletta; la Neni; la Biasi a Tierno).

Foto 50 Anche la situazione sanitaria era precaria. Mancavano i

preziosi antibiotici e la mortalità infantile era elevata. La penicillina

arrivò con gli americani, i quali portano pure il DDT, accolto con

entusiasmo, salvo poi scoprirne la nocività.

Di quel periodo preme evidenziare lo spirito di solidarietà che

animava la nostra comunità. Tutti aiutavano tutti, materialmente e

moralmente, ad affrontare le molteplici difficoltà (carenza di cibo,

sfollamento e, purtroppo, le frequenti disgrazie e decessi) dato che

poco o niente ci si poteva aspettare dalle pressochè inesistenti

strutture pubbliche.

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Foto 51

Nonostante la carenza di generi alimentari, sottoposti al rigido

razionamento, i furti nelle campagne e negli orti erano molto rari (

a differenza di oggi, tempo di benessere)!

I mezzi di trasporto consistevano, al massimo, in una bicicletta,

il più delle volte scassata e di seconda mano, per la quale, per di

più, si doveva pagare il bollo annuo non proprio lieve.

Elda Moscatelli in Caproni

“ La vita di tutti i giorni a Mori era discreta, nonostante la guerra.

Il pane quotidiano non mancava, perché quasi tutti avevano

campagna. La mia famiglia non ha mai patito la fame.

Si portava la farina dal Sartori, lungo il Cameras, dove ora c’è il

panificio del Ragnoto (Benedetti). Per il resto, allora a Mori c’erano

molti bei negozi di ogni cosa, più e meglio di adesso! Gli

Omenigrandi; la bottega del Gino Moscatelli, da capogiro!; due

calzolai; foto 52 di via G Modena i casalinghi dal Bozol (Malfatti);

la pasticceria, le stoffe; el Spiazal de la fera, en gioiel. L’era bel

Mori, pù bel de

ades.

A rifornirci di sale ci pensava el Toni dalle coe ( chiamato così

perchè teneva i capelli lunghi). Gli chiedevamo: Toni, dove lo trovi

il sale? In montagna, sotto i sassi- rispondeva. Ma tutti sapevano

che trafficava coi tedeschi”.

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“ Altri testimoni danno un giudizio meno roseo della situazione.

Raccontano che la situazione alimentare era grave, tant’è che la

gente cominciò a prendere possesso dei depositi dei tedeschi, che

avevano sede nell’attuale municipio e nelle masere, piene di ogni

ben di Dio.

Chi era in buoni rapporti con i tedeschi ( anche grazie a qualche

damigiana di vino o qualche fiasco di grappa) riusciva a portar via

qualche sacco di frumento.

Questo gioco a guardie e ladri purtroppo non andò sempre bene:.

Gino Caproni, rimase ferito mortalmente proprio mentre asportava

un sacco di grano dal deposito delle scuole.

La convivenza con i tedeschi

avevano dislocato le loro sedi e i loro comandi in modo capillare

in tutta la borgata. Per citare solo i più importanti: alle scuole, a

palazzo Salvadori, a Besagno, a Ravazzone, nella villa rossa

adiacente al pont de fer.

Nelle scuole c’era il magazzino viveri, soprattutto del grano;

sullo Spiaz de la Fera un magazzino di materiali per l’edilizia;

all’oratorio l’officina per camion, vagoni ecc; al mulino Piccoli

piastrelle e ferri di cavallo; nel cinema teatro materiale per

veterinaria, sacchi e scatoloni di medicine; a palazzo Lutteri a

Tierno la ditta edile Polenski-Zoellner , che utilizzava i comandati

della Todt e la prigione per chi si sottraeva al lavoro.

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Le masere erano presidiate in quanto erano diventate magazzini di

viveri, macchinari vari e officine.

Insomma,i tedeschi erano ovunque e la popolazione poteva

essere tenuta sotto controllo da ogni punto di vista”.

E’ stato chiesto ai testimoni come si viveva questa situazione di

coabitazione forzata con i tedeschi e se si sono registrati atti di

resistenza o di ribellione verso gli occupanti.

La sintesi delle risposte può essere la seguente:

I tedeschi erano corretti, bastava lasciarli stare ; non si è

registrato alcun atto di sabotaggio ; i rapporti erano buoni, i

tedeschi erano severi ma giusti, ai comandati al lavoro alla Scac

pagavano 5 lire a fronte delle due dell’azienda italiana. Ai lavoratori

militarizzati pagavano regolarmente i contributi. Piuttosto, c’erano

furti di rame, prezioso per il verderam per le vigne ; tutto

sommato, i tedeschi con noi si sono comportati in maniera corretta.

Però, dopo il gennaio del ’45, arrivarono i giovani non ancora

ventenni e molto intrisi di ideologia nazista, fanatici, che erano

molto pericolosi.

Poi, si sa, la necessità aguzza l’ingegno, ed ecco il racconto di

Mauro Menoni:

Foto 53 “Facevo il calzolaio. Facevo un paio di scarpe al giorno,

più le riparazioni. El coram lo prendevo in una conceria di Rovereto,

ma me lo davano col contagocce.

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Una sera capita in negozio un tedesco grande e grosso, mitra a

spalla. Io stavo facendo un paio di scarpe per la morosa. Voglio

cinque paia di scarpe-mi dice il soldato. Pago subito. Non ho coram-

rispondo. Te lo vado a prendere io, dov’è la conceria? Va e torna col

coram ed io gli faccio le scarpe.

Dopo qualche giorno torna e mi chiede altre scarpe. Lo

accontento. La terza volta gli chiedo: ne avete sale? Noi siamo in

mezzo al sale ( era di Salisburgo, la città del sale)! Te ne porto

finchè vuoi. Mi portò sette sacchi di sale, di mezzo quintale l’uno.

Allora il sale costava mille lire al kg. L’ho rivenduto prima a 300 lire,

poi a 400, poi a 500. Me pareva de esser en sior!

Quella sera però Eric pretese la cena. Bistecche e grappa e …finì

in una formidabile sbornia”.

Bombardamenti. La paura di tutti i giorni

Renato Bianchi

“Lavoravamo, a Mori Stazione, con le orecchie sempre diritte,

per essere pronti ad acquattarci in qualche buca o dietro a un

sasso, al primo rombo di aerei, che, specie nelle belle

giornate,arrivavano puntualmente, quasi sempre nelle stesse ore.

Foto 54

Al mattino, verso le nove, si trattava di solito di una pattuglia di

otto cacciabombardieri, (Thunderbolt e Hurricane), i quali, salendo

in fila indiana lungo l’asta dell’Adige a notevole altezza, picchiavano

sull’obiettivo e sganciavano le due bombe che portavano sotto le

ali. Poi, dopo la cabrata per riprendere quota, invertita la rotta, si

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abbassavano nuovamente fino a poche decine di metri,

sventagliando raffiche di mitraglia su tutto quello che capitava a

tiro.

Foto 55 Meno frequenti erano, invece, le incursioni dei

bombardieri, i tristemente famosi quadrimotori B17 e B29, le

cosiddette fortezze volanti. Essi arrivavano normalmente nel

pomeriggio, seguendo rotte sempre diverse, in numero di 18 o 36,

suddivisi in formazioni a cuneo da 6 e preceduti da altri 3 aerei.

Questi lasciavano cadere una miriade di striscioline di carta

stagnola, che avevano lo scopo di disorientare e confondere i

sistemi di rilevazione e puntamento dell’artiglieria contraerea, la

Flack.

Le formazioni, rimanendo sempre ad una quota molto elevata,

sganciavano bombe da 500 libbre ( 230 kg), che scendevano con

un fischio lacerante prima di deflagrare nel poco distante

sottopassaggio della Favorita di Mori Ferrovia.

Noi, con le mani pressate sugli orecchi, per salvare i timpani,

stavamo ben acquattati, pancia a terra, in qualche buca, mentre la

terra sussultava e l’onda d’urto dello spostamento d’aria passava

sopra le nostre teste assieme ad un gran polverone e il puzzo acre

dell’esplosivo.

Finita l’incursione e diradatasi la cortina dei fumogeni,

rallegrandoci di averla scampata ancora una volta, la vita

riprendeva il suo ritmo normale, perché- non deve apparire

paradossale- vivendo costantemente nel pericolo, inevitabilmente ci

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si rassegna a convivere con esso, giorno dopo giorno, confidando

solo nella fortuna”.

Pio Gazzini.

Dal racconto della cognata Cesarina Bertolini: “Il 29/3/44

(venerdì Santo), Pio Gazzini, è ferito mortalmente al cuore da una

scheggia. Beffa del destino: la scheggia assassina aveva anche

attraversato il corpo, senza ledere alcun organo vitale, di

Giuseppina Strafelini in Pizzini. Inoltre Pio stava correndo nel rifugio

di Tierno con le stampelle, perché mutilato ad una gamba,

amputatagli qualche mese prima a causa di un’infezione. Gian Luigi

Chizzola, nella stessa circostanza, rimane ferito ad una gamba”.

Danilo Galvagni. Foto 56

Allarmi…Allarmi…

Domenica, ultimo giorno del ’44, allarmi. Passano diverse

ondate, sganciano sul ponte del Leno e sulla ferrovia a Beseno.

….Domenica 4 febbraio 1945. Allarmi. Il Pippo sgancia in Valbusa a

Rovereto lasciando miracolosamente incolumi undici persone in una

casa. Al porto di Serravalle due uomini di Chizzola rimangono uccisi

dal mitragliamento.

Foto 57

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Mercoledì 7 marzo. Tempo bello. Sei allarmi. Due squadriglie di

picchiatelli sganciano ad Ala, percossi dalla contraerea di Pilcante e

di Mori. Alle 19.45 il sig. Pippo fa parecchi giri sopra la valle e

sgancia due bombe presso la diga di Mori ferendo gravemente

Giacinto Lutteri di Tierno.

Sabato 17 marzo. Quattro picchiatelli piombano

improvvisamente sulla stazione di Mori. Colpiscono in pieno

l’albergo Stazione e la ferrovia verso l’Ognibeni.

Luned’ 19 marzo. Tempo bello. Allarmi. 24 bombardieri

sganciano sulla ferrovia a Serravalle. D’ora innanzi si farà uso delle

campane esclusivamente per dare un breve segno di agonia in caso

di morte ( sic!)

Venerdì 30 marzo-Sabato santo. Infuriano i picchiatelli. A Tierno

spezzoni di bombe causano la morte di del giovane Pio Gazzini,

mentre si stava trascinando nel rifugio con le stampelle e ne

feriscono altri sei, fra cui Gianluigi Chizzola. Anche un vecchio

muore. Un giovane carabiniere in servizio alla Montecatini muore

colpito da una bomba.

Mercoledì 4 aprile. A Mori Vecchio mitragliano uccidendo un

giovane di 24 anni, Bruno Ischia, e feriscono la mamma.

Martedì 24 aprile. Diciotto bombardieri sganciano bombe su

obiettivi strategici di Rovereto: ospedale, ferrovia, sottopassaggio

alla stazione, Manifattura, nodi stradali… insomma un inferno,

senza che la che la contraerea spari un colpo.

Giuseppe Beltrami. L’aereo americano precipitato a Sano.

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Foto 58 “stavamo scrutando il cielo quando, tutto d’un tratto,

da sopra della casa della Piva spunta un aereo americano.

Lasciava una nera scia di fumo e ci siamo subito accorti che la

carlinga era aperta e che il pilota tentava un atterraggio di fortuna.

Sembrava che stesse per lanciarsi dal velivolo perché si era

alzato in piedi, ma in quell’istante l’aereo andò ad agganciarsi al

cavo più alto dei tralicci dell’alta tensione.

E’ stato un attimo. L’aereo tranciò il cavo, si capovolse e

precipitò a terra, seppellendo il pilota.

Mi precipitai sul posto e mi si presentò una scena orribile: la

parte centrale del velivolo era infossata e bruciava, dall’ammasso

delle lamiere sporgeva un pezzo di braccio e una mano. Al dito si

vedeva un anello.

Ad un tratto sentii una mano sulla spalla. Era il nostro parroco,

don Bettin. Egli si inginocchiò, prese dalla tasca una scatoletta e mi

disse: “Inginocchiati anche tu, preghiamo, è morto, gli do l’olio

santo”.

Tremavo, non avevo mai visto un morto, non mi rendevo conto:

c’era solo il braccio, e il resto?

Non so quanto tempo passò, il mio sguardo era fisso su quella

mano e il pezzo di manica, quelle dita, quell’anello. La stavo

toccando, era un po’ gonfia ma tiepida, quando il fuoco iniziò a far

esplodere le cartucce della mitragliera.

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Don Bettin mi trascinò via di lì ed allora mi accorsi che stava

arrivando altra gente, qualcuno armato di piccone, mazzette, ascie.

Pensai: vogliono aiutare il pilota. Ma mi ero illuso!

Vidi uno che cercava di sfilare l’anello e, non riuscendoci, si stava

aiutando con una focoleta. Mi sentivo male.

Poi arrivò un ufficiale tedesco, che conoscevo. Lo portai vicino

alla mano del disgraziato pilota e gli feci cenno che qualcuno aveva

strappato l’anello.

Fu un attimo, capiì che mi chiedeva chi era stato. Gli indicai la

persona, che faceva finta di nulla. Ma, quando l’ufficiale mise mano

alla pistola, consegnò subito l’anello.

L’ufficiale ed un soldato cercarono di estrarre il corpo tirandolo

per la manica, ma invano. Ne uscì solo un pezzo di giubbotto, in cui

trovarono una mappa della zona e un pezzo di paracadute

insanguinato.

Visto che non riuscivano ad estrarre il corpo, l’ufficiale, con un

piede, buttò tutto nella buca che bruciava….

Il giorno dopo, il becchino del cimitero, il sig. Cattoi, con l’aiuto

del figlio Ottorino, con una forca da fieno o da letame, recuperarono

dalla buca quello che rimaneva del povero corpo e lo depositarono

in una cassa di legno simile a quelle in cui il sig. Gino Cavalieri

teneva il sapone “Cofano” o quelle del sig. Pietro Malfatti per la

ferramenta.

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Venne sepolto in questa cassa, depositata fuori dal cimitero da un

ufficiale americano( era una poltiglia); l’ufficiale, con una bacchetta

di ferro, rovistando, incappò nella piastrina di riconoscimento.

Il militare diede l’ordine ad una persona presente di mettere i resti

in un barattolo. Poiché questa si rifiutava ( era tutta piena di…)

l’ufficiale alzò la voce.

A questo punto questa persona, senza più fiatare, prese i resti con

le mani e li depositò nel barattolo…”

Giovanna Tranquillini…. Foto 59

” Parecchie famiglie trovavano riparo nelle grotte di Montalbano ; la

situazione era vissuta in modo ancora più pauroso, perché “l’eco

della crona” aumentava il rombo degli aerei e degli scoppi…

La tattica nei bombardamenti era questa: prima arrivavano i

picchiatelli che giravano sopra Brentonico e Castione ed

aspettavano l’arrivo dei bombardieri. Poi, d’improvviso si

abbassavano mitragliando sopra le postazioni contraeree. Nello

stesso momento sbucavano i bombardieri dallo Zugna o da

Lenzima, che trovando la contraerea disorientata sganciavano le

loro bombe con relativa calma…”

Foto 60 Il bombardamento di Besagno. Lo raccontano:

Augusto Girardelli

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“ Un giorno, a Besagno, eravamo nella cantina di Arrigo, dove si

beveva il vino più buono. Avevamo bevuto qualche “candola” e

cantato.

Il mattino seguente partiì di buon ora, diretto a S.Valentino,

dove dovevo caricare un carro di legna. Arrivato al “ponterom” fra

Brentonico e S.Giacomo ( mancava qualche minuto alle otto) sentii

dei bombardamenti verso Mori, poi il rumore degli aeroplani che

giravano sopra villa Passerini e si dirigevano verso Bordina e Riva.

Non sapevo cosa pensare. Avevo un brutto presentimento.

A mezzogiorno arrivò mia sorella Maria, che mi portò la

tremenda notizia del bombardamento di Besagno foto 61 e dei

nove morti. Partii subito, di corsa, in mezz’ora arrivai a Besagno,

andai subito dal mio amico Riccardo, sembrava che mi parlasse

ancora, aveva solo una ferita alla testa.

Riccardo era figlio unico; fu uno strazio, specialmente per la

mamma. Della famiglia Dalrì morirono il padre, la madre, la nuora

Maria con i figli Piergiorgio e Valentina. Il marito Valentino era in

Russia e non tornò più. Della disgraziata famiglia rimase solo Elisa.

Attilio Bona, fratello del parroco Don Candido ed io lavorammo per

tre giorni, custodimmo e vegliammo i cari morti…”.

Elisa Dalrì

“Ho saputo del bombardamenti in fabbrica. In bici sono partita

subito per Besagno. Arrivata, non volevano farmi vedere le macerie

con sotto la mia famiglia, mio padre Ernesto e mamma Paolina, mio

fratello Arrigo di 21 anni, mia cognata Maria e i suoi figli Piergiorgio

e Valentina.

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Alla mesta operazione di recupero delle salme assistevano

anche il dott. Degasperi e Mons. Cesare Viesi.

Quanta disperazione alla vista dei poveri corpi martoriati! Non

mi permisero di partecipare ai funerali perché temevano che non

reggessi alla forte emozione.

Per tre giorni non ho bevuto e mangiato e non ho pianto. Per un

anno sono vissuta con la zia, vedova, con quattro figli e “quel

niente che avevamo”.

Ancora oggi, dopo sessant’anni dalla tragedia, non posso vedere

scene di guerra o di terremoti”.

Bombardamento della Montecatini. Foto 62

Urbano Tranquillini

“Il 16 novembre del ’44 anche la Montecatini fu bombardata. Foto

63 Noi eravamo nel rifugio scavato nella roccia, a fianco del canale

industriale vicino alla centrale elettrica. Dal rifugio sentimmo

chiaramente il fragore delle bombe. Cessato il pericolo,

uscimmo e con dolore vedemmo che la nostra grande fabbrica era

stata colpita. Una bomba aveva sventrato il rifugio-cantina degli

otto alloggi dove si erano rifugiati il capo officina Virginio Piccolroaz,

la moglie Giuseppina e la figlia Giulietta di 13 anni, nonché la

signora Ada Carlotti.

Anche qui macabra coincidenza volle che- come ci ha raccontato

Gilio Manfredi, -giungesse alla signora Giuseppina, il giorno dopo la

sua morte, la comunicazione della morte del figlio Renzo avvenuta

in campo di concentramento tedesco.

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Gino Gazzini racconta che “nelle operazioni di recupero delle

vittime ogni tanto ci si fermava per sentire i gemiti dei sepolti vivi e

Mons. Cesare Viesi faceva il coordinamento”.

In un’incursione aerea furono scaricate centinaia di bombe

“farfalla” sulla Montecatini, sulle strade e nelle campagne attorno a

Mori.

Usciti dal rifugio, ci siamo incamminati, a piedi, verso le nostre

abitazioni. Arrivati a metà strada, incontrammo sei uomini che con

un lenzuolo stavano portando nell’infermeria della fabbrica un uomo

ferito proprio da una bomba farfalla. Era Emilio Bombana, classe

1909, in seguito deceduto per le ferite.

Tutte tre le donne morirono”.

Bombardamento Spiaz de la Fera

Renato Filagrana Foto 64

“Dove ora ci sono le case, sulla sinistra all’inizio di via

Terranera, esisteva un grande spiaz ombreggiato da ippocastani,

chiamato El spiaz de la Fera. Foto 65

Dal ’43 era diventato un cantiere della Todt, el Lager, dove

artigiani e operai erano obbligati a lavorare per i tedeschi. Anch’io

lavoravo lì.

In caso di allarme si poteva uscire per mettersi al sicuro.

Esisteva una casa costruita tutta in cemento, con una piccola

cantina. Era di Gino Benedetti, el Tibele. Lui era orgoglioso di

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questa sua casa, considerata una piccola fortezza in caso di

incursioni aeree.

Durante un allarme ci rifugiammo lì. Eravamo in tredici,

sfidando la sfortuna. Giocavamo a carte. Poco prima delle 14,30

si sentì un rombo. Apparvero sette picchiatelli. Virarono verso il

Biaena, sorvolarono il Baldo e si abbassarono verso di noi.

FOTO 66 Arrivati su Mori sganciarono le prime bombe, che

colpirono l’asilo.

Terrorizzati, ci precipitammo al piano interrato. Udimmo un

grande fragore, accompagnato da una luce azzurra e poi gialla. La

luce sparì. Accendemmo un fiammifero: la scena che mi si presentò

era impressionante, non la potrò mai cancellare dalla mia mente

per tutto il resto della mia vita.

La sorella del padrone di casa era sulla scala, sezionata in tre

pezzi; il mio amico e compagno di lavoro era senza testa.

Con la forza della disperazione riuscii a sbloccare la porta di

uscita e ad uscire all’aperto.

La corsa attraverso i campi che ne segue può essere paragonata

a quella di un ariete furioso; dove passo travolgo tutto, spezzando

anche i fili delle pergole nei campi. Mi sembra che gli aerei che

sorvolano Mori tentino di mitragliarmi.

Non so quanto è durata questa mia pazza corsa, so solo che ad

un certo punto arrivo in vista della Montecatini, in direzione opposta

a casa mia”.

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Elda Moscatelli in Caproni

“Soprattutto, avevamo paura dei bombardamenti. Quanti

spaventi! Del Pippo specialmente. I bombardamenti erano la nostra

angoscia.

Il nostro rifugio antiaereo Foto 67

era in un’ampia grotta naturale rocciosa in località Camanghem,

posto pieno di bombe;¸vi si arrivava percorrendo una stradina,

dalle Gere. Quanti ricordi delle ore passate nel rifugio!

I “Miri” portavano sempre con sé la cassetta coi marenghi. Una

volta la valigia finì col rotolare giù per le scale seminando soldi e

marenghi.”

Marcello

"Ma insieme alle bombe in Italia arrivò anche la musica americana.

Arrivò il Jazz con la musica Swing che anche da noi alla radio, fra

una notizia di guerra e l'altra si cominciava ad ascoltare. Quella

musica così festaiola e frizzante, tanto avversata dal fascismo, ma

che tanto piaceva, faceva intravedere ormai la fine del conflitto e

un futuro più sereno all'orizzonte"

Ascoltiamo ora "In cerca di te”

GIGI

Fine della Guerra e le nuove Istituzioni democratiche.

Il 23 aprile 1945 gli Alleati sbarcano a Torbole ed il 2 maggio

entrano in Mori.

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Foto 68 Le ultime loro cannonate arrivano a Mori Superiore e

vicino all’attuale Camposanto. Per fortuna non c’è reazione da parte

dei tedeschi e Mori è risparmiata! Si vedono arrivare i primi soldati

di colore ( che stupore! prima si vedevano solo sulle riviste

missionarie). Lanciano scatolette con dolci, sigarette, caffè,

cioccolato e gomma americana (mai vista prima; le prime volte la

gente la mangiava, poi imparò a masticarla). Le campane suonano

a festa.

Marcello dobbiamo ricordare che mentre avvenivano i funerali

a Besagno delle 9 vittime del bombardamento del 4 dicembre Mori

era sotto un altro bombardamento.

Gina Depretto, allora ragazza di 13 anni, racconta di papà Ennio, il

Sindaco della Mori liberata: “ Foto 69

“Verso l’autunno del ‘44, avvertimmo un mutamento d’abitudini

da parte di papà ; la sera era frequentemente fuori di casa. Mio

cugino Gino, che abitava sotto di noi in Via Filippo Tranquillini,

teneva i contatti segreti fra mio padre, Silvio Bianchi e Giacomo

Caneppele, entrambi nascosti a Mori Vecchio.

Scoprimmo che nostra madre Emma era in apprensione,

temeva che la Gestapo potesse scoprire la rete clandestina che si

stava formando a Mori, di cui faceva parte anche nostro padre.

Ci raccomandava di non parlare con nessuno dei

comportamenti di papà. Il cugino Gino lo teneva costantemente

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informato con le notizie e le disposizioni che Silvio Bianchi gli

inviava e che riceveva dal CLN.

Gino aveva l’unica radio della casa; allora, a Mori ne esistevano

poche. A notte fonda ascoltavamo Radio Londra.

Alla liberazione mio padre fu nominato Sindaco di Mori su

designazione del CLN. Gli sfollati rientravano un po’ alla volta nelle

loro case. C’era il problema di trovare il cibo quotidiano, un lavoro,

insomma di tornare ad una vita normale. C’erano in paese una serie

di depositi di viveri e materiali vari dell’esercito tedesco, che

dovevano essere inventariati e distribuiti ai bisognosi.

Foto 70 Dopo tre mesi circa, si tenne tra i capifamiglia la

verifica politica sulla rappresentatività dei vari partiti. Il risultato fu

che mio padre venne sostituito con Pietro Malfatti, già Commissario

durante il fascismo. Rimase deluso per aver visto interrotto

l’impegno che si era preso verso la comunità di Mori all’atto del suo

insediamento.

Per la nostra famiglia, invece, fu una grande fortuna perché

potemmo riavere Papà tutto per noi”.

Marcello Foto 71

Giacomo Caneppele

Tra i moriani che facevano parte della piccola rete della

Resistenza locale ricordiamo Giacomo Caneppele, prigioniero prima

in Spagna dei Franchisti, poi in Francia dei Tedeschi. In Italia venne

condannato al confino alle isole Tremiti.

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Dopo il 25 luglio riesce a scappare. Riabbraccia i suoi cari dopo

quattordici anni. Inizia la sua latitanza nascondendosi nei boschi

vicino al Pipel.

La moglie Agnese ci ha lasciato un racconto avvincente, di cui

riportiamo un breve passo.

“Don Vigilio Bettin, parroco di Mori Vecchio, professore al Liceo di

Rovereto, aveva buoni rapporti con i Tedeschi.

La sera precedente il 28 giugno 1944 don Vigilio viene a

conoscenza dei loro piani, delle retate per catturare gli antifascisti

locali.

Foto 72 Incarica immediatamente Giacomo di avvisare l’avv.

Angelo Bettini, il martire della Resistenza trentina, del grave

pericolo che incombe su di lui.

Giacomo effettua la missione; ma l’avvocato risponde che non

sarebbe scappato, si diceva convinto che nessuno gli avrebbe fatto

del male.

Purtroppo non fu così, andò incontro alla morte. Foto 73 Il prof.

Bruno Betta, di Riva, invece, allertato del pericolo dal prof. Luigi

Dalrì, prese sul serio il consiglio e si pose in salvo”.

Gigi FOTO 74

Silvio Bianchi

Figura importante di quel periodo è Silvio Bianchi, che ha una

storia analoga a quella di Giacomo: comandante delle Brigate

internazionali in Spagna, poi confinato a Ventotene. Dopo la sua

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liberazione, viene incaricato dal CLN di organizzare la resistenza in

Trentino e preparare i nuovi quadri.

Gino Depretto lo ricorda così:

“Lo conobbi in un ritrovo clandestino a Mori Vecchio. Nessuna

parola d’astio o vendetta, mi raccomandò solo molta prudenza e

raziocinio. Costituì, secondo i dettami del CLN, organo del Governo

italiano, la Giunta provvisoria, che comprendeva tutti gli

schieramenti politici antifascisti.

Guidò con perizia, nell’ultimo periodo di guerra, tutte le

operazioni che evitarono alla popolazione grossi danni da parte dei

tedeschi in ritirata.

Per molti giorni allestimmo un servizio di cucina che diede il

conforto di un pasto caldo, forse il primo dopo tanti stenti, a

migliaia di reduci che transitavano da Mori”.

Marcello FOTO 75

Gianni Benedetti, che ci ha lasciato poche settimane fa e che

ricordiamo con riconoscenza e nostalgia, racconta di lui : “Ero

affascinato dai racconti di Silvio Bianchi, fuoriuscito politico. Mi ha

sempre colpito il suo equilibrio ; era una persona che non serbava

rancore e non recriminava nei confronti di nessuno, nemmeno nei

confronti degli avversari politici. Da lui ho imparato i fondamentali

del sistema democratico e del regime dittatoriale.

E’ ricordato anche come colui che era il Sindaco naturale della

Mori liberata, ma lui indicò Ennio Depretto”.

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Marcello

Foto 76Mons.Cesare Viesi.

Rievocando i drammatici momenti della vita di Mori, come abbiamo

cercato di fare, non possiamo non ricordare Mons. Cesare Viesi,

decano di Mori per molti anni.

Foto 77 Don Cesare fu un punto di riferimento per la sua gente,

per l’impegno generoso e la saggezza umana e cristiana con cui

gestì la difficile situazione.

Pochi sanno anche che con la gente di Chizzola visse la vita del

profugo, durante la Prima Guerra mondiale, a Nereto in Abruzzo.

Per i suoi meriti civili fu insignito il 2 giugno 1959 del Cavalierato al

merito della Repubblica. Mori gli ha dedicato una delle vie principali

e la Parrocchia l’Oratorio.

Foto 78

“Per ricordare il tanto dolore causato dalla guerra, che nel nostro

Paese è stata anche guerra civile, vi proponiamo:

La madre*

Quando la sera tornavano dai campi

sette figli ed otto col padre

il suo sorriso attendeva sull’uscio

per annunciare che il desco era pronto

ma quando in un unico sparo

caddero in sette dinanzi a quel muro

la madre disse

non vi rimprovero o figli

d’avermi dato tanto dolore

l’avete fatto per un’idea

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perché mai più nel mondo altre madri

debban soffrire la stessa mia pena

ma che ci faccio qui sulla soglia

se più la sera non tornerete

il padre è forte e rincuora i nipoti

dopo un raccolto ne viene un altro

ma io sono soltanto una mamma

o figli cari

vengo con voi.

Ed ora ascoltiamo e cantiamo insieme Bella Ciao