Forme della scrittura e strutture del pensiero Anselmo Grotti secondaria... · Forme della...

26
1 Forme della scrittura e strutture del pensiero di Anselmo Grotti (Già pubblicato, con il titolo Tra analogico e digitale . La concezione del tempo e le forme del- la scrittura, in Massaro – Grotti, Il filo di Sofia, Torino, .Boringhieri 2000, pp. 202-239) “Un autore, che non ricordo, diceva che la punta della penna è un organo del cervello" Gaston Bachelard Premessa Leopardi si è occupato di computer? Sì, almeno in un certo senso. Li ha contrappo- sti ai “carmi”, affrontando con grande acutezza un problema ermeneutico: la ragio- ne è eminentemente calcolo o simbolo? Dobbiamo pensare al computer come a un calcolatore o a un elaboratore? Si tratta di tecnologie digitali o informatiche? Che ruolo hanno tali tecnologie nei processi culturali e nell’apprendimento? Perché la scuola dovrebbe occuparsene? Si tratta di sussidi, di un cambiamento rivoluziona- rio, di uno stravolgimento o di un rafforzamento dell’impianto umanistico? Le nuove tecnologie che avrebbero dovuto cancellare il libro forse manterranno la promessa o la minaccia nel futuro: per adesso sono riuscite a moltiplicare la pubblicazione di libri su di esse. Alcuni sono molti interessanti; altri indulgono a catastrofismi e la- mentele; altri tessono elogi sperticate a internet e al suo marketing; molti si con- centrano sugli ultimi cinque anni. Ritengo invece che una corretta impostazione esi- ga da un lato la percezione della dimensione di “storia profonda” dei processi cono- scitivi (a partire dai rapporti oralità/scrittura); da un altro lato la ricerca su quanto sia accaduto nella svolta del Seicento e, nel nostro secolo, tra gli anni ’30 e gli anni ’60. ? Cornici della mente Siamo liberi di dire quello che vogliamo quando parliamo? La risposta che di solito diamo a questa domanda è variabile. Rispondiamo naturalmente no se siamo sot- toposti a forme di pressione dall’esterno, sia di tipo fisico che psichico. Probabilmen- te no se siamo oggetto di continui messaggi propagandistici e pubblicitari. Con limi- tazioni più o meno ampie se siamo esseri umani con una storia, delle aspettative, delle collocazioni sociali ed economiche. Sostanzialmente sì se siamo “saggi” e “consapevoli”, sebbene non sia sempre chiaro che cosa esattamente si debba in- tendere con simili espressioni. Tuttavia, pur astraendo in questo momento dalle molteplici forme di condiziona- mento, esterno ed interno, nonché dalla disputa filosofica su libertà e determinismo,

Transcript of Forme della scrittura e strutture del pensiero Anselmo Grotti secondaria... · Forme della...

Page 1: Forme della scrittura e strutture del pensiero Anselmo Grotti secondaria... · Forme della scrittura e strutture del pensiero di Anselmo Grotti (Già pubblicato, con il titolo Tra

1

Forme della scrittura e strutture del pensiero

di Anselmo Grotti

(Già pubblicato, con il titolo Tra analogico e digitale. La concezione del tempo e le forme del-la scrittura, in Massaro – Grotti, Il filo di Sofia, Torino, .Boringhieri 2000, pp. 202-239)

“Un autore, che non ricordo,

diceva che la punta della penna è un organo del cervello"

Gaston Bachelard

Premessa

Leopardi si è occupato di computer? Sì, almeno in un certo senso. Li ha contrappo-sti ai “carmi”, affrontando con grande acutezza un problema ermeneutico: la ragio-ne è eminentemente calcolo o simbolo? Dobbiamo pensare al computer come a un calcolatore o a un elaboratore? Si tratta di tecnologie digitali o informatiche? Che ruolo hanno tali tecnologie nei processi culturali e nell’apprendimento? Perché la scuola dovrebbe occuparsene? Si tratta di sussidi, di un cambiamento rivoluz iona-rio, di uno stravolgimento o di un rafforzamento dell’impianto umanistico? Le nuove tecnologie che avrebbero dovuto cancellare il libro forse manterranno la promessa o la minaccia nel futuro: per adesso sono riuscite a moltiplicare la pubblicazione di libri su di esse. Alcuni sono molti interessanti; altri indulgono a catastrofismi e la-mentele; altri tessono elogi sperticate a internet e al suo marketing; molti si con-centrano sugli ultimi cinque anni. Ritengo invece che una corretta impostazione esi-ga da un lato la percezione della dimensione di “storia profonda” dei processi cono-scitivi (a partire dai rapporti oralità/scrittura); da un altro lato la ricerca su quanto sia accaduto nella svolta del Seicento e, nel nostro secolo, tra gli anni ’30 e gli anni ’60.

? Cornici della mente

Siamo liberi di dire quello che vogliamo quando parliamo? La risposta che di solito diamo a questa domanda è variabile. Rispondiamo naturalmente no se siamo sot-toposti a forme di pressione dall’esterno, sia di tipo fisico che psichico. Probabilmen-te no se siamo oggetto di continui messaggi propagandistici e pubblicitari. Con limi-tazioni più o meno ampie se siamo esseri umani con una storia, delle aspettative, delle collocazioni sociali ed economiche. Sostanzialmente sì se siamo “saggi” e “consapevoli”, sebbene non sia sempre chiaro che cosa esattamente si debba in-tendere con simili espressioni.

Tuttavia, pur astraendo in questo momento dalle molteplici forme di condiziona-mento, esterno ed interno, nonché dalla disputa filosofica su libertà e determinismo,

Page 2: Forme della scrittura e strutture del pensiero Anselmo Grotti secondaria... · Forme della scrittura e strutture del pensiero di Anselmo Grotti (Già pubblicato, con il titolo Tra

2

resta il fatto che la mia scelta delle parole è pur sempre fatta all’interno della lingua come realtà data prima di me e indipendentemente da me. La lingua rappresenta una sorta di “cornice” entro cui io scelgo liberamente, ma che come tale non è af-fatto oggetto di scelta. Analogamente, anche il particolare tipo di scrittura rappre-senta a sua volta una ulteriore “cornice” della mente. Le modalità con le quali la scrittura ha “messo ordine” nella mia esperienza conoscitiva del mondo aprono un complesso insieme di relazioni tra mente, linguaggio, realtà.

La memoria è una “invenzione” tipicamente umana1. Linguaggio e memoria sono fortemente correlati. Se un gatto viene assalito da un cane, avvertirà una forte pul-sione a combattere o a difendersi con la fuga. Con il tempo questo sarà in grado di generare nella specie meccanismi di paura e di controllo guardingo. Ma se un uomo vive situazioni di emergenza, passato il momento del rischio ripenserà all’accaduto, magari ne parlerà con qualcuno, sarà una notizia che si trasmetterà oralmente o addirittura per scritto sino a divenire al limite un patrimonio della comunità, sogget-to magari a mille interpretazioni e cambiamenti, ma bene comune, esperienza con-divisa della realtà.

Quando il linguaggio diviene anche scrittura, la sua capacità di strutturare l’esperienza, di essere la “cornice” del cervello si fa ancora più significativa2. Per noi, abitanti del XXI secolo, l’esperienza del linguaggio scritto o comunque “oggettivato” in un supporto diverso dalla voce umana è di una qualità profondamente diversa da quella di altri contesti culturali. Ripercorrerne, sia pure brevemente, le tappe può tra l’altro essere un efficace momento di esperienza dell’alterità.

? Tre valori del linguaggio, tre valori del tempo

Prendendo in prestito la terminologia relativa alla scrittura egizia, vengono identi-ficati tre possibili valori del linguaggio3:

1. Geroglifico. Di per sé significa “segno sacro”: attraverso la riproduzione stilizzata di realtà concrete si rimanda alla cosa raffigurata. Esiste comun-que anche un uso come fonogramma o come ausilio per la comprensione del contesto. Come per la scrittura cuneiforme, si oscilla tra il pittogramma e il fonogramma. Comunque, rimane la convinzione che la parola è la co-sa: l’identificazione tra il segno scritto e la realtà è così forte che la prassi medica egizia prevedeva che il papiro sul quale è scritta la formula contro il veleno dei serpenti dovesse essere sciolto in acqua e bevuto dal paziente. Come nella magia, non c’è differenza tra l’evento e la sua proclamazione verbale o scritta: i geroglifici che rappresentano realtà minacciose sono pericolosi esattamente come le realtà ad essi collegate. In genere quindi si omettono, si sostituiscono con perifrasi oppure si lasciano incompleti: il serpente velenoso è mutilato, così come il leone; i guerrieri non hanno le armi. Si tratta di un linguaggio eminentemente religioso e proprio del mito. Bene-dire o male-dire qualcuno produce direttamente una conseguenza,

1 “E negli uomini l’esperienza trae origine dalla memoria, giacché la molteplicità dei ricordi di un medesimo oggetto offre la possibilità di compiere un’unica esperienza” (Aristotele, Metafisica, 980b-981a), trad. di A. Russo, Laterza, Roma-Bari 1993. 2 Riprendo l’espressione da D. de Kerckhove, Brainframes, Baskerville, Bologna, 1993. De Kerckhove, che la-vora alla McGill University in Canada, è uno dei più noti allievi di McLuhan. 3 Il riferimento filosofico è a Giambattista Vico, i cui studi sul linguaggio restano da questo punto di vista di grande interesse.

Page 3: Forme della scrittura e strutture del pensiero Anselmo Grotti secondaria... · Forme della scrittura e strutture del pensiero di Anselmo Grotti (Già pubblicato, con il titolo Tra

3

perché la parola pronunciata è l’atto corrispondente. Al Dio della Bibbia è sufficiente pronunciare la parola perché la cosa pronunciata sorga all’esistenza. Il rapporto parola-cosa è univoco. In ambito giudiziario la condanna del reo avviene attraverso le parole del suo giudice, senza in-termediari che le debbano mettere in pratica. In ambito commerciale corri-sponde al baratto: il valore di uno sgabello di legno è, nei poemi omerici, di tre buoi, e la giovane schiava Euriclea viene acquistata da Laerte, padre di Ulisse, per venti buoi.

2. Ieratico. Si tratta di una scrittura corsiva, più facile da tracciare, anche se ancora con un forte alone di sacralità - come testimonia la stessa denomi-nazione che allude all’ambito sacerdotale. In questo ambito la parola ri-manda alla cosa, con la quale è in rapporto stabile. Si ha la percezione che la parola è “altro” dalla cosa, ma il loro collegamento non è arbitrario. Si tratta di un linguaggio di tipo filosofico, fortemente connesso al concetto di “simbolo”, nel senso etimologico di “mettere insieme” due significati: ciò che davvero significa la cosa in sé e l’altro cui per natura rimanda. Il rap-porto parola-cosa è analogico. In ambito giudiziario la sentenza del giudice non ha l’efficacia magica del significato geroglifico; tuttavia rimanda a un ordine oggettivo di leggi di natura e di leggi positive ad esse ispirate. Le sue parole hanno efficacia in quanto persona legittimata a pronunciarle e non possono essere modificate se non con le procedure di volta in volta stabili-te. In ambito commerciale corrisponde all’uso della moneta il cui valore nominale corrisponde tendenzialmente a quello effettivo. Si tratta in fondo di un baratto standardizzato: lo scambio avviene sempre tra “cose” aventi intrinsecamente il valore dichiarato. Se io utilizzo una moneta il cui valore dichiarato 100 corrisponde a un valore “interno” di 100 ho svolto un ba-ratto a tre invece che a due elementi. Mettendo in comunicazione il bene vendendo il quale ho ottenuto 100 e il bene che ho potuto comprare spen-dendo 100, anche in forma frazionata, la moneta ha svolto una vera e propria funzione di interfaccia.

3. Demotico. È una forma di scrittura più tarda, “popolare”, utilizzata in con-testi quotidiani e pratici. In questo ambito la parola sta al posto della cosa. L’accento è posto sull’alone di persuasione che assume la parola, cui però non corrisponde alcun tipo di realtà effettiva4. È l’uso eristico e retori-co in senso negativo della parola, fortemente presente nella propaganda politica e nella pubblicità commerciale. Il rapporto parola-cosa è equivoco. In ambito giudiziario corrisponde al tribunale speciale che obbedisce a un potere dittatoriale, al verdetto di una folla inferocita, alla campagna giorna-listica intesa a sconfiggere un avversario politico. In ambito commerciale corrisponde in senso positivo all’emanazione di biglietti di banca, titoli, car-te di credito i quali, pur non avendo alcun valore intrinseco e valendo uni-camente per una convenzione, hanno una certa stabilità finche dura l’accordo che rende credibile la convenzione stessa5. In senso negativo

4 Inutile sottolineare a questo proposito l’importanza degli slogan, delle formulazioni suggestive, dell’abuso di aggettivi di per sé senza significato ma che assumono valenze securizzanti e piacevoli (“fresco”, “nuo-vo”, “più che neutro”…). 5 Ma si pensi per contro al fallimento di una società quotata in Borsa, oppure alla bancarotta di uno Stato, o alla sua scomparsa per effetti di guerre, rivoluzioni, ecc.: ogniqualvolta cioè l’accordo sulla convenzione viene meno.

Page 4: Forme della scrittura e strutture del pensiero Anselmo Grotti secondaria... · Forme della scrittura e strutture del pensiero di Anselmo Grotti (Già pubblicato, con il titolo Tra

4

corrisponde ad effimeri successi borsistici di qualche società, alle vere e proprie truffe che partono dalla tradizionale falsificazione dei biglietti di ban-ca e altri titoli sino alle più “innovative” operazioni di pirateria informatica6.

C’è un tratto curioso in questa storia. Il linguaggio, per definizione mobile ed ete-reo (verba volant), aveva cominciato il suo cammino di “incarnazione” in supporti esterni all’uomo in modo molto corposo. Per quanto si siano usati sin dall’inizio sup-porti “fragili” per la scrittura quotidiana o di “esercitazione” come le tavolette di ce-ra, la scrittura “solenne” e fortemente significativa era incisa di preferenza su sup-porti “robusti”, per eccellenza la pietra. Poi il papiro, e dal papiro si va alla pergame-na, e quindi alla carta. La carta dapprima è fatta di stracci, capace quindi di attraver-sare i secoli. Poi la sia fa in modo più economico, con la pasta di legno, e il supporto si fa più instabile, facilmente sottoposto a degrado dopo appena un secolo di vita. La meccanizzazione della scrittura porta alle schede perforate, la cui durata è anco-ra più breve7, e infine ai supporti magnetici e ottici della situazione attuale. In un certo senso, non solo dei verba ma anche degli scripta si può dire che volant.

Anche il tempo intrattiene stretti rapporti con il linguaggio. Proviamo a fare una semplice tassonomia dei modi di concepire il tempo.

? Non sequenziale. In questo caso si parla di tempo onirico, cioè di tempo del sogno. Gli eventi semplicemente accadono, senza che vi sia o venga comunque ricercato un rapporto di causa-effetto. Possiamo immaginarlo come tipico di una società arcaica, nella quale gli uomini sono semplice-mente raccoglitori o cacciatori. Al mattino ci si alza e si va in cerca di cibo, ossessivamente: a volte “capita” di trovarlo, altre volte no. Ma è anche il tempo dell’infanzia, quando non si ha nessun controllo sugli eventi. Le pa-role, quando ci sono, hanno per lo più un significato geroglifico: il bambino dice “acqua” e magicamente in molti casi si materializza accanto a lui un bicchiere d’acqua. Gli adulti sono onnipotenti, e lui può essere onnipotente esercitando un controllo o una supplica verso di loro. Il linguaggio è deside-rativo, ricco di ottativi, condizionali, congiuntivi, imperativi: esprime biso-gni, timori, ordini. Ha scritto Bachelard: "Mi stupisce sempre che gli storici della filosofia pensino queste grandi im-magini cosmiche senza mai sognarle, senza mai restituire loro il privilegio della reverie" E prosegue: "Meglio mi sembra separarle e rompere così con l'opinione comune che crede che la reverie porti al pensiero. Le antiche co-smogonie non organizzavano pensieri, sono audacie della Reverie e per

6 Anche la scrittura della cartamoneta, il denaro, si fa sempre più convenzionale, volatile… e se non esistes-se? Vedi la paradossale tesi in M. Fini, Il denaro “Sterco del demonio”: Storia di un’affascinante scommessa sul nulla, Marsilio Editrice, Venezia, 1998 (2° edizione). Come è noto, l’espressione “sterco del demonio” è di Lutero. Il denaro era scomparso con la scomparsa pressoché totale della scrittura nell’alto medioevo, ricom-parendo dopo l’anno Mille. Oggi l’intero sistema monetario e creditizio deve continuamente alimentare se stesso, pena il collasso. E noi forse sappiamo, ma ci guardiamo bene dall’ammetterlo, che se volessimo con-vertire in beni i depositi, le azioni, le obbligazioni, ci troveremmo davanti il nulla: “il denaro non esiste”. Trionfo del significato demotico! 7 La presenza di supporti “meccanici”, ottici, magnetici, ecc. per la scrittura pone non banali problemi di compatibilità e di leggibilità. Quali macchine possono oggi leggere i dati conservati nei migliaia di chilome-tri di schede perforate prodotti solo pochi anni fa? Oppure i dati magnetici nei floppy disk grandi come un 33 giri o nelle videocassette Video2000? Certamente è possibile di volta in volta riversare i dati dai vecchi ai nuovi supporti, ma si tratta davvero di una fatica di Sisifo.

Page 5: Forme della scrittura e strutture del pensiero Anselmo Grotti secondaria... · Forme della scrittura e strutture del pensiero di Anselmo Grotti (Già pubblicato, con il titolo Tra

5

dare loro vita bisogna imparare di nuovo a sognare. Solo adesso gli ar-cheologi comprendono l'onirismo dei primitivi. Kerényi scrive: ‘L'acqua è la più mitologica degli elementi’”8. Quando gli studenti scoprono che Talete pone a principio di tutte le cose l’acqua, occorrerebbe spiegare loro che ta-le espressione è più vicina alle acque del parto che alla formula chimica dell’acqua o all’elemento che sgorga dal rubinetto. D’altra parte il modo che hanno i bambini di “dare un nome” alle cose è inequivocabilmente ge-roglifico: ci sono alcuni anni durante i quali il “tavolo” è per definizione il ta-volo della propria cucina: è un nome proprio. L’infanzia è l’età dei nomi propri, sosteneva Proust. “L'infanzia vede il Mondo Illustrato, il Mondo con i suoi colori primi, i suoi colori veri. Il grande passato che riviviamo fanta-sticando i nostri ricordi di infanzia è proprio il mondo della prima volta[...]. Tutte le estati della nostra infanzia testimoniano ‘l'estate eterna’"9.

? Sequenziale. In questo caso il tempo è qualcosa che “scorre”, “passa” da una fase ad un’altra, secondo un rapporto tendenzialmente di causa ed ef-fetto. Tale rapporto, prima di essere concettuale, è biologico: è il rapporto di “madre” e “figlio”. La fisica è innanzitutto una cosmogonia, generazione dell’universo. La terra è “madre” e produce ogni cosa partorendola. Lo stesso Aristotele attribuisce ai presocratici la scoperta della causa “mate-riale”, pur rimproverandoli per essersi fermati solo a questa, così che cau-sa ed effetto sono ancora confusi. La materia è ancora mater, “mamma”, un “luogo” dove le cose producono se stesse. Come l’Uno di Plotino ema-na continuamente se stesso, come la Sostanza di Spinoza non è separata dai suoi attributi, così c’è un legame, un cordone ombelicale tra soggetto dell’azione e oggetto dell’azione. Questo significa, rimanendo nel nostro ambito di interesse, che parola e cosa si richiamano continuamente, per cui ad esempio conoscere il nome di qualcosa o qualcuno conferisce uno speciale potere su di essi. La scoperta del ruolo dell’uomo nel concepi-mento segna forse il tramonto della società matriarcale. Nella nuova so-cietà patriarcale è il padre ad essere causa del figlio, così che causa ed ef-fetto sono più definiti. In nessuna fase della vita del figlio infatti c’è mai un cordone ombelicale che lo leghi al padre. Le cose hanno una loro alterità, per quanto la connessione tra loro sia comunque stabile e ben definita. In tutto questo periodo è andato sempre meglio definendosi un prima e un poi, per cui qualcosa “transita” dal soggetto all’oggetto. Questo tempo che

8 G. Bachelard, La poetica della reverie,, Dedalo, Bari , 1984 (II ed.), p. 191. Le società arcaiche vivono questo aspetto onirico del tempo, che esclude la percezione di un rapporto causa-effetto, fin nell’idea stessa di ge-nerazione. Poiché non è nota la funzione del maschio nel concepimento, il fatto che la femmina resti incinta è semplicemente un fatto che “accade”. È significativo il fatto che la lenta costruzione del paradigma causa-effetto preceda l’individuazione della causa effettiva: a poco a poco si va in cerca di una causa comunque determinata, e poco importa se quella autentica è ancora nascosta: il paradigma del tempo sequenziale permette la scoperta scientifica, piuttosto che il contrario. In questa fase “la gravidanza è diffusamente con-siderata l’incarnazione nella donna di uno spirito che può giungere a lei nei modi più diversi: per contatto con una sostanza magica o con il passaggio attraverso un centro totemico; possono esserci gravidanze pro-vocate da alcuni fiori o frutti, dalle acque dei fiumi o dei mari, dalla pioggia o dal vento, dagli astri, frequen-temente dai poteri fecondanti della luna”, G. Lo Russo, La nascita del padre, “Famiglia Oggi” 11 (1999), p. 9. , Questo vale non soltanto per le società arcaiche antiche ma anche per quelle dei giorni nostri come alcuni gruppi della Melanesia studiati a lungo da Malinowski (La vita sessuale dei selvaggi nella Melanesia sud-occidentale, Feltrinelli, Milano 1961). 9 Ib., p. 128.

Page 6: Forme della scrittura e strutture del pensiero Anselmo Grotti secondaria... · Forme della scrittura e strutture del pensiero di Anselmo Grotti (Già pubblicato, con il titolo Tra

6

chiamiamo sequenziale è però ulteriormente suddivisibile in altre due clas-sificazioni: ciclico e lineare.

o Tempo ciclico. Il tempo scorre secondo un ritmo che ripete, a in-tervalli anche molti diversi tra loro ma stabili, la sequenza immutabi-le di un passo di danza. È un tempo tipico di società dedite all’allevamento e all’agricoltura, nelle quali esistono momenti ben precisi per gli spostamenti ai pascoli, le gravidanze delle femmine, e soprattutto la semina, il raccolto e tutte le operazioni agricole in ge-nere. I ritmi quotidiani della vita vengono fortemente interiorizzati, e il ciclo delle stagioni offre un paradigma costante dell’esperienza umana. Esiste una forma di controllo sugli eventi, che non sono più immotivati e in balia del semplice “accadere”. Il progressivo indebo-lirsi del sole in inverno non si accompagna al terrore per la scompar-sa definitiva della luce. La parola è in grado di descrivere quanto ac-cade, di calcolare i percorsi degli astri e le fasi della luna. Si tratta di fenomeni ciclici, come lo sono la vita umana e la prosperità degli stati. Un’unica legge governa il mondo delle stelle e dei pianeti, il rit-mo del giorno e della notte, delle stagioni, della vita e della morte, del successo e della caduta dei regni e degli eroi. “Da dove infatti gli esseri hanno l’origine, ivi hanno anche la distruzione secondo neces-sità: poiché essi pagano l’uno all’altro la pena e l’espiazione dell’ingiustizia secondo l’ordine del tempo” (Anassimandro): dal lun-ghissimo anno cosmico al ciclo più breve, ogni evento è racchiuso in una parabola in cui la causa ultima della morte è proprio l’esser ve-nuti alla vita10. In rapporto al linguaggio, la concezione ciclica del tempo si presta molto bene alla costruzione infinita di allegorie, ri-mandi, metafore. Il mito non avviene in un tempo determinato, ma rappresenta un archetipo in grado di funzionare nei luoghi e nei tem-pi più diversi.

o Tempo lineare. La concezione ebraica del tempo introduce una no-vità di rilievo. Per la prima volta viene interrotta la ciclicità fonda-mentale, quella dell’universo fisico. Le civiltà antiche hanno costan-temente temuto il ritorno del caos, del disordine, sul cosmos, sull’ordine dell’universo a fatica conquistato da dèi benevoli, demiur-ghi e legislatori del mondo fisico (con perfetta analogia tra la guerra civile e la pax presenti nelle formazioni politiche, rese possibili da le-gislatori visti come semidei). Gli ebrei invece hanno ritenuto che mai più un diluvio sarebbe tornato a riportare il caos, visto come ritorno alla confusione di acqua e di terra. Jahvé ha fatto questa promessa, e d’altra parte egli non ha semplicemente ordinato il mondo, ma lo ha creato – anche se nella realtà storica questa percezione è andata affermandosi solo gradualmente. La cultura ebraica parla esplicita-mente di storia della salvezza, e gli avvenimenti che accadono in es-

10 Circola nell’ambiente medico francese la seguente battuta: “Qual’è la malattia che si trasmette con il sesso e conduce inevitabilmente alla morte?”: Naturalmente tutti pensano a malattie come l’aids, mentre la rispo-sta esatta è “la vita”. Il motivo ultimo per cui si muore in fondo è proprio l’esser nati. Tutta la mitologia an-tica, non solo greca, esprime l’impossibilità di oltrepassare questa soglia, con i falliti tentativi di salvare l’amico o l’amata, nel poema di Gilgamesh come nella vicenda di Orfeo. La via d’uscita allora è casomai la negazione della realtà della morte attraverso la reincarnazione.

Page 7: Forme della scrittura e strutture del pensiero Anselmo Grotti secondaria... · Forme della scrittura e strutture del pensiero di Anselmo Grotti (Già pubblicato, con il titolo Tra

7

si non sono allegorie, quanto piuttosto simboli o figure11. La parola rimanda certamente ad altro da sé, ma questo è possibile innanzi-tutto perché essa è vera in sé. Certamente è corretto dire che il passaggio degli ebrei attraverso il mar Rosso simboleggia la fuoriu-scita dal peccato di ciascun pio ebreo, ma tutto si regge sulla effetti-va storicità del fatto accaduto, ricostruibile “storicamente” in un momento preciso, al contrario di un qualsiasi mito greco che “spie-ga” qualcosa senza avere un tempo storico preciso12. Il tempo ac-cade una sola volta, divenendo esso stesso una delle cose create da Dio. Sarà questo paradigma a connotare di sé dapprima la cultura cristiana e poi, per successive trasformazioni e secolarizzazioni, la cultura dell’età moderna e di concetti come “progresso”. Un tempo sempre più esasperatamente lineare, senza gli aspetti legati ai riti e all’aldilà, riti che erano ancora in grado di mettere in comunicazione tempi diversi. Dal punto di vista del linguaggio questo porta, come dirò in seguito, a un progressivo abbandono dell’atteggiamento in-terpretante ed ermeneutico verso i testi a favore di un’analisi se-condo procedure più vicine al calcolo che al simbolo.

Anche la percezione del tempo non è un dato statico. Che ruolo ha avuto l’evolversi del linguaggio e della scrittura nella strutturazione dell’esperienza crono-logica? Tempo e spazio, così collegati tra loro, sono stati percepiti in occidente sempre più come qualcosa di ben definito e misurabile13. Che cosa succede alla per-cezione di tempo e spazio nelle generazioni modellate dai nuovi linguaggi tecnologi-ci?

? Alfabeto e Mente

In generale, le lingue che usano le immagini, si scrivono dall’alto in basso secondo una sequenza verticale, mentre quelle che rappresentano suoni si scrivono secondo una sequenza orizzontale. Queste ultime si dividono poi in ulteriori due gruppi: le scritture che vanno verso destra e quelle che vanno verso sinistra. Pressoché tutte le lingue che non hanno vocali si scrivono da destra a sinistra, mentre quelle che hanno anche le vocali si scrivono da sinistra a destra. Unica eccezione nota, per a-desso, è l’etrusco il quale, pur contenendo vocali, si scrive verso sinistra. Vari stu-diosi sostengono che ciò è in relazione con la preminenza data a funzioni diverse del nostro cervello e della nostra mente. Sia pure in forme diverse e secondo diver-se prospettive, si è sempre individuato una sorta di bipolarismo nella mente umana. Già Platone e Aristotele distinguevano una conoscenza che procede per gradi e per suddivisioni dei problemi da una conoscenza immediata e globale. Nel primo caso si ha il ragionamento passo passo, come nelle dimostrazioni di un teorema matema-tico, secondo uno schema “dianoetico”: qualcosa che viene analizzato dalla mente attraverso una serie di passaggi. Nel secondo caso invece si ha una percezione pro-fonda, “noetica” – dove noetica richiama certamente il nous inteso come “mente”, 11 Nel senso utilizzato ad esempio da N. Frye, Il grande codice. La Bibbia e la letteratura, Einaudi, Torino, 1986. 12 Non a caso il calendario ebraico parte direttamente dalla creazione del mondo. 13 Vedi la storia di Michael Smart riportata da de Kerckhove in Brainframes, op. cit. pp. 72-3. Lo studioso Smart sta attraversando le immense foreste dell’Ontario settentrionale, in Canada, con l’aiuto di una guida algonchina. A un certo punto si accorgono che qualcosa non va. La reazione dell’”occidentale” Smart è ov-viamente un “Ci siamo persi!”. La reazione della guida algonchina è invece diversa: “Il campo base si è perso”. La differenza è quella tra attraversare uno spazio o spingere uno spazio sotto i propri piedi.

Page 8: Forme della scrittura e strutture del pensiero Anselmo Grotti secondaria... · Forme della scrittura e strutture del pensiero di Anselmo Grotti (Già pubblicato, con il titolo Tra

8

ma anche il primitivo significato di “odorare”. Come la bestia percepisce nella pro-fondità delle sue fibre attraverso l’olfatto la presenza di un nemico o di una preda, così questo tipo di conoscenza – possibile nell’uomo solo per brevi istanti – coglie la profonda unità del reale. Credo che si possano accostare a quella Dianoeti-co/Noetico altre cinquanta definizioni di questa contrapposizione: Intellet-to/Intuizione; Convergente/Divergente; Positivo/Mitico; Trasformaziona-le/Associativo, ecc. Al di là delle terminologie e senza troppo enfatizzare la suddivi-sione biologica tra i due emisferi del cervello – ma senza neppure ignorarla - , resta il fatto che abbiamo fondamentalmente due modi diversi di usare il pensiero e di ve-dere la realtà. D’altra parte, è sufficiente pensare alla nostra esperienza relativa all’apprendimento della scrittura. Un certo gruppo generazionale ha imparato a scri-vere secondo una modalità decisamente “dianoetica”: prima di arrivare a scrivere le parole, abbiamo cominciato a fare cerchi ed asticelle. Poi abbiamo combinato cerchi ed asticelle sino a comporre singole lettere; poi abbiamo combinato le singole lette-re per comporre sillabe; poi abbiamo combinato le sillabe in parole e poi infine co-struito con le parole i cosiddetti “pensierini”. Analogamente, la lettura avveniva per riconoscimento successivo delle singole lettere, faticosamente collegate a formare sillabe e infine parole. Altre generazioni hanno imparato a leggere e scrivere in mo-do opposto: riconoscendo intere parole, da suddividere solo in un secondo mo-mento negli elementi atomici che le compongono. Certamente in ultima analisi tutti abbiamo imparato comunque a leggere e a scrivere, ma i due modelli sono in effetti profondamente diversi. Il primo offre ad esempio una maggior precisione nella scrit-tura e nel dettaglio; per contro è possibile rendere correttamente i singoli suoni del-la parole senza capire nulla del loro significato. Il metodo globale velocizza l’apprendimento della lettura, a scapito forse di una certa precisione. In questa caso la variante è comunque limitata a due diversi modelli di apprendimento della stessa lingua, dotata sia di consonanti che di vocali. Ma che succede nelle lingue che hanno solo consonanti?

Le lingue che non hanno vocali privilegiano un approccio globale con la realtà: so-lo se vedo contemporaneamente tutte le lettere posso capire il significato di una parola. Se leggo “TVL”14 posso fare qualche ipotesi ragionevole solo alla fine della lettura/scrittura. Quante parole iniziano con T, o hanno le prime due consonanti T e V? Se però leggo TVL e so che la parola è terminata, posso pensare che la parola sia “tavolo”. Tuttavia potrebbe essere “tavola”, o “tavoli”, o “tavole” o addirittura cambiare campo semantico e diventare “Tivoli”. Si comprende bene a questo punto che il contesto necessario non è solo quello della singola parola, ma della frase e, in ultimo, la cornice generale o “campo” del discorso. Se leggo “FNTN TVL” identifico senza possibilità di errore la scrittura “Fontana di Tivoli”. Acquisito sin dalla primissi-ma età, tale meccanismo di interpretazione della realtà diviene un elemento fonda-mentale dell’esperienza di sé e del mondo. Ma perché si scrive verso sinistra? Se-condo de Kerckhove entrano in gioco le differenti caratteristiche dei due emisferi del cervello. Scrivendo verso sinistra metto subito in funzione la parte del cervello ca-ratterizzata da un’intelligenza globale, sintetica. La svolta fondamentale è quindi quella avvenuta con i Greci. Inserire le vocali nella scrittura cambia il modo di identi-ficare della parola. Piuttosto che il contesto, è necessaria il preciso riconoscimento dei singoli segni di scrittura: posso fare ipotesi sempre più precise via via che leggo: l’espressione T-i-v-o-l-i in questo caso viene identificata per passi successivi. Quan-

14 Che naturalmente dovrebbe essere scritto LVT, poiché la direzione della scrittura e della lettura in questo caso sarebbe senz’altro da sinistra a destra. Per semplicità di lettura ometto però questo particolare.

Page 9: Forme della scrittura e strutture del pensiero Anselmo Grotti secondaria... · Forme della scrittura e strutture del pensiero di Anselmo Grotti (Già pubblicato, con il titolo Tra

9

do i Greci hanno inserito le vocali nel loro alfabeto, primi tra tutti, hanno per così di-re "costretto" le nostre mani a cambiare il senso della scrittura: da sinistra e destra, perché la parte del cervello coinvolta in questo processo cambiava. I fenici infatti avevano ancora una scrittura verso sinistra. Ma in tal modo si è venuto sviluppando non solo un diverso modo di scrivere, ma anche di organizzare le idee, di pensare, in ultima analisi di vedere il mondo. Invece di dare importanza alla globalità, si è pri-vilegiata l’attività di analisi, il vedere le cose un pezzo alla volta, scindendole nelle lo-ro componenti, suddividendole in problemi più piccoli… La scrittura di tipo globale è certamente più adatta a valorizzare una sorta di “principio di autorità”, nonché a valori di tipo “geroglifico” nel senso sopra indicato. La scrittura alfabetica (e questa è una posizione abbastanza diffusa, presente ad esempio anche in Gadamer) ha giocato un ruolo importante proprio nella nascita del pensiero filosofico così come lo conosciamo in Occidente. Certamente la riflessione filosofica in senso lato è co-munque sempre stata presente nel genere umano15 e molte altre tradizioni culturali hanno importanti concezioni del mondo. Tuttavia esiste una specificità della rifles-sione greca che non può essere sottovalutata, e la lingua greca ha in effetti giocato un ruolo determinante.

L’introduzione delle vocali avrebbe così provocato una enorme rivoluzione nel pensiero, introducendo il bisogno di chiedersi un perché delle cose, avviando la ri-flessione filosofica e quella scientifica. In un certo senso, perfino l’informatica, intesa come attitudine a suddividere un unico problema complesso in procedure assai lun-ghe ma fatte di problemi elementari, di tipo binario (vero/falso; presente/assente; acceso/spento) ha nel greco una sua profonda radice. Non si combinano più dei se-gni in base al contesto (riconoscimento), ma si allineano dei segni in una sequenza (analisi). Secondo de Kerckhove il nostro cervello e il nostro sistema visivo “voglio-no” che noi scriviamo verso destra, così che ci appare “naturale” che il passato sia a sinistra, dove la scrittura è già stata depositata su di un foglio, mentre il futuro è a destra, in quello spazio bianco del foglio che sarà il supporto di nuove lettere16. La stessa prospettiva è un frutto della rivoluzione alfabetica, di per se stessa innaturale e frutto di una civiltà alfabetizzata come quella del Rinascimento. La prospettiva, essendo costituita di spazio organizzato, è “tendenziosa”, ci dà una visione della realtà ben strutturata e ordinata. Secondo questa ipotesi l’assenza di prospettiva nella pittura non è una vera “mancanza”, una “non conoscenza” tecnica, ma e-spressione di un’altra visione della realtà. A suo tempo ebbe un effetto quasi magi-co, ed ha certamente costituito un altro passo nella direzione di quel rapporto tra scrittura ed architettura17 che è stato affrontato più sopra. La scrittura alfabetica diviene una potente metafora della realtà: Democrito utilizza le lettere dell’alfabeto

15 Seppellire i propri morti, a volte scegliendo addirittura la posizione fetale e costruendo tombe a forma di utero, è sicuramente una forma di riflessione filosofica, come dipingere grotte in posizioni difficilmente ac-cessibili, inventare riti per il corteggiamento, ecc. 16 Per paradosso, si potrebbe ipotizzare il curioso caso di un grafico preparato da una - solerte ma ignara della scrittura occidentale - segretaria araba per il suo direttore anglosassone: quella linea che a sinistra è in basso e a destra è in alto sta descrivendo strepitosi successi di vendite o profetizzando al manager un licen-ziamento immediato per il crollo lugubre dei profitti aziendali? 17 Architettura come gestione dello spazio. Alcuni grandi libri mistici di preghiere ebraiche del XVIII secolo sono descritti come “partiture” nelle quali il testo delle preghiere è accompagnato da una rappresentazione grafica, per così dire “musicale” dei nomi di Dio. Si pensi inoltre alla gestione dello spazio e ai complicati giuochi astratti della scrittura araba.

Page 10: Forme della scrittura e strutture del pensiero Anselmo Grotti secondaria... · Forme della scrittura e strutture del pensiero di Anselmo Grotti (Già pubblicato, con il titolo Tra

10

per descrivere gli atomi; per parlare del codice genetico utilizziamo di nuovo le let-tere.

? Tra il suono e l’immagine: il caso del giapponese

Come spesso accade, sono le zone di confine ad esprimere situazioni interessan-ti. Basti pensare agli incontri (e scontri) tra le culture latina ad araba nel medioevo, oppure, ai giorni nostri, al Giappone18. Se quanto esposto sopra è vero, l’uso con-temporaneo di più modelli, come è normale per i bambini giapponesi, dovrebbe avere conseguenze rilevanti.

La lingua giapponese è di tipo misto, sia ideografico che fonetico. La parte foneti-ca poi non distingue con chiarezza tra vocali e consonanti, cosa che non permette l’esistenza di un alfabeto –un elemento invece per noi del tutto naturale. I suoni fondamentali sono così raccolti in un sillabario di 45 elementi, comprensivi delle vo-cali: a questo numero vanno aggiunti 20 suoni impuri, 5 semipuri, 36 contratti, per un totale di 106 suoni. I sillabari sono comunque due, entrambi risalenti al IX secolo, di cui il più usato si chiama hirigana, mentre quello chiamato katagana viene usato per rappresentare le parole di origine straniera. Tra le parole di origine straniera però non vanno inserite quelle cinesi, perché il giapponese ha importato già dal IV secolo proprio dalla Cina un sistema composto da circa 2000 ideogrammi, chiamati kanij. Gli ideogrammi sono utilizzati per indicare tutte le parole che hanno un significato in-trinseco, secondo un rimando immediato tra parola e cosa. Il sillabario hirigana vie-ne invece usato per rappresentare le parti del discorso senza significato intrinseco (suffissi, prefissi, ecc.). Dopo la restaurazione Meji (nel 1868) viene impiegato il romaji, un alfabeto occidentale i cui caratteri latini servono a traslitterare tutti i vo-caboli. Infine, compare ovviamente l’inglese come lingua internazionale. Sempre nel 1868 un imperatore di 14 anni trasferisce la capitale a Tokyo, dopo lo sdegno per i trattati internazionali subiti dal Giappone in seguito alla spedizione militare america-na del 1854. Forse il romaji ha avuto una funzione non minore rispetto alle canno-niere nell’inserire il Giappone nelle vicende politiche ed economiche mondiali. D’altra parte, il romaji non ha mai cancellato le altre forme di scrittura.

La capacità di leggere e scrivere sia per immagini, per suoni sillabici e sia infine per singole lettere non è indifferente nel modellare personalità estremamente rigorose, in grado di organizzare e risolvere problemi. I bambini delle scuole elementari si e-sercitano moltissimo nella scrittura, dovendo imparare una grande quantità di segni con logiche diverse tra loro. Fa una certa impressione anche l’uso dei computer: non tanto per la quantità19, come a volte pensiamo nel nostro immaginario, quanto

18 Nel 1997, su invito dalla Japan Foundation, ho svolto un periodo di studio in Giappone sul locale sistema scolastico e sull’utilizzo delle tecnologie informatiche nell’apprendimento. Le considerazioni che seguono devono molto a quegli incontri di studio, ma anche alle visite alle scuole, dalle elementari alle superiori, e all’ospitalità di docenti e presidi.

19 È però fortissima la spinta all’innovazione. Il governo giapponese intende dotare ogni classe di 20 com-puter (che significa un computer ogni due studenti, visto che mediamente le classi sono molto numerose, almeno rispetto alle nostre abitudini). Qualcosa di simile al progetto italiano del Piano per lo Sviluppo delle Tecnologie Didattiche, appena concluso, o a quello inglese (ancora più ambizioso del nostro, volendo dota-re ciascun studente di accesso a internet e posta elettronica entro il 2001). Si tratta di sfide importanti, pur-ché si percepisca che l’aspetto tecnologico è solo uno dei versanti, anche se ovviamente irrinunciabile. C’è anche tutto il resto: i docenti sono in grado di aiutare gli studenti a un uso consapevole e critico di queste

Page 11: Forme della scrittura e strutture del pensiero Anselmo Grotti secondaria... · Forme della scrittura e strutture del pensiero di Anselmo Grotti (Già pubblicato, con il titolo Tra

11

per le modalità di scrittura. I tasti del computer riportano l’alfabeto romaji, ma sul monitor appaiono i corrispondenti ideogrammi kanji. Pensiamo alle complesse inte-razioni che si svolgono nella mente di un bambino che viene avviato a una così complessa tipologia di scrittura, dove l’immagine continua a rivestire un ruolo fon-damentale. Se Roland Barthes ha potuto definire il Giappone l’impero dei segni è perché ogni aspetto dell’esistenza viene percepito e comunicato attraverso un’immagine: dalla straordinaria cura per i giardini, all’eccezionale tradizione della pittura, ai nomi propri così suggestivi. Fino ad aspetti di vita quotidiana che tanto colpiscono gli occidentali, come l’abitudine dei ristoranti di mettere in vetrina copie perfette dei cibi presenti nel menu. Scrittura per immagini, ideogramma a tre di-mensioni: il piatto – o la stessa bevanda – in archetipo non sono spiegabili soltanto con la necessità di superare le barriere linguistiche (pure piuttosto forti per un occi-dentale), poiché sono diffusi anche in locali frequentati per lo più da giapponesi. Piut-tosto, essi esprimono una visione del mondo, un modo di avvicinarsi alle cose. Le strade di Ginza, a Tokyo, sulle quali incombono giganteschi schermi televisivi, sono espressione del bisogno giapponese di costruire una rappresentazione visiva del mondo. Da questo punto di vista, i sistemi Apple e Windows ci hanno abituato a tutta una serie di icone sul monitor dei nostri computer, ricostituendo anche per noi una convivenza tra scrittura fonetica e ideografica. Anche i nostri bambini ricono-scono in maniera rapidissima le icone e le immagini: è ancora aperto il gioco tra rappresentazione globale ed analitica del mondo, è ancora stereo la nostra visione del mondo, tra una parte dell’occhio che riconosce un’area e un’altra parte che la analizza.

? Nessuna immagine, ma solo voce: il caso dell’ebraico

Le scritture più antiche sono scritture ideografiche: l’immagine gioca un ruolo de-cisivo. Quando i Greci usano la scrittura alfabetica, rimangono fedeli al primato co-noscitivo della vista: tutto lo sciame semantico delle parole che indicano sapere proviene da questa sorgente (con rare eccezioni per la provenienza arcaica di nous da fiutare): Idea, Teoresi, ecc. “Ascoltare” invece ha un certo senso peggiorativo: ad esempio i postulanti della scuola di Pitagora devono limitarsi ad ascoltare il mae-stro, senza poterlo vedere (e per questo sono detti acusmatici, dal verbo “ascolta-re”). Ben diversa la situazione presso gli Ebrei.

“Ascolta Israele” recitano le Scritture e ogni pio ebreo che espone ai figli la Legge divina. Invece che la tematica della luce - tipica della tradizione greca – abbiamo la tematica del linguaggio, tipica della tradizione ebraica20. La rivelazione è innanzitutto un fenomeno acustico, un suono, il suono della parola di Dio che opera la creazione del mondo. “Guardare” la realtà infatti presuppone, anche nel caso in cui la luce provenga da una alterità, una sorta di suo “possesso”. “Ascoltare” la realtà non la pone come oggetto, ma come Soggetto. Dio non è qualcosa di cui si parla, ma piuttosto Qualcuno a cui si può parlare perché egli per primo ci ha “rivolto la paro-la”.

tecnologie? Il mercato editoriale è in grado di offrire prodotti culturalmente e didatticamente validi? È diffusa adeguatamente una cultura informatica e della comunicazione?

20 Anche se, come sempre avviene quando si usano queste grande distinzioni, tale classificazione rimane valida come orientamento generale, mentre la storia effettiva delle due tradizioni culturali crea numerosi punti di contatto.

Page 12: Forme della scrittura e strutture del pensiero Anselmo Grotti secondaria... · Forme della scrittura e strutture del pensiero di Anselmo Grotti (Già pubblicato, con il titolo Tra

12

“Voi non avete visto alcuna immagine- solo una voce” (Deuteronomio 4,12). Secondo la tradizione cabalistica ebraica la parola di Dio è percepibile come suono e come scrittura21. C’è un nesso ineliminabile tra il concetto di verità della rivelazione e quello di linguaggio. Il linguaggio non è soltanto lo strumento della comunicazione, ma ha una dimensione più profonda, simbolica: ha il compito paradossale di comu-nicare un non-comunicabile. Abbiamo visto come nella funzione geroglifica del lin-guaggio fosse presente una forte valenza magica. La Bibbia invece intende operare una decisa de-magizzazione della realtà, linguaggio compreso. Mentre i riti pagani sono pieni di formule magiche, geroglifiche, il sacerdote ebreo impartisce a voce una solenne e famosa benedizione: dopo di che esegue tutte le sue pratiche e i suoi sacrifici senza parlare22. Scrivere il nome di Dio coinvolge profondamente il sacro, tanto che chi ha cominciato a tracciarne le parole non può rispondere, prima di aver terminato, neppure al saluto del re. Progressivamente tale nome diviene impronun-ciabile, specialmente dopo la distruzione del Tempio di Gerusalemme.

Il più famoso dei nomi ebrei di Dio è il tetragramma: quattro consonanti che all’origine hanno il difficile e paradossale compito di “dire” Dio contemporaneamente riconoscendone l’assoluta trascendenza23. Ciò che fa essere tale l’uomo, secondo la Bibbia, non è tanto l’anima, posseduta anche dagli animali, quanto piuttosto il lin-guaggio. In Genesi 2,7 si legge che l’alito divino rese l’uomo “un essere vivente”: ma la traduzione usata nel servizio religioso della sinagoga è invece “uno spirito parlante”. Nei primi secoli dopo Cristo la cabbala ebraica parla di 32 “prodigiosi sen-tieri della Sophia”, costituiti dai 10 numeri primordiali (le Sefiroth) e dalle 22 lettere dell’alfabeto, che poi sono le consonanti. I numeri dal 5 al 10 corrispondono alle sei direzioni dello spazio, che Dio ha misurato con le tre permutazioni delle consonanti J H W: ripetendo la H abbiamo il tetragramma, i quattro sigilli apposti alla creazione e che la proteggono dal disfacimento. È grazie a questa convinzione che – come si è detto sopra – gli ebrei escono dal tempo ciclico dell’alternanza caos/cosmos: nessun caos potrà più distruggere il cosmos. Secondo l’analogia tra microcosmo e macrocosmo inoltre queste lettere sono affidate ai cinque organi del linguaggio arti-colato: gola, palato, lingua, denti, labbra. Complessi calcoli inoltre fanno ottenere dalle 22 consonanti 231 combinazioni, vere e proprie “porte” da cui esce il creato. L’alfabeto è l’origine della lingua e dell’essere. Secondo un mistico del XIII secolo, l’intera Torà è costituita da un lunghissimo elenco di “nomi propri”, venendo ad es-sere così più una invocazione che una comunicazione. Il profondo rapporto tra pa-rola e cosa è indicato anche dal termine ebraico dawar, in grado di rendere entram-be le realtà: l’espressione linguistica ma anche la cosa rappresentata. Dio non è so-lo il parlante infinito, ma anche lo scrivente archetipico. Il linguaggio dei mistici è fat-to di nomi propri, senza grammatica. Ma il linguaggio umano, riflesso di quello divi-

21 Mi servo della dotta e chiara sintesi offerta da G. Scholem, Il nome di Dio e la teoria del linguaggio della Cab-bala, in “Filosofia e Teologia” n. 3 (1991). Ma si veda anche E. Levinas, Nomi propri, Marietti, Casale Monfer-rato, 1984 e sempre di E. Levinas, Trascendenza e intelligibilità , Marietti, Genova, 1990. Sintesi assai utili sono infine quelle di A. Chouraqui, Il pensiero ebraico , Queriniana, Brescia, 1989 eA.C. Avril – P. Lenhardt, La lettu-ra ebraica della scrittura, Edizioni Qiqajon, Vicenza 1984. 22 Per altri autori, come von Rad, l’invocazione del nome di Jahwe rappresenta invece una sorta di analogia del culto prestato all’immagine del Dio in altre religioni. Inoltre Numeri 5,11-16 prevede che alla donna so-spettata di tradimento verso il marito venga fatta bere dell’acqua che ha sciolto le imprecazioni scritte su di un rotolo. Se la donna è innocente ne uscirà indenne, ma se ha tradito il marito “il ventre le si gonfierà e i fianchi avvizziranno”. 23 I nomi divini “alternativi” giocano su complesse espressioni di 12, 42 e 72 lettere.

Page 13: Forme della scrittura e strutture del pensiero Anselmo Grotti secondaria... · Forme della scrittura e strutture del pensiero di Anselmo Grotti (Già pubblicato, con il titolo Tra

13

no, ha nella grammatica un luogo rivelatore: Schlegel diceva che i filosofi dovrebbe-ro essere dei grammatici.

Come si è detto, la prescrizione rabbinica vuole che la Torà sia scritta con le sole consonanti. La cabbala ne fa derivare la presenza di una serie infinita di strati di sen-so nel testo: essi sono come nascosti in una sorta di virtualità che li rende singo-larmente esplorabili ma complessivamente inaccessibili. Nei “milioni di mondi “ dove gli esseri creati percepiscono la rivelazione di Dio, la Torà si presenta in una infinita “pienezza di sensi”. Se nella scrittura fossero presenti anche le vocali, questa ric-chezza sarebbe andata perduta. Al contrario essa è l’interpretabile per eccellenza, secondo un’idea di infinita ermeneutica del testo.

In principio anche la lingua umana aveva un carattere sacro. La tracotanza degli uomini che a Babele decisero di “farsi un nome” provoca la confusione delle lingue, derivata dalla pretesa di appropriazione magica del linguaggio24. Persa la memoria della lingua originaria, sono nate le lingue profane, con il loro aspetto convenzionale e, per così dire, “demotico”. Tuttavia, nel linguaggio rimane pur sempre, anche quando è profano, traccia del divino - purché il linguaggio non sia solo manipolazio-ne di valori convenzionali e formalizzati, ma esprima anche un contenuto irriducibile alla formulazione a all’utilizzo pratico. Altrimenti si cade nella magia, nella teurgia, nell’utilizzo per propri scopi di una realtà sacra. Per questo secondo gli ebrei il Nome di Dio è il Nome essenziale, principio di ogni lingua. Un Nome che non si riferisce a nessuna attività, non ha, nel senso corrente ed utilitaristico, alcun significato: un appello – o un’invocazione.

? Computer e carmi

“Se più de’ carmi, il computer s’ascolta...” (Giacomo Leopardi, Ad Angelo Mai, v. 149)

Poiché agli errori di battitura e ai refusi tipografici non v’è rimedio neppure attraver-so i più sofisticati correttori ortografici dei programmi di videoscrittura, confesso subito di esserne stato vittima nel verso riportato in epigrafe. Ristabiliamo subito la verità filologica assicurando che Giacomo Leopardi, al verso 149 del suo Ad Angelo Mai, ha in effetti scritto: “Se più de’ carmi il computar s’ascolta”. In fondo è solo una piccola sostituzione di vocale (magari una “a” trasformata in una “e” dalla dili-gente e un po’ ottusa “correzione automatica” di Word), ma che provoca uno slit-tamento semantico un po’ disorientante. Davvero disorientante? Forse si tratta di un aiuto… Il nostro uso delle parole è spesso superficiale, sbrigativo: le pronunciamo come ri-vestite di cellophane, nella frettolosa convinzione di sapere già quello che significano senza la necessità di togliere l’involucro.

24 Mi permetto di suggerire, nella infinita gemmazione di storie e riletture dell’episodio, la versione che ne dà proprio durante la repubblica di Weimar (vedi sotto Germania, anni Trenta) il regista tedesco Fritz Lang in Metropolis (1926). Nel film, di cui esiste una straordinaria versione con musiche di Philip Glass, è proprio la storia della torre di Babele, per come viene narrata dalla protagonista femminile – Maria! – a rappresentare la possibile transizione dallo scontro tra i gruppi sociali alla comunicazione, dal linguaggio equivoco a quello significativo. Storia di umani, di automi, di quasi cyborg , Metropolis sviluppa – film muto! – una note-vole riflessione sul linguaggio, soprattutto nelle concitate sequenze della seconda parte, quando il termine “figlio” assume un caleidoscopio di significati.

Page 14: Forme della scrittura e strutture del pensiero Anselmo Grotti secondaria... · Forme della scrittura e strutture del pensiero di Anselmo Grotti (Già pubblicato, con il titolo Tra

14

Quando Leopardi, acutissimo come sempre, compone l’Angelo Mai, è il gennaio 1820. Angelo Mai, primo custode della Biblioteca Vaticana, aveva annunciato il ri-trovamento del De re publica di Cicerone: un vero scossone per il “secol morto”, come Leopardi definisce il suo tempo presente. Da questa scoperta egli prende spunto per una vera e propria requisitoria sul nichilismo già a lui contemporaneo, benché non avvertito - se non da pochi. “A noi le fasce Cinse il fastidio; a noi presso la culla Immoto siede, e su la tomba, il nulla” (v. 75); “e discoprendo, Solo il nulla s’accresce” (v. 100). Il netto dissenso espresso da Leopardi verso l’Ottocento (secolo che ha ulterior-mente esasperato quegli errori che già Torquato Tasso - cui il v. 149 citato nel tito-lo si riferisce - aveva rimproverato al Settecento), consiste per una parte non pic-cola nel significato da dare alla conoscenza e al linguaggio. Quel “computar” preferi-to ai “carmi” è il punto focale su cui vorrei concentrare l’attenzione. È il segnale di una antinomia niente affatto velleitaria o privata del conte Giacomo Leopardi: anzi, se ben interpretato, è la cifra dotata di un nobile pedigree alle spalle e di ottime pro-babilità di offrirci il giusto punto di visuale rispetto al tema di cui ci occupiamo: esi-stono processi di modificazione dell’atto linguistico-comunicativo nei contesti infor-matici e multimediali con radici più profonde rispetto agli eventi degli ultimi vent’anni? Esiste la possibilità di comprendere meglio quanto stiamo vivendo ve-dendo non solo le modificazioni del linguaggio come dovute alle innovazione tecno-logiche, ma ponendo attenzione anche alle innovazioni tecnologiche come rese possibili da opzioni di tipo linguistico-culturale? È possibile individuare strategie plurali della comunicazione, capaci di non rifiutare il futuro ma contemporaneamente resi-stenti a una ottusa omologazione al presente?

? Un albero genealogico

Il linguaggio che usiamo modella il nostro pensiero e il nostro modo di vedere la re-altà. Scegliendo una parola piuttosto che un’altra, operando slittamenti di significato a volte quasi impercettibili, sviluppiamo una attitudine a percepire significati anche molto diversi. Se andiamo a vedere gli usi linguistici relativi al settore in questione, notiamo subito che ci troviamo di fronte a una alternativa fondamentale, quella che può essere raggruppata nei termini di “Computer science” o “Informatica”. Può essere utile ri-percorrere brevemente la genealogie di questi termini: vedremo che il dissidio è molto antico in famiglia, è già presente nella generazione dei nonni, - per quanto ancora piuttosto simili, perché tutti latini. Si fa invece evidente in quella dei figli, che infatti si dividono scegliendo chi il francese chi l’inglese. Noi siamo di fronte alla ge-nerazione dei nipotini, ancora piuttosto in conflitto fra loro.

o Il primo capostipite: computo Computare viene dal latino computare, nel senso di calcolare, tenere il conto di qualche cosa. Ad esempio, calcolare il tempo necessario. Leopardi, oltre che nel passo citato, lo usa ad esempio nei Paralipomeni alla Batracomiomachia (1831-1837). In quest’opera il conte Leccafondi, liberale moderato, propone al suo re co-

Page 15: Forme della scrittura e strutture del pensiero Anselmo Grotti secondaria... · Forme della scrittura e strutture del pensiero di Anselmo Grotti (Già pubblicato, con il titolo Tra

15

stituzionale, Rodipane, un programma di riforme illuminate, destinate a offrire be-nessere e felicità ai sudditi. Per cui “bramò che sapesse il popol tutto leggere e computar per disciplina” (IV, 39). Comunque, computar ha attestazioni molto più antiche: anche in Giordano Bruno, che lo usa nel senso di “inserire qualcuno in una categoria”, negativamente nel De la causa, principio e uno (Dialogo 3), positivamente ne Degli eroici furori (Iscusazio-ne). Vediamo adesso l’alone semantico del gruppo di parole affini25 a “computo”: Computazionale proviene dall’inglese computational: relativo al computare, al cal-colo, in particolare “linguistica computazionale”, di stampo anglosassone, linguistica cioè di tipo matematico-quantitativo. Computazione, proviene dal latino computatio. Il modo con cui si computa. Computer, ed arriviamo al punto centrale, è sostantivo inglese derivato dalle forme latine precedentemente indicate. Computer26 pronunciato in Italia secondo uno pseudoinglese con tutto lo sciame dei derivati (computerizzare, computerizzato, computerizzazione) è l’adattamento dell’inglese computer, con una complessa transazione non infrequente in linguistica. Singolarmente infatti accanto a questi i-bridi così “contemporanei” troviamo i vecchi e “fuori moda” computista (dal latino tardo medievale, a sua volta derivato da computus, “computo”), computisteria, computistico e computo (gli anni, i mesi, i giorni: con i computi metrici si calcolano le quantità delle singole specie di lavoro in edilizia, con il computo ecclesiastico si de-termina la data della Pasqua e delle altre festività mobili27.

o Il secondo capostipite: informare Informare: dal latino informare, dar forma, dotare un essere della propria natura, in particolare di vita e di movimento. Dare un indirizzo, una forma duratura, istruire, dare notizia. Ad esempio, si dice che l’anima informa il corpo. In filosofia si usa il participio presente informante: la “virtù informante” è la potenza che dà la forma alla materia, ai corpi, agli elementi28. Lo stesso termine usato come sostantivo in-vece che come aggettivo proviene invece dall’inglese informant ed appartiene a

25 Utilizzo con qualche adattamento e sintesi le definizioni proposte dal Vocabolario della lingua italiana, Isti-tuto della Enciclopedia Italiana, 5 voll., Milano 1986-1994, da cui sono tolte le citazioni tra virgolette. 26 Il Disc (Dizionario Italiano Sabatini – Coletti) attesta questo termine in ambito italiano al 1966. 27 Con una serie di variabili niente affatto semplici: lettera domenicale, ciclo solare, indizione romana, nu-mero d’oro ed epatta. Si deve esser fatta sentire a suo tempo la mancanza di un software apposito. 28 Il Disc si enfatizza il significato “recente” di informazione, “Scambio di notizie tra i membri della società umana, che consente a ciascuno di acquisire nuovi elementi conoscitivi: importanza dell’i.; facilità, difficol-tà d’i.; fare opera d’i.”. Dopo altre definizioni di questo tipo, affronta la “teoria dell’informazione, studio matematico della trasmissione e della ricezione di messaggi intesi come serie di eventi soggetti a leggi pro-babilistiche • unità d’informazione, quantità di informazioni trasportate da un segnale”. In biologia si par-la di informazione genetica, il complesso dei messaggi ereditari presenti nei geni dei cromosomi di una cel-lula. In filosofia di atto che dà una determinazione alla materia, dà a un essere la sua propria forma. Il valo-re di formazione spirituale o intellettuale, educazione viene infine presentato come uso antiquato. In latino informatio valeva “rappresentazione mentale”. Le attestazioni storiche di tale termine in italiano partono dal sec. XIV.

Page 16: Forme della scrittura e strutture del pensiero Anselmo Grotti secondaria... · Forme della scrittura e strutture del pensiero di Anselmo Grotti (Già pubblicato, con il titolo Tra

16

tutt’altro orizzonte: “il parlante che risponde a questionari linguistici sulla sua ma-drelingua, o che è preso a modello a fine glottodidattici”. Anche in questo caso troviamo una galassia di termini che fanno riferimento, in mo-di diversi, a informare. A partire dalla nascita di parole composte. È singolare che, nella versione “contemporanea”, l’utilizzo di “informare” derivi dal francese e non dall’inglese. Informatica: dal francese informatique, composto di informa(ion) (automa)tique, termine coniato da Ph. Dreyfus nel 196229. “L’insieme dei vari aspetti scientifici e tecnici che sono specificatamente applicati alla raccolta e al trattamento dell’informazione e in particolare all’elaborazione automatica dei dati, come sussidio e sopporto alla documentazione, alla ricerca e allo studio nei vari settori della scien-za, della tecnica, delle attività economiche, sociali e anche pratiche” Informatizzare. Dal francese informatiser, così come informatizzazione e infor-matizzato: “applicare i metodi, i mezzi e i sussidi dell’informatica ad attività varie del settore economico e produttivo, alla conduzione di aziende, alla ricerca e alla documentazione scientifica, ecc.”. Quando ricompare l’inglese, apparentemente si torna a dare priorità al dato numeri-co: ad es. in Information retrieval, “reperimento delle informazioni”. Questa lo-cuzione inglese viene definita “complesso di procedimenti meccanici e gestiti da strumenti elettronici, per estrarre dati e informazioni da masse molto ampie e poco strutturate di materiale. È un sistema molto usato, per es., nell’informativa giuridica per estrarre informazioni di vario genere dalle raccolte di leggi o di sentenze”. Informatore: è degna di nota la sua derivazione tardo latina di colui che istruisce e dà forma, ma come senso metaforico rispetto a un senso decisamente concreto: “nell’industria dei cappelli di feltro la persona addetta all’informatura”30.

? Digitale o analogico ?

“La molteplicità che non si compone in unità è confusione, l’unità che non si assoggetta alla molteplicità è tirannide”

Pascal Le due discendenze linguistiche sopra accennate rimandano, pur con indubbi ele-menti di contatto, a due tradizioni di pensiero diverse, a due differenti modi di per-cepire e di intendere la conoscenza: uno che chiamerò digitale, l’altro analogico.

o Digitale Dall’inglese digital, derivato dal latino digitus (“dito”, cifra di un sistema di numera-zione). “In elettronica e in informatica qualifica che, in contrapposizione ad analogi-co, si dà ad apparecchi e dispositivi che trattano grandezze sotto forma discreta, tali cioè da poter essere rappresentati con caratteri isolati, come lettere alfabetiche o cifre di un sistema di numerazione, decimale o più spesso binario (in tal caso il termine è sinonimo di numerico)”

29 Secondo il Dizionario Treccani citato. Invece il Disc attesta la voce al 1968. 30 “Operazione mediante la quale si dà forma alle falde e alla cupola; si esegue ponendo i feltri su appositi coni di legno in modo da formare le cosiddette campane, che sotto l’azione del vapore umido prendono la forma del cappello”.

Page 17: Forme della scrittura e strutture del pensiero Anselmo Grotti secondaria... · Forme della scrittura e strutture del pensiero di Anselmo Grotti (Già pubblicato, con il titolo Tra

17

Poiché la visione della natura come universo matematico e la metodica della misu-razione quantitativa hanno dominato la filosofia e la scienza dopo Galilei, possiamo utilizzare tale termine, per estensione, per riferirci al modello di conoscenza della modernità.

o Analogico Dal latino analogicus, a sua volta dal greco analoghikòs, indica qualcosa che è pro-prio di una relazione di somiglianza, di eguaglianza di rapporti, di proporzione ma-tematica. “In elettronica nome di strumenti dove si svolgono fenomeni che sono modelli fisici di altri fenomeni di cui simulano l’andamento. Le grandezze fisiche inte-ressate sono di solito correnti o tensioni”. Per estensione, modello di conoscenza classico-medievale ed ermeneutico. Analogico qui sta ad indicare un modello di conoscenza secondo il quale la comuni-cazione può essere soltanto allusiva di significati, rimandando all’interpretazione il compito di renderla effettivamente operante di volta in volta, secondo moduli sem-pre ridefinibili e non esaustivi. Il mito greco - e quello platonico in particolar modo -, il midrash ebraico, l’interpretazione infinita dei molteplici sensi delle Scritture cristia-ne, gli exempla medievali, l’arte della memoria rinascimentale e i teatri della memo-ria di Giulio Camillo, nonché l’ermeneutica del Novecento, si trovano in questa linea. Non esiste conoscenza senza una qualche forma di iniziazione, ed in fondo tale co-noscenza sussiste solo nell’arco voltaico tra testo e interpretazione, nell’atto di leg-gere e scoprire nel testo ciò che lo scrittore vi aveva nascosto, come dice Italo Cal-vino parafrasando senza forse pensarci il significato etimologico della parola verità in greco: togliere il velo a qualcosa che precedentemente era stato occultato. Leg-gere un testo, afferma Calvino, è trovare quanto lo scrittore vi ha nascosto. Galileo, nel Saggiatore (1623) scrive contro Lotario Sarsi (pseudonimo del gesuita Orazio Grassi), sostenendo che gli pare di vedere, nel Sarsi, la convinzione che “la filosofia sia un libro e una fantasia d’un uomo, come l’Iliade e l’Orlando Furioso, libri ne’ quali la meno importante cosa è che quello che vi è scritto sia vero. Signor Sar-si, la cosa non istà così”. La filosofia, il che vale la fisica, è scritta in “lingua mate-matica”. Cartesio pone l’evidenza come regola della verità. In quella “macchina per produrre conoscenza” che è il Metodo, le famose quattro regole testimoniano già di quella opzione fondamentale scelta poi dalla computer science. Trovo impressionante la frase di Cartesio secondo la quale c’è perfetta identità tra il ragionamento geome-trico e la conoscenza tout court: “Quelle catene di ragionamenti, lunghe eppure semplici e facili, di cui i geometri si servono per pervenire alle loro più difficili dimostrazioni, mi diedero motivo a sup-porre che nello stesso modo si susseguissero tutte le cose di cui l’uomo può avere conoscenza, e che, ove si faccia attenzione di non accoglierne alcuna per vera quando non lo sia, e si osservi sempre l’ordine necessario per dedurre le une dalle altre, non ce ne fossero di così lontane alle quali non si potesse arrivare, né di così nascoste che non si potessero scoprire”31. Se la verità è l’evidenza, la chiarezza e la distinzione, non importa che l’argomento sia più o meno complesso: si tratta di dividerlo nei suoi componenti atomici, sino a che per ciascuno di essi non si realizzi di nuovo l’evidenza, secondo una logica di ti-

31 Descartes, Discorso sul metodo, Laterza, Bari 1987, p. 63.

Page 18: Forme della scrittura e strutture del pensiero Anselmo Grotti secondaria... · Forme della scrittura e strutture del pensiero di Anselmo Grotti (Già pubblicato, con il titolo Tra

18

po binario, falso/vero, spento/acceso, “zero”/ “uno”. Dopo di che si tratta soltanto di controllare la precisione dei passaggi, con una attenta opera di debugging. Sotto-poniamo a tale processo l’Odissea. Polifemo è vero o falso? Nel senso richiesto dal Metodo, falso. Proviamo a scomporlo: sono evidentemente false le affermazioni singolarmente prese riguardanti il suo unico occhio, la sua efferatezza, la sua ottusa capacità tecnica. In generale un’analisi digitale si dimostra incapace di comprendere testi di questo genere. Un’indagine analogica può invece scoprirne ricchezze inso-spettate. Naturalmente la ricchezza del pensiero di Cartesio va ben al di là di questa schema-tizzazione, e lui stesso offre straordinarie “indicazioni di lettura” in controtendenza rispetto a una concezione semplicemente “addizionale” di un’opera. Si veda la Let-tera all’abate Picot: “Vorrei che lo [si tratta dei Principi, N.d.R.] si scorresse in principio tutto quanto come un romanzo, senza forzar molto l’attenzione, né fermarsi alle difficoltà che vi si possono incontrare, allo scopo solamente di sapere all’incirca quali sono le mate-rie da me trattate in esso; e che dopo di ciò, se si trova ch’esse meritano d’essere esaminate, e si sia curiosi di conoscerne la cause, si può leggerlo una seconda vol-ta, per notare il seguito dei miei ragionamenti; ma che non bisogna da capo disgu-starsi, se non si può conoscerlo sufficientemente dappertutto. o non le s’intende tutte; bisogna solo segnare con un tratto di penna i luoghi ove si troverà difficoltà, e continuare a leggere senza interruzione sino alla fine; poi, se si ripiglia il libro per la terza volta, oso credere che si troverà la soluzione della maggior parte delle difficol-tà che si saranno osservate per lo innanzi; e, se ce ne restano ancora alcune, se ne troverà alfine la soluzione rileggendo”. L’alterità del testo, la sua ritrosia a una parafrasi definitiva e sostitutiva, ha lasciato il passo alla pretesa di comprensione piena e totale, senza residui. Se Galileo sostiene che nel campo matematico almeno per intensità - anche se non per estensione - le nostre conoscenze eguagliano quelle di Dio, Nicola Cusano ha scritto che la nostra conoscenza è l’approssimarsi infinito di un poligono - con un numero sempre mag-giore di lati - inscritto in un cerchio. Il concetto di analogia è ben radicato in Cusano: in lui la mente non è strumento di misura, ma “misura viva”: “La nostra mente è immagine di quella entità infinita [Dio], ed è complicazione di tutte le immagini, quasi come la prima immagine di un re ignoto è l’esemplare di tutte le altre immagini che si possono dipingere in base ad essa” (Idiota).

? Un viaggio nell’ Europa del Novecento

? Germania, anni Trenta

o Un ebreo musicista

Nel 1932 Arnold Schönberg si propone di raccontare la storia di Mosè e del vitello d’oro nell’opera Mosè e Aronne. Come si è visto sopra (Nessuna immagine, ma so-lo voce: il caso dell’ebraico) la cultura ebraica ha mantenuto una tensione tra dicibi-lità e trascendenza del linguaggio, tra parola e silenzio. Schönberg identifica i due poli in Mosè, con la purezza del monoteismo, e quindi con il silenzio del linguaggio, e

Page 19: Forme della scrittura e strutture del pensiero Anselmo Grotti secondaria... · Forme della scrittura e strutture del pensiero di Anselmo Grotti (Già pubblicato, con il titolo Tra

19

Aronne, con l’esigenza terrena di religiosità e il suo instancabile parlare32. Attorno al vitello esplode quella magia pagana che la Bibbia aveva tentato di allontanare: “san-ta è la forza generatrice, santa è la fertilità, santo è il desiderio!” (atto II, scena 3). Quando Mosè ridiscende dal monte, l’incompatibilità appare totale. Il vitello e la folla osannante scompaiono, ma Aronne ripropone la necessità che gli uomini hanno di parole e di immagini. E poi, non è Dio stesso a proporre parole e immagini al suo popolo? Di fronte a una contraddizione ormai insopportabile, a una sorta di inganno divino, Mosè è disperato e spezza le tavole della Legge33. La modernità di Schön-berg consiste proprio nel far dipendere la distruzione delle Tavole non dallo sdegno di Mosè verso il tradimento del popolo, ma dall’incapacità di sostenere la contraddit-torietà logica di un linguaggio che comunica la verità negando se stesso. Quella con-traddizione che per tanti secoli la cultura ebraica aveva conservato, adesso viene vista come un fallimento: “Parola, parola, tu mi manchi”, dice Mosè nel finale dell’opera. Un finale in certo modo contingente, perché Schönberg ha lasciato in-compiuto il Mosè e Aronne, ma proprio per questo tanto più significativo34.

o Un ebreo filosofo

Quando il filosofo tedesco Edmund Husserl si accinge a scrivere La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale35 non è così immediato concor-dare con il titolo dell’opera. Le scienze in Europa vantano non pochi successi. È il 1935: l’italiano Fermi utilizza la vasca dei pesci rossi dell’istituto di fisica a Roma per sperimentare la legge probabilistica relativa ai neutroni rallentati (effetto Fermi); l’inglese Williams riconosce la struttura chimica della vitamina B1; il tedesco Do-magk scopre il primo sulfamidico utilizzato nella pratica clinica; l’inglese Watt installa sul transatlantico “Normandie” il primo impianto radar; ancora un inglese, Campbell, raggiunge con l’automobile Bluebird la velocità di 410 km all’ora. Sempre nel 1935 vengono approvate le cosiddette “leggi di Norimberga” per la difesa della razza. L’anno successivo in Germania viene prodotto il nastro magnetico da registrazione, mentre in Inghilterra la Bbc inizia le trasmissioni televisive regolari. Nel 1937 Husserl si ammala gravemente, morendo nell’aprile del 1938. Nello stesso anno i genitori di un bambino nato con gravi deformità chiedono al governo una "pietosa uccisione". Hitler incarica il suo medico personale, Karl Brandt, di verificare la possibilità dell'eu-tanasia. Presto inizia un programma generalizzato di eliminazione dei bambini affetti da menomazioni fisiche o mentali. Un programma mostruoso che era cominciato

32 Nell’opera – in cui anche il libretto è di Schönberg – Mosè si limita a parlare, così che le sue parole equi-valgono musicalmente al silenzio, mentre è solo Aronne a cantare, venendo molto apprezzato dal popolo, incapace di capire le parole senza musica di Mosè. 33 Devo l’analisi dell’opera di Schönberg a P.C. Bori, Il vitello d’oro. Le radici della controversia antigiudaica , Bo-ringhieri, Torino, 1983, p. 13. 34 Mi sembra utile avvicinare le parole di Schönberg a quelle con cui Scholem conclude l’articolo sopra cita-to: “È questa in fondo la grande crisi del linguaggio in cui ci troviamo: noi che non riusciamo più ad afferra-re anche l’ultimo lembo di quel segreto che un tempo dimorava in esso. Il fatto che la lingua sia dicibile si doveva secondo i cabbalisti al nome che è presente in essa. Quale sarà la dignità di una lingua dalla quale Dio si sarà ritirato [...] è una questione per la quale nel nostro tempo forse solo i poeti hanno una risposta [...] la fede nel linguaggio come assoluto schiudentesi sempre dialetticamente, la fede nel segreto divenuto udi-bile nel linguaggio”. 35 Edmund Husserl, La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, Il Saggiatore, Milano 1961. Le citazioni nel testo fanno riferimento alla edizione successiva del Saggiatore Studio, a cura di Guido D. Neri, che riporta i primi due capitolo della Crisi con il titolo L’obiettivismo moderno. Riflessioni storico.critiche sul pensiero europeo dall’età di Galileo, Il Saggiatore, Milano, 1976.

Page 20: Forme della scrittura e strutture del pensiero Anselmo Grotti secondaria... · Forme della scrittura e strutture del pensiero di Anselmo Grotti (Già pubblicato, con il titolo Tra

20

subito dopo la presa del potere da parte di Hitler. 14 luglio 1933: in Francia si fe-steggia come tutti gli anni la presa della Bastiglia e la Rivoluzione; in Germania viene approvata la Legge sulla prevenzione delle tare ereditarie. Essa prevede la steriliz-zazione per gli affetti da malattie ereditarie, qualora la scienza medica si aspettasse la presenza di gravi disturbi, fisici o mentali, negli eredi. Hitler attribuisce allo stato la funzione di custode di un futuro millenario, così che vanno considerati inadatti alla procreazione tutti coloro che sono visibilmente malati o che hanno ereditato una malattia e possono quindi trasmetterla a loro volta. Nello stesso anno Husserl viene radiato dall’Università (pur essendo già in pensione) e privato della cittadinanza te-desca, poiché è di origine ebrea.

La crisi delle scienze europee non è una crisi di efficienza, ma una crisi di orizzon-te. Il “razionalismo erroneo” di cui parla Husserl non comunica, ma “dimostra” la verità.

“Le mere scienze di fatto creano meri uomini di fatto [...]. Essa [la scienza] e-sclude di principio proprio quei problemi che sono i più scottanti per l’uomo, il quale, nei nostri tempi tormentati, si sente in balia del destino; i problemi del senso o del non senso dell’esistenza umana nel suo complesso”36.

L’allontanamento della singolarità concreta del soggetto conoscente è apparso per molto tempo come garanzia di imparzialità e di correttezza scientifica, e di fatto è stato così per più di un aspetto. Mentre nella mentalità magica è fondamentale il ruolo di chi esercita il rito, in quella scientifica l’impersonalità dell’esperimento è pro-prio la garanzia della sua validità. Stabilite le procedure corrette, non deve avere al-cuna importanza quale soggetto le mette in pratica. Il riferimento non è un “mago” ricco di segreti iniziatici, ma una astratta “comunità scientifica” nella quale vige la regola di rendere pubblici risultati e protocolli del lavoro di ricerca. Tendenzialmente la conoscenza procede per “regole”, così da far sognare vere e proprie macchine per il calcolo, non solo numerico. Già Leibniz preconizzava un giorno in cui i dotti, dovendo decidere di complesse questioni non solo scientifiche ma anche politiche, si sarebbero seduti attorno a un tavolo e avrebbero detto: “calcoliamo”. Le procedu-re della computer science tendono proprio a privilegiare questo aspetto calcolante e automatico del trattamento dati. La ragione che è solo calcolo ritiene che il linguag-gio esprima solo comunicazione, isolabile in un numero finito di elementi discreti. Gli architetti di Auschwitz hanno steso con perfetta efficienza il sistema ferroviario in-terno e il montacarichi elettrico per il sollevamento dei cadaveri degli ebrei. C’è dav-vero qualcosa in crisi nelle scienze europee.

? Francia, anni Sessanta

Quando Michel Foucault scrive Le parole e le cose37 dichiara nella prefazione il suo debito nei confronti di un testo di Borges riguardante una “certa enciclopedia cine-se”. In questa enciclopedia si sostiene che

“gli animali si dividono in:

a) appartenenti all’Imperatore,

36 Husserl, L’obiettivismo moderno, cit. p. 12. 37 Michel Foucault, Le parole e le cose. Un’archeologia delle scienze umane, Rizzoli, Milano 1998. La prima tra-duzione italiana è già del 1967, di un anno successiva alla pubblicazione in Francia.

Page 21: Forme della scrittura e strutture del pensiero Anselmo Grotti secondaria... · Forme della scrittura e strutture del pensiero di Anselmo Grotti (Già pubblicato, con il titolo Tra

21

b) imbalsamati

c) addomesticati

d) maialini di latte

e) sirene

f) favolosi

g) cani in libertà

h) inclusi nella presente classificazione

i) che si agitano follemente

j) innumerevoli

k) disegnati con un pennello finissimo di peli di cammello

l) et caetera

m) che fanno l’amore

n) che da lontano sembrano mosche”

Nel riso di Borges e nell’eco dello stesso riso in Foucault crollano le caselle che avevano contenuto una realtà che appare - come dire - troppa e per di più sempre in movimento. C’è una “sconcertante prossimità degli estremi”, dovuta a improvvi-se vicinanze di cose senza rapporto – come l’ombrello che incontra la macchina da cucire. Il linguaggio si intreccia con lo spazio, l’impossibilità di parlare (afasia) all’impossibilità di disporre la realtà in uno spazio ordinato (atopia). Le “eterotopie” smontano la sintassi mentre le utopie consentono i discorsi, le concatenazioni logi-che e narrative. Foucault non trascura il fatto che Borges abbia scelto proprio la Ci-na per la sua classificazione schizofrenica: la scrittura alfabetica occidentale sugge-risce percorsi lineari e stabili, quella iconografica invece propone una visione in cui “le cose sono ‘coricate’, ‘posate’, ‘disposte’ in luoghi tanto diversi che è impossibile trovare per essi uno spazio che li accolga”38. L’ordine d’altronde, continua Foucault, è contemporaneamente sia il reticolo segreto in cui si trovano disposte le cose, che la griglia dello sguardo che le scruta. Lo “spazio d’ordine” entro il quale si è manife-stato il sapere ha incontrato due grandi fratture: la metà del Seicento e l’inizio dell’Ottocento. In questa fase, che Foucault chiama età classica, c’è stata una coe-renza tra il linguaggio, la rappresentazione della realtà, la concezione della ricchezza e del valore39. Dagli inizi del XIX “il linguaggio come quadro spontaneo e quadretta-tura iniziale delle cose e come tappa indispensabile tra la rappresentazione e gli es-seri, svanisce a sua volta; una storicità profonda penetra il cuore delle cose”40.

Ma qual era la struttura del pensiero sino al XVI secolo? La somiglianza, l’enfatizzazione di quanto sopra ho chiamato pensiero analogico. È lei, sostiene Foucault, che ha guidato l’interpretazione e l’esegesi dei testi, raggiungendo una sorta di apoteosi nel Cinquecento41. Essa si dipana in convenientia (presente nelle cose i cui margini si toccano con una sorta di cerniera, come l’anima e il corpo); 38 M. Foucault, op. cit., p. 7. 39 Si ricordi l’analogia sopra indicata tra diversi valori del linguaggio e forme di scambio economico. 40 M. Foucault, op. cit., p. 13. 41 Cfr. M. Foucalt, op. cit., pp. 31-44.

Page 22: Forme della scrittura e strutture del pensiero Anselmo Grotti secondaria... · Forme della scrittura e strutture del pensiero di Anselmo Grotti (Già pubblicato, con il titolo Tra

22

aemulatio (una convenienza senza la legge del luogo, come il volto è l’emulo del cielo, o come due gemelli secondo Paracelso); analogia (con un potere immenso, ben noto già agli antichi e ai medievali; il corpo dell’uomo è sempre la metà di un atlante universale, ad es. l’apoplessia è come il temporale); simpatia (principio di mobilità, attira le cose pesanti verso il suolo e le leggere verso il cielo; è compensa-ta dalla gemella antipatia, principio di isolamento e propensione a far perseverare le cose nello stato in cui sono). Il linguaggio riflette queste caratteristiche analogiche, ed è ben lontano da quello che abbiamo sopra chiamato carattere digitale: “Duran-te il XVI secolo il linguaggio reale non è un insieme di segni indipendenti, uniforme e liscio in cui le cose verrebbero a riflettersi come entro uno specchio per enunciarvi l’una dopo l’altra la loro verità singola”42. Il linguaggio è un reticolo di contrassegni, e la stessa etimologia non è lo studio del senso originario delle parole, ma le “pro-prietà” intrinseche delle lettere e delle parole. Come gli autori della tradizione ebrai-ca, anche Foucault individua nel mito di Babele il discrimine tra un linguaggio origina-rio in cui “i nomi erano deposti su ciò che indicavano, come la forza è inscritta nel corpo del leone”, e la pluralità dei linguaggi successivi, quasi completamente con-venzionali. L’ebraico rimane l’unica lingua nella quale si avvertono echi dell’identificazione originaria tra cosa e parola43. Nel 1613 Claude Duret classifica,a seconda della direzione, cinque modalità di scrittura (un po’ come ho indicato nei paragrafi precedenti, ma con diverse motivazioni). Ebrei, arabi, tartari (e una serie innumerevole di popoli che qui non riporto) scrivono da destra a sinistra seguendo “il corso e moto giornaliero del primo cielo, che è molto perfetto, stando all’opinione del grande Aristotile, in quanto vicino all’unità”; i greci, i latini, tutti gli eu-ropei e altri popoli scrivono da sinistra verso destra, adeguandosi “al corso e moto del secondo cielo, che è l’insieme dei sette pianeti”; cinesi, giapponesi e altri scrivo-no dall’alto in basso, in conformità “all’ordine della natura, la quale ha dato agli uo-mini la testa alta e i piedi bassi”; infine i messicani scrivono sia dal basso in alto sia a spirale, “analoghe a quelle che fa il sole in virtù del suo corso annuo nello Zodia-co”44. Ed ecco il commento di Foucault:

“Le lingue [...] riproducono nella loro più materiale architettura la croce di cui an-nunciano l’avvento, quell’avvento che viene a sua volta stabilito attraverso la Scrit-tura e la Parola. C’è nel linguaggio una funzione simbolica: ma dopo il disastro di Babele non deve più essere cercata – fatte rarissime eccezioni – nelle parole stes-se, ma piuttosto nell’esistere medesimo del linguaggio, nel suo rapporto totale con la totalità del mondo, nell’incontro del suo spazio con i luoghi e le figure del cosmo.

Donde la forma del progetto enciclopedico, quale affiora sul finire del XVI secolo o nei primi anni del successivo: non tanto riflettere nell’elemento neutro del linguaggio ciò che si sa – l’uso dell’alfabeto come ordine enciclopedico arbitrario ma efficace farà la sua comparsa solo nella seconda metà del XVIII secolo – ma ricostituire, at-traverso il concatenamento delle parole e la loro disposizione nello spazio, l’ordine stesso del mondo. È questo il progetto che troviamo in Grégoire nel Syntaxeon, ar-tis mirabilis (1610), in Alstedius con la sua Encyclopaedia (1630); o ancora in quel Cristophe de Savigny (Tableau de tous les arts libéraux) che giunge a spazializzare le conoscenze secondo la forma cosmica, immobile e perfetta, del cerchio, e a un tempo secondo quella, sublunare, peritura, multipla e scissa dell’albero; lo si trova

42 M. Foucault, op. cit., p. 49. 43 M. Foucault, op. cit., p.50. 44 C. Duret, Trésor de l’histoire des langues, Cologne, 1613, p.40 ; cit. da M. Foucault, op. cit., pp. 51-52.

Page 23: Forme della scrittura e strutture del pensiero Anselmo Grotti secondaria... · Forme della scrittura e strutture del pensiero di Anselmo Grotti (Già pubblicato, con il titolo Tra

23

anche in La Croix de Maine il quale immagina uno spazio simultaneamente, d’Enciclopedia e di Biblioteca, tale da consentire di disporre i testi secondo le figure della vicinanza, della parentela, dell’analogia e della subordinazione prescritte dal mondo medesimo. Ad ogni modo un simile intreccio del linguaggio e delle cose, en-tro uno spazio considerato comune, presuppone un privilegio assoluto della scrittu-ra”45.

Proprio nel corso del Seicento si compie invece un grande mutamento del para-digma conoscitivo. Nel Don Chisciotte “hanno termine i giochi antichi della somi-glianza e dei segni”. Cartesio e Bacone, anche se da angolature diverse, pongono sotto accusa la tendenza a trovare analogie tra le cose. Occorre piuttosto misurare le cose. E la misura delle grandezze “può essere ricondotta all’istituzione di un ordi-ne”. Una “scienza generale dell’ordine” istituisce un “reticolo acronologico” e “uno spazio permanente di relazione”. La Mathesis ha costituito le discipline formali, la storia e la semiologia si sono ricongiunte nelle discipline dell’interpretazione, sino a Nietzsche e Freud46.

Il digitale ha dunque soppiantato l’analogico, ed è in questo senso che ho rivendi-cato a Leopardi la chiara percezione dei due diversi criteri interpretativi del mondo: i “carmi” e il “computare”. Intendo comunque far rilevare che la contrapposizione che Leopardi opera va iscritta in un contesto polemico, dominato dalla volontà di potenza del digitale. Questo libro non sposa la tesi della contrapposizione radicale, ma indica piuttosto una duplicità presente nella nostra comunicazione tecnologica, non necessariamente solo calcolo ma anche simbolo. Foucault colloca d’altra parte il fallimento del progetto digitale già alla fine dell’Ottocento, quando il “folle” di Nie-tzsche svela la perdita di ogni “centro” ordinatore. Naturalmente è sempre proble-matico indicare il momento in cui avviene un certo evento, non perché la data non ci sia ma perché stabilirla è un po’ come pretendere di dire quando è cominciata l’età del bronzo – evento sicuramente avvenuto ma in modi e tempi anche molto diversi a seconda della geografia e di altri fattori. Il progetto digitale è presente an-che ai giorni nostri, ma quello che Foucault intende mettere in evidenza è la fine dell’illusione di poter controllare e circoscrivere il sapere e quindi il linguaggio. In quest’opera ancora legata profondamente allo strutturalismo, Foucault afferma la “scomparsa” dell’uomo come soggetto. In anni recenti, si è stati tentati di vedere nelle scritture ipertestuali e multimediali una sorta di liberazione dall’ordine e dalla li-nearità del pensiero: “disgraziatamente [...] la riflessione teorica sugli ipertesti e sul loro uso è stata fortemente influenzata dall’impostazione decostruzionistica di alcu-ni fra i primi studiosi che se ne sono occupati [... sostituendo] il paradigma dell’apertura a quello della strutturazione [e dando] voce al carattere intrinseca-mente frammentario e multilineare del pensiero postmoderno”47. Con Roncaglia, non ritengo affatto scontata la lettura decostruzionista dell’ipertesto, almeno a cer-te condizioni. Preferisco sottolineare le importanti osservazioni di Foucault sullo spazio come metafora del sapere, proprio quando ci si pone il problema di reinter-pretare il concetto di scrittura come architettura. La classificazione di Borges citata all’inizio è legittima, ma non tutte le classificazioni legittime sono equivalenti: esisto-no strategie migliori di altre. Proprio la scrittura cinese, che procede per ideogrammi che accumulano senso, indica la ricchezza di una lettura ermeneutica. Si pensi alla

45 M. Foucault, op. cit., p. 52. 46 Cfr. M. Foucault, op. cit., p. 69 e pp.87-92. 47 G. Roncaglia, Oltre la cultura del libro, in “Iter” 2 (1998), p. 28.

Page 24: Forme della scrittura e strutture del pensiero Anselmo Grotti secondaria... · Forme della scrittura e strutture del pensiero di Anselmo Grotti (Già pubblicato, con il titolo Tra

24

parola “pace”, che viene scritta con i due ideogrammi che stanno per “donna” e “tetto”, oppure l’ideogramma “ascolto”, che è la combinazione di “orecchio”, “tu”, “occhi”, “attenzione unitaria”, “cuore”.

C’è magari una qualche ironia nel fatto che Le parole e le cose si apra con una immagine, a metà quindi tra parola e cosa: il quadro di Velazquez Las Meninas, di cui Foucault offre una straordinaria analisi. Nello studio del pittore ci sono il re di Spagna Filippo IV e sua moglie Marianna. Essi però non sono nel quadro, ma la loro posizione coincide sia con quella del pittore che con quella dello spettatore: in tale centro “si sovrappongono esattamente lo sguardo del modello nel momento in cui viene dipinto, quello dello spettatore che contempla la scena e quello del pittore nel momento in cui compone il suo quadro”48. Il quadro è saturo di riferimenti: in esso c’è uno specchio, una porta, una finestra, un corridoio, un uomo esitante su una soglia, e soprattutto c’è lo stesso quadro che noi osserviamo dipinto mentre il pit-tore lo sta dipingendo. In fondo allo specchio compare, riflesso, il re. Non è qualco-sa da guardare: è qualcosa in cui guardare. Ristrutturazione continua dei punti di vi-sta, riflesso di specchi e fasci di luce da porte e finestre: il quadro si muove e fran-tuma il punto d’osservazione stabile e “oggettivo”. Ma se scompare il punto di fer-mo dell’io ordinatore del reale, non necessariamente ne discende la pura decostru-zione di ogni riferimento: lo smarrimento di un io ipertrofico e troppo egocentrico può essere occasione per trovare nuovi equilibri con lo “sguardo d’altri” (Levinas).

? Germania, anni Sessanta Il 30 ottobre 1965 Martin Heidegger è invitato a tenere un discorso49 per le cele-

brazioni in onore di Ludwig Binswanger. Da buon filosofo, Heidegger accetta l’invito ma già a partire dal secondo capoverso ignora bellamente il tema ufficiale. La sua tesi è che la filosofia è giunta al suo termine, dissolvendosi in scienze autonome, mentre il suo compito di unificazione è preso da un’altra scienza, la cibernetica50. La prospettiva per Heidegger è “inquietante”, dato che l’unità fornita da questa nuova scienza è “rigorosamente tecnica”. La filosofia diventa “superflua” ed “il rapporto dell’uomo d’oggi con la tradizione storica si tramuta visibilmente in un mero bisogno

48 M. Foucault, op. cit., p. 28. 49 Il titolo della conferenza è “La fine del pensiero nella forma della filosofia”. In Italia è stato pubblicato con un diverso titolo: M. Heidegger, Filosofia e cibernetica , Edizioni ETS, Pisa, 1988. Traduzione e introduzione sono di A. Fabris. La conferenza a dire il vero ha avuto luogo in Svizzera, non lontano dal lago di Costanza. Tuttavia ho preferito intitolare questo paragrafo alla Germania, visto che il riferimento al noto psichiatra svizzero Binswanger (1881-1966) è davvero solo occasionale, mentre il vero interlocutore è direttamente il pensiero di Heidegger. Sempre di Heidegger e sempre sullo stesso tema si può leggere anche Linguaggio tra-mandato e linguaggio tecnico , Edizioni ETS, Pisa, 1997. 50 Fabris nella sua Introduzione fa giustamente notare come nel 1963 fosse stato pubblicato in Germania il libro di Norbert Wiener, Cybernetics, or Control and Communication in the Animal and the Machine, la cui edi-zione originale risaliva al 1948. Nel 1962 inoltre erano cominciate le ricerche sulla possibilità di mettere in rete i computer.

Page 25: Forme della scrittura e strutture del pensiero Anselmo Grotti secondaria... · Forme della scrittura e strutture del pensiero di Anselmo Grotti (Già pubblicato, con il titolo Tra

25

d’informazione”51. Si tratta di un passo a mio avviso decisivo. Parlando sopra di comunicazione “calda” ho inteso mettere in evidenza come lo scambio di informa-zioni rappresenti solo un aspetto di una comunicazione autenticamente umana. Già nel rapporto interpersonale una enorme quantità di messaggi hanno funzioni di “ca-rezze emotive” piuttosto che di “unità minime di informazione”. Il rapporto educati-vo e quello con la tradizione non possono limitarsi a una sorta di supermarket dell’informazione e neppure della “cultura”. Neppure il rapporto con il mondo e le notizie che da esso ci provengono possono essere filtrate unicamente dalle mie ri-chieste. Naturalmente ciascuno di noi si sofferma maggiormente sulle pagine che più lo interessano, mentre non compra libri di ricamo a tombolo o di piercing se non ha questi specifici interessi. Resta però qualche perplessità su di una “personalizza-zione” esasperata dell’accesso all’informazione, come nel caso di “Fishwrap”. “Fi-shwrap” è un giornale per gli studenti del MIT di Boston, che sostanzialmente fun-gono da cavie per un modello da sperimentare e da esportare altrove. Lo studente all’inizio risponde a varie domande su gusti, formazione, studi; successivamente il computer analizza le sue letture, le sue navigazioni in rete, gli orari quotidiani, ecc. Sulla base di questi dati sceglie le notizie da porgere, nonché il rilievo dato a ciascu-na di esse. Un ricercatore del MIT lo ha definito una “finestra egocentrica sul mon-do” (egocentric windows into world)52.

Heidegger oppone a tutto ciò il pensiero greco, per il quale “ciò che è presente non è mai dato come oggetto”53. Quando Cartesio ha posto l’ego del cogito ha fat-to nascere una soggettività “forte” che ha contrapposto a sé una oggettività del tutto sottomessa, ridotta in ultimo alla “incondizionata impiegabilità”. Impiegabilità ha il senso di qualcosa che esiste solo in quanto strumento per me - dove “me”, di-ce Heidegger, non sono i singoli uomini, ma la società industriale. Il passaggio quindi è dalla “presenza” della cosa alla sua “oggettività” e quindi alla sua “impiegabilità”. Da questo presupposto nasce la cibernetica. Heidegger riconosce d’altra parte co-me pienamente legittimo il fatto che la filosofia giunga alla sua fine, fine che non è casuale o frutto di un errore. Non si tratta di fare previsioni sul futuro, ma di accor-gersi che già nel presente l’uomo “è il servo di quella potenza che attraversa e do-mina ogni produzione tecnica”. È ancora Cartesio a stabilire il passaggio da un crite-rio di verità fondato sulle cose a uno fondato sul soggetto: “L’evidenza è pensata a partire dall’uomo come colui che vede. Per contro l’??a??e?a [“ri-lucere da sé” per Heidegger, mentre i “romani” hanno tradotto il termine greco con “divenir visibile” ai miei occhi] è un carattere delle cose (Dinge) stesse che si rappresentano”54. L’organizzazione cibernetico-tecnica è interna “a quella colonizzazione del mondo che si sta impiantando”55.

Dunque, la cibernetica è la nuova ontologia che però, modificando i fondamentali concetti di causa ed effetto, distrugge l’idea che si possa raggiungere una “scienza dei principi”: Heidegger individua nel nostro tempo una grande “mancanza di educa-zione [nel pensiero, che consiste nel] non avere occhio per quelle cose in rapporto alle quali è necessario cercare una dimostrazione e per quelle in rapporto a cui que-

51 M. Heidegger, op. cit., p. 33. 52 Vedi E. Pedemonte, Personal media, Bollati Boringhieri, Torino 1998, p.53. 53 Cfr., per questa espressione e per gli altri termini citati, M. Heidegger, op. cit., pp. 35-40. 54M. Heidegger, op. cit., p. 41. 55M. Heidegger, op. cit., p. 45.

Page 26: Forme della scrittura e strutture del pensiero Anselmo Grotti secondaria... · Forme della scrittura e strutture del pensiero di Anselmo Grotti (Già pubblicato, con il titolo Tra

26

sta dimostrazione non è necessaria”56. Eppure questa non è una condanna senza appello. Come nota Fabris, quello che Heidegger respinge è l’idea di pura impiegabili-tà, ad esempio considerando l’organismo come un complesso di strumenti. L’organismo non è analizzabile in un numero predefinito di elementi perché esso sviluppa le sue competenze dentro il cerchio dell’ambiente. Non si deve quin-di“precludere la possibilità di un dialogo tra la sfera dell’ermeneutica e quella della scienza”57. Esistono due grandi filoni dentro l’attuale marea tecnologica: quello del calcolo e quello del simbolo, e oggi è sempre più chiaro che il computer non è tanto un facitore di calcoli quanto piuttosto una “estensione” della nostra intelligenza. Quello che Heidegger chiama cibernetica è un momento di questa marea, ma oggi si parla ad esempio di “seconda cibernetica”58, più ampia rispetto alla computer scien-ce. Proprio per l’influenza di Husserl, Heidegger e Wittgenstein si è sviluppata una serrata critica all’ipotesi “forte” e totalmente “digitale” dell’intelligenza artificiale. Per autori come Dreyfus59 ad esempio esiste sempre un numero imprecisabile di cono-scenze relative al contesto, tali da formare uno sfondo di precomprensione implici-ta. In un tempo finito non possiamo esplicitare tutte le conoscenze dello sfondo, mentre agli esseri umani esse non devono essere insegnate. Per autori come Wino-grad e Flores la precomprensione della realtà non può essere separata dal vivere dentro la realtà. Contesta il modello totalmente digitale anche la teoria dell’intenzionalità della coscienza di Searle, statunitense ma allievo di Austin a O-xford. Già in Menti, cervelli e programmi del 1980 aveva contestato che la possibili-tà per una macchina di simulare la comprensione di storie potesse essere identifica-ta con la comprensione delle storie stesse. Nel 1998 ha pubblicato Il mistero della coscienza. Attraverso il dialogo con fisici, matematici, neuroscienziati e filosofi cerca di fornire una soluzione al moderno dualismo tra mente e corpo introdotto da Car-tesio e Galileo. Egli non ritiene possibile costruire una macchina che produca gli stessi effetti esteriori della coscienza, la cui essenza è fatta di processi mentali inte-riori, qualitativi e soggettivi. Contesta il modello computazionale della mente come "antibiologico". Il cervello non è un hardware: è qualcosa di più della manipolazione di simboli formali: la mente ha dei contenuti. La causa della coscienza non è l'in-formazione, perché non è (come lo è ad es. la forza di gravità) una caratteristica causale indipendente da noi.

Heidegger chiude la sua conferenza del 1965 affermando “La ‘cosa’ del pensiero richiede allora, forse, una modalità del pensiero il cui tratto fondamentale non sia né la dialettica né l’intuizione?”60. Riprendendo a scanso di guai la sua saggia formula dubitativa, forse si può dire che è questa un’importante eredità lasciataci dal secolo scorso: il desiderio di ricercare nell’era della Rete un nuovo equilibrio tra “dialettica” e “intuizione”, “computare” e “carmi”, “calcolo” e “simbolo”.

56 Aristotele, Metafisica, IV, 4, 1006a 6 sgg. La citazione è in Heidegger. 57 A. Fabris, Introduzione a M. Heidegger, op. cit., p. 18. 58 Vedi M. Ravera, Computer e “Bestand”. Alla ricerca dio un dialogo tra ermeneutica e cibernetica, in “aut aut” 220/1 (1987), pp. 101-12. 59 H. L. Dreyfus, Che cosa non possono fare le macchine, Armando, Roma, 1980. L’edizione originale è del 1972. 60 M. Heidegger, op. cit., p. 47.