Firenze Palazzo Strozzi 8 marzo-20 luglio 2014 · beato Filippo Benizzi (1509-1510) e il Viaggio...

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DIVERGENTI VIE DELLA "MANIERA" Firenze Palazzo Strozzi 8 marzo-20 luglio 2014 a cura di Carlo Falciani, Antonio Natali Testi Ludovica Sebregondi

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divergenti vie della "maniera"

Firenze Palazzo Strozzi8 marzo-20 luglio 2014

a cura diCarlo Falciani, Antonio Natali

TestiLudovica Sebregondi

Nati tutt’e due nel 1494 a pochi chilometri di distanza (uno negl’immediati contorni d’Empoli, l’altro a Firenze) e poi educatisi all’arte nelle stanze degli stessi maestri fiorentini, il Pontormo e il Rosso sono diventati nella letteratura critica del Novecento i gemelli della “maniera moderna”; anzi, del “manierismo”: abusata formula classificatoria che ha molto influito sull’interpretazione della pittura del Cinquecento e che rivela la sua ambiguità quando appunto si ragioni segnatamente del Pontormo e del Rosso. Al cospetto d’una presunta consanguineità, la mostra mette in risalto la decisa discordanza delle loro vocazioni, e fin dal titolo lo dichiara senza mezzi termini: Pontormo e Rosso. Divergenti vie della “maniera”. Divergenti, perché i due – diciassettenni o poco più – pur essendo ancora nella bottega di Andrea del Sarto, da subito imboccano strade divaricanti. Nascono dunque dalla stessa costola, ma all’istante assumono sembianze difformi: gemelli sì, però diversi; oggi si direbbe.

Il comune discepolato viene esibito nella prima sala, dove i loro due giovanili affreschi dell’Annunziata (1513-1514) si dispongono ai lati di quello che il Sarto aveva dipinto, nello stesso luogo, nel 1511. Sarà il Sarto, dunque, a far da iniziale pietra di paragone e a dare la misura del progressivo allontanamento dei due discepoli. Dopodiché basterà secondare il percorso cronologico per seguire le personali preferenze dell’uno e dell’altro: fra loro distanti nella lingua figurativa, nella visione della fede, nell’interpretazione del dato naturale, nel rapporto con la tradizione, nell’approccio con le culture forestiere, nella relazione con l’antico e nella dialettica con l’idioma michelangiolesco. La mostra si chiude proprio col confronto diretto della loro differente riflessione sul magistero del Buonarroti. Il Rosso muore a Fontainebleau nel 1540; il Pontormo a Firenze nel 1557: uno alla corte di Francesco I, re di Francia; l’altro a quella fiorentina del duca Cosimo I de’ Medici. Tramonta così un’intera stagione di libertà espressiva e si apre – sancita dalle Vite di Giorgio Vasari – la fortuna critica di tempi nuovi.

Carlo Falciani e Antonio Natali, curatori

Pontormo e rosso. Divergenti vie Della “maniera”

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Appena ventitreenne, Andrea del Sarto aveva iniziato a lavorare al Chiostrino dei voti della Santissima Annunziata, santuario cittadino per eccellenza e dunque luogo tra i più frequentati di Firenze, dipingendovi le Storie del beato Filippo Benizzi (1509-1510) e il Viaggio dei magi (1511). A questa data il Rosso e il Pontormo, adolescenti, frequentano la bottega di Andrea, poco più anziano ma già famoso caposcuola, e con lui vanno probabilmente a Roma. Prendendo avvio dal Viaggio, i due imboccano però strade diverse: pochi anni dopo, nell’Assunzione del Rosso (1513) e nella Visitazione del Pontormo (dal 1514), eseguite per lo stesso spazio, si cominciano a cogliere linguaggi distanti fra loro e alternativi al classicismo che a Firenze, all’inizio del secolo, aveva visto in Raffaello il massimo esponente. I tre monumentali affreschi del Chiostrino, crogiolo della “maniera moderna” fiorentina, aprono la mostra insieme alla tavola di Fra’ Bartolomeo, maestro alla “scuola” del convento di San Marco e riferimento anche spirituale, del Rosso. Per il Pontormo, a quella stessa “scuola”, era stato d’esempio Mariotto Albertinelli.

gli esorDi nelChiostrinoDell’annunziata

anDrea Del sarto (andrea d’agnolo; Firenze 1486-1530)Viaggio dei magi 1511 affresco staccato, Firenze, Basilica della Santissima annunziata, Chiostrino dei voti, patrimonio del Fondo edifici di Culto - ministero dell’interno

Ultimate le Storie del beato Filippo Benizzi nel 1510, alla fine del 1511 Andrea del Sarto riprende a lavorare all’Annunziata. Pur nel persistere di citazioni desunte dalla tradizione fiorentina, si fanno strada una libertà e grandiosità inedite, da collegare al probabile viaggio di Andrea a Roma – dove Michelangelo affrescava la Sistina e Raffaello le Stanze – con il Pontormo e il Rosso, entrambi all’epoca nella sua bottega. L’opera d’esordio del Rosso è da individuare nel giovane in primo piano avvolto nell’ampio panneggio.

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rosso Fiorentino (giovan BattiSta di JaCopo; Firenze 1494-FontaineBleau 1540)Assunzione 1513 circa affresco staccato, Firenze, Basilica della Santissima annunziata, Chiostrino dei voti, patrimonio del Fondo edifici di Culto - ministero dell’interno

Fu il frate servita Jacopo de’ Rossi a commissionare l’Assunzione, che doveva chiudere la sequenza di storie legate alla vita di Maria nel Chiostrino dei voti, la “scuola” dell’Annunziata. La suddivisione tra sfera umana e divina rimanda a Fra’ Bartolomeo, maestro del Rosso, mentre i panneggi monumentali e il gesticolare degli apostoli rinviano a Donatello: una citazione arcaizzante che crea un solco fra il linguaggio del Rosso e quello più elegante e aulico di una Firenze da poco tornata sotto il dominio dei Medici.

Pontormo (JaCopo CaruCCi; pontorme, empoli 1494-Firenze 1557) Visitazione 1514-1516 affresco staccatoFirenze, Basilica della Santissima annunziata, Chiostrino dei voti, patrimonio del Fondo edifici di Culto - ministero dell’interno

Anche questa lunetta fu commissionata dal servita Jacopo de’ Rossi. Il giovane Pontormo – entrato da due anni nell’orbita di Andrea del Sarto, dopo aver lasciato le botteghe di Mariotto

Albertinelli e di Piero di Cosimo – compie un omaggio alle Stanze di Raffaello, ammirate a Roma, citando tra l’altro nella posa del ragazzino seduto sui gradini la figura di vecchio nella Scuola d’Atene. Il Sacrificio di Isacco in alto è additato da Giuseppe per prefigurare quello di Gesù, altro martire innocente.

Fra’ Bartolomeo (Bartolomeo di paolo, detto BaCCio della porta BaCCio; SoFFignano, prato 1473-pian del mugnone, FieSole 1517) Madonna col Bambino e sei santi (Pala Cambi) 1510 olio su tavolaFirenze, Chiesa di San marco, patrimonio del Fondo edifici di Culto - ministero dell’interno

Nome e antenati del committente Pietro di Niccolò di Giovanni Cambi – figura politica di fede savonaroliana – hanno determinato la scelta di tre dei santi: Pietro martire, Nicola e Giovanni Battista. La tavola fu eseguita quando Fra’ Bartolomeo era figura centrale della Scuola di San Marco; l’iscrizione ORATE PRO PICTORE collega la dimensione artistica (pictore) a quella religiosa (orate), ispirandosi alla predicazione di Savonarola, per il quale l’arte doveva discendere da una vita ispirata da Dio.

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anDrea Del sarto Annunciazione 1512 olio su tavolaFirenze, palazzo pitti, galleria palatina

Questa tavola, dipinta da Andrea in seguito all’ipotizzato soggiorno romano del 1511, era destinata alla chiesa del convento agostiniano di San Gallo, edificio abbattuto in vista dell’assedio del 1529, essendo posto all’esterno delle mura cittadine. La predella, perduta, fu affidata da Andrea al Pontormo e al Rosso, entrati nella sua bottega. Il significato teologico dell’Annunciazione, con Adamo seduto in basso e i profeti Isaia e Michea sul terrazzo, deve essere ricercato nei testi di sant’Agostino.

Pontormo Sacra conversazione (Madonna di San Ruffillo) 1514 affresco staccatoFirenze, Convento della Santissima annunziata, Cappella di San luca

La pala fu affrescata nella chiesa di San Ruffillo, posta presso il vescovado fiorentino. Quando nel 1823 l’edificio fu demolito, il dipinto venne staccato e trasferito nella Cappella “dei pittori” dell’Annunziata, che già accoglieva le spoglie dell’artista. I santi Michele Arcangelo e Alessio (raffigurati con Lucia e forse Maddalena) erano patroni di Michele d’Alessio di Papi, rettore di San Ruffillo e probabile committente della pala. Il Pontormo guarda insieme a Fra’ Bartolomeo e Andrea del Sarto.

In dialettica con le opere di Andrea del Sarto, pittore “senza errori” (come lo definiscono i contemporanei), si dipartono due strade destinate a divergere completamente di lì a pochi anni e a incarnare i valori delle opposte fazioni fiorentine che si contenderanno il dominio culturale e politico della città: i Medici e gli aristocratici antimedicei. Ponendo al centro Andrea del Sarto con la sua Annunciazione (per la quale il Pontormo e il Rosso dipinsero la perduta predella), viene indagato l’articolarsi delle prime divergenze di forma e contenuto fra i due artisti. Il Pontormo – impegnato anche negli apparati effimeri per le feste volute dai Medici da poco tornati in città – è già in aperto dialogo con l’eredità di Leonardo e i linguaggi d’oltralpe; il Rosso, invece, elabora i riferimenti ad Andrea con un’impronta personale che denota spiccati interessi sperimentali già attenti alla tradizione quattrocentesca.

in Bottega Con anDrea Del sarto

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rosso Fiorentino Madonna col Bambino e san Giovannino 1514 olio su tavola Francoforte, Städel museum

Nella tavola, proveniente dalla collezione Gerini di Firenze, emergono i caratteri propri del linguaggio del Rosso: i colori accesi, la stesura pittorica irregolare e scabra, i tocchi di luce, le forme spigolose. I volti dei bambini hanno stretta affinità con i coevi angeli dell’Assunta del Chiostrino e si scorgono richiami all’Annunciazione di Andrea del Sarto, alla cui predella il Rosso aveva collaborato insieme al Pontormo. Il fiordaliso, i gelsomini e le violette sono simboli di grazia, purezza e umiltà.

Bottega Di anDrea Del sarto (Con rosso e Pontormo?) Madonna della Cintola 1512-1513 olio su tavolarignano sull’arno, Chiesa di San michele a volognano

Nella suddivisione in due registri sovrapposti, la pala si ispira alla Madonna di Foligno cui Raffaello lavorava intorno al 1511, nel momento del probabile soggiorno romano di Andrea del Sarto con il Pontormo e il Rosso. Ad Andrea risultano pertinenti la figura della Vergine e lo schema compositivo della tavola, mentre l’esecuzione, soprattutto della metà inferiore, invita a considerare una collaborazione fra il Rosso e il Pontormo. È stata avanzata la congettura che Jacopo si sia raffigurato nel proprio santo protettore.

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Pontormo Due guerrieri con lance Porta armi con putto 1513 tempera su tela Firenze, galleria degli uffizi

Esecuzione rapida e soggetti “all’antica” fanno ipotizzare che i due monocromi fossero destinati ad apparati effimeri, forse i carri allegorici allestiti in occasione del carnevale del febbraio del 1513 dalle Compagnie del Diamante e del Broncone, capitanate da due Medici: Giuliano (poi duca di Nemours) figlio di Lorenzo il Magnifico, e Lorenzo (poi duca d’Urbino) figlio di Piero il Fatuo. Le tele riflettono ricordi di opere conosciute da Jacopo durante il probabile soggiorno romano del 1511.

Pontormo Sacrificio di Marco Curzio 1513-1515olio su tavolaCollezione privata

La tavola, come fa supporre la velocità di esecuzione, è da collegare ad apparati effimeri, quali i carri carnevaleschi, cui il Pontormo ha spesso collaborato. In seguito al loro ritorno a Firenze i Medici vollero infatti ripristinare le feste della tradizione popolare, avversate in epoca savonaroliana, utilizzandole come strumenti di controllo dell’ordine pubblico. Da Tito Livio è tratta la vicenda di Marco Curzio che, per salvare Roma, si offre come sacrificio alle divinità gettandosi in una voragine che non poteva essere colmata altrimenti.

Pontormo Giuseppe venduto a Putifarre 1515 olio su tavolalondra, the national gallery, bought with the aid of the art Fund (eugene Cremetti Fund), 1979

La tavola, insieme ad altre tre del Pontormo, era inserita nell’arredo ligneo della camera nuziale commissionata nel 1515 a Baccio d’Agnolo in occasione del matrimonio di Pierfrancesco Borgherini e Margherita Acciaioli. I pannelli, raffiguranti le bibliche Storie di Giuseppe Ebreo, furono affidati anche ad Andrea del Sarto, Francesco Granacci e il Bachiacca. Il Pontormo adotta soluzioni espressive drammatiche e originali, con riferimenti alla scultura ellenistica e alle incisioni nordiche.

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anDrea Del sarto Madonna col Bambino e i santi Francesco e Giovanni Evangelista (Madonna delle arpie)1517 olio su tavolaFirenze, galleria degli uffizi

Il soggetto della pala – ultimata nel 1517 per la chiesa del convento di San Francesco de’ Macci a Firenze – venne probabilmente suggerito dal teologo francescano Andrea Sassolini, fervente seguace di Savonarola. Gli aloni di fumo che salgono dal basamento e le locuste ai suoi lati (interpretate da Vasari come arpie, che hanno dato il nome all’opera) fanno riferimento al nono capitolo dell’Apocalisse di Giovanni, testo assai letto in quella stagione, turbata dall’incalzare di predicazioni apocalittiche.

Intorno al 1517 si delinea una definitiva scelta di campo, ben visibile nelle opere del Pontormo e del Rosso sia nell’espressione formale che nei contenuti religiosi e filosofici. La Madonna delle arpie di Andrea del Sarto (1517), come cardine di questa divergenza, è posta a confronto con la Pala dello spedalingo del Rosso (1518) e con la Pala Pucci del Pontormo (1518). Queste opposte vie porteranno il Pontormo a scegliere un linguaggio vario e aggiornato e a divenire voce preferita dei Medici, lavorando di lì a poco alla decorazione della villa medicea di Poggio a Caiano, mentre il Rosso diventerà, con le sue scelte arcaizzanti che esaltano l’illustre tradizione artistica cittadina, il pittore favorito di quegli aristocratici fiorentini che manterranno vivi i valori repubblicani opponendosi ai Medici.

le Divergenti vie: arie DisPerate eDolCezza Di Colorito

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Pontormo Sacra conversazione (Pala Pucci) 1518 olio su su tavolaFirenze, Chiesa di San michele visdomini

Realizzata per la cappella di Francesco di Giovanni Pucci in San Michele Visdomini, è ritenuta da Vasari «la più bella tavola che mai facesse questo rarissimo pittore». Al pari della Madonna delle arpie di Andrea del Sarto, la pala sottende una trama legata a quei tempi di tensioni religiose e di aneliti di rinnovamento. Anche qui san Francesco ha il ruolo di protagonista: a lui è affidato il compito di farsi testimone della “luce”, conforme a quanto era toccato al Battista. E la “luce” segna tutta la composizione.

rosso Fiorentino Madonna col Bambino e quattro santi (Pala dello spedalingo) 1518 olio su tavolaFirenze, galleria degli uffizi

Leonardo Buonafede, spedalingo di Santa Maria Nuova, per rispettare il lascito di una vedova catalana commissionò al Rosso questa pala d’altare, forse la prima da lui eseguita. Destinata a una cappella di Ognissanti, venne però rifiutata dal committente poiché, secondo Vasari, gli «parvero (…) tutti quei santi, diavoli». La tavola, lasciata incompiuta dal Rosso, fu completata in maniera approssimativa – come denunciano le mani di Maria o gli occhi del Bambino, che sono quattro – forse da Ridolfo del Ghirlandaio.

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Pontormo Ritratto di orafo1518 olio su tavolaparigi, musée du louvre, département des peintures, Collection de louis Xiv (acquis de Jabach en 1671)

Il ritratto, tra i primi del Pontormo a noi noti, appare condotto sotto la guida di Andrea del Sarto. Se l’identità dell’effigiato è discussa, certa invece la sua attività di orafo, come suggerisce la padronanza con cui impugna il bulino tra pollice e indice. Sul tavolo è appoggiato, in bilico, l’oggetto al quale sta lavorando: forse un anello in cui incastonare una pietra, fissato a due palle di cera, utilizzate per assicurarsi una superficie cedevole quando l’oro è sottoposto all’azione del bulino.

Pontormo San Paolo in carcere1517-1518 olio su tavolaCollezione privata

San Paolo viene rappresentato, come suggerisce la finestra con le sbarre, in seguito alla liberazione dalla prigionia in Macedonia (Atti 16, 16-40). La tavola va accostata a un gruppo di dipinti eseguiti dal Pontormo alla fine del secondo decennio del Cinquecento, e ripropone, specchiata, la posizione del san Giovanni Evangelista della tavola di Pontorme. Una datazione tra il 1517 e il 1518 giustifica la cromia vivace, avvicinabile a quella delle Storie di Giuseppe Ebreo della Camera Borgherini.

La decorazione del salone della villa di Poggio a Caiano, iniziata dal 1519, è espressione emblematica delle scelte artistiche della famiglia Medici, soprattutto per il disegno dal naturale. È il Pontormo a diventare protagonista di questa nuova lingua figurativa, aggiornata e varia, formulata entro regole classiche e armoniche. Il Rosso invece – per il suo linguaggio puro e arcaizzante, legato al pensiero savonaroliano, ancora ben vivo fra le pareti del convento di San Marco, dove il pittore aveva trascorso parte del suo itinerario formativo – non viene chiamato dai Medici, ed è costretto a lasciare Firenze intorno alla metà del 1519, per Piombino, Napoli e Volterra, cercando fortuna lontano dalla città. Nelle tavole volterrane del Rosso si toccano vertici di astratto arcaismo, difficilmente accettati nella Firenze degli anni Venti e mai presente nelle opere del Pontormo.

il Pontormo nella Firenze meDiCea e lePrime PeregrinazioniDel rosso

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Pontormo San Giovanni Evangelista; San Michele Arcangelo 1519 circa olio su tavolapontorme, empoli, Chiesa di San michele arcangelo

Vasari informa che Jacopo eseguì per gli «uomini di Puntormo una tavola, che fu posta in Sant’Agnolo, lor chiesa principale, alla capella della Madonna, nella quale son un S. Michelagnolo et un San Giovanni Evangelista». L’artista ricorre, senza nasconderle, a fonti disparate: guarda a Leonardo per lo studio delle espressioni, dimostra interesse per le antichità ellenistiche nelle teste, nella posa dell’Evangelista e nel putto-diavolo paffuto, rivelandosi inoltre attratto dalle novità d’oltralpe.

Pontormo Adorazione dei magi (Epifania Benintendi) 1519-1520 olio su tavolaFirenze, palazzo pitti, galleria palatina

La tavola era destinata al “fornimento”, cioè rivestimento ligneo, dell’anticamera di Giovanni Maria Benintendi, insieme ai pannelli dipinti da artisti quali Andrea del Sarto. La composizione del Pontormo rimanda ai più noti capolavori fiorentini di questo frequentato soggetto e ad architetture della città toscana, ma anche alle stampe del fiammingo Luca di Leida, allievo di Dürer. Dalle incisioni nordiche derivano le vesti rigonfie, il digradare del paesaggio, la chiarezza della composizione.

rosso Fiorentino Madonna col Bambino, san Giovanni Battista e san Bartolomeo (Pala di Villamagna) 1521 olio su tavolavolterra, museo diocesano d’arte Sacra

La pala, firmata e datata nell’angolo in basso a sinistra, era destinata alla pieve di Villamagna, non lontana da Volterra, di cui all’epoca era canonico Francesco di Bartolomeo Maffei, probabile membro della famiglia committente. L’impostazione tradizionale fu scelta dal Rosso per esprimere un sentimento religioso austero, grazie anche al recupero della scultura donatelliana nell’intenso rapporto affettivo tra madre e figlio e nel san Bartolomeo, quasi intagliato nella pietra.

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rosso Fiorentino Angiolino musicante 1521 olio su tavolaFirenze, galleria degli uffizi

L’angelo accorda il liuto, intonando il suono col pizzicare delle corde. Per la pala cui questo frammento apparteneva, l’artista, «bonissimo musico», aveva ripreso la composizione tradizionale cara al maestro Fra’ Bartolomeo, con figure intente a suonare ai piedi della Vergine. Sulle riflettografie è leggibile in corsivo «R[u]beus florentini. fe[cit?]. M.D.xxI», ma non è da escludere che l’iscrizione possa essere stata aggiunta al momento dello smembramento della tavola, copiando firma e data della pala d’altare.

rosso Fiorentino Sacra Famiglia con san Giovannino 1521-1522 circa olio su tavolaBaltimora, the Walters art museum

Il Rosso rinnova una composizione molto diffusa nel Quattrocento fiorentino, concentrando le figure, riservando a ogni personaggio uno spazio ridotto e compresso, ed eliminando gli elementi non essenziali, al fine di rimarcare l’impatto espressivo. L’opera ha subito danni, ma forse non è stata portata dal pittore a un livello elevato di rifinitura, tanto da sembrare uno schizzo a olio, poiché in ogni figura, e all’interno delle pieghe, è percepibile il disegno nero sottostante.

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anDrea Del sarto Dama col cestello di fusi 1514-1515 olio su tavolaFirenze, galleria degli uffizi

Attribuito a vari artisti, tra cui il Pontormo, prima di essere assegnato ad Andrea del Sarto, il ritratto mostra una donna dal volto “sfiorito”, al punto d’essere stato ipotizzato fosse defunta. Congettura che potrebbe essere confortata dal cestello colmo di fusi per la filatura, attributo iconografico legato alla rappresentazione delle Parche. Il dipinto unisce a elementi della tradizione toscana la composizione dei ritratti fiorentini di Raffaello, ma soprattutto rivela i segni dell’influenza d’oltralpe.

Pontormo Ritratto di Cosimo il Vecchio 1518-1519 olio su tavolaFirenze, galleria degli uffizi

Cosimo de’ Medici siede su uno scranno che ne reca il nome. A una pianta d’alloro, con un ramo tagliato e uno frondoso, si avvolge un cartiglio dal motto «uno avulso non deficit alter» (Eneide, VI, 143), cioè “eliminato uno non manca chi lo sostituisca”, con allusione al rinnovarsi della casata. Il dipinto potrebbe essere stato commissionato, prima della morte avvenuta nel 1519, da un discendente di Cosimo, Lorenzo duca d’Urbino, la cui impresa araldica era appunto il “broncone” che rinverdisce.

Il Pontormo ritrasse non solo numerosi membri della famiglia Medici di cui – fino all’avvento del Bronzino negli anni quaranta – fu tra i ritrattisti favoriti, ma anche nobili fiorentini che preferirono il suo approccio, eccentrico e innovativo, alla tradizione ritrattistica di inizio secolo di Raffaello e Andrea del Sarto. Attraverso le effigi dipinte dal Pontormo è possibile seguire non solo lo svolgimento del ritratto, come genere, ma anche le vicende politiche fiorentine fino alla metà del Cinquecento. Suo connotato distintivo è lo studio attentissimo dei modelli dal vero, cui deve la straordinaria capacità di cogliere e trasmettere le identità psicologiche degli effigiati.

«vivi e naturali»ritrattiDel Pontormo

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Pontormo Doppio ritratto di amici 1523-1524 olio su tavola e lacchevenezia, Fondazione giorgio Cini, galleria di palazzo Cini

Secondo Vasari, il Pontormo «ritrasse in uno stesso quadro due suoi amicissimi: l’uno fu il genero di Becuccio Bichieraio, et un altro, del quale parimente non so il nome». Il doppio ritratto è dunque opera tra le più intime della prima maturità del pittore e testimonia – data la nota scontrosità verso quanti non facessero parte della sua cerchia ristretta di conoscenze – una assidua familiarità, come suggerisce anche la lettera che riporta un passo del De amicitia di Cicerone (VI, 22).

Pontormo Ritratto di giovanetto 1525-1526 olio su tavolalucca, museo nazionale di palazzo mansi

Il giovanissimo rampollo di un’ancora sconosciuta famiglia fiorentina, già identificato con Alessandro o Giuliano de’ Medici, viene rappresentato in abiti ufficiali da parata. Modello è il Ritratto di Anton Francesco degli Albizzi di Sebastiano del Piombo, inviato da Roma a Firenze nel marzo del 1525, da cui il Pontormo trae ispirazione per posa, taglio della composizione e monumentalità impressa alla figura dall’ampia cappa, con le maniche gonfie e poi strette al gomito.

Pontormo Ritratto di vescovo (Monsignor Niccolò Ardinghelli?)1541-1542 circa olio su tavolaWashington, national gallery of art, Samuel H. Kress Collection

L’effigiato indossa abiti vescovili, facendo così cadere la proposta che sia il ritratto di Giovanni della Casa, mai insignito di questa dignità ecclesiastica. Potrebbe trattarsi invece di Niccolò Ardinghelli, membro dell’Accademia Fiorentina, canonico di Santa Maria del Fiore, personalità di spicco della corte pontificia, vescovo di Fossombrone dal 1541 e in seguito cardinale, che, secondo Vasari, fu ritratto dal Pontormo. L’edificio all’interno del quale è ritratto potrebbe raffigurare la cattedrale fiorentina.

Pontormo Ritratto di gentiluomo con libro 1540-1542 olio su tavolaCollezione privata

Il ritratto, uno degli ultimi eseguiti dal Pontormo, costituisce un tassello fondamentale per la conoscenza della sua produzione ritrattistica tarda. Il personaggio, forse un letterato dell’Accademia Fiorentina o un membro della corte medicea, indossa, come suggerito dal Cortegiano di Baldassar Castiglione, un abito privo di orpelli e un cappello di dimensioni ridotte, dai colori poco vivaci. A queste direttive si conforma l’artista, che dipinge quasi un monocromo, ravvivato solo dalle labbra e dalla camicia.

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Fra’ Bartolomeo Ritratto di Girolamo Savonarola 1499-1500 olio su tavolaFirenze, museo di San marco

Il carattere funerario del taglio di profilo e l’iscrizione che definisce Savonarola profeta inviato da Dio, suggeriscono per il dipinto una data successiva alla sua morte, ma ancora vicina al rogo del 23 maggio 1498. L’«affezzione», testimoniata da Vasari, che Baccio della Porta – all’epoca non ancora entrato nell’Ordine domenicano con il nome di Fra’ Bartolomeo – nutriva per Savonarola, consente di ipotizzare che i lineamenti del volto fossero basati su schizzi tracciati quando fra’ Girolamo era ancora vivo.

rosso Fiorentino Ritratto virile 1512-1513olio su tavolaFirenze, galleria degli uffizi

Già riferito a Domenico Puligo e a Tommaso Lunetti, il ritratto è stato attribuito al Rosso da Antonio Natali, anche per un confronto con la fisionomia degli apostoli affrescati ai piedi dell’Assunta nel Chiostrino dell’Annunziata: un paragone reso difficile dalla differenza del mezzo pittorico. L’inedito Ritratto di uomo con lettera esposto qui a fianco, con analoghe sembianze asprigne e scabre, rende ammissibile l’attribuzione di ambedue i ritratti al Rosso, seppur a una data leggermente scalata.

Riferendosi probabilmente agli anni giovanili del Rosso, precedenti alla partenza del pittore nel 1519 verso Piombino, Napoli e Volterra, Vasari afferma «per le case de’ cittadini si veggono più quadri e molti ritratti». Testimonia dunque del favore che l’artista aveva avuto presso le famiglie aristocratiche devote ai valori repubblicani e savonaroliani – i “cittadini” fedeli a un preciso ambito culturale, prima che politico –, ma anche la sua precoce abilità di ritrattista. A oggi nessuno degli effigiati dal Rosso Fiorentino è stato identificato con sicurezza, e questa anomalia conferma il suo farsi voce di una fazione politica e religiosa sconfitta dall’avvento dei Medici dopo il 1530 e destinata all’ostracismo e all’oblio.

«Cere Bizzarre» ritrattiDel rosso

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rosso Fiorentino Ritratto di uomo con lettera1514 circaolio su tavolaCollezione privata

Il ritratto, inedito, costituisce un recupero fondamentale della precoce attività del Rosso. Tipica del pittore in questa fase è l’esecuzione della veste damascata, il disegno delle mani legnose ma non ancora artigliate, il putto con l’arme che anticipa uno dei due angiolini della Pala dello spedalingo. Lo stemma risulta di incerta identificazione per la mancanza dei colori, ma parrebbe affine a quello dell’oscura famiglia fiorentina dei Trachi.

rosso Fiorentino Ritratto di uomo con lettera1518 olio su tavola londra, the national gallery, bought with the generous support of the george Beaumont group and a number of gifts in wills including a legacy from mrs. olive Brazdzionis

Questo ritratto è l’unico tra i pochi attribuiti al Rosso Fiorentino, che sia datato: la lettera è infatti intestata al 22 giugno 1518, giorno che doveva avere per l’effigiato un significato speciale. Il dipinto fu realizzato alla fine del primo periodo fiorentino del Rosso, quando – con Andrea del Sarto ormai in Francia e Fra’ Bartolomeo da poco scomparso – gli artisti più giovani della Scuola dell’Annunziata ebbero maggiori opportunità di ottenere commissioni per ritratti.

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rosso Fiorentino Ritratto virile 1521-1522 olio su tavolaFirenze, palazzo pitti, galleria palatina

L’identità dell’uomo rimane incerta: era ritenuto il sacerdote fiorentino Francesco da Castiglione, ma il suo è un “berretto” non utilizzato da ecclesiastici, e inoltre si sono notate somiglianze con il poeta napoletano Jacopo Sannazzaro. Guardando al Savonarola di Fra’ Bartolomeo, il Rosso utilizza il profilo sinistro e il taglio concentrato, sottolinea la semplicità dell’abbigliamento, usa una tavolozza limitata, forse adeguandosi ai rigorosi valori etici ed estetici cari all’ambiente dei seguaci del frate.

rosso Fiorentino Ritratto virile1522 circaolio su tavolaWashington, national gallery of art, Samuel H. Kress Collection

La presenza di un anello e l’età dell’uomo potrebbero indicare che l’occasione per il ritratto sia stata offerta da un matrimonio, ma mancano indicazioni sull’identità del modello del dipinto, forse appartenuto alla famiglia Pazzi. La composizione è quella tipica e concentrata del Rosso, con la parte superiore del copricapo quasi tagliata fuori dal margine della tavola, mentre prototipi per la postura con la mano sul fianco, insieme ardita e autorevole, sono i ritratti realizzati da Raffaello a Roma.

rosso Fiorentino Ritratto di uomo con elmo 1523-1524 circa olio su tavolaliverpool, Walker art gallery

Unico ritratto firmato del Rosso, il dipinto è stato ampliato: una manomissione frequente, perché i proprietari spesso non apprezzavano le composizioni con le figure costrette dai margini. L’uomo regge l’elmo – di tipologia tedesca, risalente al 1515-1520 e di un genere utilizzato in battaglia – per la visiera. La firma RUBEUS FACIEBAT presente sul bracciolo, senza riferimento al luogo di nascita, come avveniva spesso quando lavorava in patria, potrebbe invitare a datare il ritratto prima della sua partenza per Roma nel 1524.

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Pontormo Studio per il Gesù Bambino della Pala Pucci 1518pietra nera su carta biancaFirenze, gabinetto disegni e Stampe degli uffizi

Pontormo Studio per il San Michele di Pontorme 1519pietra rossa, pietra rossa acquerellata, inchiostro, tracce di biacca su carta biancaFirenze, gabinetto disegni e Stampe degli uffizi

Pontormo Studio di nudo seduto 1519-1520 circapietra rossa, pietra rossa acquerellata, biacca su carta bianca ingiallita Firenze, gabinetto disegni e Stampe degli uffizi

Del Pontormo, uno dei massimi disegnatori del Cinquecento, ci è pervenuto un numero considerevole di disegni, che mostrano un’evoluzione dello stile e rivelano tanto le fonti cui si ispirava, quanto il suo apporto al disegno fiorentino. Dodici fogli consentono di ripercorrerne la formazione, illustrando la sua capacità di trasmettere con immediatezza la realtà, soprattutto all’epoca di Poggio a Caiano e della Certosa: ne è esempio illuminante il disegno in cui è ritratto un garzone addormentato sui gradini della bottega. I fogli permettono inoltre di evocare opere non presenti in mostra poiché non trasportabili (la Deposizione e l’Annunciazione di Santa Felicita) o perdute (il coro di San Lorenzo richiamato dai disegni delle Anime che ascendono dal Purgatorio e del Diluvio Universale). Chiarificatore, infine, il percorso dai disegni all’opera, come accade per lo Studio per il Gesù Bambino della Pala Pucci, il San Michele di Pontorme e il monaco certosino della Cena in Emmaus, esposti in mostra.

«vivaCità e Prontezza» nei DisegniDel Pontormo

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Pontormo Studio di nudo sdraiato e di nudo seduto 1519-1520pietra nera su carta biancaFirenze, gabinetto disegni e Stampe degli uffizi

Pontormo (Studio di nudo (Autoritratto?) 1522-1525pietra rossa su cartalondra, the British museum

Pontormo Ritratto di monaco certosino per la Cena in Emmaus 1525pietra rossa su carta biancaFirenze, gabinetto disegni e Stampe degli uffizi

Pontormo Ragazzo che dorme disteso su un gradone 1525 circa pietra rossa, pietra nera su carta bianca ingiallita Firenze, gabinetto disegni e Stampe degli uffizi

Pontormo Studio di nudo per la Deposizione di Santa Felicita 1525-1526pietra nera, pietra nera acquerellata, biacca su carta bianca imbrunitaFirenze, gabinetto disegni e Stampe degli uffizi

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Pontormo Studio dell’Angelo per l’Annunciazione di Santa Felicita 1527 circapietra nera, inchiostro diluito, quadrettatura a pietra rossa su carta bianca ingiallitaFirenze, gabinetto disegni e Stampe degli uffizi

Pontormo Studio di nudo1535-1540 circapietra rossa su carta biancaFirenze, gabinetto disegni e Stampe degli uffizi

Pontormo Figura maschile nuda per le anime che ascendono dal Purgatorio del coro di San Lorenzo 1554-1555 circa pietra nera su carta bianca ingiallitaFirenze, gabinetto disegni e Stampe degli uffizi

Pontormo Studi di nudo per il Diluvio Universale del coro di San Lorenzo 1554-1556pietra nera, sfumino, stilo, biacca su carta biancaFirenze, gabinetto disegni e Stampe degli uffizi

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rosso Fiorentino Madonna col Bambino e santi 1519-1520 circapietra nera su carta biancaFirenze, gabinetto disegni e Stampe degli uffizi

rosso Fiorentino Studio di nudo femminile 1521-1522 circapietra rossa, pietra nera su carta giallettaFirenze, gabinetto disegni e Stampe degli uffizi

Disegnatore sperimentale, il Rosso ci ha lasciato pochi disegni a testimoniare lo studio della tradizione fiorentina, ma anche la capacità di usare le stampe come mezzo di diffusione, in Europa, del suo linguaggio figurativo spregiudicato e anticonformista. Attraverso undici fogli si percorre l’evoluzione del suo stile dalla Firenze d’inizio secolo alle opere per la corte di Francia: lavori di periodi differenti della vita, realizzati in contesti diversissimi. Il Rosso condusse le sue ricerche nel solco di Michelangelo, aggiungendovi una potente astrazione talvolta nascosta da una fastosa sapienza decorativa, testimonianza del soggiorno romano. Lo studio preparatorio per il san Sebastiano della Pala Dei, ultimato poco prima della partenza per Roma, o i piedi dello Studio di nudo seduto, probabilmente realizzato dopo la scoperta delle figure dipinte da Michelangelo sulla volta della Cappella Sistina, non sono più raffigurazioni dal vero, ma il più puro prodotto del suo intelletto.

il rosso «Fiero e FonDato» nel Disegno

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rosso Fiorentino Studio di nudo per il san Sebastiano della Pala Dei 1522 circapietra rossa su carta bianca ingiallitaFirenze, gabinetto disegni e Stampe degli uffizi

rosso Fiorentino Studio di nudo con drappo 1523-1524 circapietra rossa su carta bianca ingiallitaFirenze, gabinetto disegni e Stampe degli uffizi

rosso Fiorentino Vergine annunciata 1524-1525 circapietra rossa, pietra nera su carta bianca ingiallitaFirenze, gabinetto disegni e Stampe degli uffizi

rosso Fiorentino Studio di nudo seduto 1525-1527 circa pietra rossa su cartalondra, the British museum

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rosso Fiorentino Studio di nudo con braccio alzato 1525-1527 circapietra rossa su carta giallastraFirenze, gabinetto disegni e Stampe degli uffizi

rosso Fiorentino Studio di nudo per il Cristo della Deposizione di Sansepolcro 1527inchiostro marrone su cartavienna, albertina

rosso Fiorentino Madonna della Misericordia 1528-1529pietra rossa, pietra nera e biacca su cartaparigi, musée du louvre, département des arts graphiques

rosso Fiorentino Progetto per un altare 1529inchiostro marrone, acquerello grigio, su carta preparata verde chiarolondra, the British museum

rosso Fiorentino Progetto per una parete con la prima visione del Petrarca della morte di Laura 1534 circainchiostro marrone, acquerello grigio, ripassato a guazzo bianco su carta preparata marroneoxford, Christ Church picture gallery, by permission of the governing Body of Christ Church

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Pontormo Madonna col Bambino e san Giovannino 1523-1525 olio su tavolaFirenze, galleria Corsini

Ritenuto il «quadro di Nostra Donna col Figliuolo in collo e con alcuni putti intorno, la quale è oggi in casa d’Alessandro Neroni» di cui scrive Vasari, è invece probabilmente da identificare con «una Madonna, ma diversa dalla sopradetta e d’altra maniera». La tavola illustra esemplarmente lo stile del Pontormo fra il 1523 e il 1525, già influenzato dalle stampe di Dürer, nel paesaggio e nei fiabeschi edifici turriti.

Fin dalle tavole dipinte per la Camera Borgherini nel 1515, prossime al discepolato con Andrea del Sarto, il Pontormo introdusse nella lingua pittorica fiorentina elementi figurativi provenienti d’oltralpe, conosciuti attraverso la diffusione delle stampe tedesche, che circolavano anche nella bottega di Andrea. Quelle forme, eccentriche e stravaganti rispetto alla tradizione locale, presero il sopravvento negli affreschi del Pontormo nel Chiostro grande alla Certosa del Galluzzo, che vennero aspramente criticati da Vasari perché ormai distanti dalle aspirazioni espressive della corte di Cosimo de’ Medici, che lui condivideva al tempo della stesura delle Vite. Nei capolavori del Pontormo del terzo decennio sono infatti riconoscibili non solo singole citazioni, ma il tentativo di esprimersi in un linguaggio nuovo, attraverso la comprensione della tecnica e grazie a più ampie riprese dai cicli a carattere narrativo di Dürer: la Piccola e la Grande Passione.

verso i teDesChio verso la traDizione Fiorentinail Pontormo e le stamPe Di Dürer

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Pontormo Cena in Emmaus 1525olio su telaFirenze, galleria degli uffizi

Il dipinto, insieme ad altri, fu commissionato al Pontormo da Leonardo Buonafede per la Certosa del Galluzzo presso Firenze. L’artista si ispira per la composizione all’incisione di analogo soggetto della Piccola Passione di Dürer ma vi aggiunge un inedito naturalismo nei ritratti dei monaci alle spalle di Cristo. Sono conservati numerosi studi per le figure dei certosini: in quello anziano a sinistra è da riconoscere il committente.

Pontormo Cristo crocifisso con la Madonna, san Giovanni Evangelista, san Giuliano e sant’Agostino (Tabernacolo di Boldrone)1525-1526 circaaffresco staccato Firenze, accademia delle arti del disegno

L’affresco fu staccato nel 1955 dal tabernacolo presso il convento camaldolese di San Giovanni Evangelista, detto di Boldrone, posto alle porte di Firenze, per essere restaurato ed esposto l’anno successivo alla mostra di Palazzo Strozzi dedicata al Pontormo. Vasari sottolinea che le figure «non essendo ancora sfogato quel capriccio [infatuazione] e piacendogli la maniera tedesca, non sono gran fatto dissimili da quelle che fece alla Certosa».

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rosso Fiorentino Sposalizio della Vergine (Pala Ginori)1523 olio su tavolaFirenze, Basilica di San lorenzo

Firmata e datata sul gradino, la pala, restaurata in occasione della mostra, è documentata anche da scritture del committente, Carlo di Leonardo Ginori, accomunato al Rosso da ideali savonaroliani e repubblicani, qui svelati dall’architettura, che ricorda i portali del Cronaca, o dalla presenza del domenicano san Vincenzo Ferrer che suppliva a quella – proibita – di Savonarola. Fulcro della pala è il san Giuseppe inusualmente giovane, a indicare che la castità è scelta e non conseguenza dell’età senile.

Bottega Del rosso FiorentinoMosè difende le figlie di Jetro1523 circaolio su telaFirenze, galleria degli uffizi

Vasari ricorda un quadro del Rosso «d’alcuni ignudi bellissimi in una storia di Mosè, quando ammazza l’Egizzio». Commissionato dal fiorentino Giovanni Bandini e poi inviato in Francia in dono a Francesco I è oggi perduto, ma questa tela sembra essere replica eseguita da un collaboratore del Rosso per mantenerne memoria. In primo piano Mosè abbatte i pastori Madianiti in una scena intrisa di cultura antica e di riferimenti michelangioleschi, mentre le figlie di Jetro sono relegate sul fondo.

Negli anni venti del Cinquecento il Rosso, che non lavorò per i Medici, dipinge alcune pale d’altare per le famiglie aristocratiche che guardano alla tradizione culturale della città come affermazione della loro antica appartenenza alla Repubblica fiorentina. Il Rosso e il Pontormo portano dunque avanti vie sperimentali ma figurativamente quasi alternative fra loro, capaci di animare e influenzare il dibattito artistico a Firenze negli anni della diffusione delle idee protestanti, a testimonianza anche della libertà d’approccio, in città, ai temi sacri. Il Tabernacolo di Boldrone e la Cena in Emmaus del Pontormo sono messi a confronto con lo Sposalizio della Vergine (eseguito per il savonaroliano Carlo Ginori), in cui il Rosso introduce varianti iconografiche importanti come la gioventù di san Giuseppe, e crea un effetto di horror vacui sottolineato anche da Vasari: «Era anco tanto ricco d’invenzioni che non gl’avanzava mai niente di campo nelle tavole».

verso i teDesChio verso la traDizione Fiorentinail rosso e la Firenze rePuBBliCana

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Pontormo Madonna col Bambino 1527-1528 circa olio su tavolaFirenze, palazzo Capponi alle rovinate

Parte centrale, rimaneggiata, del paliotto d’altare dipinto dal Pontormo per la cappella di Santa Felicita, acquistata da Lodovico Capponi nel maggio 1525. La decorazione pittorica fu affidata al Pontormo, che vi lavorò per tre anni insieme al Bronzino, protetti alla vista da una chiusura di assiti. La cappella trova una chiave di lettura negli scritti di sant’Agostino dedicati all’Eucarestia e culmina nella tavola con il Corpo di Cristo morto calato sull’altare, più nota come Deposizione.

guillaume DemarCillat (le CHâtre Berry 1468?-arezzo 1529) Deposizione dalla croce e sepoltura di Cristo 1526vetro istoriato e piomboFirenze, palazzo Capponi alle rovinate

La vetrata, eseguita ad Arezzo da fra’ Guillaume de Marcillat, giunse a Firenze nel 1526 per essere inserita nella finestra della cappella di Lodovico Capponi in Santa Felicita, dove il Pontormo stava realizzando la decorazione pittorica, di cui costituisce parte integrante. È stato suggerito che il dotto frate-pittore vetraio, domenicano passato all’ordine agostiniano, possa essere stato coinvolto nell’elaborazione della complessa iconologia della cappella.

Della Cappella Capponi, organismo unitario portato a compimento tra 1525 e ’28, che si è scelto di non alterare, sono visibili in mostra la Madonna col Bambino dipinta dal Pontormo al centro del paliotto d’altare e la vetrata di Guillaume de Marcillat, entrambi rimossi già da lungo tempo. Alla fine del 1523, o inizio del ’24, il Rosso si trasferì invece a Roma, forse nella speranza, al pari di altri fiorentini, di trovare spazio nei grandi cantieri aperti da un papa Medici, Clemente VII. L’unica allogagione che ottenne fu la decorazione della cappella Cesi in Santa Maria della Pace (rimasta incompiuta per dissapori con la committenza): decorazione che nello svolgimento del tema sacro anticipa di poco proprio quello della cappella Capponi. Il soggiorno romano rimase fondamentale per il Rosso, che, di fronte alle novità della scuola di Raffaello e alla scultura classica, iniziò un mutamento dello stile che lo porterà a creare un linguaggio pittorico raffinato e di sottile eleganza formale, capace di conquistare – di lì a pochi anni – la corte di Francesco I di Francia.

il Pontormo nella CaPPella CaPPoni e il rosso a roma

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rosso Fiorentino Morte di Cleopatra 1525-1527 olio su tavolaBraunschweig, Herzog anton ulrich-museum, Kunstmuseum des landes niedersachsen

Unico dipinto profano a noi noto realizzato prima del trasferimento del Rosso in Francia, la tavola è anche esempio del suo incontro con l’Antico. La composizione si rifà infatti sia alle testimonianze letterarie sulla morte di Cleopatra, sia alla celebre statua ellenistica dell’Arianna addormentata, all’epoca ritenuta rappresentare la regina d’Egitto. La scultura, entrata nelle collezioni papali nel 1512 e collocata al Belvedere, fu vista probabilmente dal Rosso durante il soggiorno romano.

rosso Fiorentino Ritratto di giovane 1524-1526 circa olio su tavola napoli, museo nazionale di Capodimonte

Il ritratto, che risale al periodo romano del Rosso, risente dell’influsso del Parmigianino: i due, dalla personalità affine, si sono influenzati a vicenda dopo l’incontro nella Roma di Clemente VII. La brillante e colta compagnia degli artisti clementini era ricercata dagli ambienti più elevati, alla cui vita sociale prendevano parte. La tavola potrebbe essere stata eseguita nel corso di un soggiorno estivo a Cerveteri, di cui riferisce Cellini, presso un conte dell’Anguillara.

rosso Fiorentino Ritratto di cavaliere di San Giovanni 1524 circa olio su tavolalondra, the national gallery, Wynn ellis bequest

Il ritratto, di leggibilità offuscata, fu forse eseguito nel corso del soggiorno romano del Rosso, come suggerisce sia l’influsso dalla ritrattistica di Sebastiano del Piombo che il legame con le figure dipinte dal fiorentino per la cappella Cesi: le accomuna l’audacia nella conduzione pittorica, l’aspirazione a una misura monumentale e la volontà di tener desta la tradizione fiorentina. Rimane ancora incerta l’identità del cavaliere gerosolimitano.

gian giaComoCaraglio (verona 1505 CirCa-CraCovia 1565) Dal rosso FiorentinoFatiche di Ercole: Ercole e Archelao; Ercole e Caco; Ercole e Cerbero; Ercole e i Centauri; Ercole e l’Idra; Ercole e Nesso 1524incisione a bulinoFirenze, gabinetto disegni e Stampe degli uffizi

Verso la fine del 1524 il Rosso a Roma disegnò, perché fossero tradotte in incisione, queste sei Fatiche di Ercole. L’artista ha intuito precocemente la potenzialità della grafica come forma e mezzo di comunicazione, e aveva infatti preparato il terreno per il proprio trasferimento a Roma inviando disegni quali prove della propria capacità.

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gian giaComoCaraglio Dal rosso FiorentinoFuria 1524 incisione a bulinolondra, the British museum

L’inquietante figura, disegnata dal Rosso e stampata a Roma da Caraglio nel 1524, risente al di là di suggestioni da Baccio Bandinelli, dell’immaginario di incisioni anche più antiche. La possibilità di far circolare le proprie invenzioni fu di grande importanza per il Rosso perché il mezzo rispondeva alle sue esigenze espressive e di promozione. L’educazione letteraria lo aveva infatti preparato ad affrontare le difficoltà, ma anche le opportunità, di una forma d’arte ancora piuttosto nuova.

gian giaComoCaraglio Dal rosso Fiorentino Dei nelle nicchie1526incisioni a bulinoFirenze, Biblioteca marucelliana

Lo sforzo, anche intellettuale, richiesto dai disegni destinati a essere tradotti in incisione, ha impegnato a fondo il Rosso, che è l’artista italiano cui si devono il maggior numero di disegni per stampe della prima metà del Cinquecento. Il mezzo gli era congeniale perché offriva un duplice vantaggio: la possibilità di vivere, anche agiatamente, grazie al proprio lavoro intellettuale, e l’opportunità di far circolare le proprie idee compositive presso un vasto pubblico, anche all’estero.

gian giaComoCaraglio Dal rosso Fiorentino Saturno e Filira; Plutone e Proserpina 1527incisione a bulinovienna, albertina

Le due incisioni fanno parte della serie dedicata agli Amori degli dei, i cui disegni – eseguiti su commissione dello stampatore Baviero de’ Carocci, detto il Baviera, dal Rosso e da Perin del Vaga – furono poi intagliati da Caraglio. Le incisioni, descritte da Vasari come raffigurazioni di «quando gli dei si trasformano per conseguire i fini dei loro amori», ebbero grande successo: lo confermano le numerose repliche ristampate sino al xVIII secolo.

CheruBino alBerti (Borgo San SepolCro 1553-roma 1615) Dal rosso Fiorentino Progetto per un altare 1575 (da un disegno del 1529)incisione a bulinoFirenze, gabinetto disegni e Stampe degli uffizi

Secondo Vasari il Rosso fu architetto «eccellentissimo e straordinario». In Francia – nominato da Francesco I soprintendente alle regie fabbriche – curò anche gli apparati celebrativi approntati, insieme a Primaticcio, per l’ingresso trionfale dell’imperatore Carlo V a Parigi nel 1540. L’incisione attesta la familiarità del Rosso con l’architettura di Roma antica e con quella effimera, con cui si era già cimentato collaborando agli apparati viari per l’ingresso trionfale di Leone x a Firenze nel 1515.

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rosso Fiorentino Deposizione dalla croce 1527-1528 olio su tavolaSansepolcro, Chiesa di San lorenzo

La tavola fu commissionata al Rosso dalla Compagnia di Santa Croce per intervento del vescovo Leonardo Tornabuoni. Il tema della morte di Cristo, che accompagna tutta la vita dell’artista, è qui sviluppato in una composizione affollata, il cui tono «tenebroso» ricorda l’eclisse seguita alla Crocifissione. Vi sono vari riferimenti figurativi alla tradizione fiorentina e alla scultura antica, mentre il sorprendente volto ferino del soldato con la lancia rappresenta, forse, gli uomini che non riconoscono Cristo e prendono fattezze bestiali.

rosso Fiorentino Madonna col Bambino, san Giuliano e donatore 1527-1530 circa olio su tavolaCollezione privata

L’impostazione della tavola è arcaica sia per la presenza del committente presentato da san Giuliano alla Madonna e al Bambino, sia per la gerarchia dimensionale delle figure. Trattandosi forse di una commissione provinciale, la datazione deve essere ristretta al periodo in cui il Rosso fuggì da Roma a Sansepolcro, prima della sua partenza per la Francia nel 1530. Le pieghe del panneggio, formate da volute, e i capelli di Giuliano trattati come filamenti metallici, trovano riferimenti nella Deposizione di Sansepolcro.

Fra il 1527, anno del Sacco di Roma, e il ’30, quando la Firenze repubblicana, al termine dell’assedio posto dalle truppe imperiali, deve cedere ai Medici, l’Italia è attraversata da rivolgimenti e guerre che porteranno a mutamenti irreversibili anche nel campo delle arti. Il Pontormo a Firenze e il Rosso – personalmente coinvolto nel Sacco del ’27 e poi in peregrinazione fra Arezzo, Borgo San Sepolcro e Città di Castello – rispondono in modo differente alla drammaticità dei tempi. Due dipinti emblematici della distanza che ormai separa i due artisti - la Deposizione del Rosso per Borgo San Sepolcro e la Visitazione del Pontormo per Carmignano - sono qui poste a confronto: il pathos al culmine, espressione del dolore universale di una, e l’atmosfera misteriosa e sospesa dell’altra.

il rosso e il Pontormo Fra il saCCo Di romae l’asseDio Di Firenze

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Pontormo Visitazione 1528-1529 circa olio su tavolaCarmignano, pieve di San michele arcangelo

Il restauro eseguito in occasione della mostra ha restituito leggibilità alla tavola, mostrando particolari inediti come l’asino che appare presso il palazzo, la figura affacciata a una finestra e il cielo limpido fra gli edifici. Le due donne dietro Maria ed Elisabetta sono loro alter ego, ma prive dell’aureola. La più giovane ripropone, invertiti, i colori degli abiti della Vergine, mentre la più anziana sembra essere la stessa Elisabetta, mostrata di fronte.

Pontormo I diecimila martiri 1529-1530 olio su tavolaFirenze, pitti, galleria palatina

Realizzata per le «donne dello Spedale degli Innocenti» al tempo dell’assedio posto a Firenze dalle truppe imperiali, la tavola narra dei novemila soldati romani guidati da sant’Acacio e convertitisi al cristianesimo. Anche mille combattenti inviati contro di loro abbracciano la nuova fede, e tutti i diecimila vengono martirizzati. La vicenda trovava riferimenti nell’attualità: non solo nelle epidemie pestilenziali, ma anche nella risolutezza dei fiorentini, pronti a morire pur di non rinunciare alla libertà.

Pontormo Madonna col Bambino e san Giovannino 1529-1530 circa olio su tavolaFirenze, galleria degli uffizi

La Madonna fu eseguita probabilmente nel corso della turbolenta epoca dell’assedio, le cui drammatiche circostanze possono offrire una motivazione allo stato di incompiutezza di parte del dipinto. Elementi stilistici e compositivi sono desunti dal Michelangelo del Tondo Doni, con riferimenti anche a Donatello, per il gruppo serrato che pare quasi rilievo scultoreo tradotto in pittura. La luce diffusa fa emergere potentemente la figura dal fondo scuro e non ultimato.

Pontormo San Girolamo penitente 1529-1530 circa olio su tavolaHannover, niedersächsisches landesmuseum Hannover

Il dipinto, incompiuto, viene assegnato al 1529-1530, insieme alla Madonna col Bambino, per l’affinità di entrambi con I diecimila martiri che il Vasari inserisce tra le opere del periodo dell’assedio. Il restauro e le indagini scientifiche hanno portato nuovi elementi alla conoscenza del processo creativo del Pontormo che – con il metodo della quadrettatura – ha tratto un cartone dal disegno definitivo, per poi inciderne i contorni con una punta metallica sulla sottile preparazione della tavola.

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rosso Fiorentino Pietà 1538-1540 circa olio su tela trasportata da tavola parigi, musée du louvre, département des peintures

Il gesto drammatico e teatrale della Vergine – ella stessa croce vivente, raffigurata nel momento del distacco dal figlio – segna il dipinto che il Rosso ha eseguito per il connestabile Anne de Montmorency. L’illustre personaggio della corte di Francesco I, la cui impresa araldica appare sui cuscini, commissionò al Rosso il dipinto per il suo castello di Écouen, ma all’artista, architetto «eccellentissimo», fu forse richiesta anche l’ideazione architettonica della cappella cui l’opera era destinata.

rosso Fiorentino Bacco, Venere e Amore 1535-1539 circa olio su telalussemburgo, musée national d’Histoire et d’art

La tela fu eseguita per la testata del lato Est della Grande Galerie di Fontainebleau, luogo in cui erano illustrate vicende esemplari in cui la lussuria e le passioni carnali conducevano chi ne era vittima a comportamenti efferati. Questo dipinto, raffigurando Venere dedita ai piaceri del corpo assieme a Bacco, costituiva il cardine tematico della parete. Il Rosso in Francia alterna registri differenti, e qui abbandona la durezza austera della lingua pittorica destinata alle opere sacre, quali la Pietà.

Dopo il 1530 i Medici tornano a governare Firenze, prima con Alessandro e poi, dal 1537, con Cosimo I. Il Pontormo è ancora artista di riferimento della famiglia, per la quale decora le ville di Castello e Careggi, rinunciando poi a ogni altro lavoro per dedicare le sue energie all’impresa dei perduti affreschi del coro di San Lorenzo. Il Rosso invece non torna più a Firenze, rifugiandosi, assieme ad altri fuoriusciti ideologicamente a lui vicini, presso Francesco I di Francia, dove riesce a esaudire la propria aspirazione di diventare artista di corte apprezzato e ben remunerato, lontano da ogni austerità savonaroliana. Entrambi partecipano della nuova lingua figurativa vigente, il primo abbracciando, seppur in modo critico, lo stile michelangiolesco, il secondo cercando invece un linguaggio sempre più complesso ed elegante. Gli arazzi disegnati dal Pontormo per Cosimo I e quelli eseguiti sugli affreschi del Rosso di Fontainebleau illustrano l’affacciarsi dei due artisti alla stagione dell’Europa delle corti.

le Corti: il rosso a FontaineBleaue il Pontormo nella Firenze meDiCea

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ClauDe BaDouin (doCumentato tra il 1540 e il 1547); rosso Fiorentino, Cartone; arazzeria Di FontaineBleau, teSSitura in alto liCCioBattaglia fra Centauri e Lapiti1539-1544 (disegno e cartoni); 1540-1547 (tessitura)trama: lana, seta, oro e argentovienna, Kunsthistorisches museum, Kunstkammer

L’arazzo è parte di una serie di sei, le cui scene riproducono gli affreschi e gli stucchi eseguiti dal Rosso della parete sud della Grande Galerie al castello di Fontainebleau.

Pontormo Venere e Amore 1533 circa olio su tavolaFirenze, galleria dell’accademia

Secondo Vasari il mercante fiorentino Bartolomeo Bettini – di fede repubblicana – commissionò a Michelangelo il «cartone d’una Venere ignuda con un Cupido che la bacia, per farla fare di pittura al Pontormo e metterla in mezzo a una sua camera, nelle lunette della quale al Bronzino aveva richiesto le figure di Dante, Petrarca e Boccaccio». La tavola diventa, sempre secondo Vasari, emblema dell’opera perfetta, che al disegno assoluto di Michelangelo unisce la cromia mutevole del Pontormo.

Pontormo diSegno per il Cartone della SCena, modiFiCato e/o ConCluSo dal Bronzino (agnolo di CoSimo, montiCelli, Firenze 1503-Firenze 1572) e/o raFFaellino Del Colle (Colle, SanSepolCro 1494/1497-SanSepolCro 1566); Bronzino e Bottega, diSegno per il Cartone della Bordura; Jan rost (BruXelleS, notizie dal 1536-Firenze 1564) teSSitura in BaSSo liCCio Il lamento di Giacobbe 1545-1546 (disegno e cartoni); 1547-1553 (tessitura)trama: lana, seta, argento e argento dorato; ordito: lana

Pontormo diSegno e Cartone della SCena; Bronzino e Bottega, diSegno per il Cartone della Bordura; Jan rost teSSitura in BaSSo liCCioGiuseppe e la moglie di Putifarre1545-1546 (disegno e cartoni); 1546-1547 (tessitura)trama: lana, seta, argento e argento dorato; ordito: lana roma, Segretariato generale della presidenza della repubblica, palazzo del Quirinale

Cosimo I, desiderando eguagliare nello splendore le corti europee, ordinò che si facessero «panni d’arazzo di seta e d’oro per la Sala del Consiglio de’ Dugento» in Palazzo Vecchio, con le storie bibliche di Giuseppe. Fece dunque venire dalle Fiandre due maestri arazzieri, Nicola Karcher e Jan Rost, fondando l’arazzeria medicea (1545). Tre arazzi furono tessuti su disegno del Pontormo, uno su quello di Francesco Salviati e sedici del Bronzino.

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Intorno alle Vite di Giorgio Vasari si muove, ancora oggi, l’interpretazione delle arti fiorentine del Cinquecento. La prima edizione, stampata da Lorenzo Torrentino nel 1550, è aperta alla biografia del Rosso Fiorentino; la seconda, edita da Giunti nel 1568 – in cui ciascuna biografia è preceduta dall’incisione del ritratto dell’artista – è aperta a quella del Pontormo. Soprattutto con la seconda edizione Giorgio Vasari celebra la concezione delle arti della Firenze di Cosimo I de’ Medici, esaltando una fiorentinità letteraria e figurativa: acclama il successo del Rosso, capace di portare oltralpe la lingua fiorentina, e critica il Pontormo per la sua distanza dal linguaggio michelangiolesco celebrato nelle pagine delle Vite. Vincitori e vinti nelle parole di Vasari.

le vite Di vasari: vinCitori e vinti

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TestiLudovica Sebregondi

Coordinamento editorialeLudovica Sebregondi

Manuela Bersotti

Progetto graficoRovaiWeber design

La pubblicazione riunisce i testi esplicativi della mostraPontormo e Rosso FiorentinoDivergenti vie della “maniera”

Firenze, Palazzo Strozzi8 marzo-20 luglio 2014

a cura diCarlo Falciani, Antonio Natali

Promossa e organizzata daFondazione Palazzo Strozzi

Ministero per i Beni e le Attività CulturaliSoprintendenza PSAE e per

il Polo Museale della città di Firenze

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