Fiorella D'Errico - Lettere dal ventre

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Fiorella D’Errico Lettere dal ventre Catania 2011

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poesia contemporanea

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Fiorella D’Errico

Lettere dal ventre

Catania 2011

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Proprietà letteraria di

Fiorella D’Errico

a cura di

Sebastiano A. Patanè

per “le vie poetiche”

Catania 2011

in copertina

“Danae”

di Gustav Klimt

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Presentazione

Fiorella D’Errico attua, in questa raccolta, un discorso che

qualche tempo fa mi prendeva interamente: la protopoesia!

Ed ecco, nelle sue posizioni fondamentali, il concetto fatto

verbo, la costruzione passo passo, dallo stato embrionale al

chiaro e definito elemento, di quell’insieme di suoni e di

parole generati da un’onda emotiva ed emersi, attraverso la

materia, nella materia.

La D’Errico, ci dà un luogo come punto di partenza, il ventre,

determinando una personale urgenza di riflettere l’interno

ovvero il pensiero poetico allo stato nascente, da uno

specchio, che è poi l’emblema del femminile, la risonanza di

tutto ciò che di erotico, di sensoriale, di elementale e non, ci

lega alla donna nelle sue innumerevoli rappresentazioni a

partire dalla figura materna per finire (ma sarebbe il caso di

dire per cominciare) nell’unica risorsa del continuum a favore

dell’immortalità dell’essere umano.

Il personale diventa ininfluente di fronte alla presenza delle

esigenze procreative della natura, per questo la valenza di

questo lavoro è quanto mai più alta della sua stessa

rappresentazione scenico-poetica. Credo che si debba leggere

questa raccolta con una filosofia più ampia di quella che

apparentemente richiede senza, ovviamente, tralasciare la

chiave della sua nucleicità che, si ci sposta facilmente verso

una personalizzazione dei concetti enunciati, ma trattiene, in

sé la universalità propria delle opere d’arte.

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Penso che Fiorella D’Errico abbia proposto un tema che ci

appartiene in quanto proveniente da un comune punto

d’origine e si espande mantenendo ritmi e bionecessità che

possono mutarsi da lettore a lettore a seconda delle personali

esigenze.

Questa della D’Errico mi sembra proprio una grande prova

d’autore alla quale va dato il consenso che merita.

le vie poetiche

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Lettere dal ventre

Roma 2010

Le vie poetiche

Catania 2011

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Dove vivono invisibili le scritture – come veli rapiti dal vento

su una terra segreta - noi andiamo con una fiamma scura

decifrando la nudità dellʼacqua.

E altre cose sfuggenti insegue il ventre raccogliendo le voci

lasciate in pegno alle mura deserte: tutto ciò che resta

è tradotto dal dentro.

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Dico del ventre come avesse acqua, lo scroscio che annuncia

una presenza. Come se fosse mare, abitato, e nave

scorrendo in corpo con i suoi tremori.

Tutto nasce da lui. Lo nutre la forza

che è degli animali sparsi al mondo: quanto più scarna la vita

sempre lontana dalla morte.

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Se non dormi, scrivi.

O prega: il corpo si piega nello stesso modo.

Ti alzi, lasci il letto – riprendi i nodi che trascini

normalmente al ventre.

Hai paura. Anche stanotte.

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Lʼurlo è dal ventre. Come una lancia di luce

nascosta al corpo si fa spazio

appena fra i risorti: come arrendersi al giorno

che forza le persiane chiuse.

Un miracolo questo fiato

nuovamente vivo come scheggia

sulla roccia scalfita della nostra pelle.

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La voce trapassa la carne

dal ventre agli occhi lungo la gola

espande, finalmente, vola e si posa

nellʼaria come una foglia

in cerca della sua radice.

Come vorrei che fosse forte

di suoni per restare

anche lontana, piena

come la luna in cielo che si muove

e non perde traiettoria o scia.

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Non cʼè nulla di vero nello spessore dei muri

nelle volute di fumo dai volti.

E se spoglio il letto tenendo le pieghe

sento ancora le ombre.

Un ventre di battaglia questo giorno, eppure

mischio te ai resti delle cose. E tu mi guardi, dalla parete

tornano le prime voci: le infilo con cura nei cassetti

dove dormono sereni i ricordi.

Ora avremo pietà di noi, contando i morti.

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Alle pareti vivono ancora i sassi

dei giorni trascorsi.

Tracce pesanti le righe sui dorsi

come dʼuna conchiglia salvata

posandola ai miei occhi dal mare.

Tu lo senti nel ventre questo tocco

- sorriso acerbo come di bambina.

Lascia a me la paura di perdere:

quasi il fiore perdesse il suo peso

per unʼalba di brina.

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Sarà un riflesso a perderci nellʼacqua – noi raccolti

dalla stessa mano cadremo nel ventre dellʼabisso.

Non vi è altro che insegni dellʼamore

lʼarrivo silenzioso e la partenza.

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Il muro oltre la porta – la porta in sé

(persino il modo in cui saluto

quando entro, e il buio risponde al saluto) tutto è cambiato.

Eʼ tanto o poco ciò che basta allʼamore

per auscultarci il ventre, lasciare impronte sui cuscini?

Se pure non ci fossi mai stato, io ti ho:

nella forma del fianco.

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Tutta me nel tuo ventre comporrei in pace

- se morissi ancora o in nascita la prima volta -

sepolta al parto, come una madre

costruita a braccia di respiri e urla.

Tu sei lʼorigine che culla.

E il viso a risalir correnti: e il fondoluce.

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Forse sono stati foglie rosse dʼautunno i sogni.

Nascevano piano – dalla schiena ai piedi cadevano poi

senza un fiato, e la mano gentile a conservarne il tratto

due piccoli gambi in un cilindro dʼacqua

prima che si perda

Questa mia incostante speranza

riaffiora come il verde del ramo strappato al ventre

per amore, sempre.

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Cʼerano labbra su quelle scale,

gli angoli avevano il volto di chi va via

o torna.

Non è mia lʼombra

che inghiotte pareti impastate con le voci

delle nostre carni.

Guarda: scava lʼincavo

e mi culla pensare a te come il buio

nella caverna accesa.

Amore

il ventre mi chiudi a ricordo del tuo odore.

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Sono colpi forti di caduta

come fa il vento: un addio che non è stato detto

sulle labbra si è spento prima dʼesser nato.

La solitudine è sotto, in agguato, non dispensa cicatrici ai tagli

e nulla sa sul potere delle carezze. Scivolano

come ombre screpolate alle pareti.

Ascolto sola i fruscii delle presenze andate. La tua mi resta

scolpita al ventre echeggia nelle vaste sere

dove mi aggiro con le poche scritture del mio strano sonno.

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Mani al ventre

il calco della notte trova un volto. Sei tu

dal cielo mi hai coperta

come un velo

coltivo lʼattesa nei tuoi occhi.

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Mi riconosco un fondo

dopo aver navigato lungo acque di calma

e di tempeste, ora che disegno a terra

lʼombra di quattro fuochi.

Ogni decade un anello di fiamma

- la mia indole, la mia solitudine -

poi il vento a spegnere

quindi un termine scuro dentro il sogno.

Avere troppi anni

per capire che nulla si chiede

che nessun viso nascerà dal ventre

freddo di qualsiasi notte tu preghi.

Sʼalza uno strano silenzio, uno sciacquio

intorno al saluto di chi parte

e chi il buio inghiotte.

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