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Università degli Studi Dipartimento di di Brescia Economia Aziendale Ottobre 2010 Paper numero 107 Ilaria GREZZINI FINANZIAMENTO DELL’ECONOMIA E <PARTITE INCAGLIATE>: LA COMIT 1933-1935 NELLA PERIZIA DI GINO ZAPPA

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Università degli Studi Dipartimento didi Brescia Economia Aziendale

Ottobre 2010

Paper numero 107

Ilaria GREZZINI

FINANZIAMENTO DELL’ECONOMIAE <PARTITE INCAGLIATE>:

LA COMIT 1933-1935NELLA PERIZIA DI GINO ZAPPA

Università degli Studi di BresciaDipartimento di Economia AziendaleContrada Santa Chiara, 50 - 25122 Bresciatel. 030.2988.551-552-553-554 - fax 030.295814e-mail: [email protected]

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E <PARTITE INCAGLIATE>: LA COMIT 1933-1935

NELLA PERIZIA DI GINO ZAPPA

di

Ilaria GREZZINI Dottore di Ricerca in Economia Aziendale

Università degli Studi di Brescia

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Indice

1. L’evoluzione del sistema bancario italiano e lo sviluppo economico 1890-1932................................................................................ 1

1.1. Introduzione ........................................................................................ 1

1.2. Lo sviluppo economico ....................................................................... 3

1.3. Il sistema bancario............................................................................... 7

2. La liquidità quale vincolo caratteristico della gestione bancaria................................................................................................... 15

3. L’esperienza della Banca Commerciale Italiana................................. 19

3.1. Breve storia della Banca Commerciale Italiana ................................ 19

3.2. La Banca Commerciale Italiana nella perizia di Gino Zappa ........... 25

3.2.1. Introduzione........................................................................... 25

3.2.2. La situazione economico-finanziaria .................................... 26

3.2.3. Gli aspetti critici dal punto di vista gestionale ..................... 28

3.2.4. I rilievi tecnico-contabili al bilancio 1934............................ 37

3.2.5. Le conclusioni raggiunte e le soluzioni proposte .................. 38

Bibliografia ................................................................................................. 43

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1. L’evoluzione del sistema bancario italiano e lo sviluppo economico 1890-1932

1.1. Introduzione

L’organizzazione e l’evoluzione del sistema bancario di una nazione segnano e rivelano il volgersi dell’economia della stessa e subiscono – sembra quasi superfluo ricordarlo – l’influsso palese (o talvolta parzialmente celato) del regime politico e della relativa preparazione o, viceversa, inadeguatezza.

Tali considerazioni appaiono sicuramente ammissibili con riferimento alla storia risalente del nostro Paese; al riguardo Ferrucio Parri nella prefazione al libro di G. Lanzarone sul sistema bancario italiano si esprimeva in maniera critica: “Leggiamo chiaramente – nella sua storia bancaria e finanziaria recente di febbri patologiche, crolli, salvataggi, semi-paralisi dell’Istituto di emissione – le insufficienze, gli errori, i pericoli di una pseudo-libertà economica senza equilibri e controlli, aperta alle avventure ed alle piraterie dei singoli, come alle megalomanie e alle leggerezze dei regimi politici: segni sempre d’impreparazione e inettitudine politica, di basso livello morale prima che civico.”1.

Probabilmente, anche, i recenti avvenimenti che hanno contraddistinto il

sistema bancario mondiale sarebbero ugualmente degni di alcune riflessioni critiche che tuttavia esulano dall’oggetto del presente lavoro.

A seguito di un periodo temporale di profondo ristagno prolungatosi sino

al 1895 – il miglioramento dell’economia italiana si inizia, seppur a ritmo piuttosto contenuto, sin dal 1896, per subire una concreta accelerazione a muovere dal 1899. Tuttavia, l’evoluzione della nazione segue un andamento tutt’altro che uniforme: la crisi del 1901-1902 è superata dignitosamente rispetto a quanto accade in altri Stati europei, ma la successiva crisi del 1907 colpisce molto duramente l’Italia. Gli anni successivi, di stagnazione o comunque di sviluppo molto moderato, conducono il nostro paese a un lieve arretramento nel confronto internazionale, facendo ri-emergere le inadeguatezze strutturali adombrate dalla intensa fase ascendente manifestatasi nell’intervallo temporale a cavallo dei due secoli.

In realtà, l’evoluzione economica del Paese nel periodo 1890-1914 è ampiamente contrassegnata dall’opera politica di Giovanni Giolitti, il quale – a decorrere dal febbraio 1901 – diviene ministro degli interni del governo Zanardelli.

1 G. Lanzarone, Il sistema bancario italiano, Einaudi, 1948, p. XV.

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La rilevanza di tale personalità appare evidente se si considera come alcuni studiosi per qualificare l’evoluzione economica del nostro paese nel periodo in discussione hanno appositamente coniato l’espressione <rivoluzione industriale dell’età giolittiana>. In realtà Giolitti proseguì e rafforzò la politica di liberalismo progressista inaugurata da Zanardelli, nella convinzione che per risolvere i conflitti sociali fosse necessario consentire l’inserimento dei ceti subalterni nella vita politica del Paese: il suo disegno politico mirava, infatti, a conciliare gli interessi della borghesia industriale con le aspirazioni del proletariato urbano e agricolo.

Ed è così che nel 1904 vennero approvati alcuni importanti provvedimenti di legislazione sociale (quali leggi a tutela del lavoro delle donne e dei bambini, leggi sugli infortuni, sull’invalidità e la vecchiaia) e il settore dei lavori pubblici ricevette nuovo impulso.

Ma, in sostanza, l’impostazione giolittiana ebbe come innegabile referente le aristocrazie operaie, ovvero i settori del mondo del lavoro le cui condizioni di esistenza risultavano decisamente migliori rispetto alla maggioranza del proletariato urbano e rurale, il quale – proprio in virtù della propria situazione – non solo risultava escluso dalla politica, ma si opponeva tenacemente a qualsiasi forma di collaborazione con il governo.

La svolta giolittiana rischia peraltro di apparire incomprensibile sul piano storico ove non si valuti il contesto economico nel quale la medesima prende esistenza: sul finire del XX secolo, infatti, la crisi economica mondiale può ritenersi superata e si avvia una fase di sviluppo altrettanto prolungata. In Italia, in particolare, tale congiuntura coincide con il decollo industriale dell’economia, ove settori trainanti risultarono soprattutto il siderurgico, il tessile e l’idroelettrico; anche la situazione finanziaria venne risanata: il bilancio tornò in pareggio e la lira si consolidò nella propria stabilità sui mercati internazionali. L’industrializzazione portò con sé il fenomeno dell’urbanesimo: il centro cittadino divenne la sede del sistema economico e in esso sorsero dei veri e propri quartieri in cui gli operai vivevano accalcati e in precarie condizioni igieniche.

Tuttavia, il riformismo giolittiano – volto prevalentemente a concordare le riforme con le forze sociali interessate – si rivolse essenzialmente ai lavoratori settentrionali abbandonando non di rado il Mezzogiorno ai margini e rendendolo destinatario unicamente di interventi statali episodici e parziali e consentendo – di fatto – il proliferare al suo interno di pratiche clientelari.

Ciò accentuò il fenomeno dell’emigrazione delle masse dei lavoratori del Sud e – nel breve volgere di alcuni anni – sottrasse al Paese milioni di contadini meridionali.

In tale contesto il Primo Ministro, forse indotto dai componenti degli ambienti finanziari e culturali, perseguì – quale rimedio al malcontento

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palpabile che percorreva il Paese – la ripresa dell'avventura coloniale con obiettivo finale la conquista della Libia e del Dodecaneso; le operazioni militari si conclusero con la pace di Losanna che riconosceva all'Italia la Libia e, temporaneamente, il Dodecanneso. Tali conquiste ebbero tuttavia ripercussioni destabilizzanti nella vita interna, in particolar modo dal punto di vista politico: Giolitti intimorito dall’ampliamento del numero di elettori (in virtù dell’approvazione del suffragio universale che garantiva il voto ai maschi di almeno 21 anni che avessero assolto il servizio militare o di almeno 30 anni anche se analfabeti) strinse un accordo con l’Unione Elettorale Cattolica – rappresentata da Vincenzo Gentiloni – al fine di scongiurare una possibile vittoria socialista, e decretando in tal modo l’ingresso dei cattolici nello scenario politico d’inizio secolo.

Come presagito, se alle elezioni del 1913 i socialisti avanzarono, si verificò tuttavia una considerevole affermazione dei candidati cattolici nelle liste del Partito Liberale: in tale nuovo scenario Giolitti, prigioniero delle medesime forze conservatrici che aveva cercato di manovrare e di cui si era avvalso in funzione antisocialista, nel marzo 1914 lasciò la presidenza del Consiglio che passò così al liberale conservatore Antonio Salandra.

A distanza di tre mesi sarebbe scoppiata la prima guerra mondiale.

1.2. Lo sviluppo economico

Dando per noti gli andamenti precedenti, si possono prendere le mosse dai processi di take-off di Francia e Germania, grosso modo a partire dal 1850.

Dopo sviluppi commerciali e industriali (e nondimeno agricoli) prorompenti, una prima “discesa ciclica” si registrò dopo il 1870 circa.

Fu questo il periodo della prima grande crisi del capitalismo europeo contemporaneo, il cui motivo occasionale era l'ondata speculativa del 1871-73: le sue manifestazioni più evidenti furono il crollo dei prezzi e il blocco degli investimenti, seppur quest’ultimi presentassero cause ben più profonde. In particolare, la principale motivazione consisteva nella sproporzione tra quantità di beni prodotti da un'industria ormai mondiale e la limitata capacità di assorbimento degli stessi.

L’estensione della crisi fu tale da modificare radicalmente l’organizzazione della società industriale: cambiò il ruolo dello Stato che da liberista divenne protezionista per proteggere i mercati interni dalla concorrenza straniera; mutò la configurazione del sistema produttivo, prima composto da un gran numero di piccole e medie imprese, successivamente dominato da un limitato numero di monopoli e cartelli. Si trasformò infine l’economia mondiale: dal predominio economico dell’Occidente fondato su strumenti prettamente economici, tale supremazia si avviava a divenire di

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natura militare e politica. Era sorto l’imperialismo con i conseguenti processi di colonizzazione, giustificati con l’ideologia delle missioni civilizzatrici e con l’ottenimento di nuovi sbocchi ai movimenti migratori.

Tra il 1900 e il 1914 l’economia mondiale conobbe una nuova fase espansiva favorita, dalla crescita demografica (che incentivò la domanda di beni di consumo) e dalla maggiore economicità e rapidità dei trasporti; tale epoca fu contraddistinta dall’utilizzazione di nuove fonti di energia (elettricità e petrolio), dallo sviluppo dell’industria chimica e dell’acciaio, e inoltre da un insieme di innovazioni tecnologiche in molti comparti produttivi: la ripresa economica ebbe come protagonisti i grandi gruppi monopolistici che predisposero stabilimenti e plessi industriali di dimensioni addirittura impensabili nel 1800. Nel quindicennio in discussione l’economia registrò modificazioni radicali, originate sia dagli effetti della crisi del 1873/96 sia dalle modalità dello sviluppo medesimo che usufruì delle colonie, non solo come riserve di materie prime, ma anche come territori ove investire capitali e collocare gli eccessi di produzione delle industrie europee. In relazione al nostro paese, ad esempio, la produzione industriale registrò nel periodo 1894-1914 un’espansione a saggi senza precedenti (tabella 1).

Tabella 1 – Tasso d’incremento medio annuo della produzione industriale per settori tra il 1894 e il 1913 2

1894-1913 1896-1908 1908-1913

Energia elettrica + 15,0 + 17,0 + 10,5 Chimica + 12,9 + 12,9 + 3,5 Siderurgia + 10,7 + 13,8 + 5,0 Meccanica + 7,5 + 12,2 + 2,0 Lana + 5,3 + 5,3 + 4,9 Cotone + 3,5 + 4,7 - 0,2 Seta - 0,4 + 1,0 - 2,5

Anche grazie a questi sviluppi, negli anni immediatamente antecedenti lo

scoppio della prima Guerra mondiale l’Italia è una nazione con caratteristiche diametralmente opposte a quelle presentate alcuni decenni prima nell’imminenza della realizzazione dell’unità3. Si tratta ora di un paese a prevalente economia agrario-industriale, con settori dell’agricoltura

2 Cohen J. S., “Financing Industrialization in Italy”, in Journal of Economic History,

XXVII, 1967, p. 364. 3 Sul punto si cfr. G. Galasso, “Stato nazionale e democrazia latina: il modello italiano”,

in Ciocca P., G. Toniolo (a cura di), Storia economica d’Italia 1. Interpretazioni, Laterza, Milano, 1998, p. 342 e ss.

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e dell’industria particolarmente sviluppati e con un ruolo non trascurabile – seppure non paragonabile a quello delle prime potenze europee – nel commercio mondiale.

Nonostante la contemporanea esistenza di considerevoli porzioni arretrate o tradizionali, la società italiana presenta infatti una vasta porzione moderna, che trova espressione sociale nella borghesia imprenditoriale e mercantile, nella media e piccola borghesia, nel proletariato industriale e agricolo scaturenti dalla trasformazione economica degli anni Ottanta del secolo XIX, e successivamente – a decorrere dalla metà degli anni Novanta – nel ceto dei burocratici e dei professionisti.

Con lo scoppio della prima guerra mondiale, lo sforzo bellico del paese risulta particolarmente imponente soprattutto ove rapportato alla sua dimensione e alle sue possibilità: il settore produttivo dà tuttavia prova della propria reattività rispetto alla nuova congiuntura e raggiunge il livello più elevato della propria espansione tra la fine del 1917 e l’inizio del 1918.

La fine della prima guerra mondiale lasciava i paesi belligeranti stremati: alle notevolissime perdite in termini di vite umane si associavano le difficoltà economiche; le industrie che avevano fornito i materiali bellici dovevano venire riconvertite; il bilancio pubblico era contraddistinto da un indebitamento straordinario. I sistemi politici dei paesi vincitori ebbero così difficoltà a governare e a risolvere la gravissima crisi economica e sociale sorta nell’immediato dopoguerra e trascinatasi in realtà, in forme molteplici e alternate, per i successivi 20 anni.

I primi mesi di pace risultarono ovviamente caratterizzati da una stasi produttiva ma, già a muovere dalla seconda metà del 1919, si manifestarono i primi cenni di ripresa che diedero l’avvio ad un’accentuato – quanto transitorio – ciclo espansivo, animato in prevalenza dai consumi privati postergati durante il periodo bellico, da un notevole incremento degli investimentti fissi e in scorte, nonché dalle esportazioni4.

Nel nostro paese gli effetti della guerra risultarono particolarmente gravi, sia a causa degli squilibri economici esistenti fra Nord e Sud, sia in ragione della ristretta base sociale che escludeva in sostanza dalla vita politica nazionale buona parte del mondo rurale. La disoccupazione, inoltre, minacciava la stabilità sociale e politica e tale fenomeno era acuito dal sensibile incremento demografico, dall’inflazione (che non coinvolgeva solo la classe operaia e i contadini meno abbienti ma raggiungeva anche i ceti della piccola e media borghesia) e dal crollo della lira. Sopra a tutto, peraltro, i) i problemi di finanziamento – il conflitto era stata finanziato in

4 Per approfondimenti sul tema si veda: Fuà G. (a cura di), Lo sviluppo economico in

Italia, Angeli, Milano, 1969.

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moneta e in titoli –; ii) i problemi di riconversione delle imprese, e soprattutto dei grandi gruppi industriali.

Via via l’acuirsi della crisi economica causò un duro scontro di classe che si protrasse per un biennio (cosiddetto biennio rosso) e che ebbe la sua manifestazione più eclatante nell’occupazione delle fabbriche; al termine di quest’ondata di scioperi, la situazione in cui l’Italia versava risultava stazionaria e lo stesso governo di Giolitti – tornato al potere nel 1920 – non fu in grado di proporre soluzioni accettabili. In tal modo – tra la fine del 1921 e gli inizi del 1922 – anche a causa del tentativo di Giolitti di arginare la crisi inasprendo la tassazione sui capitali e sui profitti, la nazione impaurita si volse verso le nuove Destre: gran parte della borghesia imprenditoriale e della proprietà fondiaria si avvicinò al movimento fascista – poi Partito –.

Mussolini intuì subito che era giunto il momento della svolta, e al Congresso Nazionale Fascista del 1922 venne organizzato un atto di forza contro il governo considerato inetto, la marcia su Roma; il re Vittorio Emanuele III si decise così ad affidare allo stesso Mussolini il compito di formare il nuovo governo.

Il volto autoritario del nuovo regime maturò nel breve volgere di pochi anni. Dal punto di vista economico, fino al 1926, il governo di Mussolini percorse vie note, tuttavia orientate al risanamento della finanza pubblica, al riordino dell’economia e degli scambi, anche per il tramite di una politica liberista accompagnata da un insieme di provvedimenti – prevalentemente di natura fiscale – per agevolare le attività imprenditoriali.

Nel 1926, tuttavia, si manifestò una svolta radicale: al liberismo subentrò un rigido protezionismo con un ardito processo di rivalutazione della lira, che rappresentò il tentativo fascista di reagire da protagonisti alla <guerra delle monete>, e di promuovere la ripresa della grande industria chimica, meccanica e siderurgica.

Nel 1929 si interruppe bruscamente il ciclo positivo dell’economia internazionale e una crisi gravissima si abbatté sulle economie dei Paesi industrializzati: tale depressione, della <Grande Depressione> era il risultato di una gigantesca sovrapproduzione di merci che il mercato non era in grado di assorbire, e nondimeno di una insensata speculazione finanziaria. Negli anni Venti si era verificato un enorme incremento della produzione dovuto alle innovazioni tecnologiche e all'ulteriore intensificazione della divisione del lavoro che, sul finire di quel decennio, si sarebbe scontrata con un mercato popolato di nuovi produttori estremamente concorrenziali.

In Italia, a partire dal 1930, si rivelarono con chiarezza le ripercussioni della crisi economica mondiale: il fascismo accentuò così l’indirizzo dirigista già varato nel 1926, imponendo un rigido sistema economico centralizzato, cui fu anche costretto dal salvataggio obbligato di banche in

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crisi nonché dei loro compendi industriali. Indispensabile corollario di questa politica economica fu la ripresa dell’imperialismo che spinse l’Italia nella conquista dell’Etiopia, con lo scopo di allargare le opportunità di mercato per le merci italiane in un’epoca di severo protezionismo internazionale.

Volendo sintetizzare – e semplificare – l’evoluzione del sistema economico nell’intervallo temporale qui in discussione si riporta nel seguito (si veda al riguardo la tabella 2) la distribuzione percentuale del prodotto interno lordo per grandi settori produttivi. L’analisi dei dati consente di evidenziare il declino accentuato e continuo dell’agricoltura: all’inizio del periodo (ovvero nel 1897 reputato a grandi linee il momento di avvio dello sviluppo economico moderno nel nostro Paese) la quota occupata dall’agricoltura si assesta al 48%, per poi diminuire progressivamente e giungere al 27% alla vigilia della seconda guerra mondiale. L’industria, possedendo nel 1897 un’incidenza molto relativa rispetto agli altri settori (18%), fa invece annotare un’ascesa molto rapida sino al 1938 e, in seguito, meno sostenuta. Infine, il settore dei servizi registra una crescita uniforme divenendo nel 1938 il compartimento dotato di maggior peso relativo.

Tabella 2 – Distribuzione percentuale del prodotto interno lordo per grandi settori produttivi5

1897 1938

Agricoltura 48 27 Industria 18 31 di cui Manifatturiera 15 25 Servizi 35 44

1.3. Il sistema bancario

Il lasso temporale che muove dall’unità d’Italia propone al sistema bancario nel suo complesso almeno tre compiti da assolvere: a) realizzare l’integrazione tra le diverse realtà economiche locali, b) favorire lo sviluppo dell’agricultura, c) supportare – alcuni anni dopo – il processo di industrializzazione al fine di conseguire la modernizzazione del paese.

Il raggiungimento del primo obiettivo citato transitava – nelle intenzioni del governo – dalla corretta gestione dello strumento monetario che avrebbe dovuto venire dominato da un unico istituto di emissione; in realtà, tuttavia, l’unificazione del processo di emissione della moneta non si concretizzò

5 I dati sono tratti e adattati da Fuà G. (a cura di), Lo sviluppo economico in Italia I.

Lavoro e reddito, Angeli, Milano, IV edizione, 1992, p. 104.

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immediatamente: i decenni successivi registrarono l’operare congiunto di ben sei istituti6.

Tale articolazione del sistema non impedì, tuttavia, alla Banca Nazionale di ricoprire un ruolo dominante che venne confermato dalla legge bancaria del 1874.

La crisi sviluppatasi alla fine degli anni Ottanta rende palesi le carenze della nostra legislazione in materia e costringe la Banca Nazionale – con l’adesione di tutti gli altri istituti di emessione – ad attuare alcuni salvataggi.

Anche le caratteristiche dello sviluppo economico condussero a tali risultati: il nostro paese infatti, fu interessato negli anni Ottanta da un rinascere dell’attività manifatturiera e da una ripresa dello sviluppo urbanistico ed edilizio, attività che coinvolsero le banche di credito mobiliare.

I principali istituti del settore (Credito Mobiliare, Banca Generale, Banca di Sconto e Sete, Banca di Torino) realizzarono – direttamente, finanziando altri istituti bancari o, viceversa, tramite società finanziarie collegate – rilevanti investimenti in attività fondiarie e immobiliari. Allorquando la bolla speculativa generatasi nel comparto edilizio si esaurì si manifestarono con estrema evidenza i limiti e le fragilità del sistema bancario italiano; la Banca Nazionale fu pertanto chiamata a intervenire – a tutela del sistema nel suo complesso – a sostegno di numerose realtà: si annoverano, ad esempio, i salvataggi dell’Impresa dell’Esquilino (1888), della Banca Tiberina (1889), della Società per il Risanamento di Napoli (1891). Tali interventi produssero in capo alla Banca Nazionale e agli altri istituti di emissione un appesantimento finanziario, destinato a divenire ancor più grave al manifestarsi dello scandalo della Banca Romana in ragione del ruolo – dai medesimi assunto – di garanti della doppia circolazione creata dall’azienda capitolina.

Anche il governo dovette emanare provvedimenti in materia: il 10 agosto 1893 fu approvata una legge di riforma per la fusione della Banca Nazionale con la Banca Nazionale Toscana e la Banca Toscana di Credito, dando così vita alla Banca d’Italia, gravata immediatamente del compito di porre in liquidazione la Banca Romana. Stessa sorte toccò, agli inizi del 1894, anche alle due maggiori banche del paese: Credito Mobiliare e Banca Generale.

Il sistema finanziario, peraltro, rimaneva attraversato da un cospicuo fabbisogno di liquidità in ragione del quale il governo da un lato concesse

6 Nello specifico si trattava – oltre che della Banca nazionale – di due enti toscani

(Banca nazionale toscana e Banca toscana di credito), di due istituti storici meridionali (Banco di Napoli e Banco di Sicilia) e – a muovere dal dicembre 1870 – della Banca dello Stato pontificio che aveva riassunto la vecchia denominazione di Banca romana.

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un’emissione aggiuntiva di carta-moneta, dall’altro decretò un nuovo corso forzoso per tutelare la stabilità dei rapporti di cambio con le altre monete.

La nascita della Banca d’Italia e la creazione delle due nuove banche settentrionali – Commerciale e Credito Italiano – in sostituzione degli istituti liquidati, modificarono radicalmente il sistema creditizio; inoltre, nei primi anni del secolo, si affermarono anche il Banco di Roma e la Società Bancaria Italiana: questa nuova articolazione avrebbe coadiuvato il decollo industriale – transitando attraverso la crisi del 1907 – per giungere al primo conflitto mondiale.

La posizione-cardine della nuova struttura bancaria era occupata dalla Banca d’Italia7 che si trovò – nella crisi del 1907 – a svolgere un ruolo molto più complesso e delicato di quello di prestatore di ultima istanza: nonostante l’iniziale ritrosia del suo direttore, Bonaldo Stringher, nel 1911 l’Istituto centrale, infatti, intervenne a sostegno dell’industria siderurgica in difficoltà a causa simultaneamente di fattori di mercato e di interventi speculativi, coinvolgendo le maggiori banche e coadiuvata dagli istituti di emissione.

In tale contesto risulta, peraltro, necessario soffermarsi ad analizzare il ruolo assunto dalle banche miste.

La liquidazione del Credito Mobiliare e della Banca Generale aveva infatti originato un’assenza in tema di finanziamento – a medio e lungo termine – alle attività imprenditoriali: tale mancanza fu colmata da un gruppo di banche tedesche che – in collaborazione con alcune austriache e svizzere – costituirono a Milano nel 1894 la Banca Commerciale Italiana. Nel volgere di alcuni mesi, inoltre, altri banchieri tedeschi – con l’ausilio di colleghi italiani e svizzeri – ricapitalizzarono la Banca di Genova mutandone la denominazione in Credito italiano: l’interessenza dei tedeschi si esaurì nel giro di alcuni anni, quando l’assetto dell’azionariato si diversificò con l’ingresso di capitali francesi e belgi.

Unitamente alla Banca Commerciale Italiana e al Credito Italiano, vennero creati altri due istituti che si dedicarono ad un’attività di intermediazione di tipo misto: il Banco di Roma e la Società Bancaria Italiana. Sorto nel 1880 ad opera di un gruppo di nobili romani, il Banco di Roma era quasi immediatamente divenuto l’istituto gestore delle finanze papaline; dopo aver superato la crisi degli scandali bancari, si era invece dedicato al finanziamento di iniziative agricole ed industriali ubicate, per la

7 In merito alla rilevanza della posizione assunta dalla Banca d’Italia, così si esprime G. Toniolo: “Essa deriva dalla consapevolezza del ruolo che ormai le compete di garante della stabilità del sistema finanziario e, indirettamente, anche di quello industriale e dell’intero processo di sviluppo, grazie a rapporti privilegiati con il governo da un lato e con le aziende di credito e con il mondo della produzione dall’altro.”. (G. Toniolo, Storia economica dell’Italia liberale (1850-1918), Il mulino, Bologna, 1988, p. 184)

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parte maggiore, nell’Italia centrale. Viceversa, la Società bancaria italiana fu costituita nel 1898 a seguito della trasformazione della banca privata ambrosiana Ditta Figli Weill-Schott e C. in Società Bancaria Milanese, su iniziativa di alcuni banchieri e industriali lombardi. Rilevando le attività del Banco di Sconto e Sete in liquidazione, nel 1904, essa modificò la propria denominazione sociale mantenendola invariata sino al 1914 quando – unendosi con la Società Italiana di Credito Provinciale – mutò la propria ragione sociale in Banca Italiana di Sconto.

Le banche miste italiane – ispirate ad un modello già sperimentato con successo in Germania – miravano ad articolarsi in una rete territoriale diffusa per la raccolta capillare del risparmio e, dal punto di vista degli investimenti, pur non trascurando le consuete operazioni bancarie (sconto di effetti, anticipazioni di conto corrente) predilessero le attività correlate agli investimenti finanziari.

In sostanza, l’assenza di una classe imprenditoriale provvista di cospicue risorse finanziarie da investire nella nascente industria, e la mancanza di un sistema bancario maggiormente ampio e articolato, in grado di veicolare capitali verso i nuovi comparti emergenti (molti dei quali capital-intensive), sono alcune delle cause che condussero le banche miste ad assumere un ruolo decisivo nel sostegno all’evoluzione del settore manifatturiero del paese.

La crisi industriale del 1906-1907 rese palesi le difficoltà delle banche miste nella gestione delle fasi recessive del ciclo, spingendole a tentare di addossare agli istituti di emissione funzioni – nel finanziamento delle imprese – che ad essi non competevano. Superata a fatica la fase critica8 le banche miste perdurarono nella loro attività di finanziamento all’industria nazionale.

La Comit proseguì nel prestare sostegno alle imprese metallurgiche, meccaniche, cantieristiche, elettriche predilegendo quest’ultimo settore nel quale affiancò la Edison e la Sviluppo. I medesimi settori appena citati erano presidiati – anche se con investimenti più ridotti – dal Credito Italiano, maggiormente presente nella chimica, nella siderurgia, nella produzione dello zucchero e nell’elettricità.

Nel lasso temporale in discussione si affacciarono nella storia del nostro paese le prime società finanziarie che, in virtù delle ingenti risorse di cui disponevano (non revenienti né dalla raccolta di depositi, né da trasferimenti interbancari), realizzavano investimenti in titoli azionari – talora ottenendo

8 Ad esempio, la Società Bancaria Italiana sopravvisse grazie all’aiuto di un consorzio

di salvataggio costituito da Comit, Credit e alcuni istituti privati e capitanato dalla Banca d’Italia.

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il controllo delle partecipate – o in obbligazioni private e pubbliche9. Di conseguenza, nei primi anni Venti il panorama finanziario italiano si era ulteriormente diversificato con il sorgere di queste nuove istituzioni economiche, le società finanziarie o holdings, che avrebbero assunto un compito rilevante nel finanziamento dello sviluppo industriale del paese.

Durante il conflitto mondiale si incrementò l’importanza relativa degli istituti di emissione in ragione dell’accelerazione impressa alla circolazione monetaria dalle esigenze di finanziamento della spese pubblica; allo stesso tempo, si consolidò il ruolo finanziario espletato dalle banche di credito ordinario, che dovettero coadiuvare la straordinaria crescita della produzione industriale del paese.

Gli andamenti produttivi e finanziari manifestatisi nel corso della guerra determinarono la modifica dei rapporti di controllo tra le quattro grandi banche miste e le principali imprese della nazione: se nel periodo giolittiano e nei primi anni del conflitto si era evidenziata una sostanziale sottomissione dei gruppi industriali ai maggiori istituti di credito, al termine delle ostilità tale situazione si era in parte invertita in ragione dei favorevoli processi di accumulazione realizzati dalle imprese dedite alle produzioni belliche (in particolare nei settori della siderurgia, meccanica, chimica ed elettricità). Ne derivò una notevole tendenza alla concentrazione industriale con la creazione di grandi gruppi10 che tentarono – in virtù delle risorse finanziarie a loro disposizione – di sottrarsi dall’influenza delle banche d’affari, avviando al contempo idonei piani di investimento volti alla riconversione e allo sviluppo.

Il quadriennio 1918-1921 fu teatro di numerose manovre finanziarie che – a seguito di vicende talora convulse – condussero all’instaurazione di una nuova supremazia bancaria: l’egomonia fu assunta dalle due maggiori banche ambrosiane – Commerciale e Credito italiano – mentre, contemporaneamente, gli altri due istituti misti – Banca Italiana di Sconto e Banco di Roma – mostrarono i segni di una crisi profonda11, difficoltà che si tradussero, da un lato nella liquidazione della Banca Italiana di Sconto il 29 dicembre 1921, dall’altro nell’intervento di salvataggio del Banco di Roma

9 Nel corso della prima guerra mondiale anche la Edison – impresa leader del settore

elettrico italiano – assunse il ruolo di società finanziaria. 10 Si ricordino, a titolo esemplificativo, Ilva, Terni, Fiat, Breda, Ansaldo, Edison,

Montecatini. 11 Sul punto si consulti A. Canziani, “Between politics and double entry. The crises of

Banca Italiana di Sconto and Banco di Roma and the Italian Banking System 1914-1924”, Paper n. 57 del Dipartimento di Economia Aziendale dell’Università degli Studi di Brescia, 2006; A. Canziani, “Survival and Growth in Joint-Stock Banking Oligopolies. Lessons from the crises 1917-1923, in Accounting, Business and Financial History, 2007, n. 1, pp. 129-163.

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da parte della banca centrale – tramite la Sezione speciale autonoma del Csvi (Consorzio per sovvenzioni sui valori industriali) – nel novembre 1922.

Tali avvenimenti indussero le banche miste verso l’adozione di criteri prudenziali, ma l’andamento congiunturale degli anni successivi incoraggiò l’ampliamento dell’attività delle imprese bancarie: esse furono compartecipi – seppur con dotazioni di capitale limitato e sovente ampiamente diffuso tra il pubblico – dello sforzo di ricostruzione economica del paese sostenendo l’accrescimento e – in taluni casi – la nascita di interi settori produttivi, mobilitando risparmio e collocando prestiti pubblici, ma anche espandendo forse eccessivamente le proprie iniziative e il proprio influsso. Tuttavia, in assenza di nuovi capitali, diffondendo il ricorso al possesso reciproco di azioni – tra banche e industrie –, con il risultato ultimo di partecipazioni vicendevoli e finanziando, in ultima istanza, l’acquisizione di tali pacchetti azionari con i depositi fiduciari degli istituti di credito.

Gli interventi realizzati in questo periodo dalla Banca d’Italia, a favore di banche e imprese, dotano il sistema economico di una consistente liquidità (si veda al riguardo la tabella 3), volta a incentivare la ripresa produttiva del paese. In realtà, sin a quel momento, l’espansione creditizia si era compiuta in carenza di regole e autorizzazioni per la costituzione di nuove aziende e per la loro espansione terrritoriale, oltre che in mancanza di controlli e verifiche sul sistema bancario, favorendo in tal modo ampie erogazioni di credito da parte degli istituti e accrescendo la frammentazione del sistema. Ne deriva che la riattivazione del processo economico operò in presenza di elevati livelli inflazionistici12 e tale tendenza perdurò sino alla primavera del 1925 allorquando De’ Stefani emanò opportuni provvedimenti restrittivi che tuttavia causarono il fallimento di alcune banche (e imprese) e la discesa dei corsi di Borsa.

Tuttavia, al fine di porre definitivamente sotto controllo l’inflazione, erano indispensabili rimedi ancor più drastici che sarebbero stati adottati da Volpi, nel 1926 e nel 1927, nell’ambito del più ampio disegno citato, di

12 “La facilità con la quale era possibile di raccogliere depositi in regime di inflazione

cartacea – scriveva Bonaldo Stringher – aveva fatto sorgere numerose banche sfornite di capitali effettivi adeguati, e fors’anche di dirigenti capaci. Essa aveva spinto vecchie e nuove aziende ad estendere senza misura l’azione rispettiva, impiantando costose dipendenze, con lo scopo di assorbire biglietti di banca, anche se a saggi di interesse molto alti; e assorbirli sotto tutte le forme possibili di depositi fiduciari. Si determinò, così, in vari luoghi, un afflusso di somme cospicue nelle casse di banche e banchieri, i quali si avventurarono in operazioni speculative, immobilizzando capitali e, spesso, pregiudicando le ragioni altrui”. (Banca d’Italia, Adunanza generale ordinaria degli azionisti tenuta a Roma il giorno 28 marzo 1929, Roma, 1930, pp. 52-53)

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stabilizzazione della lira sui mercati interni e di rivalutazione in ambito internazionale.

Tabella 3 – L’attività di salvataggio nel periodo 1922-1932 (valori in milioni di lire) 13

Interventi Realizzi Fabbisognodi fondi

Perdite copertecon contributi

Debito B.I a fine periodo

(a) (b) (a-b)

a) primo ciclo 1922-1924 4.081 358 3.723 777 2.946 1925-1930 300 967 -667 2.228 51

Totale 4.381 1.325 3.056 3.005 — b) secondo ciclo 1931-1932 2.590 102 2.488 651 —

Totale 2.590 102 2.488 651 1.888

In sostanza la prima metà degli anni Venti fu contraddistinta da una

crescita diffusa degli istituti bancari, anche se arrestata talora da qualche clamoroso fallimento.

E’ con l’emanazione delle leggi sul credito del 1926-27 che la Banca d’Italia concentra presso di sé il servizio di emissione delle banconote, e contemporanemente assume rilevanti poteri di controllo e di ispezione sugli istituti di credito, creando un apposito servizio di vigilanza.

In seguito, dal 1926 al 1935, si realizza in Italia un acuto processo di concentrazione nel settore bancario, indotto dalle peculiarità dell’evoluzione industriale: il sorgere della grande industria richiede, infatti, un adeguamento simile della struttura degli istituti di credito in modo che gli stessi risultino in grado, da un lato di concedere finanziamenti di dimensione più ampia, dall’altro di estendere le attività al fine di compensare i rischi e di diversificare – almeno sulla carta – gli impieghi.

Non si tratta, tuttavia, dell’unica epoca di concentrazione vissuta dal sistema bancario italiano: fra gli ultimi decenni dell’Ottocento e gli anni Trenta del Novecento, infatti, si rilevano tre distinte fasi di raggrupamento delle imprese. La prima si verifica immediatemente dopo la nascita della banca mista; la seconda si realizza durante la prima guerra mondiale a causa dell’espansione delle banche miste; l’ultima si manifesta tra il 1926 e il 1935 in ragione degli interventi di salvataggio del sistema bancario promossi dalle autorità monetarie.

13 I dati esposti sono tratti da: P. Saraceno (a cura di), L’istituto per la Ricostruzione

industriale – IRI, vol. III, Origini, ordinamenti e attività svolta, Torino, Utet, 1956, p. 325 e ss.

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Il fenomeno ora descritto può cogliersi dall’analisi della tabella nel seguito riportata, nella quale si evidenzia una riduzione complessiva – seppur di diversa entità per le varie categorie di istituti – del 33% tra l’inizio e la conclusione del lasso temporale analizzato.

Tabella 4 – Numero degli istituti di credito operanti in Italia dal 1926 al 1936 14

1926 1927 1928 1929 1930 1931 1932 1933 1934 1935 1936

Società ordinarie di credito 475 482 479 447 431 378 354 221 214 206 201 Casse di risparmio ordinarie 200 139 126 102 101 99 98 97 97 97 93 Istituti di credito fondiario 15 15 14 14 16 16 15 15 15 15 16

Banche popolari 660 662 654 648 625 582 544 502 472 452 431 Istituti di credito agrario 87 112 118 94 66 31 25 16 14 12 11

Monti di pietà 386 381 359 339 327 322 313 312 312 312 307

Casse rurali 2.545 2.545 2.440 2.429 2.392 2.318 2.233 2.046 2.064 2.768 1.922 Istituti di credito di diritto pubblico ed enti morali 4 5 6 6 6 6 6 7 7 7 7

Ditte bancarie 387 378 333 316 310 261 251 182 185 185 187

Totale 4.759 4.719 4.529 4.395 4.274 4.013 3.839 3.398 3.380 4.054 3.175

Le ricorrenti crisi finanziarie storicamente manifestatisi nel sistema

bancario italiano producono negli anni Trenta il ripensamento radicale del modello basato sulla banca mista: l’Italia si trova in quel periodo a fronteggiare la crisi economica mondiale ed è proprio nell’intorno delle banche miste di maggiori dimensioni – Credito Italiano e Banca Commerciale – che può essere localizzato l’epicentro della crisi medesima, in ragione da un lato della perdita di valore delle partecipazioni azionarie detenute dalle banche, dall’altro dai rapporti commerciali stretti, vicendevoli e inscindibili, tra le stesse e alcuni grandi gruppi industriali.

In particolare nel 1930 il Credito italiano si trova coinvolto in una crisi di liquidità e, per l’ennesima volta, il salvataggio avviene sotto la guida della Banca d’Italia; solo dopo un anno, nel 1931, si rende necessario l’intervento delle autorità nell’incombente crisi dalla Banca Commerciale Italiana, danneggiata oltre che dalla situazione interna del paese, dal progressivo ritiro di capitali stranieri.

La legge bancaria del 1936 giunge al termine di un periodo esteso di emergenze: essa è infatti derivazione diretta della crisi economica e del

14 Banca d’Italia, I bilanci degli istituti di emissione italiani (1845-1936), a cura di R.

De Mattia, vol. I, Tomo II, Roma, 1967, pp. 855-914.

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clima politico esistente tra gli anni Venti e Trenta, ma anche, di un’evoluzione del sistema finanziario che lo aveva reso particolarmente esposto a fallimenti di rilevante portata.

In sintesi, con tale provvedimento, si cercò di dar vita ad un sistema che consentisse allo Stato di affrontare – senza gli ingenti costi prima sostenuti – il tema del finanziamento degli investimenti industriali; la soluzione prescelta avrebbe condotto alla nota specializzazione funzionale (ovvero la separazione tra credito a breve e credito a medio-lungo termine) congiunta alla – allora opportuna – specializzazione di natura territoriale-dimensionale.

2. La liquidità quale vincolo caratteristico della gestione bancaria

La costante ricerca e l’auspicato raggiungimento di un conveniente equilibrio tra entrate e uscite monetarie, pur rappresentando un aspetto significativo della gestione di qualsivoglia genere di azienda, assume caratteristiche singolari e diviene un vincolo più stringente per gli istituti bancari in ragione delle funzioni svolte e delle operazioni poste in essere dai medesimi: ciò giustifica l’interesse manifestato, in periodi remoti come negli anni recenti, da autorevoli studiosi al tema in oggetto.

La rilevanza del problema della liquidità nell’azienda bancaria è connessa, da un lato, alla necessità della continua accettazione delle sue passività da parte del mercato e al sistematico rispetto degli impegni assunti nei confronti dei creditori15, dall’altro, alla circostanza che la realizzazione degli incassi e dei pagamenti avviene di norma su iniziativa delle controparti risultando nella maggior parte dei casi non precisamente definibile a priori.

L’eventuale capacità manifestata dalla banca di adempiere in qualsiasi momento ai propri impegni16 non è tuttavia condizione sufficiente a qualificarne la liquidità: allo scopo di assicurare la durevole esistenza dell’istituto nel mercato del credito, si rende infatti necessario conseguire l’equilibrio tra pagamenti e incassi in maniera tempestiva ed economica.

Ciò significa dire che:

15 Il ruolo preminente svolto dalla fiducia conquistata presso il pubblico per il

raggiungimento del successo nell’attività bancaria è stato illustrato da R. S. Sayers, L’attività bancaria moderna, Cassa di Risparmio delle Provincie Lombarde, Milano, 1966 (p. 183 e segg.).

16 Il significato essenzialmente protettivo della liquidità bancaria e la sua tipica funzione di elemento garante della solvibilità tecnica evocano analogie rispetto alle finalità poste a base della costituzione delle scorte cosiddette funzionali nelle aziende di produzione. (P. Onida, Economia d’azienda, Utet, Torino, 1971, p. 357 e segg.).

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“la liquidità è quella situazione di fatto in cui un’azienda bancaria o non bancaria giunge a specchiarsi quando si riscontra in grado di far fronte ai propri impegni economicamente. L’aggiunta dell’avverbio <economicamente> alla riscontrata capacità finanziaria di assolvimento delle obbligazioni assunte vuol significare che tale capacità non può essere considerata dall’azienda in guisa indipendente dalle condizioni necessarie alla continuità della propria vita produttiva. La liquidità, in altri termini, si lega, come concetto, ad un concetto dinamico dell’azienda; appare inafferrabile se avulsa dal mobile sistema economico che la reca a manifestazione; si riduce ad un concetto statico di <liquidabilità> se collegata a confronti tra valori attivi e passivi per un accertamento di corrispondenze finanziarie e di termini di scadenze.”17.

Si profila di conseguenza la necessità, per le aziende, di mantenere la disponibilità di adeguati volumi di base monetaria, la cui grandezza e variabilità deve venire attentamente definita, al fine di evitare che previsioni imprecise o errate provochino conseguenze negative sull’assetto patrimoniale e/o economico; tale compito risulta particolarmente difficoltoso in ragione dei molteplici fattori endogeni ed esogeni che producono ripercussioni, talvolta significative, sulla gestione monetaria e di tesoreria delle aziende di credito: basti pensare, a titolo esemplificativo, alla politica monetaria perseguita dal governo e agli strumenti di intervento dalla medesima utilizzati; alle disposizioni in materia di riserve obbligatorie di liquidità; oppure alla, talora notevole e imprevedibile, variabilità della domanda di liquidità della clientela affidata e depositante.

Ciononostante il quadro informativo delineato mediante la valutazione prospettica della dinamica ambientale e dell'andamento di specifiche quantità economiche (quali i saggi di interesse, la domanda di depositi e prestiti, i costi di gestione), procura al management gli strumenti di base per la definizione dei percorribili orientamenti gestionali.

Il problema della liquidità può venire meglio specificato come quantificazione, in primo luogo, delle ipotetiche eccedenze delle uscite rispetto alle entrate, in secondo luogo delle riserve di liquidità (o riserve bancarie) volte a soddisfare la preponderanza delle uscite nelle diverse circostanze: è tuttavia importante precisare come tali valutazioni debbano venire condotte con riferimento a periodi temporali sufficientemente estesi, in quanto gli scostamenti e le fluttuazioni di breve termine contraddistinguono un’ulteriore aspetto della gestione bancaria che, seppur connesso al precedente, configura più propriamente la situazione di

17 U. Caprara, La banca. Principi di economia delle aziende di credito, Giuffré, Milano,

1986, p. 244.

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tesoreria18; l’estensione del periodo temporale di riferimento, inoltre, permette alle decisioni aziendali di contemperare le esigenze finanziarie ed economiche in vista del raggiungimento del desiderato livello di redditività e di liquidità.

Soffermandoci quindi sull’analisi della liquidità in senso stretto, giova sottolineare come la medesima venga valutata in relazione, non tanto a singole operazioni attive e passive, quanto piuttosto al complesso insieme di iniziative intraprese19: solo da tale prospettiva globale può derivare la definizione e la successiva modificazione delle linee-guida dell’intera politica di gestione della banca.

Compito precipuo della politica della liquidità risulta, come sopra evidenziato, il conseguimento del tendenziale equilibrio finanziario; la stessa si concreta nella predisposizione degli interventi operativi in grado di incidere sulle componenti di bilancio discrezionali nel medio-lungo periodo20 (funzioni e composizione del portafoglio titoli, grado di trasformazione delle scadenze connesso alla fisiologica asimmetria tra i termini delle operazioni attive e passive, funzioni ed obiettivi dell’attività di raccolta tradizionale, metodi di controllo del rischio di liquidità).

La singola azienda di credito dovrà quindi adattare l’entità delle proprie riserve di liquidità in ragione del <massimo fabbisogno ragionevolmente prevedibile>21, senza trascurare l’analisi delle condizioni di liquidità del sistema bancario nel suo complesso: l’accumulazione di mezzi liquidi viene infatti realizzata, non solo procedendo alla liquidazione di operazioni attive (utilizzazione dei fondi liquidi o delle disponibilità bancarie esistenti, vendita di titoli, incasso di crediti), ma anche sottoscrivendo nuove operazioni passive (anticipazioni, riporti, risconti): è in quest’ultimo genere di contrattazioni che risulta decisivo il ruolo, da un lato dell’Istituto di emissione, dall’altro delle altre aziende di credito presenti sul mercato, le quali possono sostenere le richieste delle imprese nei cui confronti la banca richiedente liquidità desidera ridurre (o al limite estinguere) le relative

18 “Mentre i problemi inerenti la gestione della liquidità possono essere ricondotti alla

convenienza e all’opportunità di modificare, rapidamente ed economicamente, la composizione quali-quantitativa dell’attivo e del passivo di bilancio agendo cioè sulla dinamica prospettica dei flussi finanziari, quelli di tesoreria nascono dall’esigenza di sistemare prontamente ed economicamente gli squilibri tra entrate ed uscite riequilibrando nell’immediato la dinamica monetaria”. (R. Ruozi (a cura di), Economia e gestione della banca, Egea, Milano, 1990, p. 349).

19 Al riguardo si parla anche di corrispondenza <tendenziale> tra movimenti monetari di segno opposto. (Cfr. R. Ruozi (a cura di), cit., p. 347 e segg.)

20 Si veda in proposito A. Ferrari, Gestione finanziaria e liquidità nelle banche, Giuffré, Milano, 1988, p. 159 e segg.

21 Cfr. P. Saraceno “La gestione della liquidità” in F. Cesarini (a cura di), Economia della banca, Il Mulino, Bologna. 1971, p. 70).

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esposizioni, oppure erogare direttamente mezzi liquidi mediante la mobilitazione di determinate tipologie di attività.

Le considerazioni sinora esposte evidenziano come il problema della liquidità nelle aziende di credito venga contraddistinto da aspetti incessantemente mutevoli:

a) la situazione economica generale e quella di settori specifici di attività

modificano l’andamento dei flussi di mezzi liquidi; b) le condizioni del mercato monetario e la liquidità delle banche si

ripercuotono sulle potenzialità di assorbimento del mercato valori privando alcune attività delle capacità, in esse di norma insite, di adempiere alla funzione riequilibratrice dei flussi finanziari.

In tale ambito risulterebbe di conseguenza erronea la fissazione di

rapporti “ideali” validi in qualsiasi tempo e per ciascuna azienda. In realtà il problema della liquidità bancaria ai giorni nostri assume

aspetti sostanzialmente diversi e più semplici rispetto a un tempo; ciò in ragione dell’enorme diffusione della forma tecnica del deposito bancario, le cui caratteristiche intrinseche attribuiscono alla massa complessiva dei mezzi amministrati dalla banca una configurazione di elevata stabilità, e in conseguenza all’orientamento, riscontrabile nella gestione delle banche, di investire quote sempre più rilevanti delle proprie disponibilità in titoli prontamente liquidabili.

Tali tendenze evolutive generano ripercussioni sul sistema di monitoraggio del sistema bancario nel suo complesso; a tal proposito, in passato, Pasquale Saraceno sosteneva già 40 anni fa:

“Questo complesso di elementi, delineatisi con chiara evidenza specialmente dopo il 1930, rende più arduo il governo di un sistema bancario da parte della banca centrale: la rarefazione e l’attenuazione delle crisi di liquidità delle banche di deposito e il fatto che tali crisi possano in genere essere superate mediante l’utilizzo di riserve di liquidità – i titoli pubblici – che non consentono alla banca centrale di rendersi ragione della politica di credito seguita dalle banche di deposito, fanno sì che situazioni non sane di singole banche possano perdurare a lungo ed estendersi in misura tanto più rilevante quanto più attenuate sono le fluttuazioni segnate dalla massa dei depositi.”22.

Parlare di liquidità ai giorni nostri può forse sembrare argomento superato ma, ora come in passato (e ci parrebbe che le recenti vicissitudini dei mercati finanziari ne siano un esempio innegabile), l’attenzione al

22 P. Saraceno, “La gestione della liquidità”, cit., p. 85.

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rischio di liquidità e i connessi processi di gestione costituiscono uno strumento prezioso per salvaguardare la stabilità delle singole banche e la solidità dell’intero sistema bancario23.

3. L’esperienza della Banca Commerciale Italiana

3.1. Breve storia della Banca Commerciale Italiana

A conclusione e superamento della grande crisi del 1892-1893 del sistema bancario – scosso di tempo in tempo da crisi profonde e da speculazioni di vario genere – l’assetto del settore viene in parte ridisegnato per delineare una struttura finanziaria più consona a favorire e sostenere il processo di rapido sviluppo industriale del paese: la Banca Commerciale svolse indubbiamente un ruolo di primo piano.

In tale periodo si afferma il modello della banca mista di tipo tedesco, strumento adatto a finanziare non solo le grandi opere pubbliche ma anche l’industria privata in genere, mediante l’acquisizione di partecipazioni azionarie e in virtù di concessioni di credito che – seppur a breve termine nella forma – divengono a lungo nella sostanza.

In questo contesto – e nel vuoto lasciato dai grandi Istituti in liquidazione (Credito Mobiliare e Banca Generale) – viene fondata il 10 ottobre 1894 la Banca Commerciale Italiana24.

Tale accadimento è il risultato di un susseguirsi di contrattazioni originatesi sin dal gennaio del medesimo anno, epoca in cui gli ambienti bancari d’Oltralpe presagiscono le grandi opportunità connaturate allo sviluppo economico del nostro paese. Funge da intermediario con la realtà italiana Otto Joel, direttore della Banca Generale, tedesco d’origine ma cresciuto in Italia e dotato di ottimi legami con il paese natìo. Contemporaneamente si sviluppa un progetto italiano i cui ideatori, tuttavia, si dichiarano favorevoli ad una partecipazione tedesca di minoranza. Un primo documento, stilato da un consorzio di banche tedesche e svizzere, viene diffuso nel mese di febbraio 1894 attraendo l’attenzione dei governi: in esso si propone l’istituzione di una banca con sede a Milano e capitale di 20 milioni, incrementabile sino a 50. In tale circostanza si prospetta un

23 Sul punto si consulti R. Ruozi, P. Ferrari, Il rischio di liquidità nelle banche: aspetti

economici e profili regolamentari, Paper n. 90 del Dipartimento di Economia Aziendale dell’Università degli Studi di Brescia, 2009.

24 Per approfondimenti sulla storia della Banca Commerciale Italiana si consultino: Banca Commerciale Italiana, La Banca Commerciale Italiana 1984-1919, Milano, Bertieri e Vanzetti, 1920, p. 32 e ss.; G. Toniolo, Cent’anni, 1894-1994. La Banca Commerciale e l’economia italiana, Banca Commerciale Italiana, 1994.

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istituto con configurazione volta a compiere preminentemente operazioni di emissione collegate all’indebitamento pubblico, ma le negoziazioni condotte sulla base di tale progetto non giungono a definizione favorevole.

I delegati delle banche tedesche e svizzere interessate all’operazione compiono un ulteriore tentativo nel mese di giugno: nuovamente le trattative non hanno esito positivo, soprattutto a causa della pretesa del nuovo istituto di detenere il monopolio delle operazioni in cambi per conto del Tesoro.

E’ il terzo tentativo – nel settembre dello stesso anno – a raggiungere il successo, in virtù soprattutto dell’impegno prodigato dalla casa bancaria Bleichröder: in realtà, gli scopi non sono stati profondamente modificati, continuando a dimostrare particolare riguardo per le proficue operazioni finanziarie dello Stato ma, in tale circostanza, non vengono previamente escluse le attività tipiche della banca mista di origine tedesca. E sarà ben presto quest’ultimo profilo dell’attività ad assumere preminenza.

La Banca Commerciale Italiana viene costituita dotandola di un capitale iniziale di 20 milioni di lire quasi interamente sottoscritto da stranieri: sei grandi banche tedesche (con una partecipazione complessivamente pari al 79%), banche austriache (partecipazione del 13%), banche svizzere (partecipazione del 7,5%), e il conte Alfonso Sanseverino-Vimercati che sottoscrive 100 mila lire e viene nominato Presidente (si veda la tabella 5).

Tabella 5 – I soci fondatori della Banca Commerciale Italiana 25

Azionisti Azioni Capitale Banca Berliner Handels Gesclischaft di Berlino N. 5.256 L. 2.628.000 Deutsc Bank di Berlino » 5.256 » 2.628.000 Bank für Handel und Industrie di Berlino » 5.256 » 2.628.000 Ditta S. Bleichröler di Berlino » 5.264 » 2.632.000 Direction der Disconto Gesellschaft di Berlino » 5.256 » 2.628.000 Desdner Bank di Dresda » 5.256 » 2.628.000 I. R. Priv. Stabilimento Austriaco di Credito per Commercio ed Industria in Vienna » 5.256 » 2.628.000 Basler Bankverein di Basilea » 1.000 » 500.000 Union Financiere de Geneve di Ginevra » 1.000 » 500.000 Società di Credit Suisse di Zurigo » 1.000 » 500.000 Signor Conte Sanseverino Vimercate » 200 » 100.000

N. 40.000 L. 20.000.000

A dirigere la Banca vennero nominati Otto Joel – compartecipe del

progetto sin dal suo esordio – e Federico Weil26, altro tedesco trasferitosi in Italia e direttore della filiale del Credito Mobiliare di Palermo.

25 G. Toniolo, Cent’anni, 1894-1994. La Banca Commerciale e l’economia italiana, cit.,

p. 28. 26 Per approfondimenti sulle figure di tali individui si veda: Banca Commerciale

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Mentre l’Italia – superate le prime difficoltà dell’economia – si trova ad attraversare la prima importante stagione di rapida crescita, durante la quale pone le basi per una moderna industrializzazione e inizia a colmare il divario rispetto ai paesi più avanzati, la Comit finanzia e sorregge lo sviluppo di molteplici settori, elettrico (Edison), siderurgico (Terni, Ilva, Acciaierie e Ferriere Lombarde, Breda), meccanico (Fiat), chimico, tessile, minerario, edilizio e alberghiero.

Il capitale si espande enormemente nei primi anni di attività: si transita dai 20 milioni originari ai 30 nel 1897, ai 40 del 1899, ai 60 del 1900, e così via sino a giungere ai 260 milioni nel 1919 (tabella 6): allo stesso tempo si incrementano le riserve che – nel 1914 – raggiungono il 45% del patrimonio. Tali aumenti di capitale vengono, di volta in volta, sottoscritti da finanzieri di varie nazionalità che attenuano il carattere iniziale in prevalenza tedesco: particolare rilievo, sotto questo profilo, assume la partecipazione della Banque de Paris et des Pays-Bas, che consente di attivare convenienti rapporti con i mercati francesi; non mancano, comunque, le sottoscrizioni italiane. Già nel 1901-1902 il consorzio fondatore austro-svizzero-tedesco ha ridotto la propria partecipazione a meno del 9% del capitale, pur permanendo invariato il tessuto di rapporti internazionali, tecniche di finanziamento, possibilità di penetrazione nei mercati che aveva rappresentato la vera dote conferita alla Banca Commerciale dai suoi promotori.

Nel contempo si rafforzano i rapporti con l’estero, e tale connotazione di internazionalità rimarrà sempre uno dei tratti caratteristici e di identificazione dell’istituto; l’organizzazione presenta caratteristiche di solidità e l’anno 1906 vede culminare questa fase continua di prosperità; via via si ampliano – numericamente e territorialmente – le filiali che alla vigilia della grande guerra annoverano 57 filiali e 18 agenzie di città27.

Italiana, La Banca Commerciale Italiana 1984-1919, cit., p. 32 e ss.

27 E’ necessario sottolineare come il proficuo andamento degli investimenti industriali risulta connaturato alla figura del <fiduciario>: si tratta di individui, stimati dalla Banca e incaricati dalla stessa di presidiare l’andamento di specifiche linee di credito. I fiduciari sono di provenienza ed estrazione dissimile: tecnici, capitalisti, dirigenti dell’istituto, professionisti che vengono inviati presso le aziende affidate – in qualità di amministratori, sindaci o talvolta con altri ruoli – quale sistema di controllo e, al tempo stesso, quale garanzia della solidità delle aziende medesime. Nel periodo 1894-1918 sono circa 400 le società – di medie e grandi dimensioni – presso le quali opera almeno un fiduciario della Banca Commerciale.

Per analisi ulteriori sul tema si consulti: F. Pino, “Sui fiduciari della Comit nelle società per azioni (1898-1918)”, in Rivista di storia economica, 1991, n. 8, pp. 115-148.

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Tabella 6 – Gli aumenti di capitale sociale della Banca Commerciale Italiana 28

Emissione Anno Per lire Al prezzo di

emissione di lire

Capitale iniziale 1894 20.000.000 500

II a emissione 1897 10.000.000 550

III a emissione 1899 10.000.000 640

IV a emissione 1900 20.000.000 640

V a emissione 1903 20.000.000 685

VI a emissione 1905 25.000.000 860

VII a emissione 1911 25.000.000 800

VIII a emissione 1914 26.000.000 735

IX a emissione 1918 52.000.000 750

X a emissione 1919 52.000.000 750

Totale al 31 dicembre 1919 260.000.000

Tabella 7 – La situazione della Banca Commerciale Italiana nel periodo 1894-1913 (milioni di lire) 29

Esercizio Capitale Riserve DepositiCorrispondenti

Creditori Portafoglio Dividendo

1894 20 — 0,16 13 4 — 1895 20 1,3 7 40 16 32,5 1896 20 1,4 11 39 15 32,5 1897 30 2 32 56,5 26 35 1898 30 2 37,5 78,3 26 37,5 1899 40 4,5 37,5 95,4 30 42,5 1900 60 9 43 94,4 37,3 42,5 1901 60 9 51,5 127,5 49,2 40 1902 60 9,4 62,3 111 42 40 1903 80 16,3 77 140,5 54,4 40 1904 80 16,5 100 170 93,5 40 1905 105 33,6 130 254,5 117 45 1906 105 34 155 254,3 136 45 1907 105 34,4 171,2 241,7 205 45 1908 105 34,9 199,5 261,6 276,1 45 1909 105 35 187,3 295,5 274,3 45 1910 105 35 183,6 329,2 290,1 45 1911 130 46,4 207,2 353,7 349,2 45 1912 130 47 218,7 449,2 412,8 45 1913 130 47,7 232,8 516,1 475,4 45

28 Banca Commerciale Italiana, cit., p. 40. 29 Banca Commerciale Italiana, cit., pp. 80 e 92.

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La crisi del 1907 – che causa il crollo della Società Bancaria Italiana, terza banca del paese – vede coinvolta la Comit solo come protagonista del consorzio creato per attuarne il risanamento, e ciò ad ulteriore prova della solidità e della centralità ormai assunte dalla Banca Commerciale nel sistema finanziario italiano (nella tabella 7, riportata nella pagina precedente, sono esposti alcuni dati salienti).

Nel 1914, alla vigilia dello scoppio del conflitto, le sue posizioni neutraliste vengono criticate dall’interventismo nazionalista che la percepi-sce ancora come “banca tedesca” (ovvero come strumento di penetrazione, non solo economica, della Germania in Italia), inducendola a privarsi degli amministratori delegati Joel e Weill (oltre ai consiglieri d’amministrazione cittadini di paesi belligeranti) nel nome di una formale italianità.

Durante la guerra essa sostiene – unitamente alle restanti componenti del sistema bancario – le aziende con produzioni belliche, sottoscrivendo il collocamento di Buoni del Tesoro e agevolando le transazioni in valuta tramite la filiale di Londra.

Conclusa la guerra, guidata da Giuseppe Toeplitz, la Commerciale riesce a contrastare numerosi tentativi di scalate ostili – anche grazie alla creazione del Consorzio Mobiliare Finanziario (Comofin) – e preserva la propria autonomia, in special modo nei confronti di alcune importanti imprese industriali (Ansaldo).

La crescita della banca prosegue, seppur talora si renda necessario risolvere situazioni problematiche provocate dalle battute d’arresto di grosse aziende (Ilva), cresciute in maniera disordinata e prigioniere della difficile fase della riconversione post-bellica.

Superata la crisi del 1920-21, l’economia italiana imbocca un ulteriore percorso di crescita che si protrae a ritmo piuttosto sostenuto sino alla rivalutazione della lira nel 1926: la realizzazione di “quota novanta” – nelle intenzioni preludio alla stabilizzazione della lira e alla reintroduzione della convertibilità in oro della moneta – provoca un accentuato fenomeno di deflazione che influisce negativamente sulla domanda di investimenti e sull’occupazione. Le imprese, non più in grado di assolvere agli obblighi assunti con le banche per finanziare gli investimenti espansivi del periodo precedente, sono indotte a cedere le proprie azioni alle banche medesime come forma di garanzia delle esposizioni: la Comit – nella sua veste di grande banca finanziatrice – si trova pesantemente esposta agli effetti negativi della congiuntura, e assume così un ruolo sempre più manifestamente di holding finanziaria, arrivando a controllare il 25% del capitale azionario italiano.

La grave crisi mondiale del 1929 – di proporzioni ineguagliate, sino a quel momento, nella storia del capitalismo – produce per le imprese un’ulteriore contrazione degli affari e della redditività, costringendole ad

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affidarsi nuovamente e inevitabilmente alle banche; queste ultime – a loro volta – non possono sottrarsi alle richieste di aziende delle quali risultano ormai detentrici dei pacchetti azionari di controllo, rischiando – di conseguenza – il coinvolgimento nell’eventuale fallimento delle stesse. Ne deriva l’ampliamento del portafoglio azionario posseduto dalla Banca Commerciale.

I pesanti immobilizzi nelle imprese, congiunti alle gravi perdite dei maggiori gruppi industriali e alla progressiva flessione dei depositi, costringono la Comit – per non precipitare nell’insolvenza – a fare ricorso al credito e alle anticipazioni dell’Istituto di emissione, nonché all’indebitamento a breve sull’estero. La situazione si complica ulteriormente a seguito della grave crisi bancaria, della seconda metà del 1930 negli Stati Uniti, che accelera la fuoriuscita dei capitali americani dall’Europa, e precipita con il crollo del Creditanstalt di Vienna, nel maggio 1931, e dei grandi istituti tedeschi: si scatena, infatti, il ritiro dei capitali stranieri.

Malgrado le sovvenzioni elargite dalla Banca d’Italia, e nonostante le numerose negoziazioni sperimentate tra Toeplitz (che a partire dal 1925 si avvale della collaborazione preziosa di Raffaele Mattioli) e la stessa Banca d’Italia e con il Governo (per il tramite del suo ministro Alberto Beneduce), la Comit, per risollevarsi, si vede costretta a cedere – in cambio di titoli cambiari scontabili e in quanto tale facilmente tramutabili in liquidità – alla Società finanziaria industriale italiana (Sofindit) – controllata di fatto dall’istituto di emissione – il portafoglio azionario detenuto, per un ammontare complessivo di oltre 4 miliardi di lire. Nel gennaio 1933 il capitale del Sofindit viene acquisito dall’Istituto di ricostruzione industriale (IRI) che, nel corso del medesimo anno, assume il controllo diretto della Comit – come peraltro del Credito Italiano e del Banco di Roma – relegandola alla funzione di banca di credito ordinario.

Si conclude, in tal modo, l’esperienza della banca mista italiana: sorta nello scenario di una nazione arretrata, la banca universale di matrice tedesca contribuisce, sino almeno al 1914, in modo decisivo al primo rilevante impeto industriale. Il supporto allo sviluppo post-bellico ne immobilizza il patrimonio tramutandola in <banca holding>: tale caratteristica – associata alla sottocapitalizzazione e alla accentuata instabilità ciclica e monetaria degli anni venti – si traduce nel 1931-1933 nella citata crisi del modello italiano di <banca mista>.

Nel 1936, con l'emanazione della Legge Bancaria, l’istituto milanese diviene un'azienda di credito ordinario, ovvero con prestiti e depositi aventi scadenza essenzialmente entro i 18 mesi; nel 1937 viene designata – assieme al Banco di Roma e al Credito Italiano, in quanto società per azioni con filiali in almeno trenta province – <Banca di Interesse Nazionale>.

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È pressoché riferita a tale intervallo temporale l’analisi della perizia Zappa proposta nel prosieguo.

3.2. La Banca Commerciale Italiana nella perizia di Gino Zappa

3.2.1. Introduzione

Prima di addentrarsi nella disamina degli aspetti più propriamente tecnici è necessario premettere – così come a suo tempo fatto dallo stesso Zappa – le ragioni della stesura delle note riservate – indirizzate alla Onorevole Presidenza dell’I.R.I. – intitolate “Note sul bilancio e sulla gestione dell’esercizio 1934”30.

In particolare, le note – pur traendo spunto dalla lettura del bilancio dell’esercizio 1934 – sono nelle intenzioni dell’Autore lo strumento per indagare la gestione della banca nei suoi aspetti capitali e pertanto, ad esempio, per esprimere un giudizio sulla propensione delle componenti di reddito a riproporsi e/o a modificarsi nel futuro, oppure sui rischi economico-finanziari indotti dallo svolgersi della gestione.

Rilevanti appaiono anche le reazioni scaturite dalla stesura del documento ora in discussione: Zappa stila – per Alberto Beneduce ovvero per la nuova proprietà – il rapporto riservato sulle condizioni della Banca Commerciale nella tarda estate del 1935, usufruendo e consultando una serie di documenti interni e il bilancio del 1934. Prima che tale documento fosse inviato a Roma, tuttavia, venne visionato da Raffaele Mattioli – amministratore delegato dell’istituto di credito – il quale, non condividendo l’impostazione dello stesso, giunge a restituirlo al mittente corredato da un’infinità di annotazioni; Zappa, a propria volta, immise ulteriori sue contro-argomentazioni prima di procedere all’inoltro definitivo.

Ed è proprio – oltre all’indiscusso contenuto intrinseco – l’insieme delle note dei due illustri protagonisti – tutte peraltro rigorosamente di pugno – a rendere il documento una delle più notevoli testimonianze in tema di storia della ragioneria e – più in generale – di storia d’impresa nel nostro paese31.

30 L’analisi che segue è stata realizzata grazie a un consistente fascicolo di documenti

oggi disponibile presso l’Archivio storico della Banca commerciale italiana che risulta in buona parte agevolmente consultabile – nella sua forma digitalizzata – on line direttamente sul sito dell’istituto bancario. In particolare quella comunemente definita come “perizia Zappa” è contenuta nel faldone 5, fascicolo 2, delle Carte miscellanee di Raffaele Mattioli al seguente indirizzo http://gea.bancaintesa.it/archivio/index.htm. 31 Cfr. P.A. Toninelli, “Raffaele Mattioli, Gino Zappa e la contabilità della Banca Commerciale Italiana negli anni trenta”, in Imprese e storia, 2004, n. 29, p. 35 e ss.

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3.2.2. La situazione economico-finanziaria

L’analisi della situazione patrimoniale della Comit viene condotta sulla base del <bilancio effettivo> dell’esercizio 1934, documento che – pur esponendo ovviamente i medesimi risultati del <bilancio contabile> – li propone con una maggiore, e sovente diversa, scomposizione32.

L’indagine sulla situazione finanziaria della Banca, rivolta a tutte le entrate e le uscite finanziarie relative ad un dato lasso temporale, deve venire intesa come attitudine dell’istituto a fronteggiare le ipotizzate uscite con le presunte entrate, senza aggravare al contempo la situazione patrimoniale e la situazione economica, e senza comprommettere la situazione finanziaria prospettica.

Ed è sulla base di tale interpretazione che Zappa considera privo di fondamento il significato finanziario attribuito alla cosidette riserve liquide o alle disponibilità immediate rispetto all’immenso movimento finanziario imposto dalla gestione bancaria, così come non è d’aiuto isolare il tempo in cui le passività dovranno essere estinte in relazione all’epoca in cui le attività potranno essere realizzate. Egli giunge così ad affermare:

“Le attività e le passività riferite alla data di bilancio, o a qualsiasi altra data, e comunque valutate e ordinate, non possono designare né una situazione, né un nucleo di operazioni astratto da quella continua corrente di variazioni, per la quale la gestione diviene. Anche i rapporti tra particolari valori di bilancio, attivi e – o – passivi, tanto di frequente composti, non sono che puerili costruzioni di menti non atte a cogliere la gestione bancaria nella sua concreta complessità o nelle astrazioni semplificatrici che sanno rilevare la complessa realtà senza troppo deformarla.”33

In particolare, il problema finanziario della Comit assume all’epoca importanza cruciale, a tal punto da porne in discussione la stessa possibilità di sopravvivenza: la mancata riduzione dell’ammontare delle operazioni di tesoreria potrebbe precludere il conseguimento di redditi d’esercizio, e di conseguenza – laddove non opportunamente sostenuta – determinare la conclusione del suo ciclo di vita.

I crescenti debiti di tesoreria sono un ulteriore sintomo del progressivo stato di immobilizzo: il movimento di cassa e di conto corrente si attenua, si riducono gli effetti scontati e i crediti documentati aperti, si intensifica lo

32 Assolutamente trascurato risulta invece il <bilancio ufficiale>, diffuso a stampa, che –

in ragione degli arditi e notevoli accostamenti, delle disgiunzioni di dati e delle solite compensazioni – viene reputato una ricomposizione alterata del bilancio contabile.

33 Asi-Bci, Carte miscellanee di Raffaele Mattioli, faldone 5, fascicolo 2, Alla onorevole presidenza dell’I.R.I. Note sul bilancio e sulla gestione dell’esercizio 1934 della Comit, p. 37.

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sconto di tratte non accettate e si incrementano gli insoluti, aumentano considerevolmente le cedole negoziate e il numero di dossiers-titoli e delle cedole staccate dai dossiers, si contraggono lievemente il numero di informazioni richieste e non migliora il tenore delle risposte ottenute: tali sono gli aspetti che emergono dall’analisi dell’intera documentazione consultata.

Ma – anche qualora ci si volesse limitare unicamente all’indagine degli stati attivi e passivi di bilancio – la situazione finanziaria si paleserebbe sempre non facile: 1) contrazione delle liquidità immediate, 2) incremento dei crediti di vario genere ma con esigue possibilità di esigibilità a breve, 3) ingenti sofferenze, 4) incetta di tesoreria in misura quasi pari alla metà dei fondi raccolti per operazioni di credito ordinario. Tutti elementi che rendono palese la necessità di un risanamento, da attuarsi senza ulteriori dilazioni.

Anche il divenire dei movimenti finanziari – rispetto all’esercizio precedente – sembra confermare l’aggravarsi della situazione finanziaria (tabella 8).

Tabella 8 – Dati finanziari (valori in milioni di lire) 34

31 dicembre

1933 31 dicembre

1934

Debiti di tesoreria: Banca d'Italia 1.866 1.830 Consorzio Sovvenzioni 237 298 I.R.I. 0 490 Altri 406 250 Totale 2.509 2.868 Debiti ordinari: Clienti 6.255 5.360 Affiliazioni 280 259 Assegni in circolazione 172 160 Totale 6.707 5.779 Debiti per depositi e conti corrente 5.619 6.535 Crediti 1.461 1.691 Titoli di proprietà 0,156 0,094 Credito verso I.R.I. 6.823 6.134

Le risorse necessarie a equilibrare la diminuzione dei debiti ordinari e

a sorreggere l’incremento dei crediti erano state rese disponibili

34 L’elaborazione è dell’autore sulla base dei dati ricavati da Asi-Bci, Carte miscellanee

di Raffaele Mattioli, faldone 5, fascicolo 2, cit., p. 42 e ss.

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soprattutto dall’espansione dei debiti di Tesoreria e, per la quota rimanente, dalla contrazione del credito verso l’I.R.I. (credito che, in tal modo, coadiuva le consuete fonti di Tesoreria).

Le prospettive sembrano, pertanto, non favorevoli – anche sulla base delle contingenti situazioni del mercato –: la Banca – secondo Zappa – si troverà a perdurare nella tendenza ormai nota.

Zappa invita chi in possesso delle necessarie informazioni monetarie, finanziarie e commerciali a “escogitare le urgenti provvidenze”, raccomandando peraltro di non far concorrere alla formazione della situazione finanziaria – definita su un orizzonte temporalmente non esteso a pena di determinazioni inefficaci – quei crediti che – pur se riclassificati tra gli impieghi a vista o a breve scadenza – nella sostanza paiono totalmente o parzialmente non esigibili.

La situazione economica della Comit – prosegue Zappa – non consente di formulare previsioni migliori di quelle esposte con riferimento alla situazione finanziaria: il miglioramento del profilo economico della banca non può infatti prescindere – per la natura stessa dell’attività esercitata – dall’evoluzione positiva dell’aspetto finanziario, nonché dal consolidamento delle condizioni economico-finanziarie delle imprese alle quali la banca concede credito e dalle quali ne riceve, favorevoli circostanze esterne che gli paiono circoscritte “a non vasti settori produttivi, almeno tra quelli che sono avvinti alla Comit da più strette relazioni economiche”35.

3.2.3. Gli aspetti critici dal punto di vista gestionale

I problemi capitali della gestione Comit devono – secondo Zappa – venire analizzati separatamente per consentire – per il tramite di successive approssimazioni – di ottenere una visione <non troppo incompiuta> della articolata situazione dell’istituto, mantenendo tuttavia tali problemi legami inscindibili con fenomeni più generali come la circolazione monetaria, le relazioni economiche internazionali, e le necessità del sistema creditizio in generale.

Ed è sulla base di tale impostazione che lo Studioso esamina le singole classi di valori esprimendo le considerazioni di seguito riportate.

I depositi a risparmio e i conti lire Italia ed estero.

La categoria registra un andamento alterno che rileva il deflusso di fondi più cospicuo nella seconda e terza decade del mese di febbraio (632 milioni) e, dal lato degli aumenti, risulta contraddistinto dal pagamento di molte

35 Asi-Bci, Carte miscellanee di Raffaele Mattioli, faldone 5, fascicolo 2, cit., p. 46.

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cedole che immettono una fresca ondata di redditi monetari, fenomeno peraltro diffuso in tutto il nostro paese.

L’andamento dei depositi a risparmio e dei conti lire appare, tuttavia, maggiormente significativo ove ci si soffermi distintamente sulle singole classi che lo costituiscono (ovvero deposito a risparmio, conti banche Italia, conti clienti Italia, conti dell’estero). In particolare, l’unica categoria che fa annotare nel corso del 1934 un incremento – seppur contenuto (pari a 9,9 milioni) – sono i depositi a risparmio: tuttavia, tale andamento – se rassicurante ove paragonato a quello di altre componenti – assume altro significato ove interpretato con riferimento a un lasso temporale più esteso (tabella 9).

Tabella 9 – Depositi a risparmio e buoni fruttiferi (valori in milioni di lire) 36

Saldi iniziali Aumenti Diminuzioni 1929 1.202.640 — — 1930 1.326.976 124.336 — 1931 1.232.601 — 94.375 1932 1.219.000 — 13.601 1933 1.396.050 177.050 —

La sostanziale costanza dell’ammontare dei depositi a risparmio è forse

ascrivibile alla creazione – nel novembre del 1933 – presso la Comit del <piccolo risparmio>, strumento accolto favorevolmente dai piccoli risparmiatori di capitale, ma in grado di divenire conveniente solo ove tramite esso la banca riuscisse ad attrarre nuove masse di depositanti37. L’azione della Comit nella raccolta del risparmio – con distinzioni territoriali – non è lieve se accostata a quella delle altre banche a carattere nazionale, ma diviene <meschina> ove paragonata a quella delle Casse di risparmio postali e ordinarie o a quella degli Istituti di Credito di diritto pubblico.

I conti correnti passivi della clientela Italia hanno subito una contrazione38, non meglio indagabile – secondo Zappa – senza conoscere l’attività economica svolta dai clienti nelle diverse zone; solo investigando

36 Asi-Bci, Carte miscellanee di Raffaele Mattioli, faldone 5, fascicolo 2, cit., p. 55. 37 “Ma lo si sa, gli umili non gradiscono il lusso delle filiali e delle agenzie delle grandi

banche, né il contatto troppo evidente con gente di altri ceti, né forse la riserbatezza composta e quasi la sostenutezza con la quale l’impiegato della grande banca suole trattare il pubblico minuto, che si accosta con diffidenza all’ignorato meccanismo delle più semplici operazioni bancarie.” (Asi-Bci, Carte miscellanee di Raffaele Mattioli, faldone 5, fascicolo 2, cit., p. 62)

38 Per approfondimenti sul tema in relazione alle singole zone d’Italia si cfr. Asi-Bci, Carte miscellanee di Raffaele Mattioli, faldone 5, fascicolo 2, cit., p. 66 e ss.

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le ragioni dei versamenti e dei prelevamenti, è plausibile elaborare ipotesi sulle cause dell’esodo delle disponibilità di banca:

“vorrei quasi affermare che qui, più che per l’attivo, da un buon indirizzo dell’incetta potrebbero ottenersi non sospettati risultati, tanto generalmente la pratica vuole ignorare ogni più accorta indagine statistica”39.

Ancor più accentuata è risultata la diminuzione fatta registrare dai conti correnti passivi delle banche Italia; questi ultimi – che accolgono le disponibilità immediate di corrispondenti che intendono così usufruire della remunerazione, superiore a quella concessa dalla Banca di emissione, riservata a tali rapporti – rappresentano probabilmente la categoria più instabile e <non desiderabile> dei conti propri della raccolta ordinaria di fondi:

“Essi oscillano in genere rapidamente, e specialmente segnano subitanee e ingenti sottrazioni di fondi proprio quando alla Banca più fanno difetto le disponibilità.”40.

Peraltro, le interotte relazioni dirette della banca con i gruppi industriali precedentemente finanziati e gli affievoliti rapporti commerciali con l’estero, non lasciano presagire un risveglio dei conti di questa categoria.

I conti lire dell’estero presentano una diminuzione, anch’essa espressione della contrazione dei rapporti economici internazionali nonché dell’andamento delle diverse monete, che – in ragione del loro continuo variare e del mutevole rapporto tra saggi di sconto – influiscono sulla convenienza degli impieghi esteri.

Il passivo vincolato.

La misura raggiunta dai depositi e dai conti vincolati – quasi pari a quella dei depositi e dei conti liberi – appare esagerata soprattutto ove si rifletta sul fatto che gli stessi impongono più elevati oneri per interessi e, al contempo, garantiscono minori lucri accessori, risultano meno instabili dei conti liberi ma si oppongono in minor misura alla concorrenza di fattispecie di investimenti a scadenza fissa che lo Stato e gli Enti parastatali offrono regolarmente a tassi particolamente remunerativi.

L’esodo delle disponibilità ordinarie.

Non è possibile circoscrive ad unica causa le ragioni che hanno determinato la rilevante diminuzione subita durante il 1934 dai fondi

39 Asi-Bci, Carte miscellanee di Raffaele Mattioli, faldone 5, fascicolo 2, cit., p. 78. 40 Asi-Bci, Carte miscellanee di Raffaele Mattioli, faldone 5, fascicolo 2, cit., p. 80.

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incettati in lire dalla Comit: indubbiamente a tale risultato hanno concorso contemporaneamente contingenze relative alle condizioni della banca ed altre più propriamente correlate alle condizioni del mercato monetario e finanziario.

Peraltro, la fuoriuscita dei fondi di terzi è proseguita anche in seguito al riordinamento della banca e al risanamento della situazione patrimoniale:

“non era sfuggito al pubblico che l’assestamento della situazione patrimoniale della Comit non era stato accompagnato da un nuovo afflusso di valori effettivamente liquidi atti a potenziare l’azione creditizia della Banca.”41.

Inoltre, il richiamato andamento sfavorevole del credito passivo appare più preoccupante rispetto al passato, in quanto non è fenomeno peculiare della sola Comit ma, viceversa, risulta esteso alle Casse di Risparmio ordinarie, ai depositi ordinari presso le casse postali, e perfino ai Buoni fruttiferi postali che per un ampio lasso temporale furono prediletti dal pubblico.

L’evoluzione della raccolta fondi mediante le ordinarie operazioni passive svela, peraltro, la sua imminente gravità, qualora la si contempli come prosecuzione di tendenze sfavorevoli che agiscono da tempo senza contrapporre alle medesime opportuni ed efficaci impedimenti.

Le disponibilità di banca e le emissioni di Buoni del Tesoro.

La vasta diffusione in Italia dei titoli di Stato – in ogni ceto della popolazione – contribuisce a lumeggiare l’andamento – all’atto delle emissioni – dei conti di risparmio e dei conti correnti passivi in banca: in altri termini, nel nostro paese il risparmio privato coopera con tutto il suo potere al celere assorbimento delle pubbliche emissioni, non abbandonandole per lunghi intervalli alle aziende di credito e alle società finanziarie.

“Appare qui, (…), che in tempo di risparmio bancario depresso, insufficiente al servizio del credito attivo di banca, e inetto ormai a rapida ricostituzione, i prestiti pubblici che attingono al credito passivo di banca, non mobilitano, come si dice, il capitale inoperoso, ma invece concorrono alla più duratura immobilizzazione ed all’accrescimento dei costi dei fondi bancari. E se i fondi assorbiti dai prestiti sono nel fatto dati dalla Banca centrale o da chi per essa, nemmeno in apparenza si ha la immaginaria mobilitazione, ma solo una intersostituzione di cosidette garanzie bancarie.”42.

41 Asi-Bci, Carte miscellanee di Raffaele Mattioli, faldone 5, fascicolo 2, cit., p. 85. 42 Asi-Bci, Carte miscellanee di Raffaele Mattioli, faldone 5, fascicolo 2, cit., p. 88.

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Il credito ordinario attivo.

Il lavoro ordinario, ampiamente contrattosi rispetto al passato, è nel 1934 assai ristretto, nonostante l’espansione non trascurabile impressagli proprio nell’anno in discussione.

Nello specifico, l’andamento dei crediti ordinari, tra fine 1933 e fine 1934, è riportato nella tabella 10.

Tabella 10 – Crediti ordinari 43

a fine 1933 a fine 1934 Portafoglio Italia 287.805 365.433 Portafoglio Estero 21.665 22.860 Riporti attivi 87.086 108.201 Prestiti cambiari 320.256 261.068 Conti correnti 349.454 554.461 1.066.266 1.312.023

È necessario rilevare come l’accresciuto ammontare dei crediti attivi non

possa venire interpretato come un sintomo del miglioramento della gestione: lo sarebbe, infatti, solo nell’eventualità in cui una nuova sorgente incrementasse sistematicamente i fondi ordinari a disposizione della banca. Ciò sta a significare che, in sostanza, la convenienza di un’operazione attiva non può giudicarsi in maniera isolata:

“quando i fondi in essa investiti costringono ad una nuova incetta di tesoreria dall’alto costo, l’accennata convenienza può apparire in tutto negativa.”44.

Il Portafoglio Italia ed Estero e i riporti attivi costituiscono i cosidetti <impieghi brevi> che dovrebbero risultare “self liquidating”: al riguardo è importante sottolineare come, in realtà, gli stessi siano in buona parte non atti a rapida mobilitazione e concorrano – unitamente ad altre forme tecniche di credito – alla definizione dell’esposizione delle singole imprese che nel suo insieme – trattandosi di esposizione nella sua totalità solidale – rappresenta il credito buono o, invece, dubbio del soggetto debitore.

I riporti attivi sono concessi – per più della metà del loro ammontare complessivo – su titoli a reddito fisso; le aziende emittenti azioni costituite in riporto sono tutte in soddisfacenti condizioni e non appaiono notevolmente indebitate nei confronti della Comit.

43 Asi-Bci, Carte miscellanee di Raffaele Mattioli, faldone 5, fascicolo 2, cit., p. 94. 44 Asi-Bci, Carte miscellanee di Raffaele Mattioli, faldone 5, fascicolo 2, cit., p. 96.

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La distribuzione del credito.

Le variazioni che la distribuzione del credito attivo fa registrare in un determinato intervallo temporale esplicitano la politica di gestione adottata da qualsiasi banca: in particolare, la distribuzione del credito della Comit nel 1934 subisce l’influsso – nonostante il risanamento attuato nel 1933 – della previgente gestione del credito, ovvero soprattutto della concessione di finanziamenti di importo rilevante anche se numericamente ridotti, in quanto reputati forieri di lauti guadagni. La distribuzione e la qualità dei crediti derivano pertanto dagli indirizzi precedenti e si traducono in una scarsa mobilità, stasi accentuata dall’abitudine diffusa in Italia tra le aziende di attingere le risorse necessarie al loro fabbisogno da diversi, e sovente non pochi, istituti di credito.

Le attività economiche sovvenzionate con concessione di credito spaziano dall’industria, ai commerci, alle banche e vengono esaminate da Zappa classificandole in <classi di attività> allo scopo di circoscrivere peculiari fenomeni di impresa e di mercato: a titolo esemplificativo andamenti dei prezzi praticati nei mercati di approvvigionamento e di sbocco, volumi generali delle produzioni e degli scambi. Tali indagini potrebbero fornire parametri idonei ai fini dell’individuazione di settori economici nei quali il credito potrebbe risultare più o meno convenientemente sfruttato, e consentire – in tal guisa – l’opportuna espansione o restrizionoe del credito concesso alle diverse imprese.

Tale procedura non è stata realizzata – se non in minima parte – nel corso dell’esercizio 1934 dall’Amministrazione della Comit: ciò determina secondo Zappa l’inesistenza di dossiers efficaci per appurare la situazione patrimoniale, finanziaria ed economica delle imprese alle quali si elargisce o si nega il credito.

Inoltre, una simile analisi dovrebbe venire condotta anche in riferimento al credito passivo (non di tesoreria): investigando le peculiari condizioni di impresa e di mercato nei diversi settori economici che offrono capitali alla banca, oltre alle condizioni economiche delle zone territoriali ove la banca opera, dovrebbe risultare possibile prescegliere consapevolmente le aree geografiche e i settori dove l’attività di raccolta dovrebbe essere – a seconda dei casi – potenziata ovvero affievolita. Anche in tale ambito l’indagine non risulta per nulla condotta dalla Comit.

I debiti di tesoreria.

I debiti di tesoreria – provocati dai disavanzi finanziari correlati alle operazioni di credito o accessorie svolte dalla banca – corrispondono a fondi non incettati sul mercato aperto, nazionale o internazionale, e sono

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fondamentalmente estrinsecazione di sostegni concessi dagli Istituti centrali di credito.

L’esposizione di tesoreria durante il 1934 si conferma nella sua tendenza permanente all’aumento; ne fanno parte in ordine decrescente di importanza: gli sconti finanziari presso la Banca d’Italia45, le anticipazioni garantite dalla Banca d’Italia, le operazioni con il Consorzio Sovvenzione Valori, e – a partire dall’ultima decade di novembre – le anticipazioni passive dell’I.R.I. (che già dall’ultima decade di dicembre assurgono al terzo posto tra le fonti di incetta di tesoreria).

“Le anticipazioni I.R.I., che con il loro nuovo ammontare valgono anche a colmare la diminuzione dei debiti verso la Banca d’Italia, si fanno a condizioni per la Comit più gravose delle antiche forme di incetta. Il peggioramento della situazione finanziaria della Banca si ripercuote così sempre più svantaggiosamente sui risultati d’esercizio.”46.

All’aumento dei debiti di tesoreria sin qui ricordato è necessario affiancare la riduzione dei riporti passivi, nonché la decurtazione consentita dall’I.R.I. sul relativo debito di smobilizzo (per un importo pari a 1.179 milioni, il più rilevante sussidio di tesoreria ottenuto dalla Comit durante il 1934).

Accanto ai profili sinora delineati (ritenuti da Zappa problemi capitali

della gestione Comit) vengono evidenziati dallo Studioso anche alcuni problemi minori: i) interessi esteri; ii) prestiti di firma; iii) portafoglio titoli; iv) immobili.

Gli interessi esteri della Comit.

Nel 1934 le partecipazioni bancarie hanno dato luogo a perdite di valutazione degne di nota: premettendo che “nella valutazione delle partecipazioni, assai più che la considerazione di prezzi nominali di azioni, fondati in genere su redditi passati, dovrebbe pesare la circostanza non dubbia della notevole diminuzione subita dalla capacità di reddito delle affiliazioni”47 (senza tralasciare il rischio finanziario e di cambio connesso

45 E’ necessario precisare che il risconto finanziario – pur rappresentando nel 1934 la

più ingente operazione di tesoreria – è destinato al progressivo esaurimento poiché gran parte della carta finanziaria era originata dai finanziamenti a lungo termine ormai sostituiti dal credito verso l’I.R.I., il solo idoneo a fornire firme che permettano risconti di carta di puro credito.

46 Asi-Bci, Carte miscellanee di Raffaele Mattioli, faldone 5, fascicolo 2, cit., pp. 128-129.

47 Asi-Bci, Carte miscellanee di Raffaele Mattioli, faldone 5, fascicolo 2, cit., p. 147.

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ad un plausibile esodo di fondi assegnati alle affiliate da clienti e corrispondenti), lo Studioso ribadisce l’assenza di sufficienti elementi per procedere consapevolmente alla valutazione dei capitali e dei rischi delle affiliate e per giudicare il concorso che le stesse procurano alla situazione economica e finanziaria della Comit. Egli lascia, pertanto, a chi dispone di tutti gli elementi di giudizio l’assolvimento consapevole del compito di stima della convenienza complessiva – non solo economica – delle singole affiliate.

Ciononostante, viene sottolineata la compensazione tra poste assai eterogenee (variazioni per cessione partecipazioni, cambiamenti di stime di valori capitali e per cambi alle medesime applicati), che conducono secondo lui a saldi privi di significato; inoltre, in relazione alla valutazione dei capitali e dei rischi delle affiliate ritiene che le perdite di bilancio dovrebbero venire ben notevolmente accresciute. La situazione generale dei cambi, inoltre, non esplicita il rischio di cambio forse più grave per la banca, ovvero l’evenienza di un esodo di fondi di terzi affidati alle filiali e affiliazioni straniere: “chi potrà provvedere le divise necessarie ai rimborsi? su chi graveranno le connesse perdite?”48.

I prestiti di firma.

I prestiti di firma assumono nel bilancio del 1934 la configurazione esposta nella tabella 11.

I debiti per accettazioni sono prestati in prevalenza dalle filiali di Londra e New York e in tale ambito, le accettazioni per conto dell’estero superano di gran lunga quelle per conto dell’Italia. Anche in tema di debiti per accettazioni di corrispondenti, tra le molteplici piazze, gli importi più rilevanti sono realizzati da Londra e New York, seguite da Berlino.

Con riferimento ai complessivi crediti per firme prestate il credito d’accettazione cresce durante l’anno, nonostante la progressiva attenuazione del commercio con l’estero: ciò è indice, in parte della “sfiducia che, nei rapporti internazionali, vuole sostituito al rimborso diretto il rimborso di banca”49, e in parte del ruolo rilevante che la Comit continua a mantenere nel “sussidio delle negoziazioni del nostro Paese con l’estero.”50.

48 Asi-Bci, Carte miscellanee di Raffaele Mattioli, faldone 5, fascicolo 2, cit., p. 153. 49 Asi-Bci, Carte miscellanee di Raffaele Mattioli, faldone 5, fascicolo 2, cit., p. 157. 50 Asi-Bci, Carte miscellanee di Raffaele Mattioli, faldone 5, fascicolo 2, cit., p. 157. L’andamento dei crediti di firma si esplica con caratteristiche peculiari in relazione ai

diversi settori economici: si incrementa nei comparti del cotone, del commercio delle materie per l’industria, del commercio dei combustibili; viceversa, si riduce nel settore bancario, del legno, dell’abbigliamento, alimentare, chimico.

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Tabella 11 – Prestiti di firma (in milioni di lire) 51

1934 Debiti per nostre accettazioni 142.654 Debiti per accettazioni di corrispondenti 49.228 Crediti confermati 17.454 209.336 Debiti per fidejussioni 152.343 Debiti per avalli 140.781

Il portafoglio titoli.

Il portafoglio titoli della Comit è preminentemente composto da Titoli dello Stato italiano o da esso garantiti (pari complessivamente nel bilancio 1934 a 1.198,8 milioni): tale sezione del Portafoglio titoli presenta <ottima costituzione> e, al suo interno, ha assoluta prevalenza su ogni altro genere il Redimibile (il quale non può venire considerato come un valore liquido o disponibile, essendo già impegnato in anticipazioni e riporti passivi presso la Banca d’Italia).

Durante l’esercizio i valori di proprietà subiscono una diminuzione, ma ciò che più rileva in merito agli stessi è il ragguardevole rischio di variazioni avverse dei prezzi, da stimarsi in relazione alla natura di immobilizzazione o di disponibilità da attribuirsi alle diverse componenti dei valori di proprietà.

Gli immobili.

Considerata l’impossibilità di eseguire ragionevoli congetture sul valore degli immobili e posto che “perizie le quali tendano ad accertare il valore attuale di scambio, non possono pervenire che a risultati assurdi agli effetti del bilancio”52, si evidenzia l’opportunità di una distinzione tra gli immobili destinati all’esercizio dell’attività bancaria e quelli, viceversa, a non duratura destinazione aziendale. Ne dovrebbe derivare: per i primi – essendo ipotesi inammissibile la liquidazione della banca – la valutazione sulla base dei risalenti costi, genericamente rivalutati e ammortizzati; per i secondi la stima sulla base del congetturato valore dell’epoca in cui si riterrà opportuno precedere alla relativa vendita.

51 Asi-Bci, Carte miscellanee di Raffaele Mattioli, faldone 5, fascicolo 2, cit., p. 155. 52 Asi-Bci, Carte miscellanee di Raffaele Mattioli, faldone 5, fascicolo 2, cit., p. 171.

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3.2.4. I rilievi tecnico-contabili al bilancio 1934

In alcuni passaggi delle note al bilancio 1934 Zappa esprime considerazioni critiche – in maniera ferma e tutt’altro che celata – nei confronti di alcuni valori e dei processi di contabilizzazione da cui gli stessi scaturivano. Si tratta, in realtà, di veri e propri rilievi tecnico-contabili che potrebbero – forse – inficiare il grado di attendibilità del bilancio Comit, attendibilità che lo Studioso ritiene comunque limitata, in quei tempi, nei bilanci bancari in generale53. I principali suoi rilievi vengono analizzati di seguito.

In tema di valutazione delle partecipazioni – malgrado le imponenti svalutazioni eseguite – viene evidenziata l’esistenza di una serie di incoerenze: sono state valutate a valore nominale azioni che non assegnano e non assegneranno – almeno per alcuni esercizi – dividendi; alcune azioni sono state stimate per importi superiori al valore nominale in virtù dell’esistenza di riserve nel patrimonio della partecipata; altre azioni sono state valutate a valore nominale nonostante considerevoli perdite d’esercizio; partecipate ubicate in paesi con situazioni economiche dissestate vengono definite in floride condizioni. Tali incongruenze – desunte in realtà, come dichiarato, dall’analisi di una Relazione riservata datata 16 ottobre 1933 – vengono considerate indici di <non assennate> valutazioni.

Per quanto concerne la situazione generale dei cambi, si rimarca come “la rilevazione di utili o di perdite in relazione al variare dei cambi applicati a titoli che non possono vendersi, è, agli effetti della determinazione del reddito d’esercizio, più che un inutile, un dannoso passatempo contabile.”54: ne deriva la necessità di valutare le situazioni particolari delle diverse monete in relazione alla diversa natura in termini di liquidità delle distinte componenti patrimoniali. Inoltre, il pericolo dell’esodo di fondi dei terzi detenuti dalle filiali e affiliazioni estere (cui si è già accennato nel paragrafo precedente) non è espresso nel bilancio della Banca: nessun fondo è stato infatti costituito per rendere meno impegnativo per gli esercizi futuri soccorrere a tale rischio, e per procedere alla progressiva formazione del capitale da destinare alla relativa copertura.

La mancanza di appostazione di adeguati fondi speciali viene sottolineata anche con riferimento ai rischi attinenti al credito di firma e all’instabilità dell’andamento dei corsi dei titoli di proprietà: in particolare con riferimento a quest’ultima categoria deve sottolinearsi la rilevante probabilità di variazioni avverse dei prezzi.

53 Sul punto si veda Asi-Bci, Carte miscellanee di Raffaele Mattioli, faldone 5, fascicolo 2, cit., pp. 147-148.

54 Asi-Bci, Carte miscellanee di Raffaele Mattioli, faldone 5, fascicolo 2, cit., p. 152.

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Un ulteriore aspetto degno di nota riguarda i titoli presi a prestito dalla clientela: essi – nella quasi totalità titoli di Stato e dal medesimo garantiti – in parte sono dati a mutuo o vincolati per conto della clientela, in quota più ridotta sono a disposizione come garanzia per la raccolta di fondi: la rischiosità indubitabilmente correlata a tali operazioni esigerebbe l’iscrizione nel passivo di un appropriato fondo svalutazione in riferimento alle partite già non considerate insolventi.

Il fondo liquidazione personale risulta di importo ampiamente non adeguato rispetto agli oneri che rinveranno dai licenziamenti straordinari nelle intenzioni della banca, oltre che rispetto agli usuali bisogni scaturenti dai consueti trasferimenti degli organici.

Infine, l’annotazione maggiormente tagliente sul bilancio è connessa alla valutazione del Redimibile: tali titoli – quota prevalente del complessivo portafoglio della banca – sono valutati in parte (1.265 milioni di nominale) applicando una quotazione unitaria pari a 85,50, e in porzione minore sulla base di una quotazione pari a 83,50. Entrambe queste ultime misure – nonostante derivino da accordi assunti con gli Istituti che controllano la Comit – sono reputate da Zappa <maggiorazioni> rispetto ai risultati del bilancio 1934. In particolare lo Studioso, non giustificando – se non in forza di motivi storici connessi a risalenti valutazioni – l’adozione dei citati prezzi unitari, reputa corretta sulla base della tendenza dei corsi la valutazione a 80 (che risulta comunque favorevole all’esercizio 1934): si transiterebbe in tal modo da un importo complessivo di 1.122.532.772,85 a un valore di 1.051.129.200. In altri termini “tra il valore di bilancio e il valore testè indicato, come valore massimo di un bilancio consapevolmente composto agli effetti della determinazione del reddito di esercizio, vi è una differenza di milioni 71.403.572,85 che deve diminuire le attività della banca, e accrescere i componenti negativi del reddito 1934.”55.

3.2.5. Le conclusioni raggiunte e le soluzioni proposte

Il bilancio del 1934 della Comit potrebbe, secondo Zappa, a una prima lettura rivelare una trasformazione delle attività verso forme di impiego nominalmente liquide: ciò solo in prima battuta e “per chi non conosca l’intimo significato delle voci dello stato patrimoniale o trascuri la costituzione del reddito di esercizio”56; un’analisi più compente evidenzia, invece, la profonda situazione di immobilizzo in cui ancora si trova la banca, e che non potrà venire risolta dalla medesima con le proprie forze.

La ristretezza del credito ordinario attivo, di per sé sintomo di organica debolezza, dovrà trovare – seppur gradualmente – nuovo vigore per evitare

55 Asi-Bci, Carte miscellanee di Raffaele Mattioli, faldone 5, fascicolo 2, cit., p. 159. 56 Asi-Bci, Carte miscellanee di Raffaele Mattioli, faldone 5, fascicolo 2, cit., p. 138.

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che la banca venga ridimensionata, nel suo ordinamento interno come in quello estero. Al riguardo la più ridotta ed economica organizzazione del personale – già ripetutamente discussa dalla Comit con l’Istituto che la controlla – potrà condurre ai risultati auspicati solo ove tutte le operazioni compiute dalla banca siano riordinate e rese maggiormente efficienti.

“Non con una riforma di personale, non con l’ulteriore economia annuale di 15 o 20 milioni, può rettificarsi una situazione patrimoniale nella quale il capitale può forse giudicarsi, in parte almeno, svanito; una situazione finanziaria nella quale i disavanzi di esercizio sono ingenti; una situazione economica nella quale non è semplice prevedere la possibilità fondata di una consecuzione di redditi non effimera.”57.

E, ancora, probabilmente le maggiori economie dovrebbero essere perseguite non tanto tra il personale minuto, quanto piuttosto tra i dirigenti che risultano troppo numerosi rispetto alle funzioni che svolgono e che potranno svolgere in avvenire. L’opera dei dirigenti locali dovrebbe inoltre dedicarsi – più che alla concessione, non sempre sufficientemente ragionata, di nuovi crediti ottenuti con fondi troppo costosi – alla oculata e attenta mobilitazione dei crediti risalenti.

Il miglioramento dei risultati dell’istituto potrebbe affidarsi anche a <un meno tardo e meno superficiale> movimento nei conti attivi aperti: tale obiettivo “non può essere affidato solamente all’atteso rianimarsi della congiuntura ed al miglioramento della generale situazione monetaria”58, ma deve venire attivamente perseguito dall’Amministrazione; il credito attivo libero – qualora consapevolmente adoperato – è infatti strumento atto ad offrire ausilio a un processo di raccolta fondi durevolmente stabile, nell’imprescindibile coordinazione tra operazioni attive e passive che – precetto di qualsivoglia gestione aziendale – non si può certo scordare nella conduzione di una banca.

È innegabile, peraltro, che la Comit conceda sovente crediti “a condizioni più gravose di quelle fatte da altre banche o, in genere, dal mercato”59: un miglioramento delle condizioni applicate ai clienti migliori potrebbe incidere positivamente sull’immagine di mercato – e di conseguenza sull’incetta di nuove disponibilità – senza ledere i guadagni della banca.

“Forse anche qui, come nelle grandi imprese industriali, quando gli impianti giacciono in parte inattivi, il segreto di una gestione economicamente conveniente non può tanto ritrovarsi in riduzioni dei

57 Asi-Bci, Carte miscellanee di Raffaele Mattioli, faldone 5, fascicolo 2, cit., p. 176. 58 Asi-Bci, Carte miscellanee di Raffaele Mattioli, faldone 5, fascicolo 2, cit., pp. 138-

139. 59 Asi-Bci, Carte miscellanee di Raffaele Mattioli, faldone 5, fascicolo 2, cit., p. 140.

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costi generali, che si ripercuotono spesso in diminuiti rendimenti quantitativi dei fattori della produzione, quanto in una assidua e consapevole ricerca delle vie e dei settori di produzione che posssono addurre ad un proficuo accrescimento di affari, non esclusa, si intende, la tanto temuta, ma così spesso utilmente attuata, diminuzione dei prezzi.”60.

Anche i depositi e i prestiti passivi stanno subendo una progressiva contrazione, che influenza i risultati finanziari ed economici di esercizio, restringimento destinato a non esaurirsi in breve volgere di tempo: nel solo esercizio 1934 il concomitante agire della diminuzione nell’incetta ordinaria e dell’accrescersi dell’ammontare dei crediti ordinari ha prodotto un disavanzo finanziario pari a 1.174 milioni. La misura di tale risultato rende palese i rischi e gli oneri al medesimo connessi: gli eccessivi impegni di tesoreria – oltre che compromettere i risultati di bilancio e la presunta capacità di reddito futura – appaiono non onorabili dalla banca in via autonoma. Tale disagio finanziario pare confermato dall’andamento di alcune componenti patrimoniali anche nell’esercizio successivo (cfr. tabella 12).

L’ampiezza degli interventi di tesoreria, concessi nel 1934 alla Comit dagli istituti centrali di credito, hanno solo parzialmente lenito la condizione di difficoltà della banca: una nuova prosperità dell’organismo Comit – o forse una condizione essenziale di esistenza – potrà essere ottenuta solo con il contributo di nuove disponibilità non eccessivamente costose che potrebbero forse provenire da un graduale smobilizzo del credito verso l’I.R.I. o – ancor meglio – dalla compensazione tra tale credito e il debito di tesoreria vantato nei confronti del medesimo Istituto.

Tabella 12 – Situazione finanziaria 1933-1935 (in milioni di lire) 61

31 dicembre

1933 31 dicembre

1934 30 giugno

1935 31 agosto

1935

Portafoglio commerciale Italia 287.805 365.433 373.147 394.178 Conti correnti attivi e prestiti bancari 669.170 815.529 875.169 1.029.149 Clientela (conti lire) 5.750.029 4.951.771 4.913.004 4.823.609 Clientela (conti divise) 504.981 408.418 337.532 330.877 Debiti di tesoreria 2.509.101 2.867.940 2.433.957 2.103.460 Credito verso I.R.I. 6.823.126 6.133.678 5.778.570 5.144.679

60 Asi-Bci, Carte miscellanee di Raffaele Mattioli, faldone 5, fascicolo 2, cit., p. 181. 61 Elaborazione dell’autore sulla base dei dati esposti in: Asi-Bci, Carte miscellanee di

Raffaele Mattioli, faldone 5, fascicolo 2, cit., p. 142-143.

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In ogni caso sarebbe appropriato che la consigliata riduzione dei crediti verso l’I.R.I. venisse destinata non integralmente alla riduzione dei debiti di tesoreria, ma in parte a sostenere una più intesa circolazione dei crediti attivi.

Infine, Zappa evidenzia la necessità di un ampliamento del capitale durevolmente operante nella banca, e concludendo afferma:

“Ad ogni modo, le provvidenze qui incompiutamente disegnate non sono per il sottoscritto che un nuovo mezzo per segnalare, in tutta la sua urgente imponenza, il problema proposto dalla condizione di immobilizzazione nella quale la Comit giace; la imprescindibile necessità di una rapida e decisa soluzione che risollevi la Banca a nuova vita.”62.

Come già segnalato in precedenza i contenuti della relazione dei Zappa – e più in particolare i rilievi critici che varcano tutto il lavoro – generarono la veemente reazione di Mattioli, concretizzandosi in uno scambio di repliche tra i due autorevoli protagonisti, obiezioni che in molti casi assumono addirittura profili sarcastici. Ad esempio quando, nella sezione dedicata agli accantonamenti e ai rischi in corso, considerati i giudizi particolarmente severi qui espressi da Zappa, Mattioli giunge ad asserire:

“In definitiva si osserva (…) che dalle pagg. 27 a 31 il lettore deve dedurre che, se le perdite della banca sono così ingenti e così evidenti come affermato, allora il bilancio 1934 presentato dall’amministrazione non solo era falso, ma falso per imperdonabile imbecillità o per cosciente canaglieria. Evidentemente questo è sfuggito all’a. Ed è questa una delle prove più evidenti di quella mancanza di prospettiva che vizia la relazione.”63.

Ma Zappa non demorde, e con fermezza replica:

“aggiungo con calma: o per rosee visioni di situazioni interne od esterne. Perché M. non è certo imbecille né canaglia. Ma nemmeno Z. lo è. Z. pensando con la propria testa vede il futuro nero e lo deve dire anche se dissente da chi ha possibilità di contare su maggiori e diversi elementi di giudizio. Anche qui il senso e la prospettiva li hanno i Signori ai quali è rivolta la relazione. ”64.

Le contestazioni di Mattioli concernono soprattutto il tono tragico e le supposizioni pessimistiche – presenti nell’intera relazione – in merito all’assenza di capacità autonoma di salvezza della Comit (giudizio che, in

62 Asi-Bci, Carte miscellanee di Raffaele Mattioli, faldone 5, fascicolo 2, cit., p. 146. 63 Asi-Bci, Carte miscellanee di Raffaele Mattioli, faldone 5, fascicolo 2, cit. 64 Asi-Bci, Carte miscellanee di Raffaele Mattioli, faldone 5, fascicolo 2, cit.

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realtà, sovente si palesa anche nei titoli dei paragrafi65); quelle paiono frutto senz’altro di coinvolgimento personale, ma anche di conoscenza di fatti, di complicate situazini pregresse dalle quali la Banca stava uscendo, di costrizioni persistenti.

Gli avvisi di Zappa peraltro paiono improntati quand’anche pessimisti, se alla accentuazione del Reddito, però anche all’indubitabili conoscenze delle combinazioni produttive e coordinazioni lucrative di banca, come al più ampio scenario economico e creditizio nazionale e internazionale.

Ma forse, al di là dei singoli aspetti specifici, ciò che più emerge dal pungente contraddittorio tra Zappa e Mattioli, è una divergenza di prospettive sulle modalità di interpretazione e predisposizione della contabilità66.

65 Alcuni esempi sono: § 11. La sempre peggiore situazione della Banca; § 13. La

situazione finanziaria che appare sempre più grave e quasi senza rimedio; § 37. Il dissesto finanziario della Comit. In merito a quest’ultimo Mattioli afferma: “questo titolo, così come quello dei §§ 11, 13 e 14, non si può negare sia un po’ da romanzo giallo e cioè non confacente né alla materia né all’autore. Il quale voglia perdonare questa osservazione, che può parere formalistica ma che è ispirata a motivi di opportunità fin troppo evidenti.”. La risoluta risposta di Zappa, tuttavia, non concede attenuanti: “pure non v’è, a mio parere, altra espressione per designare l’insufficienza delle entrate a coprire le uscite finanziarie, nelle aziende commerciali! piaccia o non piaccia!.”. (Cfr. Asi-Bci, Carte miscellanee di Raffaele Mattioli, faldone 5, fascicolo 2, cit.)

66 Per approfondimenti sul punto si consulti P.A. Toninelli, “Raffaele Mattioli, Gino Zappa e la contabilità della Banca Commerciale Italiana negli anni trenta”, cit., pp. 44-45.

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DIPARTIMENTO DI ECONOMIA AZIENDALE PAPERS PUBBLICATI DAL 2007 AL 2010:

61- Giuseppe BERTOLI, Bruno BUSACCA, Ottavia PELLONI, Brand Extension: l’impatto della qualità relazionale della marca e delle scelte di denominazione, marzo 2007

62- Francesca GENNARI, Responsabilità globale d’impresa e bilancio integrato, marzo 2007

63- Arnaldo CANZIANI, La ragioneria italiana 1841-1922 da tecnica a scienza, luglio 2007

64- Giuseppina GANDINI, Simona FRANZONI, La responsabilità e la rendicontazione sociale e di genere nelle aziende ospedaliere, luglio 2007

65- Giuseppe BERTOLI, Bruno BUSACCA, Ottavia PELLONI, La valutazione di un’estensione di marca: consonanza percettiva e fattori Brand-Related, luglio 2007

66- Marco BERGAMASCHI, Crisi d’impresa e tecnica legislativa: l’istituto giuridico della moratoria, dicembre 2007.

67- Giuseppe PROVENZANO, Risparmio…. Consumo….questi sconosciuti !!! , dicembre 2007.

68- Elisabetta CORVI, Alessandro BIGI, Gabrielle NG, The European Millennials versus the US Millennials: similarities and differences, dicembre 2007.

69- Anna CODINI, Governo della concorrenza e ruolo delle Authorities nell’Unione Europea, dicembre 2007.

70- Anna CODINI, Gestione strategica degli approvvigionamenti e servizio al cliente nel settore della meccanica varia, dicembre 2007.

71- Monica VENEZIANI, Laura BOSIO, I principi contabili internazionali e le imprese non quotate: opportunità, vincoli, effetti economici, dicembre 2007.

72- Mario NICOLIELLO, La natura economica del bilancio d’esercizio nella disciplina giuridica degli anni 1942, 1974, 1991, 2003, dicembre 2007.

73- Marta Maria PEDRINOLA, La ristrutturazione del debito dell’impresa secondo la novella dell’art 182-bis L.F., dicembre 2007.

74- Giuseppina GANDINI, Raffaella CASSANO, Sistemi giuridici a confronto: modelli di corporate governance e comunicazione aziendale, maggio 2008.

75- Giuseppe BERTOLI, Bruno BUSACCA, Michela APOSTOLO, Dominanza della marca e successo del co-branding: una verifica sperimentale, maggio 2008.

76- Alberto MARCHESE, Il ricambio generazionale nell’impresa: il patto di famiglia, maggio 2008.

77- Pierpaolo FERRARI, Leasing, factoring e credito al consumo: business maturi e in declino o “cash cow”?, giugno 2008.

78- Giuseppe BERTOLI, Globalizzazione dei mercati e sviluppo dell’economia cinese, giugno 2008.

79- Arnaldo CANZIANI, Giovanni Demaria (1899-1998) nei ricordi di un allievo, ottobre 2008.

80- Guido ABATE, I fondi comuni e l’approccio multimanager: modelli a confronto, novembre 2008.

81- Paolo BOGARELLI, Unità e controllo economico nel governo dell’impresa: il contributo degli studiosi italiani nella prima metà del XX secolo, dicembre 2008.

82- Marco BERGAMASCHI, Marchi, imprese e sociologia dell’abbigliamento d’alta moda, dicembre 2008.

Serie depositata a norma di legge. L’elenco completo dei paper è disponibile al

seguente indirizzo internet http://www.deaz.unibs.it

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83- Marta Maria PEDRINOLA, I gruppi societari e le loro politiche tributarie: il dividend washing, dicembre 2008.

84- Federico MANFRIN, La natura economico-aziendale dell’istituto societario, dicembre 2008.

85- Sergio ALBERTINI, Caterina MUZZI, La diffusione delle ICT nei sistemi produttivi locali: una riflessione teorica ed una proposta metodologica, dicembre 2008.

86- Giuseppina GANDINI, Francesca GENNARI, Funzione di compliance e responsabilità di governance, dicembre 2008.

87- Sante MAIOLICA, Il mezzanine finance: evoluzione strutturale alla luce delle nuove dinamiche di mercato, febbraio 2009.

88- Giuseppe BERTOLI, Bruno BUSACCA, Brand extension, counterextension, cobranding, febbraio 2009.

89- Luisa BOSETTI, Corporate Governance and Internal Control: Evidence from Local Public Utilities, febbraio 2009.

90- Roberto RUOZI, Pierpaolo FERRARI, Il rischio di liquidità nelle banche: aspetti economici e profili regolamentari, febbraio 2009.

91- Richard BAKER, Yuri BIONDI, Qiusheng ZHANG, Should Merger Accounting be Reconsidered?: A Discussion Based on the Chinese Approach to Accounting for Business Combinations, maggio 2009.

92- Giuseppe PROVENZANO, Crisi finanziaria o crisi dell’economia reale?, maggio 2009.

93- Arnaldo CANZIANI, Le rivoluzioni zappiane— reddito, economia aziendale — agli inizî del secolo XXI, giugno 2009.

94- Annalisa BALDISSERA, Profili critici relativi al recesso nelle società a responsabilità limitata dopo la riforma del 2003, luglio 2009.

95- Marco BERGAMASCHI, Analisi ambientale della Cina e strategie di localizzazione delle imprese italiane, novembre 2009.

96- Alberto FALINI, Stefania PRIMAVERA, Processi di risanamento e finalità d’impresa nelle procedure di amministrazione straordinaria, dicembre 2009.

97- Riccardo ASTORI, Luisa BOSETTI, Crisi economica e modelli di corporate governance, dicembre 2009.

98- Marco BERGAMASCHI, Imitazione e concorrenza nell’abbigliamento di moda: un’interpretazione economico-aziendale della normativa vigente, dicembre 2009.

99- Claudio TEODORI, Monica VENEZIANI, Intangibile assets in annual reports: a disclosure index, gennaio 2010.

100- Arnaldo CANZIANI, Renato CAMODECA, Il Bilancio dello Stato nel pensiero degli aziendalisti italiani 1880-1970, febbraio 2010.

101- Giuseppe BERTOLI, Bruno BUSACCA, Roberto GRAZIANO, La determinazione del “Royalty Rate” negli accordi di licesing, marzo 2010.

102- Antonio PORTERI, La crisi, le banche e i mercati finanziari, aprile 2010. 103- Elisabetta CORVI, Emozioniamoci! L’imperativo del terzo millennio?, maggio 2010. 104- Sergio ALBERTINI, Caterina MUZZI, Innovation networking and SMEs: Open

communities and absorptive capacity. Two case studies along a continuum in the innovative process, ottobre 2010.

105- Guido ABATE, Lo sviluppo e le prospettive delle SGR immobiliari italiane, ottobre 2010.

106- Ilaria GREZZINI, Il bilancio d’esercizio e la fiscalità asincrona: norme civilistiche, eterointegrazione, Ias, ottobre 2010.

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Università degli Studi Dipartimento didi Brescia Economia Aziendale

Ottobre 2010

Paper numero 107

Ilaria GREZZINI

FINANZIAMENTO DELL’ECONOMIAE <PARTITE INCAGLIATE>:

LA COMIT 1933-1935NELLA PERIZIA DI GINO ZAPPA

Università degli Studi di BresciaDipartimento di Economia AziendaleContrada Santa Chiara, 50 - 25122 Bresciatel. 030.2988.551-552-553-554 - fax 030.295814e-mail: [email protected]

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