Finanza - Regolamentazione delle banche · Finanza - Regolamentazione delle banche Discussione...

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Finanza - Regolamentazione delle banche Discussione aggiunta da Fabio Colasanti il 24 Gennaio 2013 Ritorno sul tema della regolamentazione delle banche. Esistono molte analogie tra i problemi della riduzione dei disavanzi e dei debiti pubblici e l'introduzione di una regolamentazione adeguata delle istituzioni finanziarie. Come ben sappiamo, considerazioni di lungo termine suggeriscono spesso di intervenire in maniera decisa per ridurre lo stock di debito pubblico e questo significa passare da disavanzi di bilancio ad avanzi. Paesi con un alto stock di debito pubblico possono volere non essere più alla mercé degli umori di mercato per quanto riguarda il costo del loro debito e, in ogni caso, possono decidere di non voler più spendere per gli interessi sul debito pubblico più di quanto spendono, per esempio, per l'istruzione pubblica. Ma, per quanto necessaria a medio-lungo termine, la riduzione del debito pubblico fa male a breve termine perché deprime la crescita. Questo è il motivo per il quale è rarissimo che i governi riducano i disavanzi quando questo farebbe meno male - durante periodi di buona crescita - e si trovano poi obbligati a farlo quando le condizioni sono le peggiori, cioè durante periodi di crisi o di recessione. La stessa cosa succede per la regolamentazione delle banche e delle istituzioni finanziarie. La crisi del 2007/2008 ci ha ricordato in maniera nettissima che senza regole adequate le banche rischiano di fare follie che possono portarle a perdere cifre altissime e ad obbligare gli stati ad intervenire per salvarle nell'interesse della stabilità del sistema finaanziario. Questo da alle banche, soprattutto a quelle "too big to fail", un potere di ricatto sugli stati e le conduce a continuare a prendere rischi insensati. Se le scommesse vanno bene, generano profitti per le banche e bonus scandalosi per i loro dirigenti; se vanno male, gli stati interverranno per evitare i fallimenti e aiutare le banche attraverso prestiti a basso tasso di interesse della banca centrale. E' quindi necessario ri-regolare le banche e molti stati e osservatori l'hanno capito. Ma l'introduzione di regole più appropriate deprimono la crescita esattamente come le riduzioni dei disavanzi. Quando si aumentano i rapporti tra capitale proprio ed esposizione, quando si aumentano i rapporti tra liquidità ed esposizione, quando si proibisce alle banche di fare operazioni speculative con fondi propri, quando si obbligano le banche a valutare meglio la rischiosità deei prestiti che concedono, quando si prendono tutte le misure necessarie si crea una situazione dove per un certo tempo le banche devono ridurre la loro attività di intermediazione, riducendo il credito al'economia. Per questo motivo i politici esitano a prendere le misure necessarie e abbiamo appena visto in Europa un annacquamento sistematico di tante misure che i tecnici avevano proposto. Nessuno contesta la necessità delle misure, ma a breve termine nessuno vuole accettare il temporaneo "credit crunch" che ne deriva. Ho già sottolineato varie volte che gli Stati Uniti e il Regno Unito, proprio a causa dell'importanza dei loro settori finanziari, hanno preso misure di regolamentazione del settore molto più serie e ambiziose di quelle introdotte nell'Europa continentale. Stati Uniti e Regno Unito si rendono conto dei rischi che una nuova crisi finanziaria farebbe correre alle loro economie e danno quindi un maggiore peso alle considerazioni di medio-lungo periodo che a quelle sugli effetti a breve termine sull'economia. Francia, Germania, Spagna e Italia invece hanno operato per un significativo annacquamento delle regole, ufficialmente, per ridurre gli effetti dell'inevitabile " credit crunch" sull'economia. Ma ho anche ricordato che esiste un'altra ragione per questa tolleranza delle follie delle banche da parte dei governi dell'Europa continentale. Mentre americani e inglesi non hanno banche pubbliche, Francia, Germania, Spagna e Italia hanno commistioni fortissime tra politica e banche e un numero importante di banche ufficialmente sotto il controllo pubblico. I legami tra tanti partiti italiani e le banche sono una cosa nota. Le loro conseguenze deleterie sono ben note, basta pensare a quello che è successo alla Banca Popolare di Milano. Ma il problema tocca anche il PD. Ricordiamo tutti lo sfortunato "Allora abbiamo una banca!" di Fassino. I fatti di questi giorni hanno fatto emergere che l'avvocato Giuseppe Mussari, ex numero uno del Monte Paschi e persona che porterebbe la responsabilità delle sfortunate operazioni sui derivati che tanto stanno costando alla banca, sarbbe uno dei più grossi finanziatori del PD. L'avvocato Mussari avrebbe donato al PD 683mila euro in nove anni. Si tratta di finanziamenti fatti con fondi personali, del tutto

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Finanza - Regolamentazione delle banche Discussione aggiunta da Fabio Colasanti il 24 Gennaio 2013

Ritorno sul tema della regolamentazione delle banche. Esistono molte analogie tra i problemi della riduzione dei disavanzi e dei debiti pubblici e l'introduzione di una regolamentazione adeguata delle istituzioni finanziarie. Come ben sappiamo, considerazioni di lungo termine suggeriscono spesso di intervenire in maniera decisa per ridurre lo stock di debito pubblico e questo significa passare da disavanzi di bilancio ad avanzi. Paesi con un alto stock di debito pubblico possono volere non essere più alla mercé degli umori di mercato per quanto riguarda il costo del loro debito e, in ogni caso, possono decidere di non voler più spendere per gli interessi sul debito pubblico più di quanto spendono, per esempio, per l'istruzione pubblica. Ma, per quanto necessaria a medio-lungo termine, la riduzione del debito pubblico fa male a breve termine perché deprime la crescita. Questo è il motivo per il quale è rarissimo che i governi riducano i disavanzi quando questo farebbe meno male - durante periodi di buona crescita - e si trovano poi obbligati a farlo quando le condizioni sono le peggiori, cioè durante periodi di crisi o di recessione. La stessa cosa succede per la regolamentazione delle banche e delle istituzioni finanziarie. La crisi del 2007/2008 ci ha ricordato in maniera nettissima che senza regole adequate le banche rischiano di fare follie che possono portarle a perdere cifre altissime e ad obbligare gli stati ad intervenire per salvarle nell'interesse della stabilità del sistema finaanziario. Questo da alle banche, soprattutto a quelle "too big to fail", un potere di ricatto sugli stati e le conduce a continuare a prendere rischi insensati. Se le scommesse vanno bene, generano profitti per le banche e bonus scandalosi per i loro dirigenti; se vanno male, gli stati interverranno per evitare i fallimenti e aiutare le banche attraverso prestiti a basso tasso di interesse della banca centrale. E' quindi necessario ri-regolare le banche e molti stati e osservatori l'hanno capito. Ma l'introduzione di regole più appropriate deprimono la crescita esattamente come le riduzioni dei disavanzi. Quando si aumentano i rapporti tra capitale proprio ed esposizione, quando si aumentano i rapporti tra liquidità ed esposizione, quando si proibisce alle banche di fare operazioni speculative con fondi propri, quando si obbligano le banche a valutare meglio la rischiosità deei prestiti che concedono, quando si prendono tutte le misure necessarie si crea una situazione dove per un certo tempo le banche devono ridurre la loro attività di intermediazione, riducendo il credito al'economia. Per questo motivo i politici esitano a prendere le misure necessarie e abbiamo appena visto in Europa un annacquamento sistematico di tante misure che i tecnici avevano proposto. Nessuno contesta la necessità delle misure, ma a breve termine nessuno vuole accettare il temporaneo "credit crunch" che ne deriva. Ho già sottolineato varie volte che gli Stati Uniti e il Regno Unito, proprio a causa dell'importanza dei loro settori finanziari, hanno preso misure di regolamentazione del settore molto più serie e ambiziose di quelle introdotte nell'Europa continentale. Stati Uniti e Regno Unito si rendono conto dei rischi che una nuova crisi finanziaria farebbe correre alle loro economie e danno quindi un maggiore peso alle considerazioni di medio-lungo periodo che a quelle sugli effetti a breve termine sull'economia. Francia, Germania, Spagna e Italia invece hanno operato per un significativo annacquamento delle regole, ufficialmente, per ridurre gli effetti dell'inevitabile "credit crunch" sull'economia. Ma ho anche ricordato che esiste un'altra ragione per questa tolleranza delle follie delle banche da parte dei governi dell'Europa continentale. Mentre americani e inglesi non hanno banche pubbliche, Francia, Germania, Spagna e Italia hanno commistioni fortissime tra politica e banche e un numero importante di banche ufficialmente sotto il controllo pubblico. I legami tra tanti partiti italiani e le banche sono una cosa nota. Le loro conseguenze deleterie sono ben note, basta pensare a quello che è successo alla Banca Popolare di Milano. Ma il problema tocca anche il PD. Ricordiamo tutti lo sfortunato "Allora abbiamo una banca!" di Fassino. I fatti di questi giorni hanno fatto emergere che l'avvocato Giuseppe Mussari, ex numero uno del Monte Paschi e persona che porterebbe la responsabilità delle sfortunate operazioni sui derivati che tanto stanno costando alla banca, sarbbe uno dei più grossi finanziatori del PD. L'avvocato Mussari avrebbe donato al PD 683mila euro in nove anni. Si tratta di finanziamenti fatti con fondi personali, del tutto

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Le banche - 2013

leciti e dichiarati. Ma si tratta di finanziamenti che mostrano una vicinanza tra MPS e PD che sarebbe meglio non esistesse. Visualizzazioni: 839

Risposte a questa discussione

Risposto da Fabio Colasanti su 24 Gennaio 2013 a 15:47 Giuseppe P. ha postato nella sala di lettura il link ad un'intervista con Emiliano Brancaccio. http://keynesblog.com/2013/01/24/monte-dei-paschi-e-solo-la-punta-d... Brancaccio critica giustamente la posizione presa da alcuni che avrebbero affermato che i problemi del Montepaschi sono dovuti ai legami con la politica. Questa è chiaramente un'affermazione senza senso. Il Montepaschi si trova in difficoltà perché ha corso rischi insensati - come tante altre banche private e pubbliche - e si è comportato come un giocatore che, visto che sta perdendo soldi, aumenta il valore delle sue puntate nella speranza di rifarsi. Il Monte dei Paschi e - in misura molto maggiore - altre banche come per esempio Dexia la banca dei comuni belgo-francese, hanno raddoppiato la posta e perso di nuovo. Questo è dovuto a scelte manageriali sbagliate rese possibili da meccanismi di controllo interno poco efficaci e trasparenti e una regolamentazione inadeugata. Il legame con la politica non c'entra nulla. Dove il legame con la politica ha però un effetto, ed uno fortemente negativo, è nell'introduzione di nuova regolamentazione. La crisi del 2007/2008 ci ha mostrato le dimensioni dei rischi che si stanno correndo con il sistema finanziario che abbiamo. Servono regole molto più dure, semplici e effettivamente applicate. Stati Uniti e Inghliterra stanno facendo qualcosa (non abbastanza), ma Francia, Germania, Spagna e Italia non fanno quasi nulla e i loro governi sembrano essere "catturati" dalle banche. Una spiegazione sono purtroppo i legami molto forti che in questi quattro paesi esistono tra banche, politica e governi. Sono sicuro che il MPS avrà utilizzato i suoi legami con il PD per cercare di annacquare ogni nuova regola prudenziale che fosse stata proposta. E il PD avrà probabilmente accettato la richiesta, giustificando con se stesso questa debolezza con la volontà di non aggravare il "credit crunch" dell'economia italiana. Non sento nulla da parte del PD sulla necessità di regolamentare le banche in maniera più severa. Dopo la crisi abbiamo aggravato la situazione incoraggiando molte banche a fondersi. Con questo abbiamo ridotto la concorrenza nel settore e abbiamo aumentato il numero delle banche "too big to fail" in grado di ricattare i governi. Adesso per il salvatagio del Monte dei Paschi si parla di nuovo di una fusione con qualche altra banca italiana. Il risultato sarà ancora meno concorrenza e banche sempre più grosse. E questo quando gli inglesi - considerati dei servi della finanza internazionale - rivendono a banche straniere centinaia di filiali delle banche nelle quali il governo è intervenuto per ridurre le dimensioni delle banche e aumentare il grado di concorrenza nel settore !

Risposto da Giuseppe Ardizzone su 24 Gennaio 2013 a 20:27 Oltre a parlare della necessaria regolamentazione delle operazioni e delle istituzioni finanziarie come da tempo suggerito dallo Stability Board già dai tempi di Draghi mi sembra importante soffermare l'attenzione su due punti lucidamente sottolineati da Zingales in un recente articolo apparso sul Sole 24ore. Senza entrare troppo nel contenuto delle sue proposte m'interessava sottoporvi due questioni: 1) la prima è pretendere (su basi normative) che nessuna istituzione finanziaria possa effettuare operazioni in proprio su derivati senza controfirma della società di revisione del proprio bilancio. 2) ragionare di nuovo sul ruolo delle fondazioni nell'azionariato delle banche. Sono di per sè garanzia d'indipendenza e di equilibrio? O come si è già verificato nel caso di Unicredito ed oggi di MPS possono essere portatori di esigenze politiche discutibili? Ma in alternativa come evitare un'interdipendenza fra potere economico e finanziario che porti a situazioni di oligopolio o di conflitto d'interesse?Che ruolo potrebbero assumere i sindacati dei lavoratori bancari entrando nell'azionariato?

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Le banche - 2013

Risposto da Fabio Colasanti su 24 Gennaio 2013 a 21:29 Giuseppe, ma i punti di partenza di qualsiasi legislazione seria sulle banche sono : a) rafforzamento di tutte le regole prudenziali tradizionali: aumenti dei coefficienti di capitale di liquidità, valutazione corretta del rischio legato ai prestiti e tutte le norme di questo tipo ( Basilea III e criteri seguiti dell'EBA per gli stress test). Sicuramente ci sarà per un certo periodo un "credit crunch", ma dobbiamo accettarlo (e se possibile, alleviarlo con strumenti ad hoc); b) separazione tra attività tradizionali (depositi e prestiti) dalle attività di investimento (come raccomandato dalla commissione Vickers nel Regno unito e parzialmente applicato e come raccomandato nel rapporto Liikanen per tutta l'Unione europea. c) spezzettamento delle banche per aumentare la concorrenza e evitare di avere banche "too big to fail". E' sbagliata la ricerca di "campioni nazionali", non abbiamo bisogno di grandi banche. Non sono riuscto a trovare nessun documento del PD sulla riforma del sistema bancario. Ne conosci qualcuno ? Giuseppe Ardizzone ha detto: Oltre a parlare della necessaria regolamentazione delle operazioni e delle istituzioni finanziarie come da tempo suggerito dallo Stability Board già dai tempi di Draghi mi sembra importante soffermare l'attenzione su due punti lucidamente sottolineati da Zingales in un recente articolo apparso sul Sole 24ore. Senza entrare troppo nel contenuto delle sue proposte m'interessava sottoporvi due questioni: 1) la prima è pretendere (su basi normative) che nessuna istituzione finanziaria possa effettuare operazioni in proprio su derivati senza controfirma della società di revisione del proprio bilancio. 2) ragionare di nuovo sul ruolo delle fondazioni nell'azionariato delle banche. Sono di per sè garanzia d'indipendenza e di equilibrio? O come si è già verificato nel caso di Unicredito ed oggi di MPS possono essere portatori di esigenze politiche discutibili? Ma in alternativa come evitare un'interdipendenza fra potere economico e finanziario che porti a situazioni di oligopolio o di conflitto d'interesse?Che ruolo potrebbero assumere i sindacati dei lavoratori bancari entrando nell'azionariato?

Risposto da Giuseppe Ardizzone su 25 Gennaio 2013 a 0:12 Caro Fabio sul primo punto mi sembra invece che lo slittamento nel tempo dei parametri di capitalizzazione ( del resto ormai raggiunti dai principali istituti italiani) e del programma di Basilea tre sia stato giusto. In Italia cè da considerare che i principali titoli tossici sono stati in realtà i nostri titoli di stato su cui alla scadenza naturale del titolo francamente sono convinto che non vi saranno problemi di rimborso ( le eventuali minusvalenze sui corsi sono pertanto riassorbibili nel tempo).Per il resto il livello di sofferenze pur aumentato è ancora controllato e controllabile. D'accordo sul secondo punto mentre sul terzo in realtà molte delle storie della formazione delle aggregazioni è stata dettata proprio dal suggerimento istituzionale di venire in soccorso delle realtà più deboli evitando che in tal modo fossero acquisite facilmente dall'estero. Tutti adottano in qualche modo una politica nazionale e non me ne stupisco . l'importante è che questo non si trasformi in un svantaggio . In realtà questo in Italia potrebbe succedere a causa del problema che ponevo io e cioè quello dell'intreccio proprietario di controllo del sitema bancario italiano dove troppo spesso le fondazioni rappresentano una presenza eccessiva dei gruppi politici. D'altra parte anche i gruppi privati ( cfr il bel libro "Confiteor" di M. Muchetti)non è che abbiamo particolarmente brillato. Io personalmente vederei favorevolmente la presenza nell'azionariato anche dei sindacati dei lavoratori del settore . MI sembra necessaria la divisione fra banche d'investimento e di amministrazione dei depositi ed una regolamentazione e standardizzazione delle diverse tipologie di derivati con una tassazione secca sulle plusvalenze realizzate ( anche se questo comporterebbe probabilmente una revisione della normativa fiscale societaria)

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Le banche - 2013

Risposto da Fabio Colasanti su 25 Gennaio 2013 a 3:27 Giuseppe, sul primo punto le cose son fatte, l'Unione europea ha annacquato considerevolmente i criteri di Basilea, non segue le raccomandazioni di Liikanen e altre cose del genere. Penso sia un errore, ma è una cosa già decisa. Sul secondo punto siamo d'accordo. Sul terzo abbiamo un disaccordo fondamentale. Non considero l'italianità delle banche un vantaggio. Al contrario, mantenere le relazioni incestuose tra potere pubblico e banche impedirà l'applicazione di una regolamentazione seria. Se ti avvicini ad una banca, chiedendolo per favore di sostenere un certo progetto o un certo settore, come puoi poi andare dalla stessa banca e fare la voce grossa perché non ha rispettato certi parametri? Poi le pressioni politiche per interventi a sostegno di questo o quel settore saranno sempre a favore di settori che le banche non avrebbero finanziato senza la pressione politica, si tratta quindi di un incoraggiamento - da parte del settore pubblico - a correre rischi. Come puoi poi andare a multare una banca perché sta prendendo troppi rischi ? I problemi che abbiamo visto nel 2007 non sono stati dovuti tanto all'insufficenza delle regole, ma al fatto che le regole non erano rispettate, al fatto che tra regolatori pubblici e banche (in Irlanda, in Spagna) si era sviluppata una complicità malsana. La sorveglianza europea ci obbligherà e crescere e a lasciare che le banche facciano le banche. Le banche italiane hanno poco capitale. Ci sono tanti fondi sovrani che sarebbero disposti ad intervenire, ma i governi italiani e le banche non vogliono perché non vogliono diluire il controllo che, attraverso le fondazioni hanno oggi sulle banche stesse. Le fondazioni non hanno i soldi per aumenti di capitale. Per un'assurda difesa dell'italianità delle banche proibiamo a chi ha soldi di metterli nelle banche italiane. Io mi fido di più di una banca ben regolata e che appartenga per il 25 per cento al Qatar che alle banche attuali con tutte le connivenze che appaiono ogni giorno. Un esempio di come questo sia malsano è nel problema delle dimensioni delle banche. Tutti gli analisti sono d'accordo per dire che sarebbe meglio avere banche più piccole, più concorrenze e banche che non siano "too big to fail" (scelta fatta dagli inglesi). Ma i governo italiani - di tuttii colori - hanno sempre incoraggiato le fusioni per risolvere il problema di tante banche da chiudere senza permettere la proprietà estera. E' un errore fondamentale. Il governo inglese ha venduto centinaia di filiali delle sue banche proprio a banche estere, per aumentare la concorrenza. Di cosa abbiamo paura? Il caso Alitalia non ci ha insegnato nulla?

Risposto da Fabio Colasanti su 25 Gennaio 2013 a 7:16 Giuseppe, la Repubblica di oggi ha un articolo di Tito Boeri che arriva alle mie stesse conclusioni. Bisogna mettere fine alle commistioni tra banche e politica. Via le fondazioni. http://www.repubblica.it/economia/2013/01/25/news/le_mani_della_pol...

Risposto da Fabio Colasanti su 25 Gennaio 2013 a 7:37 Un altro articolo, questa volta di Luigi Zingales, che arriva più o meno alle stesse conclusioni. http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2013-01-24/coraggio-cambiare...

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Le banche - 2013

Risposto da Fabio Colasanti su 25 Gennaio 2013 a 10:41 Perotti e Zingales, già nel febbraio 2012 La sacrosanta rabbia popolare contro i costi della politica ha finora risparmiato le fondazioni di origine bancaria. Per la maggior parte dei cittadini, le fondazioni sono enti benefici che sovvenzionano iniziative utili, non un esempio dello sperpero dei nostri politici. Qui sta la perversa genialita' di questa istituzione: dopo aver sottratto soldi ai cittadini (i legittimi proprietari delle vecchie casse di risparmio pubbliche), le fondazioni ora si presentano come i loro benefattori. Ma oltre che l'inganno, c'è la beffa. Anche quando distribuiscono in modo efficiente ed equanime i soldi sottratti ai contribuenti, le fondazioni danneggiano la societa' civile. Innanzitutto distruggono valore con una gestione clientelare ed inefficiente. I principi della buona gestione vogliono che un patrimonio sia ben diversificato. Così indica anche la legge. Ma per questioni di potere le fondazioni hanno concentrato il loro patrimonio nelle banche locali. Questa gestione ha portato alla perdita di più di 4 miliardi di euro nella sola fondazione Montepaschi, minacciandone la sopravvivenza. E nessuno ne viene considerato responsabile. Ma un responsabile c'è: i ministri del Tesoro che si sono susseguiti in questi anni; a loro spetta per legge la responsabilità di vigilare sulle fondazioni. Il secondo danno è sull' efficienza del sistema bancario, di cui riducono la contendibilità e l'accountability del management. Il risultato è sotto gli occhi di tutti. Furono le fondazioni a licenziare Alessandro Profumo di Unicredit in un vero e proprio colpo di mano cui si oppose solo la rappresentante dei fondi. Furono le fondazioni, a loro volta nominate dai politici locali, a decidere il nuovo amministratore delegato di Banca Intesa. E' il consiglio della fondazione Monte Paschi (nominato dal sindaco di Siena, dalla Provincia, dall'Università, dalla Curia e dalla Regione) che ha scelto l'amministratore delegato di Monte Paschi. Ed è direttamente al sindaco di Siena (un politico di professione da sempre) che i giornali hanno chiesto recentemente se un certo fondo di private equity fosse l'acquirente "adatto" per il 15% di Monte Paschi venduto dalla Fondazione. Purtroppo gli effetti deleteri delle fondazioni sulle banche sono forse il male minore. Esse sono una causa fondamentale di quell'intreccio perverso fra economia e politica, di quella cultura dell' incompetenza e del clientelsimo, che imperversano nel nostro paese. Con un patrimonio complessivo di quasi 50 miliardi di euro, e quote sostanziali in quasi tutte le maggiori banche, le fondazioni bancarie sono una fonte inesauribile di potere per i politici in carica, e il refugium peccatorum di ex politici bocciati dagli elettori, di professionisti e notabili locali, e di amici degli amici. I loro consigli sono designati in gran parte dalle maggioranze del momento di comuni, provincie, e regioni, e in parte dalla cosiddetta "società civile", cioè da camere di commercio, università, e persino vescovi; molti vengono addirittura cooptati dal consiglio in carica. Nessuno deve rendere conto a nessuno, eccetto che ai politici se si vuole essere rinnovati. Le fondazioni sono tanto più pericolose perché sono pervase di buone intenzioni e ammantate di una patina di rispettabilità. Nell'immaginario collettivo esse finanziano progetti meritori nel campo della cultura e del volontariato, e beneficiano la società civile. Ma il prezzo da pagare è altissimo, una rete fittissima di clientelismo a monte e a valle delle fondazioni, per ingraziarsi il potere politico, acquisire consenso, e distribuire prebende. E così da anni la Compagnia San Paolo di Torino, azionista di maggioranza relativa di Intesa Sanpaolo, è il teatro di una battaglia di tutti contro tutti in cui sindaci, ex sindaci, presidenti di provincie, di regione, di banche, di fondazioni, docenti universitari, e intere correnti di partito si lanciano accuse e messaggi in codice che ormai solo un esegeta può decifrare. Il governo Monti ha già dimostrato di non guardare in faccia a nessuno nel suo tentativo di modernizzare l'Italia. Con le fondazioni ha l' opportunità di dare un altro segnale importante, per togliere l'humus di cui si alimenta il sottobosco della politica e del clientelismo. Siamo consapevoli che non sarà facile, soprattutto perché le fondazioni sono state preveggenti, e in un pasticcio legislativo hanno strappato nel 1992 lo status di enti di diritto privato, benché i loro patrimoni appartengano alla collettività. Le fondazioni hanno anche amici e protettori molto potenti nel mondo politico e finanziario. Ma vale la pena di tentare: anche se dovesse perdere la battaglia, il governo Monti ne guadagnerebbe ulteriormente in popolarità e autorevolezza. [email protected] [email protected]

Risposto da Fabio Colasanti su 25 Gennaio 2013 a 17:52

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Le banche - 2013

Sottoscrivo pienamente quanto detto da Ezio Mauro.

Risposto da Giuseppe Ardizzone su 25 Gennaio 2013 a 18:20 Ha ragione Ezio Mauro e sono valide le considerazioni di Zingales e Perotti sul ruolo delle Fondazioni. Sono reali equilibratori di un sistema bancario precedentemente controllato dallo Stato? La risposta è No , quando invece rappresentano una " cinghia di trasmissione " da e sulla politica" . Ha ragione Mauro ed abbiamo avuto esempi evidenti dentro le vicende Unicredit .. Ciò detto Banca d'Italia e tutto i sistema di controlli deve evitare che la governance delle banche e del sistema industriale e capitalistico realizzino una saldatura che falsi le regole del mercato . Bisogna evitare che il cassiere ed il giocatore siano la stessa persona. Continuo a ritenere inoltre che la presenza nell'azionariato delle organizzazioni dei lavoratori sia comunque un bene per il controllo e la trasparenza delle attività..

Risposto da Fabio Colasanti su 27 Gennaio 2013 a 10:53 Registro due punti importanti delle affermazioni di Bersani sul MPS. a) la richiesta di poteri di commissari per Profumo e Viola, che esautorerebbe il Consiglio di Amministrazione e la Fondazione e b) la proposta che il Tesoro, come condizione per il prestito di 3.9 miliardi, possa nominare dei rappresentanti nel Consiglio di Amministrazione mettendo fine alla maggioranza assoluta della Fondazione. Queste due affermazioni mostrano che Bersani comincia a riconoscere quale è il vero problema: il controllo della banca da parte della Fondazione e della fondazione da parte del comune di Siena. Deve però fare un passo in più e riprendere l'idea della legge sul risparmio del 2005 che imponeva a tutte le fondazoni di scendere sotto il 30 per cento del capitale delle banche. Imporre questa idea significherà mettersi in guerra anche con Casini che ha anche commistioni malsane nel suo campo. L'affossamento della disposizione in questione della legge sul risparmio nel 2006 fu dovuto a Pinza (Margherita) e Bassanini.

Risposto da Fabio Colasanti su 27 Gennaio 2013 a 10:57 Trasferisco qui l'articolo che Alberto Rotondi ha postato su Diario. Berlusconi e il Monte dei Paschi http://www.linkiesta.it/berlusconi-mps-siena Risposte a questa discussione

Risposto da Alberto Rotondi su 27 Gennaio 2013 a 12:37 Berlusconi e il Monte Paschi http://www.linkiesta.it/berlusconi-mps-siena

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Le banche - 2013

Risposto da Fabio Marinelli su 27 Gennaio 2013 a 16:05 clamoroso! la Banca d'Italia sapeva tutto del Montepaschi dal 6 agosto 2010! Allegati:

ispezione.zip, 921 KB

Risposto da Fabio Marinelli su 27 Gennaio 2013 a 16:15 Strano che pur sapendo tutto (la Banca d'Italia), ciò sia venuto fuori proprio adesso che siamo in campagna elettorale! Per me ci troviamo di fronte ad una cosa premeditata contro il PD. Oppure la Banca d'Italia non è capace di fare il suo lavoro, perché gli ispettori hanno fatto la scoperta 30 mesi fa e la cosa è venuta fuori proprio adesso! Se il documento che ho postato è vero ci sarebbero i presupposti legali per agire penalmente contro la Banca d'Italia!

Risposto da Fabio Colasanti su 27 Gennaio 2013 a 17:19 Fabio, non credo proprio che tu abbia ragione. I complotti sono molto più rari (e di difficilissima esecuzione) di quanto tu sembri credere. Prima di tutto, un'osservazione generale su tutti i rapporti ispettivi. Chiunque abbia avuto a che fare con ispezioni di orgamismi di controllo pubblici (Corte dei Conti, altri organismi di controllo interni ed esterni) sa che ogni ispezione, anche quelle che alla fine si traducono in risultati positivi contengono molte critiche. Io ho avuto un'ispezione della Corte dei Conti europea che ha indicato la mia direzione generale come una delle meglio gestite, ma il rapporto che ci dava questo plauso aveva un lista di 33 "osservazioni", cioè cose da correggere o migliorare ! Quindi l'esistenza di una lunga lista di debolezze di per se non significa molto. Nota che il documento - che peraltro sembra toccare quasi tutti i punti di cui si discute adesso (all'esclusione dell'acquisto della banca Antonveneta) - parla di conclusioni "parzialmente sfavorevoli". C'è però da notare che oggi sarebbe apparso qualcosa - non so esattamente cosa - che la BdI dice sarebbe stato nascosto agli ispettori. Ma la cosa più importante è che il documento non è rimasto nei cassetti della Banca d'Italia. Come indicato alla fine del documento stesso, il rapporto degli ispettori della Banca d'Italia doveva per legge essere trasmesso entro trenta giorni al Consiglio di Amministrazione della Banca e la Banca doveva rispondere per iscritto alla Banca d'Italia esprrimendo la sua posizione sulle varie osservazioni formulate entro una certa scadenza. Non è immaginabile che i dirigenti del MPS siano arrivati al punto di nascondere il documento al Consiglio di Amministrazione e agli altri organismi di vigilanza interni (come avrebbero fatto a rispondere alla Banca d'Italia?). Nel Consiglio di Amministrazione c'era certo una maggioranza di persone nominate dalla Fondazione, ma c'era anche Francesco Caltagirone e membri in quota PdL. I giornali di questi giorni riportano poi i resoconti di riunioni abbastanza infuocate dei Consigli di amministrazione. Caltagirone, in particolare, sarebbe stato molto critico e avrebbe deciso di vendere tutte le sue azioni, uscendo dal CdA. In ogni caso è dai primi stress tests del 2010 dell'Agenzia Bancaria Europea (EBA) che il Monte dei Paschi appare come una banca sottocapitalizzata che deve trovare parecchi miliardi. Nei successivi stress tests del 2011 e 2012 il MPS appariva come ancora sottocapitalizzato (anche perchè la Fondazione si opponeva ad aumenti di capitale che avessero significato una diluizione del suo controllo; una discesa della sua quota al di sotto del 51 per cento).

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Che ci siano problemi con il Monte dei Paschi è talmente saputo che la banca ha già ricevuto prestiti pubblici (credo sia stata l'unica in Italia). Non so quando sia stato sborsato il primo prestito (se all'inizio del governo Monti o ancora ai tempi di Berlusca-Tremonti), ma due dei quattro miliardi che il MPS riceve adesso sono per permetterle di rimborsare due miliardi già ricevuti e che sono in scadenza. Che ci siano problemi al MPS lo si sa da tanto tempo. Giorgio M. ha postato nel Circolo vari contributi già tanti mesi fa (ci potrà ricordare lui stesso quando) dove gridava allo scandalo su quello che era successo al MPS. Non dimenticare che il PD dice che il sindaco di Siena è intervenuto per sostituire presidente e direttore generale ben prima dell'intervento della magistratura. Il PD già a fine del 2011 aveva cominciato a dire pubblicamente che c'era un problema talmente serio da richiedere il cambio della dirigenza. Non si può veramente dire che si tratti di una storia che viene fuori solo oggi. Quello che ha provocato un nuovo interesse sono state le recenti dimissioni di Mussari dall'ABI, provocate da non so esattamente che cosa. E' poi chiaro che - essendo in campagna elettorale - tutti oggi si sono buttati sull'affare. Fabio Marinelli ha detto: clamoroso! la Banca d'Italia sapeva tutto del Montepaschi dal 6 agosto 2010!

Risposto da Fabio Marinelli su 27 Gennaio 2013 a 21:06 volevo solo far notare che già nell' agosto 2010 si sapeva delle operazioni con Nomura e Deutsche Bank che erano state definite ad "alto profilo di rischio, nè compiutamente riferite dall'esecutivo all'Organo Amministrativo". Perché tali operazioni sballate che si conoscevano già nell'agosto 2010, sono venute fuori solo nel gennaio 2013 ad un mese dalle elezioni? Allegati:

nomura-deutsche.jpg, 131 KB

Risposto da Fabio Colasanti su 27 Gennaio 2013 a 22:18 Il sito La Voce ha riunito in un unico posto tutti gli interventi che hanno pubblicato dal 2007 ad oggi su questo tema: http://www.lavoce.info/fondazioni-bancarie/ Non smettono di ripetere che bisogna troncare il legame malsano tra Fondazioni e banche. "Sulla vicenda Monte dei Paschi bene non fare di tutta l’erba un fascio e individuare le cause primarie delle distorsioni affinché episodi di questo tipo non si ripetano. Il nodo centrale sembra essere la governance delle banche italiane, con l’intervento della politica nella gestione degli istituti di credito per via delle fondazioni bancarie. Una ragione in più per completare il processo di privatizzazione delle banche separando da queste nettamente le fondazioni. Un dossier raccoglie nostri interventi sul tema." Perché il PD è tanto sordo su questo punto ?

Risposto da Fabio Colasanti su 27 Gennaio 2013 a 22:23 Un intervento di Tito Boeeri pubblicato oggi, 27 gennaio, sul sito de La Voce.

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Le banche - 2013

I politici ai vertici delle Fondazioni bancarie Molti commentatori hanno in questi giorni sostenuto la necessità di separare nettamente il management delle banche dalla politica. Siamo d’accordo. Come mostrano gli studi di Paola Sapienza, non è chiaro quali siano gli obiettivi di banche in cui continua a esserci una forte influenza della politica. Il loro comportamento è influenzato da interessi locali e cicli politici più che dal desiderio di garantire redditività ed efficienza. Il vero problema è: come? A nostro giudizio c’è un modo molto semplice per spezzare la catena di controllo che lega le banche alla politica: completare il processo di privatizzazione facendo uscire le fondazioni bancarie dal capitale delle banche conferitarie. Sono infatti le fondazioni il canale principale attraverso cui la politica mette le mani sulle banche. I politici entrano negli organi sociali delle fondazioni, si “puliscono” per un mandato, e da lì passano a i consigli di amministrazione delle banche. La procedura è talmente collaudata che il codice di autodisciplina recentemente approvato dall’Acri, l’associazione che riunisce la fondazioni, si è stranamente dimenticato di proibire che le fondazioni possano nominare membri dei propri consigli d’amministrazione ai vertici delle banche cui partecipano. Nelle prossime settimane documenteremo quanto sia importante questo canale partendo dal mettere in luce quanti siano i politici di lunga carriera ai vertici della fondazioni. Vero che una certa quota di rappresentanti ai vertici delle fondazioni è di nomina di enti pubblici locali. Ma nessuno vincola un Consiglio Comunale o Provinciale dal nominare persone competenti ai vertici delle fondazioni, con capacità manageriali e conoscenze specifiche nel terreno di intervento sociale prescelto dalla fondazione in questione. Cominciamo qui sotto dalla Fondazione Monte Paschi di Siena, il cui vertice è composto per due terzi da politici di professione che, si noti, appartengono all’intero arco politico. Nei prossimi giorni i dati su altre fondazioni.

Risposto da Fabio Colasanti su 29 Gennaio 2013 a 8:03 Antonino, ti rispondo qui. Questa discussione è proprio sulle banche e sul banco Monte Paschi di Siena. La tua domanda richiede una risposta che riassuma quali sono i termini del problema. Le banche private del mondo sono normalmente controllate da tanta gente, come le società private. Gli azionisti principali sono poi rappresentati nel consiglio di amministrazione da loro persone che, si spera, siano esperti del mondo bancario. Il Consiglio di amministrazione nomina i dirigenti e deve fare da controllore della loro azione e richiamarli se fanno qualcosa che non corrisponde alle direttive generali fissate dal Cda stesso (per questo è importante che i membri del CdA sappiano come funziona una banca). L'interesse degli azionisti è che la banca si sviluppi, che guadagni soldi, che distribuisca dividendi che finiscono nelle tasche dei proprietari (azionisti) della banca, ma la distribuzione dei dividendi deve essere subordinata all'interesse a medio-lungo termine della banca. La particolarità del Monte dei Paschi è che da sempre è controllato da un azionista che ha la maggioranza assoluta delle azioni. La banca nel passato recente avrebbe dovuto aumentare fortemente il suo capitale, ma non ha potuto farlo perché questo azionista ha messo dei limiti all'aumento dei capitale. Ha permesso solo gli aumenti di capitale che le sue finanze limitate gli permettevano di sottoscrivere. Questo azionista non voleva aumenti di capitale che avessero fatto scendere la quota delle sue azioni al di sotto del 51 per cento. Non è l'unico caso nel mondo delle società di un azionista di maggioranza che danneggia la società controllata perché non vuole perderne il controllo, ma è particolarmente strano quando questo è opera di un organismo pubblico ed è pericoloso quando mette in difficoltà la terza banca italiana. Questo azionista è la Fondazione Monte Paschi. Il Consiglio di Amministrazione della Fondazione (non della Banca) ha 16 membri. Otto sono nominati dal comune di Siena, cinque dalla provincia, uno dalla regione, uno dalla Curia e uno dall'Università. La Fondazione, avendo la maggioranza assoluta nel Consiglio di Amministrazione della Banca, sceglie i dirigenti della banca e fa le scelte fondamentali.

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Un problema che è apparso nel passato è che la Fondazione, organismo "politico", ha nominato membri del Consiglio di Amministrazione della Banca che spesso non erano esperti del settore e non potevano quindi controllare gran ché. Questo ha creato una situazione dove i dirigenti hanno potuto fare più o meno quello che hanno voluto. E adesso sta saltando fuori che i dirigenti hanno fatto molte manovre azzardate o sbagliate. L'avvocato Mussari, presidente della Banca Monte Paschi ai tempi dell'acquisto della banca Antonveneta e delle operazioni avventate sui derivati, prima di essere nominato presidente della banca era presidente della Fondazione. L'avvocato Mussari, prima di diventare presidente della banca Monte Paschi non aveva nessuna esperienza bancaria. Se può essere giustificato che un comune nomini i dirigenti di un'associazione che gestisce l'organizzazione della festa del patrono della città, non è logico che un comune nomini, inevitabilmente secondo gli stessi criteri, i dirigenti della terza banca italiana. Bisogna mettere fine al controllo del Monte Paschi da parte della Fondazione. Bisogna che il capitale della banca Monte Paschi sia aperto a investitori diversi, da dovunque essi vengano. E' meglio che la banca sia controllata e gestita da professionisti. Un'ultima osservazione su campagna elettorale e PD. Sembra che i dirigenti - passati non gli attuali - del MPS di fesserie ne abbiano fatte veramente tante. Il PD è di gran lunga il partito più importante a Siena e quindi ha, attraverso il partito locale, il controllo della Fondazione e della banca MPS. Ezio Mauro, il direttore de La Repubblica, ha detto che il PD ha con il Monte Paschi di Siena la stessa relazione che ha con le Cooperative rosse (guarda il link alle dichiarazioni di Ezio Mauro che Giuseppe Picciolo ha postato in questa stessa discussione). Siamo in campagna elettorale e tanti cercano di mettere tutte le fesserie dei dirigenti del MPS sulle spalle del PD. Il PD non ha nessuna responsabilità diretta per queste fesserie. Ma il PD ha scelto i dirigenti. E' saltato fuori che l'avvocato Mussari, che sembra per il momento di gran lunga la persona con le più grosse responsabilità, ha donato di tasca sua al PD 683mila euro nel corso degli ultimi nove anni (donazioni lecite e dichiarate). E' chiaramente un grande amico del PD. Il caso del MPS non è unico. Altre banche sono controllate, anche se non in maniera così forte, da altre fondazioni, spesso vicine ad ambienti cattolici. Le fondazioni sono uno strumento, poco trasparente, che permette ai politici di tanti partiti di controllare le banche. Nel passato, 2005-2006, ci fu una proposta di legge per limitare il potere delle fondazioni nelle banche. Fu bloccata dalla Margherita (Pinza) e dal PD (Bassanini) agli inizi del secondo governo Prodi. E' necessario che il PD, ben prima delle elezioni, tiri le lezioni da questo disastro e si dichiari a favore di una legge che metta fine al controllo delle banche da parte delle Fondazioni. Se non lo farà, i danni per le elezioni rischiano di essere grossi. Antonino Andaloro ha detto: I fatti raccontati dalla redazione della sette, comprese l'interviste sul conto di Verdini, mettono in risalto che la maggioranza del cda del MPS, composto da operatori del luogo, (ivi compresa la famosa società di basket) avevano ed hanno tutto l'interesse affinchè l'istituto operi positivamente. Chi, allora ha tutto l'interesse per far tremare l'MPS ed affibbiare ai suoi amministratori l'etichetta di inaffidabili, con la complicità di azioni indotte a far saltare i bilanci? Si darebbe per scontato che possa essere la parte politica nazionale avversa al c.sinistra, per un gioco di infangamento e di attacco ai consensi PD. E' possibile questa teoria?

Risposto da Fabio Marinelli su 29 Gennaio 2013 a 9:09 Volevo avvisare tutti che sarebbe meglio non parlare dello scandalo MPS durante la campagna elettorale, a meno che non si inseriscano degli scandali par condiciocome il Credieuronord, la fidejussione di Berlusconi alla Lega (che sembrerebbe documentata) e la vicenda del Credito Cooperativo Fiorentino che coinvolse Denis Verdini (sembra che anche qui sia intervenuto il Partito di Berlusconi per salvare Verdini, e per il resto è intervenuto il fondo di garanzia delle BCC).

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Risposto da Fabio Colasanti su 29 Gennaio 2013 a 9:36 Fabio, certo sarebbe meglio non si parlasse tanto del MPS, ma non credo che dipenderà da noi. Ma non sono affatto d'accordo sul'aggiugere i riferimenti agli altri scandali quando si parla del MPS. I casi della Banca Popolare di Milano e gli altri che citi sono casi dove personaggi politici, faccendieri e dirigenti hanno compiuto azioni quasi sempre criminali. Nel caso del MPS non c'è nulla di criminale o di poco etico direttamente imputabile a dirigenti o figure importanti del PD. Anche nel PD locale c'è il caso dell'ex (e speriamo futuro) sindaco Ceccuzzi che è un esempio di responsabilità e comportamento corretto. Il caso MPS non ha nulla a che vedere con i casi che citi, ogni avvicinamento invece lo suggerirebbe. Accumunare il caso MPS agli altri scandali, significa dire: "queste sono cose che fanno tutti", implicitamente suggerendo che anche il PD le avrebbe fatte. Il caso del MPS è un caso di comportamento irresponsabile da parte di alcuni dirigenti non suffcientemente controllati da parte degli azionisti. Purtroppo, Mussari, prima di diventare presidente della banca era presidente del principale "controllore"; c'è da pensare che i suoi ex-collaboratori abbiano, almeno inizialmente, avuto un occhio di riguardo per il loro ex-presidente e non abbiamo fatto le domande scomode che avrebbero dovuto fare. Il problema che il PD sta tardando ad affrontare è quello più generale e importantissimo del fatto che le commistioni tra politica e banche attraverso le fondazioni sono sbagliate e malsane. Bisogna tagliare questo legame. E il PD deve annunciarlo ben prima delle elezioni. Questo poi obbligherebbe Casini a dire la stessa cosa (e non ha sicuramente voglia di farlo). Fabio Marinelli ha detto: Volevo avvisare tutti che sarebbe meglio non parlare dello scandalo MPS durante la campagna elettorale, a meno che non si inseriscano degli scandali par condicio come il Credieuronord, la fidejussione di Berlusconi alla Lega (che sembrerebbe documentata) e la vicenda del Credito Cooperativo Fiorentino che coinvolse Denis Verdini (sembra che anche qui sia intervenuto il Partito di Berlusconi per salvare Verdini, e per il resto è intervenuto il fondo di garanzia delle BCC).

Risposto da Fabio Marinelli su 29 Gennaio 2013 a 9:46 Andrebbero anche analizzati gli strani rapporti con MPS di Caltagirone (Casini) e Berlusconi. Non dimentichiamo che Casini (mediante il matrimonio civile) e Berlusconi sono i 2 più ricchi d'Italia. Non è reato essere "il più ricco d'Italia", ma prima di fare alleanze con tali soggetti (come Casini), bisogna analizzare la contraddizione di un cattolico che si separa dalla moglie e fa un nuovo matrimonio civile. Un partito di sinistra che storicamente difende i lavoratori e le classi a medio e basso reddito non può permettersi di avere rapporti con tali soggetti, anche indirettamente mediante una banca. Da qui l'atteggiamento sospetto ed ambiguo di Berlusconi verso la vicenda MPS.

Risposto da Fabio Marinelli su 29 Gennaio 2013 a 10:04 Pro memoria su Caltagirone: 1) Caltagirone è stato condannato in primo grado per la scalata BNL; 2) Fino a gennaio 2012 faceva parte del CdA di MPS;

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3) Tuttora fa parte del CdA di Unicredit. Quindi ha le mani in pasta dappertutto. Risposte a questa discussione

Risposto da Fabio Colasanti su 29 Gennaio 2013 a 10:23 Perchè ci mette i soldi suoi. Aveva il 4 per cento delle azioni del MPS. I resoconti delle riunioni del CdA pubblicati sui giornali mostrano che lui aveva capito che qualcosa stava andando male. Era una delle persone che facevano domande scomode e che criticava e non è solo uscito dal CdA, ma ha anche venduto tutte le sue azioni. Caltagirone è quello che è, ma almeno ci capisce. La domanda che bisogna porsi è : "se l'aveva capito Caltagirone che le cose andavano male, l'avevano capito anche i rappresentanti della Fondazione ?". Fabio Marinelli ha detto: Pro memoria su Caltagirone: 1) Caltagirone è stato condannato in primo grado per la scalata BNL; 2) Fino a gennaio 2012 faceva parte del CdA di MPS; 3) Tuttora fa parte del CdA di Unicredit. Quindi ha le mani in pasta dappertutto.

Risposto da Alberto Rotondi su 29 Gennaio 2013 a 10:24 Fabio C. ha detto: E' necessario che il PD, ben prima delle elezioni, tiri le lezioni da questo disastro e si dichiari a favore di una legge che metta fine al controllo delle banche da parte delle Fondazioni. Se non lo farà, i danni per le elezioni rischiano di essere grossi. Sono totalmente d'accordo!

Risposto da Alessandro Bellotti su 29 Gennaio 2013 a 11:07 Ritengo incredibile che Mussari, nonostante la mancanza di esperienza, fosse a capo della terza banca italiana. Qualcuno l'ha anche nominato presidente dell'ABI. Occorre chiedersi perchè un personaggio 'sprovveduto' è stato nominato presidente dell'ABI. Evidentemente chi comanda davvero ritiene sia utile avere degli 'Scilipoti' al comando virtuale di una associazione (ABI) che invece di garantire (nel senso di essere garante) lo sviluppo del paese consente alle banche italiane di giochicchiare con i vari prodotti finanziari che hanno arricchito i soliti manager. (ricordate la buonuscita di Profumo da Unicredit ?). Inutile ricordare l'affare Alitalia dove anche Banca Intesa ha pesantemente lucrato alle spalle di chi si è accollata la bad company (i soliti cittadini italiani). L'impressione che si ha da questa vicenda, oltre a un PD non proprio esente da responsabilità, e che a pagare i 14 miliardi (poi diventati 18 e infine 34) siano sempre i soliti. Come farà MPS a restituire 4 miliardi di euro con il 9% di interessi ? Oggi il valore di MPS sul mercato è la metà del prestito avuto. Perchè MPS non fallisce o non viene commissariata ? Quali sono gli agganci con la politica da salvaguardare ? Perchè Bersani, se non ha nulla da temere, non propone il commissariamento o la nazionalizzazione di MPS ? Possibile che si siano fatti bonifici per 18 miliardi di euro per l'affare Antonveneta senza che nessuno (escluso Grillo) sollevasse qualche obiezione ? Imbarazzante Profumo durante l'intervento di Grillo..

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Risposto da Alessandro Bellotti su 29 Gennaio 2013 a 12:39 Quoto in pieno l'intervento di Giorgio. Su d'Alema mi sono espresso più volte con lo stesso tono di Giorgio. Nonostante le pesanti e note implicazioni riportate alla luce da Giorgio, il personaggio ha continuato ad imperversare per tutto il decennio scorso, dettando la politica del PD. Speravo in in taglio deciso con le vecchie logiche di spartizione del potere. Il PD oggi si trova sul groppone l'inevitabile macigno MPS. Questo dopo 6 anni dall'incredibile operazione Antonveneta. Sono passati 6 anni e oggi il PD riceverà il benservito dall'elettorato italiano a tutto vantaggio dell'ineffabile Silvio Belusconi. Poi, alle volte, ci si meraviglia di Grillo o di Ingroia (20% in due ?) o peggio si affibbiano loro le solite etichette (antipolitica, populismo etc..). La verità e che se non si mandano in parlamento un centinaio di 'cani da guardia' (Grillo e Ingroia) la solita politica mangerà ancora con la stessa voracità alle spalle di chi produce. Questo sempre senza ritegno. Possibile che la base del PD non strilli ai quattro venti la propria indignazione ?

Risposto da adriano succi su 29 Gennaio 2013 a 13:02 La base del PD avrebbe fatto meglio a strillare la propria indignazione o quantomeno la propria voglia di cambiamento un paio di mesi fa. Invece scelse l' "usato sicuro" che era in realtà molto più usato che sicuro. Adesso si tratterebbe di salvare il salvabile, ma senza dimenticarsi che buttato a mare il PD non arriverebbero i salvifici Grillo e Ingroia, ma il sempiterno Berlusconi. . Oltretutto, ancora una volta, la comunicazione è si è dimostrato essere un ennesimo punto di debolezza del PD. Infatti, agli occhi del' opinione pubblica, che non conosce le vibranti dichiarazioni dei vari Boccia, Misiani, Chiti, eccetera, rimane il ricordo delle affermazioni a reti unificate di Berlusconi: "Se non sono capaci di gestire una Banca, figuratevi il Paese …". E chi va in TV con altrettanta efficacia, a dire:" Si però, anche Verdini, anche Caltagirone …?". Alessandro Bellotti ha detto: Possibile che la base del PD non strilli ai quattro venti la propria indignazione ?

Risposto da giorgio varaldo su 29 Gennaio 2013 a 14:11 riguardo all'incompetenza dei vertici non ti meravigliar di nulla. passera ha nominato commissario governativo della lucchini in crisi quel piero nardi che da AD (1997-2003) la ha affossata quindi non ci sarebbe da stupirsi se mussari di banche non aveva nessuna competenza. riguardo al MPS arrivato a piombino mi sono stupito per l'incapacità e la quasi nulla competenza dei funzionari della locale filiale MPS. al che i colleghi piombinesi fecero presente che per esser assunti al MPS il diploma di ragioneria era un optional il documento fondamentale era la tessera PCI

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Alessandro Bellotti ha detto: Ritengo incredibile che Mussari, nonostante la mancanza di esperienza, fosse a capo della terza banca italiana. Qualcuno l'ha anche nominato presidente dell'ABI. Occorre chiedersi perchè un personaggio 'sprovveduto' è stato nominato presidente dell'ABI. Evidentemente chi comanda davvero ritiene sia utile avere degli 'Scilipoti' al comando virtuale di una associazione (ABI) che invece di garantire (nel senso di essere garante) lo sviluppo del paese consente alle banche italiane di giochicchiare con i vari prodotti finanziari che hanno arricchito i soliti manager. (ricordate la buonuscita di Profumo da Unicredit ?). Inutile ricordare l'affare Alitalia dove anche Banca Intesa ha pesantemente lucrato alle spalle di chi si è accollata la bad company (i soliti cittadini italiani). L'impressione che si ha da questa vicenda, oltre a un PD non proprio esente da responsabilità, e che a pagare i 14 miliardi (poi diventati 18 e infine 34) siano sempre i soliti. Come farà MPS a restituire 4 miliardi di euro con il 9% di interessi ? Oggi il valore di MPS sul mercato è la metà del prestito avuto. Perchè MPS non fallisce o non viene commissariata ? Quali sono gli agganci con la politica da salvaguardare ? Perchè Bersani, se non ha nulla da temere, non propone il commissariamento o la nazionalizzazione di MPS ? Possibile che si siano fatti bonifici per 18 miliardi di euro per l'affare Antonveneta senza che nessuno (escluso Grillo) sollevasse qualche obiezione ? Imbarazzante Profumo durante l'intervento di Grillo..

Risposto da Fabio Colasanti su 29 Gennaio 2013 a 14:27 Oggi ho sentito al telegiornale Bersani chiedere di nuovo il commissariamento del MPS, ma ha anche parlato di ridurre l'influenza delle fondazioni nelle banche ! Speriamo che lo ripeta spesso ed, in ogni caso, servirebbe che la base del PD glielo ricordasse

Risposto da Fabio Marinelli su 29 Gennaio 2013 a 14:34 Ci sono voci che all'esecutivo di MPS furono chiesti 6 miliardi per l'Antonveneta, ma l'esecutivo stesso si sarebbe messo d'accordo per offrirne 9 e spartirsi la plusvalenza. Come dico sempre il mondo politico-finanziario-industriale è marcio fino alle fondamenta, quindi si può dimostrare facilmente che in questo Paese si può arricchire solo permatrimonio, eredità o furto. Nella voce furto è compreso tutto quello è successo negli ultimi 25 anni nel mondo politico-finanziario (solo così si spiega il calo del reddito dei lavoratori). Sicuramente gente come Berlusconi o Caltagirone non è arricchita per meriti personali e credere solo per un momento il contrario significa farsi un'idea della storia e dell'uomo perlomeno fantasiosa. Nessuno vuole difendere il PD, tanto meno io che sono piuttosto verde (anche di bile), però con questa storia del MPS si rischia di nuovo di consegnare il Paese al pericolo pubblico numero uno e di perdere come al solito le elezioni. Quindi secondo me questa discussione andrebbe dirottata machiavellicamente(altrimenti si fanno gli stessi errori di D'Alema) verso un'analisi approfondita di tutti i CdA di tutte le banche per vedere chi c'è dietro. Andrebbero divise le banche d'affari da quelle di risparmio, in modo che i risparmiatori sappiano dove mettere i loro risparmi. Andrebbero riconosciuti i meriti di Bersani che ha lottato contro le commissioni di massimo scoperto, che ha promosso la portatilità dei mutui ecc. ecc. Fabio Colasanti ha detto: Perchè ci mette i soldi suoi. Aveva il 4 per cento delle azioni del MPS.

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I resoconti delle riunioni del CdA pubblicati sui giornali mostrano che lui aveva capito che qualcosa stava andando male. Era una delle persone che facevano domande scomode e che criticava e non è solo uscito dal CdA, ma ha anche venduto tutte le sue azioni. Caltagirone è quello che è, ma almeno ci capisce. La domanda che bisogna porsi è : "se l'aveva capito Caltagirone che le cose andavano male, l'avevano capito anche i rappresentanti della Fondazione ?". Fabio Marinelli ha detto: Pro memoria su Caltagirone: 1) Caltagirone è stato condannato in primo grado per la scalata BNL; 2) Fino a gennaio 2012 faceva parte del CdA di MPS; 3) Tuttora fa parte del CdA di Unicredit. Quindi ha le mani in pasta dappertutto.

Risposto da 2jftj0essfm7n su 29 Gennaio 2013 a 14:37 Io spero che si muova concretamente per farlo, e non solo per enunciarlo in campagna elettorale, soprattutto a ridosso di uno scandalo: troppo opportunista ! Doveva parlarne molto prima per essere credibile. Quindi nulla sarà fatto per volontà di Bersani. Se accadrà qualcosa sarà perché tra i due litiganti (Verdini & C da una parte e PD dall'altra) il terzo gode. D'altronde per rinnovare i vertici di un'azienda la tattica è arcinota: si mette il direttore generale contro l'AD, e si mette l'AD contro il direttore generale: risultato si silurano a vicenda, e tu raccogli. Fabio Colasanti ha detto: Oggi ho sentito al telegiornale Bersani chiedere di nuovo il commissariamento del MPS, ma ha anche parlato di ridurre l'influenza delle fondazioni nelle banche ! Speriamo che lo ripeta spesso ed, in ogni caso, servirebbe che la base del PD glielo ricordasse

Risposto da 2jftj0essfm7n su 29 Gennaio 2013 a 14:42 Non credo che il PD sia libero dalle influenze del mondo della finanza italiana. Occorrerà molto tempo, e non so se, con gli equilibri in atto nel nostro paese, si riuscirà mai a poter contare su qualcosa di funzionale. Io credo fermamente di NO. Le cifre di 100.000 euro come donazione personale sono meno della punta di un immenso iceberg. Il sistema non può rsi da solo, occorrono interventi esterni: è una legge fisica. Fabio Marinelli ha detto: Ci sono voci che all'esecutivo di MPS furono chiesti 6 miliardi per l'Antonveneta, ma l'esecutivo stesso si sarebbe messo d'accordo per offrirne 9 e spartirsi la plusvalenza. Come dico sempre il mondo politico-finanziario-industriale è marcio fino alle fondamenta, quindi si può dimostrare facilmente che in questo Paese si può arricchire solo per matrimonio, eredità o furto. Nella voce furto è compreso tutto quello è successo negli ultimi 25 anni nel mondo politico-finanziario (solo così si spiega il calo del reddito dei lavoratori). Sicuramente gente come Berlusconi o Caltagirone non è arricchita per meriti personali e credere solo per un momento il contrario significa farsi un'idea della storia e dell'uomo perlomeno fantasiosa. Nessuno vuole difendere il PD, tanto meno io che sono piuttosto verde (anche di bile), però con questa storia del MPS si rischia di nuovo di consegnare il Paese al pericolo pubblico numero uno e di perdere come al solito le elezioni. Quindi secondo me questa discussione andrebbe dirottata machiavellicamente(altrimenti si fanno gli stessi errori di D'Alema) verso un'analisi approfondita di tutti i CdA di tutte le banche per vedere chi c'è dietro.

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Andrebbero divise le banche d'affari da quelle di risparmio, in modo che i risparmiatori sappiano dove mettere i loro risparmi. Andrebbero riconosciuti i meriti di Bersani che ha lottato contro le commissioni di massimo scoperto, che ha promosso la portatilità dei mutui ecc. ecc. Fabio Colasanti ha detto: Perchè ci mette i soldi suoi. Aveva il 4 per cento delle azioni del MPS. I resoconti delle riunioni del CdA pubblicati sui giornali mostrano che lui aveva capito che qualcosa stava andando male. Era una delle persone che facevano domande scomode e che criticava e non è solo uscito dal CdA, ma ha anche venduto tutte le sue azioni. Caltagirone è quello che è, ma almeno ci capisce. La domanda che bisogna porsi è : "se l'aveva capito Caltagirone che le cose andavano male, l'avevano capito anche i rappresentanti della Fondazione ?". Fabio Marinelli ha detto: Pro memoria su Caltagirone: 1) Caltagirone è stato condannato in primo grado per la scalata BNL; 2) Fino a gennaio 2012 faceva parte del CdA di MPS; 3) Tuttora fa parte del CdA di Unicredit. Quindi ha le mani in pasta dappertutto.

Risposto da adriano succi su 29 Gennaio 2013 a 14:42 Il "nome nuovo" serve agli elettori, per avere la sensazione che qualcosa possa cambiare. Altrimenti saranno eletti gli altri e chi cerca il nuovo voterà Grillo o Ingroia. Se vuoi cambiare le cose, o almeno provarci, devi PRIMA vincere le elezioni. Quante volte siamo disposti ancora a perdere, prima di accettare questa fin troppo semplice verità? Giorgio Mauri ha detto: ... Questo significa anche che non basta il "nome nuovo" per re la realtà.

Risposto da 2jftj0essfm7n su 29 Gennaio 2013 a 14:50 No, serve la sostanza, purtroppo. Altrimenti meglio il nome "vecchio", scegliendolo tra i meno sporchi a disposizione. Non vedo poi come Ingroia o Grillo debbano essere considerati un atto di inciviltà. Io li reputo una delle poche belle creazioni della nostra democrazia. Se esse sorgono e trovano consenso bisognerebbe saper leggere: significa che gli altri non hanno fatto bene, non che il signor Grillo o il signor Ingroia sono dei farabutti. Stiamo parlando di milioni di elettori, non di due nomi, comunque la pensino i critici malati di perfezionismo e ciechi come pochi a leggere la realtà. adriano succi ha detto: Il "nome nuovo" serve agli elettori, per avere la sensazione che qualcosa possa cambiare. Altrimenti saranno eletti gli altri e chi cerca il nuovo voterà Grillo o Ingroia. Se vuoi cambiare le cose, o almeno provarci, devi PRIMA vincere le elezioni. Quante volte siamo disposti ancora a perdere, prima di accettare questa fin troppo semplice verità? Giorgio Mauri ha detto:

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... Questo significa anche che non basta il "nome nuovo" per re la realtà. Risposte a questa discussione

Risposto da adriano succi su 29 Gennaio 2013 a 15:11 Serve la sostanza? Quella, dice che Grillo e Ingroia che, almeno in parte vogliono quello che vogliamo noi, toglieranno al PD i voti indispensabili per vincere e lo obbligheranno, dopo le elezioni, ad accordarsi con il Monti di Fini e Casini. Più sostanza di così! Chi ha mai detto e nemmeno pensato, che Grillo e Ingroia sono dei farabutti? Sono semplicemente dei Politici che, oltre ad essere concorrenti del PD (ma questo è il meno), vagheggiano soluzioni improponibili, stante la situazione dell' Italia ed il suo posizionamento in Europa e nel mondo. Se vincono loro, perde il PD, e un PD debole, rende i "centrini" più forti. Tutto qui. PS Certe situazioni non le avevamo già viste ai tempi di Bertinotti e Turigliatto? Giorgio Mauri ha detto: No, serve la sostanza, purtroppo.

Risposto da Fabio Marinelli su 29 Gennaio 2013 a 15:41 Sono d'accordo con Adriano: infatti paradossalmente stare con Grillo e Ingroia (che sono contro il potere delle banche) ad un mese delle elezioni, significa essere poco machiavellici, perchè indebolendo il PD lo si costringerebbe ad un accordo con Casini-Monti che rappresentano Caltagirone e il potere finanziario delle banche. I nemici dell'Italia sono: Berlusconi, Caltagirone e il potere finanziario sregolato delle banche. Nessuno dei 3 deve vincere. adriano succi ha detto: Serve la sostanza? Quella, dice che Grillo e Ingroia che, almeno in parte vogliono quello che vogliamo noi, toglieranno al PD i voti indispensabili per vincere e lo obbligheranno, dopo le elezioni, ad accordarsi con il Monti di Fini e Casini. Più sostanza di così! Chi ha mai detto e nemmeno pensato, che Grillo e Ingroia sono dei farabutti? Sono semplicemente dei Politici che, oltre ad essere concorrenti del PD (ma questo è il meno), vagheggiano soluzioni improponibili, stante la situazione dell' Italia ed il suo posizionamento in Europa e nel mondo. Se vincono loro, perde il PD, e un PD debole, rende i "centrini" più forti. Tutto qui. PS Certe situazioni non le avevamo già viste ai tempi di Bertinotti e Turigliatto? Giorgio Mauri ha detto: No, serve la sostanza, purtroppo.

Risposto da Cristina Favati su 29 Gennaio 2013 a 15:49

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Bravissimo!! Fabio Marinelli ha detto: Sono d'accordo con Adriano: infatti paradossalmente stare con Grillo e Ingroia (che sono contro il potere delle banche) ad un mese delle elezioni, significa essere poco machiavellici, perchè indebolendo il PD lo si costringerebbe ad un accordo con Casini-Monti che rappresentano Caltagirone e il potere finanziario delle banche. I nemici dell'Italia sono: Berlusconi, Caltagirone e il potere finanziario sregolato delle banche. Nessuno dei 3 deve vincere. adriano succi ha detto: Serve la sostanza? Quella, dice che Grillo e Ingroia che, almeno in parte vogliono quello che vogliamo noi, toglieranno al PD i voti indispensabili per vincere e lo obbligheranno, dopo le elezioni, ad accordarsi con il Monti di Fini e Casini. Più sostanza di così! Chi ha mai detto e nemmeno pensato, che Grillo e Ingroia sono dei farabutti? Sono semplicemente dei Politici che, oltre ad essere concorrenti del PD (ma questo è il meno), vagheggiano soluzioni improponibili, stante la situazione dell' Italia ed il suo posizionamento in Europa e nel mondo. Se vincono loro, perde il PD, e un PD debole, rende i "centrini" più forti. Tutto qui. PS Certe situazioni non le avevamo già viste ai tempi di Bertinotti e Turigliatto? Giorgio Mauri ha detto: No, serve la sostanza, purtroppo.

Risposto da Cristina Favati su 29 Gennaio 2013 a 15:57 http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/01/29/caso-mps-grilli-riferisc... Direi che la dirigenza del partito continua ad inanellare errori su errori da mesi...

Risposto da Fabio Marinelli su 29 Gennaio 2013 a 16:21 Se Grillo mantiene il suo anti-europeismo si esclude da solo. Sono invece favorevole ad un'alleanza con Ingroia, probabilmente alcuni dei partiti che formano il suo gruppo non sono stati ritenuti affidabili dal PD (Di Pietro per la sua polemica con Napolitano, i CI per come si sono comportati con Prodi ecc. ecc.). Forse piuttosto che la desistenza andava trovato un accordo machiavellico con Ingroia che avrebbe garantito per le altre "teste calde". Giorgio Mauri ha detto: Non lamentiamoci poi di come va il paese. Mi date una ragione, dico una, per cui un giovane dovrebbe votare PD anzi che votare Grillo o Ingroia ? Mi date una ragione per cui è sensata l'alleanza con Monti e Casini, e insensata quella con Grillo e Ingroia ? Pensate che partiti come quello di Ingroia o di Grillo rifiuterebbero proposte serie ?

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Risposto da adriano succi su 29 Gennaio 2013 a 16:24 Giorgio, senzaltro è un mio limite, ma io fatico a capire dove vuoi arrivare. Da sempre fai ferocissima campagna contro D'Alema e quello che rappresenta. Nell' ultimo anno c'è stato, di nuovo nel PD, un personaggio che ha fatto all' interno del Partito, una campagna che avrebbe potuto essere ispirata da te, contro D' Alema e, per l' appunto, quello che lui ha rappresentato per decenni nella sinistra Italiana. Quel , per la prima volta nella storia della Sinistra (nemmeno Berlinguer c' era riuscito) è riuscito a rompere gli antichi steccati. Non perché Renzi (è chiaro che alludevo a lui) dicesse cose di Destra, ma perché, finalmente, diceva cose di buon senso, che, a volte, potevano essere considerate di sinistra, a volte meno, però sempre di cose concrete parlava, tant'è vero che non soltanto sembrava in grado di rinnovare il centrosinistra, ma pure dal' altra parte. Non parlava di alleanze precostituite, non strizzava l' occhiolino un giorno a Vendola e un altro a Casini. Diceva in sostanza: per distribuire ricchezza bisogna prima produrla. Voleva che fosse il PD a proporre quel prgetto. A me non interessa che sia andato al quiz di Bongiorno o ad Arcore da Berlusconi (dimentichi sempre che Bersani ha detto che ci sarebbe andato pure lui se fosse servito). Mi interessa che avesse un progetto fatto di cose da fare, non di alleanze da coltivare. Il risultato è questo, emergono magagne che tu dici ispirate ad d'alemismo, ma questa classe dirigente PD non ha agli occhi dell' elettorato, la credibilità necessaria per andare oltre. Fosse pure Bersani (e forse lo è davvero) la persona più onesta del mondo, è e rimane uno che l' ha messo li proprio d'Alema e perciò rappresenta una delle tante lunghe mani della politica sulla società. I tanti eruditi ragionamenti servono a poco, fra 3 settimane la gente non li farà. Io credo che i giovani voteranno chi presenterà un progetto di crescita concreto e credibile. Certamente Ingroia (e nemmeno Vendola) ce l'ha, ma temo nemmeno Grillo. E' più probabile che ce l' abbiano Monti o Maroni.

Risposto da giorgio varaldo su 29 Gennaio 2013 a 17:22 che strano il giorgio m traccia il profilo del candidato PD ideale e poi quando finalmente compare dice non è lui.

Risposto da Antonino Andaloro su 29 Gennaio 2013 a 18:49 Giorgio Varaldo, ma tu pensi che veramente con questi segnali che dà la gente in occasione di qualsiasi consultazione elettorale, in cui si registra un astensionismo sempre più marcato, non è il caso che i nostri dirigenti si diano una smossa, e comincino a fare politica, molto più vicina alla gente comune e non ai poteri o meglio al sistema? E già perchè in fondo si tratta di un sistema, quello in cui si sono andati a cacciare i partiti, e la loro politica non piace più a nessuno.

Risposto da Fabio Colasanti su 29 Gennaio 2013 a 19:32 Antonino, la gente è furiosa per tanti motivi, ma che secondo me possono essere riuniti in due grandi categorie. La gente non ne può più di due cose:

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a) L'arroganza del mondo della politica che assorbe risorse pubbliche per i propri comodi in una maniera vergognosa. L'Italia ha un reddito pro-capite più o meno pari alla media dell'Unione europea, ma ha i parlamentari meglio pagati d'Europa, costi per le assemblee elettive più alti per abitante di quelli degli altri paesi europei, dirigenti pubblici con stipendi che in Germania, Francia e Inghilterra i dirigenti non si sognano nemmeno, ecc. Non ostante questi altissimi redditi abbiamo un livello di corruzione e abuso da paese africano. b) Le condizioni dell'economia italiana che non cresce da quindici, anni, redditi che quindi non crescono, un livello di occupazione tra i più bassi d'Europa, una disoccupazione giovanile altissima. In più abbiamo un'amministrazione pubblica spesso inefficiente, infrastrutture che erano buone negli anni sessanta, ma che oggi sono tra le peggiori d'Europa. Abbiamo un panorama economico tremendo che non offre nessuna prospettiva ai giovani che hanno ripreso ad emigrare in grandi quantità. Chi emigra oggi però non è più il manovale, è il giovane laureato, spesso specializzato. Quello che bisogna fare per correggere i problemi del primo gruppo è chiaro, più o meno c'è un accordo generale sulle grandi linee di quello che si dovrebbe fare. Ma i grandi partiti tradizionali (e qui devo includere anche il PD) non sembrano aver capito molto. Si dicono disposti a fare qualcosina, ma il più tardi possibile e poi con applicazione al prossimo parlamento, al prossimo consiglio regionale e così via. In questo campo devo riconoscere che la pressione di Grillo e degli altri sfascisti è utile. Per risolvere i problemi del secondo gruppo non c'è un accordo su quasi nulla. In linea generale, tutte le cose da fare sono cose che inizialmente fanno stare male, ma che faranno stare bene poi e daranno un futuro ai giovani. In campagna elettorale nessuno vuole parlare francamente. Ma è anche vero che ci sono tanti punti di vista diversi e legittimi su tante delle riforme da fare. Sarebbe utile discuterne, ma non si fa. Qui Grillo e gli sfascisti non aiutano perchè propongono quasi sempre soluzioni poco serie che distolgono da un dibattito serio. Chiedere collettivamente ai politici di "darsi una mossa" può avere un senso per il primo gruppo di problemi dove c'è accordo sul da fare. Per quanto riguarda il secondo gruppo di problemi dire ai politici di "fare una politica per la gente" non basta. Tutte le tante idee diverse che si confrontano sono "per aiutare la gente". Ma alcune idee saranno sicuramente più utili di altre e molte sono proprio dannose. Bisogna dire che cosa si vuole di preciso. Antonino Andaloro ha detto: Giorgio Varaldo, ma tu pensi che veramente con questi segnali che dà la gente in occasione di qualsiasi consultazione elettorale, in cui si registra un astensionismo sempre più marcato, non è il caso che i nostri dirigenti si diano una smossa, e comincino a fare politica, molto più vicina alla gente comune e non ai poteri o meglio al sistema? E già perchè in fondo si tratta di un sistema, quello in cui si sono andati a cacciare i partiti, e la loro politica non piace più a nessuno.

Risposto da Antonino Andaloro su 29 Gennaio 2013 a 20:52 Fabio, con tutta la buona volontà, credo che nessuno possiede la bacchetta magica per cambiare le condizioni di immobilismo in cui tutti ci barcameniamo. Se dobbiamo iniziare a dire le cose giuste, dobbiamo tornare ad un vecchio concetto, che è quello di dare l'ultima parola al popolo. Il popolo in questo momento non conta, è manipolato, condizionato, è messo in condizioni di non produrre nulla, nè cultura nè lavoro, non ha neanche ha la forza di togliere la parola ad uno come Berlusconi che si permette di dire che erano migliori le condizioni di vita che dettava il fascismo. Ma è indispensabile, bisogna tornare a far ragionare il popolo.

Risposto da giorgio varaldo su 29 Gennaio 2013 a 21:06

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la dolce metà è fervente assertrice della necessità per il politico di spostarsi utilizzando bus e treni al posto delle auto blu in modo da poter ascoltare i discorsi e le lamentele del comune cittadino. riguardo a cosa si attende la gente comune dai politici non credo ci sia molto da arrovellarsi il cervello ne scomodare pareto . la risposta è LAVORO LAVORO ed ancora LAVORO. il resto è importante ma sempre dopo il LAVORO Antonino Andaloro ha detto: Giorgio Varaldo, ma tu pensi che veramente con questi segnali che dà la gente in occasione di qualsiasi consultazione elettorale, in cui si registra un astensionismo sempre più marcato, non è il caso che i nostri dirigenti si diano una smossa, e comincino a fare politica, molto più vicina alla gente comune e non ai poteri o meglio al sistema? E già perchè in fondo si tratta di un sistema, quello in cui si sono andati a cacciare i partiti, e la loro politica non piace più a nessuno.

Risposto da adriano succi su 29 Gennaio 2013 a 23:37 A proposito di Ingroia che alcuni di noi vorrebbero alleato al PD, l' ho appena visto a Ballarò. Alla domanda sul come combattere l' evasione fiscale, con il suo solito tono soave e ben educato ha detto: Quando c'è il sospetto di evasione fiscale, si confiscano i beni del presunto colpevole. Se entro due mesi questo dimostra di essere in regola, gli si restituisce tutto, altrimenti caxxi suoi (mia libera interpretazione). Ecco quello che ci vuole per far ripartire l' Italia!!! Evvvvaiiii!!! Risposte a questa discussione

Risposto da 2jftj0essfm7n su 30 Gennaio 2013 a 0:18 Ritenere che Ingroia, volto prestato alla politica per le ragioni che ho già detto tante altre volte, sappia cosa fare è totalmente assurdo. Non lo sanno Monti, Bersani, non lo hanno saputo i politici di questi ultimi venti anni, lo chiediamo a Ingroia ? Nessuno in Italia è riuscito a combattere l'evasione fiscale e noi lo chiediamo a Ingroia ? E siccome da una risposta che ha grandi limiti, soprattutto dovendo, per forza di cose, evitare dettagli importantissimi, lo condanniamo a vita ? No, è una miope strumentalizzazione. In politica occorrono pochissimi principi, grandi capacità di valutazione e programmazione, e prontezza di riflessi, perché la realtà è troppo instabile. Quando ci si rapporta ad una forza politica contano i pochissimi principi, e non le risposte date ad un abile conduttore. E sui principi non vedo proprio dove siano le diversità tra il PD che vorremmo e ciò che rappresenta Ingroia quanto a elettorato. Il conflitto di interessi e la lotta all'evasione fiscale sono principi che non possono essere rinnegati. Quanto alle cose ancora più serie (sviluppo economico) non vedo proprio come un piano a lunga gittata che non penalizzi i soliti, con azioni di facciata, ma crei effettivamente un rilancio dell'economia, non possa trovare un forte appoggio da Ingroia. Penso che i nuovi volti della politica sposeranno qualsiasi iniziativa sia nell'interesse dell'italia e degli italiani, comprese le azioni in europa, se si rendono conto che producono vantaggi, anche non immediati, ma almeno a lungo termine. Stupisce come dopo tanti anni di berlusconismo non si sappia ancora riconoscere la maestria nell'uso dei media da parte di professionisti chiamati, per missione, a fare campagna elettorale. Il fatto MPS è gravissimo, ma è ancor più grave se si pensa alla tempistica. Lo avrebbe capito chiunque che la clava si sarebbe abbattuta sul PD a ridosso delle elezioni: bisognava affrontare le cose prima, il non averlo fatto significa una sola cosa: NON POTEVANO FARLO. E i motivi non sono migliaia ... C'è qualcosa di distorto in questa mandata elettorale. Il PD poteva proporsi come forza di riferimento per la rinascita, ma non capisce che continuare a proporsi con gli stessi volti di sempre (stasera ho visto sia la Finocchiaro sia la Livia Turco) lo rende non credibile, stantio. Per evitare l'ingresso di forze fresche può avere una sola ragione: mantenere il controllo sulle "politiche" del partito, dando all'esterno una facciata, ma continuando nel solco tracciato da sempre. E

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questo è altamente dissuasivo, allontana chiunque, vuoi a sinistra, vuoi a destra. Esattamente l'incontrario di quello che bisognava fare, ma esattamente quello che va fatto se si vuol impedire il rinnovamento vero e si vuol dismettere l'apparato e la ragnatela con cui pretendono di continuare a gestire il paese. PS - chissà cosa avrebbe risposto quell'aquila di D'Alema sulle prassi da adottare per la lotta all'evasione fiscale ?

Risposto da Antonino Andaloro su 30 Gennaio 2013 a 7:06 @ Fabio """""b) Le condizioni dell'economia italiana che non cresce da quindici, anni, redditi che quindi non crescono, un livello di occupazione tra i più bassi d'Europa, una disoccupazione giovanile altissima. In più abbiamo un'amministrazione pubblica spesso inefficiente, infrastrutture che erano buone negli anni sessanta, ma che oggi sono tra le peggiori d'Europa. Abbiamo un panorama economico tremendo che non offre nessuna prospettiva ai giovani che hanno ripreso ad emigrare in grandi quantità. Chi emigra oggi però non è più il manovale, è il giovane laureato, spesso specializzato."""" In questa parte b, hai evidenziato che in Italia esiste un problema, il giovane emigrante laureato, 1) dal punto di vista del consenso elettorale lo hai perso,nonostante abbia una formazione politica culturale vicina al c.sx.; 2)Dal punto di vista occupazionale, mia figlia 28 anni,laureata disegn industriale, sai in cosa consistono le poche opportunità di lavoro che le vengono offerte? Signorina, le proponiamo un rapporto, con la nostra società, stile procacciatore d'affari.Questa società(veneto moda) ha già alle sue dipendenze i giovani qualificati, ma cerca di allargare il proprio mercato utilizzandone altri per conquistare nuovi clienti, con i quali se viene stipulato un contratto il giovane procacciatore avrà avuto la sua percentuale di guadagno,Mia figlia ha rifiutato.Queste sono le nuove possibilità di lavoro, per i pochi giovani che rimangono in Italia,che non hanno nulla a che fare con la loro preparazione professionale ed i loro vent'anni di studi.

Risposto da Fabio Colasanti su 30 Gennaio 2013 a 10:20 Antonino, mi dispiace per le esperienze di tua figlia. Cose del genere si sentono spesso. Ma un conto è sapere che esistono, un altro avere una figlia che deve ricevere risposte simili. Non ho capito però che cosa vuoi dire con il tuo punto 1) ? Antonino Andaloro ha detto: @ Fabio """""b) Le condizioni dell'economia italiana che non cresce da quindici, anni, redditi che quindi non crescono, un livello di occupazione tra i più bassi d'Europa, una disoccupazione giovanile altissima. In più abbiamo un'amministrazione pubblica spesso inefficiente, infrastrutture che erano buone negli anni sessanta, ma che oggi sono tra le peggiori d'Europa. Abbiamo un panorama economico tremendo che non offre nessuna prospettiva ai giovani che hanno ripreso ad emigrare in grandi quantità. Chi emigra oggi però non è più il manovale, è il giovane laureato, spesso specializzato."""" In questa parte b, hai evidenziato che in Italia esiste un problema, il giovane emigrante laureato, 1) dal punto di vista del consenso elettorale lo hai perso,nonostante abbia una formazione politica culturale vicina al c.sx.; 2)Dal punto di vista occupazionale, mia figlia 28 anni,laureata disegn industriale, sai in cosa consistono le poche opportunità di lavoro che le vengono offerte? Signorina, le proponiamo un rapporto, con la nostra società, stile procacciatore d'affari.Questa società(veneto moda) ha già alle sue dipendenze i giovani qualificati, ma cerca di allargare il proprio mercato utilizzandone altri per conquistare nuovi clienti, con i quali se viene stipulato un contratto il

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giovane procacciatore avrà avuto la sua percentuale di guadagno,Mia figlia ha rifiutato.Queste sono le nuove possibilità di lavoro, per i pochi giovani che rimangono in Italia,che non hanno nulla a che fare con la loro preparazione professionale ed i loro vent'anni di studi.

Risposto da Fabio Colasanti su 30 Gennaio 2013 a 10:39 Un articolo che spiega come la Fondazione MPS si sia messa in una situazione finanziaria pericolosissima, andando contro il parere del suo collegio sindacale e del suo direttore generale, per seguire le indicazioni del comune di Siena di "non scendere sotto il 51 per cento delle azioni della banca Monte Paschi" (oggi sono comunque al 34.9 per cento). http://www.corriere.it/economia/13_gennaio_30/mps-allarme-sindaci_2...

Risposto da adriano succi su 30 Gennaio 2013 a 12:12 Caro Antonino, io ho 2 figli laureati, attualmente all' estero, a cercare quello che sembra impossibile trovare in Italia. Anche per questo mi danno fastidio discorsi basati su "i diritti non si toccano" dei già occupati, quando ormai da 15-20 anni nessuno più investe in Italia e comunque quelli che in teoria sarebbero i Lavoratori più protetti del mondo (decine di sindacati e partiti dicono di occuparsi di loro) diventano sempre di meno. Purtroppo, non riesco a convincermi che nel Nord Europa in cambio di una maggiore occupazione ci sia lo sfruttamento più becero di chi lavora. Antonino Andaloro ha detto: 2)Dal punto di vista occupazionale, mia figlia 28 anni,laureata disegn industriale, sai in cosa consistono le poche opportunità di lavoro che le vengono offerte? Signorina, le proponiamo un rapporto, con la nostra società, stile procacciatore d'affari.Questa società(veneto moda) ha già alle sue dipendenze i giovani qualificati, ma cerca di allargare il proprio mercato utilizzandone altri per conquistare nuovi clienti, con i quali se viene stipulato un contratto il giovane procacciatore avrà avuto la sua percentuale di guadagno,Mia figlia ha rifiutato.Queste sono le nuove possibilità di lavoro, per i pochi giovani che rimangono in Italia,che non hanno nulla a che fare con la loro preparazione professionale ed i loro vent'anni di studi.

Risposto da Antonino Andaloro su 30 Gennaio 2013 a 12:22 Il punto 1) riguarda le migliaia di giovani che non credono più nel progetto PD, anche se riconoscono le basi su cui si è fondato il partito,su questo tema è lo stesso discorso che ho sentito fare da Cristina. La loro sfiducia ha un nome e un cognome, giusto come dici te: la prospettiva del futuro e del presente, e non vedono nell'astrattismo perduto dell'economia, uomini in grado di far valere queste priorità. Fabio Colasanti ha detto: Antonino, mi dispiace per le esperienze di tua figlia. Cose del genere si sentono spesso. Ma un conto è sapere che esistono, un altro avere una figlia che deve ricevere risposte simili. Non ho capito però che cosa vuoi dire con il tuo punto 1) ?

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Risposto da giorgio varaldo su 30 Gennaio 2013 a 12:59 per credere nel progetto economico PD occorrerebbe prima conoscerlo. ed a meno di un mese dalle elezioni siamo rimasti al un po più di questo un po meno di quello ed agli interventi europei che mai l'europa farà. Antonino Andaloro ha detto: Il punto 1) riguarda le migliaia di giovani che non credono più nel progetto PD, anche se riconoscono le basi su cui si è fondato il partito,su questo tema è lo stesso discorso che ho sentito fare da Cristina. La loro sfiducia ha un nome e un cognome, giusto come dici te: la prospettiva del futuro e del presente, e non vedono nell'astrattismo perduto dell'economia, uomini in grado di far valere queste priorità. Fabio Colasanti ha detto: Antonino, mi dispiace per le esperienze di tua figlia. Cose del genere si sentono spesso. Ma un conto è sapere che esistono, un altro avere una figlia che deve ricevere risposte simili. Non ho capito però che cosa vuoi dire con il tuo punto 1) ?

Risposto da giorgio varaldo su 30 Gennaio 2013 a 13:45 ok il 50% degli elettori (o anche meno) decide in base ai programmi ed il resto in base agli spot. gli spot ci sono ed anche efficaci (sbraneremo) quindi la seconda metà è servita. e la prima metà la si ignora? Giuseppe Picciolo ha detto: Ma ti pare che la campagna elettorale si stia svolgendo sui programmi e sui progetti? Io sto distribuendo una pubblicazione con la carta d'Intenti e con tutte le idee programmatiche che riesco a raccogliere. Ma interessa solo le poche persone che come noi discutono di politica tutti i giorni. Ma questo lo sapevo e l'ho sempre detto in una miriade di discussioni in questo forum attirandomi spesso commenti scandalizzati dagli amici per la mia sfiducia offensiva nei confronti dell'elettorato giovane o meno giovane che sia e per la mia ritrosia a scrivere punti programmatici e cosa fare nei primi 100 giorni. E i giovani sono meno interessati dai vecchi e si vede anche dall'età media di questo circolo. Inoltre cosa dice il nome del nostro circolo? "Libertà è Partecipazione". Dov'è la partecipazione? Ieri a Ballarò abbiamo visto che gli italiani che conoscono i programmi dei partiti sono circa il 50 percento e tra questi la maggioranza preferisce pòiuttosto nettamente quello del PD. L'esito delle elezioni sarà però deciso dall'altro 50 percento e da MPS.

Risposto da giorgio varaldo su 30 Gennaio 2013 a 18:49 se fossi un industriale che deve decidere dove e come espandere la propria azienda andrei a spulciare i programmi dei vari partiti alla ricerca di notizie riguardanti -semplificazione burocratica -definizione di un potere decisionale quindi delle modifiche uliviste al tomo V della costituzione (chiedo scusa per il bisticcio di parole) -se non un miglioramento almeno un non peggioramento della legislazione sul lavoro

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-abbattimento del cuneo fiscale -riforma della giustizia con tempi brevi e sicurezza del diritto -riduzione costo energia se esiste un partito che fa queste proposte ok lo appoggio se poi non vince e vince un altro partito con un programma diverso da quanto indicato vorrà dire che il raddoppio dello stabilimento lo vo a fare in carinzia. se la figlia di antonino vorrà lavorare faccia le valigie - e mentre le fa può imprecare contro il partito che ha vinto le elezioni - e sarà herzlich willkommen in kartnen.

Risposto da Giuseppe Ardizzone su 31 Gennaio 2013 a 20:06 http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2013-01-30/derivati-083318.s... Qualche informazione sulle operazioni in derivati del MPS

Risposto da Fabio Colasanti su 31 Gennaio 2013 a 21:49 Ottima serie di schede. Giuseppe Ardizzone ha detto: http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2013-01-30/derivati-083318.s... Qualche informazione sulle operazioni in derivati del MPS

Risposto da Fabio Marinelli su 31 Gennaio 2013 a 22:38 Oggi 31-1-13: sono rimasto colpito da come la trasmissione "Servizio Pubblico" di Santoro abbia copiato nella sua scaletta iniziale e poi nell'intervento di Travaglio, quanto detto da noi in questa discussione: un paio di volte sono state riportate addirittura frasi esatte. Risposte a questa discussione

Risposto da Giuseppe Ardizzone su 31 Gennaio 2013 a 23:57 Penso che dovremmo far girare nel partito ed in rete queste proposte : 1) Separazione delle banche d’investimento da quelle commerciali. 2) Uscita delle Fondazioni dal capitale delle Banche 3) Standardizzazione delle operazioni su derivati e una tassazione secca del 30% sugli utili attualizzati che le banche realizzano sui contratti derivati sottoscritti dalla clientela.( previa ad hoc della normativa fiscale) 4) Potenziare il ruolo dellla Cassa Depositi e Prestiti per il finanziamento delle imprese e di grandi progetti d’investimento in infrastrutture e ricerca applicata

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Risposto da Fabio Marinelli su 1 Febbraio 2013 a 9:02 non so se la creazione di una banca dati mondiale dei derivati (in modo che non siano più Over the Counter) è compreso nel discorso della standardizzazione, altrimenti andrebbe aggiunto. Poi suggerirei una specie di bollino blu da incollare nei contratti con scritto: prodotto privo di derivati. Con pene fino all'arresto per chi introduce un derivato in un prodotto che dovrebbe esserne privo. Tutto ciò a tutela della buona fede del cittadino, ma anche degli Enti pubblici che sono rimasti fregati (anche se secondo me lo sapevano che stavano sottoscrivendo contratti capestro). Nelle amministrazioni pubbliche il ricorso ai derivati andrebbe proibito, in quanto essi sonouna macchina del tempo finanziaria, capace di dare profitti all'amministrazione reggente e debiti alle future. Teoricamente un'amministrazione di destra sapendo di perdere le future elezioni, potrebbe scaricare i debiti sui futuri vincitori di sinistra o viceversa. Giuseppe Ardizzone ha detto: Penso che dovremmo far girare nel partito ed in rete queste proposte : 1) Separazione delle banche d’investimento da quelle commerciali. 2) Uscita delle Fondazioni dal capitale delle Banche 3) Standardizzazione delle operazioni su derivati e una tassazione secca del 30% sugli utili attualizzati che le banche realizzano sui contratti derivati sottoscritti dalla clientela.( previa ad hoc della normativa fiscale) 4) Potenziare il ruolo dellla Cassa Depositi e Prestiti per il finanziamento delle imprese e di grandi progetti d’investimento in infrastrutture e ricerca applicata

Risposto da Fabio Colasanti su 1 Febbraio 2013 a 9:23 Fabio, Attenzione! I derivati stanno diventando come gli OGM, vengono demonizzati in tutte le sue forme. Moltissimi derivati sono assolutamente necessari ed indispendabili alla vita economica. Senza derivati perfino gli agricoltori non potrebbero avere garanzie sul prezzo che riceveranno per la raccolta che faranno tra quattro mesi ! Proibire tutti i derivati non avrebbe senso. L'Unione europea ha già introdotto norme sui derivati, su quelli che possono essere venduti "over the counter" e quali devono avere una "counterpart". Fabio Marinelli ha detto: non so se la creazione di una banca dati mondiale dei derivati (in modo che non siano più Over the Counter) è compreso nel discorso della standardizzazione, altrimenti andrebbe aggiunto. Poi suggerirei una specie di bollino blu da incollare nei contratti con scritto: prodotto privo di derivati. Con pene fino all'arresto per chi introduce un derivato in un prodotto che dovrebbe esserne privo. Tutto ciò a tutela della buona fede del cittadino, ma anche degli Enti pubblici che sono rimasti fregati (anche se secondo me lo sapevano che stavano sottoscrivendo contratti capestro). Nelle amministrazioni pubbliche il ricorso ai derivati andrebbe proibito, in quanto essi sono una macchina del tempo finanziaria, capace di dare profitti all'amministrazione reggente e debiti alle future. Teoricamente un'amministrazione di destra sapendo di perdere le future elezioni, potrebbe scaricare i debiti sui futuri vincitori di sinistra o viceversa.

Risposto da Fabio Marinelli su 1 Febbraio 2013 a 10:49

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Non dico di proibirli, ma di segnalare quando ci sono e quando no, cercando di spiegare all'interessato come funzionano.

Risposto da Fabio Colasanti su 1 Febbraio 2013 a 11:30 Ma se tu vendi oggi il tuo raccolto di grano che sarà disponibile a giugno ad un prezzo fissato oggi (o al prezzo che si verificherà ad una data convenuta), sai bene quello che stai facendo. Tecnicamente si tratta di un "derivato", perché è un'operazione basata sull'andamento del prezzo di un altro elemento (il grano), ma in realtà è un'operazione semplicissima e trasparente. La stessa cosa per la vendita o l'acquisto di divise. O per tante altre operazioni di copertura contro l'aumento o la discesa dei tassi di interesse. O anche per i CDO che ti garantiscono contro l'eventualità che uno stato non possa rimborsare un suo titolo. La maggior parte delle operazioni con "derivati" non pongono problemi particolari. Il problema non sono "i derivati" in genere, ma sono alcuni derivati con una costruzione molto complessa e quindi inevitabilmente poco trasparente. Comunque, già oggi esiste l'obbligo di spiegare come è composto ogni prodotto finanziario. Quando le banche offrono prodotti finanziari ai risparmiatori devono fornire un "prospetto" con tutte le informazioni, questo copre già ampiamente tutto quello che tu potresti mai mettere nel tuo bollino. I prospetti sono a volte documenti con decine e decine di pagine. I dirigenti del settore finanziario del Monte Paschi che hanno comprato i prodotti Alexandria e Santorini sapevano benissimo che cosa stavano facendo (è un'altra cosa poi sapere se il Consiglio d'Amministrazione e il presidente lo sapevano ed erano in grado di capire di cosa si trattava). Fabio Marinelli ha detto: Non dico di proibirli, ma di segnalare quando ci sono e quando no, cercando di spiegare all'interessato come funzionano.

Risposto da Fabio Marinelli su 1 Febbraio 2013 a 11:46 Quelli che hai citato sono casi particolari, io dico di estendere la spiegazione a tutti i contratti: banche, assicurazioni ecc. ecc. In qualsiasi contratto firma un cittadino ci deve essere scritto: "esente da derivati" oppure "attenzione, presenza di derivati".

Risposto da Alberto Rotondi su 1 Febbraio 2013 a 12:18 Da quello che ho capito, il derivato in sè è una cosa utile all'economia, ma in questi ultimi anni se ne è anche fatto un uso puramente speculativo, complici le leggi poco chiare sritte probabilmente da chi aveva le mani in pasta. Con certi derivati è forse come assicurare un'auto di 20 mila euro per 100 mila, o pagare in caso di inciente 50 mila euro quando il danno è mille euro, o forse si è arrivati ad assicurare anche auto future, cioè inesistenti... Giuseppe Picciolo ha detto:

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Se io possiedo titoli di uno stato un derivato può tutelarmi dal rischio che lo stato in questione non mi rimborsi. Ma se i titoli li possiedo io e il derivato lo sottoscrive Fabio? Si può fare? Se sì, succede che Fabio guadagna se lo Stato non rimborsa me? Se il grano lo vendo io e il derivato lo sottoscrive Fabio? Se io mi assicuro contro un rischio molto alto, quasi sicuro, e il derivato relativo lo sottoscrive Fabio?

Risposto da Fabio Colasanti su 1 Febbraio 2013 a 15:08 Fabio, i "derivati" sono dei prodotti finanziari. Su tutti i prodotti finanziari esistono già mille regole prudenziali per proteggere i risparmiatori; esiste l'obbligo di fornire una documentazione dettagliatissima (il "prospetto") e esistono anche regole sulle persone alle quali si possono offrire questi prodotti a quali persone non si possa (per esempio, la determinazione del "profilo di rischio" di ogni cliente). I danni dei derivati sono fatti a gente che sa di giocare alla roulette, ma è addetta al vizio. I casi di abuso di cui si sono occupati alcuni ribunali (per esempio quello di Milano) sono casi di non rispetto della legge. Tutto quello che tu vuoi raggiungere con il "bollino blu" è da tanto tempo già nelle leggi. Il "bollino blu", non aggiungerebbe nulla. Fabio Marinelli ha detto: Quelli che hai citato sono casi particolari, io dico di estendere la spiegazione a tutti i contratti: banche, assicurazioni ecc. ecc. In qualsiasi contratto firma un cittadino ci deve essere scritto: "esente da derivati" oppure "attenzione, presenza di derivati".

Risposto da Fabio Colasanti su 1 Febbraio 2013 a 15:16 Giuseppe, non vedo il problema. Chiunque può sottoscrivere un derivato o comprare un CDO (assicurazione sul fatto che uno stato vada fallito). Da questa possibilità non nasce nessun danno per gli altri, ne per il sistema finanziario. I rischi sono per chi sottoscrive il derivato. Chi sottoscrive un derivato, qualunque esso sia, sa benissimo cosa fa (o dovrebbe saperlo). Se è un'individuo o una società normale, tanto peggio per lui se fa una scommesssa sbagliata. L'unica cosa che ci preoccupa è quando sono le banche a sottoscrivere derivati a piffero. Perché rischiano di fallire e di obbligare lo stato a salvarle. Questo è l'unico problema politico. Purtroppo i sistemi di controllo interni delle banche non impediscono ai "traders" di correre rischi insensati. Per questo bisogna separare le attività di "investimento" delle banche dall'attività di raccolta depositi e concessione prestiti. Giuseppe Picciolo ha detto: Se io possiedo titoli di uno stato un derivato può tutelarmi dal rischio che lo stato in questione non mi rimborsi. Ma se i titoli li possiedo io e il derivato lo sottoscrive Fabio? Si può fare? Se sì, succede che Fabio guadagna se lo Stato non rimborsa me? Se il grano lo vendo io e il derivato lo sottoscrive Fabio? Se io mi assicuro contro un rischio molto alto, quasi sicuro, e il derivato relativo lo sottoscrive Fabio?

Risposto da Alberto Rotondi su 1 Febbraio 2013 a 15:17

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Mi sono ispirato a quello che sta scritto qui http://it.wikipedia.org/wiki/Strumento_derivato Giuseppe Picciolo ha detto: A quanto ho capito io con certi derivati ti puoi assicurare contro il rischio che bruci la casa di un altro. Altrimenti non vedrei la differenza rispetto ad una normale polizza assicurativa. Puoi assicurarti sul prezzo del grano senza avere intenzione né di coltivare, né di vendere, né di comprare grano. Forse, se ho capito bene, puoi trasformare i tuoi debiti in un derivato e venderlo ad un altro. Oppure puoi comprare un derivato che contiene i debiti di un altro. Questo ho capito dalle discussioni ma non mi chiaro il meccanismo e soprattutto il perché.

Risposto da Fabio Colasanti su 1 Febbraio 2013 a 15:20 Alberto, Hai perfettamente ragione. il grosso dei derivati che creano problemi sono quasi delle scommesse: se nevica il 30 marzo incassi questo, se non nevica paghi quest'altro. Non sono i derivati il problema. Il problema sono le banche che rischiano di fallire per le fesserie che fanno. Che poi una banca fallisca perché compra un'altra banca ad un prezzo assurdo o perché ha comprato derivati fasulli, il risultato finale non cambia. Quello a cui dobbiamo fare attenzione è la regolamentazione delle banche e qui i nostri paesi fanno acqua da tutti i lati (arrivando all'assurdo che gli unici che fanno qualcosa sono gli inglesi e gli americani). Alberto Rotondi ha detto: Da quello che ho capito, il derivato in sè è una cosa utile all'economia, ma in questi ultimi anni se ne è anche fatto un uso puramente speculativo, complici le leggi poco chiare sritte probabilmente da chi aveva le mani in pasta. Con certi derivati è forse come assicurare un'auto di 20 mila euro per 100 mila, o pagare in caso di inciente 50 mila euro quando il danno è mille euro, o forse si è arrivati ad assicurare anche auto future, cioè inesistenti...

Risposto da Fabio Colasanti su 1 Febbraio 2013 a 15:25 Alcuni derivati sono delle forme di assicurazione. Altri sono delle pure e semplici scommesse. L'analogia migliore è quella con il tasso di interesse per un mutuo. Se scegli un tasso fisso paghi sicuramente di più su tutto il periodo. Se scegli un tasso variabile, in media pagherai meno, ma puoi beccare un periodo sbagliato e trovarti in grosse difficoltà. Con i derivati il principio è lo stesso, ma le fluttuazioni possono essere mille volte superiori a quelle che si hanno con i tassi di interessi variabili su di un mutuo. Giuseppe Picciolo ha detto: A quanto ho capito io con certi derivati ti puoi assicurare contro il rischio che bruci la casa di un altro. Altrimenti non vedrei la differenza rispetto ad una normale polizza assicurativa. Puoi assicurarti sul prezzo del grano senza avere intenzione né di coltivare, né di vendere, né di comprare grano. Forse, se ho capito bene, puoi trasformare i tuoi debiti in un derivato e venderlo ad un altro. Oppure puoi comprare un derivato che contiene i debiti di un altro. Questo ho capito dalle discussioni ma non mi chiaro il meccanismo e soprattutto il perché. Risposte a questa discussione

Risposto da Fabio Marinelli su 1 Febbraio 2013 a 15:29

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Sì, ma si è visto e ne abbiamo le prove che la Banca d'Italia pur sapendo (30 mesi fa) delle cazzate fatte da MPS non ha fatto niente. Allora qui abbiamo una catena di cose che non funzionano: a) arma letale ma utile dei derivati difficilmente controllabile; b) banche che abusano l'arma letale; c) il controllore delle banche che non controlla adeguatamente. Negli USA non cercano di abolire le armi, ma perlomeno limitano le armi letali automatiche e riducono i proiettili del caricatore. Quindi io non dico di mettere in una gabbia in piazza i colpevoli, ma perlomeno di riintrodurre il falso in bilancio e di segnalare la presenza di un derivato in maniera esplicita in un contratto, pena la non validità del contratto. Fabio Colasanti ha detto: Alberto, Hai perfettamente ragione. il grosso dei derivati che creano problemi sono quasi delle scommesse: se nevica il 30 marzo incassi questo, se non nevica paghi quest'altro. Non sono i derivati il problema. Il problema sono le banche che rischiano di fallire per le fesserie che fanno. Che poi una banca fallisca perché compra un'altra banca ad un prezzo assurdo o perché ha comprato derivati fasulli, il risultato finale non cambia. Quello a cui dobbiamo fare attenzione è la regolamentazione delle banche e qui i nostri paesi fanno acqua da tutti i lati (arrivando all'assurdo che gli unici che fanno qualcosa sono gli inglesi e gli americani). Alberto Rotondi ha detto: Da quello che ho capito, il derivato in sè è una cosa utile all'economia, ma in questi ultimi anni se ne è anche fatto un uso puramente speculativo, complici le leggi poco chiare sritte probabilmente da chi aveva le mani in pasta. Con certi derivati è forse come assicurare un'auto di 20 mila euro per 100 mila, o pagare in caso di inciente 50 mila euro quando il danno è mille euro, o forse si è arrivati ad assicurare anche auto future, cioè inesistenti...

Risposto da Fabio Colasanti su 1 Febbraio 2013 a 15:46 Fabio, giriamo in tondo. In tutti i prodotti finanziari, se il prodotto dipende dall'andamento di altri valori - quindi è un "derivato" - è già indicato ampiamente nella documentazione relativa al prodotto. Nei contratti commerciali normali i derivati non c'entrano nulla, il problema non si pone. Fabio Marinelli ha detto: ( ... ) di segnalare la presenza di un derivato in maniera esplicita in un contratto, pena la non validità del contratto.

Risposto da Fabio Colasanti su 1 Febbraio 2013 a 17:36 Andiamo male. I governi europei non vogliono "far male" alle banche è rinunceranno a separare le attività rischiose delle banche (dette eufemisticamente "attività di investimento") dalle altre attività. Negli Stati Uniti questo è stato fatto (anche se non in maniera molto forte) con la cosiddetta "Volker's rule". Nel Regno Unito una commissione di

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analisi sulla crisi finanziaria, la commissione Vickers, ha raccomandato la separazione completa. Il governo ha introdotto una separazione, ma all'interno della stessa struttura giuridica. Non è l'ideale, ma è meglio di niente. Il resto dell'Europa per tanto tempo non ha voluto far nulla. Poi sotto la pressione di tanti ha creato una propria commissione di inchiesta presieduta dal governatore della banca centrale della Finlandia, Erkki Liikanen. Sorpresa, sorpresa, questa commissione ha raccomandato la separazione tra attività di investimento e attività tradizionali, proprio come la commissione Vickers. I governi francese e tedesco hanno cominciato a strillare che la separazione avrebbe fatto male alle banche e che queste, nella transizione, avrebbero concesso meno credito all'economia rallentando la crescita. Il governo francese, animato dallo spirito comunitario che lo contraddistingue ha deciso di presentare una sua proposta di legge nazionale anticipando quello che potebbe essere deciso al livello europeo. Una persona critica della timidezza mostrata da Hollande dice di aver calcolato che la separazione coprirebbe lo 0.5 per cento delle attività di BNP Paribas ! Il governo tedesco ha continuato a difendere le sue banche così aveva fatto negli ultimi mesi riuscendo a ottenere l'esclusione dalla futura sorveglianza europea delle Landesbanken e delle casse di risparmio, le banche con le quali i politici tedeschi giocano. In questo caso ha deciso di introdirre anche lui una legge nazionale. Per anticipare una decisione europea, hanno previsto una decisione del consiglio dei ministri già il 6 febbraio. Il 29 gennaio, il commissario responsabile di questo settore, Michel Barnier, ha annunciato che la Commissione europea non seguirà la raccomandazione del rapporto Liikanen. Il Financial Times, molto critico della pusillanimità di Barnier, nell'articolo dove ha dato la notizia ha citato un "senior advisor" della banca svizzera Julies Baer che ha dichiarato che le regole proposte da Liikanen avrebbero impedito l'accumulo di rischi che si è visto alla banca Monte Paschi ! ! ! Oramai è fatta. Non ci sarà una regolamentazione efficace delle banche. Ma se tra qualche anno dovessimo avere una nuova crisi finanziaria, non dovremo chiederci come mai nessuno ci aveva pensato, come mai non si erano prese misure per impedire il ripetersi di una crisi. Spero che qualcuno si ricorderà che ci abbiamo pensato, ma abbiamo deciso che la crescita a breve termine era più importante e che si poteva correre il rischio. Aggiungo degli estratti dal mio solito bollettino di informazione. Brussels goes cool on Liikanen The FT reports this morning that the European Commission is ready to water down the Liikanen Committee’s recommendations to “preserve their diversity”. Liikanen had recommended a the ringfencing of propriatory trading, but Michael Barnier already concluded that the recommendation would undermine the EU’s fragile growth outlook. “I don’t want to penalise the work of banks when they work for the benefit of the economy and industry,” Mr Barnier is quoted as saying. The article quotes Marco Mazzuchelli, a member of the Liikanen committee, as saying that it was dangerous for policy makers to switch the focus to growth before the problems of the past were fixed. He also said that ringfencing would have prevented the Banca Monte dei Paschi di Siena scandal. Wolfgang Schauble has proposed unilateral legislation on the separation of risky assets from depositors cash in banks, ignoring the recommendations in the Liikanen report, and effectively bypassing EU efforts. The difference to the Liikanen proposal lies in the scope of the businesses to be separated. The Liikanen commission proposal wants all capital market activity be separated, including market making. Schauble to confine the separation to bank’s own account trading. The article, however, points out that it is impossible in practice to separate own account trading from market making.

Risposto da Giuseppe Ardizzone su 1 Febbraio 2013 a 19:35 Aggiungo un'ulteriore specifica sulle operazioni derivate. Dovrebbero essere obbligatoriamente collegate ad un'operazione sottostante di propria pertinenza che si intende coprire sia essa un tasso , un debito, una valuta ecc.. Il valore nozionale del derivato non dovrebbe inoltre poter superare il massimo della propria possibile espozizione. Giuseppe Ardizzone ha detto:

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Penso che dovremmo far girare nel partito ed in rete queste proposte : 1) Separazione delle banche d’investimento da quelle commerciali. 2) Uscita delle Fondazioni dal capitale delle Banche 3) Standardizzazione delle operazioni su derivati e una tassazione secca del 30% sugli utili attualizzati che le banche realizzano sui contratti derivati sottoscritti dalla clientela.( previa ad hoc della normativa fiscale) 4) Potenziare il ruolo dellla Cassa Depositi e Prestiti per il finanziamento delle imprese e di grandi progetti d’investimento in infrastrutture e ricerca applicata

Risposto da Giuseppe Ardizzone su 1 Febbraio 2013 a 20:21 La maggiore obiezione alla separazione fra banche commerciali e d'investimento sembra essere quella che una siffatta operazione indebolirebbe il patrimonio responsabile delle banche commerciali riducendone la capacità di credito all'economia.Il rischio tuttavia è troppo forte per mantenere questa situazione e preferirei di gran lunga che invece si ritornasse indietro sull'eccesso di prudenza rispetto alla valutazione dei titoli di Stato nell'attivo delle Banche. I titoli vanno indicati al loro valore nominale e non di mercato . La perdita si realizza solo nel momento della possibile vendita prima della scadenza e francamente una scelta di questo genere sarebbe deprecabile vista la possibilità di metterli a garanzia dei prestiti ottenibili dalal BCE: Assumiamoci quindi il rischio del possibile default degli stati nazionali. E' un rischio che può essere affrontato insieme e su cui l'Europa nel suo complesso sta già dando rassicurazioni sia con il fondo salva stati che con la disponibilità all'acquisto illimitato della BCE sul mercato secondario. Fabio Colasanti ha detto: Andiamo male. I governi europei non vogliono "far male" alle banche è rinunceranno a separare le attività rischiose delle banche (dette eufemisticamente "attività di investimento") dalle altre attività. Negli Stati Uniti questo è stato fatto (anche se non in maniera molto forte) con la cosiddetta "Volker's rule". Nel Regno Unito una commissione di analisi sulla crisi finanziaria, la commissione Vickers, ha raccomandato la separazione completa. Il governo ha introdotto una separazione, ma all'interno della stessa struttura giuridica. Non è l'ideale, ma è meglio di niente. Il resto dell'Europa per tanto tempo non ha voluto far nulla. Poi sotto la pressione di tanti ha creato una propria commissione di inchiesta presieduta dal governatore della banca centrale della Finlandia, Erkki Liikanen. Sorpresa, sorpresa, questa commissione ha raccomandato la separazione tra attività di investimento e attività tradizionali, proprio come la commissione Vickers. I governi francese e tedesco hanno cominciato a strillare che la separazione avrebbe fatto male alle banche e che queste, nella transizione, avrebbero concesso meno credito all'economia rallentando la crescita. Il governo francese, animato dallo spirito comunitario che lo contraddistingue ha deciso di presentare una sua proposta di legge nazionale anticipando quello che potebbe essere deciso al livello europeo. Una persona critica della timidezza mostrata da Hollande dice di aver calcolato che la separazione coprirebbe lo 0.5 per cento delle attività di BNP Paribas ! Il governo tedesco ha continuato a difendere le sue banche così aveva fatto negli ultimi mesi riuscendo a ottenere l'esclusione dalla futura sorveglianza europea delle Landesbanken e delle casse di risparmio, le banche con le quali i politici tedeschi giocano. In questo caso ha deciso di introdirre anche lui una legge nazionale. Per anticipare una decisione europea, hanno previsto una decisione del consiglio dei ministri già il 6 febbraio. Il 29 gennaio, il commissario responsabile di questo settore, Michel Barnier, ha annunciato che la Commissione europea non seguirà la raccomandazione del rapporto Liikanen. Il Financial Times, molto critico della pusillanimità di Barnier, nell'articolo dove ha dato la notizia ha citato un "senior advisor" della banca svizzera Julies Baer che ha dichiarato che le regole proposte da Liikanen avrebbero impedito l'accumulo di rischi che si è visto alla banca Monte Paschi ! ! ! Oramai è fatta. Non ci sarà una regolamentazione efficace delle banche. Ma se tra qualche anno dovessimo avere una nuova crisi finanziaria, non dovremo chiederci come mai nessuno ci aveva pensato, come mai non si erano prese misure per impedire il ripetersi di una crisi. Spero che qualcuno si ricorderà che ci abbiamo pensato, ma abbiamo deciso che la crescita a breve termine era più importante e che si poteva correre il rischio.

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Aggiungo degli estratti dal mio solito bollettino di informazione. Brussels goes cool on Liikanen The FT reports this morning that the European Commission is ready to water down the Liikanen Committee’s recommendations to “preserve their diversity”. Liikanen had recommended a the ringfencing of propriatory trading, but Michael Barnier already concluded that the recommendation would undermine the EU’s fragile growth outlook. “I don’t want to penalise the work of banks when they work for the benefit of the economy and industry,” Mr Barnier is quoted as saying. The article quotes Marco Mazzuchelli, a member of the Liikanen committee, as saying that it was dangerous for policy makers to switch the focus to growth before the problems of the past were fixed. He also said that ringfencing would have prevented the Banca Monte dei Paschi di Siena scandal. Wolfgang Schauble has proposed unilateral legislation on the separation of risky assets from depositors cash in banks, ignoring the recommendations in the Liikanen report, and effectively bypassing EU efforts. The difference to the Liikanen proposal lies in the scope of the businesses to be separated. The Liikanen commission proposal wants all capital market activity be separated, including market making. Schauble to confine the separation to bank’s own account trading. The article, however, points out that it is impossible in practice to separate own account trading from market making.

Risposto da Fabio Colasanti su 1 Febbraio 2013 a 23:18 Giuseppe, il problema della valutazione dei titli di stato è quasi scomparso. Con i tassi di interesse attuali i titoli italiani hanno valori vicino alla pari e quelli emessi nell'ultimo anno sono addirittura al di sopra. Non conosco poi i dettagli della regolamentazione, che è cambiata varie volte, ma credo che il problema della valutazione dei titoli - nella misura in cui dovesse ancora esistere per i titoli di qualche paese - non colpisca tutti i titoli che le banche hanno, ma solo quelli che hanno l'intenzione di vendere (trading books), mentre non si pone per quelli che detengono fino alla scandenza. Al momento non è più questo il problema. Le banche si sono opposte - con successo - a: a) aumento dei ratio tra capitali propri e esposizione; b) aumento dei ratio tra liquidità e esposizione; c) separazione tra attività di investimento e attività tradizionali; d) proibizione di attività speculative con fondi propri; e) spezzettamento delle banche per aumentare la concorrenza e evitare di avere banche "too big to fail". Giuseppe Ardizzone ha detto: La maggiore obiezione alla separazione fra banche commerciali e d'investimento sembra essere quella che una siffatta operazione indebolirebbe il patrimonio responsabile delle banche commerciali riducendone la capacità di credito all'economia.Il rischio tuttavia è troppo forte per mantenere questa situazione e preferirei di gran lunga che invece si ritornasse indietro sull'eccesso di prudenza rispetto alla valutazione dei titoli di Stato nell'attivo delle Banche. I titoli vanno indicati al loro valore nominale e non di mercato . La perdita si realizza solo nel momento della possibile vendita prima della scadenza e francamente una scelta di questo genere sarebbe deprecabile vista la possibilità di metterli a garanzia dei prestiti ottenibili dalal BCE: Assumiamoci quindi il rischio del possibile default degli stati nazionali. E' un rischio che può essere affrontato insieme e su cui l'Europa nel suo complesso sta già dando rassicurazioni sia con il fondo salva stati che con la disponibilità all'acquisto illimitato della BCE sul mercato secondario.

Risposto da Fabio Colasanti su 2 Febbraio 2013 a 0:50

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Non e ridicolo che sul caso MPS indaghino tre procure diverse: Siena, Roma e Trani?

Risposto da Fabio Marinelli su 2 Febbraio 2013 a 9:18 Avete dimenticato il discorso "macchina del tempo" dei derivati, penso che sia importante regolamentarlo, perché altrimenti l'economia diventa fantascienza, anzi già lo è!

Risposto da adriano succi su 2 Febbraio 2013 a 11:11 Smania di protagonismo, no? Fabio Colasanti ha detto: Non e ridicolo che sul caso MPS indaghino tre procure diverse: Siena, Roma e Trani?

Risposto da Fabio Colasanti su 2 Febbraio 2013 a 11:57 Fabio, non capisco a cosa ti riferisci. Fabio Marinelli ha detto: Avete dimenticato il discorso "macchina del tempo" dei derivati, penso che sia importante regolamentarlo, perché altrimenti l'economia diventa fantascienza, anzi già lo è!

Risposto da Fabio Colasanti su 2 Febbraio 2013 a 12:55 Oggi il Financial Times ha un editoriale (non un commento libero) sulla situazione del sistema bancario in Europa. Citando molti esempi - in vari paesi d'Europa e anche nel Regno Unito - sostengono, in maniera molto convincente, che il sistema bancario europeo è ancora molto fragile e che rischia di esserlo per parecchio tempo ancora a meno che una ripresa economica più forte del previsto non riesca a tirarlo fuori dalle secche. Il Financial Times contrasta la situazione in Europa con quella negli Stati Uniti dove il governo ha imposto un aumento draconiano dei coefficienti prudenziali bancari (capitale proprio, liquidità disponibile, ecc.) subito dopo lo scoppio della crisi. I fondi del TARP - il primo programma di aiuti alle banche, di 700 miliardo di dollari, deciso ancora durante la presidenza Bush e approvato anche da Obama come candidato alla presidenza - sono stati utilizzati proprio per questa ricapitalizzazione e questo risanamento. Oggi le banche americane hanno già restituito i fondi ricevuti - facendo realizzare utili sostanziali al bilancio dello stato perché hanno pagato interessi non trascurabili - e sono in condizioni molto più sane delle banche europee. Prima lezione, il medico pietoso che ritarda l'operazione dolorosa non aiuta il paziente.

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Ma il Financial Times ricorda anche che per gli Stati Uniti l'imporre un aumento draconiano dei coefficienti prudenziali delle banche ha certo provocato un "credit crunch", una riduzione dei finanziamenti bancari all'economia con conseguenze negative per la crescita economica. Ma aggiunge che negli Stati Uniti le conseguenze negative del "credit crunch" sono meno forti che in Europa perché le imprese americane hanno altri grossi canali di finanziamento oltre al credito bancario. Le imprese americane si finanziano molto più di quelle europee con l'emissione diretta di obbligazioni sul mercato finanziario e con l'emissione di azioni, anche nella fase iniziale della loro vita economica. E sappiamo tutti che le azioni sono una forma molto più sana di finanziamento delle aziende perché non le obbliga a rimborsi costosi quando le cose vanno male. Una cosa alla quale bisogna riflettere quando ci si chiede a che servano i mercati finanziari e la borsa.

Risposto da Fabio Colasanti su 2 Febbraio 2013 a 15:15 Per Giuseppe A., il tuo testo sul tuo blog "Banche e sistema delle imprese" è un'ottima e logica sintesi di tante cose che abbiamo discusso in questo Circolo. Mantengo il mio scetticismo sull'importanza della valutazione dei titoli di stato ai prezzi di mercato anziché al valore nominale, ma sono d'accordo con il resto di quanto dici. Bravo ! PS. La separazione del del testo in paragrafi ne aiuterebbe la lettura enormemente .... Risposte a questa discussione

Risposto da Giuseppe Ardizzone su 2 Febbraio 2013 a 18:10 Ti ringrazio. Il pezzo dovrebbe essere pubblicato lunedi sulla rivista " A Sud'Europa" e su "Scenario" ( inscenaonline.com) . Mi piacerebbe pubblicarlo anche sulla nostra rivista ma ho già messo due pezzi a cui tengo in maniera altrettanto forte. Mi piacerebbe sentire il parere di tutti su quelli che preferireste fossero pubblicati anche come testimonianza e sintesi delle nostre discussioni, Fabio Colasanti ha detto: Per Giuseppe A., il tuo testo sul tuo blog "Banche e sistema delle imprese" è un'ottima e logica sintesi di tante cose che abbiamo discusso in questo Circolo. Mantengo il mio scetticismo sull'importanza della valutazione dei titoli di stato ai prezzi di mercato anziché al valore nominale, ma sono d'accordo con il resto di quanto dici. Bravo ! PS. La separazione del del testo in paragrafi ne aiuterebbe la lettura enormemente ....

Risposto da Fabio Marinelli su 3 Febbraio 2013 a 0:09 Cosa molto istruttiva, vallo a dire ai risparmiatori. Ciò mi fa pensare che in un sistema capitalistico, i risparmiatori si devono assumere il rischio della selezione delle imprese. Io potrei accettare il rischio se il nostro sistema fosse imparziale. Ma il nostro sistema è truccato. Quindi se si vogliono incentivare i risparmiatori ad investire nelle azioni, bisogna rendere il sistema "non truccato". Fabio Colasanti ha detto: E sappiamo tutti che le azioni sono una forma molto più sana di finanziamento delle aziende perché non le obbliga a rimborsi costosi quando le cose vanno male.

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Risposto da Fabio Colasanti su 3 Febbraio 2013 a 0:34 Fabio, i risparmiatori di tutto il mondo industrializzato - ad eccezione di quelli del sud Europa che sembra essere sempre più una categoria a se - lo sanno benissimo. Le pensioni della quasi totalità dei lavoratori del mondo industrializzato (e sempre più anche quelle dei paesi emergenti) sono pagate grazie ai dividendi delle azioni. I più grossi investitori al mondo, quelli che comprano titoli di stato e azioni in enormi quantità, sono i fondi pensione. In cambio del maggiore rischio, le azioni offrono rendimenti maggiori. Tutte le statistiche mostrano che le azioni sono la forma di investimento finanziario più redditizia negli ultimi trenta/quaranta/cinquanta anni, non ostante le crisi che abbiamo conosciuto. In tutto il mondo industrializzato la proprietà di azioni è cosa molto comune. Molti lavoratori hanno azioni della ditta dove lavorano. Per le imprese le azioni sono una forma di finanziamento molto sana. Un prestito bancario deve essere rimborsato comunque vadano le cose. Gli azionisti invece partecipano al rischio e ai guadagni dell'impresa. Se le cose vanno male, ricevono dividendi bassi o non ne ricevono affatto; se le cose vanno bene ricevono dividendi alti (e le azioni aumentano di valore). Ma certo, se la società va fallita, si perde tutto. La creazione delle società per azioni è l'elemento che ha permesso di passare dall'economia primitiva (dai tempi dei Romani fino all'Ancien Régime) allo sviluppo economico che conosciamo da due secoli e mezzo. Grazie alle azioni, le imprese possono crescere, svilupparsi e creare occupazione in maniera più forte. Sputaci sopra .... Fabio Marinelli ha detto: Cosa molto istruttiva, vallo a dire ai risparmiatori. Ciò mi fa pensare che in un sistema capitalistico, i risparmiatori si devono assumere il rischio della selezione delle imprese. Io potrei accettare il rischio se il nostro sistema fosse imparziale. Ma il nostro sistema è truccato. Quindi se si vogliono incentivare i risparmiatori ad investire nelle azioni, bisogna rendere il sistema "non truccato". Fabio Colasanti ha detto: E sappiamo tutti che le azioni sono una forma molto più sana di finanziamento delle aziende perché non le obbliga a rimborsi costosi quando le cose vanno male.

Risposto da Fabio Marinelli su 3 Febbraio 2013 a 11:08 Si prega di mostrarle qui. Grazie i dati in mio possesso (di parte a favore della borsa) sono veramente sconfortanti. 150 anni di borsa Fabio Colasanti ha detto: Tutte le statistiche mostrano che le azioni sono la forma di investimento finanziario più redditizia negli ultimi trenta/quaranta/cinquanta anni, non ostante le crisi che abbiamo conosciuto.

Risposto da Fabio Colasanti su 3 Febbraio 2013 a 11:16

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Fabio, valutare il rischio delle imprese è una cosa complessa, ma è una cosa che tanti fanno e devono fare. Io sono iscritto all'associazione di difesa dei consumatori "Test-Achats", che è la controparte belga di Altroconsumo. Una parentesi, in Belgio esiste una sola associazione di difesa dei consumatori che grazie al fatto di essere grande e autorevole ha molta forza (in Italia c'è una miriade di associazioni, ognuna con obiettivi diversi). Test-Achats ha un servizio chiamato "Test Achats Invest" e pubblica un bollettino settimanale con analisi delle azioni delle maggiori società, dei nuovi prodotti finanziari offerti ai consumatori, delle condizioni dei conti in banca e con altre informazioni utili per chi ha risparmi da far fruttare. Sono sicuro che Altroconsumo avrà un servizio simile (come anche le altre organizzazioni italiane di difesa dei consumatori). Quindi la risposta alla tua considerazione è "Si, i risparmiatori valutano la rischiosità delle imprese". Fabio Marinelli ha detto: Cosa molto istruttiva, vallo a dire ai risparmiatori. Ciò mi fa pensare che in un sistema capitalistico, i risparmiatori si devono assumere il rischio della selezione delle imprese. ( ... )

Risposto da Fabio Marinelli su 3 Febbraio 2013 a 11:42 Caro Fabio C., tu hai una concezione del mondo molto diversa dalla mia, ma la cosa strana è che apparentemente siamo entrambi di sinistra. Potrei accettare una visione darwiniana del mondo capitalistico, se fosse veramente imparziale, ma non lo è. Le imprese, specialmente in Italia (ma tutto il mondo è paese), sono regolate da motivi familistici e di clientela (politica). Anche per chiedere un finanziamento in banca bisogna essere raccomandati. Negli USA le lobbies fanno il buono e il cattivo tempo, tanto che sono state istituzionalizzate e dialogano direttamente con i politici. Alla luce di quello che ho detto (e che mi diverto a scrivere anche nel mio blog), come puoi pensare anche solo per un momento che questa frase possa incoraggiare in qualche modo un risparmiatore: "E sappiamo tutti che le azioni sono una forma molto più sana di finanziamento delle aziende perché non le obbliga a rimborsi costosi quando le cose vanno male."

Risposto da giorgio varaldo su 3 Febbraio 2013 a 11:45 esattamente come non si da una auto sportiva in mano ad un orbo. è meglio anche per lui Giuseppe Picciolo ha detto: E se non sono in grado di valutarla, non facciano i risparmiatori. Giusto? Per stare tranquilli dovremmo chiudere il conto in banca a tutti i risparmiatori che non sono in grado di valutare la rischiosità di un investimento. Cioè quasi a tutti.

Risposto da Giuseppe Ardizzone su 3 Febbraio 2013 a 12:40

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In realtà non siamo molto distanti nelle nostre visioni solo che alcuni privilegiano degli aspetti della questione ed altri sottolineano ulteriori punti del discorso. La frase di Fabio C. relativa alle società per azioni è assolutamente evidente. E' normale che una qualsiasi azienda preferisca avere più capitali propri a disposizione piuttosto che ottenerli attraverso prestiti da remunerare . E' la differenza fra capitale proprio e capitale di terzi. Dal punto di vista del risparmiatore le cose stanno invece in maniera quasi opposta . Non avendo generalmente competenze specifiche desidera avere il massimo della sicurezza anche rinunciando ad un rendimento elevato. La regola d'oro del risparmatore è infatti suddividere il proprio investimento fra quelli più sicuri a rendimento minore ma certo e quelli più rischiosi a rendimento prevedibile maggiore (normalmente l'investimento in azioni) . Spesso quando non si ha una precisa conoscenza diretta delle aziende o dei settori di aziende in cui si vuole investire si preferisce scegliere di affidare i propri risparmi a dei consulenti . In questo caso se la consulenza è personale abbiamo le "gestioni patrimoniali" oppure si iinveste in un fondo comune che ci dà delle informazioni generali sul tipo d'investimento su cui opera. Non vedo pertanto niente che tutti non conosciamo. Ritornando alle imprese non c'è dubbio che avere più capitale proprio consente uno sviluppo dell'azienda. Più sono gli apporti di capitale ottenuti anche con l'ingresso di nuovi soci maggiore è la possibilità d'investimento nell'attività propria. L'imprenditore ed i suoi soci sono i proprietari dell'azienda, ne sono gli ispiratori dello sviluppo ed è quindi logico che ne godano i frutti maggiori, ma nei periodi di crisi anche le perdite. Le attività produttive sono comunque l'unica produzione di ricchezza presente da cui partono tutti i tipi di remuinerazione dei capitali: a) quelli dei proprietari e soci ( capitale di rischio) che divide gli utili aziendali b) quelli dei prestiti diretti tramite la sottoscrizione di obbligazioni emesse dall'azienda c) quelle dei risparmiatori che depositano i soldi in banca ed ottengono una parte della remunerazione del capitale che la banca raccoglie ed investe nei prestiti alle imprese. MI sembra quindi che quanto diceva Fabio C. a proposito delle società per azioni del mercato della borsa ecc. abbia un fondamento di assoluta realtà. L'obiezione che nasce frequente in tutti noi è quando assistiamo a quello che Fabio M. chiama il mercato truccato o le regole non trasparenti o altro ancora. E' vero . Spesso si assite ad una gestione spericolata e criminale del cosiddetto "parco buoi" (i piccoli risparmiatori che investono direttamente in borsa). Molte operazioni di aumento di capitale in passato non sono state sufficientemente trasparenti e sono state utilizzate per operazioni di potere. Vi sono troppo spesso ondate speculative incontrollabili. Per questo servono le regole che dovrebbero essere molto più severe di quelle attuali. Scusate se passo ad un'altra osservazione. Oggi guardavo un servizio in televisione sulle manifestazioni di protesta in Spagna e sentendo i loro discorsi avvertivo la preoccupazione di tantissime persone sulla soglia della povertà. Subito dopo un altro servizio mostrava l'azione di organismi internazionali operanti in Africa per aiutare le popolazioni con la realizzazione di pozzi per l'acqua. Siamo di fronte sempre allo stesso dilemma insopportabile: Quanto posso tollerare la libertà senza che questo significhi miseria? E' sotto i nostri occhi ogni giorno la difficoltà della nostra società in preda ad un progressivo impoverimento a causa della eccessiva concentrazione delle ricchezze in poche mani. Diceva qualcuno (mi sembra Sartre) che il limite alla nostra libertà sta nell'indice puntato verso di noi da chi è in difficoltà o in miseria. A quel punto anche le responsabilità (pur giuste e presenti) passano in secondo piano . E' evidente che esiste un limite oltre cui la mia ricchezza anche se realizzata in maniera onesta e secondo le opportunità esistenti può diventare un freno allo sviluppo comune ed alla convivenza civile. A questo punto se non si riesce a trovare in una capacità di mettere in gioco insieme le risorse disponibili la strada per la ripresa non possiamo poi stupirci se si sviluppa il populismo , il conflitto , il disordine sociale e la disgregazione mentre si ricerca un nuovo ordine. Questo vale fra le persone ma vale anche per gli Stati che appartengono ad un progetto comune e non. Spesso sono le guerre che stabiliscono se i rapporti di forza sono tollerabili e reali. Non sempre portano a situazioni più giuste ma solo più rispondenti ai rapporti di forza fra le nazioni. Credo che essere a sinistra in questo momento sia tentare la strada della cooperazione e del rispetto. Cose sempre più difficili da realizzare quando la gente comune può cadere in preda al panico o alla disperazione. Bisogna evitare che gli egoismi di posizione prevalgano e mi auguro che il nostro partito riesca a trovare la forza morale e politica di guidare l'Italia in questo momento così difficile.

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Risposto da Fabio Colasanti su 3 Febbraio 2013 a 12:49 Giuseppe, sono sicuro che le associazioni di difesa dei consumatori anche in Italia diano informazioni ai risparmiatori. Lo fanno in Belgio e in ogni altro paese che conosco e quindi son sicuro che lo faranno anche in Italia. Per legge le banche devono stabilire il profilo del risparmiatore - cosa che equivale a decidere se la persona ci vede abbastanza bene da poter guidare un'auto sportiva. Detto questo, se una persona insiste a fare un investimento rischioso la banca gli fa firmare il riquadro dove sta scritto che ha rifiutato il consiglio della banca e sono affari suoi. Il consiglio più elementare che viene dato a tutti è di evitare l'investimento in azioni se si rischia di aver bisogno del capitale nei prossimi cinque anni, ma di farlo se si può investire a più lungo termine. Inoltre è meglio che il piccolo risparmiatore che vuole investire in azioni non compri azioni individuali, ma investa i fondi cosa che permette di ripartire il rischio. Come vedi il mondo brutto e marcio in cui tu ti sei convinto di vivere non obbliga a chiudere il conto in banca agli stupidi. Sarebbe anche giusto che l'investimento in Borsa fosse incentivato più che l'investimento in BOT. Il problema però è che lo stato italiano - e quasi tutti gli altri stati europei - hanno bisogno di soldi e vogliono invece incentivare l'investimento in BOT. La regolamentazione bancaria è stata scritta per incentivare l'investimento in titoli di stato ! Giuseppe Picciolo ha detto: Per concludere. Siccome i risparmi, anche quelli del più microscopico dei risparmiatori, sono utili alla società e dovrebbero essere il motore dell'economia, quella che apparentemente ti sta tanto a cuore ma solo apparentemente, dovrebbero essere tutelati. E investire in borsa dovrebbe essere incentivato molto più dell'investire in BOT. Quindi i risparmiatori dovrebbero essere tutelati e informati correttamente senza dover frequentare un master in finanza e mercati.

Risposto da Fabio Colasanti su 3 Febbraio 2013 a 12:56 Dal sito http://mercati.borsa-finanza.com/ STORIA DEI TREND DEI MERCATI FINANZIARI Ciclicamente vengono fatti degli studi sull'andamento dei mercati finanziari nel corso degli anni. Questa sezione del sito riporta le statistiche di studi fatti sull'andamento dei mercati in periodi lunghi. Nella fattispecie qui sono inseriti gli studi riportati negli ultimi anni da Milano Finanza (utilizzato per la sua diffusione e la sua credibilità). Si noti bene: lo scopo non è assolutamente quello di sostenere che occorra buttarsi in Borsa come sembrerebbe dai risultati in esame, perchè per orizzonti temporali brevi la volatilità (quindi la rischiosità) è rilevante e, paradossalmente, l'azionario è molto più adatto per costruirsi la pensione che non per forme di investimento di breve periodo. Tuttavia è pur vero che le azioni sono frazioni di aziende e che le aziende mediamente fanno utili, del resto se l'imprenditore medio non riuscisse a guadagnare di più dell'investimento in titoli di Stato realisticamente cambierebbe lavoro, e l'ipotesi di una borsa rischiosa nel lungo periodo è l'ipotesi di una recessione permanente dove sia rischioso sia fare l'imprenditore per conto proprio che il dipendente...... 1/5/'98 Patrizio Merciai, direttore della Lombard Odier di Ginevra spiega: "L'investimento in azioni presenta un premio sul rischio rispetto alle obbligazioni, cioè alla lunga si guadagna di più, storicamente questo premio si avvicina al 5% sugli investimenti in titoli privi di rischio. Se quindi i Bot rendono il 4% ci si può aspettare un rendimento medio in azioni del 9%. Negli ultimi 115 anni i titoli di Stato a breve negli Usa hanno reso in media all'anno il 4,9%, quelli a più lunga scadenza il 5,3% e le azioni l'8,6%. In Svizzera, considerando gli ultimi 70 anni, le azioni hanno fatto guadagnare una media del 9,7% annuo ed i titoli di Stato a lunga scadenza il 4,6%".

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19/6/2000 Mario Gabelli [forse il più celebre investitore statunitense di origine italiana NDR] evidenza che dal 1926 al 1999 l'investimento in azioni nel mercato statunitense ha reso in media l'11,3%, quello in bond il 9,1% e l'inflazione è cresciuta del 3,1%; negli anni 90 l'investimento in azioni ha reso il 18%, quello in bond l'8,8% e l'inflazione è stata del 2,9%, un periodo irripetibile, durante il quale la strategia growth ha dato risultati migliori di quella value. 27/1/2001 Un $ investito nel 1802 in azioni americane avrebbe fruttato ben 7,7 milioni di $ alla fine del 1997 (ovviamente presumendo di reinvestire dividendi ed ogni altro tipo di guadagno prodotto nel frattempo dall'azione), contro 11,17 $ per l'investimento in oro, 3679 $ per l'investimento nei titoli a breve del governo USA e 10744 $ per l'investimento in obbligazioni. Mentre l'inflazione è stata tale che un $ del 1802 equivale a 13 del 1997. La superiorità delle azioni sulle obbligazioni è stata schiacciante in tutti i principali mercati finanziari nel corso del '900 ed in ben 4 mercati, Germania, Giappone, Italia e Francia, il rendimento medio reale (al netto dell'inflazione NDR) dei titoli ritenuti più sicuri e tranquilli, i bond, è stato addirittura negativo. In Italia, per esempio, tra il 1900 ed il 2000 il guadagno reale annualizzato delle azioni è stato del 2,7% (il più basso fra tutti i mercati analizzati) mentre le obbligazioni, compresi gli anni dei generosi rendimenti del debito pubblico fuori controllo, hanno reso in media, negativamente, -2,3% come dire che l'investitore ha perso in termini reali una parte del capitale investito. L'economia con il maggiore differenziale di rendimento annuo reale tra azioni e obbligazioni, nel corso del ventesimo secolo, è stata quella australiana (+6%), seguita dalla Svezia (+5,9%). Ma non è andata tanto male neppure agli investitori in azioni americane che hanno guadagnato in media il 5,4% in più all'anno di coloro che, più prudentemente, hanno scelto le obbligazioni, così come a quelli in capitali di rischio olandese (+4,9%). Ma quanto rischio in più hanno dovuto sopportare gli speculatori in capitale di rischio rispetto ai tranquilli possessori di Bot o Cct? Non un rischio estremamente superiore, visto che la deviazione standard delle azioni, che misura la volatilità media annua dei corsi, è stata del 20,1% e quella dei bond del 14,6% (dati riferiti al mercato inglese del '900). 24/5/2003 Nel lungo termine cosa rende di più? Le azioni, i titoli di Stato o la liquidità? Secondo gli analisti di Morgan Stanley, i mercati azionari sono la scelta vincente, anche se la più rischiosa. E lo dimostrano con dati alla mano. Uno degli effetti della crisi delle borse internazionali è stato quello di incrementare notevolmente la volatilità delle quotazioni. Per tutta risposta gli investitori hanno accorciato il loro orizzonte di riferimento al breve termine, non riuscendo a prevedere con una certa affidabilità gli sviluppi futuri. Secondo gli strategist dell'investment bank americana, "interrogarsi sulla superiorità delle azioni rispetto ad altre tipologie di investimento equivale a chiedersi se, nel lungo periodo, le economie continueranno a crescere; chi ha quindi fiducia nell'innovazione e nel progresso economico dovrebbe detenere azioni in portafoglio". Ma c'è un sistema per confrontare il ritorno delle azioni con quello dei bond? La formula di Gordon indica che il ritorno reale (al netto dell'inflazione) atteso delle azioni è uguale al rendimento corrente (pari al dividendo/prezzo) più il tasso di crescita reale del pil del paese. Attualmente in Europa si traduce in un +5% (+3,5% più 1,5%). Il paragone è facile, perchè i titoli governativi rendono meno della metà. La serie storica, su cui è basata l'analisi, fa riferimento agli Stati Uniti e parte dal lontano 1926. Da questi dati si rileva che 1 $ investito all'inizio del periodo nell'indice Standard & Poor's 500 valeva 1775 dollari alla fine del 2002, contro solo 60 dollari dei bond. Le azioni hanno reso quasi 30 volte di più. Ciò si traduce in ritorni annui nominali del 12% per le azioni e del 6% per i titoli governativi. Rispetto ai bond, puntare sulle borse ha però uno svantaggio: la maggiore volatilità dell'investimento (del 20% rispetto al 9% dei titoli di Stato fra 1926 e il 2002). Si può quindi concludere che i titoli azionari sono tipicamente un investimento a lungo termine. Le borse hanno sempre sovraperformato i bond in un orizzonte temporale di 30 anni, ma solo nel 60% dei casi se si considera un solo anno. 19/7/2003 Le notizie di Mediolanum (nota: è l'inserto promozionale di Banca Mediolanum): Chi avesse investito un dollaro nella borsa americana nel 1925 si troverebbe oggi con un capitale pari a 1719 dollari e qualche spicciolo. Lo stesso dollaro investito in obbligazioni avrebbe reso solo 60,2 dollari. Ancora minore la crescita per un ipotetico impiego in certificati a breve termine: l'investimento avrebbe permesso di accrescere il proprio capitale da 1 a 17,5 dollari. Il differenziale tra le azioni e le alternative offerte dal mercato è enorme e si commenta da solo.

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In termini di ritorno annualizzato, si ricava un rendimento medio del 10,2% per le azioni, del 5,5% per le obbligazioni e del 3,8% per i certificati a breve termine. Va aggiunto che questa analisi tiene anche conto di tutti i cali registrati dai listini azionari negli ultimi anni, quegli stessi cali che hanno allontanato tanti risparmiatori dalla borsa, poichè si spinge fino al marzo del 2003. Dà quindi una misura di quanto le crisi, anche relativamente pesanti e durature, possano essere poco influenti se si analizza il contesto sul lunghissimo periodo. I rapporti di forza non cambiano se si inserisce anche la variabile inflazione e si valuta quindi l'andamento reale delle varie alternative di investimento. In questo caso il rendimento medio annuo delle azioni è stato (sempre negli ultimi 80 anni) pari al 7,2%, quello delle obbligazioni al 2,5% (circa un terzo), quello del reddito fisso inferiore al punto percentuale. Un'altro studio, pubblicato sempre su Milano Finanza il 20/3/2004, è stato condotto da tre economisti della London Business shool ed inizialmente pubblicato da Abn Amro, ha preso come anno di partenza il 1900. Un periodo così lungo ha come elemento di "inquinamento" gli effetti delle due guerre mondiali, ma la sostanza come al solito non cambia. Anche nel caso dell'Italia le cifre parlano chiaro. Se si paragonano i ritorni reali (cioè quelli al netto dell'inflazione) dal 1900 al 2003 le azioni battono i bond. Le prime anno offerto un rendimento reale annuo del +2,2% contro il -1,9% dei titoli di stato ed il -3,9% degli impieghi a brevissimo termine; la cosa più significativa è che ancora una volta i titoli veramente rischiosi sono stati quelli obbligazionari, non riuscendo a tenere il passo con l'inflazione (che nel periodo considerato è stata dell'8,9% annuo). Fabio Marinelli ha detto: Si prega di mostrarle qui. Grazie i dati in mio possesso (di parte a favore della borsa) sono veramente sconfortanti. 150 anni di borsa

Risposto da Fabio Colasanti su 3 Febbraio 2013 a 13:01 Fabio, scusa la brutalità, ma quando ci vuole, ci vuole. Frequenta per favore un corso di economia, leggi qualche manuale e poi ne riparliamo. La frase in grassetto che citi è ovvia per chiunque abbia un minimo di conoscenze di economia. E' talmente ovvia che fa parte del bagaglio culturale di tutti partiti socialisti e socialdemocratici del mondo. Guarda il commento di Giuseppe A. : "La frase di Fabio C. relativa alle società per azioni è assolutamente evidente. E' normale che una qualsiasi azienda preferisca avere più capitali propri a disposizione piuttosto che ottenerli attraverso prestiti da remunerare ." Fabio Marinelli ha detto: ( ... ) Alla luce di quello che ho detto (e che mi diverto a scrivere anche nel mio blog), come puoi pensare anche solo per un momento che questa frase possa incoraggiare in qualche modo un risparmiatore: "E sappiamo tutti che le azioni sono una forma molto più sana di finanziamento delle aziende perché non le obbliga a rimborsi costosi quando le cose vanno male."

Risposto da giorgio varaldo su 3 Febbraio 2013 a 13:14 io sono abituato ad aver una sola faccia se in una cosa ci credo la fo se non ci credo non la fo neanche a bastonante. nel caso specifico delle azioni ci credo eccome ed ho pure realizzato ottimi guadagni e l'ultimo consistente guadagno è stato grazie alla tanto da te vituperata FIAT in maremma si dice un si da la topa a bimbi un sanno che farsene...al massimo ci strappano du' peli...

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Giuseppe Picciolo ha detto: Poi però non ti lamentare se mancano i risparmi per gli investimenti per la crescita e per il PIL. Io sono un piccolo risparmiatore e un pò orbo, per la auto sportive ho potuto farne a meno senza tanti rimpianti, di risparmiare invece non ho potuto evitarlo avendo due figli. Avrei potuto spenderli in vacanze e pilu ma ha prevalso il senso di responsabilità verso i figli. Non vorrei che capitasse a troppe altre persone. Ma ti rendi conto delle cazzate che scrivi? Io delle mie sono cosciente e non ho mai preso troppo sul serio questo forum. ma tu ci credi veramente a quello che scrivi? giorgio varaldo ha detto: esattamente come non si da una auto sportiva in mano ad un orbo. è meglio anche per lui Giuseppe Picciolo ha detto: E se non sono in grado di valutarla, non facciano i risparmiatori. Giusto? Per stare tranquilli dovremmo chiudere il conto in banca a tutti i risparmiatori che non sono in grado di valutare la rischiosità di un investimento. Cioè quasi a tutti. Risposte a questa discussione

Risposto da Fabio Marinelli su 4 Febbraio 2013 a 10:06 Frequentare un corso di economia mi aiuterà ad avere più fiducia nella borsa italiana e mondiale! Fabio Colasanti ha detto: La frase in grassetto che citi è ovvia per chiunque abbia un minimo di conoscenze di economia: "E sappiamo tutti che le azioni sono una forma molto più sana di finanziamento delle aziende perché non le obbliga a rimborsi costosi quando le cose vanno male."

Risposto da Fabio Marinelli su 4 Febbraio 2013 a 10:17 La borsa italiana ha fatto la depilazione integrale. Al massimo ci potranno investire gli investitori istituzionali: adesso se vai da qualcuno che ha ancora qualche spicciolo ti dirà: "io investo solo in roba sicura, l'importante è che non ci siano derivati e azioni di borsa". Altri dicono: "i soldi li metto sotto la mattonella" Un mio amico direttore di banca mi ha detto: "non ci crederai ma la gente mette i soldi nelle cassette di sicurezza. Ultimamente è un vero boom". giorgio varaldo ha detto: in maremma si dice un si da la topa a bimbi un sanno che farsene...al massimo ci strappano du' peli...

Risposto da adriano succi su 4 Febbraio 2013 a 17:15 Certamente non mi spaventa l' etichetta di superliberista affibbiata a Giannino. Però (tanto per citarne uno) , dice uno dei punti del suo decalogo di proposte:

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SOLO IL MERCATO E LA CONCORRENZA TRA ISTITUZIONI POSSONO VERAMENTE FERMARE IL DECLINO Chi glielo va a dire a Vendola e Fassina (ma anche a Salvatore e Sandra)? . Dati i meccanismi elettorali Italiani, che significa convivenza? A Giannino servirebbe entrare in coalizione col PD (ma non so se ce ne sia più il tempo) e raccogliere il 2%, oppure da solo, ma allora gli serve il 4%. Al Senato non c'è possibilità per la sua lista, ma forse lì potrebbe dare indicazione di votare PD, ma perché proprio il PD? Qualche settimana fa hanno lasciato andar via Ichino che era un pò meno liberista di Giannino, adesso a cercare l' Oscar si farebbe la figura di cercare lo Scilipoti di turno. Giorgio Mauri ha detto: PROPOSTA Non riesco a capacitarmi di come sia le destra sia il centro abbiano lasciato Gianninoal palo. Da parte mia proporrei alla direzione del PD di raggiungere un accordo per evitare di lasciare una risorsa intellettuale come Oscar fuori dal parlamento. Sono contrario ai personaggi che propongono il passato (e tale ho valutato Renzi, il quale era, però, vicinissimo a Oscar), ma ritengo che la sinistra debba arricchire se stessa con menti valide e informate, saltando finalmente il fosso dell'ideologia che ha prodotto, con D'Alema, "mostri" mai visti prima, ed ha calpestato, di fatto, la democrazia (bene supremo, irrinunciabile per qualsiasi visione si abbia del mondo). Probabilmente Giannino ha l'onestà intellettuale per accettare una convivenza con il PD, perché certamente non si aspetterebbe di vedere accolte le sue idee, ma dovrebbe rendersi conto che sarebbero invece molto ben accette ed ascoltate le sue critiche: il popolo della sinistra ha bisogno di confronti "seri" a 360° con persone serie, mentre è stomacato dai discorsi campati per aria, spesso da ex sindacalista, fatti di tabelle, norme più o meno inutili, postille da certosino, e tutto il resto che dimostra una sola cosa: come ci si deve comportare per non risolvere mai nessun problema e contemporaneamente affossarsi sempre di più nella melma. Una mossa come quella che propongo sarebbe un colpo di coda, a ridosso delle elezioni, che potrebbe spostare addirittura qualche punto percentuale, in quell'elettorato stomacato sia da berlusconi (volutamente minuscolo) sia da Monti, Casini e Montezemolo. Inoltre non farebbe perdere voti a sinistra del PD, perché Giannino, rifiutato da centro e da destra, non è percepito come "pericoloso ideologo" dalla stragrande maggioranza degli elettori.

Risposto da Fabio Colasanti su 4 Febbraio 2013 a 18:47 Giorgio, mi hai battuto sul tempo. Sono stato fuori tutta la giornata, ma stamattina quando ho aperto il Financial Times avevo pensato anch'io a riportare la notizia. Il discorso di Osborne è in linea con la politica che il governo inglese segue dalla pubblicazione, l'anno scorso, delle raccomandazioni della Commissione Vickers. Il tono del discorso esprime la frustrazione per le lamentele continue delle banche ed il velato ricatto di rallentare il credito all'economia. Vedi che gli inglesi sono, purtroppo, più seri di noi nel regolamentare le banche ? (come sto sostenendo da mesi). Oggi il Financial Times ha anche un editoriale dove si rammarica per l fatto che la Commissione europea, la Francia e la Germania stiano annacquando le proposte della Commissione Liikanen (che ha proposto la separazione come la commissione Vickers nel Regno Unito) mentre, secondo il giornale, dovrebbero renderle ancora più incisive. Domanda difficile. I governi di Francia, Germania, Italia e Spagna hanno veramente paura che una regolamentazione seria deprima troppo la crescita o sono influenzati dalle banche attraverso la "commissione malasana politica/banche" che è forte in tutti e quattro i paesi? Giorgio Mauri ha detto: Sottolineando una delle poche certezze che Giorgio Varaldo ha avuto il merito di evidenziare: "in maremma si dice un si da la topa a bimbi un sanno che farsene...al massimo ci strappano du' peli..." segnalo questa notizia che posto per permettere a chi è più informato di portare i ragguagli del caso. http://www.ilsole24ore.com/art/finanza-e-mercati/2013-02-04/banche-... Banche, Londra divide le attività d'investimento dal retail. Osborne: più tutela per il risparmio

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Londra – Un recinto ad alta tensione. Il Cancelliere dello Scacchiere britannico, George Osborne, nell'annunciare l'avvio dell'iter parlamentare della legge che dividerà le attività bancarie britanniche retail da quelle di investimento, ha confermato che Londra farà un passo in più a tutela dei risparmiatori. Un passo radicale che prevede la possibilità di separazione totale delle attività e delle società e non solo la protezione dell'area commerciale da quella di investimento. E' un' arma che il Tesoro vuole tenere in mano, strumento di riserva che George Osborne ha descritto così a un meeting negli uffici di Jp Morgan a Bornemouth. "Il mio alle banche è chiaro: se forzano le regole, le autorità di vigilanza e il Tesoro avranno gli strumenti per spezzarne l'assetto societario. Intendo separazione totale, non solo un recinto. Per usare il linguaggio in voga sarà un recinto ad alta tensione". Se lo valichi rischi la pelle. Il linguaggio usato dal Cancelliere è stato secco e diretto abbastanza da irritare le banche che vedono in questa precisazione un'incertezza sull'assetto futuro. In realtà il Cancelliere ha solo aggiunto significative correzione alla proposta tracciata nella Vickers Commission istituita dal governo per far fronte al too big to fail, ovvero al perverso scenario che si formò dopo il crack di Lehman. Fra le raccomandazione di sir John Vickers c'era appunto la separazione delle attività retail – destinati ad essere protette per evitare il danno ai risparmiatori – da quelle di investimento che verrebbero lasciate fallire. L'iter di legge comincia oggi con la presentazione della norma ai Comuni arricchito dall'arma tenuta segreta da George Osborne, l'opzione zero della separazione radicale per quelle banche che non dovessero seguire le nuove norme. E non solo. Contrariamente a quanto fino ad ora immaginato le due aree del banking, quella retail protetta dal rischio fallimento, e quella di investimento esposta a un eventuale crack avranno ceo differenti. "Il 2013, credetemi – ha detto George Osborne sarà l'anno in cui rinasce il sistema bancario britannico". PS - Mi chiedevo, avendo poco tempo e tanta ignoranza sugli argomenti, se questa è una notizia o meno. E, qualora sia una notizia, se va nella direzione di ripristinare quel sano assetto della finanza rotto da Carter e Reagan a inizio anni 80, che dopo un decennio di euforico ottimismo, ha creato il baratro in cui è sprofondata l'economia occidentale vittima sì della globalizzazione, ma anche della deregulation. Mi chiedevo anche perché Monti non proferisca mai parole CHIARE su questi argomenti, come invece non si peritano di fare molti a destra e qualcuno a sinistra. ( ... )

Risposto da Fabio Marinelli su 4 Febbraio 2013 a 23:38 Giorgio M. condivido quello che hai detto. Il filosofo Jonas critica sia il marxismo che il capitalismo, perché sono due facce della stessa medaglia dell’utopismo prometeico dell’Occidente: in essi si sentono frasi come “potere è sapere”, “il tempo è denaro”, “asservimento della natura per il progresso”. Finite le ideologie sono rimasti solo il potere e il denaro, il potere di solito serve per fare denaro. Oppure come dicono i siciliani: "cumannari è megghiu ca futtiri" Giorgio Mauri ha detto: Per l'europa continentale opto per la tesi della collusione finanza/economia, che poggia le sue radici sia nelle ideologie del comunismo occidentale (senti D'Alema, per es.) sia in quel guazzabuglio che è rappresentato in tutti i paesi europei, dal centro. Credevo che il finanziamento ai partiti avrebbe permesso di creare, nel tempo, una maggiore libertà d'azione per i politici, ma pare che la voracità sia una prerogativa degli esseri umani diffusissima in ogni umanoide, ma esagerata nell'homo politicus.

Risposto da Fabio Colasanti su 7 Febbraio 2013 a 8:53

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andiamo bene ! Dove ci si gira, si scoprono truffe e corruzione. Giuseppe Picciolo ha detto: Mps, Gdf sequestra 40 milioni "scudati" Mussari e Vigni indagati per Antonveneta "Manipolazione del mercato" - Rep Tv Greco Si chiariscono le contestazioni dei pm di Siena per la vecchia dirigenza: l'ex presidente e l'ex dg (nella foto) accusati di aver diffuso voci false per far salire il titolo in Borsa; altri dirigenti di aver mentito a Bankitalia e Consob. Perquisizioni della Finanza in Bpm Ai domiciliari l'avvocato Amoruso Battista Secondo l'ipotesi accusatoria l'avvocato, in rapporti privilegiati con l'ex presidente di Piazza Meda, Massimo Ponzellini, avrebbe oliato l'erogazione di finanziamenti alla società di giochi in cambio di una tangente da 2 milioni

Risposto da Fabio Colasanti su 8 Febbraio 2013 a 12:33 Se il governo Obama è sceso in campo con il ministro della giustizia deve ritenere di avere buone probabilità di successo nel processo che si aprirà. Si parla di migliaia di e-mail compromettenti. Me lo auguro. In ogni caso il governo americano attacca quella che è sempre stata ritenuta la più criticabile tra le attività delle agenzie di rating : la valutazione di prodotti specifici, fatta dietro pagamento da parte di chi offre questi stessi prodotti (con quindi un conflitto d'interessi monumentale). La procura di Roccacannuccia di Sotto invece si è lanciata sui rating degli stati sovrani - dove non a priori non c'è nessun conflitto di interessi - utilizzando i materiali a sua disposizione: le fionde. Velleitarismo e presenzialismo. Giuseppe Picciolo ha detto: La procura di New York indaga sulle agenzie di rating Nel mirino del procuratore Scheiderman la condotta delle società durante la crisi. Richieste informazioni sull'andamento dei rating. Obama vuole chiedere un risarcimento anche a Moody's Trani è una piccola procura e poi è in Italia.

Risposto da Giuseppe Ardizzone su 18 Febbraio 2013 a 20:09 MI sembra doveroso dare voce anche in questo spazio alle argomentazioni espresse da A. Profumo nell'articolo che vi segnalo. Al di là delle manovre poco corrette e dell'operazione Antonveneta gran parte dei problemi di carattere patrimoniale, come spesso abbiamo fatto presente, nascono dalle valutazioni prudenziali dell'EBA in riferimento alla valutazione dei titoli di stato italiani all'interno delle attività ( valutati al loro valore di mercato e non di rimborso). Mi chiedo: se si tenessero in portafoglio sino alla loro naturale scadenza, si dovrebbero poi conteggiare delle plusvalenze? Capisco le considerazioni di prudenza generale legate ad una architettura dell'euro lacunosa ma francamente trovo penalizzante per il sistema Italia questa situazione. Trovo inoltre paradossale che sia una istituzione europea a dubitare della solvibilità dei singoli stati membri che la compongono mettendo in dubbio implicitamente sia l'efficacia di un fondo salvastati che la stessa possibile azione di calmiere del mercato svolta di fatto dalla BCE .Mi meraviglio tra l'altro che non sia oggetto di opportuna riflessione. http://www.ilsole24ore.com/art/commenti-e-idee/2013-02-17/perche-mo...

Risposto da Fabio Colasanti su 19 Febbraio 2013 a 0:30

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Giuseppe, su questo punto siamo in disaccordo profondo. Io penso che gli stati si debbano dare regole che non li mettano di nuovo in balia delle banche. Questo significa regole prudenziali più severe anche se durante la transizione ai nuovi valori per i vari coefficienti alcune banche possono vedere la loro atività di prestito ridotta. Il rischio di "credit crunch" è il prezzo che dobbiamo pagare per avere un sistema finanziario più stabile. Le banche hanno già ottenuto l'allentamento di tante regole prudenziali con il ricatto del "credit crunch", non possiamo sottostare sempre a questo ricatto. Mi dispiace che su questo punto inglesi e americani si mostrino più seri di francesi, tedeschi e italiani. Per anni le organizzazioni internazionali ci dicevano che c'era un grosso problema con le banche europee, ma gli stati europei continentali non volevano ammetterlo (erano veramente nelle mani delle banche). Perfino la reazione iniziale sbagliata al problema greco è stata dovuta al tentativo di risparmiare le banche europee. Penso che ci sia un vero problema politico. I governi devono affrancarsi da questo allineamento sulle posizioni delle banche, da questa sudditanza rispetto alle posizioni dei dirigenti bancari. Abbiamo chiesto all'EBA di fare vari stress test per rassicurarci sullo stato delle banche europee. Tutti si sono messi a ridere quando hanno visto i primi risultati. Il motivo dell'ilarità è che si era sempre partiti dall'idea che uno stato europeo non potesse fallire. All fine del 2011 la Grecia era ufficialmente fallita. Come era possibile mantenere la finzione che i titoli di stato fossero senza rischi? L'EBA ha dovuto includere i titoli di stato nell'esercizio per non diventare ridicola. Non si può rimproverare all'EBA una scelta che ha cercato di non fare per un anno e che ha poi dovuto fare sotto la spinta dei fatti. Seriamente, se fai uno stress test di una banca, come fai a non tener conto del rischio eventuale sui titoli di stato? Sarebbe ridicolo escluderli. Il problema delle plusvalenze non si pone. Gli stress test sono fatti in momenti particolari e le banche devono costituire delle riserve sulla base dei valori del momento. Se dopo un anno il valore dei titoli sarà salito, il buffer da costituire sarà ridotto, ma non si pone un problema di conteggio delle plusvalenze. La disponibilità di credito non è tutto. Ti allego uno studio che mostra che quasi tutte le riprese si sono realizzate nonostante il credit crunch. Giuseppe Ardizzone ha detto: MI sembra doveroso dare voce anche in questo spazio alle argomentazioni espresse da A. Profumo nell'articolo che vi segnalo. Al di là delle manovre poco corrette e dell'operazione Antonveneta gran parte dei problemi di carattere patrimoniale, come spesso abbiamo fatto presente, nascono dalle valutazioni prudenziali dell'EBA in riferimento alla valutazione dei titoli di stato italiani all'interno delle attività ( valutati al loro valore di mercato e non di rimborso). Mi chiedo: se si tenessero in portafoglio sino alla loro naturale scadenza, si dovrebbero poi conteggiare delle plusvalenze? Capisco le considerazioni di prudenza generale legate ad una architettura dell'euro lacunosa ma francamente trovo penalizzante per il sistema Italia questa situazione. Trovo inoltre paradossale che sia una istituzione europea a dubitare della solvibilità dei singoli stati membri che la compongono mettendo in dubbio implicitamente sia l'efficacia di un fondo salvastati che la stessa possibile azione di calmiere del mercato svolta di fatto dalla BCE .Mi meraviglio tra l'altro che non sia oggetto di opportuna riflessione. http://www.ilsole24ore.com/art/commenti-e-idee/2013-02-17/perche-mo... Allegati:

Can_Europe_recover_without_credit.pdf, 247 KB

Risposto da Giuseppe Ardizzone su 19 Febbraio 2013 a 18:40 Fabio, non siamo in disaccordo sull’autonomia della politica dal sistema bancario o sull’opportunità di non ripetere la sistemazione delle perdite derivanti da una cattiva erogazione del credito. Il nostro disaccordo è forte nei confronti della decisione di valutare prudenzialmente i titoli di stato al valore di mercato. Non parlo inoltre di tutti i titoli di stato, ma dei titoli emessi dai paesi dell’area euro. Capisco la prudenza per far sì che in nessun caso, neanche in quello malaugurato del fallimento di uno stato membro, le banche che hanno in

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portafoglio quei titoli, possano trovarsi in una situazione di collasso finanziario; ma, il problema è tollerare anche la possibilità più lontana che questo accada. Il problema che ha evidenziato la vicenda Greca e da cui dobbiamo uscire è questo: porre in atto dei meccanismi che diano la certezza al mercato ed a noi stessi che non permetteremo a nessuno stato membro di fallire, purché rispetti le politiche concordate. Se abbiamo messo in piedi un fondo salva-stati, se stiamo costruendo una sorveglianza centrale europea sul sistema bancario con adeguate garanzie per i depositanti, se la BCE ha deciso d’intervenire sul mercato secondario con acquisto di titoli di stato per assicurare la necessaria liquidità del sistema, se gli stati membri si sono impegnati a sottoscrivere le regole del "fiscal compact", significa che il “ fallimento “ di uno stato membro è da ritenere “ impensabile”. Questa è la base del discorso. Se c’è anche un minimo dubbio o peggio un retropensiero diverso da parte di qualcuno dei componenti dell’area, siamo già pronti al fallimento del progetto della moneta unica. Solo se escludiamo questa possibilità possiamo andare avanti e pretendere che chi sta dentro s’impegni al rispetto delle regole comuni o scelga liberamente di uscire dall’area. Tutto questo perché non è ininfluente il criterio di valutazione dei titoli di stato nelle operazioni creditizie. Pensa se per analogia si dovesse prudenzialmente ridurre il valore del credito di firma dello stato o la sua diretta responsabilità. Che cosa succederebbe nei bilanci delle Banche italiane? Quanti rischi in più sarebbero evidenziati rispetto a quelli attuali? Pensa ancora che nel mese di giugno 2012 l’esposizione del sistema bancario verso le Amministrazioni pubbliche italiane era di 351 miliardi d’euro, 110 in più rispetto al Settembre del 2011. L’aumento è dovuto agli acquisti di titoli effettuati all’inizio del 2012, in gran parte per l’esigenza di impiegare (?) la liquidità ottenuta mediante le due operazioni di finanziamento triennali dell’Eurosistema. Gli acquisti hanno portato la consistenza complessiva dei titoli a 297 miliardi. Il fatto positivo è che il valore dei titoli pubblici italiani a medio e a lungo termine di proprietà delle banche è attualmente superiore del 2,5 per cento rispetto a quello di settembre dello scorso anno (data di riferimento per determinare il buffer di capitale richiesto dall’EBA per fronteggiare le potenziali perdite sul portafoglio valutato al valore di mercato) Pensa se per qualche malaugurato motivo (crisi politica ecc) lo spread dovesse peggiorare con la contemporanea svalutazione del valore di mercato dei titoli pubblici in portafoglio, che conseguenze vi sarebbero per il sistema creditizio. Il sistema italiano non è stato caratterizzato né da un elevato e spropositato debito delle famiglie né delle imprese.I criteri utilizzati per la concessione dei prestiti da parte delle Banche sono stati sufficientemente prudenziali e non vi è un pericolo d’insolvenza tale da mettere in crisi il sistema bancario. Vi è un problema di redditività è vero ma si sta riuscendo in qualche modo a gestirlo. I vari indici di capitalizzazione, in quest’ultimo anno, sono anche migliorati e le prospettive sono positive. La separazione fra l’attività delle banche commerciali e d’investimento, in Italia, sarà, se attuata, più indolore rispetto ad altri paesi e con un meno significativo “credit crunch”. Per questo insisto nel sottolineare la necessità di non eccedere nella prudenza ma semmai nel coraggio comunitario, assumendoci anche dei rischi. La mia è una valutazione di carattere politico più che strettamente economico. Ritengo che sia opportuno assumersi dei rischi e ritornare alla precedente valutazione dei titoli di stato mentre si pretenda invece la separazione fra le attività d'investimento e quelle creditizie e di deposito. Riguardo poi all’intromissione della dirigenza delle banche nella politica, temo piuttosto il contrario: la subordinazione dell’attività delle banche agli interessi di parti politiche o di gruppi economici privati.

Risposto da Fabio Colasanti su 20 Febbraio 2013 a 10:38 Giuseppe, ritorno sul problema della valutazione dei titoli di stato dei paesi europei. Il precedente della Grecia è pesante. In coro, tutti i responsabili politici hanno affermato a suo tempo che il caso greco sarebbe stato un caso isolato che non si sarebbe riprodotto mai più (hanno dovuto farlo proprio perchè tutti pensano invece che sia, appunto, un precedente).

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Adesso l'opposizione portoghese chiede una ristrutturazione del debito pubblico portoghese - un default parziale - come quello greco. Opposition leader says Portugal could save €15bn through bailout restructuring Socialist opposition leader António José Seguro said that if Portugal were granted the same restructuring as Greece, the country would save about €15bn over the life-span of the loan, Jornal de Negocios reports. It would also ease public spending in the next decade by €1.3bn annually according to simulations of Teresa Gil Pinheiro from the Portuguese Investment Bank, the article goes on.

Risposto da Giampaolo Carboniero su 20 Febbraio 2013 a 16:54 Forse molto dipende dal fatto che i mercati non si fidano della politica unitaria europea, in quanto i nostri politici appaiono come tanti fratelli coltelli ormai sempre più pronti a sgambettarsi e farsi ognuno i propri interessi, anche a scapito degli altri. Spero proprio che il csx, in questo caso, segua l'esempio degli inglesi, anche la minaccia più estrema. Risposte a questa discussione

Risposto da Fabio Colasanti su 20 Febbraio 2013 a 17:23 Giampaolo, qui l'unica cosa che conta è il precedente. Una volta che un paese ha fatto default, perchè non potrebbe farlo un altro? Nel caso particolare i socialisti portoghesi si sbagliano di grosso, il paese è appena ritornato sul mercato per scadenze non molto lunghe; parlare di ristrutturazione del debito significa veramente darsi la zappa sui piedi e fare scappare gli investitori. Ma il motivo principale per il quale ho citato la posizione dei socialisti portoghesi è il fatto che con Giuseppe A. stavamo discutendo della giustezza o meno della richiesta, fatta dalla EBA (European Banking Authority) nel quadro delle verifiche sul livello di capitalizzazione delle banche, di tener conto dei titoli di stato al loro valore di mercato e non a quello nominale. Giuseppe A. considera la misura eccessiva, ma se si continua a parlare di possibilità di ristrutturazione o default sui titoli di stato europei, forse la EBA non ha torto. Per quanto riguarda l'altro punto, immagino tu ti riferisca alla vecchia idea di un programma di progetti di infrastrutture finanziato a livello europeo (con emissione di titoli garantiti da tutti i paesi membri). C'è una bella differenza tra il puntare i piedi quando gli altri chiedono qualcosa a te e quando hanno assolutamente bisogno del tuo voto (vedi il caso del bilancio comunitario), e puntarli quando se tu a chiedere qualcosa, non hai nessuna arma negoziale in mano e hai invece bisogno dell'accordo di tutti gli altri per avere quello che vuoi. Giampaolo Carboniero ha detto: Forse molto dipende dal fatto che i mercati non si fidano della politica unitaria europea, in quanto i nostri politici appaiono come tanti fratelli coltelli ormai sempre più pronti a sgambettarsi e farsi ognuno i propri interessi, anche a scapito degli altri. Spero proprio che il csx, in questo caso, segua l'esempio degli inglesi, anche la minaccia più estrema.

Risposto da Giuseppe Ardizzone su 3 Marzo 2013 a 21:58 http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2013-02-03/tempo-completare-... Anche Amato è critico sulle Fondazioni ed il loro ruolo nelle banche

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Risposto da Fabio Colasanti su 3 Marzo 2013 a 22:53 Buon articolo, grazie. Giuseppe Ardizzone ha detto: http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2013-02-03/tempo-completare-... Anche Amato è critico sulle Fondazioni ed il loro ruolo nelle banche

Risposto da Fabio Colasanti su 22 Luglio 2013 a 14:05 Tobin Tax: Italia e Francia, la Ftt mette in fuga i capitali EurActiv. it - 16 Luglio 2013 Giuseppe Latour Il terremoto della Tobin Tax comincia a lasciare i primi caduti sul campo. I segnali in arrivo da Francia e Italia, gli apripista della tassa sulle transazioni finanziarie, stanno dando ragione agli scettici: la cosiddetta “Ftt” sta portando un calo degli scambi nei mercati che la applicano, una migrazione dei capitali verso i paesi con regime fiscale più favorevole e una contrazione del gettito rispetto alle previsioni. Praticamente, tutto quello che il governo Monti, al momento del varo dell’imposta, sperava di evitare. Il quadro in Europa La tassa in Italia è già in vigore dal primo marzo per le transazioni di azioni. Per i derivati sarà applicata invece dal primo settembre, in base a una introdotta dal decretoFare. Roma è arrivata seconda dopo Parigi nell’applicazione del balzello. In Francia, infatti, questo è in vigore dallo scorso primo agosto. Nel resto d’Europa si procederà a macchia di leopardo. Ci sono, infatti, altri nove paesi pronti ad adottare l’imposta a breve, seppure con tempi e regimi differenziati: Spagna, Austria, Belgio, Germania, Estonia, Grecia, Portogallo, Slovacchia e Slovenia. Mentre l’introduzione armonizzata tramite cooperazione rafforzata potrebbe tardare ancora molto. Si parla di metà 2014, ma solo se sarà trovato un accordo entro la fine di quest’anno tra i membri. Evidentemente, i dubbi di Gran Bretagna e Svezia, alla fine, hanno fatto breccia. In Francia contrazione del 15% E i fatti, guardando i primi risultati applicativi, sembrano dare ragione agli scettici. IlFondo monetario internazionale, per bocca del direttore del dipartimento per le Politiche fiscali Carlo Cottarelli, ha spiegato che la Tobin tax in Francia e Italia ha ridotto il numero delle transazioni: “Anche se in Italia e in Francia le imposte sulle transazioni finanziarie hanno aliquote basse, c'è evidenza del calo dell'ammontare delle transazioni dopo l'introduzione della tassa”. Oltralpe la contrazione sarebbe addirittura pari al 15%, secondo le rilevazioni della banca d’affari Merrill Lynch. Il motivo è chiaro: “C'è un effetto distorsivo sull’attività derivante dall'introduzione di transaction taxes. La tendenza è quella di spostare altrove la propria attività”. Gettito in calo di 800 milioni Questo produce effetti sul gettito. Ovviamente, in negativo. Secondo le prime stime, nonostante l’obiettivo del Governo fosse di raccogliere almeno un miliardo all’anno, ci si dovrebbe fermare a poco più di 200 milioni di euro. La contrazione dei volumi di affari in Italia, addirittura, sarebbe molto superiore rispetto ala Francia. Il problema è anche legato al momento in cui si colpiscono gli operatori: la tassazione delle singole attività facilita la fuga di capitali. “La nostra posizione – dice ancora Cottarelli - è che ci sono forme di tassazione migliori della Tobin tax. Nel 2010 abbiamo proposto la Financial stability charge, una tassa la cui base imponibile fa riferimento al bilancio dei soggetti finanziari, visto dal lato delle attività o delle passività. O la Financial activity tax, che applica la tassa alla somma di utili e retribuzioni e sostituisce l'assenza dell'Iva per le banche”. In questo modo si effettua il prelievo a valle delle singole operazioni. Fuga verso l'estero A preoccupare c’è anche il fatto che si sta verificando l’effetto di distorsione del mercato che molti avevano previsto al momento dell’introduzione della novità. I capitali viaggiano verso quei paesi che non introdurranno la tassa. Il riassetto è molto pesante, sia all’interno dell’Unione europea, con migrazioni verso Gran Bretagna, Malta e Olanda, sia fuori dall’Ue. A essere colpiti, nei fatti, sono soprattutto i piccoli operatori privati, perché i grandi trader stanno tutti

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scappando, a caccia del regime fiscale più favorevole. A questo punto la creazione di una norma armonizzata con la cooperazione rafforzata rischia di naufragare miseramente.

Risposto da Fabio Colasanti su 22 Luglio 2013 a 14:07 Ripropongo qui (posto più appropriato), un intervento che avevo messo nella discussione "Europa". Aggiungo qualche cifra interessante sui problemi del nostro settore bancario. Il giro d'affari - in termini più corretti, le "attività" delle banche della zona euro (prestiti alle famiglie, prestiti alle imprese, acquisti di titoli di stato e investimenti in prodotti finanziari offerti da altri organismi) - è attualmente pari a circa 33mila miliardi di euro. Una cifra pari a tre volte e mezzo il PIL della zona (350 per cento). Nel caso del Regno Unito questa percentuale sale al 450 per cento. Ma in Canada, Australia e Giappone la percentuale è del 200 per cento e negli Stati Uniti è circa il 100 per cento. Il settore bancario nella zona euro (senza quindi il Regno Unito) è, rispetto alle dimensioni dell'economia, tre volte e mezzo più grande di quello americano. Queste cifre ci danno un'idea dell'aggiustamento che il settore deve fare. Uno studio recente della Royal Bank of Scotland (tra l'altro banca nazionalizzata per essere salvata dal fallimento) ariva alla conclusione che il settore bancario della zona euro dovrà ridurre le sue attività di quasi il dieci per cento entro il 2016 per rispettare le regole già decise. C'è però una contropartita spiacevole. Riduzione delle "attività", ridimensionamento del settore bancario, significa meno investimenti in prodotti finanziari, ma anche meno acquisti di titoli di stato e meno prestiti alle imprese in difficoltà e con progetti industriali dubbi. Queste non sono buone notizie per i paesi con alti livelli di debito pubblico e con imprese in difficoltà che non hanno buoni progetti di investimento. Fabio Colasanti ha detto: Giuseppe, hai ragione sul fatto che una parte grossissima dei nostri problemi sono dovuti alla debolezza del nostro sistema bancario (che i nostri governi si rifiutano di ristrutturare e rimpicciolire). Dall'inizio della crisi ad oggi i governi europei hanno promesso aiuti alle banche per 4900 miliardi di euro (4.9 migliaia di miliardi). Ne sono stati effettivamente pagati 2400, di cui 700 sono stati restituiti. L'esborso netto fino ad oggi è di 1700 miliardi di euro, più del PIL italiano di un anno. Gli americani sono intervenuti più rapidamente. Hanno subito messo sul tavolo 700 miliardi di dollari, hanno forzato la chiusura di 500 banche e hanno già ottenuto la restituzione dei 700 miliardi con gli interessi. Le banche americane prestano alle imprese e l'economia americana cresce. Le nostre banche sono degli zombie nelle parole di uno dei partecipanti al seminario, Daniel Gros, e le nostre economie non crescono (carico un breve documento di due pagine che lui ha scritto) Giuseppe Picciolo ha detto: La crisi dell'Unione europea è oggi anche una crisi del debito nazionale. Questa è laconseguenza delle crisi economiche e del salvataggio delle banche. Creata esclusivamente come unione monetaria senza la contemporanea creazione di un'unione politica e di un forte Parlamento europeo, la zona Euro sta dimostrando di essere il maggiore ostacolo al superamento della crisi. L'UE è nel pieno di una seria crisi di identità: l' “idea europea” viene sempre più screditata. ( ... )

Risposto da Giampaolo Carboniero su 23 Luglio 2013 a 1:04

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Torno a riproporti la domanda: in Europa ci sono i furbi e i fessi? Vai avanti tu che mi viene da ridere diceva una vecchia battuta; la tassa funziona solo se applicata da tutta la zona euro, meglio, da tutta l'Unione, quando non si vuole qualcosa, la si fa male, si ha così la scusa per non farla; lascia perdere la Gran Bretagna, il cui sogno è il fallimento dell'unione politica ( divide et impera dicevano i vecchi tattici latini, evidentemente gli altri non hanno imparato la lezione). Fabio Colasanti ha detto: Tobin Tax: Italia e Francia, la Ftt mette in fuga i capitali EurActiv. it - 16 Luglio 2013 Giuseppe Latour Il terremoto della Tobin Tax comincia a lasciare i primi caduti sul campo. I segnali in arrivo da Francia e Italia, gli apripista della tassa sulle transazioni finanziarie, stanno dando ragione agli scettici: la cosiddetta “Ftt” sta portando un calo degli scambi nei mercati che la applicano, una migrazione dei capitali verso i paesi con regime fiscale più favorevole e una contrazione del gettito rispetto alle previsioni. Praticamente, tutto quello che il governo Monti, al momento del varo dell’imposta, sperava di evitare. Il quadro in Europa La tassa in Italia è già in vigore dal primo marzo per le transazioni di azioni. Per i derivati sarà applicata invece dal primo settembre, in base a una introdotta daldecreto Fare. Roma è arrivata seconda dopo Parigi nell’applicazione del balzello. In Francia, infatti, questo è in vigore dallo scorso primo agosto. Nel resto d’Europa si procederà a macchia di leopardo. Ci sono, infatti, altri nove paesi pronti ad adottare l’imposta a breve, seppure con tempi e regimi differenziati: Spagna, Austria, Belgio, Germania, Estonia, Grecia, Portogallo, Slovacchia e Slovenia. Mentre l’introduzione armonizzata tramite cooperazione rafforzata potrebbe tardare ancora molto. Si parla di metà 2014, ma solo se sarà trovato un accordo entro la fine di quest’anno tra i membri. Evidentemente, i dubbi di Gran Bretagna e Svezia, alla fine, hanno fatto breccia. In Francia contrazione del 15% E i fatti, guardando i primi risultati applicativi, sembrano dare ragione agli scettici. IlFondo monetario internazionale, per bocca del direttore del dipartimento per le Politiche fiscali Carlo Cottarelli, ha spiegato che la Tobin tax in Francia e Italia ha ridotto il numero delle transazioni: “Anche se in Italia e in Francia le imposte sulle transazioni finanziarie hanno aliquote basse, c'è evidenza del calo dell'ammontare delle transazioni dopo l'introduzione della tassa”. Oltralpe la contrazione sarebbe addirittura pari al 15%, secondo le rilevazioni della banca d’affari Merrill Lynch. Il motivo è chiaro: “C'è un effetto distorsivo sull’attività derivante dall'introduzione di transaction taxes. La tendenza è quella di spostare altrove la propria attività”. Gettito in calo di 800 milioni Questo produce effetti sul gettito. Ovviamente, in negativo. Secondo le prime stime, nonostante l’obiettivo del Governo fosse di raccogliere almeno un miliardo all’anno, ci si dovrebbe fermare a poco più di 200 milioni di euro. La contrazione dei volumi di affari in Italia, addirittura, sarebbe molto superiore rispetto ala Francia. Il problema è anche legato al momento in cui si colpiscono gli operatori: la tassazione delle singole attività facilita la fuga di capitali. “La nostra posizione – dice ancora Cottarelli - è che ci sono forme di tassazione migliori della Tobin tax. Nel 2010 abbiamo proposto la Financial stability charge, una tassa la cui base imponibile fa riferimento al bilancio dei soggetti finanziari, visto dal lato delle attività o delle passività. O la Financial activity tax, che applica la tassa alla somma di utili e retribuzioni e sostituisce l'assenza dell'Iva per le banche”. In questo modo si effettua il prelievo a valle delle singole operazioni. Fuga verso l'estero A preoccupare c’è anche il fatto che si sta verificando l’effetto di distorsione del mercato che molti avevano previsto al momento dell’introduzione della novità. I capitali viaggiano verso quei paesi che non introdurranno la tassa. Il riassetto è molto pesante, sia all’interno dell’Unione europea, con migrazioni verso Gran Bretagna,Malta e Olanda, sia fuori dall’Ue. A essere colpiti, nei fatti, sono soprattutto i piccoli operatori privati, perché i grandi trader stanno tutti scappando, a caccia del regime fiscale più favorevole. A questo punto la creazione di una norma armonizzata con la cooperazione rafforzata rischia di naufragare miseramente.

Risposto da Fabio Colasanti su 23 Luglio 2013 a 9:26 Giampaolo,

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i fatti citati nell'articolo confermano quello che avevo detto da sempre sulla Financial Transaction Tax: che era sbagliata e non risolveva nessuno dei problemi contro i quali giustamente inveiamo. Per motivi di realismo non ero assolutamente contro visto che gli stati hanno bisogno di soldi e, dato che questa tassa sembrava popolare, tanto valeva provare a raccogliere un po' di soldi con questa. Ma le motivazioni popolari dietro questa tassa sono sbagliate, anzi sbagliatissime. E' un caso classico che mostra perché ogni proposta legislativa o normativa deve essere sempre accompagnata da un'analisi di impatto che spieghi quale è il problema che si vuole risolvere, quali sono i dati che mostrano le dimensioni del problema, cosa hanno detto le parti interessate nell'obbligatoria consultazione preventiva, quale è il risultato possibile delle varie opzioni disponibili, quale è l'impatto della soluzione prescelta, quale sarà l'impatto sulle piccole e medie eimprese, quale sarà l'impatto sulla pubblica amministrazione, quale sarà il settore della pubblica amministrazione incaricato di applicare la norma e con quali risorse lo farà, e via così. Tra l'altro, l'Impact Assessment fatto dalla Commissione europea mostrava chiaramente l'inutilità della tassa per gli scopi dichiarati, ma i governi l'hanno ignorato. Nel 2007/2008 il mondo finanziario ha provocato la peggiore crisi economica del dopoguerra. La crisi è venuta dagli Stati Uniti ed è stata provocata dalla deregolamentazione degli anni novanta e dalla malintesa volontà di far si che chiunque potesse ottenere un mutuo ipotecario per comprarsi casa, anche chi chiaramente non aveva le risorse per ripagarlo. I danni sono stati enormi e non ne siamo ancora usciti. Gli americano sono stati capaci di agire e corregere la situazione e oggi hanno banche che funzionano, che sostengono un economia che cresce e crea posti di lavoro. I governi europei, a causa dei legami malsani tra politica e banche, non hanno voluto agire e ci ritroviamo con un settore bancario che è tre volte e mezzo più grande di quello americano (rispetto alle dimensioni dell'economia), delle banche "zombie" che non sono in grado di prestare soldi alle imprese ed un'economia che non cresce. In tutto questo la Financial Transaction Tax c'entra come i cavoli a merenda. Non risolve nessuno dei problemi che abbiamo ed è solo una maniera di far cassa che, oltre e tutto, funziona male. Se l'obiettivo era quello di far cassa, era meglio introdurre una tassa sul giro d'affari delle banche (che non avrebbe provocato un grosso spostamento delle attività verso altri paesi). Se l'obiettivo era quello di rendere il sistema finanziario meno fragile e meno capace di ricattare i governi in caso di difficoltà allora bisognava spaccare le grosse banche per aumentare la concorrenza, per far si che non ci siano più banche "too big to fail", aumentare i coefficienti di capitale e di liquidità in maniera seria, forzare le banche in difficoltà a riconoscere le perdite, chiudere le banche che non possono sopravvivere (gli americani ne hanno chiuse 500) e prendere tante altre misure. In questa lunga lista di cose da fare la Financial Transaction Tax non c'entra nulla. Inoltre si sapeva fin dall'inizio che la tassa avrebbe dato almeno un gettito fiscale solo se applicata in tutto il mondo (cosa impossibile). Gli svedesi hanno introdotto la Financial Transaction Tax agli inizi degli anni novanta, quando hanno avuto la loro crisi bancaria, e l'hanno soppressa dopo solo un anno davanti all'evidenza della sua inutilità. In tanti paesi europei la Financial Transaction Tax è diventata il segnale della frustrazione - giustificatissima - delle popolazioni contro il settore finanziario. Ma le banche non pagano la Financial Transaction Tax, la pagano le persone o le imprese che acquistano azioni, obbligazioni o prodotti derivati. La Financial Transaction Tax non è una tassa sulle banche, ma è una tassa su chi compra certi prodotti finanziari comprese le azioni di cui le nostre imprese hanno assolutamente bisogno. Uno dei problemi delle nostre economie è che le imprese dipendono troppo dai prestiti bancari e non si finanzano abbastanza con azioni e obbligazioni. E con la Financial Transaction Tax siamo andati a tassare l'acquisto di azioni e obbligazioni. Più masochisti di così si muore. L'unico problema per le banche è lo spostamento delle transazioni verso paesi dove non c'è la tassa, con conseguente perdita delle commissioni su queste transazioni. Se la Financial Transaction tax fosse esistita da dieci anni, avremmo avuto la crisi del 2007/2008 esattamente nella stessa maniera. Molti governi si sono inclinati alla pressione popolare per il motivo che ho spiegato tante volte: i nostri governanti vogliono essere rieletti e quindi fanno quello che gli elettori richiedono, poco importa che sia sbagliato (e che i governanti sanno essere sbagliato). E l'hanno fatto per dare l'impressione di essere "duri" con il settore finanziario quando in realtà non lo sono affatto. La lunga lista di misure che ho elencato prima viene messa in opera, ma troppo timidamente e con poca efficacia. Giampaolo Carboniero ha detto: Torno a riproporti la domanda: in Europa ci sono i furbi e i fessi? Vai avanti tu che mi viene da ridere diceva una vecchia battuta; la tassa funziona solo se applicata da tutta la zona euro, meglio, da tutta l'Unione, quando non si vuole qualcosa, la si fa male, si ha così la scusa per non farla; lascia perdere la Gran Bretagna, il cui sogno è il

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fallimento dell'unione politica ( divide et impera dicevano i vecchi tattici latini, evidentemente gli altri non hanno imparato la lezione).

Risposto da Giampaolo Carboniero su 23 Luglio 2013 a 19:24 La FTT è stata presentata dai politici come una risposta alla prepotenza della finanza; quello che dici mi convince ancora di più che lo scopo era quello di non fare niente contro tali poteri, adducendo a posteriori la sua dannosità. Resto però dell'opinione che la sua applicazione, per poterne valutare appieno gli effetti, avrebbe dovuto essere generalizzata in tutta l'Unione; per me sono prevalsi, come sempre ultimamente, gli interessi particolari nazionali ( dei loro governanti).

Risposto da Fabio Colasanti su 23 Luglio 2013 a 20:13 Giampaolo, forse ci sono dei governi più populisti e altri meno ... Giampaolo Carboniero ha detto: La FTT è stata presentata dai politici come una risposta alla prepotenza della finanza; quello che dici mi convince ancora di più che lo scopo era quello di non fare niente contro tali poteri, adducendo a posteriori la sua dannosità. Resto però dell'opinione che la sua applicazione, per poterne valutare appieno gli effetti, avrebbe dovuto essere generalizzata in tutta l'Unione; per me sono prevalsi, come sempre ultimamente, gli interessi particolari nazionali ( dei loro governanti).