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M. A. LUPOI M. MINARDI Crisi tra genitori non coniugati: il processo avanti al Tribunale ordinario 1 Michele Angelo Lupoi Mirco Minardi FIGLI NATI FUORI DAL MATRIMONIO: TECNICHE PROCESSUALI DEL CONTENZIOSO AVANTI AL TRIBUNALE ORDINARIO Domande e risposte sulla legge n. 219/2012 recante “Disposizioni in materia di riconoscimento dei figli naturali” Lexform Editore 2013

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M. A. LUPOI – M. MINARDI Crisi tra genitori non coniugati: il processo avanti al Tribunale ordinario

1

Michele Angelo Lupoi

Mirco Minardi

FIGLI NATI FUORI DAL MATRIMONIO: TECNICHE PROCESSUALI DEL CONTENZIOSO

AVANTI AL TRIBUNALE ORDINARIO

Domande e risposte sulla legge n. 219/2012 recante “Disposizioni

in materia di riconoscimento dei figli naturali”

Lexform Editore 2013

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Sommario

PARTE I - CENNI DI DISCIPLINA SOSTANZIALE ....................................... 6

Quali sono le novità di carattere sostanziale introdotte dalla l.

219/2012? ............................................................................................ 6

Quali altre modifiche sono previste in materia? ................................... 6

In che modo è cambiata la nozione di parentela? ................................. 8

Come avviene oggi il riconoscimento? .................................................. 8

Come è cambiata la disciplina dei figli incestuosi? ................................ 9

Quali sono i nuovi diritti dei minori? .................................................... 9

Come è cambiata la nozione di abbandono morale e materiale di figli? 9

PARTE II - LA DISCIPLINA PROCESSUALE .............................................. 10

Quali sono le conseguenze giuridiche a seguito della rottura di una

unione di fatto? .................................................................................. 10

Possiamo affermare oggi l’esistenza di una totale parità di trattamento

tra figli nati da genitori coniugati e quelli nati da genitori non

coniugati? .......................................................................................... 11

Quali sono invece le innovazioni processuali introdotte dalla legge n.

219/2012? .......................................................................................... 11

Come aveva influito sulla competenza "per materia" del tribunale

minorile la legge n. 54/2006? ............................................................. 12

Come ha ridistribuito la competenza la riforma del 2012? .................. 13

SCHEMA ............................................................................................. 14

Quali sono le conseguenze pratiche di tale innovazione? ................... 15

La nuova competenza del tribunale ordinario si estende alla modifica

dei provvedimenti sull'affidamento e il mantenimento della prole in

precedenza emessi dal tribunale per i minorenni?.............................. 15

A quali giudizi si applicano le nuove norme? ...................................... 16

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È vero che la riforma ha ridotto ulteriormente la competenza del TM?

........................................................................................................... 16

Per quale ragione? ............................................................................. 16

Questa interpretazione codifica una evoluzione giurisprudenziale? ... 19

Quali sono i dubbi suscitati dalla normativa? ..................................... 20

Quale può essere la soluzione più ragionevole? ................................. 20

Vi sono altri casi dubbi? ...................................................................... 21

Vi sono limiti, per così dire soggettivi, della competenza per

attrazione? ......................................................................................... 22

Cosa accade nel caso in cui l’iniziativa sia stata presa dal PM? ........... 22

Quali sono gli aspetti più squisitamente procedurali dell’applicazione

della norma? ...................................................................................... 24

Che tipo di soluzioni hanno suggerito gli interpreti? ........................... 24

Quale interpretazione è preferibile? ................................................... 25

Cosa si intende per procedimento “in corso”? .................................... 25

Che tipo di provvedimento deve adottare il tribunale minorile in questi

casi? ................................................................................................... 26

È condivisibile questa decisione? ........................................................ 26

Cosa accade una volta emessa l’ordinanza di incompetenza? ............. 27

Vi sono ipotesi in cui la translatio iudicii non è possibile? ................... 28

E se il procedimento pende in Cassazione? ......................................... 29

Tra le due ipotesi quale appare preferibile? ....................................... 29

È possibile il cumulo di domande davanti al giudice ordinario? .......... 30

Quali sono le regole processuali seguite avanti al tribunale ordinario?

........................................................................................................... 31

Qual è il giudice territorialmente competente? .................................. 32

Come decide il tribunale? ................................................................... 33

Come si propone la domanda introduttiva? ....................................... 34

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Sono previsti termini di comparizione minimi? ................................... 34

Vi sono preclusioni? ........................................................................... 34

È obbligatorio il patrocinio del difensore? .......................................... 34

Le parti debbono comparire personalmente? ..................................... 35

Il modello camerale tutela sufficientemente le parti? ........................ 35

Ad esempio? ...................................................................................... 35

È previsto l’ascolto del minore? .......................................................... 37

La nuova norma si differenzia da quella di cui all’art. 155 sexies c.c.? . 39

È previsto l’accertamento dei redditi dei genitori? ............................. 44

Come è disciplinata la fase decisoria? ................................................. 47

I provvedimenti sono immediatamente esecutivi? ............................. 47

Qual è il regime di impugnazione del provvedimento? ....................... 48

È possibile "formalizzare" gli accordi intercorsi tra genitori in merito

alla responsabilità e al mantenimento dei figli minorenni avanti al

giudice competente? .......................................................................... 48

Alcune considerazioni finali. ............................................................... 50

QUADRO DI SINTESI ........................................................................... 52

GIURISPRUDENZA CITATA NEL TESTO ................................................. 53

DOTTRINA CITATA NEL TESTO............................................................. 63

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Il Prof. Michele Angelo Lupoi, associato di Diritto processuale civile

dell’Università di Bologna e Avvocato del foro di Bologna ha curato la

parte relativa agli aspetti processuali.

Mirco Minardi, Avvocato del foro di Ancona, ha curato la prima parte,

relativa agli aspetti sostanziali.

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PARTE I - CENNI DI DISCIPLINA SOSTANZIALE

Quali sono le novità di carattere sostanziale introdotte dalla l. 219/2012?

Lo scopo del legislatore è stato quello di superare qualsiasi disparità di

trattamento tra i diversi status filiationis. Pertanto, l’art. 315 c.c. stabilisce

oggi espressamente che «tutti i figli hanno lo stesso statuto giuridico».

Appartiene dunque al passato la distinzione tra «figli legittimi» e «figli

naturali», distinguendosi oggi tra «figli nati nel matrimonio» e «figli nati

fuori dal matrimonio», senza però che questa distinzione determini un

diverso trattamento giuridico.

Quali altre modifiche sono previste in materia?

Con la stessa legge, il Governo è stato delegato affinché, entro il termine

di dodici mesi dall’entrata in vigore della stessa, revisioni le disposizioni in

materia di filiazione, al fine di attuare la parificazione giuridica tra i figli. In

particolare: a) in tutta la legislazione vigente il legislatore dovrà

sostituire i riferimenti ai «figli legittimi» e ai «figli naturali» facendo

riferimento semplicemente ai «figli», se del caso utilizzando le

denominazioni di «figli nati nel matrimonio» o di «figli nati fuori del

matrimonio» quando si tratta di disposizioni a essi specificamente relative;

b) dovrà ridefinire la disciplina del possesso di stato e della prova della

filiazione, prevedendo che la filiazione fuori del matrimonio possa

essere giudizialmente accertata con ogni mezzo idoneo; c) dovrà

estendere la presunzione di paternità del marito rispetto ai figli

comunque nati o concepiti durante il matrimonio e ridefinire la disciplina

del disconoscimento di paternità, con riferimento in particolare all'articolo

235, primo comma, numeri 1), 2) e 3), del codice civile, nel rispetto dei

principi costituzionali; d) dovrà modificare la disciplina del riconoscimento

dei figli nati fuori del matrimonio; e) dovrà modificare gli articoli 244,

264 e 273 del codice civile, prevedendo l'abbassamento dell’età del

minore dal sedicesimo al quattordicesimo anno di età; f) dovrà modificare

la disciplina dell'impugnazione del riconoscimento con la limitazione

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dell’imprescrittibilità dell'azione solo per il figlio e con l'introduzione di un

termine di decadenza per l'esercizio dell'azione da parte degli altri

legittimati; g) dovrà unificare le disposizioni che disciplinano i diritti e i

doveri dei genitori nei confronti dei figli nati nel matrimonio e dei figli

nati fuori del matrimonio, delineando la nozione di responsabilità

genitoriale quale aspetto dell'esercizio della potestà genitoriale; h) dovrà

disciplinare le modalità di esercizio del diritto all'ascolto del minore che

abbia adeguata capacità di discernimento, precisando che, ove l'ascolto

sia previsto nell'ambito di procedimenti giurisdizionali, ad esso provvede

il presidente del tribunale o il giudice delegato; i) dovrà adeguare la

disciplina delle successioni e delle donazioni al principio di unicità dello

stato di figlio, prevedendo, anche in relazione ai giudizi pendenti, una

disciplina che assicuri la produzione degli effetti successori riguardo ai

parenti anche per gli aventi causa del figlio naturale premorto o deceduto

nelle more del riconoscimento e conseguentemente l'estensione delle

azioni di petizione di cui agli articoli 533 e seguenti del codice civile; l)

dovrà adattare e riordinare i criteri di cui agli articoli 33, 34, 35 e 39

della legge 31 maggio 1995, n. 218, concernenti l'individuazione,

nell'ambito del sistema di diritto internazionale privato, della legge

applicabile, anche con la determinazione di eventuali norme di

applicazione necessaria in attuazione del principio dell'unificazione dello

stato di figlio; m) dovrà specificare la nozione di abbandono morale e

materiale dei figli con riguardo alla provata irrecuperabilità delle capacità

genitoriali in un tempo ragionevole da parte dei genitori, fermo

restando che le condizioni di indigenza dei genitori o del genitore

esercente la potestà genitoriale non possono essere di ostacolo

all'esercizio del diritto del minore alla propria famiglia; n) dovrà prevedere

la segnalazione ai comuni, da parte dei tribunali per i minorenni, delle

situazioni di indigenza di nuclei familiari che, ai sensi della legge 4

maggio 1983, n. 184, richiedano interventi di sostegno per consentire al

minore di essere educato nell'ambito della propria famiglia, nonché

prevedere controlli da parte del tribunale per i minorenni; o) dovrà

prevedere la legittimazione degli ascendenti a far valere il diritto di

mantenere rapporti significativi con i nipoti minori.

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In che modo è cambiata la nozione di parentela?

Il nuovo art. 74 c.c. definisce la parentela quale «vincolo tra le persone

che discendono da uno stesso stipite, sia nel caso in cui la filiazione è

avvenuta all'interno del matrimonio, sia nel caso in cui il figlio è adottivo. Il

vincolo di parentela non sorge nei casi di adozione di persone maggiori di

età, di cui agli articoli 291 e seguenti». Deve pertanto ritenersi ormai

tramontato quel filone interpretativo, che muovendo dal tenore dell’art.

258 c.c., limitava la parentela solo al rapporto tra genitore e figlio

naturale. Conseguentemente, la parentela assume rilievo per

l'ordinamento tanto nel caso in cui si tratti di rapporti di discendenza

legittimi, quanto nell'ipotesi in cui il rapporto di filiazione non sia

accertabile mediante il riconoscimento o la dichiarazione giudiziale, con

conseguente parificazione tra parentela legittima e parentela naturale.

Non solo. La parentela ricomprende oggi anche il rapporto con il figlio

adottivo minore di età.

Come avviene oggi il riconoscimento?

Il figlio nato fuori dal matrimonio, a seguito della legge 219/2012 può

essere riconosciuto tanto congiuntamente, quanto separatamente dalla

madre e dal padre, anche se già uniti in matrimonio con altra persona

all'epoca del concepimento. Tuttavia, il minore quattordicenne deve dare

il proprio assenso al riconoscimento, mentre il riconoscimento del figlio

non ancora quattordicenne non può aver luogo senza il consenso dell'altro

genitore che abbia già effettuato il riconoscimento e, in caso di diniego,

spetterà al giudice decidere attraverso un procedimento rapido e

semplificato. Il giudice, inoltre, potrà anche decidere circa la

regolamentazione dell'affidamento e del mantenimento del figlio (nuovo

art. 250 c.c.). Con l'autorizzazione del giudice si potrà, infine, riconoscere

un figlio nato fuori dal matrimonio non più a sedici anni, bensì anche

prima.

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Come è cambiata la disciplina dei figli incestuosi?

È venuto meno il divieto di riconoscere i figli incestuosi. La nuova

formulazione dell'art. 251 c.c. prevede che i figli nati da relazione

incestuosa potranno essere riconosciuti tenuto conto del loro interesse e

della necessità di evitare qualsiasi pregiudizio. Pertanto, il riconoscimento

potrà essere negato solo quando ciò risponda all’interesse dei figli.

Quali sono i nuovi diritti dei minori?

Il nuovo art. 315 bis c.c. stabilisce che «il figlio ha diritto di essere

mantenuto, educato, istruito e assistito moralmente dai genitori, nel

rispetto delle sue capacità, delle sue inclinazioni naturali e delle sue

aspirazioni». Viene pertanto enunciato per la prima volta il principio

secondo cui il figlio ha diritto all'assistenza morale dei genitori, i quali

dovranno rispettare le sue capacità e le sue inclinazioni naturali. È stata

così superata la visione autoritaria del rapporto genitore-figlio, tanto è

vero che lo stesso articolo prevede il diritto del minore che abbia

compiuto gli anni dodici, e anche di età inferiore ove capace di

discernimento, di essere ascoltato in tutte le questioni che lo riguardano.

Come è cambiata la nozione di abbandono morale e materiale di figli?

Essa è ora ancorata alla «provata irrecuperabilità delle capacità genitoriali

in un tempo ragionevole da parte dei genitori, fermo restando che le

condizioni di indigenza dei genitori o del genitore esercente la potestà

genitoriale non possono essere di ostacolo all'esercizio del diritto del

minore alla propria famiglia».

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PARTE II - LA DISCIPLINA PROCESSUALE

Quali sono le conseguenze giuridiche a seguito della rottura di una

unione di fatto?

In un sistema come il nostro, in cui le unioni di fatto sono sostanzialmente

prive di riconoscimento e disciplina giuridica, la crisi nella relazione

affettiva tra due persone non coniugate, dello stesso o di diverso sesso,

assume rilevanza solo a livello personale e, di per sé, non richiede

l'intervento del giudice. Al riguardo, un recente provvedimento del

Tribunale di Milano, osserva significativamente che, quando le parti non

sono legate da un vincolo di coniugio, la cessazione del rapporto può

avvenire ad nutum, senza necessità per l'autorità giudiziaria di accertare il

carattere irreversibile della crisi del rapporto attraverso l'espletamento del

tentativo di conciliazione (1).

Dalla rottura di tale (più o meno stabile) unione, in effetti, non derivano ex

se diritti tutelabili, non sussistendo, allo stato della legislazione, un diritto

al mantenimento che un ex convivente possa rivendicare nei confronti

dell'altro. I diritti o le pretese che un (ex) convivente possa rivendicare per

i rapporti venuti in essere nel corso dell'unione (ad esempio, in relazione

agli acquisti o agli investimenti comuni) saranno aggiudicati secondo le

regole sostanziali e processuali ordinarie, senza godere di un trattamento

ad hoc.

Le cose cambiano quando una coppia non coniugata abbia generato dei

figli. Nel momento in cui i genitori entrano in crisi, infatti, potrà essere

necessario l'intervento del giudice per decidere in merito alla

responsabilità genitoriale, alla collocazione dei figli minori,

all'assegnazione della casa familiare, alla regolamentazione dei tempi di

permanenza della prole minorenne con ciascun genitore, alla soluzione dei

conflitti in merito alle scelte di maggior rilevanza, al contributo nel

mantenimento, alle spese straordinarie e così via.

1 Trib. Milano, 20 febbraio 2013, decr.

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Possiamo affermare oggi l’esistenza di una totale parità di trattamento

tra figli nati da genitori coniugati e quelli nati da genitori non coniugati?

Sul piano sostanziale certamente sì. La disciplina procedimentale, invece,

anche dopo la recente legge n. 219 del 10 dicembre 2012 (2), recante

"Disposizioni in materia di riconoscimento dei figli naturali", resta molto

diversificata.

Quali sono invece le innovazioni processuali introdotte dalla legge n.

219/2012?

La riforma di fine 2012 ha sostanzialmente riscritto l'art. 38 disp. att. c.c.3,

il quale, come è noto, costituisce la norma generale sulla competenza del

giudice specializzato. Nella sua versione originaria, tale disposizione

attribuiva al tribunale per i minorenni la competenza, oltre che nelle altre

ipotesi previste dalla legge, in materia di provvedimenti di cui agli artt. 84

2 In Gazz. uff., 17 dicembre 2012.

3 Art. 38 disp. att. c.c.: [I]. Sono di competenza del tribunale per i minorenni i provvedimenti contemplati

dagli articoli 84, 90, 330, 332, 333, 334, 335 e 371, ultimo comma, del codice civile. Per i procedimenti di cui all'articolo 333 resta esclusa la competenza del tribunale per i minorenni nell'ipotesi in cui sia in corso, tra le stesse parti, giudizio di separazione o divorzio o giudizio ai sensi dell'articolo 316, del codice civile; in tale ipotesi per tutta la durata del processo la competenza, anche per i provvedimenti contemplati dalle disposizioni richiamate nel primo periodo, spetta al giudice ordinario. [II]. Sono emessi dal tribunale ordinario i provvedimenti relativi ai minori per i quali non è espressamente stabilita la competenza di una diversa autorità giudiziaria. Nei procedimenti in materia di affidamento e di mantenimento dei minori si applicano, in quanto compatibili, gli articoli 737 e seguenti del codice di procedura civile. [III]. Fermo restando quanto previsto per le azioni di stato, il tribunale competente provvede in ogni caso in camera di consiglio, sentito il pubblico ministero, e i provvedimenti emessi sono immediatamente esecutivi, salvo che il giudice disponga diversamente. Quando il provvedimento è emesso dal tribunale per i minorenni, il reclamo si propone davanti alla sezione di corte di appello per i minorenni. Il testo modificato recitava: «[I]. Sono di competenza del tribunale per i minorenni i provvedimenti contemplati dagli articoli 84, 90, 171, 194, comma secondo, 250, 252, 262, 264, 316, 317-bis, 330, 332, 333, 334, 335 e 371, ultimo comma, nonché nel caso di minori dall'articolo 269, primo comma, del codice civile. [II]. Sono emessi dal tribunale ordinario i provvedimenti per i quali non è espressamente stabilita la competenza di una diversa autorità giudiziaria. [III]. In ogni caso il tribunale provvede in camera di consiglio sentito il pubblico ministero. [IV]. Quando il provvedimento è emesso dal tribunale per i minorenni il reclamo si propone davanti alla sezione di corte di appello per i minorenni». Precedentemente l’articolo era già stato sostituito dall'art. 221, l. 19 maggio 1975, n. 151, mentre il primo comma era stato sostituito dall'art. 68, l. 4 maggio 1983, n. 184.

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(autorizzazione del matrimonio del minorenne), 90 (nomina del curatore

del minore per la stipula di convenzioni matrimoniali), 171 (interventi

giudiziali sul fondo patrimoniale), 194, comma 2 (costituzione di usufrutto

giudiziale sui beni divisi della comunione), 250 (riconoscimento di figli

naturali), 252 (affidamento del figlio naturale ed inserimento nella famiglia

legittima), 262 (cognome del figlio), 264 (impugnazione da parte del

riconosciuto), 269, comma 1, in caso di minori (dichiarazione giudiziale di

paternità e maternità), 316 (interventi giudiziali sull'esercizio della potestà

dei genitori), 317 bis (interventi giudiziali sull'esercizio della potestà), 330

(decadenza dalla potestà sui figli), 332 (reintegrazione nella potestà), 333

(interventi sulla condotta del genitore pregiudizievole ai figli), 334

(rimozione dell'amministratore del patrimonio del minore), 335

(riammissione nell'esercizio dell'amministrazione), 371, ult. comma

(provvedimenti circa l'educazione e l'amministrazione del minore) del

codice civile. Per il resto, l'art. 38 disp. att. c.c. proponeva una competenza

generale residuale del tribunale ordinario per tutti i procedimenti e le

materie non espressamente riservati al tribunale per i minorenni.

Come aveva influito sulla competenza "per materia" del tribunale

minorile la legge n. 54/2006?

A seguito della legge n. 54 del 2006 la competenza “per materia” del

tribunale minorile aveva subito, in via interpretativa, una notevole

espansione. Dove, infatti, prima di tale riforma, si riteneva che, al giudice

specializzato, spettassero solo le controversie relative al mantenimento

della prole minorenne nata fuori dal matrimonio, restando quelle a

contenuto patrimoniale di spettanza del giudice ordinario, a seguito della

legge sul c.d. affidamento condiviso, che aveva inscindibilmente collegato,

in rapporto di dipendenza, la questione del mantenimento rispetto a

quella dell'affidamento (e dei tempi di permanenza della prole con ciascun

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genitore), la Cassazione (4) era giunta a ritenere che anche le vicende

relative, appunto, al mantenimento dei minori dovessero essere attribuite

al giudice specializzato. In questo modo, si era attuata la concentrazione

della competenza sulle controversie scaturenti dalla crisi di un'unione di

fatto in capo al tribunale per i minorenni (5).

Come ha ridistribuito la competenza la riforma del 2012?

Con la riforma operata dal legislatore a fine 2012, le competenze civili del

tribunale specializzato sono state drasticamente ridimensionate: oggi,

infatti, esso è competente, oltre che nelle ipotesi espressamente previste

dalla legge, per i provvedimenti di cui agli artt. 84, 90, 330, 332, 333 (6),

334, 335, 371, ult. comma c.c. La competenza sugli altri provvedimenti

contemplati della vecchia norma "è passata" invece al tribunale ordinario.

In particolare, per quanto ci interessa qui, al tribunale ordinario è stata

trasferita la competenza sulle controversie per l'affidamento dei figli nati

fuori dal matrimonio e la regolamentazione dei loro rapporti con ciascun

genitore nonché degli oneri economici gravanti su questi ultimi per il loro

mantenimento. In sostanza, per i procedimenti instaurati dopo l'entrata in

vigore della nuova legge, si è operata una scelta speculare rispetto al

percorso della giurisprudenza successiva all’introduzione del c.d. affido

condiviso (v. supra).

4 Cass., 3 aprile 2007, n. 8362. In arg., di recente DANOVI, F., Nobili intenti e tecniche approssimative nei

nuovi procedimenti per i figli (non più) naturali, in Corr. giur., 2013, p. 540, con un riepilogo delle diverse teorie che si erano contrapposte al riguardo; v. pure MONTARULI, Il nuovo riparto di competenze tra giudice ordinario e minorile, in Nuova giur. civ. comm., 2013, II, p. 223 ss. 5 Nell’ambito di tale nuovo orientamento, si era pure affermato che al giudice specializzato dovesse

essere chiesta l’eventuale modifica di un provvedimento in precedenza adottato dal medesimo tribunale, con esclusione di ogni competenza al riguardo del giudice ordinario (Trib, Torino, 9 marzo 2012, ord., in Giur. it., 2013, p. 141), ad eccezione delle ipotesi in cui, al momento della richiesta di tale modifica, la prole non avesse raggiunto la maggiore età. 6 Sono compresi in questa competenza anche i procedimenti per la modifica o la revoca di limitazioni

genitoriali in precedenza fissate ai sensi dell’art. 333 c. c.: Trib. Milano, 3 maggio 2013, in Quest. dir. fam., maggio 2013.

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SCHEMA

Provvedimento Competenza prima della riforma

Competenza dopo la riforma

Art. 84 c.c. (autorizzazione del matrimonio del minorenne)

Tribunale per i minorenni Tribunale per i minorenni

Art. 90 c.c. (nomina del curatore del minore per la stipula di convenzioni matrimoniali)

Tribunale per i minorenni Tribunale per i minorenni

Art. 171 c.c. (interventi giudiziali sul fondo patrimoniale)

Tribunale per i minorenni Tribunale ordinario

Art. 194, comma 2 c.c. (costituzione di usufrutto giudiziale sui beni divisi della comunione)

Tribunale per i minorenni Tribunale ordinario

Art. 250 c.c. (riconoscimento di figli naturali) Tribunale per i minorenni Tribunale ordinario

Art. 252 c.c. (affidamento del figlio naturale ed inserimento nella famiglia legittima)

Tribunale per i minorenni Tribunale ordinario

Art. 262 c.c. (cognome del figlio) Tribunale per i minorenni Tribunale ordinario

Art. 264 c.c. (impugnazione da parte del riconosciuto)

Tribunale per i minorenni Tribunale ordinario

Art. 269, comma 1, c.c. in caso di minori (dichiarazione giudiziale di paternità e maternità)

Tribunale per i minorenni Tribunale ordinario

Art. 316 c.c. (interventi giudiziali sull'esercizio della potestà dei genitori)

Tribunale per i minorenni Tribunale ordinario

Art. 317 bis c.c. (interventi giudiziali sull'esercizio della potestà)

Tribunale per i minorenni Tribunale ordinario

Art. 330 c.c. (decadenza dalla potestà sui figli) Tribunale per i minorenni Tribunale per i minorenni

Art. 332 c.c. (reintegrazione nella potestà) Tribunale per i minorenni Tribunale per i minorenni

Art. 333 c.c. (interventi sulla condotta del genitore pregiudizievole ai figli)

Tribunale per i minorenni Tribunale per i minorenni (salvo che sia in corso, tra le stesse parti, giudizio di separazione o divorzio o giudizio ai sensi dell'articolo 316, del codice civile; in tale ipotesi per tutta la durata del processo la competenza, anche per i provvedimenti contemplati dalle disposizioni richiamate nel primo periodo, spetta al giudice ordinario)

Art. 334 c.c. (rimozione dell'amministratore del patrimonio del minore)

Tribunale per i minorenni Tribunale per i minorenni

Art. 335 c.c. (riammissione nell'esercizio dell'amministrazione)

Tribunale per i minorenni Tribunale per i minorenni

Art. 371, ult. comma c.c. (provvedimenti circa l'educazione e l'amministrazione del minore)

Tribunale per i minorenni Tribunale per i minorenni

Ogni altro provvedimento relativo a minori Tribunale ordinario Tribunale ordinario

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15

Quali sono le conseguenze pratiche di tale innovazione?

Le conseguenze di tale innovazione sono ben evidenti: il carico di lavoro

relativo alla crisi delle famiglie di fatto si spalmerà sul territorio, con una

maggiore prossimità tra giudice e parti. I ruoli dei tribunali ordinari

saranno onerati da nuovo contenzioso, destinato però, ad essere in parte

compensato dal calo fisiologico di quello derivante dalle crisi coniugali, a

seguito dei noti processi di rimodulazione della struttura familiare nel

nostro paese. La scelta del legislatore sacrifica la "specializzazione" dei

giudici minorili, ma d'altra parte, da sempre, i giudici ordinari trattano i

procedimenti della crisi delle famiglie coniugali, in cui sovente si discute di

prole minorenne. Certo, il tribunale ordinario ha un rapporto meno

"organico" con i Servizi sociali, ma non è detto che questo sia

necessariamente un male. D'altro canto, nell'esperienza pratica, i

procedimenti avanti al tribunale per i minorenni sono sovente

caratterizzati da una durata eccessiva: difficilmente, con la riforma, la

situazione può peggiorare. Inoltre, dal 2006 in poi, l'attività dei Tribunali

per i minorenni non è apparsa molto efficace o adeguata rispetto alla

determinazione delle questioni sul mantenimento della prole (7), sovente

trascurate, anche sul piano istruttorio. Da questo punto di vista,

l'esperienza dei Tribunali ordinari è senz'altro più consolidata ed

efficiente.

La nuova competenza del tribunale ordinario si estende alla modifica dei

provvedimenti sull'affidamento e il mantenimento della prole in

precedenza emessi dal tribunale per i minorenni?

Nel silenzio della norma questa pare l’interpretazione preferibile (8).

7 In questo senso anche Danovi, F., op. cit., p. 541.

8 Così anche il Protocollo d’intesa in tema di riparto di competenza nelle ipotesi di interventi limitativi

della potestà genitoriale tra il Tribunale ordinario e il Tribunale per i minorenni di Brescia, del 10 aprile 2013 (d’ora in poi, il Protocollo di Brescia).

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A quali giudizi si applicano le nuove norme?

Le nuove norme, ai sensi dell'art. 4 della legge n. 219, si applicano ai

giudizi instaurati a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge

(ovvero l’1 gennaio 2013), ma ai sensi dell'art. 5 c. p. c., resta comunque

ferma la competenza del tribunale per i minorenni per tutti i procedimenti

instaurati ai sensi del vecchio testo dell'art. 38 disp. att. c. c. prima di tale

data.

È vero che la riforma ha ridotto ulteriormente la competenza del TM?

Sì, anche per i provvedimenti tuttora "lasciati" (in via principale) al giudice

specializzato, l'art. 38 disp. att. c. c. prevede la competenza del giudice

ordinario qualora sia in corso un procedimento di separazione o di

divorzio, ovvero un giudizio ai sensi dell'art. 316 c.c9. In altre parole, è

stata introdotta una competenza "per attrazione" (incidentale) a favore

del giudice ordinario, che, in pendenza di un procedimento sulla crisi del

rapporto matrimoniale/genitoriale, è investito del potere di emettere

(anche) ogni provvedimento altrimenti riservato al giudice minorile, il

quale, al contempo, si trova privato del relativo potere decisionale. Questa

parte della norma, in effetti, è redatta in modo abbastanza "oscuro" e ha

sollevato notevoli critiche per la sua difficoltà di lettura.

Per quale ragione?

Perché in una prima frase, essa prevede tale "attrazione" di competenza

per i procedimenti di cui all'articolo 333 c.c., ovvero quelli a carattere

"limitativo" della potestà genitoriale. In effetti, questa disposizione ha una

sua logica, poiché attribuisce al giudice della crisi genitoriale non solo il

potere di decidere in merito alla disciplina dell'affidamento e ai tempi di

permanenza dei figli con ciascun genitore, ma anche quello di emettere

9 Si tratta del giudizio promosso da uno o entrambi i genitori su questioni di particolare importanza.

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provvedimenti di natura più "penetrante", in presenza di situazioni che

giustifichino tali interventi. D'altra parte, da tempo era in atto una

evoluzione normativa ed interpretativa volta ad ampliare i poteri del

giudice della separazione/divorzio rispetto alla potestà genitoriale. Da un

lato, l'art. 709 ter c.p.c. prevede, in presenza di comportamenti

inadempienti o di atti pregiudizievoli per la prole minorenne o comunque

di ostacoli frapposti al corretto svolgimento delle modalità di affidamento,

la possibilità per il giudice di modificare i provvedimenti in vigore (anche in

senso limitativo della responsabilità genitoriale, come è oggi indubbio) o

di irrogare sanzioni di vario tipo.

Sul piano interpretativo, invece, da tempo, la giurisprudenza di legittimità

aveva "riscritto" i confini tra la competenza del tribunale ordinario e quella

del tribunale per i minorenni rispetto alla pronuncia dei provvedimenti

sulla prole tra genitori coniugati, nel senso di un ampliamento della prima

a scapito della seconda. La Cassazione, ad esempio, ha affermato che, una

volta adito il tribunale ordinario per una richiesta di modifica delle

condizioni di una separazione, la competenza di tale organo giudiziario

non viene meno se, nel corso dell'istruttoria, emergano elementi nuovi,

ritenuti pregiudizievoli per il minore, qualora tale pregiudizio non sia di

gravità tale da giustificare la declaratoria di decadenza dalla potestà

genitoriale di cui all'art. 330 c.c. (10).

In questo scenario, dunque, la norma appena menzionata rappresenta

un'evoluzione prevedibile e ragionevole.

Il nuovo primo comma dell'art. 38 disp. att. c.c., peraltro, in maniera

abbastanza incomprensibile, subito dopo avere proclamato "l'eccezione"

relativa all'art. 333 c.c. di cui si è appena dato conto, nella frase finale

estende la competenza del giudice della separazione, del divorzio o del

procedimento ex art. 316 c.c. anche ai provvedimenti previsti dagli articoli

elencati nel primo periodo della norma stessa, ovvero gli artt. 84, 90, 330,

332, 334, 335 e 371 ult. comma c.c. In sostanza, con una formulazione

10 Trib. min. Brescia, 9 febbraio 2010, in www.minoriefamiglia.it.

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tutt'altro che lineare, la norma sembra configurare una generale

attrazione, davanti al giudice ordinario chiamato a pronunciarsi su una

crisi genitoriale/coniugale, di tutte le controversie per cui è prevista la

competenza residuale del tribunale per i minorenni, comprese quelle

relative alla decadenza dalla potestà ai sensi dell'art. 330 c.c. (11). Tale

lettura non ha trovato generali consensi: in effetti, una generalizzata

attrazione della competenza in capo al giudice ordinario ha poco senso

per alcune delle ipotesi contemplate (ad esempio, non si comprende la

ratio dell'attribuzione al giudice della separazione del potere di

autorizzare il matrimonio del minorenne). Parte degli interpreti ha così

tentato di ridurre la portata della parte finale del primo comma dell'art. 38

disp. att. c.c. rispetto ai "provvedimenti" di cui all'art. 330 c.c., onde

preservare, al riguardo, la pienezza della competenza del tribunale per i

minorenni. Per alcuni, ad esempio, la vis attractiva prevista dalla norma in

esame non potrebbe operare rispetto alla decadenza dalla potestà ex art.

330 c. c., attesa la delicatezza della materia, alla luce anche della

precedente giurisprudenza in materia (12). Altri ancora propongono di

valorizzare l'uso della parola "provvedimenti" nell'ultimo periodo dell'art.

38, comma primo, giungendo ad affermare che il tribunale ordinario, adito

per la separazione, il divorzio o il giudizio ex art. 316 c.c., possa, per

ragioni di economia processuale, in quella sede eventualmente

pronunciare la decadenza della potestà, senza però attribuire allo stesso

l'intero procedimento e ferma la competenza del tribunale per i minorenni

sul ricorso proposto direttamente ai sensi dell'art. 330 c.c. (13). Alcuni, poi,

sempre valorizzando l'utilizzo della parola "provvedimenti", affermano che

la competenza del giudice ordinario su una (nuova) domanda di

decadenza potrebbe prospettarsi solo qualora sia già pendente in quella

11 In questo senso Trib. min. Bari, 30 marzo 2013, decr. Trib. Milano, 3 maggio 2013, cit., afferma che, in

questi casi, il presupposto per la potestas decidendi del tribunale ordinario è la concentrazione processuale delle domande; TOMMASEO, I procedimenti de potestate e la nuova legge sulla filiazione, in Riv. dir. proc., 2013, p. 563. 12

V. in particolare il Protocollo di Brescia. 13

Così, per quanto in forma dubitativa, VELLETTI, Quale giudice per i ricorsi ex articolo 330 c. c.?, in Questione giustizia, pubblicata online, maggio 2013.

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sede una procedura ex art. 333 c. c. (14), con una sorta di "progressione"

nella gravità della situazione comunque già sottoposta all'attenzione del

giudicante.

Sembra, peraltro, più rispondente al testo e alla ratio della nuova

disposizione la lettura "estensiva" sopra menzionata, alla cui stregua, in

caso di identità soggettiva tra i procedimenti, la nuova norma attribuisce

al tribunale ordinario la competenza per emettere tutti i provvedimenti

(compresi quelli di cui all'art. 330 c.) che essa stessa demanda, di regola, al

giudice minorile, in tali ipotesi privato del potere decisorio (15).

Questa interpretazione codifica una evoluzione giurisprudenziale?

Sì, la Cassazione, in effetti, nell'ottica di ampliare la competenza del

giudice ordinario (su cui v. pure supra), aveva affermato che la modifica

delle condizioni di separazione o di divorzio poteva essere chiesta dai

coniugi in caso di comportamento pregiudizievole del genitore, nonché di

grave abuso che potrebbe dar luogo a pronuncia di decadenza dalla

potestà: in tal caso, per i giudici di legittimità, la parte avrebbe dovuto

rivolgersi al tribunale ordinario, salvo che si volesse chiedere

espressamente la decadenza, di esclusiva competenza del tribunale per i

minorenni (16). Rispetto all'orientamento tradizionale, alla cui stregua, per

chiedere un intervento ablativo della potestà genitoriale ai sensi dell'art.

330 c.c. tra genitori separati, ci si sarebbe dovuti rivolgere al tribunale per

i minorenni (17), la Cassazione era già giunta, dunque, a prospettare una

competenza residuale del tribunale specializzato, con riferimento non

14 MONTARULI, op. cit., p. 238.

15 CEA, Trasferimento del contenzioso dal giudice minorile al giudice ordinario ex l. 219/12. proposta

organizzativa del presidente della prima sezione civile, in Foro it., 2013, c. 118; PROTO PISANI, Note sul nuovo art. 38 disp. att. c. c. e sui problemi che esso determina, ivi, 2012, V, c. 128. 16

Cass., 5 ottobre 2011, n. 20352, in Giusto proc. civ., 2012, p. 1125, su cui POLISENO, La competenza del Tribunale ordinario sulla revisione delle condizioni di separazione relative all’affidamento del minore in grave pregiudizio, ivi. 17

Cass., 3 novembre 2000, n. 14360, in Fam. dir., 2001, p. 38.

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tanto al contenuto della domanda quanto piuttosto ai soggetti che

potrebbero proporla (18).

Quali sono i dubbi suscitati dalla normativa?

Come si è detto, la scarsa qualità tecnica della nuova disposizione ha

immediatamente creato dubbi di non poco rilievo. In primo luogo, rispetto

al suo ambito di applicazione, si osserva che essa non menziona, tra i

procedimenti che fungono da "calamita" verso il tribunale ordinario,

anche quelli proposti ai sensi dell'art. 317 bis c. c. Per alcuni, questo

silenzio lascerebbe pensare che, in tale ipotesi, non operi la vis attractiva a

favore del giudice ordinario, ritenendo impossibile utilizzare l'analogia per

"porre rimedio a scelte irrazionali del legislatore" (19). Altri, invece,

ritengono che tale norma debba intendersi implicitamente richiamata,

considerata la ratio della nuova disposizione (20).

Quale può essere la soluzione più ragionevole?

Quest'ultima si presenta come la soluzione più ragionevole, per

completare il sistema di competenze profilato dalla recente riforma e

fornire al tribunale ordinario pienezza di poteri in ogni tipo di controversia

relativa alla crisi della coppia genitoriale. D'altra parte, prevedere

un'esclusione per i procedimenti relativi alla responsabilità genitoriale e al

mantenimento dei figli nati fuori dal matrimonio avrebbe un irragionevole

effetto discriminatorio, con profili di incostituzionalità.

18 Cass., 5 ottobre 2011, n. 20352, cit.

19 Così TOMMASEO, op. cit., p. 565; v. anche ID, La nuova legge sulla filiazione: i profili processuali, in

Fam. dir., 2013, p. 254. 20

V. ad esempio il Protocollo di Brescia. Per una posizione dubitativa, DANOVI, F., op. cit., p. 542, per cui, ove non si ritenga possibile un’immediata interpretazione “sanante”, la norma dovrà essere quanto prima corretta. MONTARULI, op. cit., p. 239, osserva che tra le procedure previste da tale norme e la disamina dei profili attinenti all’esercizio della potestà vi è una stratta connessione; inoltre in tali giudizi, il giudice può arrivare a disporre l’esclusione dell’esercizio della potestà di entrambi i genitori, con la nomina di un tutore. V. anche PROTO PISANI, op. cit., c. 127.

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Vi sono altri casi dubbi?

Il nuovo primo comma dell'art. 38 disp. att. c.c. ignora pure i procedimenti

di modifica delle condizioni di una separazione, di un divorzio o di una crisi

di genitori coniugati: la ratio della vis attractiva della competenza del

tribunale, peraltro, sussiste anche rispetto a tali giudizi (21), in cui

senz'altro possono venire in rilievo nuove circostanze idonee a limitare se

non ad escludere la responsabilità genitoriale. In effetti, la dottrina, a

questo riguardo, con interpretazione senz'altro condivisibile, ha

interpretato l'espressione "in corso" nell'art. 38 con riferimento non solo

ai procedimenti di separazione e divorzio in senso stretto ma anche ai

procedimenti camerali di modifica delle relative condizioni (22).

Sul piano dei limiti oggettivi di operatività della norma, vi è anche

uniformità di opinioni rispetto al fatto che la vis attractiva a favore del

tribunale ordinario possa essere esercitata solo qualora, nel procedimento

in corso in quella sede, si agitino questioni relative all'affidamento dei

minori: essa dunque non opererebbe, ad esempio, qualora, in seno al

procedimento di separazione, si sia già deciso con sentenza non definitiva

in merito a tali aspetti, con prosecuzione del giudizio solo sulle questioni

patrimoniali (23); allo stesso modo, in caso di procedimento pendente in

appello, non avrebbe luogo il trasferimento temporaneo di competenza

per l'ipotesi in cui l'impugnazione non abbia ad oggetto l'affidamento dei

minori (24), e così via. In casi del genere dunque, l'azione proposta avanti al

21 V. ad esempio il Protocollo di Brescia. Per una posizione dubitativa, DANOVI, F., op. cit., p. 542, per

cui, ove non si ritenga possibile un’immediata interpretazione “sanante”, la norma dovrà essere quanto prima corretta. MONTARULI, op. cit., p. 239, osserva che tra le procedure previste da tale norme e la disamina dei profili attinenti all’esercizio della potestà vi è una stratta connessione; inoltre in tali giudizi, il giudice può arrivare a disporre l’esclusione dell’esercizio della potestà di entrambi i genitori, con la nomina di un tutore. V. anche PROTO PISANI, op. cit., c. 127. 22

TOMMASEO, La nuova legge sulla filiazione, cit., p. 257; ID, I procedimenti de potestate, cit., p. 570; MONTARULI, op. cit., p. 234. 23

CEA, op. cit., c. 120; Protocollo di Brescia. 24

CEA, op. cit., c. 120.

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tribunale per i minorenni potrebbe proseguire senza alcuna pronuncia di

incompetenza.

Vi sono limiti, per così dire soggettivi, della competenza per attrazione?

Sì, la norma sulla "competenza per attrazione" di cui stiamo discutendo ha

un evidente limite soggettivo di operatività: l'attrazione avanti al tribunale

ordinario dei procedimenti altrimenti riservati al giudice specializzato

postula, infatti, l'identità delle parti coinvolte (25). Si tratta di un limite

importante, che lascia un certo margine di manovra al tribunale per i

minorenni anche in pendenza di un procedimento sulla crisi genitoriale

avanti al giudice ordinario. In effetti, legittimati a proporre i procedimenti

di separazione, divorzio o ex art. 316 c. c. sono esclusivamente i genitori \

coniugi, mentre gli artt. 330 e 333 c. c. individuano una più ampia gamma

di soggetti legittimati a chiedere provvedimenti limitativi o ablativi della

responsabilità genitoriale. E' allora evidente che si potranno "trasferire"

avanti al tribunale ordinario solo i procedimenti proposti avanti al

tribunale per i minorenni tra i genitori \ coniugi, perché solo in questo

caso vi sarà identità di parti nel senso richiesto dal primo comma dell'art.

38 disp. att. c. c. Potrà invece essere proposto (e proseguire) avanti al

tribunale per i minorenni un procedimento attivato da un soggetto diverso

dai genitori \ coniugi, come nel caso dei nonni (26).

Cosa accade nel caso in cui l’iniziativa sia stata presa dal PM?

In effetti qualche dubbio si pone rispetto al ruolo del p.m., qualora l'azione

avanti al tribunale per i minorenni sia instaurata su sua iniziativa, nei casi

previsti dalla legge. Ci si chiede, infatti, se, in questi casi, si configuri una

25 V. anche VELLETTI, op. cit.; MONTARULI, op. cit., p. 231.

26 TOMMASEO, La nuova legge sulla filiazione, cit., p. 257, osserva che tale precisazione lascia aperta la

strada alla proposizione di procedimenti de potestate avanti al Tribunale per i minorenni da parte di soggetti diversi dai genitori che ne abbiano la legittimazione; ID, I procedimenti de potestate, cit., p. 571; PROTO PISANI, op. cit., c. 128.

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identità di parti tra il p.m. "attore" avanti al tribunale specializzato e il p.m.

che, ai sensi dell'art. 70 c. p. c. deve comunque intervenire nei

procedimenti di separazione e di divorzio. La questione non è meramente

teorica, poiché, nella fattispecie che ci interessa qui, condiziona la

competenza di un giudice a favore di quella di un altro. Al riguardo, è

senz'altro irrilevante la diversità soggettiva tra i magistrati che ricoprono

l'ufficio nei diversi uffici: ciò che va considerato, piuttosto, è che i ruoli e i

poteri del p.m. sono diversi nelle varie ipotesi qui contemplate: nei

procedimenti di separazione e divorzio, infatti, egli deve spiegare

intervento necessario ai sensi dell'art. 70 c. p. c., mentre, in alcune delle

controversie per cui è competente il tribunale per i minorenni, assume a

tutti gli effetti la qualità di parte, potendo proporre la relativa domanda

(27), con pienezza di poteri. I dubbi sollevati dalla nuova norma emergono

con evidenza da un recente provvedimento del Tribunale per i minorenni

di Bari, adito ex art. 330 c. c. dal p.m., su esposto di una madre, per

presunti abusi sulla prole minorenne da parte del padre, mentre era in

corso il procedimento di separazione avanti al giudice ordinario. Il

tribunale per i minorenni, dunque, da un lato giunge a dichiararsi

incompetente ai sensi del nuovo art. 38 disp. att. c. c., dall'altro,

considerati i diversi ruoli del magistrato inquirente nelle due sedi

concorrenti, esclude di dovere disporre la riassunzione del giudizio da

parte del p. m. ricorrente, prevendendo, piuttosto, l'invio degli atti

all'ufficio del pubblico ministero presso il tribunale ordinario per le sue

determinazioni nell'ambito del procedimento di separazione giudiziale fra

i genitori (28). Si tratta di una soluzione "ibrida", che non convince. In

effetti, proprio la diversità di ruoli e poteri attribuite al p.m. dalla legge

nelle ipotesi considerate, avrebbe dovuto portare a negare l'applicabilità

dell'art. 38 disp. att. c. c. nella fattispecie in esame, lasciando così

proseguire il giudizio avanti al tribunale per i minorenni (29).

27 V. pure VELLETTI, op. cit.

28 Trib. min. Bari, 30 marzo 2013, decr., su cui VELLETTI, op. cit.

29 Per questa soluzione pure MONTARULI, op. cit., p. 238; PROTO PISANI, op. cit., c. 128; TOMMASEO, I

procedimenti de potestate, cit., p. 571.

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Quali sono gli aspetti più squisitamente procedurali dell’applicazione

della norma?

La disposizione qui in esame, in effetti, è abbastanza anomala: essa,

infatti, non prevede che la vis attractiva a favore del tribunale ordinario

operi solo in caso di prevenzione temporale del procedimento avanti a

quest'ultimo, limitandosi a stabilire che tale procedimento sia "in corso".

Nulla quaestio qualora il tribunale per i minorenni sia adito per secondo,

dopo l'instaurazione di un procedimento di separazione, divorzio o ex art.

316 cc: in tal caso, infatti, il relativo procedimento dovrà essere dismesso

in rito (v. infra). Nell'ipotesi inversa, a livello letterale, la norma configura

una inedita forma di "incompetenza" per materia sopravvenuta, contraria

peraltro alla regola della perpetuatio iurisdictionis dell'art. 5 c. p. c. Le

esigenze del simultaneus processus, in altre parole, sembrano qui

destinate a prevalere sull'economia dei giudizi.

Che tipo di soluzioni hanno suggerito gli interpreti?

Alcuni interpreti hanno, invero, cercato di dare soluzioni limitative della

portata letterale della norma, arrivando a sostenere che, qualora il

procedimento avanti al tribunale ordinario sia instaurato per secondo, il

tribunale per i minorenni non si dovrebbe dichiarare incompetente (30).

Altri, proponendo una soluzione intermedia, ritengono che, di norma, il

tribunale per i minorenni dovrebbe "cedere il passo" al giudice ordinario

(31), salvo che ritenga che il procedimento "principale" non consenta la

esauriente trattazione e decisione della causa connessa: in tale caso,

infatti, il giudice specializzato sarebbe tenuto a concludere il proprio

procedimento, con conseguente trasmissione del relativo provvedimento

e degli atti di causa al tribunale ordinario. Al riguardo, si aggiunge che,

30 MONTARULI, op. cit., p. 230, afferma che il principio della perpetuatio sembra assumere rilevanza

costituzionale. 31

Protocollo di Brescia.

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M. A. LUPOI – M. MINARDI Crisi tra genitori non coniugati: il processo avanti al Tribunale ordinario

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peraltro, a tale provvedimento dovrebbe attribuirsi natura esecutiva

provvisoria, essendo esso destinato ad essere assorbito nelle successive

decisioni adottate dal giudice ordinario (32).

Quale interpretazione è preferibile?

Appare preferibile un'interpretazione letterale della norma, che

corrisponde all'apparente ratio legis di concentrare avanti ad un unico

organo giudiziario tutte le questioni riferibili alla medesima crisi

genitoriale, qualora sia in corso un procedimento avente come oggetto

principale la regolamentazione degli effetti personali e patrimoniali

derivanti da tale crisi. L'attrazione avanti al tribunale, dunque, è destinata

ad operare a prescindere da un'eventuale prevenzione temporale del

procedimento avanti al tribunale per i minorenni ed anche dallo stato di

avanzamento di tale procedimento. L'attività svolta in quella sede,

peraltro , non andrà perduta, a seguito della riassunzione avanti al giudice

ordinario. La declaratoria di incompetenza da parte del tribunale, inoltre,

non farà di per sé venire meno eventuali provvedimenti provvisori ed

urgenti emessi nel corso del giudizio.

Cosa si intende per procedimento “in corso”?

Si tratta in effetti di un termine "atecnico" che, sul piano letterale, non

sembra un sinonimo di "procedimento pendente". In effetti, il processo

"pende" dalla data di proposizione della domanda al passaggio in

giudicato del relativo provvedimento ovvero all'estinzione del giudizio; il

procedimento è invece "in corso" laddove si stiano effettivamente

svolgendo attività processuali nel suo ambito. In quest'ottica, dunque,

alcuni ritengono che la vis attractiva a favore del giudice ordinario non

operi quando il processo si trovi in una fase di quiescenza, come in caso di

32 Protocollo di Brescia.

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pendenza del termine per proporre appello (33) o di cancellazione della

causa dal ruolo o di interruzione. Si tratta di una chiave di lettura che si fa

apprezzare ed appare condivisibile poiché cerca di evitare dinieghi almeno

temporanei di giustizia, senza imporre alle parti di compiere, avanti al

tribunale ordinario, attività processuali che esse non avrebbero interesse

attuale a compiere (ad esempio, l'appello di una sentenza in caso di

soccombenza parziale). In quest'ottica, dunque, nei casi in cui il

procedimento avanti al giudice ordinario, seppure "pendente", non sia

pure "in corso", si può prospettare la possibilità di adire il tribunale per i

minorenni o di lasciare proseguire il giudizio avanti a quest'ultimo. La vis

attractiva opererà poi (ed eventualmente) laddove il procedimento avanti

al giudice ordinario riprenda il suo corso.

Che tipo di provvedimento deve adottare il tribunale minorile in questi

casi?

In proposito sono sorti alcuni dubbi interpretativi in merito al tipo di

provvedimento da prendere in applicazione della norma qui in esame. Il

Tribunale di Milano, in una delle prime decisioni in materia, ha dichiarato

inammissibile un ricorso proposto in violazione del riparto di competenza

stabilito dall'art. 38 disp. att. c. c. (34). Alcuni interpreti prospettano

l'applicazione della norma sulla continenza tra cause (35) riunione dei

procedimenti, in forza degli artt. 40 e 274 c. p. c. (36).

È condivisibile questa decisione?

Parlare di inammissibilità non sembra condivisibile: la norma in esame,

infatti, regolamenta i rapporti tra giudice ordinario e specializzato in

termini di competenza, con le dovute conseguenze rispetto alla forma del

33 Protocollo di Brescia.

34 Trib. Milano, 3 maggio 2013, cit.

35 PROTO PISANI, op. cit., c. 128.

36 Protocollo di Brescia.

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relativo provvedimento. Quanto alle altre ipotesi prospettate, la

formulazione letterale della norma, che parla di competenza senza mai

menzionare altri istituti pure potenzialmente rilevanti, quali la

connessione o la continenza tra cause e che non accenna alla riunione tra

procedimenti, porta a ritenere che debbano essere applicate, appunto, le

norme sulla competenza. Il provvedimento, dunque, prenderà la forma

dell'ordinanza e, in caso di pronuncia di incompetenza, dovrà essere

seguito dalla tempestiva riassunzione del procedimento avanti al giudice

indicato come competente il quale, a sua volta, potrà proporre

regolamento di competenza d'ufficio (37). Anche per tale strada, dunque, si

può giungere a concentrare tutte le azioni instaurate avanti al medesimo

ufficio giudiziario. Qualificare quella qui in esame come un'ipotesi di

incompetenza per materia porta a dire che la relativa eccezione è

sottoposta al regime di cui all'art. 38 c. p. c. e dunque rilevabile anche

d'ufficio ma solo entro la prima udienza (3638).

Cosa accade una volta emessa l’ordinanza di incompetenza?

In effetti i dubbi interpretativi non sono ancora finiti. Vi è infatti ragione di

chiedersi se, a seguito della pronuncia di incompetenza da parte del

tribunale per i minorenni, la causa debba essere riassunta in seno al

procedimento già in corso in sede ordinaria, ovvero se la parte interessata

debba, con la riassunzione, dar vita ad un nuovo procedimento, avanti al

giudice territorialmente competente (potenzialmente diverso da quello

della causa sulla crisi genitoriale). La prima ipotesi è decisamente da

preferire, dal momento che la vis attractiva di cui stiamo discettando

appare proprio finalizzata ad attuare, ove possibile, la concentrazione

delle domande in un’unica sede processuale (39). In altre parole, le nuove

disposizioni del primo comma dell'art. 38 disp. att. c. c. legittimano il

37 In questo senso v. anche il Protocollo di Brescia.

38 V. pure MONTARULI, op. cit., p. 229.

39 In questo senso anche Protocollo di Brescia. TOMMASEO, I procedimenti de potestate, cit., p. 567,

ritiene peraltro che l’art. 38 disp. att. c. c. non imponga il simultaneus processus.

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"trasferimento" del procedimento dismesso dal tribunale per i minorenni

all'interno di quello in corso avanti al giudice ordinario, a prescindere dalla

fase processuale in cui quest'ultimo si trovi. Potrà così accadere che tale

"trasferimento" avvenga anche in una fase avanzata del procedimento,

sino alla precisazione delle conclusioni, con l'ovvia conseguenza che potrà

rendersi necessario riaprire l'istruttoria, già conclusasi (o mai aperta)

rispetto alle domande principali. I ritardi che questo meccanismo implica

sono compensati, sul piano procedurale, dalla possibilità per il giudice

della crisi genitoriale di emettere in ogni momento provvedimenti a

natura provvisoria ed urgente e, comunque, di pronunciare sentenze non

definitive sulle questioni già mature per la decisione.

Vi sono ipotesi in cui la translatio iudicii non è possibile?

Sì. Come si è visto, l'art. 38 disp. att., comma primo, c. c. fa riferimento al

fatto che sia in corso un procedimento di separazione, divorzio o ex art.

316 c. c. avanti al "giudice ordinario". Può invero porsi l'ipotesi che tale

procedimento non penda in primo grado avanti al tribunale, bensì in

appello o avanti al giudice di legittimità. In questi casi, il trasferimento del

procedimento avanti al giudice che conosce della causa sulla crisi

genitoriale si presenta problematico se non inattuabile. Qualora il

procedimento penda in grado di appello, si potrebbe in effetti concepire di

portare al suo interno le azioni inizialmente proposte avanti al tribunale

per i minorenni (40), così da rendere possibile una decisione unitaria e

"aggiornata" rispetto alla evoluzione dei rapporti o delle condizioni dei

genitori. Il fatto che le nuove domande fatte valere per la prima volta nel

corso del giudizio d'appello possano richiedere accertamenti istruttori (ad

esempio, una consulenza tecnica, l'ascolto del minore, accertamenti

tramite i Servizi Sociali) non rappresenta di per sé un ostacolo. Il problema

principale è rappresentato, piuttosto, dalla perdita di un grado di giudizio.

Al riguardo, le perplessità che pure sorgono possono essere superate dal

40 In questo senso CEA, op. cit., c. 120.

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rilievo che i provvedimenti emessi ex art. 330 e 333 c. c. sono emessi rebus

sic stantibus e sempre revocabili e modificabili.

E se il procedimento pende in Cassazione?

Se rispetto al caso precedente si può giungere, pur in forma dubitativa, ad

ammettere una translatio iudicii a favore del giudice d'appello, tale

soluzione appare impensabile per l'ipotesi in cui la causa sulla crisi

genitoriale sia pendente (per i profili attinenti la prole minorenne) in

Cassazione. Al riguardo, il silenzio della norma fa prospettare tre possibili

soluzioni. In primo luogo, si può ritenere che la vis attractiva continui ad

operare e dunque, a seguito della pronuncia di incompetenza da parte del

giudice minorile, la causa debba essere riassunta avanti al tribunale, con

l'apertura di un nuovo procedimento (41). In alternativa, si potrebbe

prospettare che la translatio avvenga a favore del giudice d'appello (42),

quale ultimo giudice di merito che si è occupato della fattispecie. Queste

soluzioni hanno il limite di non garantire il simultaneus processus che il

nuovo art. 38 disp. att. c. c. mostra di volere implementare, ma fanno sì

che ogni decisione, nel corso del procedimento sulla crisi genitoriale, resti

riservata al giudice ordinario (come pure la disposizione qui in esame

mostra di volere).

Tra le due ipotesi quale appare preferibile?

Tra le due ipotesi prospettate, poi, la più opportuna sembra la prima, per

garantire il doppio grado di giurisdizione sulle nuove domande trasferite

dal giudice specializzate, nonché per la maggiore funzionalità istruttoria

del giudice di primo grado. In alternativa a quanto precede, si potrebbe

ritenere che, nell'ipotesi qui considerata la vis attractiva cessi di operare e

41 V. al riguardo TOMMASEO, I procedimenti de potestate, cit., p. 567.

42 CEA, op. cit., c. 120.

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che dunque la competenza del tribunale per i minorenni non trovi

ostacoli.

È possibile il cumulo di domande davanti al giudice ordinario?

Certamente. Sin qui si è parlato dell'art. 38 disp. att., comma primo, c. c.

come norma "di conflitto", per risolvere le situazioni di pendenza di

procedimenti avanti al giudice ordinario e a quello specializzato. La norma

in esame, però, opera anche come norma sulla competenza "diretta":

essa, cioè, rende possibile il cumulo iniziale di domande (in via principale e

riconvenzionale) in seno al procedimento di separazione, divorzio o ex art.

316 c. c. (43). I fatti che giustificano un intervento limitativo o ablativo della

potestà possono però insorgere anche nel corso del procedimento: la

norma permette, dunque, di fare valere queste "novità", sotto forma di

azioni proposte in via incidentale nell'ambito del procedimento già

pendente, senza alcuna preclusione. Può porsi il caso in cui tali fatti nuovi

si verifichino quando la causa sulla crisi genitoriale sia già pendente in

appello o in Cassazione: in tali ipotesi, le opzioni interpretative sono

analoghe a quelle esaminate poche righe più sopra, rispetto alla translatio

iudicii dal tribunale per i minorenni quando la causa "principale" non

pende più in primo grado avanti al tribunale, con gli adattamenti del caso.

Il meccanismo della "competenza per attrazione" pone anche un

problema di rito applicabile, da risolvere in base all'art. 40, c. , a favore del

procedimento di separazione, divorzio o ex art. 316 c. c., in ragione del

quale si determina l'attrazione delle cause altrimenti riservate alla

competenza del giudice specializzato (44). Per queste ultime, dunque, la vis

attractiva stabilita dalla nuova norma non implica solo uno spostamento

di competenza ma anche un mutamento di rito, salve le ipotesi in cui

anche il procedimento principale sia sottoposto al rito camerale. Nei

43 TOMMASEO, I procedimenti de potestate, cit., p. 567.

44 Così anche TOMMASEO, I procedimenti de potestate, cit., p. 567, il quale peraltro osserva che, a

seguito del cumulo dell’azione de potestate con quella di separazione \ divorzio, dovrebbe essere prevista l’assunzione della qualità di parte del minore, debitamente rappresentato.

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procedimenti di separazione e di divorzio, in particolare, il Presidente e il

giudice istruttore si potranno trovare ad emettere, con la forma

dell'ordinanza (45), provvedimenti provvisori ed urgenti per cui sarebbe

ordinariamente competente il collegio del tribunale per i minorenni. Si

ritiene, peraltro, che al collegio del tribunale ordinario siano comunque

riservati i provvedimenti ad effetti irreversibili o comunque dalle

conseguenze più drastiche, come la decadenza dalla potestà (46). La norma

esaminata in queste pagine, inoltre, permette, in alcuni casi, che

procedimenti relativi al medesimo minore pendano in contemporanea

davanti al tribunale ordinario e al tribunale per i minorenni. Di norma, tali

procedimenti paralleli non saranno legati da un vincolo di pregiudizialità

necessaria tale da giustificare la sospensione necessaria di uno dei due

giudizi: è comunque opportuno che vi sia un coordinamento tra le attività

svolte nelle due sedi, in particolare a livello istruttorio (47).

Quali sono le regole processuali seguite avanti al tribunale ordinario?

Su questo piano, i procedimenti in questione restano, per così dire, figli di

un dio processuale minore. Il legislatore, dopo avere concentrato la

competenza su tutte le crisi genitoriali avanti al medesimo organo

giudiziario, non ha poi saputo o voluto portare il suo cammino di riforma

alla sua logica conseguenza: ovvero l'introduzione di un procedimento

uniforme in materia, basato, in via di mero esempio ipotetico, sul rito

disciplinato dagli artt. 706 ss. c. p. c., applicabile, mutatis mutandis, ai

genitori coniugati e a quelli non uniti in matrimonio, come pure sarebbe

stato ipotizzabile e anche opportuno, in un'ottica di effettiva

equiparazione dei figli (48). Con un'opzione ben più conservatrice, si è

45 CEA, op. cit., c. 119.

46 CEA, op. cit., c. 119.

47 Per il Protocollo di Brescia, in tale ipotesi, i due uffici giudiziari coinvolti sono tenuti alla reciproca

trasmissione degli atti al fine di realizzare un opportuno coordinamento dei rispettivi interventi. 48

V. pure Trib. Varese, 23 gennaio 2013, ord., in www.ilcaso.it, che non esclude “dubbi in ordine alla compatibilità costituzionale di una tale scelta, con il principio di ragionevolezza e di uguaglianza”. Cfr. PROTO PISANI, op. cit., c. 127.

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scelto, in sostanza, di lasciare immutato lo scenario preesistente,

conservando il ben noto doppio binario tra i procedimenti della crisi

coniugale (disciplinati dagli art. 706 ss. c. p. c. e dall'art. 4 l. div.) e quelli

della crisi tra genitori non coniugati, sottoposti al procedimento in camera

di consiglio. Al riguardo, il testo originario dell'art. 38 disp. att. c. c.

stabiliva molto laconicamente che il tribunale per i minorenni, nelle

materie ad esso riservate, dovesse provvedere in camera di consiglio

sentito il p.m., con alcune disposizioni ad hoc per la competenza in

materia di reclamo. La legge n. 219 ha riformato anche sotto questo

profilo, l'art. 38 disp. att. c. c., ma le innovazioni sono limitate e poco

appaganti. Molto rimane tuttora non detto. Alla laconica previsione della

disposizione precedente, infatti, fa oggi riscontro una norma più analitica

(art. 38 disp. att. c. c., periodo secondo e seguenti del primo comma), alla

cui stregua, nei procedimenti in materia di affidamento e di

mantenimento dei minori (pendenti avanti al tribunale ordinario e al

tribunale per i minorenni), fermo restando quanto previsto per le azioni di

stato, il tribunale competente provvede in ogni caso in camera di

consiglio, sentito il pubblico ministero (49), con qualche ulteriore

innovazione di cui parleremo a breve. All'interprete, quindi, tuttora spetta

il compito di riempire di contenuto lo "scheletro" procedimentale del rito

camerale, nello specifico contesto di riferimento.

Qual è il giudice territorialmente competente?

Pacificamente, la competenza territoriale ha natura inderogabile ai sensi

dell'art. 28 c. p. c. (50), essendo previsto l'intervento obbligatorio del p.m.

La Cassazione individua il giudice competente a disporre l'affidamento dei

figli nati da genitori non coniugati in base al luogo in cui si trova la dimora

abituale del minore, in applicazione del principio di prossimità avente

portata generale e rilevante ai fini della competenza giurisdizionale del

49 Per DANOVI, F., op. cit., p. 542, tale disposizione richiama l’intervento del p.m. ai sensi dell’art. 70 c. p.

c. 50

PROTO PISANI, op. cit., c. 128.

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giudice italiano (51). Si tratta in effetti di un criterio di creazione

giurisprudenziale, anche in estensione di orientamenti a livello europeo

(52).

Come decide il tribunale?

Ai sensi dell'art. 50 bis c. p. c., i procedimenti in questione sono attribuiti

al tribunale in composizione collegiale (53). Da questo punto di vista, il

modello camerale sembra richiedere una trattazione e una decisione da

parte del collegio. La prassi, peraltro, per evitare il dispendio di energie e

l'allungamento dei tempi derivanti dalla presenza dell'organo giudicante in

tutte le fasi del procedimento, si sta orientando, anche nell'ambito in

esame, per ammettere che le singole fasi del procedimento possano

svolgersi davanti ad un solo componente del collegio, come previsto dagli

art. 710, comma 2 c. p. c. e dall'art. 3, comma 2 d. legisl. n. 150 del 2011

(54). Il Tribunale di Foggia, ad esempio, ha ritenuto che al giudice relatore

possano essere demandate tutte le fasi processuali che non comportino

l'esplicazione di poteri decisori (svolgimento della prima udienza, rinvio

dell'udienza per garantire il diritto di difesa delle parti, segnalazione delle

questioni rilevabili d'ufficio, raccolta delle dichiarazioni di chiarimento

delle parti o dei difensori, fissazione definitiva del thema decidendum e del

thema probandum, assunzione della prove ammesse dal collegio). Al

collegio stesso sono invece riservate le decisioni istruttorie o sul merito

della controversia (55).

51 Cass., 7 luglio 2001, n. 9266 e Cass., 23 gennaio 2003, n. 1058, richiamate da Trib. Bologna, 25 marzo

2013, decr., in www.giuraemilia.it. V. PROTO PISANI, op. cit., c. 128. 52

Il Tribunale di Bologna, in una recente decisione, a seguito del deposito di un ricorso, prima di fissare l’udienza, ha chiesto al ricorrente di prendere posizione sulla competenza territoriale, per poi dichiararsi incompetente con decreto emesso inaudita altera parte: Trib. Bologna, 25 marzo 2013, decr., in www.giuraemilia.it. 53

Trib. Foggia, 8 marzo 2013; v. pure CEA, op. cit., c. 116 ss. 54

Trib. Varese, 23 gennaio 2013, cit.; PROTO PISANI, op. cit., c. 128. 55

Trib. Foggia, 8 marzo 2013; CEA, op. cit., c. 118.

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34

Come si propone la domanda introduttiva?

La domanda introduttiva si propone con ricorso e la legittimazione attiva e

passiva spetta ai due genitori. L'attuazione della legge delega contenuta

nell'art. 2 della legge n. 219, in merito al ruolo degli ascendenti (lett. p),

per far valere il diritto di mantenere rapporti significativi con i nipoti

minori, potrebbe, peraltro, portare a configurare una legittimazione di

questi ultimi almeno ad intervenire nel procedimento.

Sono previsti termini di comparizione minimi?

Il rito camerale, come noto, non prevede termini minimi di comparizione:

nella prassi, dunque, la dilazione nella fissazione dell'udienza dipende

dalle contingenze del tribunale adito e dalle caratteristiche del caso

concreto. L'elasticità del modello procedimentale consente anche di

convocare le parti davanti al giudice entro termini molto brevi, che

dovrebbero essere, però, sempre idonei a garantire l'esercizio del diritto di

difesa nel caso concreto.

Vi sono preclusioni?

Il rito camerale non prevede un sistema di preclusioni rigide: sovente, i

decreti di fissazione dell'udienza neppure stabiliscono un termine per la

preventiva costituzione del convenuto e anche quando lo fanno non si

tratta di un termine perentorio, alla cui mancata osservanza siano

collegate decadenze di sorta.

È obbligatorio il patrocinio del difensore?

Sì, essendo volte a risolvere controversie su diritti soggettivi, in queste

controversie, i genitori devono essere patrocinati da un difensore.

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35

Le parti debbono comparire personalmente?

La legge non prevede la necessaria comparizione delle parti avanti al

giudice alla prima udienza: tale comparizione potrà però sempre essere

richiesta nel decreto di fissazione dell'udienza e comunque avvenire su

iniziativa spontanea degli interessati. In ogni caso, non si prevede che alla

prima udienza (che potenzialmente potrebbe pure essere l'unica), il

collegio o il giudice relatore provvedano all'audizione delle parti e al

tentativo di conciliazione, sulla falsariga del procedimento di separazione.

Nulla però esclude che ciò possa avvenire nella prassi, come è anzi

opportuno.

Il modello camerale tutela sufficientemente le parti?

Sull'idoneità del modello camerale ad essere utilizzato nell'ambito della

tutela giurisdizionale dei diritti vi è da sempre un acceso dibattito: nel

contesto che ci riguarda, in effetti, tale rito mostra tutti i suoi limiti ed

impone agli interpreti e ai pratici di garantire al meglio i diritti processuali

delle parti, rispetto all'azione e alla difesa e, in particolare, alla possibilità

di difendersi provando. Le controversie relative alla responsabilità

genitoriale e al mantenimento di minori, infatti, richiedono sovente

l'espletamento di articolata attività istruttoria (ad esempio, per verificare

le capacità genitoriali delle parti o per accertare i loro redditi e patrimoni

effettivi). Spesso, dunque, il procedimento dovrà articolarsi su una serie di

udienze successive, per consentire l'acquisizione del materiale istruttorio

necessario, nell'ottica di una cognizione piena ed esaustiva (ancorché

deformalizzata) e non certo sommaria (in quanto superficiale o parziale),

nel rispetto del principio del contraddittorio e della parità di trattamento

con i figli di genitori coniugati. Al riguardo, si pongono alcuni problemi.

Ad esempio?

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36

In primo luogo, come già si è accennato, il rito camerale non è governato

da scansioni preclusive. Le parti, dunque, non sono tenute a formulare

tutte le loro richieste istruttorie e a effettuare tutte le loro produzioni

documentali nei rispettivi primi atti difensivi. In prima udienza, dunque,

deve essere loro consentito di completare le rispettive istanze e

produzioni, anche con la concessione, a richiesta, di un termine per il

deposito di un'apposita memoria integrativa. La necessità di istruire in

modo adeguato la causa, inoltre, porterà sovente, come si è visto, alla

fissazione di una o più udienze successive: il provvedimento finale sarà

dunque rinviato di parecchi mesi e magari di alcuni anni. Si pone dunque il

dubbio se, in questi procedimenti, il collegio, all'esito della prima udienza,

qualora non sia possibile pronunciare immediatamente il decreto

definitivo, possa emettere provvedimenti "provvisori ed urgenti" sulla

falsariga di quanto previsto dall'art. 708 c. p. c. all'esito dell'udienza

presidenziale nel procedimento di separazione. Al riguardo, la

maggioranza degli interpreti si è orientata per una risposta positiva. In

effetti, le norme sul rito camerale, pur non prevedendo nulla sul punto,

neppure escludono tale possibilità. Proprio in quest'ottica, il Tribunale di

Milano ha ritenuto ammissibile che il collegio emettesse provvedimenti

provvisori, affermando che le regole del procedimento in camera di

consiglio non negano espressamente una statuizione interinale, sempre

revocabile e\o modificabile in base al combinato disposto degli artt. 742 c.

p. c. e 155-ter c. c. (56). D'altra parte, sia l'art. 710 c. p. c. che l'art. 336 c. c.

(57) ammettono la possibilità di emettere provvedimenti provvisori nel

corso, rispettivamente, del procedimento per la modifica delle condizioni

della separazione e di quello per la pronuncia di misure a carattere

limitativo o ablativo della potestà genitoriale. Tali norme possono essere

applicate per analogia anche nel contesto che ci riguarda o comunque

possono essere interpretate come l'espressione di una regola implicita

nell'ambito di un procedimento relativo alla prole minorenne: ovvero che,

56 Trib. Milano, 25 giugno 2013, decr.: nella fattispecie, peraltro, il compito del collegio era agevolato dal

fatto che i provvedimenti provvisori riguardavano aspetti dei rapporti dei minori su cui i genitori, nella sostanza, avevano formulato conclusioni conformi. 57

PROTO PISANI, op. cit., c. 128 accenna al carattere “universale” della tutela cautelare.

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37

per la migliore cura e tutela del prevalente interesse del minore, il giudice

abbia un intrinseco potere (esercitabile d'ufficio) di emettere, in ogni

momento del processo, misure interinali a protezione del minore stesso. A

livello di prassi applicativa, si può ad esempio prospettare un rito camerale

ad hoc, su struttura bifasica in senso atecnico, con una prima udienza

destinata all'emissione di un decreto allo stato degli atti per la disciplina

provvisoria dei rapporti tra i genitori e la prole, e con le udienze successive

dedicate alla raccolta delle prove ammissibili e rilevanti. L'alternativa a

quanto precede, per non lasciare prive di tutela urgente situazioni

meritevoli di tutela immediata, sembra essere il ricorso all'art. 700 c. p. c.

che, però, è fortemente contrastato in materia di diritto di famiglia e il cui

utilizzo imporrebbe di concepire la possibilità di proporre reclamo contro

l'ordinanza di prime cure (5658).

È previsto l’ascolto del minore?

Come si è anticipato, la cognizione che si svolge avanti al tribunale

ordinario nelle controversie sulla crisi di genitori non coniugati ha natura

piena ed esaustiva. Sul piano quantitativo qualitativo, dunque, deve

essere svolta la stessa attività istruttoria che, a parità di condizioni,

sarebbe esperita nei procedimenti di separazione e di divorzio, seppur

all'interno di una griglia procedurale meno rigida. Si applica anche in

questo contesto l'art. 155 sexies c. c., che prevede l'assunzione di mezzi di

prova anche d'ufficio in relazione alle decisioni che riguardano la prole

minorenne (59). Sicura applicazione dovrà avere anche il nuovo art. 315 bis

c. c., introdotto dalla legge n. 219 del 2012, che, tra i diritti del figlio, al

comma terzo, sancisce quello del minore che abbia compiuto gli anni

dodici, e anche di età inferiore ove capace di discernimento, di essere

ascoltato in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano. In effetti,

non si tratta di una novità assoluta: da tempo, infatti, anche a livello

58 DANOVI, F., op. cit., p. 543.

59 DANOVI, F., op. cit., p. 542.

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normativo, un passaggio cruciale dei procedimenti in materia di prole

minorenne è costituito proprio dal c.d. ascolto del minore (60). Non è

questa la sede per affrontare l'argomento nel dettaglio. Ci si può, dunque,

limitare a ricordare che, sino alla riforma della legge n. 54 del 2006, a

livello normativo, della questione si occupavano solo due disposizioni della

legge del divorzio: l'art. 4, comma 8, che permette al Presidente del

tribunale, se la conciliazione non riesce, di sentire i figli minori delle parti,

"qualora lo ritenga strettamente necessario anche in considerazione della

loro età", prima di emettere i propri provvedimenti temporanei e urgenti;

e l'art. 6, comma 9, che estende tale previsione alla fase istruttoria del

procedimento di divorzio, stabilendo che, prima di emanare i

provvedimenti relativi all'affidamento dei figli e al contributo per il loro

mantenimento, il giudice possa assumere, qualora sia strettamente

necessario anche in considerazione della loro età, l'audizione dei figli

minori. Nell'interpretazione consolidata di tali norme, peraltro, l'audizione

ivi prevista non era ritenuta un atto dovuto da parte del giudice, che la

poteva eventualmente disporre in base al suo prudente apprezzamento

(61): nella prassi si trattava di uno strumento ben poco utilizzato. Da

tempo, peraltro, in ambito internazionale, l'ascolto del minore si è andato

affermando come un passaggio cruciale di determinazioni (62). Sull'onda

60 V. di recente QUERZOLA, Il processo minorile in dimensione europea, Bologna, 2010, p. 49 ss.

61 Cass., 16 luglio 2001, n. 9632.

62 V. IANNONE, Le Sezioni Unite dànno voce ai figli contesi fra genitori separati, in Fam. pers. succ., 2010,

p. 656 ss. Senza pretesa di completezza, si possono menzionale la Dichiarazione dei diritti dell’uomo di Ginevra del 1924; la Dichiarazione dei diritti dell’uomo dell’O.n.u. del 1948; l’art. 5 della convenzione europea del 1970 sul rimpatrio dei minori; l’art. 6 della convenzione europea del 1980 sull’esercizio dei diritti dei fanciulli (V. LONG, Ascolto dei figli contesi e individuazione della giurisdizione nel caso di trasferimento all’estero dei figli da parte del genitore affidatario, in Nuova giur. civ. comm., 2010, I, p. 313); l’art. 13 della convenzione dell’Aja del 1980 sugli aspetti civili della sottrazione internazionale di un minore; l’art. 15 della convenzione del Lussemburgo del 1980, sul riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia di affidamento e di ristabilimento dell’affidamento; l’art. 12 della convenzione delle Nazioni Unite del 1989 sui diritti dell’infanzia; la convenzione di Strasburgo del 25 gennaio 1996 sull’esercizio dei diritti dei minori; la convenzione di Strasburgo del 19 ottobre 1996 su giurisdizione, legge applicabile, riconoscimento ed esecuzione in materia di responsabilità genitoriale e misure per la protezione dei minori; la convenzione di Strasburgo del 2003 sulle relazioni personali. Il ruolo di tale ascolto ha particolare importanza anche nel regolamento europeo n. 2201 del 2003, ove l’art. 23 inserisce proprio la mancata audizione del minore (salvi i casi di urgenza) tra i motivi che escludono l’esecuzione in uno Stato membro della decisione in materia di responsabilità genitoriale di un altro Stato membri. Assume rilevanza in questo contesto anche l’art. 8 della convenzione europea sui diritti umani: sulla giurisprudenza della C.e.d.u. in tale ambito v., di recente, RUO, Giusto processo civile

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montante delle normative internazionali ed europee, anche il legislatore

italiano si è infine risolto a una presa di posizione più forte. La legge n. 54

del 2006, dunque, nell'introdurre il c.d. affidamento condiviso, ha pure

inserito nel codice civile l'art. 155 sexies, c. c. Ai sensi di tale disposizione,

prima dell'emanazione dei provvedimenti previsti dall'art. 155 c.c.,

sull'affidamento e sul mantenimento della prole minorenne, il giudice

dispone l'audizione del figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici e

anche di età inferiore, se ritenuto capace di discernimento. Si tratta ogni

procedimento relativo alla prole, inteso come momento di valorizzazione

della personalità dei figli e di estrinsecazione del loro pensiero e delle loro

di una norma di portata generale, che si applica (in forza del rinvio operato

dall'art. 4 della legge n 54 del 2006) alla separazione, al divorzio ed ai

procedimenti relativi alla potestà sui figli naturali. Essa, dunque, ha

realisticamente abrogato in via tacita le previgenti norme della legge sul

divorzio sopra menzionate. Oggi, il nuovo art. 315 bis c. p. c. estende

l'ascolto del minore ad ogni procedimento che riguarda la prole

minorenne, a prescindere dall'oggetto. La portata generale della norma, in

effetti, assorbe quella di tutte le disposizione preesistenti che a questo

punto, ormai superflue, possono ritenersi tacitamente abrogate.

La nuova norma si differenzia da quella di cui all’art. 155 sexies c.c.?

I primi interpreti hanno evidenziato una differenza: dove quest'ultima

individua un "dovere" per il giudice, la prima attribuisce un "diritto" al

minore, così "guardando al fanciullo non come semplice oggetto di

protezione ma come vero e proprio soggetto di diritto" (63). La riforma del

2012 sancisce la rilevanza dell'ascolto del minore nei procedimenti che lo

riguardano, come strumento finalizzato alla conoscenza del punto di vista

della prole rispetto alla controversia in atto tra i genitori. La dottrina, in

particolare, valorizza questo espediente come strumento per "capire" il

minorile e spazio giuridico europeo: indicazione della Corte europea dei diritti dell’uomo e linee guida del Consiglio d’Europa per una giustizia child fliendly, in Dir. fam., 2013, p. 334 ss. 63

Trib. Varese, 24 gennaio 2013, decr., in www.ilcaso.it. V. DANOVI, F., op. cit., p. 538.

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minore (64), senza farlo assurgere al rango di mezzo di prova in senso

stretto. La nuova disposizione, d'altro canto, deve probabilmente essere

letta in chiave restrittiva: l'ascolto del minore, infatti, può svolgere

un’importante funzione di conoscenza nei procedimenti che riguardano

l'affidamento della prole o, in generale, i rapporti personali tra genitori e

figli. Nei procedimenti che riguardano, invece, solo gli aspetti patrimoniali

della crisi genitoriale, tale audizione appare inutile e anzi potenzialmente

dannosa. Negli ultimi anni, parallelamente al consolidarsi dell'istituto sul

piano normativo, si è affermata una giurisprudenza tendente a valorizzare

le risultanze dell'ascolto ai fini della decisione. La Cassazione, infatti, ha di

recente affermato che l'art. 155 sexies, comma 1, c. c., impone al giudice

di tenere conto degli esiti dell'audizione del minore. Pur non

prospettandosi, al riguardo, un vincolo per il giudice di adeguarsi alle

dichiarazione del figlio, si parla, piuttosto, di un onere di motivare opinioni

difformi, in modo direttamente proporzionale al grado di discernimento

attribuito al figlio stesso (65). Al riguardo, va peraltro segnalato che la Corte

europea dei diritti umani ha ritenuto che il peso determinante accordato

alla volontà dei figli minori possa integrare una violazione dell'art. 8 della

c.e.d.u. (66). Quanto alla natura precettiva delle disposizioni sull'ascolto del

minore, la questione sembra ormai risolta nel senso di ritenere che esso

debba, di norma, essere sempre disposto, a pena di nullità. In effetti, la

Cassazione, superando gli orientamenti contrari di parte della dottrina e

della giurisprudenza, in una recente pronuncia (nell'ambito di una

fattispecie transnazionale soggetta al regolamento europeo n. 2201 del

2003), si è espressa appunto nel senso di ritenere che il mancato ascolto

del minore, nel corso del procedimento in cui si discute della

responsabilità genitoriale, integri una causa di nullità del processo (67). In

seguito, tale precedente si è consolidato, con la conseguenza che, ove il

minore non sia stato ascoltato dal giudice istruttore nel corso del

64 QUERZOLA, op. cit., p. 51.

65 Cass., 17 maggio 2012, n. 7773, in Guida dir., 2013, fasc. 1, p. 63.

66 V. ad esempio il caso C. v. Finlandia, del 9 maggio 2006; RUO, op. cit., p. 335.

67 Cass., sez. un., 21 ottobre 2009, n. 22238, in Fam. dir., 2010, p. 67; Trib. Varese, 10 febbraio 2010,

ord., in www.altalex.com.

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procedimento di primo grado, la relativa nullità possa essere fatta valere o

dal collegio, dopo la rimessione della causa in decisione, ovvero in sede di

impugnazione della sentenza, in base ai principi generali. Nella prima

ipotesi, si ritiene che la causa debba essere rimessa in istruttoria avanti al

giudice istruttore, per espletare l'incombente inadempiuto (68); nella

seconda, non sussistendo una delle ipotesi tassative di rimessione della

causa in primo grado, la Corte d'appello dovrà annullare il provvedimento

impugnato e procedere essa stessa all'ascolto della prole minorenne. Per

converso, laddove l'ascolto del minore sia già avvenuto in primo grado,

non appare necessario disporne la rinnovazione in fase di appello. La

giurisprudenza di merito, dal canto suo, ha aggiunto che i genitori non

possono disporre del diritto del minore ad essere ascoltato nel

procedimento che lo riguarda: solo il minore stesso, dunque,

adeguatamente supportato da un curatore speciale, potrebbe procedere

all’eventuale rinuncia a tale diritto (69). Come ogni regola, comunque,

anche quella dell'ascolto del minore tollera delle eccezioni. In particolare,

si esclude che la prole debba essere sentita laddove il minore non goda di

capacità di discernimento ovvero se tale audizione possa recargli

nocumento (70). Di tale "esclusione", peraltro, il giudice dovrà dare

adeguata motivazione. Per "discernimento" alcuni intendono la capacità di

riconoscere ciò che accade fuori di noi, altri ritengono inutile tentare di

dare una definizione di tale termine lasciando al giudice valutare caso per

caso se il minore abbia tale capacità e possa essere sentito (71). In effetti,

non è agevole comprendere come il giudice possa desumere tale capacità

di discernimento senza avere previamente avuto alcun contatto con il

minore, qualora essa non sia immediatamente desumibile dall'allegazione

delle parti ovvero sia controversa la sussistenza del rischio di danni. Al

riguardo, si è affermato che il giudice, prima di procedere all'ascolto,

68 Trib. Genova, 23 marzo 2007, ord., in Foro it., 2007, I, p. 1601; Trib. Terni, 31 luglio 2007, in Giur. it.,

2008, p. 1142. 69

Trib. min. Trieste, 14 dicembre 2011, in Corr. mer., 2012, p. 657. 70

Ad esempio, Trib. Termini Imerese, 9 giugno 2011, in Fam., pers., succ., 2011, p. 862, afferma che l’ascolto non va disposto se pregiudizievole per l’interesse ad un equilibrato sviluppo psico-fisico del minore. 71

QUERZOLA, op. cit., p. 62 ss.

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debba delegare i servizi sociali affinché redigano apposita relazione sul

punto, previo accesso ai luoghi in cui il minore svolge la propria vita

quotidiana (72). Si è pure aggiunto che, sotto l'età di 12 anni, si debba

presumere, sino a prova contraria, che l'audizione possa arrecare

nocumento al minore (73). Altri interpreti, d'altro canto, evidenziano che,

in base a studi in materia, il minore sarebbe in grado di interloquire con il

giudice già a 6 o 7 anni, giungendo così ad estendere l'ascolto, in linea

tendenziale, a tutti i bambini in età scolare (74). Nella prassi, d'altro canto,

l'ascolto del minore infradodicenne avviene in casi eccezionali,

normalmente in via indiretta. Rispetto al possibile nocumento che il

minore possa ricavare dall'audizione, la prassi tende a mettere in rilievo

tale aspetto nelle situazioni in cui tra i genitori non vi siano contrasti

rispetto alla posizione dei figli, così che l'ascolto di questi ultimi ne possa

turbare la serenità, in contrasto con il loro interesse superiore (75). Si è

pure affermato che sia in contrasto con l'interesse superiore del minore

l'essere ascoltato qualora la contrapposizione tra i genitori riguardi

esclusivamente questioni relative alle modalità ed entità del contributo al

mantenimento della prole (76). Su questa scia, parte della giurisprudenza

ritiene che si possa prescindere dall'ascolto qualora il minore abbia in

precedenza manifestato stragiudizialmente il desiderio di non essere

coinvolto nella controversia che pure lo riguarda (77). La legge delega

contenuta nell'art. 2 della legge n. 219 porterà a breve a un ulteriore

intervento normativo in questo ambito, per quanto riguarda, in

particolare, l'attuazione del principio enunciato dalla lett. i), che, in

materia di disciplina delle modalità di esercizio del diritto all'ascolto del

minore che abbia adeguata capacità di discernimento, indica di precisare

che, ove l'ascolto sia previsto nell'ambito di procedimenti giurisdizionali,

ad esso provveda il Presidente del tribunale o il giudice delegato.

72 ARCERI, in Quest. dir. fam., 2008, fasc. 6, p. 52.

73 Trib. Varese, 10 febbraio 2010, ord., in www.altalex.com.

74 LONG, op. cit., p. 315.

75 Trib. min. Trieste, 28 marzo 2012, in Guida dir., Dossier, 2012, fasc. 25, p. XV.

76 Trib. min. Trieste, 18 maggio 2011, decr., in Fam. min., 2011, fasc. 8, p. 67.

77 App. Milano, 21 febbraio 2011, in Corr. mer., 2012, p. 32.

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Attualmente, in effetti, le modalità pratiche di svolgimento dell'ascolto del

minore sono rimesse alla prudente valutazione del giudicante, con prassi

diversificate a seconda del foro adito. In alcuni tribunali, ad esempio,

all'ascolto provvede direttamente il giudice istruttore, adottando le più

opportune modalità per garantire la privacy e la serenità del minore

coinvolto. L'audizione della prole, inoltre, viene delegata ad un giudice del

collegio, con l'assistenza di un operatore del servizio sociale, a volte con

esame dello stesso in ambiente familiare, come la scuola da lui

frequentata (78). In alcuni casi, viene pure attuata la c.d. audizione assistita

del minore, alla presenza del giudice, del difensore delle parti e di un

esperto in psicologia, settore minori, nominato ai sensi dell'art. 68 c. p. c.

(79). Altrove, l'audizione viene di preferenza delegata ad un "esperto"

all'uopo nominato, ovvero ai servizi sociali territorialmente competenti, i

quali poi riferiscono al giudice con apposite relazioni in merito all'attività

da loro esperita. Si parla in questo caso di audizione indiretta ed è proprio

rispetto a tale forma di ascolto (invero molto diffusa) che la legge delega

sembra porsi in contrasto. In effetti, le prassi in questione fanno venire

meno l'immediatezza del rapporto tra giudice e minore, per tacere dei

costi collegati ad alcune forme di ascolto indiretto (come quelle che

avvengono tramite perito nominato dall'ufficio). D'altro canto, prevedere

che all'ascolto provveda il Presidente o un giudice da lui delegato rischia di

aumentare il carico di lavoro dei magistrati coinvolti, dilatando i tempi del

procedimento, con l'evidente rischio di mancanza di specifica

preparazione tecnica. Dal punto di vista della prole, inoltre, comparire di

fronte a un giudice in un'aula di giustizia senz'altro comporta un maggiore

stress emotivo, derivante dal timore reverenziale, con la possibilità di

avere dichiarazioni meno spontanee. La legge delega contenuta nella

legge n. 219, peraltro, non prevede indicazioni sulle modalità operative

dell'audizione del minore, come pure sarebbe stato opportuno, dal

momento che, al riguardo, si registrano prassi contrastanti. Il primo,

irrisolto, dubbio riguarda la necessità che la dichiarazione del minore sia

78 App. min. Napoli, 22 marzo 2006, decr., in www.minoriefamiglia.it.

79 Trib. Varese, 10 febbraio 2010, cit.

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verbalizzata. Nella prassi, si tende a riportare il sunto di quanto dichiarato

dal minore, ad opera del giudice o del soggetto che procede

all'incombente. Non vi è poi uniformità di opinioni circa le modalità di

attuazione del contraddittorio in questo contesto. L'esperienza applicativa

denota la preferenza del giudice di ascoltare il minore senza la presenza

dei legali e\o delle parti. In effetti, si può comprendere che il minore possa

essere inibito o condizionato nelle risposte dalla presenza dei genitori,

compromettendo la spontaneità e la genuinità della sua audizione. D'altro

canto, l'ascolto da parte del solo giudice, con una verbalizzazione

sommaria, senza alcuna possibilità di riscontro delle domande effettuate e

delle dichiarazioni rese qualche problema di compatibilità con i parametri

costituzionali del giusto processo lo pone, tanto più se si considera che la

giurisprudenza di legittimità esprime un crescente favore per la

valorizzazione della volontà espressa dal minore nella determinazione del

contenuto del provvedimento relativo a quest'ultimo. Anche laddove il

difensore sia autorizzato a presenziare all'audizione, comunque, si nega

che egli possa porre quesiti diretti: piuttosto, si ritiene che, prima

dell'udienza, egli possa depositare una memoria contenente le domande

che si chiede che il giudice voglia rivolgere al minore (80). In quest'ottica, in

alcuni Tribunali, il giudice, prima di ascoltare il minore, sollecita ai genitori

e ai loro difensori suggerimenti sulle questioni da toccare nel corso

dell'audizione. Su tutti questi profili, dunque, sarebbe altamente

opportuno un intervento del legislatore.

È previsto l’accertamento dei redditi dei genitori?

Per decidere in merito agli obblighi dei genitori non coniugati rispetto al

mantenimento dei figli, il tribunale dovrà compiere i necessari

accertamenti istruttori sulla falsariga di quanto avviene in sede di

separazione e divorzio. Anche in questo ambito, peraltro, il giudice può

esercitare poteri istruttori d'ufficio, senza essere vincolato dalle richieste

80 Trib. Varese, 10 febbraio 2010, cit.

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delle parti. Pure in mancanza di specifiche indicazioni legislative, il

tribunale, anche a prescindere da un'istanza specifica delle parti, dovrà

disporre la produzione in giudizio delle ultime dichiarazioni dei redditi.

Com'è noto, peraltro, tali dichiarazioni sono spesso tutt'altro che

attendibili o affidabili e, per giurisprudenza consolidata, esse non sono in

alcun modo vincolanti per il giudice: ad esse, in effetti, si tende ad

attribuire un valore meramente indiziario, che il giudice può superare ed

integrare attingendo a tutti i dati facente parte del bagaglio istruttorio (81).

Per documentare i redditi "non monitorati" di un genitore, si può fare

ricorso ad ogni idoneo mezzo di prova tipico ed atipico ed in particolare

alle presunzioni, dovendosi peraltro tener conto che, al fine della

quantificazione dell'assegno di mantenimento, la valutazione delle

condizioni economiche delle parti non richiede la determinazione

dell'esatto importo dei redditi posseduti attraverso rigorose analisi

contabili e finanziarie, essendo sufficiente un'attendibile ricostruzione

delle complessive situazioni patrimoniali e reddituali delle parti (82). Ad

esempio, un tenore di vita dispendioso o la disponibilità di beni di lusso

(ancorché, magari, intestati a società..) sono sicuramente incompatibili

con un basso reddito dichiarato, così da fare presumere che in realtà il

reddito reale della parte sia superiore, anche senza bisogno di ricorrere

alle indagini della Guardia di Finanza (83). Nell'ambito qui in esame, per

l'accertamento dei redditi dei genitori trova applicazione l'ult. comma

dell'art. 155 c. c., come riformato dalla legge n. 54 del 2006. Tale norma

prevede la possibilità di disporre anche d'ufficio tali accertamenti, a mezzo

della polizia tributaria, se le informazioni di carattere economico fornite

dai genitori stessi non risultino sufficientemente documentate (84), senza

necessità (a quanto sembra) di specifiche contestazioni. Essa, inoltre,

ammette un ulteriore accertamento della polizia tributaria, relativo a

81 Cass., 17 febbraio 2011, n. 3905; App. Roma, 9 marzo 2012, n. 1342, in Guida dir., 2012, fasc. 21, p.

65. 82

V. Cass., sez. I, 5 novembre 2007, n. 23051; Cass., sez. I, 17 giugno 2009, n. 14081, in Fam. dir., 2010, p. 373. 83

Cass., 4 ottobre 2012, n. 16923. 84

V, anche VACCARO, L’indagine fiscale valido supporto al giudice per una equilibrata decisione, in Fam. min., 2010, fasc. 4, p. 23.

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"beni oggetto di contestazione", anche se intestati a soggetti diversi.

Sebbene la formulazione della norma, sul punto, sia un po' oscura, il suo

senso è inutile: viene qui in rilievo la possibilità di determinare il valore di

mercato o quello locatizio di beni mobili o immobili di proprietà dei

genitori o che, seppure intestati a soggetti terzi, appaiano verosimilmente

da imputare al patrimonio dei genitori stessi. In altre parole, la norma è

strumentale all'accertamento dell'effettiva situazione patrimoniale delle

parti, rispetto alla quale può rendersi necessario stimare il valore di beni

da cui esse possano trarre (anche in via potenziale) un'utilità economica,

quando l'apparenza documentale non sia sufficiente a tal fine. Con il

riferimento ai beni intestati a terzi, il legislatore ha preso atto che,

sovente, determinati beni vengono intestati a persone diverse da chi

effettivamente ha messo a disposizione il denaro per il relativo acquisto e

che simili espedienti sono spesso utilizzati da un genitore per sottrarsi agli

obblighi di mantenimento nei confronti della prole. Da questo punto di

vista, si legittima il giudice a tenere conto, nella ricostruzione del

patrimonio delle parti, anche di beni solo formalmente intestati a soggetti

terzi. La norma, peraltro, non si preoccupa delle implicazioni processuali

che tali "verifiche" possono comportare. In effetti, lascia perplessi (anche

sul piano del rispetto dei principi costituzionali) la possibilità che il giudice

svolga indagini su un bene e trarre conclusioni rispetto a chi ne sia

l'effettivo proprietario, quando il terzo interessato non sia parte in causa e

non possa fare valere la sua posizione nel rispetto delle regole sul

contraddittorio. A distanza di alcuni anni dall'introduzione della norma,

d'altro canto, non è stato possibile riscontrare ipotesi pratiche di sua

applicazione, ciò che può invero dipendere dalle difficoltà procedurali

sottese alla stessa. Per disporre le verifiche qui in esame, d'altro canto, la

norma richiede una "contestazione" e, dunque, la circostanziata

allegazione, da parte di un genitore (o, in ipotesi, del p.m.), che un certo

bene della controparte abbia un valore di mercato superiore a quello

apparente ovvero che un bene intestato a terzi sia da ricondurre al

patrimonio dell'altro genitore. E', invece, esclusa qui l'iniziativa ufficiosa

del giudice istruttore.

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Come è disciplinata la fase decisoria?

Il rito camerale non prevede la necessità di fissare un'udienza di

precisazione delle conclusioni né il deposito di comparse conclusionali e

repliche. Le parti, dunque, potranno limitarsi a richiamare i propri atti

difensivi iniziali e le conclusioni ivi emarginate. Nei casi in cui si sia svolta

attività istruttoria o comunque nelle fattispecie più complesse (in cui, ad

esempio, siano insorti mutamenti nelle circostanze in corso di causa), alle

parti deve, però, essere concesso di presentare le rispettive "ultime

difese", potenzialmente diverse rispetto a quelle inizialmente proposte.

Ciò potrà avvenire con una discussione orale avanti al collegio oppure,

preferibilmente, con il deposito di apposite memorie difensive finali da

depositare entro il termine all'uopo fissato prima o dopo l'udienza finale.

Per quanto attiene la fase decisoria, in materia di figli minori, il giudice

non è vincolato dai principi della domanda, della corrispondenza tra il

chiesto e il pronunciato e, in generale, dal principio dispositivo. Anche in

questo ambito, dunque, il collegio può provvedere d'ufficio sia rispetto

all'affidamento che al mantenimento della prole, pure in mancanza di

domanda da parte del genitore contro-interessato e magari andando

contro gli accordi eventualmente intercorsi tra i genitori. Il provvedimento

avrà la forma del decreto, in base alle norme generali.

I provvedimenti sono immediatamente esecutivi?

In deroga alle norme sul rito camerale, il nuovo terzo periodo del comma

primo dell'art. 38 disp. att. c. c. prevede (molto opportunamente) che i

provvedimenti emessi sono immediatamente esecutivi, salvo che il giudice

disponga diversamente, superando così i dubbi interpretativi di recente

manifestatisi rispetto, ad esempio, ai provvedimenti emessi in sede di

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modifica delle condizioni della separazione ex art. 710 c. p. c. (85). La novità

normativa, peraltro, è stata di recente accompagnata dal riconoscimento

giurisprudenziale dell'immediata s esecutiva dei provvedimenti camerali

emessi in seno al procedimento di modifica delle condizioni di divorzio ai

sensi dell'art. 9 l. div. (86).

Qual è il regime di impugnazione del provvedimento?

Sul piano delle impugnazioni, il provvedimento può essere reclamato in

corte di appello in base alle norme generali. Qualora alla domanda

principale sulla crisi genitoriale siano state cumulate o riunite domande de

potestate, si ritiene che al p.m. debba essere riconosciuto il potere di

impugnare i capi delle decisioni su tali ambiti (87). Vertendo in materia di

diritti soggettivi, il decreto emesso dalla corte d'appello dovrebbe essere

ricorribile in Cassazione.

È possibile "formalizzare" gli accordi intercorsi tra genitori in merito alla

responsabilità e al mantenimento dei figli minorenni avanti al giudice

competente?

Nulla esclude, in casi del genere, la possibilità di presentare un ricorso a

domanda congiunta nel quale, in sostanza, si chieda al tribunale di

"approvare" e "ratificare" le condizioni concordate tra le parti. In una

fattispecie di questo tipo, il tribunale di Milano ha affermato che, non

essendo necessario l'espletamento di tentativo di conciliazione, venendo

meno il rapporto tra i genitori ad nutum, a seguito del deposito di un

85 In materia, Cass., 27 aprile 2011, n. 9373, in Foro it., 2011, I, c. 3058, afferma che i provvedimenti di

natura economica in favore dei figli e del coniuge emessi dal Tribunale in sede di modifica delle condizioni di separazione non sono immediatamente esecutivi; di contro, Cass., 20 marzo 2012, n. 4376, in Giust. civ., 2012, I, p. 2340, ritiene che i provvedimenti in questione siano immediatamente esecutivi, nonapplicandosi ad essi il differimento dell'efficacia esecutiva previsto in via generale dall'art. 741 c. p. c.; conf. Trib. Catania, 24 maggio 2010, decr., in Fam. min. 10, fasc. 10, p. 70. 86

Cass., sez. un., 26 aprile 2013, n. 10064. 87

MONTARULI, op. cit., p. 237.

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ricorso congiunto, in linea di principio e fatte salve eventuali valutazioni di

opportunità, la comparizione personale delle parti è superflua: l'organo

giudiziario, infatti, deve limitarsi ad esaminare l'adeguatezza degli accordi

raggiunti nell'interesse della prole minore, allo stato degli atti. In

quest'ottica, dunque, per il tribunale lombardo, non si rende necessaria la

fissazione dell'udienza di comparizione delle parti davanti al collegio,

potendo quest'ultimo provvedere direttamente a seguito del deposito del

ricorso (88). La soluzione appare ispirata ad una logica di "risparmio delle

energie" ma non convince del tutto: non sembra infatti opportuno, alla

luce dei valori e degli interessi in gioco, che il giudice provveda sulla base

della mera lettura del ricorso, senza un confronto diretto con i genitori e

senza neppure procedere all'eventuale ascolto del minore. Ove si voglia

accedere a questa opzione applicativa, l'organo giudiziario dovrà

comunque richiedere il deposito di tutti i documenti rilevanti per valutare

l'adeguatezza e l'opportunità degli accordi intercorsi tra i genitori: in

particolare, le dichiarazioni dei redditi dei genitori, le visure catastali delle

loro proprietà, quelle camerali delle eventuali partecipazioni societarie e

così via. In caso di ricorso congiunto, si pone il dubbio se il tribunale adito,

ritenendo inadeguati i patti stipulati tra i coniugi, possa d'ufficio emettere

un provvedimento dal convenuto difforme rispetto alle conclusioni delle

parti o se debba piuttosto respingere tout court il ricorso. La prima

soluzione non è accoglibile sic et simpliciter: è vero che, in questa materia,

il giudice non è vincolato dalla corrispondenza tra il chiesto e il

pronunciato ma si devono anche evitare i provvedimenti a sorpresa e di

travisare la natura congiunta dell'istanza. D'altra parte, il rigetto del

ricorso rischia di lasciare priva di tutela la situazione. Si può, dunque,

prospettare l'applicazione "analogica" della soluzione prevista per il

divorzio congiunto, nell'ipotesi in cui il collegio ritenga non accoglibili le

condizioni previste dalle parti: anche qui, dunque, il collegio dovrà

"convertire" il rito, riconvocando le parti avanti a sé e aprendo l'eventuale

istruttoria per una decisione "contenziosa". Per i figli di genitori di

coniugati, inoltre, non si prevede espressamente un procedimento per la

88 Trib. Milano, 20 febbraio 2013, decr.

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modifica di condizioni precedentemente stabilite o concordate rispetto al

loro affidamento e mantenimento. L'art. 155 c. c. prevede comunque la

piena modificabilità di tali condizioni al mutare della situazione di

riferimento. I provvedimenti esistenti, dunque, potranno in ogni momento

essere sottoposti a revisione, da parte del tribunale ordinario competente

per territorio (e non necessariamente quello che ha emesso il

provvedimento modificando), seguendo il rito camerale. In questo ambito,

le differenze tra genitori coniugati e non tendono ad azzerarsi: in effetti,

anche per i primi, gli art. 710 c. p. c. e l'art. 9 l. div. prevedono, per la

modifica dei provvedimenti esistenti, l'applicazione del procedimento in

camera di consiglio.

Alcune considerazioni finali.

In ambito processuale, la riforma dello stato giuridico dei figli propone

alcune importanti innovazioni che cambiano l'aspetto del contenzioso tra

genitori non coniugati. Sicuramente, il nuovo riparto delle competenze tra

tribunale ordinario e tribunale per i minorenni è destinato ad avere un

impatto profondo sulla tutela giurisdizionale delle coppie di fatto. Il

tribunale ordinario, in particolare, appare meglio "equipaggiato" ad

affrontare, sul piano dell'impostazione della propria attività, le

controversie patrimoniali relative al mantenimento dei figli nati fuori dal

matrimonio (ad esempio, a livello di accertamenti istruttori). Si può anche

ipotizzare una diminuzione nel coinvolgimento dei Servizi sociali

nell'ambito delle controversie relative all'affidamento della prole rispetto

all'esperienza dei tribunali per i minorenni. Le novità procedimentali

introdotte dalla legge n. 219 del 2012 appaiono dunque opportune e

condivisibili (89), nonostante la scadente tecnica di redazione delle stesse.

89 Anche FINOCCHIARO, G., Ridotte le competenze del tribunale per i minorenni, in Guida dir., 2013, fasc. 5,

p. 88, ritiene apprezzabili le scelte compiute dal legislatore della riforma. Per alcune critiche v. però MUGLIA, La mancanza di un “rito adeguato” per i figli naturali è una lacuna che snatura la ratio della norma, in Guida dir., 2013, fasc. 3, p. 6, il quale lamenta la mancanza di una “formazione specialistica” dei giudici del tribunale ordinario e la mancanza della componente onoraria.

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Come si è messo in evidenza, peraltro, in campo processuale, la nuova

disciplina della filiazione appare "timida": si sarebbe, in effetti, dovuto e

potuto fare di più (90). Evidentemente, i tempi per l'istituzione del c.d.

tribunale della famiglia e la creazione di un rito uniforme per la crisi

coniugale e genitoriale devono ancora maturare. Come le pagine che

precedono dimostrano, però, le disparità di trattamento processuale tra

figli di genitori coniugati e non sono oggi ancora più evidenti ed

insopportabili. In effetti, tale diversità di trattamento è ancor più

ingiustificata rispetto al passato, alla luce della totale equiparazione dei

figli sul piano sostanziale, e solo in parte attenuata dal consolidamento

della competenza in capo al medesimo ufficio giudiziario. De iure

condendo, dunque, vi è ancora strada da percorrere per una completa ed

effettiva equiparazione tra prole nata dentro o fuori da un matrimonio.

90 V. anche le osservazioni di TOMMASEO, La nuova legge sulla filiazione, cit., p. 252.

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QUADRO DI SINTESI

COMPETENZA Tribunale

COMPOSIZIONE ORGANO GIUDICANTE Collegiale FORMA DELLA DOMANDA Ricorso

COMPETENZA TERRITORIALE Giudice del luogo di dimora abituale del minore

LEGITTIMAZIONE ATTIVA Genitori TERMINI MINIMI DI COMPARIZIONE No

PRECLUSIONI No

OBBLIGO DI PATROCINIO DEL DIFENSORE Sì OBBLIGO DI COMPARIZIONE DELLE PARTI No

OBBLIGO DI TENTATIVO DI CONCILIAZIONE No OBBLIGO DI ASCOLTO DEL MINORE Sì se ha compiuto 12 anni o se ha

capacità di discernimento EFFICACIA ESECUTIVA DEL PROVVEDIMENTO Sì

UDIENZA DI PC No COMPARSE E REPLICHE CONCLUSIONALI A discrezione del giudice

FORMA DEL PROVVEDIMENTO FINALE Decreto

GIUDICE DELL’IMPUGNAZIONE Corte d’Appello MEZZO DI IMPUGNAZIONE Reclamo

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GIURISPRUDENZA CITATA NEL TESTO

(in ordine cronologico)

Cassazione civile sez. I, 03 novembre 2000, n. 14360

In tema di regolamento di competenza, ai fini del decorso del termine di trenta giorni di cui all'articolo 47, comma 2, c.p.c., un atto di "presa visione" può sostituire la comunicazione eseguita con biglietto di cancelleria ma solo se il medesimo si riferisce con certezza al provvedimento impugnabile. (Nella specie è stato escluso che integrasse una presa visione sicuramente riferibile al provvedimento la sottoscrizione del difensore apposta, dopo l'emanazione di quello, sulla copertina del fascicolo d'ufficio in corrispondenza all'annotazione di ritiro del fascicolo di parte). In materia di regolamento di competenza, la riassunzione ai sensi dell'articolo 50 c.p.c. davanti al giudice dichiarato competente non impedisce la successiva contestazione della competenza, una preclusione in tal senso derivando unicamente dall'inutile decorso del termine di cui all'articolo 47 c.p.c. e disciplinando l'articolo 48 c.p.c. il coordinamento tra gli istituti del regolamento e della riassunzione attraverso la sospensione dei processi relativamente ai quali è chiesto il regolamento. La riassunzione della causa innanzi al giudice dichiarato competente da quello inizialmente adito non è ostativa alla successiva contestazione della competenza, atteso che il ricorso per regolamento di competenza è precluso solo dall'inutile decorso del termine di cui all'art. 47 c.p.c. In regime di separazione legale consensuale, qualora - nulla prevedendo al riguardo i patti della separazione - insorga un contrasto tra i coniugi relativamente alla iscrizione del figlio minore, affidato ad uno di essi, presso una scuola dell'obbligo piuttosto che presso un'altra, la competenza per materia a conoscere della relativa controversia non è devoluta né al giudice tutelare né al tribunale per i minorenni, ma al tribunale ordinario. È ammissibile il ricorso per regolamento di competenza avverso il decreto con il quale il giudice tutelare, adito ai sensi dell'articolo 337 c.c. per stabilire se rientri nell'esercizio della potestà del genitore affidatario la scelta della scuola (privata o pubblica) cui iscrivere il figlio, dichiara la competenza per materia del tribunale per i minorenni, trattandosi di provvedimento decisorio e definitivo sulla competenza ed avendo quindi natura e contenuto sostanziale di sentenza.

Il potere di vigilanza attribuito dall'articolo 337 c.c. al giudice tutelare concerne l'attuazione delle condizioni stabilite sia dal tribunale per i minorenni per l'esercizio della potestà e l'amministrazione dei beni che dal tribunale ordinario per l'affidamento della prole in sede di separazione tra i coniugi; il suo esercizio presuppone l'interpretazione delle condizioni della separazione ma non si estende all'attribuzione di poteri decisori, che non siano meramente applicativi delle condizioni medesime, restando esclusa ogni statuizione modificativa di queste. (Nella specie le condizioni di separazione prevedevano l'affidamento alla madre e l'accollo al padre, tra l'altro, delle spese scolastiche senza stabilire alcunché sulla scelta della scuola; la S.C. ha escluso che la lacuna e il contrasto sul punto potessero superarsi attraverso l'esercizio del potere di vigilanza del giudice tutelare, essendo necessaria un'integrazione e quindi una modifica dei patti della separazione).

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A seguito della separazione tra coniugi, la potestà sui figli rimane ad essi comune, l'esercizio esclusivo della medesima è attribuito all'affidatario, che deve attenersi alle condizioni fissate dal giudice, e le decisioni di maggior interesse (tra cui la scelta della scuola) devono essere adottate da entrambi i genitori; in mancanza di accordo, compete al giudice ordinario ai sensi dell'articolo 155, comma 3, c.c., accertare la congruità rispetto all'interesse del minore della decisione assunta dall'affidatario, avvalendosi a tal fine dei poteri ufficiosi di cui all'articolo 155, comma 7, c.c. e integrando all'occorrenza le condizioni della separazione; benché la norma attribuisca il potere d'iniziativa al genitore non affidatario, analogo potere spetta anche all'affidatario, il quale, in presenza di contrasto con l'altro coniuge, anziché decidere può chiedere direttamente al giudice di adottare i provvedimenti necessari. In tema di soluzione dei contrasti tra i genitori per questioni di particolare importanza, l'articolo 316 c.c., il quale prevede che ciascuno di essi può ricorrere al giudice indicando i provvedimenti che ritiene più idonei, trova applicazione per le ipotesi di famiglia unita; i provvedimenti di cui all'articolo 155, comma 3, si collocano invece durante lo stato di separazione tra i coniugi e rientrano nella disciplina di questa. Le domande proposte dai coniugi separati per ottenere provvedimenti nell'interesse della prole si configurano come domande volte a modificare l'assetto dei rapporti riguardo ai figli minori determinato dalla sentenza di separazione ai sensi dell'art. 155 c.c. e, conseguentemente, devono essere proposte nelle forme previste dall'art. 710 c.p.c. esclusivamente al tribunale ordinario, forme richiamate dall'art. 711 c.p.c., per quanto riguarda la modifica delle condizioni stabilite nella separazione consensuale.

Cassazione civile sez. I, 07 luglio 2001, n. 9266

In tema di controversie relative a minori, ai fini dell'individuazione del tribunale per i minorenni territorialmente competente in ordine ai provvedimenti diretti ad intervenire sulla potestà genitoriale e sulle modalità del suo esercizio secondo le previsioni degli art. 330 e ss. c.c. deve aversi riguardo alla residenza di fatto del minore e, quindi, al luogo di abituale dimora alla data della domanda.

Cassazione civile sez. I, 16 luglio 2001

Poiché nei provvedimenti di separazione e di divorzio l'audizione del minore, al fine dell'affidamento, è rimessa a prudente apprezzamento del giudice, non sussiste alcun vizio motivazionale della sentenza di merito, che tale audizione non abbia disposto, senza alcuna motivazione sul punto, ove il genitore, richiedente l'affidamento, non abbia richiesto l'audizione nelle pregresse fasi di merito.

Risponde all'interesse del minore l'affidamento al genitore ritenuto in concreto più idoneo a ridurre gli effetti pregiudizievoli derivanti dalla crisi familiare. (Nella specie la Cassazione ha ritenuto che l'affidamento alla madre, allontanatasi dalla casa familiare per costituire un nuovo nucleo familiare, sarebbe stato più rischioso per lo sviluppo della minore comportando per la stessa una variazione del suo regime di vita con l'inserimento in una nuova situazione ambientale).

Cassazione civile sez. I, 23 gennaio 2003, n. 1058

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In tema di controversie relative a minori, ai fini dell'individuazione del tribunale per i minorenni territorialmente competente in ordine ai provvedimenti diretti ad intervenire sulla potestà genitoriale e sulle modalità del suo esercizio secondo le previsioni degli art. 330 e seguenti c.c., deve aversi riguardo alla residenza di fatto del minore e, quindi, al luogo di abituale dimora alla data della domanda o, in ipotesi di procedimento iniziato d'ufficio, alla data di inizio del procedimento stesso.

App. min. Napoli, 22 marzo 2006 Va rigettata la richiesta di affido condiviso qualora la ripulsa del figlio minore nei confronti del genitore istante si sia rivelata invincibile all'esito dei numerosi interventi di sostegno e supporto, finalizzati al recupero del rapporto genitoriale, disposti dall'autorità giudiziaria, sicché l’allontanamento dal genitore unico affidatario potrebbe risultare estremamente destabilizzante per il minore stesso e sicuramente pregiudizievole per il suo sviluppo. Trib. Genova, 23 marzo 2007 In tema di separazione dei coniugi, il giudice istruttore, in caso di controversia sull'affidamento dei figli minori, o sulle relative modalità, prima di statuire al riguardo ha l'obbligo, sancito a pena di nullità, di procedere all'ascolto dei minori stessi, se capaci di discernimento (nella specie, il tribunale, in sede di reclamo, dichiarata la nullità dell'ordinanza attinente all'affidamento pronunciata senza la previa audizione del minore, ha rimesso gli atti al giudice istruttore, perché solo questi può individuare le modalità di ascolto, anche indiretto o protetto, più adeguate alla tutela del medesimo).

Cassazione civile sez. I, 03 aprile 2007

La l. 8 febbraio 2006 n. 54 sull'esercizio della potestà in caso di crisi della coppia genitoriale e sull'affidamento condiviso, applicabile anche ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati, ha riplasmato l'art. 317 bis c.c., il quale, innovato nel suo contenuto precettivo, continua tuttavia a rappresentare lo statuto normativo della potestà del genitore naturale e dell'affidamento del figlio nella crisi dell'unione di fatto, sicché la competenza ad adottare i provvedimenti nell'interesse del figlio naturale spetta al tribunale per i minorenni, in forza dell'art. 38, comma 1, disp. att. c.c., "in parte qua" non abrogato, neppure tacitamente, dalla novella. La contestualità delle misure relative all'esercizio della potestà e all'affidamento del figlio, da un lato, e di quelle economiche inerenti al loro mantenimento, dall'altro, prefigurata dai novellati art. 155 ss. c.c., ha peraltro determinato - in sintonia con l'esigenza di evitare che i minori ricevano dall'ordinamento un trattamento diseguale a seconda che siano nati da genitori coniugati oppure da genitori non coniugati, oltre che di escludere soluzioni interpretative che comportino un sacrificio del principio di concentrazione delle tutele, che è aspetto centrale della ragionevole durata del processo - una attrazione, in capo allo stesso giudice specializzato, della competenza a provvedere, altresì, sulla misura e sul modo con cui ciascuno dei genitori naturali deve contribuire al mantenimento del figlio.

Cass., sez. I, 5 novembre 2007, n. 23051

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In tema di separazione tra i coniugi, al fine della quantificazione dell'assegno di mantenimento, la valutazione delle condizioni economiche delle parti non richiede la determinazione dell'esatto importo dei redditi posseduti attraverso l'acquisizione di dati numerici o rigorose analisi contabili e finanziarie, essendo sufficiente una attendibile ricostruzione delle complessive situazioni patrimoniali e reddituali dei coniugi. Cass., sez. un., 21 ottobre 2009, n. 22238 È necessaria l'audizione del minore del cui affidamento deve disporsi, salvo che tale ascolto possa essere in contrasto con i suoi interessi fondamentali, e quando il giudice omette la convocazione perché ritiene che il minore non abbia sufficienti capacità di discernimento deve spiegare in modo adeguato la sua scelta. In tema di modifica delle condizioni della separazione personale tra coniugi (nella specie di diversa nazionalità), quanto all'affidamento dei minori costituisce violazione dei principi del contraddittorio e del giusto processo il mancato ascolto del minore che ha superato i 12 anni e, comunque, il mancato accertamento della capacità di discernimento da parte del minore di età inferiore. A norma del regolamento del Consiglio Ce n. 2201/2003 - in deroga al principio generale secondo cui le autorità giurisdizionali di uno Stato membro sono competenti per le domande relative alla responsabilità genitoriale su un minore, se il minore risiede abitualmente in quello Stato membro alla data in cui dette autorità sono adite - in caso di trasferimento della residenza del minore da uno Stato membro all'altro permane la competenza delle autorità giurisdizionali dello Stato della precedente residenza abituale del minore per un periodo di tre mesi dalla data del trasferimento. A tale riguardo qualora (nella specie quattro mesi dopo l'omologa della separazione consensuale con impegno del coniuge straniero di risiedere, con i minori, in Italia) sia stato il coniuge (straniero) che ha in precedenza trasferito all'estero sé stesso e i minori ad adire il giudice italiano comunicando all'altro l'intenzione di trasferirsi all'estero, sussiste la giurisdizione del giudice italiano, con riguardo alla domanda proposta dal cittadino per ottenere l'affidamento a sé dei figli minori, a distanza di un mese dal ricorso dell'altro genitore (a prescindere dalla data del trasferimento effettivo dei minori), potendo lo stesso escludere, sulle base delle notizie fornitegli dalla controparte, che fossero già decorsi tre mesi dal cambio di residenza abituale. Il decreto emesso in camera di consiglio dalla Corte d'appello a seguito di reclamo avverso i provvedimenti emanati dal tribunale sull'istanza di revisione delle disposizioni accessorie alla separazione, in quanto incidente su diritti soggettivi delle parti, nonché caratterizzato da stabilità temporanea, che lo rende idoneo ad acquistare efficacia di giudicato, sia pure "rebus sic stantibus", è impugnabile dinanzi alla Corte di cassazione con il ricorso straordinario ai sensi dell'art. 111 cost., e, dovendo essere motivato, sia pure sommariamente, può essere censurato anche per carenze motivazionali, le quali sono prospettabili in rapporto all'ultimo comma dell'art. 360 c.p.c., nel testo novellato dal d.lg. 2 febbraio 2006 n. 40, che qualifica come violazione di legge il vizio di cui al n. 5 del comma 1, alla luce dei principi del giusto processo, che deve svolgersi nel contraddittorio delle parti e concludersi con una pronuncia motivata. Trib. min. Brescia, 9 febbraio 2010

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http://www.minoriefamiglia.it/download/tm_bresica_09022010.PDF Tribunale di Varese, sez. I, ordinanza 10 febbraio 2010 L’audizione del minore rappresenta un adempimento obbligatorio nel procedimento in cui il giudice debba decidere sull’affidamento del minore di età, vuoi a terzi soggetti, vuoi ad uno dei genitori con esclusione dell’altro dalla potestà genitoriale. Tale incombente è, oggi, rafforzato dalle direttive interpretative fornite dalla Suprema Corte di Cassazione, con l’intervento a Sezioni Unite del 21 ottobre 2009 (v. Cass. civ., Sez. Unite, 21 ottobre 2009 n. 22238, Pres. Carbone, rel. Forte). L’audizione può, però, essere esclusa ove il minore non goda di capacità di discernimento ovvero là dove l’audizione possa recare nocumento alla persona del minore, tenuto conto delle circostanze del caso concreto e di ogni altro elemento ricavabile dal procedimento Trib. Catania, 24 maggio 2010 http://www.affidamentocondiviso.it/TribCT24mag10.pdf App. Milano, 21 febbraio 2011 In tema di separazione giudiziale dei coniugi, in caso di controversia sulle modalità di affidamento condiviso di un figlio minore infradodicenne, il giudice adito per l'adozione dei provvedimenti solutori opportuni, non è tenuto a procedere alla previa audizione del figlio stesso, pur richiesta da uno dei genitori, quando risulta, indipendentemente dall'accertamento della capacità di discernimento del figlio stesso, che questi aveva chiaramente manifestato la propria volontà di non essere coinvolto nella vicenda che pure lo riguarda, e che vede i genitori su posizioni contrapposte, atteso che un tale atto istruttorio rischia di essere inutile ai fini della decisione ed in contrasto con l'interesse del minore (nella specie, i genitori controvertevano sulla partecipazione o meno del minore, di circa otto anni di età, a un percorso di catechesi, finalizzato al battesimo).

Cass., 17 febbraio 2011, n. 3905

Nel giudizio di divorzio, per effetto delle modifiche apportate, all'art. 4 della legge n. 898 del 1970, dall'art. 8 della legge n. 74 del 1987, l'udienza di prima comparizione rilevante, ai sensi degli art. 166, 167 e 180 c.p.c., è quella fissata dinanzi al giudice istruttore designato all'esito della fase presidenziale, rispetto alla quale dev'essere verificata la regolarità della costituzione del convenuto. Pertanto, il convenuto che non dispone del termine libero di venti giorni precedenti questa udienza essendo la funzione di tale intervallo temporale correlata alla tutela del contraddittorio è il solo legittimato a dolersene ed è facoltizzato, ma non tenuto, a chiedere al giudice istruttore la fissazione di un termine a difesa che, se richiesto, deve essergli concesso, non essendogli, comunque, preclusa la possibilità di rinunciarvi, accettando il contraddittorio e difendendosi nel merito.

In tema di accertamento della capacità economica dei genitori, ai fini della determinazione dell'assegno di mantenimento dei figli minori in sede di divorzio, alle risultanze delle dichiarazioni fiscali dei redditi dev'essere attribuito valore solo indiziario, il giudice disponendo

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di ampio potere istruttorio giustificato dalla finalità pubblicistica della materia, che gli consente di ancorare le sue determinazioni ad adeguata verifica delle condizioni patrimoniali delle parti e delle esigenze di vita dei figli, prescindendo dalla prova addotta dalla parte istante ed attingendo a tutti i dati comunque facenti parte del bagaglio istruttorio.

Cass., 27 aprile 2011, n. 9373 La sentenza che modifica le condizioni di separazione e divorzio non è immediatamente esecutiva: è necessaria una clausola di esecutorietà del provvedimento.

Cassazione civile sez. VI, 05 ottobre 2011

La controversia relativa alla modifica delle condizioni della separazione (e del divorzio), nel cui giudizio sia chiesto l'affidamento esclusivo dei figli minori, appartiene all'esclusiva competenza del tribunale ordinario, anche quando la domanda, come nella specie, sia giustificata dall'esistenza di un grave pregiudizio per i figli minori, non essendo tale allegazione idonea a spostarne la competenza presso il tribunale dei minorenni.

Trib. min. Trieste, 14 dicembre 2011, in Corr. mer., 2012, p. 657 Ritenuto che il minore, ai sensi della normativa nazionale, comunitaria ed internazionale, ha l’insopprimibile diritto di essere ascoltato, in seno ad ogni procedimento che lo riguardi, senza la presenza, diretta od indiretta, delle altre parti del procedimento e dei loro difensori, e che a tale diritto egli solo può rinunciare, la legge consente che, nel poziore interesse del minore, quest’ultimo possa essere supportato da un curatore speciale, a lui nominato dal giudice procedente, curatore che potrà fare ricorso, occorrendo, ad un legale con patrocinio a spese dello Stato e successiva rivalsa ex lege verso i soggetti obbligati al mantenimento del minore. Cass., 20 marzo 2012, n. 4376 Il provvedimento di chiusura del procedimento di modifica delle condizioni di separazione (tanto consensuale che giudiziale), previsto dall'art. 710 c.p.c., è immediatamente ed automaticamente esecutivo per quanto si desume all'interno dello stesso art. 710, restando, invece, esclusa la sua soggezione alla disciplina della norma generale del procedimento camerale, di cui all'art. 741 c.p.c. Trib. Milano, 20 febbraio 2013, decr.

http://www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/8992.pdf

Cass., 17 maggio 2012, n. 7773 La legge n. 54/06, dichiarando applicabili ai procedimenti relativi all'affidamento di figli nati fuori dal matrimonio le regole da essa introdotte per le questioni relative ai figli legittimi in controversie di separazione e divorzio, esprime, per tale aspetto, una evidente assimilazione

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della posizione dei figli di genitori non coniugati a quella dei figli nati nel matrimonio, in tal modo conferendo una definitiva autonomia al procedimento di cui all'art. 317-bis c.c. rispetto a quelli di cui agli art. 330, 333 e 336 c.c., ed avvicinandolo a quelli in materia di separazione e divorzio con figli minori, senza che assuma alcun rilievo la forma del rito camerale, previsto, anche in relazione a controversie oggettivamente contenziose, per ragioni di celerità e snellezza. Deve pertanto ribadirsi che i provvedimenti emessi in sede di reclamo dalla corte di appello in materia di affidamento di figli naturali sono impugnabili con ricorso per cassazione. I provvedimenti in materia di affidamento dei figli non possono consistere in forzate sperimentazioni nel corso delle quali le reali e attuali esigenze della prole vengono sacrificate al tentativo di conformare i comportamenti dei genitori a modelli tendenzialmente più maturi e responsabili, ma contraddetti dalla situazione reale già sperimentata. A tal fine, l'audizione del minore, da parte del giudice, non solo consente di realizzare la presenza nel giudizio del figlio, in quanto parte sostanziale del procedimento, ma impone, certamente, che il giudice tenga conto degli esiti di tale ascolto, salvo valutazioni difformi adeguatamente motivate in rapporto al grado di discernimento attribuito al minore. Nell'ambito dei procedimenti per l'affidamento dei figli nati fuori dal matrimonio, il collocamento preferenziale di un minore presso l'uno o l'altro genitore - pur in regime di affido condiviso - deve fondarsi su una concreta valutazione delle capacità genitoriali, a tutela dell'interesse del minore stesso, e non su considerazioni astratte relative all''auspicato miglioramento della condotta del genitore individuato come collocatario (nella specie, la Suprema corte ha cassato il provvedimento di merito che aveva collocato una minore adolescente presso la madre, peraltro in contrasto con la volontà espressa al riguardo dalla giovane, e nonostante che la madre - oltretutto inottemperante all'invito di seguire un percorso di sostegno genitoriale - avesse per il passato tenuto una condotta non commendevole nei riguardi della figlia, statuizione fondata sul mero auspicio di un miglioramento dello scambio affettivo tra madre e figlia susseguente alla attuazione del provvedimento stesso). Il giudice non solo ha il dovere di sentire il minore nei procedimenti che lo riguardano - nella specie, di affidamento di una figlia nata fuori dal matrimonio - ma deve anche tener conto, nell'adozione delle determinazioni successive, dell'esito dell'ascolto, e quindi della volontà espressa dal minore, potendosene discostare solo a tutela dell'interesse di quest'ultimo, essendo però onerato al riguardo ad una motivazione tanto più stringente quanto più il minore, anche in ragione dell'età, abbia mostrato capacità di discernimento (nella specie, la Suprema corte ha cassato il provvedimento di merito che aveva collocato una minore, ormai diciassettenne, presso la madre, disattendendo la volontà espressa in sede di ascolto dalla giovane, che aveva piuttosto manifestato l'esigenza di un più intenso rapporto con il padre e con la sua compagna, oltretutto nonostante l'esito negativo di precedenti esperienze di permanenza della minore presso la madre). Trib. min. Trieste, 28 marzo 2012 In materia di regolamentazione dei rapporti con la prole, conseguente alla cessata convivenza "more uxorio" tra i genitori, l'obbligo dell'audizione dei minori ultradodicenni - o più giovani ma capaci di sufficiente discernimento - trova giustificata deroga ove, per il pieno accordo tra le parti, rispettoso dei diritti inderogabili dei figli, il sentirli possa risultare perturbante della loro pacifica serenità, ponendosi l'audizione in contrasto con il superiore interesse degli stessi. Trib. min. Trieste, 18 maggio 2011, decr., in Fam. min., 2011, fasc. 8, p. 67.

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L'obbligo di audizione dei minori ultradodicenni - o dei minori infradodicenni se capaci di discernimento - può essere derogato se, per lo specifico oggetto della controversia che li riguarda, il sentirli appare contrario al loro interesse e risulta per essi unicamente dannoso (nella specie il tribunale per i minorenni di Trieste ha deciso di non procedere all'audizione dei minori ultradodicenni in un procedimento riguardante le modalità e l'entità del contributo al mantenimento della prole a carico del padre). Il procedimento relativo alla modifica dell'assegno di mantenimento posto a carico di un genitore naturale è di competenza dello stesso organo giudiziario che ha emesso il provvedimento con il quale tale assegno veniva stabilito (il tribunale per i minorenni), per effetto del principio della "perpetuatio iurisdictionis", che permette al minore di trovare stabilità di sede giudiziaria per la soluzione delle controversie intergenitoriali che lo riguardano. La proposizione di una domanda nuova in sede di precisazione delle conclusioni, fermo restando il carattere "rebus sic stantibus" delle decisioni camerali, è ammessa laddove vengano provati i fatti nuovi che ne possano fondare l'eventuale accoglimento. Qualora due genitori, cessata la loro convivenza, vivessero in reciproca conflittualità tra di loro, rimanendo sordi ai più elementari bisogni della figlia in tenera età e determinassero la paralisi gestionale - educativa di essa, non è opportuno l'affidamento condiviso, sebbene richiesto da entrambe le parti, né può addivenirsi all'affidamento esclusivo, stante la paritaria reciprocità nell'alimentare il conflitto. Può essere pronunciata di ufficio, a norma dell'art. 8 della convenzione di Strasburgo 25 gennaio 1996, la decadenza dalla potestà dei due genitori, essendo manifesto il grave pregiudizio cui è esposta la minore, a rischio di aggravamento se la situazione non conoscesse una positiva evoluzione. Con la nomina del tutore sarà questo ad esercitare la potestà ed assumere ogni decisione occorrente alla educazione, istruzione, circa la salute della bambina, che rimarrà collocata presso la madre, ma trascorrerà giornate anche con il padre, tenuto al contributo di mantenimento.

Tribunale Varese sez. I, 23 gennaio 2013

In materia di affidamento e mantenimento dei figli nati fuori dal matrimonio, il rito processuale tipizzato dal legislatore nell'art. 38 disp. att. c.c., con la Legge 219/2012, in virtù richiamo all'art. 737 c.p.c., deve ritenersi a trattazione anche se il Presidente può sempre delegare il giudice relatore per la fase istruttoria.

A seguito della Legge 219/2012, il legislatore modula la disciplina processuale del mantenimento e dell'affidamento della prole, in seguito alla separazione dei genitori, secondo due strumenti processuali differenti: per i "figli nati fuori del matrimonio" (già figli naturali), il ricorso al rito camerale puro; per i "figli nati nel matrimonio" (già figli legittimi), il procedimento ordinario speciale di cui agli art. 706 e ss c.p.c. Quanto non esclude dubbi in ordine alla compatibilità costituzionale di una tale scelta, con il principio di ragionevolezza e di uguaglianza (art. 3 cost.), posto che lo stesso tribunale si trova a regolare le stesse situazioni (e soprattutto i figli aventi gli stessi diritti) con un ordito di norme processuali differenti. Ad ogni modo, "de iure" condendo, trattasi di una fase da potersi ritenere temporanea, in virtù della delega legislativa in attesa di attuazione che ha, tra l’altro, proprio lo scopo di eliminare ogni discriminazione tra figli. Trib. Varese, 24 gennaio 2013 In materia di affidamento e mantenimento dei figli nati fuori dal matrimonio, il rito

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processuale tipizzato dal legislatore nell’art. 38 disp. att. c.c., con la Legge 219/2012, in virtù richiamo all’art. 737 c.p.c., deve ritenersi a trattazione anche se il Presidente può sempre delegare il giudice relatore per la fase istruttoria. (Giuseppe Buffone) (riproduzione riservata). A seguito della Legge 219/2012, il Legislatore modula la disciplina processuale del mantenimento e dell’affidamento della prole, in seguito alla separazione dei genitori, secondo due strumenti processuali differenti: per i «figli nati fuori del matrimonio» (già figli naturali), il ricorso al rito camerale puro; per i «figli nati nel matrimonio» (già figli legittimi), il procedimento ordinario speciale di cui agli artt. 706 e ss c.p.c. Quanto non esclude dubbi in ordine alla compatibilità costituzionale di una tale scelta, con il principio di ragionevolezza e di uguaglianza (art. 3 Cost.), posto che lo stesso Tribunale si trova a regolare le stesse situazioni (e soprattutto i “figli” aventi gli stessi diritti) con un ordito di norme processuali differenti. Ad ogni modo, de jure condendo, trattasi di una fase da potersi ritenere “temporanea”, in virtù della delega legislativa in attesa di attuazione (art. 2 l. 219/2012) che ha, tra l’altro, proprio lo scopo “di eliminare ogni discriminazione tra figli”. (Giuseppe Buffone) (riproduzione riservata)

Tribunale Milano sez. IX, 20 febbraio 2013

In materia di famiglia di fatto non fondata sul matrimonio, non essendo le parti legate da vincolo di coniugio, la cessazione del rapporto avviene ad nutuum, ovvero senza necessità per l’autorità giudiziaria di accertare il carattere irreversibile della crisi del rapporto attraverso l’espletamento di tentativo di conciliazione, atteso che l’esame del tribunale risulta elettivamente diretto alla verifica dell'adeguatezza degli accordi raggiunti per l’interesse della prole minore, alla luce del disposto normativo di cui all'art. 155, comma 2, c.c.

Trib. min. Bari, 30 marzo 2013 http://www.altalex.com/index.php?idnot=62942 Cass., sez. un., 26 aprile 2013, n. 10064. In materia di revisione delle disposizioni concernenti l'affidamento dei figli e di quelle relative alla misura e alle modalità dei contributi da corrispondere a seguito dello scioglimento e della cessazione degli effetti del matrimonio, a norma dell'art. 9 della legge n. 1 dicembre 1970 n. 898 e successive modificazioni, il decreto pronunciato dal tribunale è immediatamente esecutivo, in conformità di una regola più generale, desumibile dall'art. 4 della citata legge regolativa della materia e incompatibile con l'art. 741 c.p.c., che subordina l'efficacia esecutiva al decorso del termine utile per la proposizione del reclamo. Trib. Milano, 3 maggio 2013 La modifica del provvedimento urgente di collocamento in Comunità del minore, proposta dalla madre per il ripristino della piena potestà genitoriale, non instaura una controversia ex art. 317-bis c.c. in quanto non riguarda il rapporto tra padre e madre in ordine all’esercizio della genitorialità ma la persistenza o meno delle condizioni che giustificano l’affievolimento della responsabilità genitoriale. Ne consegue che non sussiste la competenza del giudice ordinario. La legge 10 dicembre 2012 n. 219, riscrivendo l’art. 38 disp. att. c.c., ha attribuito al

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Tribunale ordinario la competenza a pronunciare i provvedimenti limitativi della potestà genitoriale (art. 333 cod. civ.) esclusivamente nel caso in cui sia pendente, «tra le stesse parti, giudizio di separazione o divorzio o giudizio ai sensi dell'articolo 316 del codice civile»: in altri termini, l’azione ex art. 333 c.c. proposta in via autonoma non rientra nella competenza del Tribunale ordinario che nemmeno è competente per la declaratoria di cui all’art. 330 c.c., ipotizzabile sempre soltanto nel caso in cui penda un procedimento di separazione, divorzio o ex art. 316 c.c.c (v. art. 38, comma I, disp. att. c.c.). Il presupposto per la potestas decidendi del Tribunale Ordinario è, dunque, la concentrazione processuale delle domande. La competenza del Tribunale per i Minorenni si estende anche al provvedimento di modifica o revoca delle limitazioni genitoriali, trovando la sua disciplina normativa in seno all’art. 333 comma II c.c., come richiamato anche in parte qua dall’art. 38 disp. att. c.c.

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DOTTRINA CITATA NEL TESTO

CEA, Trasferimento del contenzioso dal giudice minorile al giudice ordinario ex l. 219/12. Proposta organizzativa del presidente della prima sezione civile, in Foro it., 2013, c. 118. DANOVI F., Nobili intenti e tecniche approssimative nei nuovi procedimenti per i figli (non più) naturali, in Corr. giur., 2013, p. 540. FINOCCHIARO, G., Ridotte le competenze del tribunale per i minorenni, in Guida dir., 2013, fasc. 5, p. 88, IANNONE, Le Sezioni Unite dànno voce ai figli contesi fra genitori separati, in Fam. pers. succ., 2010, p. 656 ss. MONTARULI, Il nuovo riparto di competenze tra giudice ordinario e minorile, in Nuova giur. civ. comm., 2013, II, p. 223 ss. POLISENO, La competenza del Tribunale ordinario sulla revisione delle condizioni di separazione relative, in Giusto proc. civ., 2012, p. 1125. PROTO PISANI, Note sul nuovo art. 38 disp. att. c. c. e sui problemi che esso determina, Foro It., 2012, V, c. 128. QUERZOLA, Il processo minorile in dimensione europea, Bologna, 2010, p. 49 ss. TOMMASEO, La nuova legge sulla filiazione: i profili processuali, in Fam. dir., 2013, p. 254. TOMMASEO, I procedimenti de potestate e la nuova legge sulla filiazione, in Riv. dir. proc., 2013, p. 563. VACCARO, L’indagine fiscale valido supporto al giudice per una equilibrata decisione, in Fam. min., 2010, fasc. 4, p. 23. VELLETTI, Quale giudice per i ricorsi ex articolo 330 c.c.?, in Questione giustizia, pubblicata online, maggio 2013.

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