FIDES E FOEDUS. LA SINERGIA TRA FEDE E MATRIMONIO

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FIDES E FOEDUS. LA SINERGIA TRA FEDE E MATRIMONIO ALEXANDRA DIR IART* Introduzione Se, secondo la tradizione teologica, il battesimo è il sacramento della fede per eccellenza 1 , va anche detto che questa definizione è stata estesa in maniera particolare non soltanto all'Eucaristia ma a tutti i sacramenti, come quello del matrimonio. Questo ci invita dunque a riflettere sulla sinergia tra matrimonio e fede. Molti commentatori che tentano di attribuire alla fede un ruolo costi- tutivo nel sacramento del matrimonio, partono proprio da questa quali- fica di sacramentum fidei e in particolare dai praenotanda dell'Orbo celebrandi matrìmonium promulgato dopo il Concilio Vaticano II. Il paragrafo 16 (ex 7) traspone al sacramento del matrimonio il numero 59 della Costituzione sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium 2 che attribuisce alla fides un ruolo dispositivo, nutritivo, fortificante e dichiarativo del sacramento. I pastori, guidati dall'amore di Cristo, accolgano i fidanzati e in primo luogo ridestino e alimentino la loro fede: il sacramento del Matrimonio infatti suppone erichiedela fede \Sacramentum matrimo- niifidem supponit atque expostulat^^. * Docente incaricata di Teologia Sacramentaria, Sotto-Direttore dell'Area Interna- zionale di Ricerca in Teologia Sacramentaria presso il Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per Studi su Matrimonio e Famiglia, Sede Centrale. 1 Cfr. H.-F. DONDAINE: "Le baptème est-il encore le «sacrement de la foi»?", ha Maison-Dieu 2 (1946) 76-87; L. VILLETTE, Foi et Sacrement. Voi. 2 : De saint Thomas à Karl Barth, Bloud & Gay, Paris 1964, 16-17. 2 CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Costituzione Sacrosanctum Concilium sulla sacra liturgia (4.12.1963) AAS 56 (1964) 97-113, 59 §1: «p sacramenti] non solo sup- pongono la fede, ma con le parole e gli elementi rituali la nutrono, la irrobustiscono e la esprimono; perciò vengono chiamati "sacramenti della fede"», ("Fidem non solum supponunt, sed verbis et rebus edam alunt, roborant, exprimunt; quare fidei sacramenta dicuntur"). 3 CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, R ito del matrimonio. Rituale romano riformato a norma dei decreti del Concilio Vaticano IIpromulgato da Papa Paolo VI e riveduto da Papa Giovanni Paolo II, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2008, Praenotanda, n.16, 2008, 25 [n. 16 nell'edizione dell'Orafo celebrandi matrìmonium, Tjpis Vaticanis, Editio typica altera 1991-, n. 7 nell'edizione del 1969], Si veda D. BAUDOT, Uinséparabilité entre le contrai et le sacrement

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FIDES E FOEDUS. LA SINERGIA TRA FEDE E MATRIMONIO

ALEXANDRA DIR IART*

Introduzione

Se, secondo la tradizione teologica, il battesimo è il sacramento della fede per eccellenza1, va anche detto che questa definizione è stata estesa in maniera particolare non soltanto all'Eucaristia ma a tutti i sacramenti, come quello del matrimonio. Questo ci invita dunque a riflettere sulla sinergia tra matrimonio e fede.

Molti commentatori che tentano di attribuire alla fede un ruolo costi-tutivo nel sacramento del matrimonio, partono proprio da questa quali-fica di sacramentum fidei e in particolare dai praenotanda dell'Orbo celebrandi matrìmonium promulgato dopo il Concilio Vaticano II. Il paragrafo 16 (ex 7) traspone al sacramento del matrimonio il numero 59 della Costituzione sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium2 che attribuisce alla fides un ruolo dispositivo, nutritivo, fortificante e dichiarativo del sacramento.

I pastori, guidati dall'amore di Cristo, accolgano i fidanzati e in primo luogo ridestino e alimentino la loro fede: il sacramento del Matrimonio infatti suppone e richiede la fede \Sacramentum matrimo-niifidem supponit atque expostulat^^.

* Docente incaricata di Teologia Sacramentaria, Sotto-Direttore dell'Area Interna-zionale di Ricerca in Teologia Sacramentaria presso il Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per Studi su Matrimonio e Famiglia, Sede Centrale.

1 Cfr. H.-F. DONDAINE: "Le baptème est-il encore le «sacrement de la foi»?", h a Maison-Dieu 2 (1946) 76-87; L. VILLETTE, Foi et Sacrement. Voi. 2 : De saint Thomas à Karl Barth, Bloud & Gay, Paris 1964, 16-17.

2 CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Costituzione Sacrosanctum Concilium sulla

sacra liturgia (4.12.1963) AAS 56 (1964) 97-113, 59 §1: «p sacramenti] non solo sup-pongono la fede, ma con le parole e gli elementi rituali la nutrono, la irrobustiscono e la esprimono; perciò vengono chiamati "sacramenti della fede"», ("Fidem non solum supponunt, sed verbis et rebus edam alunt, roborant, exprimunt; quare fidei sacramenta dicuntur").

3 CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, R i t o del matrimonio. Rituale romano riformato a

norma dei decreti del Concilio Vaticano IIpromulgato da Papa Paolo VI e riveduto da Papa Giovanni Paolo II, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2008, Praenotanda, n.16, 2008, 25 [n. 16 nell'edizione dell'Orafo celebrandi matrìmonium, Tjpis Vaticanis, Editio typica altera 1991-, n. 7 nell'edizione del 1969], Si veda D. BAUDOT, Uinséparabilité entre le contrai et le sacrement

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Qual è dunque questa fede supposta e richiesta per il sacramento del matrimonio? Un sacramento di matrimonio senza fede, può dirsi valido? Una volta, essere battezzato significava avere la fede in Gesù Cristo4. Oggi invece, nel contesto della post-cristianità, il fatto di essere battezzato non coincide più necessariamente con il fatto di avere la fede e, meno ancora, con la pratica della vita cristiana, cosa che dà luogo ad una situazione pa-storale delicata. In un intervento rivolto ai sacerdoti della diocesi di Aosta nel luglio 2005, Benedetto XVI ha brillantemente sintetizzato non soltan-to la complessità della questione teologica, ma anche la grande sofferenza generata da questo tipo di congiuntura:

Direi particolarmente dolorosa è la situazione di quanti erano spo-sati in Chiesa, ma non erano veramente credenti e lo hanno fatto per tradizione, e poi trovandosi in un nuovo matrimonio non va-lido si convertono, trovano la fede e si sentono esclusi dal Sacra-mento. Questa è realmente una sofferenza grande e quando sono stato Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede ho invitato diverse Conferenze episcopali e specialisti a studiare que-sto problema: un sacramento celebrato senza fede. Se realmente si possa trovare qui un momento di invalidità perché al sacramento mancava una dimensione fondamentale non oso dire. Io perso-nalmente lo pensavo, ma dalle discussioni che abbiamo avuto ho capito che il problema è molto difficile e deve essere ancora appro-fondito. Ma data la situazione di sofferenza di queste persone, è da approfondire5.

Questa spinosa questione deriva da una duplice disarticolazione:

de mariage. ha discussion après le Concile Vatican II, PUG, Roma 1987, 279-280, che racconta il modo in cui il "wnsiliuw" incaricato della revisione del rituale abbia adottato questa formula. Esso conclude, insieme al P. M. Gy, che "expostulaf ' non significa "esigere" ma chiedere. In tal senso, non c'è nella fattispecie una condizione di validità ma, come afferma SC 59, il richiamo della tradizione patristica e medievale volto a valorizzare l'importanza della partecipazione attiva della fede dei soggetti riceventi al momento di ricevere un sacramento fruttuoso nella grazia.

4 Si veda lo studio estremamente lungimirante di J. RATZINGER, "I nuovi pagani e la Chiesa" in II nuovo Popolo di Dio, trad. G. Re, Queriniana, Brescia 19922, 351-364 [Dos Neue Volk Gottes, 1970].

5 BENEDETTO XVI, "L'incontro e il dialogo con il clero della Diocesi di Aosta" (25.07.2005), in Insegnamenti di Benedetto XVI, 1/2005, 349-365. In un discorso alla Con-gregazione per la Dottrina della Fede, il 31 gennaio 2014, Papa FRANCESCO è tornato a parlare della «necessità di interrogarsi più a fondo sulla relazione tra fede personale e celebrazione del Sacramento del matrimonio, soprattutto nel mutato contesto culturale».

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— Da un lato, la disarticolatone tra il tema della fede e quello del matrimonio, ossia tra fides e foedus: la secolarizzazione del matrimonio ha portato a concepire la fede e il matrimonio separata mente, come due ambiti indi-pendenti ed estranei l'uno all'altro6, tanto da condurre ad una incresciosa confusione tra matrimonio naturale e matrimonio civile.

— Dall'altro lato, la disarticolazione tra il tema della fede e quello del sacramento, che tende a ridurre l'essenza del sacramento alla sua validità senza riuscire però a dare quello spazio che spetta alla fede. In questo caso, come si può reintegrare il ruolo della fede nel sacramento del matrimonio senza, con questo, eliminare la nozione stessa di sacramento, in particolare il suo carattere oggettivo la cui efficacia si basa innanzitutto sul mistero pasqua-le di Cristo e non sulle virtù soggettive mutevoli del soggetto ricevente. Ciò nonostante, nel tentativo di difendere l'oggettività del sacramento del matrimonio negando qualsivoglia ruolo alla fede in quanto alla sua vali-dità, il rischio è quello di lasciarsi rinchiudere in una situazione pastorale assurda senza riuscire a rendere conto del rapporto vitale tra la fede e i sacramenti della fede -situazione che può condurre ad un certo "sacra-mentalismo" che riduce il sacramento ad un mero cerimoniale "magico" e "automatico"7.

Come uscire da questa situazione? Il problema è reso ancor più com-plesso dall'originalità del sacramento del matrimonio che è, nel contem-po, realtà della creazione e realtà della redenzione; realtà naturale e realtà sacramentale.

Nell'intento di portare un chiarimento a una questione così delicata, inizieremo analizzando la sfida volta a rivalutare il posto della fede nei sacramenti senza dissolverne la sacramentalità (1). Ricorderemo poi, il contributo di Giovanni Paolo II al tema in questione (2). A partire da questa struttura e percorrendo le vie aperte da Benedetto XVI, potremo affrontare la questione della conciliazione tra diritto al matrimonio ed esigenza della fede (3) e la sinergia intrinseca che unisce fides e foedus (4). Successivamente, avanzeremo alcune proposte (5).

6 Cfr L. GEROSA, "La sacramentalità del matrimonio cristiano: fra ecclesiologia, di-ritto naturale e giurisprudenza canonica", RTL» 13 (2008/3), 393: «Da una parte E carat-tere sacro del matrimonio viene sconfinato nel solo elemento sacramentale, pure ridotto a un semplice aspetto accidentale o accessorio rispetto al contratto, d'all'altra si finisce per negare al matrimonio come tale ogni carattere sacro o religioso».

7 Si tratta di uno dei rischi identificati da J. RATZINGER in II nuovo 'Popolo di Dìo, cit., 356.

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1. La sfida di rivalutare il posto della fede nei sacramenti senza cancellarne la sacramentalità

1.1. Fides Ecclesiae e fede personale

Se la fede comporta un atto interiore di adesione, essa comporta anche un atto esteriore di confessione mediante le opere, la parola e alcuni segni. A questo titolo «la fede ha una struttura sacramentale»8. Sant'Agostino e Tommaso d'Aquino definiscono i sacramenti come segni9 e, pertanto, si tratta di una confessione di fede visibile ed esteriore (protestatiofidei)w. Ora, se il segno sacramentale merita di essere definito protestatio fidei, non è innanzitutto in riferimento alla fede individuale del soggetto o del mini-stro ma, in maniera ben più radicale, allude alla fede oggettiva della Chiesa che precede e fonda la loro fede personale11. Di conseguenza «definito e misurato dalla fede della Chiesa di cui è testimonianza visibile»12, il sacra-mento rimanda principalmente alla fede universale della Chiesa «primo soggetto della fede»13. Quando i Padri e i teologi medievali affermano questa anteriorità oggettiva della fede della Chiesa, essi si non rinunciano alla necessità della fede del soggetto, che ritengono essere fondata sulla fides Ecclesiae14. Ciò nonostante, quando la fede soggettiva manca o vacilla,

8 FRANCESCO, Lettera Enciclica Lumen Fidei (29.06.2013) AAS 105 (2013) 555-596, n.40.

9 Si veda ad esempio S. AUGUSTINUS, De civìtate Dei, X, 5 e S. THOMAS AQUINATIS, Summa Theologiae, III1 pars, q. 60.

10 STh., Ili" pars, q.72, a.5, ad 2"® : «Omnia sacramenta sunt quaedam fidei prote-stationes».

11 Cfr. M.-TH. NADEAU, "Le développement de l'expression fides "Ecclesiae", La Mai-son-Dieu 174 (1988) 136-152.

12 Cfr. i due artìcoli di J. GAILLARD, "Les sacrements de la foi", (I) Revve Thomiste 59 (1959/1) 5-31; "Les sacrements de la foi", (II) Reme Thomiste 59 (1959/2) 270-309; in particolare il primo, a p. 12, rimanda al visìbile verbum di Agostino.

13 BENEDETTO XVI, Lettera Apostolica Porta Fidei (11.11.2011) AAS 103 (2011) 723-734, n. 10: «La stessa professione della fede è un atto personale ed insieme comuni-tario. E' la Chiesa, infatti, il primo soggetto della fede». Cfr. GAILLARD, "Les sacrements de la foi", (I), cit., 21: «Considérer les sacrements comme des protestations de foi "ob-jectives", comme attestant et proclamant la foi en leur structure essentielle, selon leut nature méme de signes de la gràce, c'est situer du mème coup, la foi dont il s'agit ailleurs que dans la conscience du sujet ou du ministre. En eux-mèmes, les sacrements n'at-testent pas la foi de tei ou tei, mais la foi de l'Eglise». Si veda anche CCCn.1124: «La fede della Chiesa precede la fede del credente, che è invitato ad aderirvi. Quando la Chiesa celebra i sacramenti, confessa la fede ricevuta dagli Apostoli».

14 Cfr. GAILLARD, "Les sacrements de la foi", (I), cit., 24: «la fides Ecclesiae fait appel

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è la fede della Chiesa che supplisce poiché i sacramenti sono innanzitut-to atti di Cristo e della Chiesa. Così, la fede non è né individualista né soggettivista anzi, al contrario, è una fede dal carattere incarnato in una dimensione storica, temporale e sociale, radicata nella comunione della Chiesa15. La fede del soggetto ricevente o del ministro non è però assente. Essa è integrata nell'intenzione di fare ciò che Cristo e la Chiesa vogliono fare16 e riceve così una connotazione profondamente oggettiva e sociale.

Per comprendere meglio a che punto interviene la fede nel sacramento, è bene ricordare la distinzione tradizionale tra il sacramentum (segno posto con l'intenzione di fare ciò che vuole fare la Chiesa), la res et sacramentum, ovvero l'effetto oggettivo del segno compiuto (che include la sua validità senza però ridursi ad essa) e infine la res, ossia la grazia ricevuta nel sog-getto (la fruttuosità del sacramento). Questa distinzione offre il vantaggio di mettere in luce l'articolazione tra il carattere oggettivo e quello sogget-tivo del sacramento, ma anche l'articolazione tra la dimensione ecclesiale e liturgica e la dimensione personale.

1.2. Fede, validità e "fruttuosità" del sacramento

L'esistenza del sacramento non può dipendere da un dato mutevole, ovvero il grado di fede del soggetto ricevente o ministro. L'esistenza dei sacramenti si basa, innanzitutto, sull'efficacia stessa del sacrificio di Cristo. Essi sono, in primo luogo, dei veri e propri doni di Cristo, che traggono la loro efficacia dalla sua Passione e dalla sua Risurrezione17. Il ben noto ex

à l a f i d e s subfecti, voire à la fides ministri, sous peine qu'il soit porte atteinte à la vérité du sacrement».

15 Cfr. LF nn. 38-40. 16 E utile distinguere l'intensione del soggetto ricevente o del ministro dalla fede del

soggetto ricevente o del ministro. L'intenzione sacramentale, infatti, comporta innanzi-tutto un carattere oggettivo che riguarda l'adesione a ciò che la Chiesa intende fare (o dare) e non la richiesta di un determinato livello personale di fede. Tuttavia, in ragione del suo oggetto, l'intenzione rimanda alla fides Ecclesiae e non è dunque slegata dalla fede. Inoltre, l'intenzione retta di fare (o ricevere) ciò che la Chiesa intende fare è normalmen-te (ma non sempre) orientata dalla fede. A tal proposito si vedano gli sviluppi illuminanti di VILLETTE, in Poi et Sacrement. Voi. 2., cit., 38-39. Si veda anche: A. G. MARTIMORT, "L'intention requise chez le sujet des sacrements", UAnnée canonique 24 (1980) 85-108.

17 Si veda STh., IIIa pars, q. 62, a. 5, c.; q. 64, a.l, ad 2um.

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opere operato del Concilio di Trento18 non è una formula magica, ma riman-da all'azione redentrice di Cristo: si tratta di un ex opere operato ChristP. In questo senso, l'attenzione rivolta alle condizioni di validità del sacramen-to non esprime nessun rigido atteggiamento giuridico o materialista, ma piuttosto il cruccio della Chiesa di realizzare, nel sacramento e mediante quest'ultimo, il contatto oggettivo con l'opera redentrice di Cristo. Ecco dunque la differenza tra i sacramenti della Legge Nuova (la cui efficacia dipende da Cristo) e quelli della Legge Antica, la cui efficacia dipendeva dalla fede del soggetto20. L'introduzione della fede personale del soggetto nelle condizioni di validità del sacramento significherebbe tornare indie-tro, ai sacramenti dell'Antica Alleanza ma, cosa ancor peggiore, vorrebbe dire perdere la dimensione cristologica dei sacramenti. Inoltre, abbando-nare il carattere oggettivo del sacramento, il suo riferimento oggettivo all'efficacia del mistero pasquale di Cristo, equivarrebbe a mettere da parte la trascendenza di Dio, il carattere gratuito e immeritato dei suoi doni21. Vero è che il sacramento è fatto per la grazia, ossia per dare frutto, ma «il sacramento rimane un segno reale d'amore, anche quando l'uomo non

18 CONCILIUM OECUMENICUM TRIDENTINUM, Decretum de sacramentis, sessio VII, (03.03.1547), Can. 8, DH1608. Si veda il commento di E. SCHILLEBEECKX in L'economie sacramentelle du salut, trad. it. Y. van der Have, presentazione B.-D. de la Soujeole, Studia Friburgensia 95, Academic Press Fribourg, Fribourg-Suisse, 2004,158-160.

19 Cfr. J. RATZINGER, "Sul concetto del sacramento", in Opera Omnia XI, Teologia della Liturgia, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2010, 256 : «La teologia me-dievale ha spiegato questo in seguito con il confronto, da allora così spesso frainteso, tra ex opere operato e ex opere operantis. Originariamente questa distinzione appartiene al confronto tra Antico e Nuovo Testamento, tra promessa e compimento. La formula originariamente non dice semplicemente ex opere operato, ma ex opere operato Chrìsti. Il che significa: I Sacramenti operano ora non più attraverso riferimenti e pretese, ma sulla base di ciò che è già avvenuto, ed in questo si mostra l'atto di liberazione compiuto attraverso Cristo. L'uomo non dipende più dal suo agire personale e dal suo incamminarsi verso un avvenire ancora non dischiuso, ma può abbandonarsi a quella realtà che già lo attende e, come realtà ormai avvenuta, gli viene incontro». Si veda anche Si veda anche E. SCHIL-LEBEECKX, Cristo sacramento dell'incontro con Dio, Paoline, Roma 1968 [la prima edizione in lingua originale olandese risale al 1957], 107-114, e in particolare, 109 : «Positivamente, l'ex opere operato significa che siamo in presenza di un atto del Cristo. Ex opere operato e "efficacia sul fondamento del mistero del Cristo" significano la stessa cosa».

20 Lutero perviene esattamente a queste conclusioni allorché rifiuta ogni differenza tra i sacramenti dell'Antica Alleanza e quelli della Nuova. Vedi, per esempio: De captivi-tate babyhnica ecclesiaepraeludium [1520], in Werke, Hermann Bòhlau, Weimar 1888, voi. 6, 532-533.

21 Cfr. E/2, 8-9. Si veda anche STh., IIIa pars, q. 68, a. 8, c.: «Non enim sacramentum perficitur per iustitiam hominis dantis vel suscipientis baptismum, sed per virtutem Dei».

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risponde a questo invito»22. Naturalmente, questa situazione di non con-cordanza tra validità e fruttuosità, è anomala23 poiché ogni dono presup-pone una risposta, un'accoglienza, un consenso. A questo titolo, il dono del sacramento esige la risposta dell'uomo. Se è vero che il ruolo della fede personale è «secondario rispetto all'intervento divino che rende il sacramento efficace in quanto tale»24, bisogna altresì aggiungere che il sacramento esprime tutta la sua verità soltanto quando porta frutto nel soggetto e nella Chiesa25, ossia, quando è accolto da una fede viva.

Fino alla frattura della Riforma, era chiaro nella tradizione dei Padri e dei Dottori medievali che i sacramenti erano concepiti unitariamente, come essendo allo stesso tempo, riti sacri originati dalla fede della Chiesa, attingendo la loro efficacia dai meriti di Cristo e ordinati a portare frutti di grazia26. La teologia post-tridentina, racchiusa dalla controversia pro-testante nella prospettiva del soggetto individuale, ha certamente perso il senso della correlazione tradizionale tra fede e sacramento, ricorrendo

22 Cfr. SCHILLEBEECKX, Cristo sacramento, cit., 187. Si veda anche 109-110. 23 Cfr. SCHILLEBEECKX, Cristo sacramento, cit., 206: «La non coincidenza tra sacra-

mento valido e sacramento fruttuoso è essenzialmente una situazione artificiale, anorma-le, ma che resta una possibilità reale in ragione della libertà umana». Tuttavia la fede della Chiesa e l'efficacia salvifica ex opere operato coincidono sempre. (Cfr. SCHILLEBEECKX, Uéconomie sacramentelle, cit., 527).

24 A proposito del battesimo cfr. L. VILLETTE, Voi et Sacrement. Voi. 1 : Du Nouveau Testament à Saint Agostino, Bloud & Gay, 1959, 55.

25 A questo proposito, uno dei capitoli di Cristo sacramento dell'incontro con Dio di Schil-lebeeckx reca un titolo suggestivo: «La piena verità dell'essenza dei sacramenti: la loro fecondità». Secondo SCHILLEBEECKX (JJeconomie sacramentelle du salut, cit. 525), questa verità piena del sacramento converge su tre elementi strutturanti: «l'expression de la vo-lonté de gràce de Dieu dans le Christ, l'expression de la foi de la communauté ecclésiale et enfin l'expression de la foi du sujet qui refoit le sacrement». Egli conclude poi con: «Alors seulement nous avons un sacramentum simpliciter verum, ceci est, dans la termino-logie moderne d'orientation plus juridique et moins prégnante, un sacramentum validum et fructuosurm.

26 Cfr. GAILLARD, "Les sacrements de la foi", (II), cit., 369: «Jusqu'au Concile de Trente, tant que nul ne songe à nier le ròle directement sanctifìcateur du sacrement, foi et rite sacramentel de l'Eglise sont le plus souvent considérés ensemble comme facteurs concomitants de l'efficacité sacramentelle». Si veda anche: Y. CONGAR, "Intentionnalité de la foi et sacrement. Aper^us de S. Augustin au concile de Trente", in H. J. AUF DER MAUR — ea. (a cura di), Fides Sacramenti. Sacramentum Fidei, Studies in honour of Pieter Smul-ders, Van Gorcum, Assen. 1981 [177-191], 181-191. Lo sforzo del Concilio Vaticano II, come evidenziato al numero 59 di Sacrosanctum Concilium è stato proprio quello di recu-perare questa visione più articolata dei Padri e dei Dottori.

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raramente alla nozione di fides Ecclesiae e trascurando la fede del soggetto, preoccupata di rimanere nell'ambito della validità oggettiva.

In quest'ottica, la preparazione al sacramento del matrimonio si è strutturata intorno a percorsi a minima-, ci si accontenta di un minimo ri-chiesto per assicurarsi della validità del sacramento, nascondendosi dietro all'argomentazione del carattere naturale del matrimonio. Così facendo però, l'aspetto legato alla fruttuosità è diventato marginale27.

2. La prospettiva di Giovanni Paolo II e il suo contesto

2.1. Contesto

Dopo il Concilio, molte proposte sia teologiche che canoniche e pasto-rali, preoccupate di «rivitalizzare l'aspetto soprannaturale del matrimonio»28

hanno cercato di accordare più spazio alla fede come elemento costituti-vo del sacramento del matrimonio. Nel 1978, la Commissione Teologica Internazionale ha trattato la questione attraverso una formulazione non scevra di ambiguità. Pur riprendendo i termini della dottrina classica e pur affermando il ruolo dispositivo della fede, necessario, non per la validità, ma perché il sacramento del matrimonio sia fruttuoso, il paragrafo della Commissione Teologica Internazionale si chiude su una conclusione dai termini quasi contraddittori «La fede personale dei contraenti non co-stituisce, come è stato notato, la sacramentalità del matrimonio, ma l'as-senza della fede personale compromette la validità del sacramento»29. La questione fu nuovamente trattata dal Sinodo del 1980 sul matrimonio e la famiglia, come mostra la dodicesima proposta finale che chiedeva al Santo Padre di considerare dei criteri atti a discernere un livello minimo di fede richiesto per non compromettere la validità del sacramento30.

27 Cfr. M. OUELLET, Mistero e sacramento dell'amore, Cantagalli, Siena 2007, 197. Si veda anche 218, nota 17: «Non possiamo definire l'essenza teologica del matrimonio-sacramento a partire dal minimum giuridico richiesto per la validità».

28 Cfr. l'espressione di GIOVANNI PAOLO II, Allocuzione alla Kota Romana (01.02.2001) AAS 93 (2001) 358-365, n.8.

2 9 COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE, "La dottrina cattolica sul sacra-

mento del matrimonio (1977)", in ID. Documenti 1969-2004, prefazione card. W J. Levada, Edizioni Studio Domenicano, Bologna 2006,137-163,145. Rimandiamo all'insieme del-la sezione 2.3 intitolata "Battesimo, fede attuale, intenzione, matrimonio sacramentale".

30 Cfr. Il Regno Documenti 24 (1981) 389. Per seguire l'evoluzione che il rapporto tra fede e sacramento del matrimonio ebbe nel Sinodo dei Vescovi del 1980 si leggano la

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2.2. Fa risposta di Giovanni Paolo II

La risposta di Giovanni Paolo II, al n. 68 dell'Esortazione Apostolica Famìlìarìs Consortio del 1981 è estremamente chiara e ricolloca il dibattito invitando i pastori a «comprendere le ragioni che consigliano alla Chiesa di ammettere alla celebrazione anche chi è imperfettamente disposto»31. Visto che l'originalità del sacramento del matrimonio consiste nel fatto di essere «il sacramento di una realtà che già esiste nell'economia della cre-azione», ovvero «di essere lo stesso patto coniugale istituito dal Creatore "al principio" (FC 68), ne consegue che il fatto stesso per l'uomo e la donna di volersi sposare «secondo questo progetto divino» rivela già «un atteggiamento di profonda obbedienza alla volontà di Dio, che non può darsi senza la sua grazia» (FC 68). Questa apertura a Dio e alla sua volontà può essere assimilata ad una certa fede implicita.

Nell'accogliere il disegno di Dio sul matrimonio attraverso un'inten-zione retta manifestata nell'impegno libero ad un consenso coniugale in-dissolubile (e quindi irrevocabile) mediante una fedeltà incondizionata e l'apertura alla procreazione, l'uomo e la donna che desiderano sposarsi acconsentono "almeno implicitamente" «a ciò che la Chiesa intende fare quando celebra il matrimonio» (FC 68). Questa fede, sebbene embrionale, implicita, sarà dunque chiamata a crescere mediante la grazia del matrimo-nio. In virtù del diritto naturale al matrimonio, che non può essere rifiu-tato, soltanto nel caso in cui i fidanzati battezzati mostrassero di «rifiutare in modo esplicito e formale» ciò che la Chiesa intende compiere, i pastori dovrebbero rifiutare di ammetterli alla celebrazione del matrimonio.

Far poggiare l'esistenza del sacramento del matrimonio sulla sogget-tività fluttuante dell'atto di fede degli sposi comporterebbe gravi rischi che Giovanni Paolo II ha opportunamente elencato: il rischio di sogget-tivismo discriminatorio nel discernimento del grado di fede presunto dei fidanzati; il rischio sollevare dubbi sulla validità di molti matrimoni già celebrati32; il rischio di rifiutare il diritto naturale al matrimonio, ma anche semplicemente, quello di privare il sacramento della sua consistenza og-

Relactio ante disceptationem e la Relatiopost disceptationem tenute dal Card. Ratzinger, Relatore Generale, in: N. ETEROVIC, Joseph Ratzinger— Benedetto XVI e il Sinodo dei Vescovi, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2014, 14-97.

31 GIOVANNI PAOLO II, Esortazione apostolica post-sinodale Familiaris Consortio (22.11.1981) AAS 73 (1981) 81-191, n. 68.

32 Cfr. FC n. 68

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gettiva e di condurre alla sua negazione facendolo riposare sulla soggetti-vità mutevole dell'atto di fede degli sposi33.

L'intuizione di Giovanni Paolo II riposa su una convinzione che non lo ha mai abbandonato e che è alla base dell'insegnamento delle sue cate-chesi. Per comprendere correttamente la sacramentalità del matrimonio (e quindi la sua dimensione soprannaturale di fede) bisogna iniziare coglien-done la dimensione naturale in tutta la sua portata, per poi riscoprirne le fondamenta antropologiche e il carattere intrinsecamente sacro, mediante la creazione dell'uomo e della donna a immagine di Dio. In sintesi, si tratta di rimettere in luce la verità che Dio ha voluto per il matrimonio fin dal principio34. Giovanni Paolo II, nella fattispecie, è in totale consonanza con la tradizione sacramentale medievale35.

Pur accogliendo la riflessione avviata da Giovanni Paolo II, Benedetto XVI ha cercato di aprire altre vie che consentono di includere, in modo più soddisfacente, il posto della fede, in particolare cercando di capire come conciliare il diritto naturale al matrimonio con l'esigenza della fede e illustrando la sinergia che unisce la fides al foedus matrimoniale.

3. Conciliare il diritto naturale al matrimonio con l'esigenza di fede

3.1.11 diritto ad un matrimonio autentico secondo la verità del disegno di Dio

Il motivo dell'ammissione alla celebrazione in virtù del diritto naturale al matrimonio non significa, per Benedetto XVI, che tale ammissione sia

33 Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Allocuzione alla Rota Romana (01.02.2001) n. 8: «l'oscu-rarsi della dimensione naturale del matrimonio, con il suo ridursi a mera esperienza soggetti-va, comporta anche l'implicita negazione della sua sacramentalità».

34 GIOVANNI PAOLO II, Allocuzione alla Rota Romana (01.02.2001) n. 8: «È proprio l'adeguata comprensione di questa sacramentalità nella vita cristiana ciò che spinge verso una rivalutazione della sua dimensione naturale». Questa rivalutazione della dimensione natura-le del matrimonio passa attraverso la riscoperta del suo carattere sacro, ovvero della sua dimensione intrinsecamente trascendente voluta da Dio fin dalle origini. Cfr. ID. Allocu-zione alla Rota Romana (30.01.2003) AAS 95 (2003) 393-397, n. 2: «Dimensione naturale e rapporto con Dio non sono due aspetti giustapposti: anzi, essi sono così intimamente in-trecciati come lo sono la verità sull'uomo e la verità su Dio». Giovanni Paolo II conclude dicendo: «Questo tema mi sta particolarmente a cuore». Il rischio sarebbe effettivamente quello di pensare che esistono due matrimoni: uno profano — il matrimonio naturale - e l'altro religioso — il matrimonio sacramentale - [Cfr. n. 3].

35 Cfr. P.-M. GY, "Le sacrement de mariage exige-t-IL la foi. La position médiévale", RSPT 61(1977/3), 437-442.

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meramente formale e automatica. Egli precisa che lo ius connubii riguarda un matrimonio che risponda alla verità della sua essenza, così come insegna la Chiesa, ovvero, così come è stata voluta da Dio Creatore36. Parlare di diritto naturale al matrimonio non vuol dire che i fidanzati battezzati di-spongono di un diritto a sposarsi secondo la loro personale concezione soggettiva del matrimonio. Questo concerne piuttosto il diritto di sposarsi in modo autentico secondo la verità del disegno creatore di Dio sull'uomo e la donna. Lo ius connubii quindi, non è un diritto privato dal contenuto oggettivo:

Il diritto a sposarsi, o ius connubii, va visto in tale prospettiva. Non si tratta, cioè, di una pretesa soggettiva che debba essere soddisfatta dai pastori mediante un mero riconoscimento formale, indipen-dentemente dal contenuto effettivo dell'unione. Il diritto a con-trarre matrimonio presuppone che si possa e si intenda celebrarlo davvero, dunque nella verità della sua essenza così come è insegnata dalla Chiesa. Nessuno può vantare il diritto a una cerimonia nu-ziale. Lo ius connubii, infatti, si riferisce al diritto di celebrare un autentico matrimonio37.

Benedetto XVI concorda con Giovanni Paolo II nel dire che, per l'am-missione al sacramento, "basta" che gli sposi desiderino sposarsi secondo il progetto divino; egli precìsa però che questa intenzione richiede comun-que una certa "verifica" del suo contenuto oggettivo38. Benedetto XVI

36 Sulla scia di Benedetto XVI, preferiamo parlare di verità del matrimonio, termine più teologico rispetto alla nozione canonica di validità che definisce le condizioni poste dal diritto per determinare l'esistenza del sacramento. Un matrimonio sarà "vero" quan-do risponderà al progetto di Dio Creatore sull'uomo e sulla donna secondo l'insegna-mento di Cristo e della Chiesa, ovvero: un'unione tra un uomo e una donna caratterizza-ta dall'unicità, l'esclusività, l'indissolubilità e l'apertura alla procreazione.

37 Cfr. BENEDETTO XVI, Allocuzione alla Rota Romana (22.01.2011) AAS 103 (2011), 108-113. Bisogna sottolineare l'insistenza del Papa: un matrimonio «si intenda celebrarlo davvero, dunque nella verità della sua essenza così come è insegnata dalla Chiesa», un ma-trimonio «autentico» [corsivo nostro].

38 BENEDETTO XVI, Allocuzione alla Rota Romana (22.01.2011): «Tra i mezzi per ac-certare che il progetto dei nubendi sia realmente coniugale spicca l'esame prematrimo-niale. Tale esame ha uno scopo principalmente giuridico: accertare che nulla si opponga alla valida e lecita celebrazione delle nozze. Giuridico non vuol dire però formalistico, come se fosse un passaggio burocratico consistente nel compilare un modulo sulla base di domande rituali. Si tratta invece di un'occasione pastorale unica - da valorizzare con tutta la serietà e l'attenzione che richiede - nella quale, attraverso un dialogo pieno di ri-spetto e di cordialità, il pastore cerca di aiutare la persona a porsi seriamente dinanzi alla

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non propone di rifiutare il matrimonio alle coppie non sufficientemente disposte, ma piuttosto di accompagnare il loro cammino annunciando loro la verità e la bellezza del disegno di Dio sul matrimonio e consenten-do loro di presentare una richiesta che sìa conforme alla verità dell'essen-za del matrimonio.

3.2. LM. preparazione al matrimonio

Spesso si definisce il matrimonio naturale come il fatto di sposarsi alla stregua di tutti gli altri uomini e donne39, ma questo approccio è proble-matico poiché, in fin dei conti, rimanda alla concezione mutevole che gli uomini hanno del matrimonio40. Nel contesto della nostra città post-mo-derna, non si tratta di sposarsi secondo la concezione "liquida" che essa propone41, quanto piuttosto secondo la verità del disegno di Dio sul ma-trimonio42. Sposarsi secondo il disegno divino implica quindi l'impegno libero alla fedeltà incondizionata per tutta la vita, all'unicità e all'esclusività del vincolo, all'indissolubilità e all'apertura alla vita. Al giorno d'oggi però, questa intenzione può ancora essere considerata come scontata?

verità su se stessa e sulla propria vocazione umana e cristiana al matrimonio. In questo senso il dialogo, sempre condotto separatamente con ciascuno dei due fidanzati - senza sminuire la convenienza di altri colloqui con la coppia - richiede un clima di piena sinceri-tà, nel quale sì dovrebbe far leva sul fatto che gli stessi contraenti sono i primi interessati e i primi obbligati in coscienza a celebrare un matrimonio valido».

39 Per questo si rimanda sovente alla Ie t tera i Diogneto, V,l,6 (intr., ed. critica e com-mento H.-I. Marrou, trad. it. M.-B. Artioli, Ed. San Clemente - Roma / Ed. Studio Do-menicano - Bologna, 2008, 63): «I cristiani infatti non si distinguono dagli altri uomini né per regione né per linguaggio né per abito. (.. .) Si sposano come tutti...».

40 Cfr. FRANCESCO, Esortazione Apostolica Evangelii Gaudium (24.11.2013), 66: «Il matrimonio tende ad essere visto come una mera forma di gratificazione affettiva che può costituirsi in qualsiasi modo e modificarsi secondo la sensibilità di ognuno».

41 È il termine usato da Z. BAUMAN, Modernità liquida, Laterza, Roma-Bari, 2000. Si veda anche P. DONATI (a cura di), La relazione di coppia oggi. Una sfida per la famiglia, Rap-porto famiglia CISF 2011, Erickson, Trento 2012.

42 Cfr. R. CORONELLI, "La natura peculiare del sacramento del matrimonio. Impli-cazioni di diritto canonico e problematiche pastorali", ~La Scuola Cattolica 136 (2008), 621-652, 651: «Quello che "tutti gli altri uomini vogliono fare" oggi è sposarsi con l'idea che un giorno magari il matrimonio possa fallire e quindi si possa divorziare e passare ad una nuova unione e poi ad un'altra ancora, se dovesse andare ancora male. Questo modello del "cosi fanno tutti" diventa un modello in contrasto con quanto dice la natura, ma a poco a poco diventa normale per la società».

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Xavier Lacroix osserva, in un sondaggio del 2004, che l'80% dei giova-ni francesi tra 18 e 35 anni affermano che è preferibile che la coppia duri tutta la vita. Tuttavia, auspicare la durata illimitata, ritenendola preferibile, corrisponde davvero all'intenzione richiesta di sposarsi secondo il disegno di Dio? Xavier Lacroix osserva giustamente che «una cosa è desiderare la durata, altra cosa è volerla. Una cosa è augurarsela, altra cosa è proclamare che in essa ci si impegna realmente»43.

Nel contesto culturale attuale, la capacità dell'uomo di legarsi per tutta la vita in una comunione d'amore esclusiva ed unica sembra essere am-piamente rimessa in discussione44. In tal senso, l'evoluzione del diritto di famiglia è sintomatica: poco a poco, osserva Gabriella Gambino, «l'ob-bligo del rispetto della fedeltà coniugale è stato quasi del tutto svuotato di significato»45. Dinanzi ad una fedeltà e ad un'esclusività del vincolo che sembrano oggi andare al di là delle forze umane o addirittura, peggio ancora, che sembrano contravvenire alla libertà della persona umana, la verità della comunione tra uomo e donna, creati a immagine e somiglianza di Dio, non può più essere data per scontata, ma deve essere proposta ed annunciata come una verità salvifica.

In questa prospettiva, la preparazione al matrimonio e l'esame prema-trimoniale non possono più essere visti come una semplice formalità bu-rocratica automatica, ma debbono essere piuttosto considerati come una

43 X. LACROIX, "Perché parlare della durata e della fedeltà in una cultura del provvi-sorio e della fragilità?", Scuola Cattolica 136 (2008) 377-396, 377.

44 BENEDETTO XVI, Discorso in occasione degli auguri natalizi della Curia romana (21.12.2012) AAS 105 (2013) 47-54, 49: «Può l'uomo legarsi per tutta una vita? Cor-risponde alla sua natura? Non è forse in contrasto con la sua libertà e con l'ampiezza della sua autorealizzazione? L'uomo diventa se stesso rimanendo autonomo e entrando in contatto con l'altro solo mediante relazioni che può interrompere in ogni momento? Un legame per tutta la vita è in contrasto con la libertà? Il legame merita anche che se ne soffra? Il rifiuto del legame umano, che si diffonde sempre più a causa di un'errata com-prensione della libertà e dell'autorealizzazione, come anche a motivo della fuga davanti alla paziente sopportazione della sofferenza, significa che l'uomo rimane chiuso in se stesso e, in ultima analisi, conserva il proprio "io" per se stesso, non lo supera veramen-te». Si veda anche ID., Allocuzione alla Rota Romana (26.01.2013) AAS 105 (2013) 168-172, n.2. In tal senso si veda X. LACROIX, «Perché parlare della durata e della fedeltà», cit., 378: «Una delle domande più serie che si pongono oggi è la seguente: Come essere fedeli all'altro restando fedeli a se stessi?».

45 G. GAMBINO, "LO straordinario potere della fedeltà coniugale", http://-www.laid. va/content/laici/it/sezioni/donna/tema-del-mese/settembre—ottobre-2013.html [Ul-tima visita del 26 Maggio 2014].

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tappa intrinseca al processo sacramentale46, che impegni la responsabilità sia dei pastori che degli sposi47. Come accade per il battesimo degli adulti, il catecumenato è parte del processo sacramentale e si potrebbe consi-derare la possibilità di integrare realmente la preparazione in questione nel processo sacramentale del matrimonio48. Il "modello" catecumenale è illuminante nella misura in cui non si presenta soltanto come un inse-gnamento intellettuale dei dogmi di fede, ma anche come una vera comu-nità di vita, luogo vitale dell'incontro con Cristo49. Inoltre, il parallelismo presenta un vantaggio: quello di non dare risalto al solo momento della preparazione, ma anche a quello dell'accompagnamento dei primi anni di matrimonio50. Di fatto, alla stregua dei neofiti ancora sostenuti dalla co-munità ecclesiale negli anni successivi al battesimo, le giovani coppie e le famiglie hanno particolarmente bisogno di essere accompagnate51.

Vero è che l'aspetto della preparazione al matrimonio è spesso stato minimizzato, per non dire trascurato, adducendo la dimensione naturale del matrimonio stesso. Si tende però a dimenticare che questa dimensione naturale è fondata su una vera e propria apertura a Dio e al suo disegno divino. Il rischio è quindi quello di concepire il sacramento come un ele-mento estrinseco al matrimonio naturale e di pensare che Dio sia estra-neo a tale verità. In questo senso, l'insistenza di Giovanni Paolo II sulla

46 BENEDETTO XVI, Allocuzione alla Rota Romana (22.01.2011): «Dall'altra [parte], pur non sfuggendo a nessuno la necessità delle attività giuridiche che precedono il ma-trimonio, rivolte ad accertare che «nulla si oppone alla sua celebrazione valida e lecita» (CIC can. 1066), è diffusa la mentalità secondo cui l'esame degli sposi, le pubblicazioni matrimoniali e gli altri mezzi opportuni per compiere le necessarie investigazioni prema-trimoniali (cfr. CIC can. 1067), tra i quali si collocano i corsi di preparazione al matrimo-nio, costituirebbero degli adempimenti di natura esclusivamente formale. Infatti, si ritiene spesso che, nell'ammettere le coppie al matrimonio, i pastori dovrebbero procedere con larghezza, essendo in gioco il diritto naturale delle persone a sposarsi» (corsivo nostro).

47 Si veda in merito il commento di F. VENTORINO, "Nel discorso del Papa alla Rota Romana. La verità ragionevole del matrimonio cristiano", L'Osservatore Romano, 26 gennaio 2011. Si vedano anche le proposte di P. CASPANI, "Condizioni di accesso al sa-cramento del matrimonio", La Scuola Cattolica 137 (2009/3), 337-364.

48 GIOVANNI PAOLO II aveva già abbozzato tale parallelismo in FC, 66 raccoman-dando, nella preparazione al matrimonio, «un'adeguata catechesi, come in un cammino catecumenale» {veluti ìnstìtutione catechumenorunì).

49 Cfr. J. DANIÉLOU, La catéchèse aux premiers siècles, ISPC, École de la foi, Fayard-Mame, 1968; P.-TH. CAMELOT, Spirìtualité du baptème, "Lex orandi", Cerf, Paris 1960.

50 Si veda L. MELINA (a cura di), Iprimi anni di matrimonio, Cantagalli, Siena 2014. 51 Cfr. J.J. PÉREZ-SOBA, La pastorale familiare. Tra programmazioni pastorali e generazione

di una vita, Cantagalli, Siena, 2013.

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dimensione sacra del matrimonio è estremamente rilevante52. Essa invita ad una riflessione sulla sinergia tra foedus e fides.

4. La sinergia tra fides e foedus

4.1. Uarticolazione tra la dimensione di creazione e la dimensione di redenzione

La sfida della teologia del sacramento del matrimonio è sempre con-sistita nell'articolazione tra dimensione naturale e dimensione sopranna-turale. Il Concilio di Trento afferma che Cristo è venuto a "perfezionare" il matrimonio naturale53. Bellarmino ha tradotto questa nozione con il termine divenuto corrente (ripreso dal Codice di Diritto Canonico) di elevazione (evictio). Si potrebbe forse preferire il verbo "perfezionare" per qualificare questa articolazione tra la dimensione di creazione e quella di redenzione, poiché rende meglio conto dell'unità tra le due dimensioni. Compresa in modo metafisico, la fine non è estrinseca all'essere. Essa è il compimento della sua perfezione sostanziale. Cristo non cambia la natura del matrimonio ma la guarisce e la porta a compimento sia a livello del suo significato che della sua efficacia e la trasfigura così nel suo mistero pa-squale54. La nozione di elevazione è stata scelta da Bellarmino proprio per

52 Cfr. Le catechesi di GIOVANNI PAOLO II sulla teologia del corpo in ID. (a cura di G. Marengo), Uamore umano nel piano divino. La redenzione del corpo e la sacramentalità del matrimonio nelle catechesi del mercoledì (1979-1984), Libreria Editrice Vaticana, Città del Va-ticano 2009.

53 CONCILIUM OECUMENICUM TRIDENUNUM, Doctrina de sacramento matrimoni, ses-sio XXIV (11.11.1563), DH1799: «Gratiam vero, quae naturalem illum amoremper f i c ere t , et indissolubilem unitatem confirmaret, coniugesque sanctificaret, ipse Christus, venerabi-lium sacramentorum institutor ìLtqacperfector, sua nobis Passione promeruit. Quod Paulus Apostolus innuit, dicens: "Viri, diligite uxores vestras, sicut Christus dilexit Ecclesiam, et se ipsum tradidit prò ea" (Eph 5, 25), mox subiungens: "Sacramentum hoc magnum est; ego autem dico, in Christo et in Ecclesia" (Eph 5, 32)» (corsivi nostri).

54 Ecco il senso della parole di Cristo in Mt 5-17: «Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimen-to». Si veda il commento di E. CORECCO, "L'inseparabilità tra contratto matrimoniale e sacramento alla luce del principio scolastico Grafiaperfiàt non destruit naturarti', in lus et Communio, Scritti di diritto canonico, a cura di G. BORGONOVO - A. CATTANEO, Piemme, Casale Monferrato, II, 1997, 457-456: «Con l'idea di elevazione, il Bellarmino ha saputo cogliere l'unità profonda esistente tra il contratto e il sacramento, e ciò, senza dubbio, grazie all'interpretazione che il cardinale aveva dato al principio scolastico, implicita-mente presente in tutta la sua teologia sacramentaria: "Gratia perfidi, non destruit naturarti'.

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mostrare che il sacramento non si aggiunge al contratto55. Essa mette in luce nel contempo la continuità della grazia sacramentale con il matrimo-nio della creazione e la profonda novità che comporta il suo inserimento nell'ordine della redenzione56.

4.2. Il mistero del matrimonio si illumina soltanto alla luce del Verbo Incarnato e della sua unione alla Chiesa

Nella catechesi del 18 agosto 1982 sulla Lettera agli Efesini, Giovan-ni Paolo II mostra che il mistero dell'unione tra Cristo e la Chiesa svela «la verità essenziale sul matrimonio»57. In questo caso, egli non fa che

Questo significava che il sacramento, come la grazia, non sono qualche cosa di aggiunto ab extrìnseco al contratto o alla natura, bensì un perfezionamento e un compimento degli stessi, e che il contratto era stato semplicemente trasformato come segno di una realtà sacramentale nuova. Ciò condusse il Bellarmino anche alla conclusione inevitabile che il contratto e il sacramento non sono separabili e che la loro inseparabilità è così assoluta, da escludere che, per i battezzati, possa esistere un contratto matrimoniale valido, senza che sia nello stesso tempo sacramento».

55 Cfr. ROBERTI CARDINALIS BELLARMINI Opera Omnia, De controversi christianaefidei adversus huius temporis haereticos, Neapoli apudjosephum Giuliano Editorem, 1838, Tomus tertio, Cap. VI, 79: «Sicut enim Dominus ipse non expressit materiam et formam huius sacramenti, quia non novum symbolum instituit, sed humanum, usitatumque contrac-tum evexit ad sacramenti dignitatem, attribuens illi contractui novam signifìcationem et gratiae promissionem».

56 Cfr. G. MARENGO, "Creazione, alleanza, sacramentalità del matrimonio", Anthro-potes 8 (1992) 32-33. Eppure, Yevictio bellarminiana non sfugge ad una serie di accenti estrinsecisti se si interpreta (a torto) nel senso di una natura pura che sarebbe successi-vamente "elevata" da Cristo a dignità di sacramento. Si vedano le critiche all'elevazione bellarminiana in H.U. VON BALTHASAR, Gli stati di vita del cristiano, trad. it., Jaca Book, Milano 1985, 211-212, e N. REALI, Scegliere di essere scelti. Riflessioni sul sacramento del matri-monio, Cantagalli, Siena 2008, 60.

57 GIOVANNI PAOLO II, Udienza generale, (18.08.1982), n.2, in ID., Uamore umano nel piano divino, cit.,, 383-385, 383-384: «Se [...] questa analogia illumina il mistero, essa stes-sa a sua volta viene illuminata da quel mistero. Il rapporto sponsale che unisce i coniugi, ma-rito e moglie, deve - secondo l'Autore della lettera agli Efesini - aiutarci a comprendere l'amore che unisce il Cristo con la Chiesa, quell'amore reciproco di Cristo e della Chiesa, in cui si realizza l'eterno piano divino della salvezza dell'uomo. Tuttavia, il significato dell'analogia non si esaurisce qui. L'analogia usata nella lettera agli Efesini, chiarendo il mistero del rapporto tra il Cristo e la Chiesa, contemporaneamente svela la verità essenziale sul matrimonio-, cioè, che il matrimonio corrisponde alla vocazione dei cristiani solo quan-do rispecchia l'amore che Cristo-Sposo dona alla Chiesa sua Sposa, e che la Chiesa (a somiglianza della moglie "sottomessa", dunque pienamente donata) cerca di ricambiare a Cristo. Questo è l'amore redentore, salvatore, l'amore con cui l'uomo dall'eternità è

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trasporre al matrimonio ciò che Gaudium et Spes n. 22 §1 afferma: «In re-altà solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell'uomo». In altri termini, il mistero della comunione uomo-donna si illumina soltanto alla luce del mistero del Verbo Incarnato che sposa l'u-manità e ne fa una sola carne con essa. Il mistero di Cristo è, in effetti, già presente in embrione all'origine della creazione dell'uomo e della donna58.

In tal senso, è bene sottolineare un dettaglio del testo di Gen 2,24: «Per questo l'uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie, e i due saranno un'unica carne». Curiosamente, il testo opera un'inversione dei riti antichi tradizionali del matrimonio59. Normalmente, non è l'uo-mo che lascia suo padre, ma la donna che abbandona la casa del padre per andare a vivere in quella del marito. Molti autori hanno visto qui la prefigurazione del mistero dell'Incarnazione: il Figlio "lascia" il Padre per sposare l'umanità e per essere una sola carne con essa60.

M. Gilbert fa notare che l'espressione "una sola carne" non appare da nessun'altra parte nell'Antico Testamento. Bisognerà attendere Cristo per ritrovarla pronunciata proprio da Lui (Mt 10,8; Mt 19, 5-6), poi in Pao-lo (1Cor 6,16 - Ef 5,31)S1. L'assenza della menzione di "una sola carne" prima di Cristo, indica che è proprio Lui che compie questa verità, che le dona il suo vero significato e, in un certo qual modo, che la rende possi-

stato amato da Dio in Cristo: "In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo, / per essere santi e immacolati al suo cospetto..."».

58 LEONE XIII, nella sua Lettera Enciclica Arcanum divinae sapientiae (10.02.1880) ASS 12 (1879) 385-402, 392, definisce il matrimonio delle origini «quaedam Incarnatio-nis Verbi Dei adumbratio». La citazione è ripresa da Pio XI, nella sua Lettera Enciclica Casti Connubi (31.12.1930) AAS 22 (1930) 539-592, Cap. II, 570. Si veda anche GIOVAN-NI PAOLO II, Udienza generale, (6.10.1982), n. 4, in E'amore umano nelpiano divino, cit., 406-409, 408: «Confrontando la testimonianza del "principio", riportata nei primi capitoli del libro della Genesi, con la testimonianza della lettera agli Efesini, occorre dedurre che la realtà della creazione dell'uomo era già permeata dalla perenne elezione dell'uomo in Cristo: chiamata alla santità attraverso la grafia di adozione a figli ("predestinandoci a essere suoi figli adottivi / per opera di Gesù Cristo, / secondo il beneplacito della sua volontà. / E que-sto a lode e gloria della sua grazia, / che ci ha dato nel suo Figlio diletto") ( E f l , 5-6)».

55 Cfr. P. DACQUINO, Storia del matrimonio cristiano alla luce della Bibbia, Elle Di Ci, Leumann (To) 1984: 9-178.

60 Si veda ad esempio: S. AUGUSTINUS, In Evangelium Ioannis Tractatus, Vi l i ; GIOVAN-NI CRISOSTOMO, Elogio di Massimo, Quali donne bisogna sposare, in E'unità delle no^e, trad. G. Di Nola, Collana di testi patristici 45, Città nuova editrice, Roma, 1984, 87-128, 101. S. Thomae Aquinatis Super Epistolas S. Vauli lectura, Voi. 2, a cura di R. Cai (Editio V i l i revisa), Marietti, Taurini-Romae, 1953, cap. 5, lectio 10.

61 M. GILBERT, "Une seule chair (Gn 2,24)", NRT100 (1978/1) 6-89, 76.

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bile. Cristo può rimandare al mistero della creazione dell'origine perché è Lui che viene a guarire il cuore indurito dal peccato; è Lui che viene a donare quel cuore nuovo, il cuore di carne, annunciato dai profeti. E lui che viene, non solo a restaurare, ma anche a trasfigurare nella sua stessa carità il disegno iniziale della creazione infranto dal peccato originale62. Pertanto l'indissolubilità, l'esclusività, l'unicità del vincolo matrimoniale non possono essere concepiti, in primis, come un giogo o un'esigenza, ma piuttosto come un dono, una possibilità offerta nella fede dalla grazia63. In tal senso, la verità originale del matrimonio tende al suo pieno compi-mento in Cristo. Come mostra la lettera agli Efesini 5,32-33, l'unione di Cristo con la Chiesa manifesta appieno la verità del matrimonio insita nel disegno della creazione. Il sacramento non si aggiunge estrinsecamente al matrimonio naturale, ma lo porta a compimento mentre gli conferisce una nuova dimensione specifica: la sua dimensione ecclesiale, come par-tecipazione reale all'unione tra Cristo e la Chiesa. In altri termini, è nella sua dimensione ecclesiale che il matrimonio esprime tutta la profondità della verità impressa fin dalla creazione. In ¥amilarìs Consortìo 13, Giovanni Paolo II commenta:

[Gesù] rivela la verità originaria del matrimonio, la verità del "prin-cipio" (cfr. Gen 2,24; Mt 19,5) e, liberando l'uomo dalla durezza del cuore, lo rende capace di realizzarla interamente. Questa rive-lazione raggiunge la sua pienezza definitiva nel dono d'amore che il Verbo di Dio fa all'umanità assumendo la natura umana, e nel

62 FCn.13: «In una parola, si tratta di caratteristiche normali di ogni amore coniugale naturale, ma con un significato nuovo che non solo le purifica e le consolida, ma le eleva al punto di farne l'espressione di valori propriamente cristiani».

63 Si veda il bel commento di J. RATZINGER, "Zur Theologie der Ehe", Tiibinger Theologische Quartalscbrift 149 (1969) [53-74]: "Sulla teologia del matrimonio", traduzio-ne privata di A. Feraco (dalla traduzione francese di U. Hecht): « [...] poiché Gesù fa riferimento, al di là della Legge, all'origine, la sua parola non può essere considerata direttamente e semplicemente come una legge; essa non è separabile dal campo della fede e dell'imitazione di Cristo e può aver senso solo nel contesto della nuova situazione inaugurata da Gesù e accettata nella fede. Ciò è possibile soltanto là dove la «durezza del cuore» si dissolve nella fede e dove l'uomo si lascia richiamare all'origine. Se Gesù, per caratterizzare il matrimonio, cita la parola sull'unione dell'uomo e della donna nel rac-conto della creazione (Gn 2,24), questa parola non serve a fondare una nuova posizione casistica, ma essa è compresa come profezia e profeticamente attualizzata nella fede. Ma questo significa che esiste un nuovo messaggio di Gesù riguardo al matrimonio che fa della missione originaria una possibilità attuale nella fede integrandola nel contesto della fede, affinché il matrimonio possa diventare un ordine della fede ossia: vissuto nella fede, esso riceve da essa il suo ordine e il suo significato».

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sacrificio che Gesù Cristo fa di se stesso sulla Croce per la sua Spo-sa, la Chiesa. In questo sacrificio si svela interamente quel disegno che Dio ha impresso nell'umanità dell'uomo e della donna, fin dalla loro creazione (cfr. Ef 5,32s); il matrimonio dei battezzati diviene così il simbolo reale della nuova ed eterna Alleanza, sancita nel sangue di Cristo. Lo Spirito, che il Signore effonde, dona il cuore nuovo e rende l'uomo e la donna capaci di amarsi, come Cristo ci ha amati64.

Appare chiaro dunque che la fede in Cristo rende capace l'uomo ferito dal peccato di accogliere la verità naturale del matrimonio in modo au-tenticamente umano65. Possiamo anche chiederci, sulla scia di Benedetto XVI, se «la chiusura a Dio o il rifiuto della dimensione sacra dell'unione coniugale e del suo valore nell'ordine della grazia» che si traduce con il rifiuto degli elementi costitutivi del matrimonio, non rischia di condurre a «minare la validità stessa del patto» coniugale66. Esprimendoci in modo positivo, diciamo: l'apertura a Dio e alla dimensione sacra del matrimo-nio non contribuisce forse alla validità del matrimonio? Il Can. 1096 §1 precisa che «Perché possa esserci il consenso matrimoniale, è necessario che i contraenti almeno non ignorino che il matrimonio è la comunità permanente tra l'uomo e la donna, ordinata alla procreazione della prole mediante una qualche cooperazione sessuale». Non sarebbe forse oppor-tuno aggiungere l'apertura a Dio come criterio di verifica della veridicità dell'adesione dei fidanzati alla verità del matrimonio?

A questo titolo, è importante mettere in luce un dettaglio linguistico non privo di importanza. Il Concilio Vaticano II non ha voluto utilizza-re il sostantivo "contratto" per intendere il matrimonio, ma ha preferito ricorrere al termine più biblico di alleanza (foedus)61 che racchiude una dimensione sacra.

64 FC, n. 13. 65 CASPANI, "Condizioni di accesso", cit., 347: «Senza la fede nell'evangelo del Si-

gnore Gesù e senza le virtù plasmate dalla fede è ben difficile desiderare un matrimonio naturale; coerentemente, proprio un'esperienza di fede può porre le condizioni più pro-pizie per volere e vivere un'esperienza matrimoniale autenticamente umana».

66 BENEDETTO XVI, Allocuzione alla Rota Romana (26.01.2013) AAS105 (2013) 168-172, n. 2.

67 Cfr. REALI, Scegliere di essere scelti, cit. 84-85. Il Codice di Diritto Canonico ha in-serito il termine foedus nel can. 1055 § 1, pur mantenendo la qualìfica di contractus nel § 2 dello stesso canone. Ciononostante, secondo E. Corecco, la nozione di foedus è stata acquisita solo superficialmente nel nuovo CIC (cfr. ID., "Il matrimonio nel nuovo Codex Iuris Canonici', in Ius et Communio, cit., II, 602 e 605).

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4.3. Matrimonio-contratto / matrimonio-ioe.àus,

Naturalmente, va detto che il concetto di mattimonìofoedus non si op-pone al concetto di "contratto" anzi, in un certo qual modo, lo contie-ne68. Il termine foedus, tuttavia, consente di spostare l'attenzione da una connotazione eccessivamente giuridica ad una valenza più teologica69. I lemmi latini "contractus" o "pactum" hanno, in tal senso, un'impronta ben più giuridica del termine foedus. L'espressione foedus rimanda, infatti, a Dio, fonte e fondamento dell'alleanza tra l'uomo e la donna nel suo disegno di creazione70. Essa rimanda anche alla forma nuziale dell'alleanza di Dio con il suo Popolo che si compie nell'unione tra Cristo e la Chiesa di cui il sacramento del matrimonio è segno e partecipazione reale (cfr. LG 11). Essa consente dunque di valorizzare nel contempo la dimensione sacra del matrimonio fin dalle origini e la sua dimensione ecclesiale. Essa mani-festa altresì l'unità del disegno di Dio (disegno d'alleanza) evitando qual-sivoglia dicotomia tra un matrimonio profano e un matrimonio sacro. In questo modo, l'uso del termine foedus «comporta la domanda teologica sul ruolo di Dio rispetto al matrimonio»71. Va detto, inoltre, che la non adeguatezza del termine "contratto" emerge ancor più chiaramente se si cerca di qualificare in questi termini l'unione tra Cristo e la Chiesa72. La parola "contratto" può lasciar intendere che il matrimonio sia un semplice

6 8 Cfr . J . RATZINGER, " I n t r o d u z i o n e " , i n CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA

DELLA FEDE, Sulla pastorale dei divorziati risposati, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vati-cano 1998, 7-29, 27, che invita a non leggere l'adozione del termine mattmonio-yW^.r in una logica di contrapposizione con la concezione tradizionale del matrimonio-contratto. Analogamente, si veda anche W. AYMANS, "Il matrimonio sacramento alleanza istituita da Dio e forma di attuazione della vita della Chiesa", in ID., Diritto canonico e comunione ecclesiale. Saggi di diritto canonico in prospettiva teologica, trad. dal tedesco R. Bertolino - L. Mangels Giannachi, G. Giappichelli Editore, Torino 1993, 187-221, 191-195.

69 Cfr. P.F. PALMER, "Christian marriage : contract or covenant ?", Theological Studies 33 (1972), 617-665. Non condividiamo tutte le conclusioni dell'autore, ma la sua analisi del significato dei termini "covenant-foeduì' e "contract ' è molto utile.

70 Cfr. AYMANS, "Il matrimonio sacramento", cit., 196, parla di una alleanza fondata da Dio.

71 AYMANS, "Il matrimonio sacramento", cit., 192. 72 Cfr. AYMANS, "Il matrimonio sacramento", cit., 195-196: «Teologicamente, il mo-

dello biblico del rapporto Cristo-Chiesa, applicato al sacramento del matrimonio non si fonda su un contratto tra Cristo e la Chiesa. Si cade invece proprio in questo errore teologico, quando si voglia ricondurre il patto indissolubile, con il quale Cristo è unito alla sua Chiesa, a un accordo per cosi dire personale tra Cristo e la Chiesa. Il rapporto Cristo Chiesa (Ef 5,21-33) è invece la Nuova Alleanza che risulta irrevocabilmente dalla volontà di Dio fondatrice della salvezza».

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accordo tra gli sposi, che possa essere rescisso in qualsiasi momento73 e nel quale Dio svolga soltanto un ruolo estrinseco. Di contro, il termine foedus permette di comprendere la dimensione sacra del matrimonio e fa spazio all'azione fondatrice di Dio in questa alleanza74. In tal senso, la pa-toìa. foedus rimanda intrinsecamente al termine fides, di cui condivide anche la radice linguistica75.

4.4. Fides

Il termine fides può essere declinato in molteplici significati che con-vergono tutti nel concetto di alleanza. Esso significa, da un lato, la roccia incrollabile della fedeltà dell'alleanza di Dio nei confronti del suo Popo-lo, fonte e fondamento della fiducia umana; d'altro canto, significa l'atto dell'uomo che crede in Dio e ripone la sua fiducia in Lui entrando in un cammino di vita76. Tuttavia, il termine fides può anche assumere una terza accezione: quella della fedeltà degli sposi77. Per Agostino, accanto allapro-les e al sacramentum, la fides78 è uno dei tre beni propri del foedus nuziale che

73 Cfr. G. MARCEL, Homo viator: prolegomeni di una metafisica della speranza, trad. L. Castiglione e M. Rettori, Boria, Roma 1980, 101: «Bisognerebbe anche affrontare qui il grave problema se l'unione coniugale sia realmente equiparabile a un semplice contratto. Poco m'importa, lo confesso, l'opinione dei giuristi su questo punto, perché sembra che il pensiero sia qui portato a liberarsi delle categorie che son proprie degli uomini di legge. In verità, quanto più il matrimonio sarà assimilato a un semplice contato, tanto più si sarà portati ad ammettere che lo si possa denunciare di comune accordo, che lo si possa addirittura ridurre a un impegno «a tempo». E quanto più ci si formerà un'idea esclusiva-mente razionale del matrimonio, tanto più si sarà indotti, se non teoricamente, di fatto, non soltanto ad ammettere il divorzio come una possibilità limite in casi eccezionali».

74 Cfr. AYMANS, "Il matrimonio sacramento", cit., 196: «Ogni singolo matrimonio è invece un'alleanza fondata da Dio».

75 Si veda A. ERNOUT- A. MEILLET, Dictionnaire étymologìque de la langue latine. Histoire des mots, Klincksieck, Paris 2001, "Fido", 233-234; "Foedus", 243-244. Gli autori preci-sano che il termine foedus ha la stessa radice del verbo fido ed aggiungono che «le genre neutre s'explique parce que foedus a du désigner à l'origine un acte engageant la foi», (243). Si veda anche BENEDETTO XVI, Allocuzione alla Rota Romana, (26.01.2013).

76 Cfr .LFn. 10. 77 Cfr. X. LACROIX, "La f i d e s au coeur du lien conjugal et familial", in Le corps retrouvé,

Bayard, Montrouge 2012,197-211. L'autore fa un parallelo tra le tappe della notte oscura descritte da san Giovanni della Croce e le tappe del cammino di coppia.

78 Si veda ad esempio: S. AUGUSTINUS, De nuptiis et concupiscentia, I/XVII. 19, o De Genesi ad litteram libri duocedim, IX/ VII. 12 dove Agostino fa apparite In fides prima della proles e del sacramentum.

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compongono la foedus nuziale. Essa indica la fedeltà reciproca degli sposi ed implica il carattere unico ed esclusivo di questa alleanza e, pertanto, il rifiuto di qualsiasi adulterio79. La fides degli sposi scaturisce da una fedeltà più grande, quella di Dio, espressa dalla forza del sacramentunP. La fides rende possibile hi foedus e la foedus esige la fides. Le due nozioni si intrec-ciano e rimandano continuamente l'una all'altra. Un dettaglio linguistico divertente appare alquanto rivelatore della connaturalità delle due nozio-ni. In italiano, l'anello nuziale degli sposi si chiama "fede", fides, men-tre in spagnolo o in francese, lo stesso anello si chiama rispettivamente "alianza" e "alliance", ossia foedus. Pur includendo la valenza di contratto, il ricorso al vocabolario della foedus per qualificare il matrimonio non è soltanto un dettaglio: esso apre alla dimensione sacra del matrimonio e mostra che la fides non è estranea all'alleanza coniugale, anzi, la consente. Dopo aver mostrato la connaturalità tra foedus e fides, vorremmo ora trarne alcune implicazioni pastorali e tentare di avanzare delle proposte.

5. Questioni teologiche attuali e proposte

5.1 Per il batte^ato esiste soltanto il matrimonio naturale-sacramentale

Con il suo battesimo, il battezzato è "definitivamente" inserito nel cor-po di Cristo e quindi introdotto "indistruttibilmente" nell'ordine della re-denzione81. Ecco perché, per lui, esiste un solo matrimonio: il matrimonio naturale sacramentale, ossia, quello voluto da Dio fin dalla creazione e portato a compimento da Cristo. Il battezzato può scegliere di sposarsi o meno, ma non può scegliere tra un matrimonio naturale e un matrimonio

79 Si veda ad esempio, S. AUGUSTINUS, De bono conjugali, IV.4; XI. 13; De nuptiis et concupiscentia, I/XVII.19.

80 Cfr. S. AUGUSTINUS, De bono conjugali, I. VII, 7, p. 39: «Quod tamen si non licet, sicut divina regula praescribere videtur, quem non faciat intentum, quid sibi velit tanta fìrmitas vinculi coniugalis? Quod nequaquam puto tantum valere potuisse, nisi alicuius rei maioris ex hac infirma mortalitate hominum quoddam sacramentum adhiberetur, quod deserentibus hominibus atque id dissolvere cupientibus inconcussum iis maneret ad poenam, siquidem interveniente divortio non aboletur illa confoederatio nuptialis».

81 FC, 13: «Mediante il battesimo, l'uomo e la donna sono definitivamente inseriti nella Nuova ed Eterna Alleanza, nell'Alleanza sponsale di Cristo con la Chiesa. Ed è in ragione di questo indistruttibile inserimento che l'intima comunità di vita e di amore coniugale fondata dal Creatore, viene elevata ed assunta nella carità sponsale del Cristo, sostenuta ed arricchita dalla sua forza redentrice».

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sacramentale82, realtà che si racchiudono in una sola per colui che appar-tiene all'economia della salvezza ed è parte del Corpo di Cristo. Eugenio Corecco esprime con grande chiarezza questa impossibilità, per il battez-zato, di tornare all'economia della creazione precedente a Cristo:

Per il cristiano, non è più possibile un regresso dall'economia del-la salvezza a quella della creazione, poiché quest'ultima non esiste più, concretamente, se non in quanto realtà "elevata" e assunta dentro la storia della nuova alleanza. Così non è più possibile per i coniugi battezzati un ritorno dal sacramento al matrimonio di di-ritto naturale, poiché quest'ultimo non esiste più, in quanto realtà piena di significato liberante e salvifica, se non come sacramento83.

Ciò è significato dal principio dell'inseparabilità tra contratto e sacra-mento di matrimonio espresso dal Codice di Diritto Canonico84. Due sono le conseguenze teologiche e pastorali che ne derivano: la prima ri-guarda la questione dell'intenzione richiesta, e la seconda quella della qua-lifica del matrimonio civile.

5.2. lfinten^jone di fare quod facit Ecclesia e il contenuto del consenso

Per i battezzati che chiedono il sacramento del matrimonio, l'intenzio-ne minima richiesta è quella di fare, almeno implicitamente quod facit Ec-clesia. C'è una certa nebbia intorno al fatto di sapere se questa intenzione

82 Cfr. C. CAFFARRA, "Le lien entre mariage-réalité de la création et le mariage-sa-crement" (I e II), Esprit et Vie 23 (1978) 353-364 ; 24 (1978) 370-384, (T), 357: «À chaque baptisé il appartient de décider de se marier ou non, mais non pas de choisir entre un mariage purement contractuel et un mariage qui soit aussi sacrement, une fois qu'on aura reconnu que le Christ a indissolublement lié les deux termes». Vanno considerati però a parte i matrimoni dispari (tra un battezzato e un non battezzato) che non sono sacramentali probabilmente anche per lo sposo battezzato, in base al detto "Matrìmo-nium non potest claudicare". A tal proposito, si veda PH. TOXÉ, "Quand le mariage est-il sacrementel?", in L. - M CHAUVET (a cura di), Ee sacrement de mariage entre bier et demain, Les éditions de l'Atelier, Paris 2003, 79-80.

83 CORECCO, "L'inseparabilità tra contratto matrimoniale e sacramento", cit., 500. Si veda anche l'interessante analisi di R. CORONELLI, "La natura peculiare del sacramento del matrimonio. Implicazioni di diritto canonico e problematiche pastorali", Ea Scuola Cattolica 136 (2008), 634-637.

84 Cfr. Can. 1055 - § 2. «Pertanto tra i battezzati non può sussistere un valido con-tratto matrimoniale, che non sia per ciò stesso sacramento». Cfr. E. CORECCO, "Il nesso fra contratto e sacramento nel matrimonio", in lD., lus et Communio, cit., II, 548.

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sia richiesta in quanto gli sposi sono considerati come ministri e/o come soggetti riceventi, ma questo non toglie nulla alla questione di fondo85. Nel contesto post-cristiano attuale, possiamo forse continuare a supporre che questa intenzione esista -ancorché implicitamente- nei battezzati non credenti o indifferenti, per il semplice fatto di chiedere il sacramento di matrimonio?86 La questione è ancor più viva se si pensa che i sacramenti, sia dal lato dei ministri che dal lato dei soggetti riceventi, sono anche atti umani che esigono un'intenzione faciendi quodfacit Ecclesia libera e volonta-ria. Per il matrimonio, questa intenzione è misurata a partire dal consenso agli elementi naturali del matrimonio.

Ora, se per il battezzato esiste soltanto un matrimonio che sia natu-rale-sacramentale, potremmo chiederci se il fatto di riferire il consenso soltanto alle proprietà naturali del matrimonio (che, come abbiamo già visto, esigono una reale apertura a Dio) non sia riduttivo, tanto più che la sacramentalità non va ad aggiungersi in maniera estrinseca al disegno della creazione, ma ne è il compimento. Nella misura in cui, per il battezzato, che è parte del Corpo di Cristo, il matrimonio naturale è inserito nell'eco-nomia della redenzione, esso diventa partecipazione reale dell'unione tra Cristo e la Chiesa. L'una caro degli sposi è ordinata ali 'una caro tra Cristo e la Chiesa. Ma allora, non sarebbe forse opportuno (e più rispettoso dell'u-nità tra matrimonio della creazione/matrimonio della redenzione) riferire il consenso anche all'intenzione di partecipare all'unione tra Cristo e la Chiesti1', ovvero all'intenzione di accettare la dimensione ecclesiale, che comporta l'indissolubilità assoluta88?

85 Per essere precisi, bisognerebbe dire che gli sposi in quanto ministri devono avere l'intenzione di fare ciò che Cristo e la Chiesa vogliono fare e che, in quanto soggetti rice-venti, devono avere l'intenzione di ricevere ciò che Cristo e la Chiesa vogliono dare (rimane inteso che l'azione di "ricevere" non è meramente passiva).

86 Cfr. CORECCO, "Il matrimonio nel nuovo Codex Iuris Canonici', cit., 604. 87 Si potrebbe interpretare in questo senso la Decretale a Rustico di Narbona (cap. 4)

di LEONE MAGNO ( P L 54, co l 1204 -1205 ) . Si v e d a a n c h e CORECCO, "I l m a t r i m o n i o

nel nuovo Codex Iuris Canonici", cit., 605: «L'affermazione che i cristiani partecipano al "mysterium unitatis etfecundis amoris inter Christum et Ecclesiani' [.. .] non può rimanere solo un punto di riferimento per la preparazione pastorale degli sposi prescritta nei cann. 1063-1072, ma dovrebbe trovare la sua espressione sintetica anche a livello del contenuto del consenso».

88 Cfr. CORECCO, "Il matrimonio nel nuovo Codex Iuris Canonici', cit., 605: «L'affer-mazione che i cristiani partecipano al "mysterium unitatis et fecundis amoris inter Christum et Ecclesiam" [...] non può rimanere solo un punto di riferimento per la preparazione pa-storale degli sposi prescritta nei cann. 1063-1072, ma dovrebbe trovare la sua espressione sintetica anche a livello del contenuto del consenso».

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Non si tratta di aggiungere un elemento alle proprietà naturali del ma-trimonio ma di assicurarsi che i battezzati siano ben coscienti che, volere le proprietà naturali del matrimonio include, per la ragione stessa del loro essere battezzati, l'intenzione di volere un matrimonio che è anche (ed inseparabilmente) sacramento.

L'indissolubilità acquisisce un senso assoluto soltanto alla luce dell'u-nione indissolubile tra Cristo e la Chiesa, poiché «il matrimonio è la rea-lizzazione sacramentale dell'amore di Cristo per la Chiesa»89.

Integrare maggiormente la dimensione ecclesiale del matrimonio vor-rebbe forse dire tendere verso l'identificazione della forma canonica e della forma liturgica, così come ripensare la questione del/dei ministri del sacramento del matrimonio. Le proposte attuali volte a riconoscere il sacerdote come ministro del sacramento del matrimonio (o co-ministro accanto agli sposi) sono mosse dal desiderio di coerenza cristologica, ec-clesiologica e liturgica, ma anche dalla volontà di poter integrare mag-giormente il ruolo della fede nella celebrazione del matrimonio dei bat-tezzati90. La nostra proposta però, non significa che i battezzati che non accettassero la partecipazione all'unione tra Cristo e la sua Chiesa e che optassero per un matrimonio civile non ne contrarrebbero uno "soltan-to" naturale, poiché, come abbiamo detto, il matrimonio naturale per il battezzato esiste soltanto nella sua dimensione sacramentale.

89 E. CORECCO, "Il matrimonio nel nuovo Codexlttris Canonici", cit., 602. Corecco fa notare che il contenuto del consenso è stato «elaborato più a partire del diritto naturale che dai contenuti specifici della fede». Aggiunge: «Preoccupata più del matrimonio in fieri che di quello in factum esse, la canonistica non ha ancora saputo cogliere con precisione le dimensioni costituzionali della famiglia cristiana, definita dal Vaticano II velut Ecclesia domestica.». ("Il sacramento del matrimonio: cardine della costituzione della Chiesa", cit., 586).

90 Vista la sua complessità e le difficoltà che comporta, la questione richiede uno studio approfondito. Per le proposte a favore di una integrazione della ministerialità del sacerdote, rimandiamo in particolare a E. CORECCO, "Il sacerdote ministro del matri-monio? Analisi del problema in relazione alla dottrina dell'inseparabilità tra contratto e sacramento, nei lavori preparatori del Concilio Vaticano I", in ID., lus et Communio, cit., Voi. Il, 349-445; B.-D. DE LA SOUJEOLE, "Le ministre du mariage. Aspects oecuméni-ques de la question", ~Revue Thomiste 101 (2001) 565-580 ; M. OUELLET, Divina somiglianza. Antropologia trinitaria della famiglia, Lateran University Press, Roma, 2004, 280-281; H. BRICOUT, "La ministerialità del matrimonio: un dibattitto fra la lex orandi e la lex credendi', in ASSOCIAZIONE PROFESSORI DI LITURGIA, Ministeri ecclesiali, a cura di A. M. Calapaj Budini, Edizioni liturgiche, Roma 2008, 187-200. Si veda anche J. GRANADOS che ana-lizza queste proposte e preferisce attenersi alla ministerialità degli sposi che rende mag-giormente conto del legame tra matrimonio e Chiesa, tra matrimonio e battesimo (Una sola carne en un solo espiritu. Teologia del matrimonio, Pelicano-Palabra, Madrid 2014, 247-254).

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Rimane ancora da chiederci: come può, la Chiesa, qualificare una tale unione civile?

5.3. proposta del riconoscimento da parte della Chiesa della validità di un matri-monio non sacramentale per i battesati

Molti autori propongono di riconoscere la validità canonica del ma-trimonio civile per i battezzati che non avessero la fede, oppure la cui fede fosse vacillante91. Tale matrimonio non sacramentale non godrebbe dunque dell'indissolubilità assoluta. Il suggerimento in questione propone che questi battezzati possano accostarsi all'Eucaristia, poiché uniti da un matrimonio valido92. Con Eugenio Corecco, bisogna affermare innanzi-tutto che il battezzato che «esclude il sacramento con un atto positivo di volontà, decide di porre la propria vita matrimoniale al di fuori dell'eco-nomia della salvezza, senza essere in grado di creare, come alternativa, un matrimonio di diritto naturale che abbia ancora un significativo valido e salvifico»93. Va evidenziato, dunque, che il riconoscimento della validità canonica di tali unioni porterebbe ad una incoerenza ecclesiologica e sa-cramentale: perché rifiutare il sacramento del matrimonio ma desiderare, invece, di accostarsi al sacramento dell'Eucaristia? Ciò significa dimenti-care l'articolazione dell'organismo sacramentale, dove i sacramenti costi-tuiscono un insieme organico che struttura e vivifica il corpo ecclesiale94.

91 Si veda ad esempio: J. DENIS, "Consistance du mariage purement civil des catho-liques", in Etudes de droit et d'histoire. Mélanges Mgr H. Wagnon, Bibliothèque Centrale de l'U.C.L./Leuven - Faculté internationale de droit canonique, Louvain-la-Neuve, 1976, 479-496; J. B SEQUEIRA, Tout mariage entre baptisés est-il nécessairement sacramentelì, Cerf, Paris, 1985; J.PH. REVEL, Traiti des sacrements, VII. Le mariage sacrement de l'amour, Cerf, Paris 2012, 446-447. Nel 1998, il cardinale J. RATZINGER, allora prefetto della Congre-gazione per la dottrina della fede, aveva egli stesso chiesto di «chiarire se veramente ogni matrimonio tra due battezzati è ipso facto un matrimonio sacramentale»: cfr. "Introdu-z ione" , i n CONGREGAZIONE PERLA DOTTRINA DELLA FEDE, Sulla pastorale dei divorziati

risposati, cit., 27-28. Si veda anche TOXÉ, "Quand le mariage est-ilsacrementel?', cit., 77-97. 92 Si veda ad esempio L. DE NAUROIS, "Le mariage des baptisés de l'Eglise catho-

lique qui n'ont pas foi", Kevue de Droit Canonique 20 (1980)161. 93 CORECCO, "L'inseparabilità tra contratto matrimoniale e sacramento", cit., 500. 94 Cfr. CORECCO, "Il nesso fra contratto e sacramento nel matrimonio", cit., 551:

«Da un punto di vista pastorale ci si deve chiedere per quale ragione e in base a quale utilità si debbano ammettere all'Eucaristia quei cristiani che non desiderano ricevere il sacramento del matrimonio. Da un punto di vista teologico invece si deve tener presente che i sacramenti, proprio perché sono un'emergenza strutturale della natura sacramen-tale di tutta la Chiesa, non sono separabili. Non si può prendere l'uno e lasciare l'altro».

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Un tale approccio comporta, inoltre, l'inconveniente di dissociare matri-monio naturale e sacramentale considerandole come due realtà casuali tra loro95, nonché di introdurre una separazione tra un matrimonio riservato alle élite (il sacramento) e un matrimonio per gli altri96.

Ciononostante, tra le righe di questa proposta possiamo leggere una domanda concreta che non andrebbe elusa. J.M. Aubert, negli anni '70, ha presentato il dilemma dei battezzati che non hanno o hanno poca fede e che si ritrovano con due soluzioni ben poco soddisfacenti: o chiedono e accettano il matrimonio sacramento, ma compiono comunque un gesto ipocrita; oppure, nell'intento di adottare una posizione retta e coerente, rifiutano l'ipocrisia e si limitano al matrimonio civile che la Chiesa consi-dererà invalido, peccaminoso e quasi equivalente ad un concubinato97. G. Girotti commenta «E la cosiddetta pastorale del 'tutto' o del 'niente'. Essi sono obbligati a 'passare per la Chiesa' sotto pena di invalidità»98.

Se è chiaro che la Chiesa non può riconoscere per i battezzati un ma-trimonio valido che non sia sacramento, è altrettanto vero che ci si chiede come considerare il matrimonio civile dei cattolici «che, per motivi ideo-

95 Cfr. ad esempio il commento di S. WOOD, "Marriage of baptìzed nonbelievers", TheologicalStudies 48 (1987), 291.

96 Cfr. L. DE NAUROIS, "Le mariage des baptisés qui n'ont pas la foi", in AA.VV., Foi et sacrement de mariage, Chalet 1974, 89.

97 Cfr. J. M. AUBERT, "Foi et Sacrement dans le Mariage. A propos du mariage des baptisés incroyants", Fa Maison-Dieu 104 (1970) 117-118. Si veda anche l'affermazione di Papa Pio IX, Lettera del 9 settembre 1852 al Re Vittorio Emmanuele, in P. GASPARRI, Codicis luris Canonici Fontes, II, Romae, Typis Polyglottis Vaticanis, 1928, n° 514, 869: «È domma di fede essere stato elevato il matrimonio da NS Gesù Cristo alla dignità di Sacramento, ed è dottrina della Chiesa cattolica che il Sacramento non è una qualità accidentale ag-giunta al contratto, ma è di essenza al matrimonio stesso, cosicché l'unione coniugale tra i cristiani non è legittima, se non nel matrimonio sacramento, fuori del quale non vi è che un pretto concubinato». Ciò detto, né Familiaris Consortio, né il Codice di Diritto Canonico definiscono il matrimonio civile non sacramentale tra battezzati "concubinato". J. M. DÌAZ MORENO, nel suo articolo "Il matrimonio civile dei cattolici", La Civiltà Cattolica 155 (2004/11) 242-251, mostra che non è del tutto corretto asserire che il matrimonio civile dei cattolici è inesistente per la Chiesa. A suo parere, la possibilità della sanatio in radice ne è una dimostrazione: «Questo sarebbe giuridicamente impossibile, se il matri-monio soltanto civile dei cattolici fosse sempre e in ogni caso totalmente inesistente, perché ciò che non esiste non può essere sanato», (245). Si veda anche WOOD, "Marriage of baptized nonbelievers", cit., 283 e 291; J. DENIS, "Consistance du mariage purement civil", cit. 486-487.

98 G. GIROTTI, "Fede e Matrimonio-sacramento", Monitor Ecclesiasticus 105 (1980), 235.

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logici e pratici, preferiscono contrarre il solo matrimonio civile, rifiutando o almeno rimandando quello religioso»99. Giovanni Paolo II, in Familiaris Consortìo n. 82 dà una risposta che non è esente da una certa nebulosità: «La loro situazione non può equipararsi senz'altro a quella dei semplici conviventi senza alcun vincolo» ma, d'altro canto, «neppure questa situa-zione è accettabile da parte della Chiesa». In altri termini, Giovanni Paolo II lascia intendere che per la Chiesa il matrimonio civile dei battezzati ha maggior consistenza rispetto ad un semplice concubinato, in virtù di alcuni elementi che lo costituiscono, ovvero: «un certo impegno a un pre-ciso e probabilmente stabile stato di vita, anche se spesso non è estranea a questo passo la prospettiva di un eventuale divorzio»100. La presenza di questi elementi, però, non basta affinché la Chiesa riconosca la validità del matrimonio civile. La domanda rimane quindi aperta: quale valore attri-buire al matrimonio civile? Nella sua risposta, Giovanni Paolo II sembra introdurre una sorta di gradazione nella qualifica delle unioni (il semplice concubinato, il matrimonio civile con un certo impegno di vita, il matrimonio valido riconosciuto dalla Chiesa, ossia il sacramenti) che ci consente di avanzare una proposta.

5.4. L'unione non sacramentale dei battezzati ha un valore sacramentale?

5.4.1. Premessa: il mistero della Chiesa si illumina a partire dalla nozione analogica di sacramento

Ecco il punto di partenza della nostra proposta. L'ecclesiologia della Contro-Riforma si è essenzialmente sviluppata attraverso una concezione equivoca della Chiesa, che traduceva, in particolare, con il ben noto ada-gio: "la Chiesa di Cristo è la Chiesa cattolica"101. Il Concilio Vaticano II ha preferito adottare una comprensione analogica della Chiesa, che ha valorizzato fin dal primo numero di Lumen Gentium in cui la Chiesa appa-re come veluti sacramentum. In altri termini, il Concilio intende dire che la nozione analogica di sacramento è in grado di illuminare il mistero della

99 FCn. 82. 100 FC n. 82. 101 Ritroviamo questa identità nell'Enciclica di Pio XII, Mystici Corporis (29.06.1943)

AAS 35 (1943) 193-248, e nel primo schema di De Ecclesia presentato ai Padri Conciliari nel dicembre 1962 (Ada Synodalia Sacrosanti Concila (Ecumenici Vaticani 11, Typis polyglotìs Vaticanis, Civitas Vaticana, 1971,1/4, 12-91).

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Chiesa la cui natura è profondamente sacramentale. In tal senso, il nu-mero 8 di Lumen Gentium afferma che la Chiesa di Cristo sussiste (subsìstit iti) nella Chiesa cattolica, ma va al di là di essa in virtù dell'esistenza degli elemento, Ecclesiae al di fuori delle sue strutture, ovvero «elementi di santifi-cazione e di verità, che, appartenendo «propriamente per dono di Dio alla Chiesa di Cristo, spingono verso l'unità cattolica»102.

Di conseguenza, queste "strutture visibili" (compago, LG 8 §2) o «limiti visibili della Chiesa cattolica» ( visibilio Ecclesiae catholicae saepta, UR 3 §2) de-limitano il primo nucleo di visibilità ecclesiale, che si manifesta pienamen-te e in atto compiuto nella Chiesa cattolica romana. Tali limiti però, non vanno intesi nel senso di frontiere al di là delle quali la Chiesa non sarebbe più presente: questo lascerebbe intendere che l'unica Chiesa di Cristo sa-rebbe contenuta interamente nella Chiesa romana. Di fatto, essa «sa che la sua realizzazione visibile e piena è soltanto il nucleo de l'immensa nebulo-sa della salvezza»103 e che, intorno ad essa, si sviluppano degli elementi di salvezza che manifestano già visibilmente la Chiesa in modo incoativo: il battesimo e i sacramenti (sebbene in modo non pieno), l'episcopato (LG 14) ; «la parola di Dio scritta, la vita della grazia, la fede, la speranza e la carità, e altri doni interiori dello Spirito Santo ed elementi visibili (visibilia elementa)»m. Pertanto, questi elementi di ecclesialità che esistono al di là

102 CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Costituzione dogmatica Lumen gentium sulla chiesa (21.11.1964) AAS 57 (1965) 5-71, n. 8 § 2: «Haec Ecclesia, in hoc mundo ut societas constituta et ordinata, subsisrit in Ecclesia catholica, a successore Petti et Episcopis in eius communione gubernata, licet extra eius compaginerà elementa plura sanctificationis et veritatis inveniantur, quae ut dona Ecclesiae Christi propria, ad uni-tatem catholicam impellunt». Con pregevole finezza, F. Frost mostra che l'affinità che esiste tra la natura della Chiesa e la struttura sacramentale riposa sul carattere analogico della sacramentalità che, applicato alla costituzione divino-umana della Chiesa, permette di comprendere l'ampliamento offerto dal subsistit in in termini di progressione graduale (F. FROST, L'Eglise se trompe-t-elk depuis Vatican II, Salvator, Paris 2007, 166-169).

103 Cfr. CH. JOURNET, "Le progrès de l'Église dans le temps", in L'Eglise du Verbe In-carnò. Essai de théologie spéculative, in (Euvres Completes, Editions Saint-Agostino, Saint-Mau-rice - Suisse, 1998-2005, V, 591.

104 UR n. 3 §2 : «Ex elementis seu bonis, quibus simul sumptis ipsa Ecclesia ae-dificatur et vivificatur, quaedam immo plurima et eximia exstare possunt extra visibi-lia Ecclesiae catholicae saepta: verbum Dei scriptum, vita gratiae, fides, spes et caritas, aliaque interiora Spiritus Sancti dona ac visibilia elementa: haec omnia, quae a Christo proveniunt et ad Ipsum conducunt, ad unicam Christi Ecclesiam iure pertinent». Si veda anche Lumen Gentium n. 15.

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dei limiti visibili della Chiesa cattolica provengono da Cristo e portano alla sua Chiesa105.

La Chiesa Cattolica è la sola a meritare, come tale, il nome di Chiesa al singolare perché soltanto in Lei sussiste pienamente l'unica Chiesa di Cristo (che è comunque più vasta di Lei)106. In altri termini, in Lei "il Corpo di Cristo può schiudersi, sbocciare, esistere in modo compiutdmi poiché in essa la grazia di Cristo è accolta in tutti i suoi elementi (Primato di Pietro, trasmissione apostolica, confessione della fede, Magistero, sacramenti, Pa-rola di Dio, carità e santità, ecc.).

Realizzando in essa il misero della Chiesa di Cristo, la Chiesa cattoli-ca diventa come il centro delle "aree concentriche"108 che costituiscono il mistero della Chiesa. Intorno a questo primo nucleo, ovunque vi sia un'accoglienza non piena della grazia eristica, «la Chiesa esìste, almeno in modo incoativo»109, secondo un'intensità che varia in funzione del grado di "informazione" della grazia e della carità. Al di là di questo primo nucleo, non si potrà parlare di Chiesa in quanto tale. Si parlerà di chiese al plurale per riferirsi alle "chiese ortodosse" e, per le comunità protestanti, si parle-rà di "comunità ecclesiali" (Cfr. LG 15). Il testo mette in luce una gradua-lità nel legame di Cristo con la Chiesa, che corrisponde alla presenza degli elementi ecclesiali: incorporatio per i fedeli cattolici, coniunctio per i cristiani non-cattolici e ordinatio per i non-cristiani (LG 14-16). L'affinità tra Chiesa e sacramento ci incoraggia quindi a trasporre analogicamente il principio della gradualità ecclesiale al sacramento del matrimonio.

105 Cfr. CH. JOURNET, "Le mystère de l'Églìse selon le deuxìème Concile du Vati-can", Revue Thomiste 65 (1965), 4. Per tutti questi sviluppi, ci permettiamo di rimandare a A. DIRIART, Sesfrontières sont la charìté, L'Église Corps du Christ et Lumen Gentium, Lethiel-leux-DDB, Paris 2011.

106 Si veda F. DAGUET, "L'unique Église du Christ, en acte et en puissance", Nova et Vetera 79 (2004) 49: «[L'unique Église du Christ] ne se rencontre comme sujet véritable et plénier, dans aucune autre communauté ecclésiale, mème si ces communautés possèdent de nombreux et éminents éléments d'ecclésialité. En somme si la réalìté de l'unique Église du Christ ne se laisse pas enfermer dans les limites de la seule Église catholique romaine, c'est cependant en celle-ci seule qu'elle revét le caractère d'un authentique sujet ecclèsia!».

107 Cfr. JOURNET, L'Église du Verbe Incarni, cit., IH, 1047. 108 JOURNET, "Le mystère de l'Église", cit., 45 : «On pourrait décrire à grands traits

les aires concentriques où la présence visible de l'Église, d'abord manifeste, se fait peu à peu moins discernable et plus secrète».

109 Cfr. JOURNET, L'Église du Verbe Incarni, cit., Il i , 1047.

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5.4.2. Clementi dì sacramentalità verso la piemia del cammino sacramentale

Questa idea non è nostra, ma del Journet. In una lettera rivolta al Papa Paolo VI, il cardinale svizzero suggerisce:

La questione del matrimonio, non potrebbe essere oggetto di una enciclica comparabile, nel suo genere, a Ecclesiam suam, in cui Lei esporrebbe la dottrina del matrimonio aprendola, per circoli con-centrici sempre più vasti, alla storia e al mondo, e sviluppandone le implicazioni sia teologiche che sociologiche?110

Là dove il sacramento del matrimonio non potesse essere realizzato, non si potrebbe discernere la presenza di alcuni elementi di sacramen-talità che provengono da Cristo e che significano già, sebbene in modo incompiuto e ancora incoativo, il mistero dell'unione sponsale tra Cristo e la Chiesa?

Questa proposta111, come abbiamo detto, riposa innanzitutto sul fatto che la nozione di sacramento è una nozione analogica112. Per riprendere l'espressione di L.-Marie Chauvet, sarebbe bene "distendere la sacramen-talità" al fine di non "disgiungere [i sacramenti] dall'insieme del mondo della sacramentalità"113. Joseph Ratzinger, nei suoi studi di sacramentaria, ha perfettamente mostrato come il settenario si radichi profondamente nel significato sacramentale di tutta l'esistenza114. I sacramenti cristiani assumono queste forme primordiali di sacramentalità mentre comporta-no una trasformazione e una novità radicale specificatamente cristiana:

110 Cfr. CH. JOURNET, Lettre à Paul VI, 14 ottobre 1965, in CH. JOURNET / J. MARI-

TAIN, Correspondance (1965-1973), voi. VI, Éditions Saint-Augustin, 2008, 907. 111 La nostra proposta differisce sensibilmente da quella di J.B. Sequeira (Toutmariage

entre baptisés, cit., 508-513) o di Aymans ("Il matrimonio sacramento alleanza istituita da Dio", cit.) in quanto questi (sebbene in modo diverso) valutano la situazione dei coniugi battezzati in funzione del grado del loro inserimento nella Chiesa. Dal canto nostro, consideriamo piuttosto direttamente una gradualità nella sacramentalità.

112 Cfr. L.-M. CHAUVET, "Détendre la sacramental ité", in L . -M CHAUVET (a cura

di), Le sacrement de mariage entre hier et demain, Les éditions de l'Atelier, Paris 2003, 235-243. 113 CHAUVET, "Détendre la sacramentalité", cit., 239. 114 Cfr. J. RATZINGER, "La fondazione sacramentale dell'esistenza cristiana", in Ope-

ra Omnia XI, 221-241 e "Sul concetto di sacramento", in Opera Omnia XI, 242-245. Si veda anche M. AROZTEGI ESNAOLA, "La noción de sacramento de Joseph Ratzinger", Rivista espanola de teologia 71 (2011/1), 21-48; A. DIRIART, "L'orientation liturgique de la sacramentaire dej. Ratzinger", Anthropotes 26 (2010/2) 319-351.

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quella dell'introduzione nella storia salvifica di Cristo115. A questo titolo «i sacramenti sono al tempo stesso la novità cristiana e ciò che vi è di più antico nell'uomo»116.

L'interpretazione tipologica-sacramentale della Scrittura riposa su que-sta concezione sacramentale degli eventi della creazione e della storia della salvezza che convergono in Cristo. Nella fattispecie, nel commento a Ef 5,32, J. Ratzinger mostra che il matrimonio occupa un posto molto par-ticolare poiché è, in sé, typos di Cristo e della Chiesa. Di fatto, si tratta di "un processo della creazione" che "possiede, come mostra la Scrittura, esso stesso il suo mistero" e "porta esso stesso in sé una trasparenza cristologica"117. In tal senso, il mysterium "è insito nell'evento, che si esten-de in giù fin nel centro della creazione e in su fin nel più intimo e definiti-vo volere di Dio"118. Il matrimonio quindi, è una figura paradigmatica del-la realtà sacramentale, fondamento e prototipo di tutta la sacramentalità, che Giovanni Paolo II non esita a chiamare «sacramento primordiale»119.

Ci sentiamo dunque autorizzati a parlare di una sacramentalità piena e compiuta per il sacramento del matrimonio, e di elementi di sacramentalità pre-senti in alcune unioni non sacramentali tra battezzati, sebbene questi ele-menti di sacramentalità siano insufficienti per costituire un vero matrimonio in senso integrale. Essi si dispiegano in modo deficiente, ma comunque con una intensità che varia in funzione del grado di informazione della grazia e della carità nel cuore di questi battezzati.

Questi elementi di sacramentalità potrebbero essere determinati in modo oggettivo a partire dagli elementi costitutivi della sacramentalità piena del matrimonio: il carattere pubblico del foedus, la differenza ses-suale, l'esclusività e l'unicità, l'indissolubilità, l'apertura alla procreazione, l'apertura a Dio, ecc. In quest'ottica, è comprensibile che il matrimonio civile comporti maggiori elementi di sacramentalità rispetto alla semplice unione di fatto.

Così come Giovanni Paolo II, nella sua Lettera Enciclica Ut Unum sint, affermava che «oltre i limiti della comunità cattolica non c'è il vuoto

115 RATZINGER, "La fondazione sacramentale", in Opera Omnia XI, cit., 235. 116 RATZINGER, "Sul concetto del sacramento", cit., 262. 117 RATZINGER, "Sul concetto del sacramento", cit., 252. 118 RATZINGER, "Sul concetto del sacramento", cit., 252. 119 GIOVANNI PAOLO II, Udienza generale, (20.10.1982) in Uamore umano nel piano

divino, cit., 412-416; Lettera Apostolica Mulieris Dignitatem n. 29 (15.08.1988), AAS 80 (1988) 1653-1729.

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ecclesiale»120, allo stesso modo questa proposta mostra che oltre i limiti del sacramento del matrimonio, non c'è un vuoto sacramentale. Ciono-nostante, tale "distensione della sacramentalità" non significa lassismo o relativismo, poiché essa implica precisamente il riconoscimento del fatto che questi elementi di sacramentalità non bastano per costituire, per que-sti battezzati uniti civilmente o che vivono maritalmente, un matrimonio autentico e quindi sacramentale nel senso del settenario. Non si tratta, inoltre, in nessun caso, di comprendere questa progressività nel senso di una formazione del sacramento del matrimonio per tappe, come aveva immaginato a suo tempo monsignor Le Bourgeois, nella diocesi di Au-tun, con la ben nota esperienza di Lugny-lès-Charolles121. Questo percor-so proponeva ai battezzati lontani dalla fede e già sposati civilmente, la celebrazione da parte della Chiesa di un "matrimonio-accoglienza" non sacramentale (a cui faceva seguito un accompagnamento della coppia per, eventualmente, sfociare più tardi nella celebrazione sacramentale del ma-trimonio). La nostra proposta si discosta totalmente da questo genere di esperienza che è fonte di confusione — in particolare per quanto riguarda la dissociazione tra matrimonio naturale e sacramentale —. A questo pro-posito, l'espressione "elementi di sacramentalità" risulta prudente poiché non afferma l'esistenza di un matrimonio di primo o di secondo gra-do! Essa si limita al riconoscimento di elementi che, in quanto tali, non sono sufficienti per costituire il sacramento del matrimonio, ma possono rappresentarne le pietre miliari che segnano il cammino per giungervi. Pertanto, questi battezzati uniti ancora imperfettamente non possono ac-costarsi all'Eucaristia, che significa invece la pienezza dell'unione tra Cri-sto e la Chiesa. Tuttavia, questi elementi di sacramentalità testimoniano comunque il germoglio della presenza della grazia di Cristo nella loro vita che può aprire a un cammino verso la pienezza. Essi costituiscono una potenziale apertura alla verità piena del matrimonio a cui sono ordinati. Pertanto, vanno riconosciuti, coltivati, portati a compimento attraverso un accompagnamento pastorale ed una vera e propria opera di evangeliz-zazione.

120 GIOVANNI PAOLO II, Lettera Enciclica Ut unum sint, n. 13 (25.05.1995) AAS 87 (1995) 921-982.

121 Per maggiori dettagli circa l'esperienza di Lugny si veda SEQUEIRA, Tout mariage entre baptisés, cit., 601-606. L'esperienza è stata sospesa dopo l'apparizione di Familiaris Consortio (22 novembre 1981).

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Conclusione

1) La questione del ruolo della fede per la validità del sacramento del matrimonio è interessante ma può comportare un rischio: quello di ri-durre la definizione dei sacramenti alla loro sola validità, dimenticando le dimensioni di segno e grazia. La verità del sacramento è ben più ricca, ed è peccato che i percorsi di preparazione al matrimonio siano stati spesso concepiti a minima in funzione della validità e non dei frutti di grazia e di santità a cui il sacramento è ordinato, giustificandosi in nome del diritto naturale al matrimonio. E in questo senso che Benedetto XVI ha pre-cisato che lo ius connubii non consisteva nel diritto di sposarsi secondo la propria concezione privata di matrimonio, ma secondo la verità del matrimonio iscritta nel disegno della creazione di Dio. La proposta di concepire la preparazione immediata al matrimonio secondo il modello di un catecumeno battesimale, ovvero come facente parte del processo sacramentale, acquisisce tutto il suo significato nel contesto post-cristiano dove questa verità del matrimonio deve essere proposta e annunciata, e non più solamente presupposta.

2) Se è vero che è importante mantenere la dimensione oggettiva del sacramento che trae la propria efficacia dal mistero pasquale di Cristo e non dal grado di fede soggettiva (non misurabile)122 dei fidanzati, è altret-tanto vero che non bisognerebbe comunque giungere ad una separazione tra fede e sacramento del matrimonio, ossia tra fides e foedus. In questa pro-spettiva, dobbiamo cercare di illustrare, da un lato, la sinergia tra la fede oggettiva della Chiesa e la fede personale dei battezzati nel sacramento e, dall'altro, la sinergia tra foedus e fides, ricordando la dimensione fondamen-talmente sacra del matrimonio in virtù della sua origine e fine. Pertanto, insieme a Benedetto XVI, ci siamo chiesti se fosse possibile acconsentire veramente agli elementi naturali del matrimonio (così contestati nella no-stra società post-cristiana) senza una certa apertura a Dio e al suo disegno.

3) Abbiamo però compiuto un passo avanti. Dall'affermazione secon-do cui la dimensione sacramentale non è estrinseca alla dimensione natu-rale, ma è piuttosto il suo pieno compimento in Cristo, deriva che, per il battezzato inserito definitivamente nel corpo di Cristo con il battesimo,

122 D. BAUDOT osserva umoristicamente che il «pìstometro» non è purtroppo anco-ra stato inventato in Uinséparabilité entre le contrai; cit., 140.

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esiste soltanto un matrimonio: il matrimonio naturale-sacramentale. In virtù di questa unità, appare riduttivo concentrare l'intenzione degli sposi sulle sole proprietà naturali del matrimonio, richiedendo loro soltanto l'in-tenzione implicita di fare ciò che la Chiesa vuole fare. Proponiamo dun-que di includere nell'intenzione, la volontà di prendere parte all'unione tra Cristo e la Chiesa, che è il fine stesso del sacramento del matrimonio (LG ti. 11).

4) A questo punto della riflessione, rimane ancora una questione: se per i battezzati esiste un solo matrimonio, quello naturale-sacramentale, quale "valore" attribuire alle unioni civili contratte dai battezzati? Con-fortati da un'intuizione del cardinale Journet e dal legame organico che unisce la sacramentalità della Chiesa con la sacramentalità del matrimonio "Chiesa domestica", abbiamo avanzato una proposta. Così come sussi-stono, al di là delle frontiere visibili della Chiesa cattolica, degli elementi di ecclesialità, non potremmo forse riconoscere l'esistenza di elementi di sacramentalità al di fuori del sacramento del matrimonio? Pur senza esse-re in grado di costituire un vero matrimonio, questi elementi di sacramen-talità presenti incoativamente nelle unioni non sacramentali tra battezzati chiedono di essere coltivate ed evangelizzate per giungere alla verità piena del matrimonio verso cui tendono.

5) Tali suggerimenti non si presentano certo come una misura (im-possibile) del grado di fede dei fidanzati, ma piuttosto come dei criteri oggettivi atti a consentire un impegno più consapevole dei battezzati nel matrimonio. Questo permetterebbe sicuramente di evitare, a monte, mol-te situazioni pastorali assai dolorose. Siamo comunque consapevoli del fatto che queste proposte rischiano di rimanere semplici formalità che andranno ad aggiungersi a tante altre se non saranno riprese da una vera pastorale familiare, poiché la fede è anche una via e una vita123. L'apertura al disegno divino sull'amore umano e la volontà di partecipare all'amore di Cristo e della Chiesa, richiedono innanzitutto di essere accompagnati per evolvere in esperienza di vita feconda. Questo non può avvenire se le coppie camminano sole.

123 L'Enciclica Lumen Fidei lo ha mostrato con grande maestria.