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FIAMMA VIVA D'AMORE DICHIARAZIONE DELLE STROFE CHE TRATTANO DELLA PIÙ INTIMA E QUALIFICATA UNIONE E TRASFORMAZIONE DELL'ANIMA IN DIO, COMPOSTE NELL'ORAZIONE DAL SANTO PADRE GIOVANNI DELLA CROCE, A RICHIESTA DI DONNA ANNA DE PEÑALOSA, NELL’ANNO 1584 PROEMIO 1 - Ho provato qualche ripugnanza, nobile e devota Signora, nel dichiarare queste quattro strofe che la S. V. mi ha domandato; perché contengono cose molto spirituali e interiori, per le quali è insufficiente il comune linguaggio. Ciò che è spirituale eccede il senso, e con difficoltà si dice qualche cosa della sostanza dello spirito, senza un grande spirito interiore; quindi, avendone io così poco, ho differito il mio lavoro sino a questo momento. Ora però prendo coraggio a scrivere, perché sembra che il Signore mi abbia illuminato alquanto l'intelletto, ed infuso un certo fervore: il che deve attribuirsi al santo desiderio della S. V.; di modo che, come le strofe furono composte per sua devozione, così Dio vorrà che siano dichiarate per il maggior profitto della stessa S. V. Tuttavia sono ben persuaso che, se da parte mia non so dire niente di buono intorno a qualsiasi altro argomento, molto meno intorno a cose così sublimi e sostanziali: e perciò qui non sarà mio, se non quanto di cattivo ed errato vi si potesse trovare. Sottometto, quindi, ogni cosa ad un miglior parere , e al giudizio della nostra Santa Madre Chiesa Cattolica Romana, con la cui regola nessuno può errare. Con questo presupposto, appoggiandomi alla Scrittura divina, e, avvertendo che tutto ciò che dirò è tanto meno della realtà, quanto lo è l'immagine rispetto al vivo, mi arrischierò a dire quel che saprò. 2 - Non v'è da meravigliarsi che Dio faccia grazie tanto eccellenti e straordinarie alle anime che Egli prende ad accarezzare: se consideriamo che è Dio, e che le fa da quel Dio che è, con infinito amore e bontà, non ci parranno fuori di ragione. Egli, infatti, disse che in colui che lo avesse amato, sarebbero venuti il Padre, il Figlio e lo Spirito Salito, e avrebbero fatto dimora in lui (Gv 14,23) : il che sarebbe stato, facendolo dimorare nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo, e vivere la vita stessa di Dio , come l'anima ci fa intendere nelle presenti strofe. 3 - Poiché, sebbene nelle strofe spiegate più sopra 1 abbiamo parlato del più eminente grado di perfezione a cui si possa arrivare quaggiù, e che consiste nella trasformazione in Dio , tuttavia le strofe presenti trattano dell'amore ancor più perfetto e qualificato che si può avere in quello stato di trasformazione. In verità, ciò che le une e le altre dicono, tutto appartiene ad un medesimo stato di trasformazione che, in quanto tale, non si può oltrepassare, ma che col tempo e l'esercizio può benissimo qualificarsi, ripeto, e sostanziarsi sempre più nell'amore; alla stessa guisa che, quantunque il fuoco, penetrato nel legno, lo abbia unito e trasformato in sé, nondimeno quanto più si accende e seguita ad agire sul legno, tanto più lo rende incandescente, sino a tal segno da mandare scintille e fiamme. 4 - Di così acceso grado dobbiamo intendere che l'anima qui parli, essendo già tanto trasformata e qualificata interiormente in fuoco di amore che, non solo è unita con questo, ma il fuoco stesso alza viva fiamma in lei. Ed ella, come sperimenta ciò, così lo dice in queste strofe, con intima e delicata dolcezza di amore; e mentre arde nella sua 1 Nel Cantico.

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FIAMMA VIVA D'AMORE

DICHIARAZIONE DELLE STROFE CHE TRATTANO DELLA PIÙ INTIMA E QUALIFICATA UNIONE E

TRASFORMAZIONE DELL'ANIMA IN DIO, COMPOSTE NELL'ORAZIONE DAL SANTO

PADRE GIOVANNI DELLA CROCE, A RICHIESTA DI DONNA ANNA DE

PEÑALOSA, NELL’ANNO 1584

PROEMIO 1 - Ho provato qualche ripugnanza, nobile e devota Signora, nel dichiarare queste quattro strofe che la S. V. mi ha domandato; perché contengono cose molto spirituali e interiori, per le quali è insufficiente il comune linguaggio. Ciò che è spirituale eccede il senso, e con difficoltà si dice qualche cosa della sostanza dello spirito, senza un grande spirito interiore; quindi, avendone io così poco, ho differito il mio lavoro sino a questo momento. Ora però prendo coraggio a scrivere, perché sembra che il Signore mi abbia illuminato alquanto l'intelletto, ed infuso un certo fervore: il che deve attribuirsi al santo desiderio della S. V.; di modo che, come le strofe furono composte per sua devozione, così Dio vorrà che siano dichiarate per il maggior profitto della stessa S. V. Tuttavia sono ben persuaso che, se da parte mia non so dire niente di buono intorno a qualsiasi altro argomento, molto meno intorno a cose così sublimi e sostanziali: e perciò qui non sarà mio, se non quanto di cattivo ed errato vi si potesse trovare. Sottometto, quindi, ogni cosa ad un miglior parere, e al giudizio della nostra Santa Madre Chiesa Cattolica Romana, con la cui regola nessuno può errare. Con questo presupposto, appoggiandomi alla Scrittura divina, e, avvertendo che tutto ciò che dirò è tanto meno della realtà, quanto lo è l'immagine rispetto al vivo, mi arrischierò a dire quel che saprò. 2 - Non v'è da meravigliarsi che Dio faccia grazie tanto eccellenti e straordinarie alle anime che Egli prende ad accarezzare: se consideriamo che è Dio, e che le fa da quel Dio che è, con infinito amore e bontà, non ci parranno fuori di ragione. Egli, infatti, disse che in colui che lo avesse amato, sarebbero venuti il Padre, il Figlio e lo Spirito Salito, e avrebbero fatto dimora in lui (Gv 14 ,23): il che sarebbe stato, facendolo dimorare nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo, e vivere la vita stessa di Dio, come l'anima ci fa intendere nelle presenti strofe. 3 - Poiché, sebbene nelle strofe spiegate più sopra1 abbiamo parlato del più eminente grado di perfezione a cui si possa arrivare quaggiù, e che consiste nella trasformazione in Dio, tuttavia le strofe presenti trattano dell'amore ancor più perfetto e qualificato che si può avere in quello stato di trasformazione. In verità, ciò che le une e le altre dicono, tutto appartiene ad un medesimo stato di trasformazione che, in quanto tale, non si può oltrepassare, ma che col tempo e l'esercizio può benissimo qualificarsi, ripeto, e sostanziarsi sempre più nell'amore; alla stessa guisa che, quantunque il fuoco, penetrato nel legno, lo abbia unito e trasformato in sé, nondimeno quanto più si accende e seguita ad agire sul legno, tanto più lo rende incandescente, sino a tal segno da mandare scintille e fiamme. 4 - Di così acceso grado dobbiamo intendere che l'anima qui parli, essendo già tanto trasformata e qualificata interiormente in fuoco di amore che, non solo è unita con questo, ma il fuoco stesso alza viva fiamma in lei. Ed ella, come sperimenta ciò, così lo dice in queste strofe, con intima e delicata dolcezza di amore; e mentre arde nella sua

1 Nel Cantico.

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fiamma, ne magnifica alcuni effetti che prova. Di questi darò la spiegazione secondo l'ordine da me seguito altrove: cioè prima si metteranno le strofe insieme, e poi una per volta con una breve dichiarazione, dopo la quale saranno riportati e spiegati distintamente i singoli versi.

STROFE CHE L'ANIMA CANTA NELL'INTIMA UNIONE CON DIO 1 - O fiamma d'amor viva, Che sì dolce ferisci L'alma, ed al centro più profondo vai; Poiché non sei, più schiva, L'opra, se vuoi, finisci, Rompi la tela al dolce incontro omai. 2 - O inceso dolce! o interna Piaga per me gradita! O blanda mano! o tocco delicato, Che sa di vita eterna, E sconta ogni partita! Morte in vita, uccidendo, hai tu cangiato. 3 - O lampade di puro Foco, nel cui splendore Del senso mio l’ime caverne estreme, Che cieco era ed oscuro, Con mirabil valore Al caro Ben dan caldo e luce insieme? 4 - Quanto dolce e amoroso Ti svegli entro il mio seno, Ove in segreto e solo hai, tua dimora! Il tuo aspirar gustoso, Di beni e gloria pieno Quanto soavemente m’innamora!

STROFA 1

O fiamma d'amor viva, Che sì dolce ferisci L'alma, ed al centro più profondo vai; Poiché non sei, più schiva, L'opra, se vuoi, finisci, Rompi la tela al dolce incontro omai.

DICHIARAZIONE 1 - L'anima, ricolma di celesti delizie e tutta infiammata ormai nella divina unione, si sente il palato, per così dire, tutto bagnato di gloria e di amore. Dall'intimo della sua sostanza sgorgano fiumi di gloria, quei fiumi di acqua viva, che il Figlio di Dio promise che sarebbero scaturiti dal seno di simili anime (Gv 7 ,38). Vedendosi quindi così fortemente trasformata in Dio, e in modo così sublime posseduta da Lui e corredata di splendide ricchezze di doni e virtù, le sembra di essere già vicina alla beatitudine, tanto da non esserne separata che da un sottilissimo velo. Quella delicata fiamma di amore che arde in lei, ogni volta che, l 'investe e l'assorbe, la va soavemente e fortemente glorificando; anzi

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pare che stia sul punto di romperne il tenue velo della vita mortale, per :introdurla nell'eterna vita. Vedendo, dunque, che tanto poco le manca alla gloria essenziale, e che tuttavia per questo poco non la ottiene, si volge con vive brame alla fiamma (ossia allo Spirito Santo), chiedendole che tronchi alfine la sua Vita mortale, e nel dolce incontro finisca di comunicarle davvero ciò che sin qui è sembrato volesse darle, e voglia glorificarla perfettamente. E perciò dice:

O fiamma d'amor viva. 2 - A manifestare la forza del sentimento con cui parla in queste quattro strofe, l 'anima in esse tutte, fa uso dei termini: O e Quanto, i quali significano un vivo affetto, e sempre fanno intendere che nel cuore di chi li usa v'è più di quello che non dica con la lingua. L'O, infatti, serve ad esprimere un gran desiderio o una preghiera molto efficace a persuadere, e a questo duplice scopo l'anima ne fa uso nella presente strofa, dove rivela la sua brama intensa e cerca d'indurre l'amore a liberarla dai lacci del corpo. 3 Questa fiamma d'amore è lo Spirito del suo Sposo, ossia lo Spirito Santo, che l'anima già sente in sé come fuoco che non solo la consuma e trasforma in soave amore, ma arde in lei e, ogni volta che divampa, la bagna di gloria e la refrigera con tempera di vita divina. L'operazione dello Spirito Santo nell'anima trasformata in amore è tale che gli atti che produce interiormente sono fiamme amorose, a cui la volontà dell'anima essendo unita, ama in modo molto sublime, divenuta un solo amore con quella fiamma. Onde gli atti di amore dell'anima sono preziosissimi: uno di essi merita maggiormente, e vale più di tutto quello che essa abbia potuto fare in passato senza una tale trasformazione.2 La differenza poi che esiste tra la trasformazione in amore e la fiamma di amore, è quella che corre tra l'abito e l'atto, quella cioè, che passa tra il legno acceso e la fiamma che se ne sprigiona come effetto del fuoco. 4 - Possiamo dire, quindi, che l'anima, posta in questo grado di trasformazione amorosa, è abitualmente come il legno investito dal fuoco, ed i suoi atti sono la fiamma che nasce dal fuoco dell'amore, la quale con tanto più veemenza ne esce, quanto più intenso è il fuoco dell'unione: fiamma in cui si uniscono e da cui s'innalzano gli atti della volontà, rapita e assorta dall'ardore dello Spirito Santo, come l'angelo che salì a Dio nella fiamma del sacrificio di Manue (Gdc 13 ,20). In tale stato l'anima non può fare atti, ma lo Spirito Santo li fa tutti, e ad essi la muove: onde tutti gli atti di lei sono divini, essendo divinizzata e mossa da Dio. Pertanto all'anima sembra che ogni volta che questa fiamma divampa, facendola amare con sapore e gusto divino, le stia dando la vita eterna, poiché la solleva ad operazione di Dio in Dio. 5 - Questo è il linguaggio che Dio parla nelle anime purgate e monde: sono tutte parole accese, come disse Davide: La tua parola è oltremodo ardente (Sal 118 ,140). E il Profeta: Le mie parole non sono forse come fuoco?(Ger 23 ,29) E come il Signore stesso dice in S. Giovanni: Sono spirito e vita (Gv 6 ,64). Ma queste parole sono udite soltanto dalle anime pure e innamorate che hanno orecchio per udirle; le anime, invece, che non hanno il palato sano e si dilettano di altre cose, non possono assaporare lo spirito e la vita di quelle parole, anzi ne rimangono disgustate. E per questo, quanto più sublimi erano le parole che il Figlio di Dio diceva, tanto più alcuni ne restavano nauseati per la propria impurezza, come avvenne quando predicò quella così dolce e amorosa dottrina della Santissima Eucaristia, tanto che molti di coloro si volsero indietro. (Gv 6 ,67) 6 - Che se uomini di tal fatta non gustano questo linguaggio divino che parla al cuore, non si diano a credere che altri non lo gustino. Lo gustò S. Pietro nel suo spirito, quando disse a Cristo: Da chi andremo, Signore? Tu hai parole di vita eterna (Gv

6 ,69). E la Samaritana non pensò più all'acqua e all'idria per la gran dolcezza delle parole di Dio (Gv 4 ,28). Essendo, dunque, l’anima tanto vicina a Dio da essere trasformata in fiamma di amore, in cui le si comunica il Padre e il Figlio e lo Spirito Santo, sarà forse

2 Cf Cantico Strofa 29, n. 2.

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incredibile il dire che ella gusti un saggio di vita eterna, sebbene non perfettamente, non consentendolo la condizione della presente vita? Ma è tuttavia così sublime il diletto che quel fiammeggiare dello Spirito Santo causa nell’anima, da farle intendere di che sappia la vita eterna. Per questo l'anima la chiama fiamma viva; non perché non sia sempre viva, ma perché le produce un effetto tale, da farla vivere in Dio spiritualmente e sentire vita di Dio, secondo che Davide dice: Il mio cuore e la mia carne esultarono in Dio vivo (Sal 83 ,3). Il Profeta così si esprime, non quasi ci fosse bisogno di dire vivo a Dio, che sempre lo è, ma per farci intendere che lo spirito e il senso vivamente gustavano Dio, fatti vivi in Dio: questo è gustare Dio vivo, questa è vita in Dio e vita eterna. Né per altra ragione Davide avrebbe detto: Dio vivo, se non perché vivamente lo gustava, benché non in modo perfetto, ma come un riflesso di vita eterna. In questa fiamma, dunque, l 'anima sente così vivamente Dio e lo gusta con tanto sapore e soavità, che dice:

O fiamma d’amor viva, Che sì dolce ferisci.

7 - Vale a dire: Che col tuo ardore mi tocchi teneramente. Poiché, essendo questa una fiamma di vita divina, ferisce l'anima con tenerezza di vita di Dio. Tanto e così profondamente la ferisce e commuove, che la fa struggere in amore: onde si compia in lei quello che la Sposa dice di sé nei Cantici, che cioè all'udire la voce del suo Diletto tanto s'intenerì, che si liquefece: Non appena il mio Sposo ebbe parlato, l'anima mia si liquefece (Ct 5 ,6). Ed invero, il linguaggio di Dio produce questo effetto nell'anima. 8 - Ma, come si può dire che la ferisca, se nell'anima non v'è più parte da ferire, essendo ella già tutta bruciata dal fuoco dell'amore? Cosa meravigliosa! L'amore non sta mai ozioso, ma è in continuo movimento, come la fiamma che getta lingue di fuoco qua e là. Esso, il cui ufficio è di ferire per innamorare e dilettare, essendo nell'anima qual viva fiamma, lancia i suoi dardi a guisa di vampe assai tenere e delicate, esercitando in modo festoso e giocondo le sue arti e scherzi amorosi, quasi fosse nel palazzo delle sue nozze (come fece Assuero con la sua sposa Ester),(Es t 2 ,18) mostrando all'anima le sue grazie, scoprendole i suoi tesori e la gloria della sua grandezza. E questo, perché si adempia in lei ciò che l'Amore disse nei Proverbi: Mi dilettavo tutti i giorni, scherzando innanzi a Lui tutto il tempo, scherzando nell'orbe della terra, e le mie delizie consistono nel dimorare con i figli degli uomini, (Pro 8 ,30-31) comunicandole a loro. Queste ferite, dunque, questi scherzi amorosi, sono fiammate che di tratto in tratto toccano teneramente l’anima partendosi dal fuoco dell'amore, che non sta ozioso, e avvengono e feriscono nel più profondo centro di essa come dice il terzo verso.

L'alma, ed al centro più profondo vai. 9 - Questa festa dello Spirito Santo accade nella sostanza dell'anima, dove né il senso né il demonio possono arrivare, ed è perciò tanto più sicura, sostanziale e dilettevole, quanto più è interna; e a misura che è gustosa ed interna, è anche più pura. Quanto maggiore poi è la purezza, tanto più Dio si comunica in modo abbondante, generale, e con maggior frequenza; e quindi tanto più grande è il diletto e il gaudio dello spirito. Dio è l'artefice di tutto ciò, senza che l'anima faccia alcunché da parte sua. Ella non può da sé operare cosa alcuna, se non per mezzo del senso corporeo e con l'aiuto di esso; ma, essendone in questo caso molto libera e lontana, non fa altro ormai che ricevere da Dio, il quale, e Lui solo, può agire nell’intimo dell'anima e muoverla nell'opera senza il ministero dei sensi. Per conseguenza, tutti i movimenti dell'anima sono divini, ma quantunque siano di Dio, sono anche di lei, perché Dio li fa in lei e con lei, che vi concorre con il consenso della sua volontà. Ma, poiché l'anima dice che la fiamma va a ferirla al suo centro più profondo, ci fa intendere che essa ha altri centri meno profondi; è bene quindi avvertire come ciò sia. 10 - E primieramente è da sapersi che l'anima, essendo spirito, non ha né alto né basso, né più profondo né meno profondo nel suo essere, a differenza dei corpi quantitativi. In essa non vi sono parti né diversità tra dentro e fuori, ma è tutta ad un modo. Non ha un

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centro più o meno profondo di un altro. Non può essere illuminata come i corpi fisici più in una parte che in un'altra: lo sarà più o meno, ma tutta alla stessa maniera, come l'aria. 11 - Chiamiamo qui centro più profondo di una cosa l'estremo limite a cui può arrivare il suo essere, la sua virtù, la forza della sua operazione e del suo movimento: come il fuoco e la pietra, che hanno virtù, forza e moto naturale per giungere al centro della loro sfera, e non possono oltrepassarlo, né cessano di tendervi e di fermarvisi, salvo che non siano impediti da ostacolo violento. Posto ciò, diremo che una pietra, comunque si trovi dentro la terra, benché non nel punto più profondo di questa, in qualche maniera è nel suo centro, perché sta dentro la sfera di esso e della propria attività e moto. Non potrà dirsi però che stia nel più profondo, che è nel mezzo della terra; e quindi sempre le resta forza, virtù e inclinazione a scendere di più, sino a raggiungerlo, tolto che fosse ogni ostacolo. Quando poi arrivasse al termine, e non avesse più dal canto suo virtù e tendenza a muoversi ulteriormente, diremmo che si troverebbe nel suo più profondo centro. 12 - Ora, il centro dell'anima è Dio. Quando essa sarà giunta a Lui secondo tutta la capacità del suo essere e secondo la forza della sua operazione ed inclinazione, sarà arrivata al suo ultimo e più profondo centro in Dio: il che avverrà, quando con tutte le sue forze intenda e ami e goda Dio. Finché però, come accade in questa fragile vita, l 'anima non giunge a Dio secondo tutte le sue forze, quantunque stia nel suo centro, cioè in Dio, per la grazia e la comunicazione divina, tuttavia avendo moto e virtù per andare più oltre senza mai restare soddisfatta, non ha raggiunto il più profondo centro, poiché può spingersi ancor più nelle profondità di Dio. 13 - L'inclinazione dell'anima, la forza e la virtù che ha per andare a Dio è l'amore, perché con tal mezzo si unisce a Lui; e quindi quanti più gradi di amore ha, tanto profondamente entra in Dio e si concentra con Lui. Onde possiamo dire che, quanti gradi di amore l'anima può avere, altrettanti centri può avere in Dio, uno più addentro dell'altro; e certamente, l'amore più forte sarà il più unitivo. In questo senso ben s'intendono le molte mansioni, che il Figlio di Dio disse esservi nella casa del Padre suo (Gv 14 ,2). Adunque, perché l'anima sia nel suo centro divino, basta che abbia un grado di amore, poiché con uno solo si unisce a Dio per grazia; e se avrà due gradi, si sarà unita e concentrata con Dio di un altro centro più addentro, e così via; finché, pervenuta all'ultimo grado, l'amore di Dio giungerebbe a ferirla sino al più profondo centro, trasformandola e illuminandola secondo tutto il suo essere e le sue potenze e virtù, secondo la sua capacità recettiva, tanto da farla sembrare Dio. Alla stessa guisa un cristallo limpido e terso, che sia investito dalla luce, quanti più gradi ne riceve, tanto più s'illumina, riconcentrandosi in esso la luce; e per la gran quantità di questa può arrivare a tal segno, che appaia tutto luce e da essa non più si distingua, essendone illuminato per quanto lo può. 14 - L'anima dunque, dicendo quindi che la fiamma d'amore ferisce nel suo profondo centro, vuol significare che lo Spirito Santo ferisce e investe la sua sostanza, la sua forza e virtù. Con ciò però non vuole fare intendere che la sua gloria sia tanto sostanziale e perfetta, come nella beatifica visione di Dio nell’altra vita. Poiché, sebbene nella vita presente possa giungere a quell'alto grado di perfezione di cui sta parlando, non però al perfetto stato di gloria; quantunque può darsi che il Signore le conceda qualche grazia simile per via di passaggio. Quello, insomma, che l'anima vuole esprimere, è la straordinaria abbondanza del diletto e della, gloria che gode in questa maniera di comunicazione nello Spirito Santo; il quale diletto è tanto maggiore e più tenero, quanto più fortemente e più sostanzialmente ella è trasformata e riconcentrata in Dio. Che se non è così perfetto come nell'altra vita, essendo tuttavia il massimo a cui si possa pervenire quaggiù, l'anima lo chiama il più profondo centro. Si noti che per ventura l'anima può possedere in questa vita l'abito della carità così perfetto come nell'altra, ma non già l'operazione e il frutto: quantunque queste due cose possano crescere a tal segno in questo stato, da renderlo molto somigliante all'altra vita; tanto che, sembrando all'anima

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essere così, osa dire alla fiamma quello che solamente potrà dire nell'eterna beatitudine, cioè: Al centro più profondo vai. 15 - Ma, poiché le cose rare e di cui si ha poca esperienza (com'è quello che andiamo dicendo dell'anima in tale stato) destano più meraviglia e sono meno credibili, temo che alcuni, non intendendo per scienza il nostro dire, né sapendolo per prova, o non lo crederanno affatto, o lo stimeranno esagerato, pensando che non corrisponda tanto alla realtà della cosa. A tutti costoro rispondo che il Padre dei lumi (la cui mano non è abbreviata, ma largamente si stende senza accettazione di persone dovunque trovi luogo, come il raggio del sole), mostrandosi dolcemente anche ad essi nelle loro vie, non dubita, anzi molto si compiace di mettere in comune le sue delizie con i figli degli uomini nell'orbe della terra. No, non è da ritenersi per cosa incredibile che in un'anima, già purgata, provata nel fuoco delle tribolazioni, dei travagli e di varie tentazioni, e trovata fedele nell'amore, si adempiano quaggiù quelle parole con cui il Figlio di Dio promise che, se alcuno lo amasse, la Santissima Trinità verrebbe a lui a farvi stabile dimora (Gv

14 ,23): ossia illuminandole divinamente l'intelletto nella sapienza del Figlio, dilettandone la volontà nello Spirito Santo, e assorbendola il Padre possentemente nell'abisso della sua dolcezza. 16 - Che se il Signore (com'è in verità) così si comporta con alcune anime, vorremmo credere che questa di cui parliamo rimarrà indietro di tali grazie divine? Anzi, ciò che qui diciamo circa l'operazione dello Spirito Santo che in lei agisce, è molto più di quello che avveniva, come dicemmo, nella comunicazione e trasformazione di amore: quest'ultima è simile ad una brace accesa, mentre la prima ad una brace che non solo è accesa, ma per il grande fervore del fuoco getta fiamma viva. Onde queste due maniere, cioè di unione solamente, e di amorosa unione con infiammazione di amore, si possono in certo modo paragonare l'una al fuoco di Dio di cui Isaia dice che è in Sion, l'altra alla fornace di Dio che è in Gerusalemme (Is 31 ,9). La prima espressione del Profeta significa la Chiesa militante, nella quale vi'è il fuoco della carità, ma non acceso all'estremo; l'altra significa la visione di pace, cioè la Chiesa trionfante, dove questo fuoco si trova come in una fornace accesa di amore perfettissimo. Sebbene poi quest'anima non sia arrivata a quell'altissima perfezione che otterrà in cielo, tuttavia, in comparazione dell'unione comune, è come una fornace accesa, con visione tanto più dolce, pacifica e gloriosa, quanto la fiamma è più chiara e risplendente, come il fuoco nel carbone. 17 - L'anima pertanto, sentendo che questa viva fiamma d'amore così vivamente le sta comunicando tutti i beni (ché il divino amore trae con sé ogni bene), dice: O fiamma d'amor viva, che sì dolce ferisci! Come se dicesse: O acceso amore, che con i tuoi amorosi movimenti mi stai dolcemente glorificando, secondo la massima capacità e forza dell'anima mia! Tu mi dai, cioè, cognizione divina, secondo tutta l'abilità e capacità del mio intelletto; mi comunichi l'amore, secondo la maggior forza della mia volontà; mi diletti nella sostanza dell'anima col torrente del tuo piacere, per il tuo divino contatto e unione sostanziale, secondo la maggiore purezza della mia sostanza e la capacità e l'ampiezza: della mia memoria. Tutto questo accade, e più ancora di quello che ci riesca di dire, al tempo che nell'anima si alza la detta fiamma d'amore; poiché, essendo l'anima ben purificata e limpida secondo la sua sostanza e le sue potenze (memoria, intelletto e volontà), la Sapienza divina che, come dice: il Savio, arriva da per tutto per la sua purezza (Sap 7 ,24), l 'assorbe in sé con la sua fiamma divina in modo sublime, sottile, profondo; e in questo assorbimento dell'anima nella Sapienza, lo Spirito Santo esercita le vibrazioni gloriose della sua fiamma. Il che è una cosa tanto soave che l'anima subito soggiunge:

Poiché non sei più schiva. 18 - Vale a dire: Poiché più non affliggi, né opprimi o affatichi come facevi per l 'innanzi. Si noti, infatti, che quando l'anima era nello stato di purgazione spirituale, ossia agli inizi della contemplazione, la fiamma divina non le era tanto amica e soave, quanto lo è

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adesso in questo stato di unione. E nel dichiarare come ciò avvenga, ci dovremo intrattenere un poco. 19 - Bisogna dunque sapere che l'amorosa fiamma divina, ossia lo Spirito Santo, prima d'introdursi e unirsi alla sostanza dell'anima con perfetta e completa purgazione e purezza, ferisce nell'anima distruggendone e consumandone le imperfezioni dei cattivi abiti: con questa operazione, lo Spirito Santo la dispone alla debita unione e trasformazione di amore in Dio. Il fuoco amoroso che in seguito si unirà con l'anima, glorificandola, è quello medesimo che prima l'investiva purgandola; alla stessa guisa che il fuoco naturale che s'impossessa del legno, è il medesimo che prima l'investiva con la sua fiamma, lo disseccava e spogliava dei suoi vili accidenti, sino a disporlo col proprio calore a che potesse penetrarvi e trasformarlo in sé. Questo è ciò che gli spirituali chiamano via purgativa. In tale esercizio l'anima patisce molto detrimento e soffre grandi pene nello spirito: pene che per solito ridondano nel senso. Finché la divina fiamma purga e dispone l'anima, riesce a lei assai molesta: non è una fiamma chiara, ma oscura, la quale, se le dona un po' di luce, lo fa perché ella veda e senta solamente le sue miserie e difetti. Non è fiamma soave, ma penosa; perché, sebbene talvolta le comunichi amoroso calore, ciò avviene con tormento e pena. Non è gustosa, ma arida; perché, quantunque a volte benignamente le conceda qualche diletto per rinvigorirla e incoraggiarla, prima e dopo questo beneficio l'anima lo sconta e paga con altrettanto travaglio. Non è ristoratrice e pacifica, ma consuma e redarguisce l'anima, facendola struggere dal dolore nella cognizione di se stessa; e tanto meno quindi le apporta gloria, anzi la rende miserabile ai propri occhi, amareggiandola mediante la luce spirituale che le dà del proprio conoscimento. È quel fuoco, dunque, che Dio, secondo il detto di Geremia, fa scendere nelle di lei ossa per ammaestrarla (Tren 1 ,13) e, come pure dice Davide, per farne prova nel fuoco. (Sa l 16 ,3) 20 - In questo tempo di purgazione l'anima è avvolta da fitte tenebre nel suo intelletto; nella volontà soffre grandi aridità e oppressioni; nella memorie è afflitta dal ricordo delle sue miserie, avendo l'occhio spirituale molto chiaro per conoscere bene se stessa; nella sostanza patisce abbandono e somma povertà. Quasi sempre arida e fredda, raramente fervorosa, in nessuna cosa trova sollievo, neanche un pensiero che la conforti, senza poter nemmeno sollevare il cuore a Dio, poiché è purgata da una fiamma così avversa, che il Santo Giobbe, sottoposto da Dio a simile prova, esclamò: Mi ti sei cangiato in crudele (Gb 30 ,21). Ed invero, quando l'anima patisce tutte queste cose unite insieme, le sembra veramente che Dio si sia adirato e fatto crudele contro di lei. 21 - È indescrivibile ciò che l’anima patisce in questo tempo: a volte è poco meno che un purgatorio. Né io saprei adesso far comprendere quanto ostile sia la fiamma, e fin dove arrivi ciò che in essa si sperimenta, se non con le parole che a tal proposito dice Geremia: lo sono tal uomo che vedo la mia povertà sotto la verga dell'ira sua. Mi ha condotto e trascinato nelle tenebre e non alla luce. Non ha fatto altro che voltarmi e rivoltarmi tra le sue mani continuamente: fece invecchiare la mia pelle e la mia carne; ha stritolato le mie ossa; ha alzato un muro intorno a me, e mi ha circondato di amarezze e di affanni. Mi collocò in luoghi tenebrosi, come quei che sono morti per sempre. Mi serrò con ripari all'intorno, perché io non ne esca: aggravò i ceppi al mio piede. Ed oltre a ciò, quando io con alte grida lo pregherò avrà già esclusa la mia orazione. Chiuse le mie vie con pietre squadrate; disperse le tracce dei miei sentieri (Tren 3 ,1-9). Tutto questo lo dice Geremia, e molto più ancora nel medesimo passo. In questa maniera Dio medica e cura l'anima nelle sue infermità per donarle la salute; ma con tal genere di purga ella deve penare necessariamente a seconda della malattia. Quivi il celeste Tobia pone il cuore di essa sopra la brace, perché ne sia scacciata ogni sorta di demoni (Tb 6 ,8); e quindi, uscendo alla luce tutte le infermità dell'anima, Dio gliele mette sotto cura, e davanti agli occhi affinché le conosca. 22 - Cosicché le debolezze e le miserie che prima l'anima aveva radicate e nascoste in sé, e che non riusciva a vedere e sentire, ormai le vede e sente alla luce e al calore del fuoco divino. Come l'umidità del legno non si conosce se non quando il fuoco, investendolo, ne

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cava fuori l 'umore e il fumo sino a farlo risplendere, così deve dirsi dell'imperfezione dell'anima investita dalla fiamma divina. Cosa ammirabile! Si suscita allora nell'anima una lotta di due generi di contrari: quelli dell'anima contro quelli di Dio, che investono la medesima; e, come dicono i filosofi, gli uni risaltano vicino agli altri, e si fanno guerra in uno stesso soggetto, cioè nell'anima, procurando di espellersi a vicenda, per regnarvi. Vale a dire: le virtù e le proprietà di Dio, perfette all'estremo, combattono contro gli abiti e le proprietà del soggetto dell'anima estremamente imperfetti, ed ella ne patisce in sé il contrasto. La fiamma divina è di una luce estrema, e investendo l’anima, fa risplendere la propria luce nelle tenebre di questa, estreme esse pure; ed allora l'anima sente le sue tenebre naturali e viziose, che si oppongono alla luce soprannaturale. Questa, però, l'anima non la sente, perché non l'ha in sé; le sue tenebre, sì, le ha in sé, ed esse non comprendono la luce; e perciò l’anima le sentirà fintanto che sarà investita dalla luce divina, senza la quale non potrebbe vederle. Ma, quando la luce avrà espulso le tenebre, l 'anima resterà illuminata e trasformata, e vedrà in sé quella luce che le purificò e rinvigorì l 'occhio spirituale. Una luce immensa causerà fitte tenebre ad una vista impura e debole, perché in tal caso l'eminente sensibile soverchia la potenza visiva; e perciò la fiamma divina era schiva all'occhio dell'intelletto. 23 - Essendo essa di per sé amorosa e tenera all’estremo, teneramente e amorosamente investe la volontà; ma questa da parte sua è estremamente arida e dura. Ora, poiché la durezza e l'aridità si sentono allorché siano poste a contrasto con la tenerezza e l'amore, avviene che la volontà, quando è amorosamente e teneramente investita dalla fiamma, sente tutta la propria naturale durezza e aridità verso Dio. Trovandosi predisposta con tali proprietà, incompatibili con quelle divine, non può sentire l 'amore e la tenerezza della fiamma, finché questa non scacci da lei le qualità contrarie, facendovi regnare le proprie. Per questo, dunque, la fiamma era schiva alla volontà, in quanto le faceva patire la sua aridità e durezza. Similmente la fiamma è vastissima e immensa; la volontà, invece, è stretta ed angusta, e perciò sente la propria strettezza e angustia finché quella l'investe; infine però ne resta dilatata, e resa capace della fiamma stessa. Inoltre, la fiamma è gustosa e dolce, mentre la volontà ha il palato spirituale sregolato, con umori di affetti disordinati; e quindi non può gustare il dolce cibo dell'amore di Dio, e la fiamma le riesce disgustosa e amara. Di maniera che la volontà sente la sua angustia e scipitezza vicino a quella vastissima e gustosissima fiamma, e non ne sente il sapore, perché non lo ha in sé; sente bensì quello che ha in sé, cioè la propria miseria. Finalmente, la fiamma è dotata d'infinite ricchezze, delizie e bontà; di fronte a ciò l'anima essendo di suo poverissima e senza alcun bene che l'appaghi, conosce chiaramente la sua povertà, miseria e malizia. Non conosce quelle proprietà divine, perché la malizia non può contenere la bontà, né la povertà le ricchezze, sino a che la fiamma non abbia terminato di purificare l'anima, e non l'abbia ricolmata di dovizie, di gloria e diletti con la sua trasformazione. Ecco dunque in qual senso la fiamma era schiva all'anima oltre ogni dire. In essa due sorta di contrari lottavano tra di loro: tutte le divine perfezioni contro tutti i suoi abiti imperfetti, affinché Dio, trasformandola in sé, la rendesse soave, pacifica e risplendente, come fa il fuoco al legno quando vi è penetrato. 24 - In poche anime la purgazione è così forte: solamente in quelle che il Signore vuole innalzare al più alto grado di unione. Egli dispone ciascun'anima con purga più o meno forte, secondo il grado a cui la chiama, e secondo l'impurità e l'imperfezione di essa. La pena di cui parliamo è, paragonabile a quella del Purgatorio, poiché come ivi gli spiriti si purificano per poter vedere Dio nella chiara visione dell'eterna vita, così in terra le anime si purgano in modo simile per potersi trasformare in Dio per amore in questa unione. 25 - Non parleremo qui della maggiore o minore intensità della purgazione, né diremo come essa può darsi o secondo ciascuna delle potenze (memoria, intelletto e volontà), o secondo la sostanza dell'anima, o nelle potenze e nella sostanza insieme, e anche nella parte sensitiva. Né staremo a ripetere come si può giudicare quando sia l 'una o l'altra delle purgazioni, né in qual tempo o punto del cammino spirituale cominci ciascuna. Tutte queste cose le abbiamo spiegate nella Notte Oscura della Salita del Monte Carmelo,

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e poiché ora non fanno al nostro proposito, non ci torniamo sopra. Qui basti sapere che il medesimo Dio che vuole entrare nell'anima per unione e trasformazione di amore, è quegli che prima l'investe e la purga mediante la luce e il calore della sua fiamma divina. E come il fuoco che entra nel legno, è quello medesimo che lo disponeva prima di entrarvi; così la fiamma che, penetrata ormai nell'intimo dell'anima, le riesce dolce e soave, è la medesima che prima le recava molestia, investendola di fuori. 26 - Non altro che questo l'anima vuole intendere nel presente verso dicendo: Poiché non sei più schiva. Come se dicesse: Non solamente non mi sei più oscura come per l'addietro, ma sei la divina luce del mio intelletto, col quale ti posso alfine mirare; e non che far languire la mia debolezza, tu sei anzi la forza della mia volontà, con cui ti posso amare e godere, essendo essa tutta trasformata in divino amore. Non più sei di disgusto ed affanno alla sostanza dell'anima mia, ma piuttosto sei la sua gloria, la sua larghezza, la sua delizia. Di me, quindi, si può dire ciò che si legge nei Cantici: Chi è costei che ascende dal deserto, ricolma di delizie, appoggiata al suo Diletto, tutta spirante amore? (Ct 8 ,5) Giacché dunque è così.

L'opra, se vuoi, finisci. 27 - Ossia: Finisci ormai di consumare perfettamente con me il matrimonio spirituale, con la tua beatifica visione, e questa infatti è ciò che l'anima qui domanda. È vero certamente che in così sublime stato ella si trova tanto più conforme e soddisfatta, in quanto che è più trasformata in amore, né saprebbe chiedere cosa alcuna per sé, ma tutto per il suo Diletto, poiché la carità, come dice S. Paolo (1Cor 13 ,5), non cerca le sue cose per sé, ma per l'Amato. Pur tuttavia, vivendo nella speranza, in cui non si può non sentire un certo vuoto, emette un gemito, benché soave e delicato, a proporzione di ciò che le manca al perfetto possesso dell'adozione dei figli di Dio, ossia alla gloria consumata, dove si quieterà il suo appetito. Per quanto l'anima sia unita quaggiù con Dio, i1 suo appetito non si calmerà né sazierà mai, finché non appaia la divina gloria (Sal 16 ,15); tanto più che ella ne ha già pregustato (come qui diciamo) un così gran sapore, e ne sente perciò una tale avidità che, se Dio non favorisse anche la fragile carne, proteggendo la naturale debolezza con la sua destra (come fece con Mosè nella spelonca (Es 33 ,22), affinché questi potesse vederne la gloria senza morire), ad ogni fiammata divina la vita mortale verrebbe troncata, perché la parte inferiore non ha capacità di sopportare tanto e così sublime fuoco di gloria. 28 - Il desiderio dell'anima, dunque, e la domanda che lo esprime sono senza pena, poiché ella ora non è più capace di averla: è un desiderio soave e gustoso, è una domanda fatta con perfetta conformità dello spirito e del senso. L'anima, infatti, dice nel verso: Se vuoi; perché la sua volontà, il suo appetito è divenuto una sola cosa con Dio, tanto che reputa sua gloria l'adempimento di ciò che Egli vuole. Ma, sono tali gl'improvvisi riflessi di gloria e di amore che nei tocchi divini s'intravedono ma non entrano nella porta dell'anima per la strettezza della terrestre abitazione, che piuttosto sarebbe indizio di poco amore non chiedere l'ingresso in quella consumazione di amore. Oltre a ciò, nella forte e dilettevole comunicazione dello Sposo, l'anima vede che lo Spirito Santo la chiama e l'invita all'immensa gloria che le sta proponendo davanti agli occhi in modo meraviglioso e con dolcissimi affetti, dicendole interiormente ciò che nei Cantici dice alla Sposa, e che questa riferisce così: Ecco che il mio Diletto mi parla: Levati su, affrettati, amica mia, colomba mia, bella mia, e vieni; poiché già è passato l'inverno, e la pioggia si è allontanata. Sono spuntati i fiori nella nostra terra, il tempo di potare è giunto, e si è udita la, voce della tortora nella nostra campagna; il fico ha dato i suoi frutti, e le vigne fiorite hanno dato il loro odore. Alzati, affrettati, amica mia bella; vieni, colomba mia, nei forami della pietra e nell'apertura della maceria: fammi vedere il tuo volto, risuoni la tua voce al mio orecchio, poiché la tua voce è dolce, e bello il tuo viso (Ct 2 ,10-14). L’anima intende distintissimamente, e con sublime sentimento di gloria, tutte queste cose che lo Spirito Santo le manifesta in quel tenero e soave fiammeggiare, mostrandole il desiderio che Egli ha d'introdurla in quella gloria: e perciò ella, così stimolata, risponde al dolce invito dicendo: L'opra, se vuoi, finisci. Con queste parole

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rivolge allo Sposo quelle due petizioni che Egli c'insegnò nel Vangelo: Adveniat regnum tuum; fiat voluntas tua (Mt 6 ,10). Come se dicesse: Finisci di darmi questo Regno, se vuoi, ossia se questa è la tua volontà. Ed affinché sia così:

Rompi la tela al dolce incontro omai. 29 - Questa è la tela che sola impedisce ormai la conclusione di così grande opera: ché, del resto, è cosa facile giungere a Dio, rimossi che siano gl'impedimenti e rotte le tele che sono di ostacolo all'unione tra l'anima e Dio. Le tele che possono impedire e che si devono rompere perché detta unione avvenga e l'anima possieda Dio perfettamente, possiamo dire che sono tre: la tela temporale, sotto il qual nome sono comprese tutte le creature: quella naturale, in cui si comprendono le operazioni e le inclinazioni puramente naturali; la terza poi è la tela sensitiva, che significa l'unione dell'anima con il corpo, cioè la vita sensitiva e animale, di cui S. Paolo dice: Sappiamo che, quando verrà a disfarsi la casa terrestre di questo nostro tabernacolo, avremo da Dio una eterna abitazione nei cieli (2Cor 5 ,1). Per arrivare al possesso dell'unione divina, è necessario che siano rotte le prime due tele, con la rinunzia di tutte le cose del mondo e con la mortificazione di tutti gli appetiti ed affetti naturali, in modo che le operazioni dell'anima da naturali diventino divine. Tutto ciò avvenne nell'anima per mezzo degli incontri molesti della fiamma, quando questa era schiva; poiché con la purgazione spirituale suddetta, l 'anima finisce di rompere quelle due tele, e quindi viene ad essere unita con Dio, come lo è al presente. Non resta da rompere che la terza, quella della vita sensitiva, e perciò nel verso si dice tela, e non tele. Ora, essendo quest'ultima tela molto sottile, delicata e spiritualizzata mediante l'unione divina, la fiamma non l'incontra in modo rigoroso e afflittivo, come faceva con le altre due, ma saporosamente e dolcemente. È un dolce incontro, come appunto dice il verso, e tanto più dolce e saporoso, quanto più sembra che stia per rompere la tela della vita. 30 - Qui è da avvertire che la morte naturale delle persone giunte a tale stato, benché nel resto sia simile a quella di tutti gli altri, nondimeno nella causa e nel modo è molto differente; perché, se gli altri muoiono per malattia o vecchiezza, le persone di cui parliamo, pur morendo durante un'infermità o nella pienezza degli anni, non sono tolte alla vita terrena da uno strappo violento dell'anima, ma da qualche impeto o incontro amoroso molto più sublime dei precedenti, e così potente da squarciare la tela e portarsi via quel prezioso gioiello dell'anima. E così la morte di tali persone è molto dolce e serena, più che loro non fu tutta la vita spirituale di quaggiù, poiché muoiono con più sublimi impeti e gustosi incontri di amore: sono come il cigno che, vicino a morire, canta più dolcemente. Ben a ragione Davide disse che è preziosa al cospetto del Signore la morte dei Santi suoi (Sa l 115 ,5); perché in essa si adunano tutte le ricchezze dell'anima, ed entrano nel mare i fiumi del suo amore, i quali sono ivi tanto gonfi e vasti, che già sembrano mari. Là si uniscono i primi e gli ultimi tesori dell'anima giusta, per accompagnarla al momento che va e parte per il suo regno, mentre sin dagli estremi confini della terra echeggiano le lodi, come dice Isaia, a gloria del giusto (Is 24 ,16). 31 - Al tempo, dunque, di questi gloriosi incontri, l 'anima, conoscendosi pura e abbondantemente arricchita e piena di virtù, si sente molto disposta e prossima ad andare al perfetto possesso del suo regno. Dio fa sì che l'anima in questo stato veda la propria bellezza, manifestandole i doni e le virtù che le ha dato, poiché tutto le si volge in amore e lodi, senza ombra di presunzione o vanità, non avendo più lievito d'imperfezione che possa corrompere la massa. Vedendo che altro ormai non le resta che rompere la debole tela della vita naturale, in cui la sua libertà si trova avviluppata, presa ed impedita, desidera di essere sciolta e vedersi con Cristo: troppo le rincresce che una vita tanto bassa e debole le impedisca l'altra così sublime e forte, e quindi prega che si rompa, dicendo: Rompi la tela al dolce incontro omai. 32 - La chiama tela per tre ragioni. Primo: per il nesso che esiste tra lo spirito e la carne. Secondo: perché divide l'anima da Dio. Terzo: come la tela non è tanto opaca e fitta da non lasciar passare un po' di luce, così in tale stato il nesso anzidetto sembra una tela

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così delicata (essendo diventata già molto sottile, chiara e spiritualizzata), che non manca di far trasparire la luce della Divinità. L'anima, inoltre, sentendo la forza dell'altra vita, riesce a vedere la fiacchezza della presente, che le pare una tela molto sottile, anzi tela di ragno, come la chiama Davide dicendo: I nostri anni saranno considerati come tela di ragno (Sal 89 ,10). Anzi questa vita è assai meno di una ragnatela per l'anima così ingrandita: poiché essendo questa posta nel sentire proprio di Dio, sente le cose come Dio, dinanzi al quale, a detta dello stesso Davide, mille anni sono come il giorno di ieri che passò (Sal

89 ,4); e, secondo Isaia, tutte le genti sono davanti a Lui come se non fossero (Is 40 ,17). La stessa importanza hanno davanti all'anima tutte le cose: per lei sono un niente, ed ella stessa è un niente agli occhi suoi: solo il suo Dio per lei è tutto. 33 - Ma qui si potrà domandare: Per quale ragione l'anima chiede che la fiamma rompa la tela piuttosto che tagliarla o finirla, mentre tutto ciò sembrerebbe una stessa cosa? Rispondiamo che usa il verbo rompere per quattro ragioni. La prima: per parlare con più proprietà, poiché più proprio dell'incontro è rompere che non tagliare o finire. La seconda: perché l'amore è amico della forza amorosa, e preferisce un tocco forte e impetuoso, il quale avviene più nel rompere che nel tagliare e finire. La terza: perché l'amore desidera che l'atto sia brevissimo, affinché si compia più presto; e l'atto ha tanto maggior forza e valore quanto più è breve e spirituale. La forza unita è più efficace di quella divisa, e l'amore s'introduce alla stessa maniera che la forma nella materia. La forma s'introduce in un istante: prima d'introdursi non vi era atto, ma disposizione ad esso. Cosicché gli atti spirituali si operano nell'anima come in un istante, perché sono infusi da Dio; mentre gli atti che l'anima fa da sé, si possono chiamare piuttosto disposizioni di desideri e di affetti successivi, che non arrivano mai ad essere atti perfetti d'amore e di contemplazione, eccetto alcune volte, quando cioè Dio stesso li forma e perfeziona con la massima prestezza nello spirito. Per la qual cosa il .Savio disse che la fine dell'orazione è migliore del principio (Si r 7 ,9); e, come comunemente si dice, l 'orazione breve penetra i cieli. Ne segue, quindi, che l'anima già disposta può fare in breve tempo atti assai più numerosi e più intensi, che quella non disposta in molto tempo. Come pure, per la grande disposizione che ha, suole rimanersene lungamente nell'atto di amore e di contemplazione; mentre a quella che non è disposta, tutto il tempo se ne va nel preparare lo spirito, e per solito, anche dopo ciò, il fuoco ristà dal penetrare nel legno, ora per la troppa umidità di questo, ora perché il calore che dispone è poco, ora per l'una e l'altra ragione insieme. Ma nell'anima disposta l'atto di amore entra in pochi momenti, perché la scintilla, ad ogni tocco, prende nell'esca asciutta. Quindi è che l'anima innamorata desidera più la brevità del rompere che l’indugio del tagliare e del finire. La quarta ragione è, perché termini più presto la tela della vita. L'azione del tagliare e del finire si fa con più riflessione, in quanto si aspetta che la cosa sia stagionata o perfezionata, mentre il rompere non aspetta l'apparire della maturità della cosa, né altro di simile. 34 - L'anima innamorata, dunque, non sopporta dilazioni, non vuole aspettare che la vita termini naturalmente o sia troncata in questo o quel tempo, perché la forza dell'amore e la disposizione che vede in sé, le fanno desiderare e chiedere che la vita subito si rompa con qualche incontro o impeto soprannaturale di amore. L'anima sa molto bene che Dio suole chiamare a sé anzi tempo le anime predilette, perfezionando in esse ben presto, per mezzo di quell'amore, ciò che con il loro passo ordinario potrebbero andar guadagnando in lungo tempo. Lo dice, infatti, il Savio in questi termini: Colui che piacque a Dio, fu amato da Lui, e perché viveva tra i peccatori fu trasferito e rapito, affinché la malizia non mutasse il suo intelletto, o la finzione non ingannasse l'anima sua. Consumato in breve, compì lunga carriera: e poiché l'anima sua era cara a Dio, perciò Egli si affrettò a trarlo di mezzo alle iniquità (Sap 4 ,10-14). Fin qui le parole del Savio, nelle quali si vede con quanta proprietà e ragione l'anima fa uso del verbo rompere. Ed invero, nel testo allegato, lo Spirito Santo usa questi due termini: rapire e affrettarsi, il cui significato è ben lungi da qualsiasi idea di dilazione. Nella parola: affrettarsi, Dio dimostra con quanta prestezza perfezionò l'amore del giusto; nella parola: rapire, ci fa intendere che lo strappò prima del tempo naturale. Per conseguenza, sommamente importa che l'anima eserciti atti di amore in questa vita, affinché,

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consumandosi in breve, non si trattenga molto nelle cose di quaggiù che le impediscono di vedere Dio. 35 - Ma ora vediamo anche perché, l 'anima chiama incontro questo investimento interiore dello Spirito Santo, piuttosto che con altro vocabolo. La ragione è che l'anima, avendo in Dio un immenso desiderio, come abbiamo detto, che la vita finisca, mentre vede che ciò non accade perché non è giunto il tempo della sua perfezione, vede pure che il Signore fa in lei alcuni investimenti divini e gloriosi a maniera d'incontri, per consumarla e staccarla dal corpo. Sono veri incontri con i quali Dio, a detto fine, sempre più penetra nella sostanza dell'anima e la divinizza: nel che l'essere di Dio assorbe l'anima sopra ogni essere. E la causa è che Dio la investe e trapassa con la viva forza dello Spirito Santo, le cui comunicazioni sono impetuose, quando, sono fervide com'è questa. Ora, poiché l'anima in questo incontro gusta vivamente di Dio, lo chiama dolce incontro: non perché molti altri incontri e tocchi ricevuti da lei in questo stato non siano dolci, ma perché sovrasta tutti gli altri, facendolo Dio a fine di sciogliere e glorificare presto l'anima. Ond’è che a lei nascono le ali per dire: Rompi la tela al dolce incontro omai. 36 - Dunque, riassumendo ora tutta la strofa, è come se dicesse: O fiamma dello Spirito Santo, che così intimamente e teneramente trapassi la sostanza dell'anima mia e la bruci col tuo glorioso ardore! Giacché mi sei tanto amica che ti mostri desiderosa di donarti a me nella vita eterna, ascoltami. Prima d'ora, quando ti pregavo di sciogliermi e portarmi con te, le mie petizioni non giungevano al tuo orecchio. La mia preghiera era allora con travagli ed ansie amorose, in cui il senso e lo spirito soffrivano a cagione della mia grande fiacchezza ed impurità, e per la poca forza di amore che avevo. Io ti cercavo con vero desiderio, ma l'amore impaziente faceva sì che io non mi conformassi tanto all'attuale condizione di vita in cui tu mi volevi ancora. D'altra parte, i miei passati impeti di amore non erano bastevoli ad ottenere ciò che bramavo perché non erano così sublimi come al presente. Ma adesso sono forte nell'amore, tanto che il senso e lo spirito non solo non vengono meno per te, ma sono piuttosto da te fortificati, e il mio cuore e la mia carne esultano in Dio vivo (Sal 83 ,3), con grande conformità delle due parti. Di maniera che ciò che tu vuoi che io domandi, domando; e quello che tu non vuoi, non voglio, anzi non posso, né mi viene in pensiero di volerlo. Le mie domande sono ormai di maggior pregio e valore al tuo cospetto, perché vengono da te, muovendomi tu a farle con sapore di gaudio nello Spirito Santo. Perché, dunque, dal tuo volto esce la mia giustificazione(Sal 16 ,2), in quanto che apprezzi e ascolti le mie preghiere, deh! rompi la debole tela di questa vita, e non lasciarla arrivare a che sia tagliata naturalmente dagli anni; affinché io ti possa amare d'ora in poi con quella pienezza e sazietà, che l'anima mia desidera senza fine.

STROFA 2

O inceso dolce! o interna Piaga per me gradita! O blanda mano! o tocco delicato, Che sa di vita eterna, E sconta ogni partita! Morte in vita, uccidendo, hai tu cangiato.

DICHIARAZIONE 1 - Nella presente strofa, l 'anima ci fa intendere, come le tre Persone della Santissima Trinità, Padre, Figliolo e Spirito Santo, sono quelle che operano in lei quest'unione divina. La mano, l'inceso e il tocco sono in sostanza una medesima cosa, ma l'anima usa questi nomi in quanto convengono alle Divine Persone secondo l'effetto che ciascuna in lei produce. L'inceso o cauterio è lo Spirito Santo, la mano il Padre, il tocco il Figlio. Ella quindi esalta il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, magnificando tre grazie singolari

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che ne riceve, con le quali hanno cambiato la sua morte in vita, trasformandola in sé. La prima grazia è una piaga gradita che ella attribuisce allo Spirito Santo, e perciò la chiama dolce inceso. La seconda è un sapore di vita eterna, e questo lo attribuisce al Figlio; e perciò la chiama tocco delicato. La terza è un dono con cui l 'anima viene trasformata in Dio, e resta assai ben pagata: questa grazia l'attribuisce al Padre, e la chiama blanda mano. Ma, quantunque nomini qui tutt'e tre le Divine Persone a causa delle proprietà degli effetti, soltanto con una parla, dicendo: «Morte in vita hai tu cambiato»: perché tutt'e tre operano insieme, e quindi ella tutto attribuisce ad una, e tutto a tutte.

O inceso dolce! 2 - Abbiamo detto che l'inceso qui significa lo Spirito Santo, perché, come dice Mosè nel Deuteronomio: Il nostro Signore Dio è un fuoco consumatore (Dt 4 ,24), cioè fuoco di amore che, essendo di una forza infinita, può inestimabilmente consumare e trasformare in sé le anime che tocca. Tuttavia brucia e assorbe ciascuna più o meno, a seconda della disposizione che vi trova, ed anche quanto Egli vuole, come e quando vuole. Ed essendo un infinito fuoco d'amore, quando egli vuole toccare l'anima un po' fortemente, l'amore di essa è di un grado così elevato, che le sembra di ardere sopra tutti gli ardori del mondo. Quindi è che ella qui chiama inceso lo Spirito Santo, perché appunto, come nel cauterio il fuoco è di maggiore intensità ed effetto che qualunque altro, così nell'atto di questa unione il fuoco d'amore divino è fervido quant'altri mai. Esso, in tal caso, tiene l'anima così trasformata in se stesso che ella si sente, non solo tocca da un cauterio, ma divenuta tutta un incendio di fuoco ardentissimo. 3 - Che cosa meravigliosa e degna di alto preconio! Questo fuoco divino, mentre è tanto veemente e consumatore, che brucerebbe mille mondi più facilmente che il fuoco di quaggiù non bruci un filo di paglia, tuttavia non consuma né distrugge l'anima nella quale arde in tal guisa, e nemmeno le apporta alcuna molestia, ma piuttosto, a misura della forza dell'amore, la divinizza e diletta, bruciando e ardendo in lei soavemente; e ciò avviene per la purezza e perfezione di spirito con cui l'anima arde nello Spirito Santo. Così vediamo negli Atti degli Apostoli che questo fuoco, discendendo con grande impeto, infiammò i discepoli (At 2 ,2-3); ed essi, come dice S. Gregorio,3 nel loro spirito arsero di amore soavemente. E la Chiesa, a proposito di questo fatto, dice: Venne il fuoco dal Cielo, non per bruciare, ma per risplendere; non per consumare, ma per illuminare.4 Poiché il fine di Dio in queste comunicazioni è d'ingrandire l'anima e perciò non la opprime e affatica, ma la dilata e diletta; non la oscura né incenerisce, come fa il fuoco col carbone, ma la chiarifica ed arricchisce: e quindi essa lo chiama inceso dolce. 4 - L'anima fortunata che per felice sorte riceve questo cauterio, tutto sa, tutto gusta, fa tutto ciò che vuole, e prospera in modo che nessuno può prevalere contro di lei, né ardisce toccarla; perché essa è una di quelle di cui l 'apostolo dice: L'uomo spirituale giudica di tutte le cose ed egli non è giudicato da alcuno (1Cor 2 ,15). Ed ancora: Lo spirito scruta tutto, perfino la profondità di Dio (1Cor 2 ,10); poiché è proprio dell'amore scrutare tutti i beni dell'Amato, 5 - O anime che meritate di arrivare ai sommi ardori del fuoco divino, quanto grande è la vostra gloria! Esso avrebbe una forza infinita per consumarvi e annichilirvi, eppure non lo fa: è dunque manifesto che immensamente vi consuma in gloria! Nessuno si meravigli che Dio faccia pervenire alcune anime a così alto stato, poiché il sole si particolarizza nel produrre alcuni effetti mirabili e, come dice lo Spirito Santo, in tre maniere brucia i monti (Si r 42 ,4), cioè i monti dei santi nel caso nostro. Essendo, dunque, il divino inceso così soave come qui abbiamo dichiarato, quanto felice non sarà l'anima che ne resta toccata? Ella vorrebbe esprimerlo, ma non lo può: e, pieno il cuore di somma stima di ciò che prova, non le rimane che esaltarne l'eccellenza col semplice termine O, dicendo: O inceso dolce!

3 Omelia 30, in Evang., n. 1. ML 76,1220. 4 Brev. Rom. Feria II Pent. 2 respons. ad Matutinum.

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O interna

Piaga per me gradita! 6 - Dopo aver parlato con l'inceso, l'anima parla ora con la piaga da esso prodotta, la quale senza dubbio dev'essere conforme a quello. Ora, poiché l’inceso di amore è dolce, tale sarà anche la piaga d'amore, e quindi sarà una piaga soavemente gradita. 7 - Ma, per far comprendere come sia questa piaga, è da notarsi che il cauterio del fuoco materiale sempre fa piaga dove tocca, e ha questo di proprio che, se si applica, sopra un’altra piaga non prodotta dal fuoco, fa sì che essa diventi piaga di fuoco. Similmente l'inceso di amore, toccando l'anima, o sana o piagata che sia da altre piaghe di miserie e peccati, subito la lascia piagata di amore; di modo che quelle piaghe che erano state prodotte da altre cause, diventano piaghe di. amore. Però l'inceso amoroso e quello del fuoco materiale in parte differiscono, in quanto il secondo non può tornare a sanare la piaga da sé fatta, ma bisogna applicarvi altri medicamenti; mentre la piaga dell'inceso di amore non si può curare con altro rimedio che con lo stesso inceso che la fece. Esso è che la cura, e curando la produce; perché ogni volta che tocca l'amorosa piaga, fa piaga maggiore. Quindi cura e sana di più, a misura che più impiaga, perché l'amante tanto più è sano quanto più è piagato. La cura dell'amore è tornare sul piagato, finché la piaga non sia così grande, che l'anima venga tutta a ridursi in piaga di amore. Ridotta però a questo termine, è tutta sana in amore, essendo trasformata in esso. Così s'intende la piaga di cui qui parla l'anima tutta piagata e sana insieme. Ma quantunque ella sia tale, l 'inceso amoroso non lascia di compiere il suo ufficio, che è toccare e ferire di amore; tuttavia l'effetto che produce è quello di lenire la piaga, come suol fare un buon medico; onde ben a ragione l'anima dice: O piaga gradita! O piaga, dunque, tanto più gradita, quanto più sublime è il fuoco di amore che la produce! Lo Spirito Santo è quegli che l'apre, a solo fine di favorire l'anima: questo è il suo desiderio, desiderio immenso, e quindi sarà grande la piaga, perché l'anima sarà grandemente favorita. 8 - O piaga fortunata, fatta da chi non sa se non sanare! O felicissima piaga, poiché altro non sei che un dono, e il tuo dolore è delizia dell'anima! Sei ben grande, o dolce piaga! poiché grande è Colui che ti aprì. Tu sei un gran dono, poiché secondo la tua capacità e grandezza, sei regalata dal fuoco dell'amore, che è infinito. O dunque deliziosa piaga, e tanto più altamente deliziosa, quanto più il cauterio toccò nell'intimo centro della sostanza dell'anima, bruciando tutto quello che si poté bruciare, per riempire di doni tutto ciò che si poté! È da ritenersi che questa piaga di fuoco amoroso sia il più alto grado possibile in tale stato. Quantunque, infatti, vi siano molte altre maniere con cui Dio incendia soavemente l'anima, esse però non giungono a tanto, né sono come questa: la quale è un tocco della stessa Divinità fatto nell'anima, senza alcuna forma o figura intellettuale, né immaginaria. 9 - V'è però un’altra maniera molto sublime di accendere l'anima con forma intellettuale, ed è la seguente. Potrà accadere che, essendo l'anima infiammata d'amor di Dio (e benché non lo fosse nel grado anzidetto, pure è assai conveniente che lo sia per quello che voglio dire), si senta investire da un Serafino con una freccia o dardo accesissimo di amoroso fuoco. Questa freccia divina, trafiggendo l'anima accesa già come brace o, per meglio dire, come fiamma, la cauterizza in modo sublime, e la sua trafittura infocata fa sì che la fiamma dell'anima immediatamente s'innalzi con veemenza, alla stessa guisa che si ravviva quella di una fornace, quando vi attizzano il fuoco. Ferita dall'acceso dardo, l 'anima ne gusta la piaga con sovrano diletto: perché, oltre che ella è tutta soavissimamente sconvolta per l'impetuosa mozione causata da quel Serafino (nella quale si sente grandemente ardere e sciogliere in amore), sente anche la fine ferita e la virtù dell'erba con cui fu temprato l'ignito strale come una viva punta nella sostanza dello spirito, nel cuore dell'anima trafitto. 10 - E di questo intimo punto della ferita, la quale sembra colpire il centro del cuore dello spirito, ove si gustano le più ineffabili delizie, chi mai potrà parlare come si

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conviene? L'anima ivi sente come un grano di senape molto piccolo, vivissimamente acceso, che trasmette alla periferia un ardentissimo fuoco d'amore; il quale, nascendo dalla sostanza di quel punto vivo, dov'è la virtù dell'erba suddetta, si diffonde sottilmente per tutte le vene spirituali e sostanziali dell'anima, con tutta la sua forza potente. Onde ella sente talmente crescere l'ardore e raffinarsi l 'amore, che in essa appaiono mari di fuoco amoroso, il quale pervade le sue potenze in ogni maniera. Le sembra che tutto l'universo sia un mare di amore dove ella si trova immersa in guisa che, sentendo in sé il vivo centro dell'amore, non riesce a vederne gli estremi confini. 11 - Quello che l'anima qui gode è inesprimibile. Solo si può dire che conosce quanto bene nel Vangelo il Regno dei Cieli sia paragonato al granello di senape che, quantunque così piccolo, per il suo gran calore cresce in grande albero (Mt 13 ,31-32): ed infatti, l 'anima si vede diventata come un immenso fuoco di amore, che nasce da quel punto acceso del cuore dello spirito. 12 - Poche sono le anime che giungono a tanto, ma sappiamo che alcune vi sono giunte, specialmente quelle la cui virtù e spirito si dovevano diffondere nella spirituale successione dei loro figli, essendo solito Dio concedere ai fondatori ricchezze e doni, in maggiore o minore copia, a seconda del numero di coloro che ne avrebbero ereditato la dottrina e lo spirito! I3 - Ma, ritornando all'opera di quel Serafino, la quale non è altro che una ferita nell'intimo dello spirito, diciamo che, se talvolta Dio permette che ridondi nel senso un effetto corrispondente alla ferita o piaga interiore, questa si manifesta al di fuori, come avvenne in S. Francesco. Quando infatti il Serafino gli ferì l 'anima di amore verso le cinque piaghe di Cristo, apparvero nel corpo del Santo le stimmate, quale effetto dell'amorose piaghe impresse nell’anima. Dio, in via ordinaria, non fa alcuna grazia al corpo, senza che prima e principalmente la faccia all'anima; e allora, quanto più grande è il diletto e la forza di amore prodotto dalla piaga dentro lo spirito, tanto più grande è il dolore esterno nella piaga del corpo; e crescendo l'uno, cresce l'altro. Ciò accade perché, quando tali anime sono purificate e poste in Dio, quello che alla loro carne corruttibile è causa di dolore e tormento, è dolce e gustoso allo spirito sano e forte. È una cosa meravigliosa sentir crescere il dolore insieme col diletto; e bene lo sperimentò Giobbe nelle sue piaghe, quando disse al Signore: A me ritornando, mi tormenti in modo mirabile (Gb 10 ,16). Sì, che un'anima goda tanto maggior sapore e diletto, quanto più sente dolore e tormento, è veramente una cosa meravigliosa e degna dell'abbondanza di soavità e di dolcezza che Dio tiene riservata per coloro che lo temono (Sal 30 ,21). Ma quando la piaga viene fatta solamente nell'anima, senza che si comunichi fuori, il piacere può essere più intenso e sublime. La carne, infatti, è d'impaccio allo spirito, e quando i beni spirituali si comunicano anche a lei essa tira la briglia e mette un freno alla bocca del veloce cavallo dello spirito, smorzandone il gran brio, perché se quello usa di tutta la sua forza, la briglia si deve rompere. Ma, finché questa non si rompe, non lascia di tenere oppresso lo spirito e d'impedirne la libertà, secondo la sentenza del Savio che dice: il corpo corruttibile grava l'anima, e la terrestre abitazione opprime il senso spirituale, che di per sé comprende molte cose. (Sap 9 ,15) 14 - Dico questo, affinché s'intenda che chi volesse camminare appoggiandosi sempre all'abilità e al discorso naturale per andare a Dio, non sarebbe mai molto spirituale. Alcuni pensano che con la pura forza ed operazione del senso (il quale per se stesso è basso e non più che naturale) possano pervenire alla forza e all'altezza dello spirito soprannaturale, a cui non si arriva se il senso corporeo, insieme con la sua operazione, non sia abnegato e messo da parte. Altra cosa è, però, quando l'effetto spirituale ridonda dallo spirito nel senso, perché allora ciò nasce piuttosto da sovrabbondanza di spirito: come abbiamo spiegato più sopra a proposito delle piaghe d’amore, le quali per la gran forza interiore si manifestano fuori. Di ciò abbiamo un esempio anche in S. Paolo, nel quale il vivissimo sentimento dei dolori di Cristo ridondava nel corpo, secondo che egli stesso attesta ai Galati, dicendo: Io porto nel mio corpo le stimmate di Gesù, mio Signore! (Gal 6 ,17)

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15 - Quanto abbiamo detto circa l'inceso e la piaga, ci sembra che basti. Però, essendo essi come li abbiamo qui descritti, quale sarà la mano che li produce e quale il suo tocco? L'anima ce lo fa intendere nel verso seguente, ma più per via di esclamazione che di spiegazione:

O blanda mano! O tocco delicato! 16 - La mano è l'Eterno Padre, onnipotente e pietoso. Dobbiamo credere che questa mano, essendo altrettanto generosa e liberale quanto è potente e ricca, spanderà di certo sull'anima ricchi e magnifici doni, allorché si apre a farle grazie. Ed è per questo che l'anima la chiama blanda mano, quasi dicesse: O mano divina, tu sei tanto più blanda per quest'anima mia che tocchi e accarezzi dolcemente, in quanto che se premessi un po' più, subisseresti il mondo tutto; poiché al solo mirare del tuo sguardo la terra trema (Sal 103 ,32), sono disperse, le genti e stritolati i monti! (Ab 3 ,6). O blanda mano, ripeterò dunque un'altra volta, che mentre fosti dura e rigorosa con Giobbe (Gb 19 ,21). toccandolo solo un pochino aspramente, sei invece per me tanto più amica e soave (e più che non fosti dura per lui), quanto più piacevolmente e graziosamente tocchi nell'anima mia; poiché tu, o Signore, fai morire, e tu fai vivere, e non v'è chi sfugga dalla tua mano! Ma, tu, vita divina, non uccidi mai, se non per dar vita, come mai ferisci, se non per sanare. Quando castighi, tocchi leggermente, e questo basta per consumare il mondo; però, quando accarezzi, lo fai molto di proposito, e perciò il diletto della tua dolcezza è immenso. O mano divina! tu mi piagasti per sanarmi, (Dt 32 ,39) e uccidesti in me ciò che mi teneva morta, senza la vita divina in cui adesso mi sento vivere. E ciò tu facesti con la liberalità della tua generosa grazia che usasti con me, toccandomi con lo splendore della tua gloria e con la figura della tua sostanza, (Eb 1 ,3) che è il tuo Unigenito Figlio, per mezzo di cui tocchi fortemente da un'estremità all'altra, (Sap 8 ,1) essendo Egli la tua sapienza. O mano misericordiosa del Padre! Sì, questo tuo Figlio Unigenito è il tocco delicato, col quale mi toccasti nella forza del tuo inceso, e mi piagasti. I7 - O tocco delicato, Verbo Figlio di Dio, che per la delicatezza del tuo essere divino penetri sottilmente la sostanza dell'anima mia e, tutta toccandola delicatamente, in te l’assorbi tutta in soavi delizie divine, non mai udite nella terra di Canaan, né mai viste in Teman! (Bar 3 ,22) O tocco del Verbo, delicatissimo oltre ogni dire, e per me tanto più delicato, in quanto che avendo tu scosso i monti e spaccato le pietre dell'Oreb con l'ombra del tuo potere e la forza che ti precedeva, ti lasciasti sentire più soavemente e fortemente dal Profeta nel sibilo di un'aura leggera! (3Re 19 ,11-12). O aura delicata, giacché sei tale, dimmi: Come mai tocchi così sottilmente e delicatamente, o Verbo Figlio di Dio, pur essendo così terribile e potente? O felice, felicissima l'anima che toccherai dolcemente! Di’ questo al mondo; ma no, non dirlo al mondo, che niente sa di aura delicata, e non ti sentirà, perché non è capace di ricevere e vedere te (Gv 14 ,17). Ma ben ti vedranno, mio Dio e mia vita, e sentiranno il tuo tocco delicato coloro che, alienandosi dal mondo, si renderanno simili a te nella purezza: essi soli ti potranno sentire e godere. E tanto più delicatamente li toccherai, quanto più nascosto farai dimora nella loro anima, essendo questa già raffinata, pura, libera da tutte le creature e da ogni vestigio e tocco di esse. E in tal guisa li celerai, o Signore, nel nascondiglio del tuo volto (che è il Verbo), proteggendoli dalle molestie degli uomini (Sal 30 ,21), 18 - O tocco delicato, ripeterò un'altra volta e mille altre ancora, e tanto più forte e potente quanto più delicato, poiché con la forza della tua delicatezza sciogli e separi l 'anima dai tocchi delle cose create, riserbandola solo per te, unendola a te solo. Tanto delicato poi è l'effetto, l 'impronta che lasci in lei, che ogni altro tocco di qualsivoglia cosa, alta o bassa che sia, le sembra grossolano e impuro; anzi il solo considerarlo l'offende, ed il trattarlo le riesce di grave pena e tormento. 19 - Conviene sapere che un recipiente è tanto più capace, quanto più in sé è puro (vuoto); e tanto più una cosa si diffonde e comunica, quanto più è sottile e delicata. Ora, il Verbo, che è il tocco impresso nell'anima, è immensamente sottile e delicato; e l'anima è il vaso

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ampio e capace per la grande delicatezza e purità che ha al presente. O tocco delicato, dunque, che copiosamente ti comunichi all'anima mia, a misura della tua sottigliezza e della sua purezza! 20 - Si consideri, inoltre, che più il tocco è fine e delicato, e più apporta diletto dove s'imprime; quanto meno lo è, altrettanto minore è l'effetto che produce. Il tocco divino non ha alcuna massa o mole, perché il Verbo che lo fa è libero da ogni mole, forma, figura, da tutto ciò insomma che suole rivestire e limitare la sostanza; e quindi il tocco di cui parliamo, essendo sostanziale (cioè la sostanza divina), è del tutto ineffabile. O dunque, dirò concludendo, o tocco ineffabilmente delicato del Verbo, che toccando l'anima col tuo semplicissimo essere, il quale, essendo infinito, è infinitamente delicato, tocchi perciò in maniera così soave, amorosa, eminente!

Che sa di vita eterna! 21 - Non in perfetto grado, senza dubbio, ma in questo tocco di Dio si gusta di fatto un certo sapore di vita eterna. Né ciò sembri incredibile, anzi dobbiamo credere che questo tocco è un tocco di sostanza, cioè della sostanza di Dio in quella dell'anima, il qual favore molti santi ottennero in questa vita. È impossibile ridire la delicatezza del diletto che si prova in questo tocco, né io vorrei parlare di ciò, perché non si giudichi che sia non più di quello che se ne dice. Certamente, mancano i vocaboli per nominare e spiegare queste cose di Dio, così sublimi come quelle che passano in certe in certe anime sante: il linguaggio proprio di tali cose è che chi le ha, le intenda e senta per sé, e le goda tacendo. L'anima qui ben vede che queste cose sono, in certo modo, come quella piccola pietra bianca di cui S. Giovanni dice che sarà data a chi vincerà, ed in essa sarà scritto un nome che nessuno sa, eccetto chi lo riceve (Ap 2 ,17), Quindi con tutta verità si può solamente dire: Che sa di vita eterna. Sì, quantunque nella vita presente il tocco divino non si goda perfettamente come nella gloria, tuttavia, essendo tocco di Dio, ha sapore di vita eterna. L'anima qui gusta tutti gli attributi di Dio che le vengono comunicati, quali la forza, la sapienza, l'amore, la bellezza, la grazia e la bontà divina. E poiché Dio è tutte queste cose, l'anima le gusta in un solo tocco di Lui, godendo secondo le sue potenze e la sua sostanza. 22 - Da questo bene goduto dall'anima ridonda a volte nel corpo l’unzione dello Spirito Santo, e ne partecipano tutta la sostanza sensitiva, tutte le membra e le midolla delle ossa, non già in modo rimesso, come suole accadere ordinariamente, ma con sentimento di un così grande diletto e gloria, che pervade sino le estreme giunture dei piedi e delle mani. Il corpo gode gloria così grande in quella dell'anima, che a modo suo magnifica Dio, sentendolo nelle sue ossa secondo quel detto di Davide: Tutte le mie ossa diranno: Signore, chi è simile a Te? (Sal 34 ,10) Ma, poiché tutto ciò che si può dichiarare su questo punto è sempre meno della realtà, basterà dire che, sia rispetto al corpo, sia rispetto allo spirito, quel tocco divino sa di vita eterna.

E sconta ogni partita. 23 - L'anima dice questo, perché nel sapore di vita eterna che gusta, trova la retribuzione dei travagli sofferti per arrivare a questo stato, in cui non solamente si sente soddisfatta e ripagata giustamente, ma premiata assai più del suo merito. Di maniera che intende bene la verità della promessa dello Sposo, il quale nel Vangelo dice che avrebbe dato il cento per uno (Mt 19 ,29). Ed invero, per l 'anima non vi fu travaglio o tentazione o penitenza o qualsiasi patimento, a cui non corrisponda il centuplo di consolazione e diletto in questa vita. Onde ella può ben giustamente affermare: E sconta ogni partita. 24 - Per sapere come e quali siano le partite di cui qui l'anima si sente paga, è da notare che, in via ordinaria, nessun'anima può pervenire al regno, a così alto stato dello sposalizio,5 senza prima passare per molte prove e fatiche; come si dice negli Atti

5 Intendi: matrimonio spirituale, a distinzione degli sponsali o fidanzamento.

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degli Apostoli, bisogna entrare nel Regno dei cieli per mezzo di molte tribolazioni. (At

14 ,21) Ormai però, nel presente stato, esse sono passate, e da qui innanzi l'anima, essendo purificata, non patisce più. 25 - I patimenti che soffrono coloro che devono giungere a questo stato, sono di tre sorta, cioè: angustie, sconforti, timori e tentazioni da parte del mondo, e tutto ciò in molte maniere; tentazioni, aridità e afflizioni da parte del senso; tribolazioni, tenebre, oppressioni, abbandoni, tentazioni ed altre pene da parte dello spirito. In questa guisa l'uomo si purifica secondo le sue parti, spirituale e sensitiva, nel modo che abbiamo detto nella dichiarazione del quarto verso della prima strofa. Le tribolazioni sono necessarie, perché, come un eccellente liquore non si chiude se non in un vaso dalle pareti robuste, preparato e ben pulito, così quest'altissima unione non può darsi in un'anima che non sia fortificata da avversità e tentazioni, e purificata con tribolazioni, tenebre ed angustie: per mezzo delle une si purga e fortifica il senso, e per mezzo delle altre si raffina, si purifica e dispone lo spirito. E come nell'altra vita gli spiriti impuri passano per le pene del fuoco prima di unirsi con Dio nella gloria, così prima dell'unione di perfezione in questa vita devono passare per il fuoco dei patimenti, il quale opera in essi con maggiore o minore intensità, per più o meno tempo, secondo il grado di unione a cui Dio li vuole innalzare, e a proporzione di quanto hanno da purgare. 26 - Mediante i travagli in cui Dio pone lo spirito e il senso, l'anima va acquistando sode virtù, robustezza e perfezione con amaro pascolo, perché la virtù si perfeziona nella debolezza, (2Cor 12 ,9) e si raffina nell'esercizio del patire: il ferro non può riuscire conforme all'idea dell'artefice, se non a forza di fuoco e di martello. A proposito del fuoco, il Profeta Geremia asserisce che Dio glielo pose nell'intelligenza: Dall'alto mandò un fuoco nelle mie ossa, e mi ammaestrò (Thren . 1 ,13). E del martello parla in questi termini: Mi castigasti, o Signore, e rimasi ammaestrato (Ger 31 ,18). E l'Ecclesiastico dice: Chi non è stato tentato, che cosa può sapere? Quegli che non è provato ben poche cose conosce. (Si r

34 ,9-10) 27 - Ma qui è bene notare la causa per cui tanto pochi sono quelli che giungono a così alto stato di perfetta unione con Dio. Ciò avviene, non perché Dio voglia che pochi siano gli spiriti eletti, ché anzi vorrebbe che tutti fossero perfetti; ma perché trova pochi vasi capaci di un'opera così sublime. La maggior parte li sperimenta nel poco, ma li trova fiacchi, tanto che subito rifuggono dalla fatica e non vogliono assoggettarsi con virile pazienza al più lieve incomodo e mortificazione. Quindi ne consegue che Dio, non trovandoli forti e fedeli in quel poco di cui faceva loro grazia cominciando a dirozzarli, vede bene che molto meno lo saranno nel molto, e perciò cessa di purificarli ed innalzarli dalla polvere mediante la fatica della mortificazione, per la quale sarebbe necessaria una costanza e fortezza maggiore di quelli da essi mostrata. Molti, sì, desiderano di andare avanti, e con grande insistenza chiedono a Dio che li tragga e faccia passare a questo stato di perfezione; ma, quando Egli comincia a condurli per i primi travagli e mortificazioni, com'è necessario, non se la sentono di passarvi, si ritirano, rifuggendo dall'angusto sentiero della vita, (Mt 7 ,14e cercando la via larga della propria consolazione, cioè della propria perdizione. (Mt 7 ,13) Così, mentre Dio comincia a concedere loro ciò che domandano, essi non danno spazio per riceverlo, e così restano come vasi inutili e vuoti; perché, pur desiderando di giungere allo stato di perfezione, non vollero essere guidati per la strada dei patimenti dei perfetti; anzi neanche, quasi direi, vollero intraprendere il cammino col sopportare ciò che era meno, ossia quello che comunemente si suole patire. A costoro si. può rispondere con quelle parole di Geremia: Se tu ti affaticasti correndo con quei che andavano a piedi, come potrai gareggiare con i cavalli? Che se hai goduto la quiete in una terra di pace, che farai in mezzo alla superbia del Giordano? (Ger 12 ,5) Il che vale quanto dire: Se nei travagli che per la via piana e ordinaria facilmente s'incontrano da tutti i viventi, avendo tu il passo troppo corto faticavi tanto che ti sembrava di correre, come potrai uguagliare il passo del cavallo, sostenere cioè travagli straordinari e non comuni, per i quali si richiede forza e agilità più che umana? E se tu non hai voluto rinunziare alla pace e al gusto della tua terra, ossia della tua sensualità, non volendo muoverle guerra né contraddirla in cosa alcuna, io non

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so come vorrai entrare nelle acque impetuose delle tribolazioni e delle angustie di spirito che sono più intime. 28 - O anime che desiderate di andar sicure e consolate nelle cose dello spirito! Se voi sapeste quanto vi è necessario soffrire per ottenere questa sicurezza e consolazione, e come senza il patire, non che raggiungere lo scopo desiderato, potreste piuttosto tornare indietro, non cerchereste consolazioni in alcun modo, né da Dio, né dalle creature. Che anzi sopportereste la Croce e, abbracciate ad essa, desiderereste bere lì il fiele e il puro aceto, e riterreste grande fortuna vostra, il vedere che, morendo così al mondo e a voi stesse, vivreste a Dio in delizie di spirito. Soffrendo con pazienza e fedeltà i pochi patimenti esteriori, meritereste che Dio ponesse gli occhi in voi, per purificarvi ben addentro, con alcune pene spirituali più intime, a fine di darvi più intimi beni. Quelli, infatti, a cui Dio fa la grazia segnalata di sperimentarli con prove più interiori, avvantaggiandoli così in doni e meriti, è necessario che già gli abbiano prestato molti servigi, abbiano mostrato grande pazienza e costanza, e si siano resi molto accetti al suo cospetto nella vita e nelle opere loro. Una testimonianza di ciò l'abbiamo nel santo Tobia a cui l 'Arcangelo Raffaele disse che, essendo stato sempre accetto a Dio, questi gli aveva fatto grazia di mandargli quella tentazione, quella prova maggiore, per vieppiù ingrandirlo (Tb 12 ,13). E così fu: poiché dopo la grave tribolazione, passò tutto il resto di sua vita in pace ed allegrezza, come dice la Divina Scrittura. Lo stesso vediamo nel santo Giobbe: avendo Dio gradito le sue opere davanti agli spiriti buoni e malvagi, lo favorì visitandolo con quelle gravi sciagure, per poi esaltarlo assai di più; il che fece moltiplicandogli i beni spirituali e temporali. (Gb 1 ; 2 ; 42 ,12-15) 29 - Similmente Dio opera con quelli che vuole avvantaggiare secondo il profitto principale, permettendo che siano tentati, per poi innalzarli il più possibile, sino a farli giungere all'unione con la sapienza divina, la quale, come dice Davide, è argento passato per il fuoco, provato nel crogiolo di terra, (Sa l 11 ,7) ossia in quello della nostra carne e raffinato sette volte, cioè quanto più si può. Non c'intratterremo qui a dire quali siano queste sette purgazioni e come esse corrispondano ai sette gradi di amore, per mezzo di cui si giunge all'unione con la divina sapienza. Tale unione però, per quanto grande possa essere quaggiù, sarà sempre per l'anima come l'argento di cui Davide fa menzione: ma nell'altra vita sarà oro purissimo. 30 - È molto necessario, dunque, che l'anima sopporti con grande pazienza e costanza tutte le tribolazioni e pene che Dio volesse mandarle. Siano esse interne od esterne, spirituali o corporali, grandi o piccole, deve riceverle tutte dalla mano del Signore, come dirette a suo bene e medicina. Sono la sua salute: non deve quindi fuggirle, ma seguire piuttosto il consiglio del Savio, che dice: Se il potente muoverà contro di te, non abbandonare il tuo posto (cioè quello della tua prova, la quale consiste nella tribolazione che egli ti manda): perché la cura, dice il testo, toglierà i peccati più grandi (Qo 10 ,4). In altre parole. la cura taglierà le radici dei tuoi peccati ed imperfezioni, cioè gli abiti cattivi: la lotta, infatti, che si sostiene nelle pene, angustie e tentazioni estingue gli abiti cattivi e imperfetti dell'anima e le infondono purezza e vigore. Per la qual cosa l'anima faccia molto conto delle tribolazioni interne ed esterne che Dio le manda e, riflettendo che ben pochi meritano di diventare perfetti per mezzo del patire, soffra virilmente a fine di pervenire a così alto stato. 31 - Tornando ora alla spiegazione del verso, diciamo che l'anima qui conosce che tutto le è riuscito a bene, che già «sicut tenebrae eius, ita et lumen eius» (Sal 138 ,12), e come fu partecipe delle tribolazioni, così adesso lo è delle consolazioni e del regno (2Cor 1 ,7). Vedesi molto bene compensata delle sue pene interiori ed esteriori con altrettanti beni divini spirituali e corporali, giacché non vi fu pena cui non corrisponda adesso un grande premio, e quindi assai soddisfatta dichiara apertamente tutto questo, dicendo: E sconta ogni partita. In questo verso ella rende grazie a Dio, come fece Davide, che, essendo stato liberato dai suoi affanni, disse: Quante e quanto amare tribolazioni mi hai fatto provare! Ma, liberandomene, mi ravvivasti, e dagli abissi della terra mi richiamasti. Hai moltiplicato la tua magnificenza e, posando lo sguardo su di me, mi hai consolato! (Sa l

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70,20-21) Sappiamo dalla Sacra Scrittura che Mardocheo era solito star seduto fuori delle porte del palazzo di Assuero, e che quando seppe in pericolo la propria vita, se n’andava piangendo per le piazze di Susa, coperto di cilizio, non avendo neppure voluto accettare il vestito mandatogli dalla regina Ester (Es t 4 ,1). Inoltre malgrado i servigi resi al re e la fedeltà che gli aveva serbata difendendone l'onore e la vita, non aveva ricevuto alcun premio. Orbene, possiamo dire che in tali condizioni si trovasse l'anima prima di arrivare al presente stato. Ma ecco che in un giorno, come precisamente avvenne a Mardocheo, ella è ripagata di tutte le sue fatiche e servigi: ché, non solo viene introdotta nel palazzo al cospetto del Re, adorna di vesti regali, ma il Re stesso, facendola sedere in trono, le mette sul capo il diadema, le porge lo scettro e perfino il proprio anello, affinché disponga ogni cosa a suo piacimento nel regno del suo Sposo. Ed invero, quelli che giungono a tale stato, ottengono ciò che vogliono. Con questo, l 'anima non solo resta ben pagata, ma restano morti i giudei suoi nemici, cioè gli appetiti imperfetti che le andavano togliendo la vita spirituale, in cui ella ormai vive secondo le sue potenze ed appetiti. E perciò ella subito dice:

Morte in vita, uccidendo, hai tu cangiato. 32 - Poiché la morte non è altro che la privazione della vita, subentrando questa, non rimane traccia alcuna di morte. Sotto l'aspetto spirituale, vi sono due sorta di vita, l'una beatifica, che consiste in vedere Dio, e questa si ha da ottenere per mezzo della morte corporale, come dice S. Paolo: Sappiamo che quando questa nostra casa di fango verrà a disfarsi, avremo da Dio una eterna dimora nei cieli (2Cor 5 ,1). L'altra è vita spirituale perfetta, cioè possesso di Dio per unione di amore, e questa si consegue mediante la perfetta mortificazione di tutti i vizi e appetiti e della propria natura. Ma, fintanto che ciò non avvenga, non si può giungere alla perfezione della vita spirituale di unione divina. Anche l'Apostolo lo afferma con queste parole: Se vivrete secondo la carne, morirete; ma se con lo spirito mortificherete le opere della carne, vivrete. (Rm 8 ,13) 33 - Ne segue, quindi, che quello che l'anima qui chiama morte, è tutto l'uomo vecchio cioè l'uso delle potenze, memoria, intelletto e volontà, occupate e impiegate nelle cose del secolo, e gli appetiti e i gusti delle creature. Tutto ciò è esercizio di vita vecchia, che è morte della nuova, di quella spirituale, in cui l 'anima non potrà vivere perfettamente, se anche perfettamente non muore all'uomo vecchio, come l'apostolo ci ammonisce dicendo: Spogliatevi dell'uomo vecchio e rivestitevi dell'uomo nuovo, creato secondo Dio nella giustizia e nella santità (Ef 4 ,22-23). In questa vita nuova, in questa vita di perfetta unione con Dio, di cui andiamo trattando, tutti gli appetiti e le potenze dell'anima, secondo le loro inclinazioni ed operazioni, che per se stesse erano operazioni di morte e privazione di vita spirituale, si cangiano in divine. 34 - E poiché ogni vivente vive per la sua operazione, come dicono i filosofi, l 'anima avendo le sue operazioni in Dio per l'unione con Lui, vive vita divina; quindi la sua morte si è cangiata in vita, cioè da vita animale in vita spirituale, L'intelletto, che prima intendeva naturalmente con la forza e il vigore del suo lume naturale e per la via dei sensi corporei, ora è mosso e informato da un altro principio più alto, dal lume soprannaturale; e, lasciati da parte i sensi, si è mutato in divino, perché per l 'unione esso e l'intelletto di Dio sono tutt'uno. Similmente, la volontà che prima amava in maniera bassa e fredda, soltanto cioè con il suo affetto naturale, adesso si è cambiata in vita d'amore divino, perché ama altamente con divino affetto, mossa dalla forza e virtù dello Spirito Santo, nel quale vive vita di amore, perché per mezzo dell'unione, essa e la volontà di Dio sono una medesima volontà. Così pure la memoria, che di suo percepiva soltanto le figure e i fantasmi delle creature, si è mutata per mezzo dell'unione, ed ha presenti alla mente gli anni eterni, come dice Davide (Sal 76 ,6). L'appetito naturale poi, il quale aveva solo abilità e forza per gustare il sapore delle creature, che dà morte all'anima, ora è cambiato in gusto e sapore divino: è mosso e soddisfatto da un altro principio (in cui è più vivo che mai), ossia dal gusto di Dio, essendo unito con Lui, e quindi ormai soltanto appetito di Dio. Finalmente, tutti i movimenti, operazioni e inclinazioni, che per l'addietro l'anima aveva dal principio e dalla forza della sua vita

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naturale, nell'unione con Dio sono cangiati in movimenti divini, morti alla propria operazione e inclinazione, ma vivi in Dio. Come vera figlia di Dio, l'anima ora è mossa in tutto dallo Spirito Santo, come insegna S. Paolo, dicendo: Quei che sono mossi dallo Spirito di Dio, sono figli di Dio stesso (Rm 8 ,14). Ricapitolando dunque ciò che si è detto, l'intelletto dell'anima è intelletto di Dio; la sua volontà è volontà di Dio; la sua memoria è memoria di Dio; il suo gusto è il gusto di Dio. Che se la sua sostanza non è divina, non potendo ella sostanzialmente convertirsi in Dio, tuttavia, essendo unita e assorbita in Lui nel modo che qui diciamo, è Dio per partecipazione. Ecco ciò che accade nello stato perfetto di vita spirituale, quantunque non così perfettamente come nell'altra vita. Di maniera che l'anima è morta a tutto quello che era in sé, ossia a quello che era morte per lei, ed è viva a ciò che Dio è in sé; e quindi, parlando di se stessa, ben può asserire nel verso: Morte in vita, uccidendo, hai tu cangiato. Ciò posto, l 'anima può anche e con molta ragione ripetere con S. Paolo: Vivo io, non più io, ma Cristo vive in me (Gal 2 ,20). Essendosi la sua morte cambiata in vita di Dio, si avvera in lei il detto dello stesso Apostolo: «Absorpta est mors in victoria» (1Cor 15 ,54). Ed il Profeta Osea, in persona di Dio, dice: O morte, io sarò la tua morte (Os 13 ,14). Come se dicesse: Poiché io sono la vita, essendo morte della morte, questa resterà assorbita nella vita. 35 - In maniera simile l'anima sta assorbita in vita divina, aliena da tutto ciò che è secolare, temporale e appetito naturale, introdotta nella segreta dimora del Re, dove gode e si rallegra nel suo Amato, ricordandosi del suo petto più che del vino, dicendo: Quantunque bruna, pure sono bella, figlie di Gerusalemme, perché la mia naturale nerezza si mutò nella bellezza del Re celeste (Ct 1 ,3-4). 36 - In questa condizione di vita così perfetta, l 'anima interiormente ed esteriormente va come in festa, e assai di frequente emette dalla bocca del suo spirito una voce di gran giubilo divino, un cantico nuovo, sempre nuovo, pieno di letizia e di amore, conoscendo il suo felice stato. A volte in questa fruizione di gaudio va ripetendo nel suo spirito quelle parole di Giobbe, che dicono: La mia gloria sempre si rinnoverà (Gb 29,20); e come la palma moltiplicherò i miei giorni (Gb 29 ,18). Quasi dica: Quel Dio che, rimanendo in sé sempre il medesimo, rinnova tutte le cose, come dice il Savio, essendo ormai sempre unito alla mia gloria, sempre la rinnoverà, ossia non la lascerà tornare ad essere vecchia com'era prima. E come la palma moltiplicherò i miei giorni, cioè i miei meriti per il cielo, al modo stesso che la palma innalza al cielo i suoi rami. I meriti dell'anima in questo stato sono assai numerosi e pregevoli, ed ella nel suo spirito va continuamente cantando a Dio tutto quello che Davide dice nel Salmo che comincia: «Exaltabo te, Domine, quoniam suscepisti me» (Sal 29 ,1), particolarmente gli ultimi due versetti che dicono: «Convertisti planctum meum in gaudium mihi: conscidisti saccum meum, et circumdedisti me laetitia» (Sal 29 ,12): Affinché la mia gloria inneggi a Te e io non sia più in lacrime... Signore, mio Dio, in eterno ti loderò. Né è meraviglia che l'anima si trattenga così di frequente in questo gaudio, giubilo, diletto, e lodi di Dio. Poiché oltre la cognizione che ha delle grazie ricevute, sente che Dio è molto sollecito nel deliziarla con preziose, tenere ed efficaci parole, esaltandola ora con una grazia, ora con l'altra: tanto da sembrarle che Egli non abbia al mondo altra anima da favorire, né altra cosa in cui occuparsi, ma che sia tutto per lei sola. Provando questo sentimento, lo confessa apertamente come la Sposa nei Cantici, dicendo: «Dilectus meus mihi, etego illi». (Ct 2 ,16)

STROFA 3

O lampade di puro Foco, nel cui splendore Del senso mio l’ime caverne estreme, Che cieco era ed oscuro, Con mirabil valore Al caro Ben dan caldo e luce insieme!

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DICHIARAZIONE

1 - Piaccia a Dio concedermi qui il suo favore, che certo mi è molto necessario per dichiarare il senso profondo di questa strofa. Dal canto suo il lettore avrà bisogno di non poca avvertenza, perché se non è esperto di certe cose, forse la spiegazione gli riuscirà alquanto oscura e tediosa, mentre la troverà chiara e gustosa, se per buona sorte ne avesse esperienza. In questa strofa l'anima magnifica il suo Sposo, e lo ringrazia dei grandi favori che riceve dall'unione che ha con Lui. Dice che per mezzo di essa riceve molte notizie sublimi intorno a Lui stesso, e tutte amorose; mediante le quali il senso dell'anima, che prima era oscuro e cieco, e le sue potenze restano illuminati e innamorati con calore di amore, in modo da restituire e luce e amore a Colui che li rischiarò ed innamorò. Il vero amante allora è contento, quando tutto ciò che egli è in sé, tutto ciò che vale, tutto ciò che ha e riceve, lo impiega nell'amato; e quanto più grande è questo suo capitale, tanto più prova piacere nell'offrirlo. L'anima, dunque, qui gode assai, perché può risplendere agli occhi del suo Diletto e amarlo, per mezzo degli splendori stessi e dell'amore che ne riceve.

O lampade di puro Foco.

2 - Primieramente notiamo che le lampade hanno la duplice proprietà ;di effondere luce e dar calore. Per intendere che lampade siano queste di cui parla l'anima, e come splendano e ardano in lei dandole calore, è da sapersi che Dio, nel suo unico e semplice essere, è tutte le virtù e le grandezze dei suoi attributi: è onnipotente, sapiente, buono, misericordioso, giusto, forte, amoroso ecc., con altri infiniti attributi e virtù, che noi non conosciamo. Egli è tutte queste cose nel suo semplice essere. E quando, unito all'anima, giudica opportuno dargliene notizia, ella riesce a vedere distintamente in Lui tutte quelle virtù e grandezze, cioè la divina onnipotenza, sapienza, bontà, misericordia ecc. Ciascuna di queste cose è il medesimo essere di Dio, in un solo supposito suo, che è il Padre o il Figlio o lo Spirito Santo. Ora, se ognuno di questi attributi è il medesimo Dio, e se Egli è infinita luce e infinito fuoco divino, ne segue che in ciascuno di essi, che sono senza numero, risplende e dà calore da quel Dio che è. Quindi ogni attributo divino è una lampada che illumina l'anima, e le infonde calore di amore. 3 - In quanto poi l'anima riceve la cognizione dei vari attributi in un solo atto di questa unione, il medesimo Dio è per lei molte lampade insieme, che chiaramente l'illuminano in sapienza e le apportano calore; poiché da ciascuna di esse l'anima ha distinta notizia ed è infiammata di amore. Cosicché, viene infiammata e da ogni lampada in particolare, e da tutte insieme; perché tutti gli attributi sono, come abbiamo detto, un solo essere, e quindi tutte queste lampade sono una sola lampada che dà luce e arde come molte, secondo le molteplici sue virtù e attributi. Per la qual cosa l'anima, in un solo atto di cognizione di queste lampade, ama per mezzo di ciascuna e di tutte, e in quell'atto riporta un particolare amore da ciascuna e per ciascuna, come pure da tutte e per tutte insieme unite. Ad esempio, lo splendore che emana dalla lampada dell'essere di Dio in quanto onnipotenza, immette nell'anima luce e calore di amor di Dio in quanto è onnipotente; e quindi Egli è lampada di onnipotenza, che le infonde luce, amore ed ogni notizia rispetto a questo attributo. Similmente, lo splendore della lampada dell'essere di Dio in quanto sapienza e bontà, sparge sull'anima luce e calore di amor di Dio in quanto è sapiente e buono, e perciò Dio è per lei lampada di sapienza e bontà. Alla stessa maniera è lampada di giustizia, di fortezza, di misericordia e di tutti gli altri attributi, che in Lui unitamente si rappresentano all'anima. La luce poi che questa riceve da essi tutti, le comunica il fervore di carità divina con cui ama Dio, perché Dio è tutte queste cose. Per conseguenza, in tale comunicazione o manifestazione che Dio fa di sé all'anima (ed è, a mio credere, la maggiore che le possa fare in questa vita), Egli è a guisa d'innumerevoli lampade, che le danno notizia e amore di Dio.

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4 - Queste sono le lampade che Mosè vide sul Monte Sinai, allorché al rapido passaggio di Dio dinanzi a lui, si prostrò a terra, e ne menzionò alcune, prorompendo in questi accenti: Dominatore, Signore Dio, misericordioso e clemente, paziente e pieno di compassione, e verace, che mantieni la misericordia a mille generazioni, che togli le iniquità, i delitti e i peccati, e dinanzi al quale nessuno è per sé innocente (Es 34 ,6-7). Da queste parole si rileva che gli attributi e virtù che Mosè conobbe di più in Dio in quella visione, furono l'onnipotenza, il dominio, la divinità, la misericordia, la giustizia, la verità e la rettitudine, il che fu altissimo conoscimento di Dio. E poiché a misura di questa cognizione fu anche l'amore comunicato a Mosè, bisogna dire che il diletto di amorosa fruizione da lui goduto fu elevatissimo. 5 - Qui, infatti, è da notarsi che il diletto che l'anima riceve nel rapimento di amore, e che viene comunicato dal fuoco della luce di queste lampade, è ammirabile e immenso, perché è così copioso come di molte lampade, ciascuna delle quali arde di amore, aiutata anche dal calore e dalla fiamma dell'altra; non altrimenti che la luce dell'una è aumentata da quella dell'altra, perché per mezzo di qualsiasi attributo si conosce l'altro, e quindi esse tutte sono una sola luce ed un fuoco solo, come ciascuna è una luce e un fuoco. L'anima si trova qui profondamente assorbita in delicate fiamme, piagata di finissimo amore in ognuna di loro, ed in tutte unite ancor più piagata e viva in amore di vita divina. Comprende assai bene che quell'amore è di vita eterna, la quale è unione di tutti i beni (il che ella qui sperimenta in qualche modo), e conosce la verità di quelle parole dello Sposo nei Cantici, quando disse che le lampade dell'amore sono lampade di fuoco e di fiamme (Ct 8 ,6). E altrove: Bella sei tu nei tuoi passi e nei tuoi calzari, figlia del Principe! (Ct 7 ,1) Chi potrà descrivere la magnificenza e la sublimità del tuo diletto e della tua maestà, nel meraviglioso splendore e amore delle tue lampade? 6 - È vero che la Divina Scrittura narra che anticamente una di queste lampade passò davanti ad Abramo, e gli causò grandissimo orrore tenebroso: era però la lampada della severa giustizia che un giorno avrebbe dovuto farsi dei Cananei (Gn 15 ,12-17). Ma tutte queste lampade di notizie divine, o anima così arricchita, che a te brillano in modo così amichevole e amoroso, produrranno in te luce e diletto di amore molto più che quella in Abramo non abbia prodotto tenebre e orrore! E quanto grande, quanto eccellente e vario sarà il tuo godimento, giacché in tutte e da tutte ricevi fruizione di amore, comunicandosi Dio alle tue potenze secondo i suoi attributi e virtù! Quando alcuno ama e benefica un altro, lo benefica ed ama secondo la propria condizione e le proprie qualità: e così il tuo Sposo, stando in te, ti fa le grazie da Quegli che è. Essendo onnipotente, sapiente ed infinitamente buono, ti ama e benefica con onnipotenza, sapienza e bontà. Santo e giusto, ti ama e ti fa grazie con santità e giustizia. Essendo Egli misericordioso, pietoso e clemente, sperimenti la sua misericordia, pietà e clemenza. È l'Essere forte e delicato: e perciò senti che ti ama fortemente e delicatamente. Egli, verace e puro, ti ama davvero e con purezza; liberale (Sap 6 ,17) ti ama e fa grazie con liberalità, senza alcun interesse, soltanto per beneficarti. Egli, che è la virtù stessa della somma umiltà, umilissimamente si abbassa fino a te e con somma estimazione ti ama, ti uguaglia a sé, per questa via di sue notizie Egli stesso ti si mostra dolce e lieto, con quel suo volto pieno di grazia, ed in questa sua unione ti dice, non senza gran giubilo del tuo cuore: Io sono tuo e per te, e godo di essere quale sono, per essere tuo e donarmi a te. 7 - Chi potrà dire, dunque, ciò che senti, o anima fortunatissima, conoscendoti così amata e con tanti pregi ingrandita? Il tuo seno, ossia la tua volontà, è, come quello della Sposa dei Cantici, somigliante ad un mucchio di grano, coperto e attorniato di gigli (Ct 7 ,2). Mentre vai gustando unicamente questi grani di pane di vita, sei deliziata dai gigli delle virtù che ti circondano. Esse, le virtù, sono le figlie del Re di cui Davide dice che ti dilettarono con la mirra, con l'ambra ed altri aromi; perché le notizie che l'Amato ti comunica delle sue grazie e virtù, sono sue figlie, nelle quali sei tanto ingolfata e immersa da sembrare anche il pozzo delle acque vive che scorrono con impeto dal Monte Libano, (Ct 4 ,15) che è Dio. Perciò sei meravigliosamente rallegrata, secondo tutta l'armonia dell'anima tua e del tuo corpo ancora, e divenuta tutta un paradiso divinamente

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irrigato, onde si avveri in te anche quel detto del Salmo: L'impeto del fiume allieta la città di Dio. (Sa l 45 ,5) 8 - Cosa ammirabile! In questo tempo l'anima, a guisa di fonte copiosa, versa acque divine, (Gv 4 ,14) che abbondantemente ne sgorgano da ogni parte: perché quantunque sia vero che la comunicazione di cui parliamo è luce e fuoco di queste lampade di Dio, nondimeno questo fuoco è qui tanto soave che, pur essendo un fuoco immenso, si rassomiglia alle acque della vita, che estinguono appieno la sete dello spirito con l'impeto da esso desiderato. Di maniera che queste lampade di fuoco sono le acque vive dello Spirito Santo, come quelle che discesero sopra gli Apostoli; (At 2 ,3) le quali, benché fossero lampade di fuoco, erano anche acque limpide e pure, come le chiamò il Profeta Ezechiele, quando preannunziò quella venuta dello Spirito Santo, dicendo: Su di voi, dice il Signore, verserò acqua pura, e porrò il mio spirito in mezzo a voi. (Ez 36 ,25) Adunque, il fuoco di cui parliamo è anche acqua: esso è figurato dal fuoco sacro che Geremia occultò nella cisterna, e che era acqua finché stette nascosto; ma, tratto fuori perché servisse al sacrificio, era fuoco. (2 Mac 1 ,20-22) Così pure questo spirito di Dio, in quanto è nascosto nelle vene dell'anima, è come acqua dolce e dilettevole che spegne la sete dello spirito; in quanto poi si esercita in sacrificio di amore a Dio, è fiamme vive di fuoco, lampade dell'atto di amore e delle fiamme di cui parla lo Sposo dei Cantici, nel passo già citato. (Ct 8 ,6) Ben a ragione, quindi, l 'anima nel verso le chiama fiamme, perché non solo le gusta in sé come acque, ma anche le esercita in amore di Dio come fiamme: anzi, in quanto che nella comunicazione dello spirito ella è da esse infiammata e posta in esercizio di amore, in atto di amore, le chiama piuttosto lampade che acque, dicendo: o lampade di puro foco. Tutto ciò che si può dire su tale argomento, è sempre meno della realtà, perché la trasformazione dell'anima in Dio è semplicemente ineffabile. Tutto è racchiuso in queste parole, cioè che l'anima è fatta Dio da Dio, per partecipazione di Lui e dei suoi attributi, chiamati qui lampade dì fuoco.

Nel cui splendore. 9 - Gli splendori delle lampade sono le amorose notizie, che i divini attributi danno di sé all'anima; la quale, unita ad esse secondo le sue potenze, è trasformata anche lei in amorosi splendori. Questa illuminazione divina, per cui l'anima risplende con amoroso calore, non è come la luce riverberata dalle lampade materiali sugli oggetti circostanti, ma come quella delle cose avvolte dalle fiamme, perché l'anima sta dentro quei divini splendori, e perciò dice: Nel cui splendore, cioè dentro; anzi, come si è detto, è trasformata e divenuta tutta splendori. Diremo, quindi, che è come l'aere che sta dentro la fiamma, acceso e trasformato in essa, perché la fiamma non è altro che aria infiammata. I movimenti e gli splendori della fiamma non sono né dell'aria soltanto, né del solo fuoco, ma e dell'aria e del fuoco insieme, il quale però li fa fare all'aria che tiene in sé infiammata. 10 - In tal guisa appunto l'anima con le sue potenze è rischiarata dentro gli splendori di Dio; e i movimenti di questa fiamma divina (che sono le vibrazioni e fiammate dette più sopra) non li fa la sola anima trasformata nelle fiamme dello Spirito Santo, né Egli solo li fa, ma Lui e l'anima uniti, ed Egli muove l'anima, come il fuoco muove l'aria infiammata. Questi moti di Dio e dell'anima, non solamente sono splendori, ma altresì glorificazioni dell'anima stessa. Essi e le fiammate sono gli scherzi amorosi e le allegre feste che, come dicevamo nel secondo verso della prima strofa, lo Spirito Santo fa nell'anima, con i quali sembra che Egli ad ogni momento sia per darle la vita eterna e trasferirla finalmente alla sua gloria perfetta, introducendola davvero in sé. Perocché tutti i beni, primi e ultimi, maggiori e minori, che Dio conferisce all'anima, sono sempre elargiti a fine di condurla a vita eterna: precisamente come il fuoco della fiamma muove con sé l'aria accesa, a fine di dirigerla al centro della propria sfera: e quindi tutti i suoi movimenti sono un certo contrasto o sforzo che fa con l'aria per trarla più a sé. Ma come il fuoco non riesce ad attrarre l'aria, perché questa si trova nella propria sfera; così i moti dello Spirito Santo, quantunque siano efficacissimi nell'assorbire l'anima in molta gloria, tuttavia non vi riescono perfettamente, finché non giunga il tempo in cui l'anima, uscendo

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dalla sfera dell'aria di questa vita mortale, possa entrare nel centro dello spirito, della vita perfetta in Cristo. 11 - Si deve però notare che i movimenti della fiamma divina sono più movimenti dell'anima che di Dio, perché Dio non si muove. Questi riflessi di gloria, comunicati all'anima, sono in Dio stabili, perfetti e continui, con ferma serenità; il che in seguito sarà anche nell'anima, senza alterazioni in più o in meno, e senza interruzione di atto. Ed allora l'anima vedrà chiaramente che Dio in se stesso non si muove, sebbene quaggiù pareva che si muovesse in lei, come neppure il fuoco si muove nella sua sfera; ed anche comprenderà che ella aveva quei moti e vampate nel sentimento della gloria, perché non era perfetta nella gloria. 12 - Da quanto abbiamo detto e diremo, si capirà sempre meglio quanta sia l'eccellenza degli splendori delle lampade divine, i quali con altro nome si chiamano adombramenti. Ad intelligenza di questo vocabolo, notiamo che adombrare vuol dire fare ombra, e ciò equivale a proteggere, favorire e far grazie, perché quando l'ombra di alcuno ci copre, è segno che egli ci sta vicino, a nostro favore e protezione. Quindi è che quella grazia segnalata che il Signore fece alla Vergine Maria, della concezione cioè del Figlio di Dio, l 'Arcangelo S. Gabriele la chiamò adombramento dello Spirito Santo, dicendo: Lo Spirito Santo scenderà su di te, e la virtù dell'Altissimo ti adombrerà.6 13 - Per bene intendere come sia quest'ombra di Dio o adombramento o splendore (che è tutt'uno), si avverta che ogni cosa fa ombra secondo la sua natura e le sue proprietà. Se la cosa è opaca e oscura, farà ombra oscura; se è trasparente, darà un'ombra chiara e leggera; e così l'ombra di una tenebra sarà un'altra tenebra a somiglianza della prima, e l'ombra di una luce sarà un'altra luce dello stesso genere. 14 - Adunque, poiché le virtù e gli attributi di Dio sono lampade accese e risplendenti, ne segue che, stando vicino all'anima come abbiamo detto, non potranno non toccarla con le loro ombre, le quali pure dovranno essere accese e risplendenti come le lampade che le fanno, e quindi queste ombre saranno splendori. Di maniera che l'ombra che la lampada della bellezza di Dio fa all'anima, sarà un'altra bellezza secondo la natura e le proprietà di quella di Dio; l'ombra che fa la fortezza, sarà un'altra fortezza simile a quella di Dio; e l 'ombra che fa la sapienza divina, sarà un'altra sapienza sul tipo di quella di Dio; e così dicasi di tutte le altre lampade. Anzi, per meglio dire, queste ombre saranno la stessa sapienza, la stessa bellezza e la stessa fortezza di Dio, ma in ombra, perché l'anima quaggiù non può perfettamente comprenderlo. Essendo, dunque, quest'ombra della medesima natura e proprietà di Dio, tanto da essere lo stesso Dio, l 'anima ben conosce in ombra l'eccellenza di Lui. 15 - Posto ciò, quali saranno le ombre della grandezza delle divine virtù e attributi, che fa lo Spirito Santo all'anima, essendo tanto vicino a lei che, non solo la tocca con ombre, ma è ad essa unito in ombre e splendori? Ella intende e gusta Dio in ogni ombra, secondo la proprietà e natura di Lui in ciascuna di esse. L'onnipotenza divina l'intende e gusta in ombra di onnipotenza; la sapienza in ombra di sapienza; la bontà in ombra di bontà infinita che tutta l'avvolge, e così via. Finalmente gode la gloria di Dio in ombra di gloria, che le fa conoscere la qualità e il carattere della gloria divina. E tutto questo avviene nelle chiare ed accese ombre di quelle lampade luminose e ardenti, che sono tutte una lampada di un solo e semplice essere divino, che all'anima risplende attualmente in quelle molteplici maniere. 16 - Oh! che cosa, dunque, sentirà qui l'anima? La notizia e comunicazione che riceve è simile alla visione avuta da Ezechiele (Ez 1 ,5), simile cioè alla figura di quei quattro animati a quattro facce ciascuno, e di quella ruota a quattro ruote. L'aspetto degli animali era come quello di lampade e di carboni accesi; la ruota poi, simbolo della sapienza di Dio, dentro e fuori era piena di occhi, che significano le notizie divine e gli splendori

6 Lc 1,35.

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delle divine virtù. E come nel passo di quegli animali Ezechiele udiva quasi un rumore di moltitudine e di eserciti, così qui l'anima conosce distintamente la moltitudine delle divine grandezze, nel suono di un solo passo che Dio fa per lei. Finalmente, se nel battito delle ali degli stessi animali il Profeta udiva come un rumore di molte acque, o come una voce possente dell'Altissimo Dio, l'anima qui sente l'impeto delle acque divine che l'investono, mentre lo Spirito Santo aleggia nella fiamma d'amore letificando l'anima. Ella gode qui una somiglianza e un'ombra della gloria di Dio, come anche lo stesso Profeta dice che la visione da lui avuta era una somiglianza della gloria del Signore. Chi potrà dire quanto esaltata si senta questa anima felice, quanto ingrandita, quanto ammirabile nella sua santa bellezza? Vedendosi così immersa nelle copiosissime acque dei divini splendori, chiaramente conosce che il Padre Eterno le ha elargito con larga mano l'irrigazione superiore e inferiore (come fece ad Axa il padre suo, quando ella sospirando ne lo richiese) (Gdc 1 ,14-15), poiché queste acque, irrigando, penetrano l'anima e il corpo, cioè la parte superiore e inferiore dell'uomo. 17 - O ammirabile eccellenza di Dio! Ché, mentre queste lampade dei divini attributi sono un semplice essere e si gustano solamente in esso, pure si godono e vedono distintamente tanto accesa l'una quanto l'altra, essendo ciascuna sostanzialmente l'altra. O abisso di delizie! che tanto più sei abbondante nelle tue ricchezze, quanto più queste sono raccolte nell'unità e semplicità infinita del tuo unico essere: nel quale una cosa si conosce e gusta in modo tale, da non impedire il conoscimento e il gusto perfetto dell'altra, anzi ciascuna grazia e virtù che è in te, è luce di qualsiasi altra tua grandezza, perché per la tua purità - o Sapienza divina! - molte cose in una si vedono in te. In te si racchiudono i tesori del Padre. Tu sei lo splendore della luce eterna, specchio senza macchia e immagine della sua bontà. (Sap 7 ,26)

Nel cui splendore Del senso mio l’ime caverne estreme.

18 - Queste caverne sono le potenze dell'anima, memoria, intelletto e volontà, le quali sono tanto profonde, quanto capaci di grandi beni, poiché non si riempiono con meno dell'infinito. Da quello che patiscono quando sono vuote, riusciremo in qualche modo a capire ciò che godono, quando sono piene del loro Dio; poiché con un contrario si dà luce all'altro. Primieramente notiamo che queste caverne delle potenze, quando non sono vuote, purgate e monde da ogni affetto di creatura, non sentono il gran vuoto. della loro profonda capacità. In questa vita, qualunque piccola cosa che loro si attacchi, basta per tenerle così imbarazzate e rapite, che non si accorgono del proprio danno, né sentono la mancanza dei loro immensi beni, né conoscono la propria capacità. Fa meraviglia che, pur essendo capaci d'infiniti beni, basti nondimeno la più piccola cosa ad ingombrarle, di modo che non possono ricevere quelli, fino a che non si vuotino del tutto, come tra poco diremo. Ma, quando sono vuote e limpide, la sete e la fame e l'ansietà del senso spirituale sono intollerabili. Essendo profondi i seni di queste caverne, profondamente penano, perché il cibo che loro manca è pure profondo, immenso, in una parola, è Dio. Ordinariamente, questo gran sentimento di pena si prova verso la fine dell'illuminazione e purificazione dell'anima, prima, cioè che ella giunga all'unione divina, dove quell'appetito spirituale viene soddisfatto. La ragione è che allora l'appetito spirituale è bensì purgato da ogni creatura e affetto di essa, ha perduto il carattere naturale conformandosi a ciò che è divino, ed ha ormai preparato il vuoto che si richiede ma tuttavia non ancora gli si comunica il bene divino dell'unione di Dio, e quindi la sete, la pena di quel vuoto, viene ad essere peggiore della morte, tanto più poi quando da alcuni spiragli traspare all'anima qualche raggio divino, ma Dio non glielo comunica. Coloro ai quali ciò avviene, sono quelli che penano con amore impaziente, e non possono durarla a lungo senza ricevere o morire. 19 - Quanto alla caverna che poniamo in primo luogo, cioè l'intelletto, il suo vuoto è sete di Dio, e questa è tanto grande, quando esso è disposto, che Davide la paragona a quella del cervo (e dicono che sia veementissima) non trovandone un'altra maggiore a cui paragonarla, dicendo: Come il cervo desidera la fonte delle acque, così l'anima mia ha

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desiderio di te, mio Dio (Sal 41 ,1). E questa sete è sete delle acque della sapienza divina che è l'oggetto dell'intelletto. 20 - La seconda caverna è la volontà, il cui vuoto consiste in aver fame di Dio, e tanto grande, da far svenire l'anima, secondo ciò che lo stesso Davide dice: L'anima mia sviene dal desiderio dei tabernacoli del Signore (Sal 83 ,3). E questa fame è la perfezione dell'amore, alla quale l'anima aspira. 2I - La terza caverna è la memoria, e il vuoto di questa è struggimento dell'anima per il possesso di Dio, secondo il detto di Geremia: «Memoria memor ero et tabescet in me anima mea; haec recolens in corde meo, ideo sperabo» (Tren . 3 ,20-21): Mi ricorderò continuamente di lui, e l 'anima mia si struggerà dentro di me; ripensando a queste cose nel mio cuore, vivrò di speranza in Dio. 22 - La capacità, dunque, di queste caverne è profonda, perché quello che in esse può contenersi, cioè Dio, è profondo e infinito, e perciò in certo senso la loro capacità è infinita. Per conseguenza, anche la sete e la fame loro è infinita e profonda; e la pena che le strugge è morte infinita poiché, sebbene non si patisca tanto intensamente quanto nell'altra vita, tuttavia si soffre una viva immagine di quell'infinita privazione, essendo l'anima in una certa disposizione a ricevere la sua pienezza. Però questo penare è di diversa tempra, perché è nei seni dell'amore della volontà, e l'amore certamente non è quello che alleggerisce la pena, anzi quanto è maggiore, tanto più è impaziente del possesso di Dio, che esso aspetta da un momento all'altro con intensa brama. 23 - Del resto però, certo è che quando l'anima desidera Dio veramente, già possiede quello che ama, come dice S. Gregorio sopra S. Giovanni: Come può penare per quello che già possiede?7 E senza dubbio, nel desiderio che, a detta di S. Pietro,8 gli angeli hanno di vedere il Figlio di Dio, non v'è alcuna pena né ansia, perché già lo possiedono. Ora, se l'anima possiede Dio a misura che lo desidera, e se il possesso di Dio le apporta diletto e sazietà, pare che nessuna pena possa aver luogo in lei, come negli angeli. Questi, mentre soddisfano il loro desiderio, si dilettano nel possesso, e sempre saziano il loro spirito con l'appetito, senza fastidio di sazietà; non provando quindi alcun fastidio, sempre desiderano, e godendo del possesso, non penano. Dunque anche l'anima dovrebbe sentire, non già pena e dolore, ma piuttosto tanto maggior piacere e sazietà, quanto maggiore è il suo desiderio, perché tanto più allora possiede Dio. 24 - Ma in tale questione bisogna bene avvertire la differenza che v'è tra possedere Dio per grazia solamente e possederlo anche per unione, perché altro è volersi bene, altro è anche comunicarsi. La differenza è come quella che passa tra fidanzamento e matrimonio: nel fidanzamento vi è soltanto un sì scambievole, una sola volontà d'ambo le parti, gioielli e ornamenti di fidanzata, donati graziosamente dal fidanzato; ma nel matrimonio vi è pure unione delle persone. Nel fidanzamento, benché alcune volte vi siano visite e regali dell'uno all'altra non vi è però l'unione delle persone, la quale è il fine cui mira. Così accade nel fidanzamento spirituale., quando l'anima è giunta ad avere in sé e nelle sue potenze tanta purezza, che la volontà, secondo la parte inferiore e superiore, è molto purgata da altri gusti e appetiti estranei a Dio, e rispetto alla rinunzia di essi gli ha dato intieramente il sì del suo consenso. Essendo allora una sola la volontà di Dio e quella dell'anima in uno spontaneo e libero consenso, l'anima possiede Dio per grazia di volontà, e tutto ciò che può avere per via di volontà e di grazia, poiché al sì di lei Dio ha corrisposto col suo vero e intero sì della sua grazia. 25 - Questo è l'alto stato di fidanzamento spirituale dell'anima col Verbo, nel quale stato lo Sposo le fa grazie singolari, e molto spesso la visita amorosissimamente. In tali visite ella riceve grandi favori e diletti, i quali però non hanno che vedere con quelli del matrimonio, ma sono tutte disposizioni a tale unione. Poiché, sebbene l'anima sia già

7 Hom. 30 in Evang. n. 1. ML 76, 1220. 8 1Pt 1,12.

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purgatissima da ogni affetto di creature (ché non può darsi fidanzamento spirituale senza questa condizione), tuttavia ha bisogno di ricevere altre disposizioni positive da Dio, che cioè Egli con le sue visite e i suoi doni la renda sempre più pura, delicata e bella, in modo da essere convenientemente disposta a quell'unione sublime. A tal fine si richiede del tempo: in alcune anime di più, in altre meno, perché Dio va compiendo l'opera sua adattandosi all'indole dell'anima stessa. Tutto ciò è figurato da quelle donzelle che furono scelte per il re Assuero (Es t 2 ,12): le quali, non solo erano state tratte dalle loro terre e dalla casa paterna, ma prima di essere introdotte nelle stanze del re, erano tenute chiuse (sebbene in palazzo) per lo spazio di un anno, affinché per mezzo anno si preparassero con certi unguenti di mirra e altri aromi, e dopo con altri unguenti più scelti e preziosi. 26 - Nel tempo, dunque, di questo fidanzamento o aspettativa del matrimonio nelle unzioni dello Spirito Santo, quando ormai gli unguenti dispositivi all'unione con Dio sono più eccellenti, le ansie delle caverne dell'anima sogliono essere delicatissime e portate all'estremo. Quegli unguenti, essendo più vicini a Dio, dispongono più prossimamente all'unione divina, e fanno sì che l'anima resti allettata, e, per così dire, ingelosita di Dio, con un desiderio più delicato e profondo, poiché il desiderio di Dio è disposizione per unirsi a Lui.

[ D i g r e s s i o n e s u l l a D i r e z i o n e s p i r i t u a l e ]

26 - Oh! se non fosse fuori del nostro proposito, sarebbe proprio questo il luogo opportuno per avvertire le anime che Dio fa giungere a queste delicate unzioni, dicendo loro che badino bene a ciò che fanno e in quali mani si mettono, a fine di non tornare indietro. Mi stringe il cuore per compassione vederle retrocedere, non solo perché non si lasciano ungere in modo che l'unzione divina prosegua oltre, ma anche perché perdono i buoni effetti di essa. Non posso quindi omettere di dar loro qualche avviso intorno a ciò che devono fare per evitare un danno sì grande; e sebbene c’intratterremo un poco in questa digressione, torneremo presto al nostro argomento. Del resto, tutto quel che dirò, servirà a meglio intendere le proprietà delle suddette caverne; e poiché ciò è molto necessario non solo a quelle anime che camminano così prosperamente, ma anche a tutte le altre che vanno in cerca del loro Amato, lo voglio dire. 28 - Primieramente si sappia che, se l'anima cerca Dio, molto più il suo amato Signore cerca lei: e se ella gli dirige i suoi desideri amorosi, tanto graditi a Lui quanto la nuvoletta di fumo che esce dalle spezie aromatiche della mirra e dell'incenso (Ct 3 ,6), Egli pure da parte sua le invia il profumo dei suoi unguenti, con cui l 'attrae e la fa correre verso di Lui. Gli unguenti sono le sue divine ispirazioni e tocchi, i quali, sempre che siano suoi, vanno diretti e regolati dal motivo della perfezione della legge divina e della fede, mediante la cui perfezione l'anima deve sempre più avvicinarsi a Dio. Quindi ella si persuada che il desiderio di Dio in tutte le grazie che le fa nelle unzioni odorose dei suoi unguenti, è di disporla per altri unguenti più eccellenti e delicati, più conformi al carattere di Dio, fino a che non arrivi ad una disposizione così delicata e pura, da meritare l'unione di Dio e la sostanziale trasformazione di tutte le sue potenze. 29 - L'anima avverta che in quest'opera Dio è il Principale agente, e la guida del cieco che la deve condurre per mano dove ella non saprebbe andare, ossia alle cose soprannaturali, che né il suo intelletto, né la volontà, né la memoria possono sapere come siano; e quindi sua cura principale sarà di non porre ostacoli a chi la guida secondo il cammino che il Signore le ha tracciato rispetto alla perfezione della sua legge e della fede. L'impedimento potrà incontrarlo, se si lascia condurre e guidare da un altro cieco; e i ciechi che la potrebbero sviare dalla retta strada sono tre, cioè: il direttore spirituale, il demonio e lei stessa. Ed affinché l'anima intenda come ciò possa accadere, parleremo un poco di ciascuno di questi ciechi. 30 - Anzitutto l'anima che vuole progredire nel raccoglimento e nella perfezione, deve necessariamente badare alle mani di chi si affida, perché quale è il maestro, tale sarà il discepolo, e quale il padre, tale il figlio. Per questo cammino, almeno per il tratto più sublime di esso ed anche per quello di mezzo, difficilmente si troverà una guida

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fornita di tutte le qualità che si richiedono: perché, oltre ad essere dotta e discreta, è necessario che sia esperta. È vero che, per dirigere lo spirito, il fondamento è la scienza e la discrezione; ma se il direttore non ha esperienza di ciò che è puro e vero spirito, non indovinerà ad incamminarvi l'anima quando Dio ad essa lo concede, anzi neppure saprà intenderlo. 31 - Molti maestri spirituali apportano grave danno, perché non intendendo le vie e le proprietà dello spirito, spesso fanno perdere a molte anime l'unzione di quei delicati unguenti, con cui lo Spirito Santo le va ungendo e disponendo per sé. Essi invece insegnano loro altri modi volgari, usati da essi o letti qua e là, adatti tutt'al più per i principianti. Non sapendo altro che questi modi (e piacesse a Dio che li sapessero), non lasciano passare le anime, quantunque Dio lo voglia, a cose maggiori di quei principi e modi discorsivi e immaginari; insomma non permettono che un'anima esca dai limiti della capacità naturale, con la quale però ella può far ben poco.

[Sta to de i Pr inc ip ian t i ] 32 - Ora, perché meglio s'intenda la condizione o stato di principianti, diciamo che l'esercizio proprio di essi è meditare e fare atti discorsivi con l'immaginazione. In questo stato è necessario che all'anima si porga materia di meditazione e discorso, e che ella dal canto suo faccia atti interiori e si giovi del gusto sensibile nelle cose di spirito; affinché, nutrendo l'appetito col sapore delle cose spirituali, si distacchi dal sapore di quelle sensuali e abbandoni tutto ciò che sa di mondo. Ma, quando l'appetito è già un po' nutrito e abituato alle cose dello spirito in qualche modo con una certa fortezza e costanza, subito Dio comincia a divezzare, come si dice, l'anima dal latte, e a porla nello stato di contemplazione; il che suole accadere in alcuni molto presto, massime tra persone religiose; perché, avendo queste lasciato le cose del secolo, in più breve tempo sanno adattare a Dio il senso e l'appetito, e ne trasferiscono l'esercizio allo spirito, operando Dio in esse. Ciò avviene, quando da parte dell'anima cessano gli atti discorsivi, le meditazioni, i gusti e i fervori sensitivi di un tempo. Ella non può più discorrere come prima, né trovare alcun appoggio al senso; e questo allora resta nell'aridità, in quanto che gli trasferiscono il suo capitale allo spirito, che non cade nel senso. E poiché naturalmente tutte le operazioni che l'anima può fare di suo, non sono se non per mezzo del senso, ne segue che Dio in questo stato è l'agente, e l'anima la paziente; perché ella è il soggetto che riceve e quello in cui si opera, e Dio è quegli che dà e agisce in lei, comunicandole i beni spirituali nella contemplazione (che è notizia e amor divino insieme, ossia notizia amorosa), senza che l'anima faccia uso dei suoi atti e discorsi naturali, non potendo più entrare in essi come per il passato. 33 - Per conseguenza, in questo tempo l'anima deve essere guidata in modo affatto contrario a quello di prima. Se prima le si dava materia per meditare, e meditava, ora piuttosto gliela si tolga e le si proibisca di meditare, perché per quanto volesse, non potrebbe farlo, e invece di raccogliersi si distrarrebbe. E se prima cercava pascolo e amore e fervore, e lo trovava, non più lo desideri e cerchi, perché malgrado, ogni sua diligenza non lo troverà; anzi ne ricaverà aridità, perché l'opera che vuol fare per via del senso, la distrae dal bene pacifico e quieto che segretamente viene infuso nello spirito. E così, perdendo una cosa, non fa l'altra, poiché i beni non le sono comunicati più per mezzo del senso come per l’innanzi. Perciò in questo stato, assolutamente non le si deve imporre che mediti, o che si eserciti in atti o procuri gusto e fervore, perché ciò sarebbe mettere ostacolo al principale agente, che è Dio, il quale di nascosto e in silenzio va infondendo sapienza e notizia amorosa, senza specificazione di atti; solo alcune volte li fa specificare nell'anima con qualche durata. Quindi anche l'anima cammini soltanto con avvertenza amorosa a Dio, senza specificare atti. Si comporti, ripeto, passivamente, senza sforzi da parte sua, con determinazione e avvertenza amorosa, semplice e pura, come chi apre gli occhi fermandoli amorosamente sull'oggetto amato. 34 - Giacché allora Dio, nel modo di dare, tratta con l'anima con notizia semplice e amorosa, anch'ella, nel modo di ricevere, tratti con Lui con notizia e avvertenza semplice e amorosa, affinché così si uniscano notizia con notizia e amore con amore. È necessario che chi riceve si adatti al modo di ciò che riceve e non in altra maniera, a fine di poterlo

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ricevere e ritenere come glielo danno; perché, come dicono i filosofi, qualunque cosa che si riceve sta nel recipiente secondo il modo del medesimo. È chiaro quindi che, se l 'anima non lasciasse il suo modo attivo naturale non riceverebbe quel bene che in modo naturale; e perciò non lo riceverebbe ma rimarrebbe solamente con atto naturale, perché il soprannaturale non può essere contenuto in un modo naturale, né ha che vedere con esso. Insomma, se l'anima volesse operare di suo, comportandosi altrimenti che con avvertenza amorosa passiva, molto passivamente e tranquillamente, senza far alcun atto naturale (eccetto quando Dio stesso la unisse in qualche atto), porrebbe impedimento ai beni che soprannaturalmente Dio le sta comunicando nella notizia amorosa. Tutto ciò, al principio, accade con esercizio di purgazione interiore in cui l'anima patisce, ma in seguito avviene con soavità di amore. Se questa notizia amorosa, ripeto, e così è la verità, si riceve passivamente al modo soprannaturale di Dio e non al modo naturale dell'anima, ne segue che, per riceverla, ella deve essere molto annichilita nelle sue operazioni naturali, ed essere sgombra, inoperosa, quieta, pacifica e serena, al modo di Dio: proprio come l'aria che, quanto è più libera da vapori, pura e quieta, tanto più è illuminata e riscaldata dal sole. L'anima, quindi, non si attacchi a cosa alcuna: non ad esercizio di meditazione, né a discorso; non a sapore alcuno, sia sensitivo, sia spirituale; non ad altre apprensioni di sorta; poiché si richiede che lo spirito sia libero e annichilito rispetto a tutte le cose. Qualsiasi pensiero o discorso o gusto a cui l'anima si volesse appoggiare, le sarebbe d'impedimento e disturbo, e farebbe strepito nel profondo silenzio che necessariamente deve albergare in essa, secondo il senso e lo spirito, per una così profonda e delicata audizione di Dio, che parla al cuore in questa solitudine, come Egli disse per bocca di Osea (Os 2 ,14). E in somma quiete e tranquillità l'anima ascolti, come Davide (Sal 84 ,9), ciò che il Signore Dio dice in lei, poiché Egli proferisce parole di pace in questa solitudine. 35 - Pertanto, ogni qualvolta accadrà che l'anima si senta in questo modo porre in silenzio e in ascolto, ha da dimenticare anche l'esercizio della suddetta avvertenza amorosa, perché resti libera per quello che il Signore allora vuole da lei. Di quella attenzione amorosa faccia uso soltanto quando non si sente posta in solitudine e ozio interiore, od oblio o ascoltazione spirituale; e ciò (affinché lo intenda sempre quando accade) avviene con qualche riposo pacifico e assorbimento interiore. 36 - Dunque, dopo che l'anima ha cominciato a entrare in questo semplice e ozioso stato di contemplazione, quando cioè non riesce più a meditare, non si proponga mai materia di meditazione, né si appoggi a succhi o sapori spirituali, ma stia in piedi, senza sostegno, con lo spirito affatto districato da tutto ciò, come Abacuc disse che avrebbe dovuto fare per udire le parole del Signore: Starò in piedi, dice il Profeta, sul mio posto di guardia, e fermerò il mio passo... per contemplare ed intendere ciò che mi si dirà (Ab

2 ,1). Vale a dire: Alzerò la mia mente da tutte le operazioni e notizie che possono cadere sotto i miei sensi, e da ciò che questi possono custodire e ritenere in sé lasciando tutto abbasso; fermerò il passo, quello cioè delle mie potenze, non permettendo loro di muovere alcun passo di operazione proprio, affinché io possa ricevere per contemplazione quello che mi verrà comunicato da parte di Dio: abbiamo detto, infatti, che la pura contemplazione consiste nel ricevere. 37 - Questa altissima sapienza e linguaggio di Dio, qual è la contemplazione, non si può ricevere che con lo spirito in silenzio e distaccato dai gusti e dalle notizie discorsive. Lo dice Isaia con queste parole: «A chi insegnerà Dio la sua scienza, e a chi farà udire le sue parole» ? E rispondendo, soggiunge: «A coloro che sono già divezzati dal latte», cioè dai gusti, «e staccati dal petto» (Is 28 ,9), cioè dalle notizie e apprensioni particolari. 38 - Togli via, o spirituale, i bruscoli che ti annebbiano la vista; netta l'occhio tuo, ed il sole ti brillerà, e vedrai chiaro. Metti l 'anima tua in pace, redimendola dal giogo e dalla servitù delle fiacche operazioni della sua capacità, liberandola cioè dalla schiavitù dell'Egitto, dove tutto è poco più che radunare paglie per cuocere terra. E tu, maestro di spirito, guidala alla terra di promissione, che abbonda di latte e di miele; e considera che Dio stesso l'invita a questa libertà e ozio santo dei figli suoi, e la chiama al deserto,

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perché in esso vada vestita a festa, ornata con gioielli d'oro e d'argento, dopo avere ormai abbandonato l'Egitto (cioè la parte sensitiva), lasciandolo vuoto delle sue ricchezze. E non solo questo, ma ha pure annegato i gitani9 nel mare della contemplazione, dove quel girovago del senso, non trovando sostegno su cui poggiare il piede, si affoga, lasciando libero il figlio di Dio, ossia lo spirito. Sappi che questo è uscito una buona volta dai confini e dalla schiavitù dell'operazione dei sensi, cioè dal suo corto intendere, dal suo basso sentire, dal suo misero modo di amare e godere, affinché Dio gli porga la sua manna soave (Sap 16 ,20); il cui sapore, quantunque contenga tutti quei gusti in cui tu vorresti trascinare l’anima con fatica, nondimeno, essendo tanto delicato da sciogliersi in bocca, non si potrà sentire, se va congiunto con qualunque sapore di altre cose. Quando, dunque, l'anima arriva a tale stato, procura tu, maestro, di distoglierla da tutte le brame di sapori, di gusti e meditazioni spirituali, e non l'inquietare con sollecitudine alcuna di cose superiori, e molto meno inferiori. Procura di ridurla ad un totale distacco e alla maggiore solitudine possibile; perché quanto più otterrà ciò, e quanto più presto giungerà a quest’ozio tranquillo, tanto più abbondantemente le verrà infuso lo spirito della divina sapienza, il quale è amoroso, tranquillo, solitario, pacifico, soave, ed inebria talmente l'anima che ella si sente piagata e rapita in modo tenero e soave, senza sapere da chi, né da dove, né come: e questo, perché lo spirito di sapienza si comunicò, senza che l'anima operasse da parte sua. 39 - Un pochino solo di ciò che Dio opera nell'anima in questo santo ozio e solitudine, è un bene inestimabile, a volte molto maggiore di quel che l'anima e chi la dirige possano pensare: che se sulle prime non si conosce tanto, a suo tempo però apparirà in tutto il suo splendore. Quello almeno che al presente l'anima potrebbe sperimentare, è di sentirsi distaccata ed estranea, ora più ora meno, da tutte le cose, con propensione alla solitudine, con tedio di tutte le creature del secolo, con respiro soave di amore e di vita nello spirito: onde tutto quello che non sa di distacco, le si rende insipido, perché, come dicono, gustando lo spirito, la carne diventa insipida. 40 - Ma, ripeto, i beni che quest'occulta comunicazione o contemplazione lascia impressi nell'anima, senza che ella se ne avveda, sono inestimabili: sono unzioni segretissime, e perciò delicatissime dello Spirito Santo, le quali nascostamente riempiono l'anima di ricchezze, di doni e di grazie spirituali; perché essendo Dio l'agente, opera da quel Dio che è. 41 - Queste sublimi unzioni e finezze dello Spirito Santo sono delicate e pure, e per la loro delicatezza e purezza non sono comprese né dall'anima né da chi la dirige, ma solamente da Colui che le pone nell'anima per compiacersi maggiormente di lei: tanto delicate, che per il minimo atto che volesse fare con le sue potenze, ovvero con applicarvi il senso o l'appetito o la notizia o il gusto, verrebbero disturbate o impedite con la massima facilità; il che è un grave danno che ispira pietà immensa.10 42 - O caso miserando e assai da compiangersi ché mentre non appare il danno, e sembra quasi un niente ciò che si frappose in quelle sante unzioni, proprio allora il danno è maggiore, e più doloroso di quel che non sarebbe, se si disturbassero e mettessero in pericolo molte altre anime che battono una via ordinaria, e non sono collocate in un grado così sublime. Non altrimenti che, se una rozza mano toccasse con vili e grossolani colori un bel volto dipinto con estrema finezza, il danno sarebbe più rilevante ed ispirerebbe maggior rincrescimento, che se ne guastasse molti altri, dipinti alla buona. E poi, nel caso nostro, quella mano tanto delicata, che era dello Spirito Santo e che una rozza mano osò disturbare, chi mai saprà imitarla? 43 - Eppure, benché questo danno sia più grave di quanto si possa esprimere, è così comune e frequente, che appena si troverà un maestro spirituale che non lo apporti

9 Voce spagnola derivata da «egiziano»: zingari, gente senza fissa dimora, discendente, a quanto si crede, dagli egiziani. 10 Cf Cantico Spirituale, Strofa 29, n. 2.

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alle anime che Dio comincia in tal modo a raccogliere in contemplazione. Molte volte, infatti, Dio sta ungendo l'anima contemplativa con qualche delicatissima unzione di notizia amorosa, serena, pacifica, solitaria, molto remota dal senso e da ogni pensiero; ciò posto, l'anima non può meditare né godere cosa alcuna, sia celeste, sia terrena: tanto Dio la tiene assorta in quella segreta unzione ed inclinata alla quiete e alla solitudine! Ma ecco che viene un maestro spirituale, il quale non sa che martellare, come un fabbro, e battere di mazza le potenze; e poiché non insegna più di questo, ossia non sa far altro che meditare, dirà: Via, lasciate queste sciocchezze, che non sono altro che ozio e perdita di tempo, ed applicatevi piuttosto alla meditazione, facendo atti interiori, perché bisogna che da parte vostra facciate quanto potete: sono tutte illusioni e balordaggini le vostre!... 44 - Coloro che parlano così, non intendono i gradi di orazione né le vie dello spirito, e perciò non riescono a vedere che l'anima ha già fatto quegli atti che ora vorrebbero suggerirle, ed ha già finito di camminare per via di meditazioni, essendo ormai giunta alla negazione e al. silenzio delle operazioni del senso e del discorso, ed è entrata nella via dello spirito, che è la contemplazione, in cui quelle operazioni cessano. Dio solo è l'agente, Egli solo è che adesso parla segretamente all'anima solitaria, mentre essa tace. Sappiano dunque che, se la volessero fare camminare ancora con il senso, dopo ch’è arrivata al punto che diciamo, necessariamente verrebbe distratta e tornerebbe indietro. Colui che, toccata la meta, volesse ancora camminare per giungervi, oltre fare azione ridicola, necessariamente se ne allontanerebbe. Così è nel caso nostro. Quando, mediante l'operazione delle potenze, l'anima è pervenuta al tranquillo raccoglimento interiore (cui ogni spirituale anela e nel quale cessa l'operazione di quelle), sarà non solo vano ma anche dannoso tornare a fare atti con le medesime per conseguire il detto raccoglimento, perché mentre già lo godeva, verrà a perderlo distraendosi. 45 - Molti maestri di spirito, dunque, non intendendo che cosa sia il raccoglimento, né le proprietà della solitudine spirituale, in cui Dio infonde nell'anima quelle sublimi unzioni, vi sovrappongono e frammischiano altri unguenti di più basso esercizio spirituale, spingendola ad agire con l'opera sua. Però tra questa e ciò che l'anima aveva, ci corre tanta differenza, quanta ne corre tra l'opera umana naturale e l'opera divina soprannaturale; nella prima agisce soltanto l'anima, naturalmente; nella seconda agisce Dio, soprannaturalmente. E il peggio è che, per esercitare la sua operazione naturale, l 'anima perde la solitudine e il raccoglimento interiore e, per conseguenza, dissipa l'opera sublime che Dio in essa dipingeva; e quindi tutto si riduce a battere sull'incudine, danneggiando da una parte e non giovando dall'altra. 46 - Riflettano quei direttori di spirito che il principale agente, duce e motore delle anime in tale opera non sono loro, ma lo Spirito Santo, che non lascia mai, di averne cura; e che essi sono soltanto strumenti per indirizzarle alla perfezione per mezzo della fede e della legge divina, secondo lo spirito che Dio va donando a ciascuna. Quindi l'unico loro pensiero sia di non conformarle al modo e alla condizione propria di essi; ma piuttosto considerino, se ne sono capaci, per quale via Dio le conduca, e se non lo sono [capac i ] , non le disturbino, ma le lascino in pace. Conforme poi allo spirito e al cammino per dove Dio le conduce, procurino di guidarle sempre a maggiore solitudine, quiete e libertà di spirito, dando loro larghezza, perché non attacchino il senso corporeo e il sentimento spirituale a cosa particolare interiore o esteriore, quando Dio le conduce per questa solitudine. E non si diano pena e affanno pensando che non si faccia cosa alcuna; perché quantunque l'anima allora non la faccia, la fa Dio in lei. Procurino di sbarazzare l'anima e porla in ozio, di modo che non stia attaccata ad alcuna notizia particolare né a desiderio di qualche succo o gusto o altra apprensione, ma sia vuota, nella pura rinunzia ad ogni creatura, in perfetta povertà di spirito. E questo è ciò che anche l'anima deve fare da parte sua, secondo il consiglio del Figlio di Dio, che dice: Chi non rinunzia a tutte le cose che possiede, non può essere mio discepolo (Lc 14 ,33). Il che s'intende non solamente della rinunzia di tutte le cose temporali secondo la volontà, ma anche dello sproprio di quelle spirituali: in ciò consiste la povertà di spirito, nella quale il Figlio di Dio ripone una delle beatitudini (Mt 5 ,3). Se l'anima, dunque, farà quello che può dal canto suo, cioè se giungerà ad essere vuota e spropriata di tutte le cose, è impossibile

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che Dio ometta di fare quanto è da parte sua, ossia di comunicarsi a lei, almeno in segreto silenzio: più impossibile anzi dell'ipotesi assurda che il raggio del sole non risplenda nel cielo sereno. E come il sole sorge di buon mattino per entrare col suo raggio in casa tua, purché tu gli apra la finestra; così Dio, che non dorme nel custodire Israele (Sal 120 ,4), entrerà nell'anima vuota e la riempirà di beni divini. 47 - Dio sta come un sole sopra le anime, per comunicarsi a loro. Quelli che le dirigono, si contentino di disporle a ciò secondo la perfezione evangelica, che consiste nella nudità e nel vuoto del senso e dello spirito; e non vogliano passare oltre, a edificare, ché questo appartiene solo al Padre dei lumi, dal quale discende ogni bene ottimo e ogni dono perfetto (Gb 1 ,17) poiché se il Signore, come dice Davide, non edifica la casa, invano si affatica chi l 'edifica (Sal 126 ,1). E poiché egli è l 'artefice soprannaturale, edificherà soprannaturalmente in ogni anima l'edificio che vorrà, se tu, maestro, gliela disponi, procurando di annichilarla circa le sue operazioni e affezioni naturali, con cui essa non ha abilità e forza per l'edificio soprannaturale, e da cui è disturbata in questo tempo, anziché aiutata. Preparare l'anima è ufficio tuo; ma spetta a Dio, come dice il Savio (Pro

16 ,1-9), dirigerne i passi ai beni soprannaturali, per vie e maniere che né l’anima né tu intendi. Non dire quindi: Oh! ma così l 'anima non profitta, perché non fa niente. È vero che non fa niente, ma appunto per questo io qui ti proverò che fa molto. Poiché se l'intelletto si va vuotando delle intelligenze particolari, sia naturali sia spirituali, progredisce di certo, e quanto più abbandonerà l'intelligenza particolare e gli atti d'intendere, tanto più andrà innanzi, camminando al sommo bene soprannaturale. 48 - Forse insisterai col dire che, se non intende alcuna cosa distintamente, non potrà progredire. Ma io ti rispondo: se intendesse distintamente, non progredirebbe. La ragione è che Dio, a cui l’intelletto s’incammina, eccede questa potenza, essendo incomprensibile e inaccessibile ad essa; perciò, quando l'intelletto intende, non si va avvicinando a Dio, ma se ne allontana. Piuttosto, esso deve allontanarsi da se stesso e dalla sua intelligenza per avvicinarsi a Dio, camminando in fede, ossia credendo e non intendendo. In questa maniera l'intelletto giunge alla perfezione, poiché per fede, non per altro mezzo, si unisce con Dio; e l'anima più si avvicina a Dio non intendendo che intendendo. Pertanto non ti prendere pena, ché se l'intelletto non torna indietro (come accadrebbe se volesse applicarsi in notizie distinte e ad altri discorsi e pensieri), se vorrà, dico, starsene inattivo, di sicuro andrà avanti, perché va vuotandosi di tutto quello che in esso poteva cadere. Niente di ciò era Dio, perché Egli non può entrare in un cuore occupato. A tal punto di perfezione il non retrocedere è un progredire, e il progresso dell'intelletto consiste nello stabilirsi sempre più in fede, e quindi nell'oscurarsi sempre più, essendo la fede tenebra per l'intelletto. Questo ( l ’ in te l le t to ), non potendo sapere come è Dio, di necessità ha da camminare sottomesso a Lui, cioè senza intendere, e quindi per il suo benessere gli conviene ciò che tu condanni, ossia che non s'impieghi in intelligenze distinte, giacché con esse non può arrivare a Dio, ma si crea ostacoli nell'andare a Lui. 49 - Ma, ripiglierai, se l’intelletto non comprende distintamente, la volontà starà oziosa e non amerà; e questo deve sempre fuggirsi nel cammino spirituale. E la ragione è perché la volontà non può amare se non quello che l'intelletto conosce. Sì, ciò è vero quando si tratta delle operazioni e degli atti naturali dell'anima, nei quali la volontà non ama se non quello che l'intelletto comprende distintamente. Ma nella contemplazione di cui parliamo, mediante la quale Dio infonde di sé nell'anima, non v'è bisogno che vi sia notizia distinta né che l'anima faccia atti d'intelligenza, perché in un solo atto Dio le comunica luce e amore insieme, ossia notizia soprannaturale amorosa che, possiamo dire, è come una luce calda che riscalda, luce che in pari tempo innamora. Tuttavia è una luce confusa e oscura per l'intelletto, perché è notizia di contemplazione, la quale, come dice S. Dionisio, è raggio di tenebra all'intelletto. Ora, al modo stesso che è la cognizione nell'intelletto, è anche l'amore nella volontà. E come nell'intelletto la notizia infusa da Dio è generale ed oscura, senza distinzione d'intelligenza, così pure la volontà ama in generale senza distinzione alcuna di cosa compresa in particolare. Essendo Dio luce e amore, nella comunicazione che fa di sé all’anima ne informa ugualmente le due potenze,

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intelletto e volontà, con intelligenza e amore; e poiché Egli non è intelligibile in questa vita, la cognizione di Lui è oscura, come è oscuro l'amore nella volontà. A volte però in questa delicata comunicazione, Dio ferisce più l'una che l'altra potenza, poiché ora si sente più intelligenza che amore, ora più amore che intelligenza; e anche, a volte, tutto intelligenza senza nessun amore, e a volte tutto amore senza alcuna intelligenza. Pertanto dico che, in quanto a fare atti naturali con l'intelletto, l 'anima non può amare senza intendere; ma in quanto a ciò che Dio opera ed infonde in lei, come nel caso nostro, la cosa è ben differente, perché Dio si può comunicare ad una potenza e non all'altra. Può infiammare la volontà con i1 tocco fervido del suo amore, benché l'intelletto non intenda: come appunto una persona potrà essere riscaldata dal fuoco, benché non lo veda. 50 - Di modo che spesso la volontà si sentirà infiammata, intenerita e innamorata senza sapere né intendere cosa più distinta di prima, ordinando Dio in essa l'amore, secondo il detto della Sposa dei Cantici: M'introdusse il re nella cella vinaria e ordinò in me la carità (Ct 2 ,4). In questo caso, quindi, non v'è da temere l'inazione della volontà, poiché se da parte sua lascia di fare atti di amore intorno a particolari notizie, li fa Dio in lei inebriandola segretamente di amore infuso, o per mezzo della notizia di contemplazione o senza di essa: i quali atti divini, a paragone di quelli che l'anima potrebbe fare, sono altrettanto più saporosi e meritori, quanto più eccellente è Colui che la muove e le infonde un tale amore. 51 - Dio infonde questo amore nella volontà quando è vuota e distaccata da altri gusti ed affetti particolari, celesti o terrestri che siano. Perciò si abbia somma cura che la detta potenza si trovi così disposta; poiché se non retrocede col cercare qualche gusto, quantunque particolarmente non lo senta in Dio, progredisce di sicuro, e s'innalza a Dio sopra tutte le cose, perché non gusta di nessuna. Benché poi non gusti né ami Dio in modo molto particolare e con atto tanto distinto, nondimeno, in quella infusione generale, oscuramente e segretamente lo gusta più che tutte le cose distinte. Essa allora vede chiaro che niente le apporta tanto gran piacere come quella quiete solitaria; e ama Dio sopra tutte le cose amabili, avendo espulso da sé il loro sapore che ormai le riesce insipido. Non v'è dunque da stare in apprensione; ché, se la volontà non può trovare appoggio nel gusto di atti particolari, fa però molto profitto; non volgere indietro abbracciando alcunché di sensibile, è avvicinarsi all'inaccessibile, che è Dio, e perciò non fa meraviglia che non lo senta. Dunque, affinché la volontà salga a Dio, piuttosto che appoggiarsi, dovrà staccarsi da tutto ciò che è dilettevole e gustoso: e così adempirà bene il primo precetto che è amare Dio sopra tutte le cose; il che non può avverarsi senza la nudità e il vuoto spirituale di tutte. 52 - Nemmeno poi v'è da temere se la memoria resta vuota delle sue forme e figure. Giacché Dio non ne ha, la memoria va sicura vuota di esse, e si accosta di più a Lui. Anzi, quanto più si appoggia all'immaginazione, tanto più si allontana da Dio, incontrando grave pericolo, poiché Dio, essendo inescogitabile, non può essere appreso dall'immaginazione. 53 - Quei maestri spirituali, dunque, non intendono le anime poste nella contemplazione quieta e solitaria, perché essi non vi sono arrivati, e non hanno saputo mai che cosa sia uscire dai discorsi della meditazione. Pensando che stiano oziose, turbano e impediscono la pace della contemplazione tranquilla e quieta che esse godono per divino favore, facendole andare per il cammino della meditazione e del discorso. Queste povere anime provano in ciò grande ripugnanza, aridità e distrazione, perché vorrebbero starsene nel loro ozio santo, nel loro raccoglimento dolce e pacifico. E poiché qui il senso non trova di che gustare, né a che appigliarsi o che fare, coloro le persuadono anche di procurarsi succhi di fervori (laddove avrebbero da consigliare loro il contrario): il che esse non possono più farlo e neppure intraprenderlo come prima, perché ormai è passato il tempo di ciò; non è più questo il loro cammino, e quindi si turbano doppiamente, credendo di andar perdute. A persuadersi di questo sono aiutate dai maestri, i quali così inaridiscono loro lo spirito e le privano di quelle unzioni preziose che nella solitudine tranquilla Dio ad esse infondeva, e le gettano nel duolo e nel fango. Questo,

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come dissi, è un grave danno per le anime, perché perdono da una parte e penano dall'altra, senza profitto alcuno. 54 - Quei tali non sanno che cosa sia spirito, fanno grave ingiuria e irriverenza a Dio, mettendo la loro grossolana mano dove Egli opera: poiché gli è costato non poco, per così dire, condurre quelle anime sino a questo punto, e molto apprezza averle poste nella solitudine e nel vuoto delle loro potenze e operazioni, a fine di parlare al loro cuore, il che Egli sempre desidera. Egli ora prende l'anima per mano e regna in essa con abbondanza di pace e tranquillità, facendole venire meno gli atti naturali delle potenze, con cui lavorando tutta la notte essa non concludeva niente; e pasce ormai lo spirito senza operazione del senso, poiché né questo né la sua opera sono capaci dello spirito. 55 - Quanto poi Egli stimi questa tranquillità o sonno o alienazione dal senso, si può dedurre da quello scongiuro così efficace che fece nei Cantici, dicendo: Vi scongiuro, figlie di Gerusalemme, per i caprioli e i cervi dei campi, di non rompere il sonno della mia Diletta, e di non farla svegliare fintanto che non voglia (Ct 3 ,5). Nelle quali parole fa intendere quanto ami il riposo e l'oblio solitario, poiché v'interpone l’invocazione di animali tanto solitari e ritirati. Invece quei maestri spirituali vogliono che l'anima non abbia riposo né quiete, ma che sempre si affatichi e agisca in modo che con la propria operazione non dia luogo all'opera di Dio, o la distrugga e cancelli, se incominciata. Essi, così facendo, a guisa di piccole volpi guastano la vigna fiorita dell'anima. e per questo il Signore si lagna per bocca di Isaia dicendo: Voi avete devastato la mia vigna. ( Is 3 ,14) 56 - Ma costoro forse sbagliano con zelo buono, non arrivando più in là il loro sapere. Non per questo però restano giustificati, quando danno temerariamente dei consigli, senza prima conoscere il cammino spirituale seguito dall'anima; e quando, non intendendola, intromettono la loro rozza mano in cose che non capiscono, invece di permettere che l'anima si rivolga a chi potrebbe intenderla. Non è certamente cosa di poca importanza, non è colpa leggera far perdere ad un'anima beni incalcolabili e lasciarla a volte assai malconcia per il loro temerario consiglio. Quindi, colui che sbaglia per temerità mentre è obbligato ad assicurarsi bene (come ciascuno lo è nel proprio ufficio), non la passerà liscia, ma subirà il meritato castigo, a proporzione del danno che fece: perché gli affari di Dio si devono trattare con molta ponderazione e ad occhi bene aperti, specialmente in cosa così rilevante come è quella in parola, nella quale v'è l'alternativa di un guadagno o di una perdita quasi infiniti, a seconda che s'indovina o si sbaglia. 57 - Ma, giacché vuoi replicare che tuttavia non ti manca qualche scusa (quantunque io non la veda), almeno non mi potrai dire che l'abbia colui il quale, dirigendo un'anima, non la lascia mai uscire dalle sue mani, e ciò per vani riguardi e fini a lui ben noti, che non rimarranno impuniti. Certo è che l'anima, dovendo avanzare con profitto nel cammino spirituale, sempre sorretta dalla destra di Dio, giunge al punto in cui sente ormai la necessità di mutare stile e modo di orazione, e di pascersi di altro spirito e di dottrina più elevata che non sia quella del tale maestro. Non tutti, infatti, hanno scienza che basti per tutti gl'incontri e i casi che si possono dare nel cammino spirituale, né tutti hanno uno spirito così perfetto da conoscere come l'anima debba essere guidata e retta in qualsivoglia stato della vita spirituale; nessuno, almeno, deve credersi che non gli manchi niente, né supporre che Dio non voglia condurre quell'anima più innanzi. Non chiunque sappia sgrossare il legno, sa anche intagliare l'immagine, né chiunque sappia intagliarla, la sa profilare e rifinire; non chiunque sappia rifinirla saprà anche dipingerla; e non chiunque sappia dipingerla, saprà dare l'ultima mano e portarla a perfezione: ciascuno non potrà fare nell'immagine più di quello che sa, e se volesse far di più, la guasterebbe. 58 - Orbene, ammettiamo pure che tu sia esperto nel dirozzare, cioè nello stabilire l'anima nel disprezzo del mondo e nella mortificazione delle proprie passioni e appetiti; ovvero che, tutt'al più, tu sia intagliatore, avviandola in sante meditazioni; ma, dimmi, se non sai altro di meglio, come porterai quest'anima sino all'ultima perfezione di

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delicata pittura, che non consiste più in sgrossare, o intagliare, e nemmeno in profilare, ma consiste nell'opera che Dio stesso andrà svolgendo a mano a mano nell'anima? Certo è che se la fai stare sempre attaccata alla tua dottrina, che è sempre la stessa, l 'anima deve o tornare indietro, o almeno non andare avanti; perché, di grazia, a che riuscirà l'immagine, se continuamente intorno ad essa non farai che martellare o sgrossare, ciò che significa nell'anima nient'altro che l'esercizio delle potenze? Quando si dovrà finire quest'immagine? Quando e in qual modo si darà luogo a che Dio la dipinga? È mai possibile che tu sappia fare tutte le parti? O forse ti reputi così perfetto, che quest'anima non avrà mai bisogno di altri, fuori che te? 59 - E dato il caso che tu lo sia rispetto a qualche anima, incapace forse di passare più oltre, è quasi impossibile che tu lo sia rispetto a tutte quelle che non lasci uscire dalle tue mani; perché ciascuna è guidata da Dio per differente cammino, ed appena si troverà uno spirito che nella metà del modo di procedere convenga col modo di un altro. Chi mai saprà come S. Paolo, farsi tutto a tutti, per guadagnare tutti? (1Cor 9 ,22) Ma tu, restringendo a te solo l'ampiezza della dottrina evangelica, tiranneggi le anime e le privi della loro libertà a tal segno, che non solo procuri che non ti abbandonino, ma il peggio si è che, se per caso talvolta vieni a sapere che qualcuna è andata a conferire con un altro (o perché forse la cosa non conveniva trattarla con te, o perché l'anima era ispirata da Dio, onde imparasse da altri ciò che tu mai le insegnasti), ti diporti con lei - e lo dico non senza rossore - con quelle dimostrazioni di gelosia che avvengono tra sposi. Questo non è zelo che tu abbia dell'onore di Dio o del profitto di quell'anima, poiché non dovresti darti a credere che essa, mancando a te in quella maniera, abbia mancato a Dio: ma è zelo della tua superbia e presunzione o di altri tuoi motivi imperfetti. 60 - Dio grandemente si sdegna contro questi tali e minaccia loro il castigo per bocca di Ezechiele, dicendo: Prendevate il latte del mio gregge e vi coprivate della sua lana, ma non lo pascevate; io però richiederò il mio gregge dalle vostre mani. (Ez 34 ,3) 61 - Qualora, dunque, le anime volessero cercare di meglio, i maestri spirituali, non sapendo per quale mezzo Dio voglia il maggior profitto di esse, devono lasciarle libere, e sono obbligati a mostrare loro buon viso, specialmente quando un'anima non trovasse più sapore nella loro dottrina: il che è segno evidente che non ne ritrae alcun vantaggio, o perché Dio la conduce più avanti, o per cammino diverso da quello del maestro, o perché costui ha mutato stile. Anzi, in questi casi, i maestri stessi dovrebbero consigliare le anime a rivolgersi ad altri: fare altrimenti, ripeto, nasce da stolta superbia e presunzione o da vano interesse. 62 - Ma passiamo a parlare di un'altra più pestifera maniera usata da costoro, o da altri peggiori di essi. Accadrà che il Signore vada ungendo alcune anime con unguenti di santi desideri di lasciare il mondo, di cambiare vita e stato, e di servire Dio disprezzando il secolo (e il Signore si compiace moltissimo di averle condotte sino a questo punto, non essendo la vanità del secolo secondo la sua volontà); ma ecco che quei tali, o in vista del proprio interesse o per vani timori, frappongono difficoltà e differiscono a quelle anime il compimento dei loro disegni, adducendo varie ragioni puramente umane, molto contrarie alla dottrina, all'umiltà di Cristo e al disprezzo di tutte le cose. Peggio ancora è quando, avendo essi lo spirito poco devoto, molto vestito di mondo e poco tenero verso Cristo, fanno di tutto per dissuaderle e per sradicare dal loro cuore il santo proposito, di modo che, come essi non entrano per la porta stretta della vita, così neppure lasciano entrare gli altri. Ad essi però è indirizzata la minaccia del nostro Salvatore che leggiamo in S. Luca: Guai a voi, che vi usurpaste la chiave della scienza, e non entrate voi, né lasciate entrare gli altri (Lc 11 ,52). Costoro, in verità, si pongono ad inciampo e come sbarra alla porta del Cielo, impedendone l'entrata a quei che loro chiedono consiglio; eppure ben sanno che Dio comandò loro non solo di aiutare i fedeli, ma anche di sforzarli ad entrare, dicendo per San Luca: Sforzali ad entrare, affinché si riempia di convitati la mia casa (Lc

14 ,23). Essi, al contrario, li costringono a non entrarvi. In queste maniere (e in molte più ancora, qui non riferite) i maestri di spirito sono il primo cieco, che può disturbare la vita dell'anima, che è lo Spirito Santo, alcuni scientemente, altri per ignoranza. Ma sia gli

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uni che gli altri non sfuggiranno il meritato castigo, perché per ufficio sono obbligati ad avere la scienza necessaria e a riflettere seriamente a ciò che fanno. 63 - Il secondo cieco che, come abbiamo accennato, potrebbe disturbare l'anima nel suo raccoglimento, è il demonio che, essendo cieco, vuole che anche l'anima lo sia al par di lui. Egli, infatti, sente gran dispiacere e invidia della profondissima solitudine in cui s'infondono le delicate unzioni dello Spirito Santo, perché vede che l'anima, non solo si arricchisce, ma gli scappa di mano e non la può sorprendere in nessuna cosa, tanto ella si trova sola, spoglia e aliena da tutte le creature e da qualunque vestigio di esse. Quindi procura di confonderla in questa solitudine con alcune cateratte di notizie e nebbie di succhi sensibili, a volte buoni, per pascerla maggiormente e farla tornare così al tratto distinto e all'opera del senso; di modo che l'anima, volgendo attenzione a quelle cose buone rappresentate da lui, le abbracci e vi si appoggi per andare a Dio. Da queste diaboliche astuzie l'anima con grandissima facilità viene distratta e cavata fuori dal suo raccoglimento solitario, in cui lo Spirito Santo stava operando quelle segrete grandezze; perché, essendo naturalmente inclinata a sentire e gustare (e peggio è se desidera questo e non intende il cammino dove si trova), molto facilmente si attacca a quelle notizie e gusti che il demonio le offre, e si priva della solitudine in cui Dio l'aveva posta. Quivi, nella quiete delle sue potenze, essa non faceva niente, e quindi le sembra migliore il nuovo pascolo, giacché in esso può fare qualche cosa. Quale inganno! Ben merita compassione I' anima inesperta che, per mangiare un bocconcello di notizia o gusto particolare, si priva di essere mangiata tutta da Dio: così, infatti, possiamo esprimerci, perché il Signore, mettendola in solitudine, la assorbe in sé per mezzo di quelle segrete unzioni spirituali. 64 - Ecco, dunque, come il demonio, con poco più di nulla, causa danni gravissimi, facendo perdere all'anima immense ricchezze: con un pochino di esca la tira fuori, a guisa di pesce, dal golfo delle acque pure dello spirito, dove stava immersa in Dio senza bisogno di sostegno alcuno. Quindi, dopo averla tratta alla riva, le offre appoggio, affinché, scesa una volta a terra, vada coi suoi piedi a gran fatica, e non nuoti più nelle acque di Siloe, che scorrono in silenzio, bagnata dalle unzioni di Dio. È cosa da stupire quanto il demonio faccia conto di ciò; e la ragione è che un po' di danno di tal genere è sempre maggiore, che apportarne molti ad altre numerose anime ordinarie: tanto che a stento si troverà un'anima, avviata in così alto cammino, alla quale il demonio non faccia subire gravi perdite. Il maligno, infatti, si mette in agguato nel punto di passaggio dal senso allo spirito, e cerca d'ingannare l'anima col pascolo del senso, frammettendo cose sensibili. L'anima non pensa che in ciò vi sia perdita, e per conseguenza lascia di entrare nell'interno dello Sposo, restandosene alla porta a vedere ciò che accade di fuori, nella parte sensitiva. Il demonio, dice Giobbe (Gb 41 ,25), vede tutto ciò che è sublime: ossia adocchia l'altezza spirituale delle anime per abbatterla. Perciò, quando un'anima entra in grande raccoglimento, se non può distrarla nella maniera anzidetta, ricorre ad altri mezzi, e con terrori, timori, dolori corporali, o con suoni e rumori esterni, procura ch'ella faccia avvertenza al senso e si distragga dallo spirito interiore; finché poi, non potendo egli far di più, la lascia in pace. Ma è tanto agevole per lui il dissipare le ricchezze di quest'anima così preziosa, che quantunque stimi ciò più che rovinarne molte altre, non lo reputa un gran che, appunto perché gli riesce facile e gli costa poco. Possiamo intendere a questo proposito ciò che di lui Dio disse a Giobbe: Assorbirà un fiume senza scomporsi, e confida che il Giordano (per il quale qui s'intende il culmine della perfezione) potrà scorrere in bocca sua. Col suo sguardo, quasi con laccio, lo avvincerà, e con la lesina li perforerà le narici (Gb 40 ,18-19). Vale a dire: Se il demonio punge e ferisce l'anima con le notizie, lo spirito si dissiperà: come l'aria che, mentre per solito esce raccolta dalle narici, si disperderebbe in varie parti, nel caso che quelle fossero perforate. E, più innanzi dice: Egli coprirà i raggi del sole, e si metterà a giacere sopra l'oro come sul fango (Gb 41 ,21). Ed infatti il demonio fa perdere alle anime illuminate lo splendore dei raggi delle divine notizie, e toglie alle anime ricche l'oro prezioso dei divini smalti.

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65 - O anime, quando Dio vi va facendo grazie tanto sovrane da condurvi per la via della solitudine e del raccoglimento, allontanandovi dal vostro faticoso modo di sentire, non volgetevi più al senso. Lasciate le vostre operazioni, poiché se prima, nello stato di principianti, vi erano di aiuto a rinunziare e al mondo e a voi stesse, adesso che Dio vi fa grazia di essere Lui l'agente, vi saranno di grande ostacolo e imbarazzo. Perciò abbiate cura di non occupare le vostre potenze in cosa alcuna, ma tenerle sgombre e staccate da tutto. Soltanto questo si richiede da parte vostra nel presente stato, e aggiungete, quando non ne sentiste ripugnanza, quell'attenzione semplice e amorosa, nel modo già descritto. Perocché non dovete fare nessuna violenza all'anima, salvo che per liberarla da ogni impaccio che potesse turbarne la pace: Dio stesso ve la pascerà di cibo celeste, purché la manteniate vuota per Lui. 66 - Il terzo cieco è l'anima stessa, la quale, non intendendo sé stessa, da sé si perturba e danneggia. Non sapendo operare che per mezzo del senso e del discorso di pensiero, avviene che quando Dio la vuole collocare in quel vuoto di solitudine, dove non può usare delle potenze né fare atti, vedendosi inoperosa procura di agire; e quindi si distrae e si riempie di aridità e disgusto, mentre prima se ne stava godendo il santo ozio della pace e del silenzio spirituale, in cui il Signore segretamente la dilettava. Accadrà pure che Dio insista per mantenerla in quella tacita quiete, ed ella non meno si ostini a volere operare da sé con l'immaginazione e con l'intelletto. Comportandosi in questa maniera, rassomiglia proprio ad un bambino che, mentre la madre vuol prenderlo in braccio, grida e batte i piedi per andare da sé, e così non cammina lui, né lascia camminare la madre; ovvero si può paragonare ad uno che, muovendo la tela mentre il pittore dipinge, non gli lascia far niente, o gli fa guastare il lavoro incominciato. 67 - Si persuada l'anima che, sebbene in quella quiete non operi affatto e perciò non si accorga di camminare, avanza invece molto più che se andasse coi suoi piedi, perché è portata in braccio da Dio. Non sente, è vero, il passo, ma va al passo di Dio; non opera niente con le sue potenze, ma quello che si fa è assai più che se lo facesse lei, perché l'agente è Dio. Che se ella non se ne avvede, non è meraviglia: ciò che Dio opera nell'anima in questo tempo non è percepito dal senso, ma si compie in silenzio, poiché nel silenzio, dice il Savio, si odono le parole della Sapienza (Qo 9 ,17). L'anima, dunque, si abbandoni nelle mani di Dio, e non si metta nelle proprie né in quelle degli altri due ciechi; ché se si attiene a questo consiglio e non applica le potenze in cosa alcuna, andrà sicura.

[Riprende l ’a rgomento lasc ia to a l la f ine de l n . 25]

68 - Ma ritorniamo ora all'argomento delle profonde caverne delle potenze dell'anima. Dicevamo che l'anima, mentre Dio la va ungendo e preparando con i più sublimi unguenti dello Spirito Santo per unirla a sé, suole patire moltissimo. Questi unguenti sono ormai così fini e delicati che, penetrando nell'intima sostanza del fondo dell'anima, la dispongono e l'inondano di tanta dolcezza che ella pena immensamente e languisce di desiderio a misura, dell'immenso vuoto delle sue caverne. E qui notiamo che, se gli unguenti che disponevano le caverne dell'anima all'unione del matrimonio spirituale con Dio, sono tanto sublimi come abbiamo detto, che sarà mai il possesso d'intelligenza, di amore e di gloria, che l'intelletto, la volontà e la memoria hanno ormai nell'unione con Dio? Certo è che a proporzione della fame e sete che avevano queste caverne, sarà adesso la soddisfazione, la sazietà e il diletto loro; e secondo la delicatezza delle disposizioni, sarà l'eccellenza del possesso dell'anima e la fruizione del suo senso. 69 - Per senso dell'anima qui s'intende la virtù e la forza che la sostanza dell'anima ha per sentire e godere gli oggetti delle potenze spirituali, con le quali gusta la sapienza, l'amore e la comunicazione di Dio. Per questo l'anima, nel verso, chiama le sue tre potenze: del senso mio l’ime caverne estreme, perché per mezzo di esse ed in esse sente e gusta profondamente le grandezze della sapienza e le eccellenze di Dio. E con molta proprietà le chiama caverne profonde, perché sentendo che racchiudono le profonde intelligenze e gli splendori delle lampade del fuoco divino, viene a conoscere di aver tanta capacità e seni [ insena ture], quante cose distinte riceve d'intelligenze, di sapori, di gusti e diletti divini. Tutte queste cose sono ricevute e fissate nel senso dell'anima, il

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quale, ripeto, è la virtù e la capacità che essa ha di sentire, possedere e gustare tutto ciò, per il ministero delle caverne delle potenze, alla stessa guisa che il senso comune della fantasia riceve dai sensi corporei le forme dei loro oggetti, ed è perciò il ricettacolo o archivio di esse. Adunque, anche il senso comune dell'anima può giustamente dirsi ricettacolo e archivio delle grandezze di Dio, e tanto più luminoso e ricco, quanto più ottiene di questo sublime e chiaro possesso.

Che cieco era ed oscuro. 70 - Ossia: tale era il senso dell'anima prima che Dio lo rischiarasse. A far comprendere ciò, notiamo che il senso della vista cessa di vedere per due ragioni: o perché sta all'oscuro, o perché è cieco. Dio è la luce e l 'oggetto dell'anima: e quando questa non è illuminata dalla sua luce, sta all'oscuro, benché abbia una vista eccellente; quando poi sta in peccato o applica l'appetito ad altre cose, allora è cieca. In quest'ultimo caso, quantunque la luce di Dio investa, l 'oscurità, cioè l'ignoranza dell'anima, non può vederla. Prima che Dio la illuminasse con l'attuale trasformazione, l 'anima era oscura e ignara di così grandi beni di Dio, come il Savio afferma di essere stato lui stesso prima di essere illuminato dalla Sapienza, dicendo: Illuminò le mie ignoranze.11 7I - Parlando spiritualmente, altro è stare all'oscuro ed altro stare nelle tenebre; perché stare nelle tenebre significa essere cieco, cioè in peccato, mentre si può stare all'oscuro senza peccato, e ciò in due maniere: circa l'ordine naturale o circa quello soprannaturale, secondo che si è privi della luce di alcune cose riguardanti l 'uno o l'altro ordine. Intorno a questi due generi di cose l'anima qui dice che il suo senso stava all'oscuro prima dell'attuale preziosa unione, perché fino a che il Signore non disse: Fiat lux, le tenebre coprivano la faccia dell'abisso, che è la caverna del senso dell'anima; nel qual senso, quanto più profondo esso ha le caverne, tanto più profonde sono le tenebre rispetto al soprannaturale, fintanto che Dio, sua luce, non lo rischiari. Onde gli è impossibile alzare gli occhi alla divina luce, né questa potrà cadere in suo pensiero, perché non sa come sia, non avendola mai veduta. Nemmeno quindi potrà desiderarla, anzi bramerà le tenebre, perché sa come sono, e andrà da una tenebra all'altra, guidato dalla prima; poiché una tenebra non può guidare se non un'altra tenebra, secondo il detto di Davide: Un giorno parla all'altro giorno, e la notte insegna la scienza alla notte (Sal 18 ,3). E altrove: Un abisso chiama l'altro (Sal 41 ,8): cioè un abisso di luce ne chiama un altro di luce, e un abisso di tenebre un altro di tenebre, poiché ogni simile chiama il proprio simile, e gli si comunica. Dio, con la luce della sua grazia infusa a quest'anima, le aveva illuminato l'occhio dell'abisso del suo spirito, aprendoglielo alla luce divina, e con ciò l'aveva resa a sé gradita. Ora, tale grazia chiamò un altro abisso di grazia, cioè la presente divina trasformazione dell'anima, per mezzo di cui l 'occhio del senso suo rimane ora così rischiarato e gradevole al Signore, che possiamo dire che la luce di Dio e quella dell'anima sono tutt'una, essendo unita la luce naturale dell'anima con quella soprannaturale di Dio, e risplendendo ormai soltanto quest'ultima: allo stesso modo che la luce creata in principio da Dio si unì con la luce del sole, e adesso solo questa risplende, senza che peraltro sia venuta a mancare la prima.12 72 - Inoltre, il senso dell'anima era cieco, anche perché gustava di altre cose. Infatti la cecità del senso razionale e superiore è l'appetito, il quale, a guisa di cataratta o nube, attraversa ed impedisce all'occhio della ragione di vedere le cose che gli stanno dinanzi; e perciò, quando proponeva qualche gusto al senso, questo diveniva cieco, e non poteva scorgere la bellezza di Dio e la magnificenza dei suoi tesori, perché nascosti e velati da quella cataratta. Poiché, come una cosa posta vicino all'occhio, per piccola che sia, basta a coprire la vista delle altre cose che stanno davanti, quantunque grandi; così

11 Qo 51,26 secondo un'antica versione latina. Cf Cornelio A Lapide nel commentano a questo versetto. 12 Spiegazione che Giovanni deduce dalla distinzione secondo il linguaggio popolare tra la luce creata da Dio per prima cosa a fine di poter vedere ciò che faceva e la luce del sole e degli altri astri.

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un lieve appetito o un atto ozioso dell'anima basta ad impedirle tutte le divine grandezze, poste al di là degli appetiti e dei gusti desiderati da lei. 73 - Oh! chi potrebbe spiegare quanto un'anima che nutra appetiti sia incapace di giudicare delle cose di Dio come sono? Per darne un retto giudizio si deve assolutamente escludere l'appetito e gusto né mai giudicarle con esso; altrimenti di sicuro si stimeranno per divine quelle cose che non lo sono, e viceversa. Ed invero, stando quella cataratta o nube dell'appetito sopra l'occhio del giudizio, l'anima non vede che la nube, ora di un colore, ora di un altro, a seconda che le si presenta, e pensa che la nube sia Dio, perché, ripeto, non vede altro che quella nube che sta sopra il senso, mentre Dio non cade nel senso. In questa maniera l'appetito e i gusti sensitivi impediscono la cognizione delle cose sublimi. A ciò allude il Savio ove dice: Il fascino delle vanità oscura il bene; e il vortice della concupiscenza travolge l'animo sincero: (Sap 4 ,12) cioè perturba il retto giudizio. 74 - Per la qual cosa coloro che non sono tanto spirituali da essere interamente purgati dagli appetiti e gusti ma sono in questi ancora un po' animali, stimano un gran che quelle cose spirituali che sono più vili e basse, quelle cioè che più si accostano al senso, secondo il quale essi vivono ancora; le cose poi più pregevoli e più alte dello spirito, ossia quelle che più si allontanano dal senso, le terranno in poco o nessun conto, e a volte perfino le riputeranno una follia, secondo la testimonianza di S. Paolo che dice: L'uomo animale non percepisce le cose dello spirito di Dio; sono per lui stoltezza e non può intenderle (1Cor 2,14). Per uomo animale qui si denota chi ancora vive con appetiti e gusti naturali. E si avverta che, quantunque alcuni gusti nascano nel senso dallo spirito, se l’uomo però si vuole attaccare ad essi col suo naturale appetito, per questo stesso non sono altro che appetiti naturali.13 Poco importa che l'oggetto o motivo sia soprannaturale, quando l'appetito nasce dal naturale ed ha in esso la sua radice e forza: in questo caso non cessa di essere un appetito naturale, avendo la medesima sostanza e natura come se fosse circa motivo o materia naturale. 75 - Ma forse dirai: Dunque ne segue che, quando l'anima desidera Dio, non lo desidera soprannaturalmente, e perciò quell'appetito non sarà meritorio davanti a Dio. Rispondo che non sempre quell'appetito è soprannaturale, ma solo quando Dio l'infonde, dandogli la forza di appetito soprannaturale, che certamente è ben diverso da quello naturale; ma fintanto che Dio non l'infonde, molto poco o niente si merita. Di modo che, quando tu con le tue sole forze vuoi avere desiderio di Dio, non è che un desiderio naturale il tuo, né sarà di più, finché Dio non lo voglia informare soprannaturalmente. Quindi, allorché tu di tuo vuoi attaccare l'appetito alle cose spirituali, affezionandoti al loro sapore, eserciti il tuo appetito naturale, ed allora poni cataratte sull'occhio tuo, e sei ancora animale; e perciò non potrai intendere e giudicare di ciò che è spirituale e che supera ogni senso e appetito naturale. Se poi tu avessi ancora dei dubbi, non so che dirti, se non che tu ritorni a leggere, e forse resterai persuaso: del resto, la sostanza della verità è stata detta, e non caso che io mi dilunghi di più su questo punto. 76 - Il senso dell’anima, dunque, che prima era oscuro perché senza luce divina, e cieco per i suoi appetiti e inclinazioni, non solamente è ormai luminoso e chiaro (insieme con le sue profonde caverne) per mezzo di questa sublime unione con Dio, ma è pure diventato una luce così risplendente che le caverne delle sue potenze

Con mirabil valore

13 Che determina la natura del desiderio dell’uomo (desiderio che costituisce la sua azione ciò a cui vuole assimilarsi, perché è la sua finalità vera che va al di là della consapevolezza), è ciò a cui l’uomo è orientato perché un tale desiderio-attacco (= amore) lo conduce a rendersi simile a quell’oggetto, perché quell’oggetto egli ama: «se l’uomo (...) si vuole attaccare ad essi [appetiti naturali] col suo naturale appetito, per questo stesso non sono altro che appetiti naturali (F 3,74): egli ama ciò che è naturale, e perciò si rende simile a ciò che è naturale.

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Al caro Ben dan caldo e luce insieme

77 - Queste caverne delle potenze sono ora meravigliosamente riempite dai mirabili splendori di quelle lampade che ardono nell'anima, tanto che, oltre alla cessione che fanno di se stesse a Dio, inviano a Lui in Lui i medesimi splendori che ne hanno ricevuti con amorosa gloria. Inclinate a Dio in Dio, e divenute anch’esse lampade accesissime per gli splendori delle lampade divine, restituiscono all'Amato la stessa luce, lo stesso caldo di amore che ne ricevono. Poiché, quello che qui ricevono, allo stesso modo lo rendono a Colui che l'ha dato, e col medesimo valore con cui l'ebbero da Lui: come fa il cristallo che riflette i raggi quando vi batte il sole; anzi, nel caso nostro, in maniera più sublime, perché vi concorre l'esercizio della volontà. 78 - Con mirabil valore: mirabile qui significa affatto remoto dal comune intendimento, e superiore ad ogni umano linguaggio. Infatti, divenuto l'intelletto uno con quello di Dio, a misura del valore o grado eminente con cui esso riceve la divina sapienza, così l 'anima la ritorna a Dio, giacché non può darla se non allo stesso modo che la riceve. E quanto eccellente è il grado col quale la volontà è unita alla bontà divina, altrettanto è quello con cui l 'anima rende a Dio in Dio la medesima bontà, poiché non la riceve che per darla. Parimenti, essendo l'anima unita alla divina grandezza, risplende e rimanda calore di amore, secondo l'eccellenza del grado col quale la conosce. E finalmente, rispetto a tutti gli altri attributi divini di bellezza, di forza, di giustizia ecc., comunicati da Dio, il senso dell'anima gode di ridonare al suo Amato, nell'Amato stesso, quella medesima luce e calore che va ricevendo da Lui. L'anima, divenuta qui una sola cosa col suo Diletto, in certo modo è Dio per partecipazione, quasi un'ombra di Dio, quantunque non così perfettamente come nell'altra vita. Ed essendo un'ombra di Dio mediante questa sostanziale trasformazione, fa in Dio, per mezzo di Dio, ciò che Egli fa in lei per se medesimo, e lo fa alla stessa maniere di Lui, perché una sola è la volontà di tutt'e due: e quindi l'operazione di Dio e dell'anima è una cosa sola. Per conseguenza, come Dio si dona all'anima con libera e gratuita volontà, così anch'essa, avendo la volontà tanto più libera e generosa quanto più unita a Dio, dona a Dio lo stesso Dio in Dio. Ed è un vero ed intero dono quello dell'anima, perché ella vede che Dio è veramente suo, e che lo possiede in possesso ereditario, con diritto di figlia adottiva di Dio, per la grazia che Egli le fece di darle se stesso; e che, come cosa sua, lo può dare e comunicare a chi ella volesse. E perciò lo dà al suo Diletto, che è il medesimo Dio che a lei si donò, e con questo paga a Dio tutto ciò che gli deve, perché volentieri gli rende altrettanto di quanto ne riceve. 79 - Con questo dono poi l'anima dà a Dio, come di proprio e con cessione spontanea, lo Spirito Santo, perché in Questi sia amato come Egli merita: il che costituisce per l'anima un inestimabile godimento di fruizione, perché sa di dare a Dio una cosa propria che corrisponde all'infinito suo essere. Quantunque sia vero che l'anima non può nuovamente dare a Dio lo stesso Dio, essendo Egli in sé sempre il medesimo; tuttavia ella, da parte sua, in modo perfetto e vero, rende a Dio tutto quello che le aveva dato, per pagare l'amore con dare tanto quanto le danno. E Dio resta soddisfatto di quel dono dell'anima (né con meno si contenterebbe), e lo riceve con gradimento, come cosa che l'anima gli offre di suo, e in questo dono che fa di Dio, l 'anima lo ama come con rinnovato amore. Quindi tra Dio e l'anima esiste un attuale amore reciproco, in conformità dell'unione matrimoniale e della cessione volontaria dell'uno all'altro, in modo che ciascuno possiede liberamente i beni di entrambi, (cioè la divina essenza), e tutt'e due uniti insieme li possiedono, dicendosi scambievolmente ciò che il Figlio di Dio disse al Padre in S. Giovanni: «Mea omnia tua sunt, et tua mea sunt, et clarificatus sum in eis» (Gv 17 ,10): Tutti i miei beni sono tuoi, e i beni tuoi sono miei; e in essi sono glorificato. Quello che abbiamo detto ora, avviene senza interruzione nella fruizione perfetta dell'altra vita; ma, quantunque meno perfettamente, succede anche in questo stato di unione, quando Dio esercita nell'anima l'atto della trasformazione di cui

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parliamo. Che poi l'anima possa fare un dono così grande, dono di entità maggiore del proprio essere e della propria capacità, è cosa manifesta: come è chiaro, ad esempio, che chi ha sotto il suo impero molti regni e popoli, li può dare a chi vuole, benché siano di entità assai maggiore di lui. 80 - Questa è la più grande soddisfazione, il massimo contento dell'anima, vedere cioè che offre a Dio più di quello che essa è e vale in sé, con quella medesima luce e calore divino con cui lo riceve: il che avviene nell'altra vita per mezzo del lume di gloria, e in questa vita per mezzo di una fede illuminata in altissimo grado. Ecco dunque, in qual modo le profonde caverne del senso con mirabil valore al caro Ben dan caldo e luce insieme. Dice: insieme, perché congiunta è nell'anima la comunicazione del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, che sono in lei luce e fuoco di amore. 81 - Ma qui sarà bene esaminare brevemente sotto quali aspetti è altissimo il pregio del dono offerto dall'anima a Dio. Intorno a ciò diciamo che l'anima, godendo un certo vestigio di fruizione beatifica, prodotta dall'unione dell'intelletto e dell'affetto con Dio, è immersa in così grandi delizie e si sente tanto obbligata per questa grazia singolarissima, che dona Dio e se stessa a Lui in vari modi affatto meravigliosi; e sia che in lei si consideri l 'amore, sia il vestigio di fruizione, o la lode, o la gratitudine, si mostra con Dio di mirabil valore. 82 - Infatti, quanto all'amore, notiamo che l’anima ha tre pregi principali. Primo, che ama Dio non da se stessa, ma per mezzo di Lui, il che è una cosa inestimabile, poiché ama per mezzo dello Spirito Santo, come si amano il Padre e il Figlio, secondo le parole che il Figlio stesso dice in S. Giovanni: La carità con cui mi amasti sia in loro, ed io in essi (Gv 17 ,26). Il secondo pregio consiste in amare Dio in Dio, poiché in questa strettissima unione l'anima s'immerge nell'amore di Dio, e Dio con grande veemenza si dona all'anima. Il terzo pregio principale è riposto in amare Dio per chi Egli è: e l 'anima, infatti, non lo ama soltanto perché verso di lei è largo, buono, glorioso ecc., ma molto più ardentemente lo ama perché tale è in sé essenzialmente. 83 - Circa il vestigio di fruizione ha altri tre pregi eccellenti, meravigliosi e principali. Il primo, che l'anima gode Dio per mezzo dello stesso Dio, poiché essa avendo qui l'intelletto unito con la divina onnipotenza, sapienza, bontà ecc. (quantunque non così chiaramente come sarà nell'altra vita), oltre modo si diletta di tutti questi attributi distintamente intesi. Il secondo pregio principale di questa fruizione è dilettarsi ordinatamente solo in Dio, senza alcuna mescolanza di creature. Il terzo è goderlo solo per chi Egli è, senza frammischiarvi alcun gusto proprio. 84 - Rispetto alla lode che l'anima tributa a Dio in questa unione, sono da considerarsi altri tre pregi. Il primo: lodarlo per ufficio, perché l'anima vede che a tal fine Dio la creò, secondo che Egli stesso dice per bocca di Isaia: Formai questo popolo per me, canterà le mie lodi (Is 43,21). Il secondo, lodarlo per i beni che ne riceve e per il piacere che prova nel lodarlo. Il terzo, lodarlo per ciò che Dio è in sé; quand'anche l'anima non ricevesse alcun diletto, lo loderebbe ugualmente per Quegli che è. 85 - In quanto alla gratitudine l 'anima ha altri tre pregi principali. Il primo consiste nel gradire i beni naturali e spirituali e i benefici ricevuti. Il secondo è il piacere immenso che sente nel ringraziare Dio, immergendosi con grande veemenza in questo rendimento di grazie. Il terzo è ringraziarlo soltanto per ciò che Dio è. il che è cosa molto più eccellente e dilettevole.

STROFA 4

Quanto dolce e amoroso Ti svegli entro il mio seno,

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Ove in segreto e solo hai, tua dimora! Il tuo aspirar gustoso, Di beni e gloria pieno Quanto soavemente m’innamora!

DICHIARAZIONE 1 - L’anima qui si rivolge amorosissimamente al suo Sposo, e dimostra di apprezzare e gradire assai due effetti stupendi, che Egli a volte produce in lei per mezzo della presente unione; e di più dichiara il modo in cui ciascun effetto è prodotto, e ciò che a lei ne deriva per conseguenza. 2 - Il primo effetto è un risveglio di Dio nell'anima; in quanto al modo, esso avviene con dolcezza e amore. Il secondo è un'aspirazione di Dio nell'anima; e il modo onde si produce questo effetto consiste in un bene di gloria, che le viene comunicato nell'aspirazione. Quello poi che da questi due effetti risulta nell'anima è che l'innamorano delicatamente e teneramente. 3 - Quindi è come se dicesse: Il risveglio che fai, o Verbo Sposo, nel centro profondo dell'anima mia, cioè nella pura e intima sostanza in cui dimori nascosto e solo, quale unico suo signore, non soltanto come in casa tua o nel tuo letto stesso, ma anche come nel mio proprio seno, intimamente e strettamente unito, oh con quanta dolcezza ed amore lo fai! quanto, cioè, sei tu dolce e amoroso! E con l'aspirazione che mandi in questo tuo risveglio, gustosa per me e piena di beni e di gloria, con quanta delicatezza m'innamori ed affezioni a te! In tutto questo l'anima prende la similitudine di chi, svegliandosi dal sonno, respira: poiché veramente ella qui così sente.

Quanto dolce e amoroso Ti svegli entro il mio seno.

4 - Di molte maniere sono i risvegli che Dio produce nell'anima, tanto che, se dovessi enumerarli, non la finirei più. Ma il risveglio, che l'anima qui dice esserle prodotto dal Figlio di Dio, a mio parere è uno dei più sublimi, uno di quelli che le apportano maggior bene. Esso, infatti, è un movimento che il Verbo fa nella sostanza dell'anima, ed è di tanta grandezza, maestà e gloria, e di tanto intima soavità, che all'anima sembra che vengano rimescolati tutti i balsami, tutte le erbe odorifere e i fiori del mondo a fine di spargere la loro fragranza, e che tutti i regni e imperi della terra e tutte le potestà e virtù del cielo si muovano. E non solo questo, ma le pare che anche tutte le creature e le sostanze, le virtù le perfezioni e le grazie di tutte le cose create splendano e facciano insieme lo stesso movimento, in quanto, come dice San Giovanni (Gv 1 ,3-4), tutte le cose in Lui sono vita, e in Lui, a dir dell'Apostolo, vivono e sono e si muovono (At 17 ,28). Quindi è che, muovendosi nell'anima questo grande Imperatore, il quale, a detta d'Isaia (Is 9 ,6), porta sopra le sue spalle il principato, che si esercita in cielo, in terra e nell'inferno, e su tutte le cose che vi si trovano, reggendole tutte, come dice S. Paolo, con la sua parola possente (Eb 1 ,3), sembra che tutte si muovano insieme, alla stessa guisa che, al muoversi della terra, si muovono tutte le cose materiali che sono in essa, come se niente fossero. Così accade quando si muove nell'anima questo Monarca divino, che porta la sua corte, senza esserne portato. 5 - Quantunque, nel caso nostro, il paragone sia assai improprio, perché non solo pare all'anima che tutte le cose si muovano, ma che anche discoprano le bellezze del loro essere, le virtù, le grazie e i doni loro, e la radice della loro vita e durata. L'anima, infatti, qui conosce chiaramente come tutte le creature celesti e terrene hanno la loro vita e forza e durata in Dio, e bene intende ciò che Egli afferma nel libro dei Proverbi, dicendo: Per me regnano i re, e per me i principi governano e i potenti intendono ed esercitano la giustizia (Pro 8 ,15-16). Di più, benché senza dubbio l'anima veda chiaramente che le cose sono distinte da Dio in quanto hanno un essere creato, e le

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veda in Lui con la loro propria radice, forza e virtù; pur tuttavia conosce che Dio nel suo essere è eminentemente tutte le cose, di modo che l'anima le conosce meglio nell'essere divino che in se stesse. Questo è il diletto grande di tale risveglio, conoscere cioè le creature per mezzo di Dio, e non Dio per mezzo delle creature, ossia conoscere gli effetti per la loro causa, e non la causa per gli effetti; cognizione mediata quest'ultima, mentre la prima è essenziale. 6 - Come avvenga questo movimento nell'anima malgrado Dio sia immobile, è cosa meravigliosa; poiché, quantunque allora Dio realmente non si muova, all'anima sembra veramente il contrario. E ciò perché essendo lei che viene rinnovata e mossa da Dio affinché goda questa vista soprannaturale e le si riveli in modo del tutto nuovo quella vita divina e l'essere e l'armonia di tutte quante le creature con i loro moti in Dio, le sembra che sia Dio quegli che si muove e che la causa prenda il nome dell'effetto che produce. Secondo quest'effetto possiamo dire che è Dio che si muove. A tal proposito il Savio così si esprime: La sapienza è più mobile di tutte le cose mobili (Sap

7 ,24); non perché essa si muova, ma perché è il principio e la radice di ogni movimento; e rimanendo immutabile in se stessa, soggiunge il Savio, rinnova tutte le cose: volendo significare che la sapienza è la più attiva di tutte le cose che hanno attività. Dobbiamo quindi dire che, nel suddetto movimento, l'anima è quella che viene mossa e svegliata dal sonno della vista naturale alla vista soprannaturale, e perciò assai propriamente ella applica a quel movimento il nome di risveglio. 7 - Ma Dio (come l'anima ben l’intende), sempre muove e regge tutte le creature, e dà loro essere, virtù, grazie e doni, avendole tutte in sé virtualmente, presenzialmente e sostanzialmente. L'anima in una sola vista vede ciò che Dio è in sé, e ciò che è nelle sue creature; come colui che, essendogli aperta la porta di un palazzo, vede ad un colpo la dignità della persona che vi dimora e al tempo stesso ciò che ella va facendo. Cosicché, in quanto al modo onde avviene questo risveglio e vista dell'anima, penso che stando l'anima in Dio sostanzialmente (come ogni altra creatura), il Signore le toglie alcuni dei molti veli e cortine che ella ha davanti, affinché possa, vederlo come Egli è. Ed allora traspare e si discerne un po' (ma con qualche oscurità, perché non è tolto ogni velo) quel volto divino pieno di grazia, il volto di Colui che, muovendo tutte le cose con la sua virtù, mostra insieme e Sé e ciò che sta facendo, e quindi sembra che Egli si muova in esse, ed esse in Lui incessantemente. Ecco, dunque, perché, all'anima sembra che Dio si sia mosso e destato, mentre in realtà è lei che si è mossa e svegliata. 8 - Tanto bassa è la condizione di questa misera vita, che pensiamo che gli altri siano come noi, e come siamo noi giudichiamo gli altri pronunciando il giudizio a partire da noi stessi [da l nos t ro in te rno] e non dal di fuori. Così il ladro, il lussurioso, il malizioso misurano gli altri da se stessi, procedendo tale giudizio dalla loro propria malizia; al contrario, chi è buono, pensa bene degli altri, e questo giudizio nasce dalla sua bontà. Chi poi è negligente e pigro, giudica che anche gli altri lo siano. Quindi è che, quando noi siamo noncuranti e sonnolenti rispetto a Dio, ci sembra che piuttosto Lui sia addormentato e noncurante di noi, come si rileva dal Salmo 43, dove Davide volgendosi al Signore, dice: Levati su, Signore, perché dormi? Alzati: ponendo in Dio quel che v'è negli uomini, i quali, addormentati e caduti, pregano Dio che si svegli e si levi, mentre non dorme mai chi custodisce Israele. (Sa l 120 ,4) 9 - Ma, poiché ogni bene dell'uomo viene da Dio, e l'uomo di suo non può alcunché di buono, con tutta verità si può dire che il nostro sia risveglio di Dio, e che, alzandoci noi, si alzi Dio: e perciò quelle parole di Davide equivalgono a dire: Alzati due volte e svegliaci, perché siamo addormentati e caduti in due maniere. Dunque, poiché l'anima era addormentata nel sonno da cui mai avrebbe potuto svegliarsi da sé, e Dio solo poté aprirle gli occhi e fare un tale risveglio, molto propriamente ella chiama questo un risveglio di Dio, dicendo: Ti svegli entro il mio seno. Deh! svegliaci tu, e ci illumina, o mio Signore, affinché riconosciamo e amiamo i beni che sempre ci tieni preparati, e così comprenderemo che ti muovesti a farci grazie e ti ricordasti di noi.

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10 - È del tutto ineffabile ciò che in questo risveglio l'anima conosce e sente dell'eccellenza di Dio. Poiché, trattandosi di comunicazione fatta nella sostanza dell'anima, cioè nel suo seno, com'ella dice, risuona nell'anima qual voce potente e immensa, una voce d'infinite perfezioni, di migliaia e migliaia di virtù divine, innumerabili. E l'anima, stabilita in mezzo a queste, ne resta terribilmente e fermamente ordinata come un esercito schierato a battaglia, e soavizzata e resa graziosa con tutte le dolcezze e le grazie delle creature. 11 - Ma sorgerà un dubbio: Come può l'anima sopportare così forte comunicazione nella fiacchezza della carne, dato che in questa non v'è capacità e forza per reggere a tanto senza venir meno? Sappiamo, ad esempio, che la regina Ester, al solo vedere il re Assuero in trono, con vestimenti regali e risplendente di oro e gemme preziose, fu presa da così gran timore per il suo terribile aspetto che perdette i sensi; ed ella stessa confessò al re di essere venuta meno per il timore della sua gloria, quasi le fosse apparso un angelo dal volto rifulgente di grazia e bellezza (Es t 15 ,16-17). Ora, se la gloria opprime chi la mira quando non lo glorifica, quanto più l'anima dovrebbe disfarsi in questo caso, quando ella vede non un angelo, ma Dio stesso., col suo volto adorno delle grazie di tutte le creature, pieno di terribile potere e gloria, e che fa risuonare una voce d'infinite perfezioni? Della quale voce Giobbe dice: Quando udremo un bisbiglio soltanto della sua voce chi potrà reggere alla grandezza del suo tuono? (Gb 26 ,14). E altrove: Non vorrei che mi trattasse con molta forza, affinché io non resti oppresso dal peso della sua grandezza. (Gb 23 ,6) 12 - Ma, rispondiamo, in questo risveglio così potente e glorioso, l'anima non può venir meno né temere, per due ragioni. La prima, perché, posta ormai in stato di perfezione, nel quale la parte inferiore è molto purgata e conforme allo spirito, non sente quel detrimento e quella pena che nelle comunicazioni spirituali suole sentirsi dallo spirito e dal senso non ancora purgati e disposti a riceverle. Ciò tuttavia non basterebbe per non ricevere detrimento davanti a tanta grandezza e gloria poiché, per quanto la natura fosse pura, nondimeno la comunicazione, eccedendo la natura, la corromperebbe, come fa un sensibile eccessivo alla rispettiva potenza, ed il testo di Giobbe surriferito va inteso precisamente in questo senso. Sennonché la seconda ragione è quella che fa al caso nostro, ed è quella che l'anima menziona nel primo verso, dicendo che lo Sposo le si mostra dolce e amoroso. Infatti, come Dio manifesta all'anima quella grandezza di gloria per favorirla ed esaltarla, così la conforta perché non riceva alcun danno, corroborando la naturale debolezza della carne, e mostrando allo spirito la sua maestà con delicatezza e amore, tanto che l'anima non sa se la comunicazione avvenga nel corpo o fuori di esso. Qnesto può farlo benissimo Colui che con la sua destra protesse Mosè, perché potesse vedere la sua gloria.14 L'anima sente in Dio altrettanta mitezza e amore, quanta potenza e maestà, perché in Dio tutto è una stessa cosa; e quindi se forte è il diletto, anche la protezione è forte, in amorosa dolcezza, per sopportarlo: e l'anima, non che affranta, ne rimane piuttosto rinvigorita. Che se Ester impallidì e svenne al cospetto di Assuero, ciò fu perché questi sulle prime non le si mostrò favorevole, ma, dice il sacro testo, con gli occhi ardenti le mostrò il furore del suo petto; però, non appena la toccò con lo scettro in segno del suo favore, e l 'abbracciò dicendole che era suo fratello, e che perciò non temesse, subito la regina tornò in sé. 13 - Alla stessa maniera, ma sin dal principio della comunicazione, il Re del Cielo si comporta con l'anima, amichevolmente, come suo sposo e fratello; ed ella non può temere, perché il suo Diletto le mostra con mansuetudine, non già con terrore, la grandezza del suo potere e l'amore della sua bontà, comunicandole la forza e l 'ardore del suo petto. Scende dal suo trono ad incontrarla, dal trono dell'anima stessa, come sposo dal suo talamo, dove stava nascosto e chino su di lei, la tocca con lo scettro della sua maestà, abbracciandola come fratello. Quivi di certo non mancano i vestiti regali con la loro soave fragranza, ossia le ammirabili virtù di Dio; qui lo splendore dell'oro, che è la carità; qui lo scintillare delle pietre preziose, che sono le notizie delle sostanze superiori

14 Es 33,22.

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e inferiori; qui il volto del Verbo, pieno di grazie, le quali investono e rivestono l'anima in modo che essa, trasformata in queste virtù del Re del Cielo, si veda costituita regina, e di lei possa dirsi con verità ciò che Davide dice in un Salmo, cioè: Stette la Regina alla tua destra, in manto d'oro, circondata di vari ornamenti (Sa l 44 ,10). E poiché tutto questo succede nell'intima sostanza dell'anima, subito ella soggiunge:

Ove in segreto e solo hai, tua divora. 14 - Dice che lo Sposo dimora segretamente nel suo seno, perché questo dolce abbraccio avviene nel fondo della sostanza dell'anima. È da sapersi che in tutte le anime Dio dimora segreto e nascosto nella loro sostanza, perché se ciò non fosse, non potrebbero sussistere; però v'è differenza, e molta, nei vari modi di dimorare. Perocché, nelle une dimora solo, e in altre no; nelle une dimora soddisfatto, in altre scontento; nelle une dimora come in casa propria, comandando e dirigendo tutto, ma in altre come estraneo in casa altrui, dove non lo lasciano comandare né fare cosa alcuna. L'anima in cui albergano meno appetiti e gusti propri, è quella dove Egli dimora più solo, più contento e più in casa propria, reggendola e governandola; e tanto più segreto vi dimora, quanto più è solo. In quest'anima, quindi, in cui ormai non vi sono appetiti né immagini o forme, né affetti di alcuna cosa creata, l 'Amato segretissimamente, dimora con tanto più intimo e stretto amplesso, quanto più ella è pura e sgombra da ogni altra cosa che non sia Dio. Vi sta tanto nascosto, che né il demonio può intromettersi in questo abbraccio, né l'intelletto umano può comprendere come avvenga. Tuttavia non è nascosto per l'anima che è giunta a tale perfezione, perché ella sente in sé quest'intimo amplesso. Non sempre, però, può dirsi che l'Amato non sia nascosto rispetto ai suddetti risvegli, perché quando Egli li fa, sembra all'anima che lo Sposo si desti nel suo seno, quasi che prima vi stesse addormentato. Invero, benché pure prima lo sentisse e gustasse, lo sentiva e gustava come addormentato in seno: poiché, se uno dei due dorme, le notizie e l 'amore di tutt'e due non si comunicano finché l'uno e l’altro non siano svegli. 15 - Oh quanto è felice quest'anima che sente ognora Dio in sé, come in riposo e addormentato nel suo seno! Oh quanto è conveniente per lei che si allontani da ogni cosa, fugga i negozi, e viva con immensa tranquillità, a fine di non disturbare, neanche col più piccolo rumore, il seno dell'Amato! Egli è là, nella sostanza dell'anima, ordinariamente addormentato nell'amplesso con la sua sposa, che assai bene e continuamente lo sente e gode. Che se stesse sempre sveglio, comunicandole notizie e amore, l'anima già starebbe nella gloria; poiché se per una volta sola che si sveglia, aprendo un tantino gli occhi, produce nell'anima gli effetti che abbiamo descritto, che cosa sarebbe se abitualmente stesse in lei e per lei ben desto? 16 - In altre anime che non sono giunte a questa unione divina, benché non vi dimori scontento, perché alla fin fine sono in stato di grazia, tuttavia non essendo ancora ben disposte, vi sta nascosto a loro stesse, giacché di solito non lo sentono, ma solo quando Egli fa loro alcuni dolci risvegli, che non sono peraltro del genere di cui sopra, anzi non hanno niente a vedere con quelli. Nemmeno poi sono tanto nascosti all'intelletto umano e al demonio, quanto i primi, perché l'uno e l'altro potrebbero intenderli un po' per mezzo dei movimenti del senso, il quale fino al tempo dell'unione non è ben annichilito, ma ancora fa alcune azioni e movimenti intorno a ciò che è spirituale, e d'altra parte la comunicazione o risveglio non è interamente spirituale. Ma nel risveglio dello Sposo in quest'anima di tanta perfezione, tutto ciò che accade e si opera, è perfetto, perché Egli solo fa tutto. Ed allora l'anima sente che l'Amato fa quell'aspirazione e risveglio a guisa di chi respira, destandosi dal sonno; e provando un ineffabile diletto nell'aspirazione dello Spirito Santo in Dio, viene sovranamente glorificata e innamorata. E perciò dice i seguenti versi:

Il tuo aspirar gustoso, Di beni e gloria pieno, Quanto soavemente m'innamora!

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17 - Di quest'aspirazione, piena per l 'anima di tanto bene, di gloria e di delicato amore divino, io non vorrei parlare, anzi proprio non voglio, perché vedo chiaramente che non ho capacità di saperla ridire, e se ne parlassi, sembrerebbe meno di quello che essa è realmente. Dico soltanto che è un'aspirazione che Dio fa all'anima. In quest'aspirazione, per mezzo di quel risveglio dell'alto conoscimento della Divinità, lo Spirito Santo aspira all'anima, alla stessa proporzione dell'intelligenza o notizia di Dio, nella quale l'assorbe profondissimamente in sé, e in pari tempo l'innamora con forza e delicatezza divina, a misura di ciò che ella vide in Dio. Essendo l'aspirazione piena di bene e di gloria, lo Spirito Santo ne ricolmò l'anima, e con questo l'innamorò di sé oltre ogni dire e sopra ogni senso, immergendola nei profondi abissi di Dio: al quale sia onore e gloria in saecula saeculorum. Amen.

Fine della Fiamma viva d’Amore