Federico II Di Svevia Castel Del Monte

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1 Frontone della sede centrale dell’Università “Federico II” di Napoli. Scritti federiciani di Lello Capaldo FEDERICO II DI SVEVIA La riproduzione dei testi è consentita ed è gratuita, l’utilizzatore tuttavia ha l’obbligo di citare con evidenza e completezza la fonte e l’autore. Per mettersi eventualmente in contatto con l’autore scrivere a: [email protected]

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Storia Meridione

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Frontone della sede centrale dell’Università “Federico II” di Napoli.Scritti federiciani di Lello Capaldo

FEDERICO II DI SVEVIA

La riproduzione dei testi è consentita ed è gratuita, l’utilizzatore tuttavia hal’obbligo di citare con evidenza e completezza la fonte e l’autore.

Per mettersi eventualmente in contatto con l’autore scrivere a:[email protected]

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SOMMARIO

Premessa - Apulia porta d’Oriente ..................................... pag. 3

Breve storia di una scoperta ............................................... pag. 5

Nuove Tessere .................................................................... pag. 23

Federico II tra Oriente ed Occidente .................................. pag. 25

Federico II e Castel del Monte: un binomio inseparabile... pag. 30

Il Baphomet ....................................................................... pag. 33

Il Baphomet, nuove prove ................................................. pag. 37

Il colore a Castel Del Monte ............................................. pag. 40

Gli occhi di Federico ........................................................ pag. 42

Federico II e gli ordini religioso-militari .......................... pag. 44

Il trono di Federico II ........................................................ pag. 48

Il punto sull’affresco di S. Margherita .............................. pag. 52

Bibliografia ....................................................................... pag. 59

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Premessa

Apulia porta d’Oriente

Nel tredicesimo secolo l’Apulia, porta dell’Italia da e per l’Oriente at-traverso la quale passavano crociati e mercanti, fu intensamente fre-quentata da flussi di viaggiatori e da un conseguente scambio di pro-dotti delle rispettive culture. A incrementare ulteriormente il fenomenosi aggiunse l’aperta mentalità dei regnanti svevi e, in particolare, l’am-mirazione che Federico II nutrì per l’Islam, ammirazione che si risolse,appunto, nell’accogliere alla sua corte non poche manifestazioni degliusi e costumi arabi. Correva all’epoca la moda, nelle figurazioni im-portate dall’Oriente, di illustrare una nota e diffusa parabolamoraleggiante intitolata “il trionfo della morte”, che intendeva ricorda-re come questa, rappresentata da verminosi scheletri, finisse inevitabil-mente con l’avere il sopravvento sui vivi anche se questi fossero statirispettati e potenti signori. Il tema fu ampiamente utilizzato dai predi-catori dell’epoca, sia perché vagamente consolatorio, sia perché il ma-cabro ha sempre attirato l’attenzione, la curiosità della fantasia colletti-va. E questi furono i motivi per cui con una scena del genere l’ammo-nimento venne presentato al popolo di Melfi raffigurandolo in un grandipinto che ancora oggi (dopo oltre ottocento anni) orna una paretedella cappella rupestre di S. Margherita alle porte di quella città, che fuprediletta dalla corte imperiale sveva. La scena, impressionante, rap-presenta due ripugnanti scheletri che si avvicinano fin quasi a toccareun gruppo di tre “vivi” formato da un uomo maturo, paludato di porpo-ra e d’ermellino (e recante sul braccio uno sparviero dalle tipiche iridichiare), che si frappone tra i “morti (gli scheletri)” e gli altri che sono:una bellissima dama, bionda e con gli occhi cerulei, ed un fanciullo,biondo anch’esso.Il dipinto fu scoperto dagli studiosi d’arte all’inizio del 1900, ma non èbastato un secolo perché gli esperti si accorgessero della vera identitàdei tre personaggi, anzi un noto studioso orientò erroneamente le ricer-che giudicandolo di matrice angioina. E così gli studi sullo straordina-

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Figura 1 - Il dipinto detto “Il trionfo della morte” in una foto degli anni 60(cortesia Soprint. BAAS, Matera). Si notino le borse da caccia portate dai“vivi” e, su di esse, il ricamo del giglio araldico e quello di un fiore con ottopetali.

rio affresco rimasero paralizzati fino al 1993 quando un ricercatorenapoletano, il dott. Lello Capaldo, sviluppando una originalissima tesiriuscì a provare che, ad essere rappresentati nell’affresco, sono proprioi componenti della famiglia imperiale: Federico II, la moglie Elisabettad’Inghilterra e il figlio del primo, Corrado. Entrare nella penombra del-la cappella rupestre e guardare in viso a così straordinari e famosi per-sonaggi, mai ritratti altrove, sembra un miracolo e produce un’intensaemozione che non può assolutamente dimenticarsi.

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Breve storia di una scoperta

All’inizio del 900 la rivista Napoli Nobilissima, per un quarto di secolodiretta da Benedetto Croce, pubblicò la notizia del ritrovamento di uninsolito dipinto nella chiesa di S. Margherita in Melfi, riportandoneanche un disegno (fig. 2). Dopo quasi un secolo, tuttavia, malgradonon pochi studi teorici sul soggetto, mancava qualsiasi notizia sullostato del monumento. Si avvertiva quindi l’esigenza di un controllo,anche in relazione al fascino legato alle chiese rupestri sempre più ab-bandonate, tanto più che la cappella era stata, per lunghi anni, incredi-bilmente degradata a stalla.Il sopralluogo venne effettuato nella primavera del 1993 e, pur nell’an-goscia suggerita dal vergognoso abbandono dello straordinario sito, sipoterono riscontrare ancora non pochi importanti particolari dell’ar-chitettura e delle pitture che avrebbero, poi, portato a conclusioni origi-nali e sorprendenti. Si vide che quasi tutte le figure degli affreschi,anime sante, apparivano nimbate, mentre poche erano quelle che ritra-evano persone vive, quindi prive di aureola. Tra queste spiccavano unuomo maturo dalla barba rossiccia, una donna, con capigliatura bion-da, il volto allungato e gli occhi azzurri che cinge in un abbraccio ungiovanetto, biondo anch’esso, quasi a difenderlo dai due scheletri chesu di loro incombono simboleggiando la morte e meritando alla scenail titolo di “Trionfo della Morte”. Paludate in modo tra loro uniforme esontuoso, in questa cappella dall’architettura inequivocabilmentemoresca (fig. 3), cosa raccontavano quelle figure dai volti nordici inuna terra di brune etnie mediterranee? A risolvere il quesito soccorse lanozione che il tema del dipinto fu caro ai predicatori del tempo perchérappresentava efficacemente la caducità delle umane vanità di fronte altrapasso: sorte comune, questa, che toccava a chiunque, anche ai sog-getti più nobili e potenti. Un tema, dunque, che era, sì, un ammonimen-to, ma risultava anche in un certo senso consolatorio per la gran massadi diseredati che vivevano in quelle desolate campagne e frequentava-no l’umile chiesetta di S. Margherita. Dunque, perché il messaggio rag-

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giungesse il suo scopo, i tre “vivi” dovevano essere scelti tra i grandisignori del posto e dovevano essere anche ben riconoscibili. E fu aquesto punto che il pittorello dovette avere la folgorazione e pensò,allo scopo di rap-presentare il mas-simo del potere,della ricchezza edella notorietà, diricorrere all’im-magine della fa-miglia imperiale.Naturalmente fuquesta, per loscrivente, unaprima intuizioneche nacque im-provvisamentementre, ancora inpreda allo stupo-re, si aggirava nella buia cappella. Solo più tardi essa divenne un’ipote-si di lavoro alla quale sono stati dedicati anni di studio e di approfondi-menti col risultato di raccogliere numerosissimi indizi, a favore dellaidentificazione, che, infine, si sarebbero rivelati tutti tra loro concor-danti così da assumere valore di prova.

Figura 2 - Disegno del duecentesco dipinto della cap-pella di S. Margherita in Melfi, realizzato dalloscopritore Giambattista Guarini, in “Napoli Nobilissi-ma”, vol. VIII, fascicolo 1, gennaio 1889, pag. 113.

Figura 3 - L’arco carenato,struttura tipicamentemoresca, all’interno dellacappella di S. Margheritain Melfi (PZ).

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Figura 4 - Detta-glio dell’affre-sco “Il trionfodella morte”. Iricami sulle bor-se raffiguranogigli e fiori conotto petali(Loto). Visibilianche i tre col-telli da caccia.

E’ stato, dunque, il dipinto del “gruppo di famiglia” (l’unico che siconosca) databile al XIII sec. e tuttora visibile anche se molto rovinatoa causa di ritardati interventi di manutenzione e restauro (non sollecita-ti dagli ambienti istituzionalmente più qualificati), ad essere oggettodell’attenzione dell’autore che, dopo accurata indagine , ha raggiuntola ragionevole certezza che in essi potessero ravvisarsi, appunto, Fede-rico II di Svevia, la moglie Isabella (o Elisabetta) d’Inghilterra ed ilfiglio Corrado (IV) (fig. 1). La discussione, le immagini e i documentirelativi alla identificazione sono stati pubblicati, per la prima volta, nelmarzo 1994 nel breve saggio “Federico II a Melfì, ritrovato il verovolto dell’Imperatore” 1. Per i lettori di oggi viene qui parzialmenteriassunto, emendato in qualche passaggio ed integrato, il testo di cuisopra precisando che la favorevole accoglienza ad esso riservata anchein ambienti specialistici, ha incoraggiato un costante approfondimentodella ricerca e dello studio degli elementi obiettivi che avallano l’iden-tificazione dei personaggi. Tra gli elementi-guida vi sono stati certa-mente il giglio ed il fiore a otto petali ricamati, con evidenza e ripetitività,sulle borse da caccia, tutte uguali tra loro, esibite dai tre personaggi.Del primo motivo-simbolo si è già accennato nella pubblicazione del94, ma se ne parlerà ancora in questo scritto, mentre per il secondosono stati trovati nuovi accostamenti che ne dimostrano la coerenza colmondo federiciano, che si colloca tra Oriente e Occidente 2. Ben visibi-li sono anche i tre coltelli da caccia portati alla cintura (fig. 4).

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I primi indizi.Allorché, nel 1782, fu riesumata a Palermo la salma, perfettamente con-servata, di Federico II (fig. 5) si trovò che era vestita con tre tuniche: laprima, la più intima, di colore bianco detta “alba”, è la stessa che perpropria scelta l’imperatore indossava normalmente sotto i panni regali.Ebbene, sulle maniche, essa mostrava ampi arabeschi ricamati, traman-datici da un disegno coevo della ricognizione, formati da una elegantescritta cufica e da un fiore ad otto petali, stilizzato e racchiuso in uncerchio 3 che, in questo caso, sarebbe riduttivo ritenere un semplicemotivo ornamentale (fig. 6). Infatti le ragioni per le quali piacque al-l’imperatore di adottare questo segno, questa forma quasi come un si-gillo (fig. 7), sono, molto probabilmente, legate ai profondi significatidel fiore di loto - per convenzione rappresentato con otto o sedici petalie simbolicamente apparentato col giglio - e forse anche per la sua ap-partenenza alla raffinata cultura ismailita sicuramente nota a FedericoII. Nato, questo motivo, in Oriente ed in epoca remota come decorazio-ne di ispirazione solare (fig. 8), esso è andato col tempo caricandosi disignificati mistici ed è quindi entrato a far parte di quei diagrammicircolari, propri dell’esoterismo islamico, la cui parentela coi più com-plicati mandala indiani, per concezione e significato, è sorprendente 4.E dunque, se trovare accostamenti tra chiunque altro e quei motivi ot-tagonali può ritenersi frutto del caso, altrettanto non può assolutamentepensarsi trattandosi di Federico II. Per questi infatti vi erano motiva-zioni precise ed evidenti che lo portavano a prediligere questa figura,che palesemente richiama quelle geometrie che ispirarono monumentida lui ammirati - ad es. la moschea di Omar a Gerusalemme - o cheavevano segnato momenti salienti della sua esistenza. Egli, infatti, fuincoronato re dei Romani, con una corona ottagonale, nella cappellapalatina di Aquisgrana, che vanta un impianto centrale con otto lati,racchiuso in un ambulacro che ne ha sedici, ed era illuminata da ungrande e famoso lampadario ottagonale, con otto torri angolari, donatoalla chiesa dal Barbarossa. E, sempre questo numero, suggerì a lui, chelo concepì, lo schema del “misterioso” Castel del Monte: uno straordi-nario monumento, che materializza un alto messaggio spirituale chel’imperatore ha voluto lasciare alle generazioni future 5.

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I dubbi dei lettori.

In una corretta disamina delle reazioni suscitate dalcitato nostro saggio del 1994, nel suo primo annodi vita, è tuttavia doveroso rilevare che, oltre ad unincoraggiante apprezzamento, esso ha alimentatoanche alcune perplessità, che qui di seguito si ri-portano unitamente alle controdeduzioni dell’au-tore. Premesso che le notizie biografiche su Fede-rico Il di Svevia sono spesso venate di incertezza, eda questo dipende la difficoltà di redigere una cro-nologia dettagliata e sicura, è opinione dei maggio-ri biografi dello Svevo che il giovane figlio Corrado(IV) non si sia mai trattenuto in Apulia insieme conla matrigna Isabella d’Inghilterra. Di conseguenzaqualche lettore ha ritenuto poco credibile che po-tesse esistere un “ritratto di famiglia”, come quellodella chiesa rupestre di S. Margherita in Melfi, chepresenti, uniti, Federico, Isabella e Corrado; ma, inogni caso, l’obiezione non inficia l’ipotesi dellaidentificazione dell’imperatore, effettuata in basea numerosi elementi obiettivi quali i simboli da luiadottati e che vistosamente figurano nel citato di-pinto rupestre. Si deve comunque tenere presenteche, se è vero che Isabella fu presentata alla cortedi Melfi solo dopo la partenza di Corrado per laGermania - e si sa che molto impressionò per lasua bellezza - e se è altrettanto vero che rimaseesclusa dalle manifestazioni ufficiali per espressavolontà dell’Imperatore, in compenso è ben notoche questi la volle sempre con sé nella quotidianitàe nelle cacce, durante le quali amava accompagnarsi

Figura 5 - La mum-mia di Federico IIcosì come fu trova-ta nella ricognizio-ne del 1782. Da undisegno di F.Danieli in “I regalisepolcri del Duo-mo di Palermo ri-conosciuti e illu-strati”, Napoli1784.

Figura 6 - Il ricamo con arabeschi visi-bile sulle maniche della tunica che ve-ste la mummia di Federico II. Si noti-no: il fiore ottopetalo, stilizzato e rac-chiuso in un cerchio, nonché le scrittecufiche. Dal Danieli op. cit.

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anche coi figli ed in particola-re col prediletto Corrado. Pertali motivi il popolo ben co-nosceva i singoli componentidella famiglia imperiale ed è,quindi, del tutto probabile cheil pittore dell’affresco di S.Margherita, volendo rappre-sentare il gruppo di famiglia,abbia riunito nel suo dipinto itre personaggi, anche se da luiosservati in momenti diversi ecomunque tra loro non lonta-ni. Solo così sarebbe stato pos-sibile affidare all’affresco ilmessaggio di cui doveva esse-re portatore, cioè la vulnera-bilità alla morte della pur po-tente famiglia imperiale presa,nel suo insieme, come emble-ma del massimo umano pote-re.A facilitare questo propositodel pittore vi fu la circostanza- la stessa che ha fatto preva-lere la tesi che il ragazzo ri-tratto fosse appunto Corrado enon Enrico (VII), come, pur te-oricamente, pareva possibile -che la più intensafrequentazione dell’Apulia, daparte dell’Imperatore, si ebbetra il 1228 (anno di nascita diCorrado) e il 1235 (allorchéquesti partì per la Germania)e anche dal 1240 fino allascomparsa della terza moglie,Isabella appunto, nel dicembredel 1241 6. Da tale contesto sipuò anche ricavare la data direalizzazione del “Trionfo della Morte”: esso infatti potrebbe essere ilpiù tardo tra quelli che ornano S. Margherita, da porsi appunto tra glianni 1235 (avvento di Isabella), quando Corrado aveva sei anni cioè

Figura 7 - L’anello: sorta di sigilloottopetalo di Federico II. (Dal Danieli op.Cit.) Un “segno” questo che sempre rive-la, a chi è in grado di intendere, la “parte-cipazione”, la “presenza” di Lui, della suafede, della sua anima.

Figura 8 - Fiore di loto che, in relazione alsuo originario areale di diffusione, vienedetto “east indian lotus” e corrisponde allaspecie scientificamente nota col nome diNelumbo nucifera (nel tempo associato alBuddha).

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pressappoco l’età dimostratadal ragazzo che compare neldipinto, e il 1241 anno in cuiquesta regina esce di scena.Questa datazione è in pieno ac-cordo col fatto che il soggettodell’affresco giunse dal-l’Oriente e fu realizzato per laprima volta in Italia a Melfi 7,da dove si irradiò in altre cit-tà, innanzi tutto ad Atri ovel’analoga scena è stata datatacon sicurezza tra il 1240 e il1250 8. E se, dunque, essogiunse in Abruzzo dopo averfatto tappa a Melfi è anche evi-dente che la realizzazionemelfitana può essere, al mas-simo, contemporanea alla se-conda, anzi più probabilmen-te precedente ad essa, cosìconfermandosi di età coerentecon la cronologia delineata piùsopra. Ma altri dubbi sono statimanifestati.

”Perché Federico II non in-dossa, nel dipinto, il suopaludamento imperiale?”

La risposta è semplice: egli doveva essere riconosciuto ictu oculi dacoloro che frequentavano la umile chiesetta di S. Margherita, cioè daquei popolani, da quei contadini che erano abituati a vederlo in tenutavenatoria, durante le sue cacce nelle campagne e nei favolosi boschidel Vùlture. Solo grazie a questo realismo l’affresco avrebbe “parlato”al popolo ed il suo messaggio sarebbe stato compreso. Le insegne delpotere, certamente inadatte alla pratica venatoria, venivano esibite dal-l’imperatore solo a corte, nel chiuso del palazzo, o in poche altre solen-ni occasioni, ma quanta parte dei contadini poteva vederle e quindiriconoscerle? Comunque, da quel semplice abbigliamento, non risultaesclusa una componente regale: il mantello di porpora guarnito con unbordo che richiama l’ermellino.

Figura 9 - Federico Barbarossa: si notil’imponente scettro a forma di giglio. Dalla“Cronaca dei guelfi”, Monastero benedet-tino di Weingarten, Germania).

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“I personaggi del dipinto sono solo tre ano-nimi cacciatori”.Questa obiezione non regge in alcun modoperché, se tanto fosse vero, non si compren-de perché il pittore sia ricorso a rappresen-tarli come un uomo, una donna e un ragaz-zo e non, semplicemente, sotto l’aspetto ditre uomini, come ad Atri. D’altra parte èchiaro che i dettagli di questo soggetto, fre-quente nel Medioevo, furono di volta involta adattati alle diverse situazioni locali.In realtà, qualora semplificato a imitazionedi altri, il dipinto avrebbe avuto, per la po-polazione melfitana, minore efficacia nel-l’esprimere il messaggio che ragionevol-mente si ritiene dovesse comunicare, cioè iltrionfo della morte sui potenti anche quellidel più elevato rango. Si tratta, dunque, pro-prio della famiglia del Puer Apuliae e l’ipo-tesi trova conferma nella ovvia considera-zione che nessun cacciatore del contado, an-che se nobile, avrebbe mai osato fregiarsidei segni prediletti dall’imperatore - il gi-glio (legato alla regalità e testimone di essa:vedi figg. da 9 a 14) e il fiore a otto petali -così vistosamente presenti sulle borse dacaccia, visibili nell’affresco, e portate da tuttii tre membri del nucleo familiare.D’altra parte l’ipotesi, avanzata temeraria-mente da qualcuno, ma che qui fermamentesi respinge, cioè che i tre personaggi possa-no essere altrettanti cavalieri, implichereb-be che la figura centrale dell’affresco nonsia l’immagine di una donna, ma di un uomo.È questa un’inaccettabile forzatura poichéin questa figura sono invece evidenti i ca-ratteri di una fragile femminilità: i capellitrattenuti da una rete (non visibile) e da un(evidente) cercine sulla fronte, ma , a pro-

Figura 11 - Federico II. Codice Biblioteca Apo-stolica

Figura 10 - Arrigo VI, ge-nitore di Federico II. Ancheper lui c’è lo scettro a for-ma di giglio araldico (=iris). Si noti anche, nellostemma, l’aquila con lacoda a forma di giglio sti-lizzato. Per avere una con-ferma della equivalenza edella intercambiabilità trala coda dell’aquila e l’iris,che orna la corona regale,cfr. la figura 16. Dal Codi-ce Manesse.

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varlo e a dissipare ogni dubbio, è soprattut-to il suo atteggiamento materno nei con-fronti del fanciullo che le sta a fianco, alquale ella si stringe per proteggerlo dai duescheletri incombenti, simbolo di morte. Edovettero essere proprio questi elementi adorientare lo scopritore del dipinto,Giambattista Guarini, allorché, su NapoliNobilissima vol. VIII, fasc.1 del gennaio1899, dichiarò senza esitazione di essersitrovato di fronte ad un nucleo familiare. Coltempo, diffusasi la notizia del ritrovamen-to del dipinto, furono in tanti a interessar-sene, così giungendo alla scoperta delle sueradici che si riconoscono ne “Il racconto deitre morti e dei tre vivi”: un tema orientalegiunto per la prima volta tra noi, appunto,attraverso l’affresco di S. Margherita. Inseguito i numerosi studiosi che se ne occu-parono, e che di esso probabilmente ave-vano solo notizie libresche, ritennero chepedissequamente esso dovesse rappresen-tare l’originario racconto, che parlava di trecavalieri. Non si resero conto che l’affre-sco melfitano era, in questo senso, atipicoin quanto era stato adattato alla realtà stori-ca di Melfi e dell’Apulia. Infine, i sullodati

studiosi,s e n z aneppuree s s e r esf iorat id a l l asupposi-z i o n eche il di-pinto po-

Figura 13 - Pergamo di Bitonto: il gigliostilizzato passa di mano tra i membri del-la stirpe sveva.

Figura 12 - Davide, Red’Israele, da sempre ideal-mente considerato predeces-sore degli imperatori delSacro Romano Impero inquanto stimola in questil’ambizione di regnare suGerusalemme. Si notino: loscettro a forma di giglioaraldico, stilizzato rendendoi petali simili a cladodi, cosìcome quelli scolpiti sulloschienale del trono di Fede-rico II (v.) e, sulla spalla de-stra la fibbia avente l’aspet-to di un fiore ottopetalo.Vetrata della cattedraleHaugsburg (Augusta), capi-tale della Svevia.

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tesse rappresentare la famiglia im-periale, vollero vedere, oltre che itre cavalieri, anche i tre scheletri delracconto originario, mentre qui sonosolo due, né sembra che esistanotracce del terzo scheletro, che il tem-po avrebbe cancellato, e neppure lospazio stesso necessario ad acco-glierlo. Ma i teorici, avulsi dalla re-altà, continuano, e molto probabil-mente continueranno, a parlare di trecavalieri e di tre scheletri! Un’ulte-riore, breve considerazione deve es-sere fatta nel merito del coltello dacaccia che “i tre vivi” portano allacintura e che a qualcuno potrebbeapparire disdicevole per una donna.Ma è la storia della moda in Europaa dirci che sin dal XIII sec. si anda-rono diffondendo, per le donne, fog-ge di vestire mascolino, così che: “...in Inghilterra (esse) si recavano ai tornei a cavallo (in questo caso essapartecipa ad una partita di caccia n.d.r.) portando tuniche bicolori epugnale alla cintola, più simili a partecipanti che a semplici spettatri-ci.” (Da AA.VV. a cura di Duby G. e Perrot M.: Storia delle donne inoccidente. Il Medioevo. Laterza Ed. Milano 1990, pag. 168). Un moti-vo in più dunque per avere conferma della nazionalità della donna. “L’affresco è di epoca angioina”È questa la obiezione più ricorrente, che viene ripetuta in modo acriti-co allo scopo di sostenere, con questa unica osservazione, l’estraneitàdel dipinto al mondo federiciano.Essa deriva da un’opinione diFerdinando Bologna, categorica-mente enunciata negli anni sessan-ta 9, con cui questi affermava che,comparendo un giglio nella pittura(sulle borse da caccia), “si è certiche si tratta di opera posteriore al1266”, cioè di epoca angioina inquanto sarebbe stato questo casatofrancese a elevare il fiore ad em-blema reale! Fermo restando che gliangioini adottarono uno stemma

Figura 14 - Dettaglio del pergamo,il simbolo del giglio.

Figura 15 - Stemma adottato dagliStaufen. Dal Codice Manesse

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con più gigli, il fatto non esclude che altre case regnanti lo avesseroadottato. Pertanto resta personalistica la conclusione che questo em-blema fosse esclusivo della casa francese. Ma l’affermazione del Prof.Bologna, malgrado inappropriata, divenne ben presto un “ipse dixit”per almeno due generazioni di “esperti” (da giudicare quanto menoacritici se non disponibili a squalificanti sudditanze, e tra questi coloroche immotivatamente rifiutano il presente studio), mentre essa era sta-ta solo un’affrettata deduzione. Il giglio è simbolo antichissimo, appar-tiene alla cultura egizia, alla mitologia classica e finanche alla Bibbiae, sempre, per il suo splendore e maestà, viene accostato alla regalità;inoltre esso è promessa di immortalità, salvezza e gloria e, in questosenso, si può stabilire un’equivalenza tra esso e il fiore di loto (Chevalier-Gheerbrant, op.cit.). In tempi da noi meno lontani esso è cantato daipoeti bizantini come fiore “assolutamente meraviglioso” 10. Non furo-no dunque solo gli Angioini a comprendere ed esaltarne i significati maessi, come tanti altri prima e dopo di loro, lo accolsero, da antiche enote tradizioni, tra i simboli beneauguranti per il proprio casato.Ma, nel nostro caso, c’è qualcosa di più: il giglio risultagenerazionalmente legato anche agli Hohenstaufen. Federico I, ilBarbarossa (nonno di Federico II) è raffigurato in una miniatura del XIIsec. assiso sul trono e munito di uno scettro a forma di giglio (fig. 9);stessa composizione, questa volta con Enrico VI (padre di Federico II)troviamo nel Codice Manesse (fig. 10); ancora e sempre un giglio com-pare nel sigillo di Costanza d’Altavilla (madre di Federico II) 11. Inparticolare, poi, per quanto riguarda personalmente Federico II, rile-viamo che una sua corona è ornata con al-meno quattro gigli ed inoltre la sua effige,nelle miniature e nei sigilli, è quasi sem-pre accompagnata da questo fiore: v. ad es.il folio 1 del Codice di Manfredi (fig. 11),v. “la ruota della fortuna”nei Carmina Burana delXIII sec., v. l’emblemadell’Università “FedericoII” di Napoli, già sigilloimperiale, nonché nume-rose altre raffigurazionicome ad es. quella dellastatua in metallo esisten-te ad Aquisgrana(Karlschrein) in cui Fede-rico II impugna le insegnedel potere che sono, ap-

Figura 16 - Det-taglio: aquila lacui coda si iden-tifica, anchenella concezio-ne del tempo,con l’iris stiliz-zato dellasottostante co-rona. Dal Codi-ce Manesse

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punto, lo scettro terminante col fiore di giglio e il globo crucigero. Ri-teniamo, con questi elementi, di aver dato una risposta definitiva a chiriteneva che potesse bastare la presenza di un giglio per accreditare unamatrice angioina. Dunque anche la saga sveva è accompagnata dallapresenza di questo fiore e se, in qualche caso, manca il giglio è tuttaviapresente l’aquila “gigliata” (v. figg. da 15 a 20), che con buon fonda-mento (v. infra) si ipotizza possa svolgere lo stesso ruolo. Si tenga pre-sente che nel Medioevo è stato concepito un numero maggiore di sim-boli di quanti non ne siano nati dalla fine di quell’epoca sino ai nostrigiorni 12. Ché se poi non si volesse riconoscere questo fiore nella codadell’uccello imperiale - ed escluso che possa trattarsi di un dipinto rea-listico - si dica, per favore, cosa mai rappresenterebbe quella sorta dibulbo, che unisce e divide il corpo del rapace, avente una terminazionetricuspide, che sintetizza il giglio e che lo conclude in basso, fornendoperò anche una spiegazione di quest’ultimo non trascurabile particola-re 13. L’insieme può osservarsi in numerose miniature riguardanti ilcasato svevo (v. ad es. figg. 15 e 16) Ma torniamo alla scena del “Trionfodella Morte” e rileviamo che, in ogni caso, anche ammettendo che ildipinto possa essere stato realizzato in epoca più tarda di quella da noiindicata, non è certamente questo un buon motivo per sostenere che ilfalconiere colà raffigurato non sia Federico II. E’ noto infatti che l’au-torità, il fascino, la grandezza di questi sopravvissero lungamente, nel-la memoria collettiva, finanche dopo la sua scomparsa, anzi furono inmolti a ritenere che egli non fosse morto. Rimase dunque lo Svevocome modello irraggiungibile del massimo potere e ascendente cui unuomo potesse giungere e quindi, anche in epoca angioina, egli conti-nuava a rappresentare un ideale ed un simbolo. In conclusione apparechiaro che non con le cronologie note, e meno che mai con certe affer-mazioni apodittiche, deve confrontarsi la ricerca di tipo analitico espo-sta nei nostri precedenti saggi e nel presente aggiornamento (nessunodi coloro che si dimostrano dissenzienti dalle nostre conclusioni hamai argomentato alcunché sulla non pertinenza del fiore ottopetalo colmondo federiciano, né ha potuto sostenere che il giglio non competes-se anche agli Svevi come simbolo regale) e pertanto, per accreditareopinioni diverse da quelle fin qui esposte, si dovranno innanzitutto de-molire, punto per punto, tutte le tesi brevemente riassunte nel presentelavoro, altrimenti non si potrà non tenerne conto.Anche se, in forza di quanto esposto, sarà forse necessario riformulareuna più analitica e dettagliata ricostruzione degli avvenimenti del peri-odo intorno al 1235, cioè quando Corrado raggiunse quell’etàprepuberale dimostrata dal ragazzo ritratto nel dipinto di Melfi. I datiobiettivi che si rilevano dallo studio del monumento - quale la sua ar-chitettura con l’arco carenato che si restringe alla base 14 (v. fig. 2) - e

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il necessario approfondimento di ciascun dettaglio del dipinto, quali isimboli regali esibiti dai personaggi, alcuni caratteri fisiognomici e cioèla insolita capigliatura bionda del ragazzo, gli altrettanto rari occhicerulei della donna, alta e bionda anche lei, la statura di “lui”, inferiorea quella della moglie, la presenza del falcone e soprattutto la barbarossiccia, costituiscono elementi di giudizio primari, sia se vengonoconsiderati singolarmente, sia, soprattutto, nel loro insieme. In ognicaso non possono essere valutati come semplici e fortuite coincidenze,specie se si tiene conto che le ipotesi qui formulate sono assai verosi-mili e che, se a favore di questa identificazione mancano prove certeesse mancano anche per dimostrarne l’infondatezza! Si noti, infatti, laraffrontabile tipologia fisica tra il Federico II del dipinto e la sua mum-mia e si noti, soprattutto, l’impressionante somiglianza tra il primo eun ritratto di epoca a lui coeva contenuto nella Chronica RegiaColoniensis 15. Il dipinto in oggetto, paragonato alle pitturebizantineggianti che lo circondano, si mostra più sofisticato di questeultime così venendosi ad inquadrare nella scienza e nel pensierofedericiani e manfrediani. Di fatto il tema del “Trionfo della Morte”, loripetiamo, si diffuse in Occidente nel XIII sec. e trovò a Melfi la suaprima realizzazione (Baltrusaitis op. cit.) proprio grazie alle posizionistoriche assunte dagli Svevi nell’Italia meridionale e certamente nondagli Angioini) nonché alle loro aperture artistiche. Inoltre le suestilizzazioni, il disegno guizzante e sottile, i caratteri di una modaarabeggiante ci riportano anch’essi al ciclo miniatorio degli Svevi(Vivarelli op. cit.). In proposito si tenga presente che di questa irradia-zione, dall’Apulia verso occidente, non può dubitarsi perché notoria-mente, sia il tema del dipinto in questione, sia il modo di rappresentareil fiore di loto con otto petali (ripetiamo: una sorta di mandala), e sia,ancora, l’arco carenato che si restringe alla base (a ferro di cavallo)trovano tutti e tre, origine, unica e unificante, nella cultura buddistico-persiano-araba mediata nel Mezzogiorno d’Italia dagli Svevi (e noncertamente dalla successiva dinastia francese!). Fu infatti la corte svevache, da un lato, si mostrò sensibile alla mistica sufita e, dall’altro, ali-mentò quel senso realistico e positivo delle cose, congeniale a FedericoII, primo uomo nuovo dei suoi tempi e che chiaramente si distacca dalMedioevo 16. L’impegno posto dall’autore nella ricerca, brevementeriassunta nel presente articolo, ha meritato apprezzamenti che hannodetermiato la pubblicazione dei risultati nell’ambito di convegni inter-nazionali (Bonn 1955), la pubblicazione da parte dell’AccademiaPontaniana (Atti del 1999) nonchè l’apprezzamento espresso dal Presi-de della Facoltà di Lettere dell’Univesità di Napoli. Tali studi oltre adarricchire la biografia federiciana, svelano il senso di misteriosi simbo-li (ivi compreso il Baphomet) facenti parte del mondo segreto dell’im-peratore.

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Dall’affresco del “Trionfo della morte” fotografato prima dei recentirestauri:

La glaucopide Isabella d’Inghilterra

Il biondo Corrado (IV)

Con la collaborazione del Centro ProduzioneApplicazioni Multimediali della IBM Semeasud S.R.L., alla quale si porge vivo ringrazia-mento, è stato realizzato il restauro elettronicodell’immagine presunta di Federico II esisten-te nella chiesa rupestre di S. Margheritain Melfi.In questa restituzione virtuale nulla è stato la-sciato al caso, alla “invenzione” o alla fantasiadell’operatore e il risultato è stato ottenuto ri-correndo esclusivamente alle foto in bianco ein nero - vecchie di alcuni decenni, una risa-lendo ai primi anni di questo secolo, e nellequali i lineamenti dei personaggi sono ancoraleggibili - e alla loro campitura elettronica coicolori originalice si conservano nell’affrescosebbene, ormai, su superfici ridotte. L’interven-to dell’I.B.M., purtroppo limitato alla sola fi-gura dell’imperatore, ha dato un risultato sor-prendente e ben presto sarà la sola testimonian-za che rimarrà del dipinto, votato ad una rovi-na totale entro pochissimi anni poichè il Mini-stero, forse in assenza di adeguate sollecitazio-ni, non interviene a fermarne il degrado.

La Famiglia imperiale

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NOTE.

1) Chi fosse interessato può richiederloall’ Editore G. Procaccini, via S. Mariadi Costantinopoli 30, CAP 80138 Na-poli.2) Vedi “Federico tra Oriente ed Occi-dente”3) Daniele F. I regali sepolcri del Duo-mo di Palermo riconosciuti ed illustra-ti, Napoli 17844) Per un primo approccio alla materiacfr. Chevalier, Gheerbrant, Dizionariodei simboli, Rizzoli Ed. Milano 1989,nonché Stutley M. e Stutley J. Diziona-rio dell’induismo, Ubaldini Ed., Roma1980. Per quanto concerne Castel delMonte si premette che esso è da consi-derarsi un Mandala di pietra (Mandalain sanscrito significa cerchio) e semprein relazione a questo straordinario mo-numento si segnalano i contributi e labibliografia riportati in Federico II im-magine e potere, pagg. 285/317,Marsilio Ed. Venezia 1995.5) Vedi sempre nel presente lavoro“Contributo per una lettura simbolica di Castel del Monte”. Per l’ini-ziazione a Castel del Monte vedi “Il Baphomet” e ancora “Il Baphomet,nuove prove”.6) Cfr. la cronologia redatta nel suo libro da A. Haseloff: Architetturasveva nell’Italia meridionale, Adda Ed., Bari 1992, pag. 45.7) Baltrusaitis J. Medioevo fantastico, Adelphi Ed., Milano 1973, pag.2528) Vivarelli P. Pittura rupestre nell’Alta Basilicata, la chiesa di SantaMargherita a Melfi in: “Melanges de l’Ecole Francaise de Rome, MoyenAge - Temps Modernes”. Tome 85/1973, 2. pag. 577 e segg.9) Cfr. Bologna F. I pittori alla corte angioina di Napoli, Bozzi Ed.,Roma 1969.10) Cfr. La poesia di Leone Imperatore, che regnò dall’ 886 al 912,intitolata “Il simbolo del giglio”, in Cantarella R. Poeti bizantini, BURMilano 1992.11) Esistente presso l’Archivio di Stato in Palermo e riportato in Horst

Figura 17 - Federico II e partedel suo seguito durante il ma-trimonio con Jolanda diBrienne: si noti l’arme esibitadal portainsegne. Da ChronicaFigurata di G. Villani

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E. Federico II di Svevia, Ed.Rizzoli, Milano 1994, pag.50.12) Vedi “Il trono di Federi-co II”.13) Una nuova ipotesi: nelprimo saggio del 94 (v. nota1) si avanzava l’ipotesi chel’aquila “gigliata”, che in unsecondo momento apparenello stemma degli Staufen,stesse ad indicare la dignitàregale e quella imperialeambedue appartenute allapotente famiglia sveva e suc-cessivamente rappresentatecon l’”aquila bicipite”. Lodimostrerebbe la sempliceosservazione del simbolo:infatti l’aquila si collega al-l’impero, mentre la sua codaaltro non è che l’iris gigliatocapovolto, ovvero il giglioaraldico che si addice alladignità reale (figg. 9 - 14).Nel merito della precedenteipotesi si cita, di seguito, unbrano della lettera indirizzata all’autore dal Dott. Angelandrea Casale,membro della Società Italiana di Studi Araldici e dell’IstitutoGenealogico Italiano: “La vostra ipotesi sulla coda dell’aquila rappre-sentante realisticamente un iris (giglio) è impostata in modo ottimo e laricerca effettuata sulla presenza del giglio in molte miniature riguar-danti il casato svevo testimonia la profondità della ricerca stessa. Cer-tamente la vostra è un’ipotesi, ma formulata in modo assai verosimile.La ricerca effettuata nel saggio Federico II a Melfi non ha niente dainvidiare a tante altre ricerche che, pur mancando di “prove certe”, vannoper la maggiore.”14) Cfr. il capitolo “L’arte dell’islamismo” in Springer, Ricci: Manualedi storia dell’arte, Ist. It. d’Arti Grafiche, Bergamo 1930, vol.II pag. 93e segg. e volume VI pag. 439 e segg. quest’ultimo nell’edizione del1943.15) vedi R. Russo: Federico II Barletta Rotas Ed. Barletta 1994, pag.138.- Inoltre, che Federico avesse una corta barba, almeno da una certa età

Figura 18 - Arrigo VI assiso in trono conl’arme imperiale e l’aquila sovrastante lacorona. Dal Codice Manesse.

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in poi, è confermato in questo ritratto nonché nelle miniature dellaChronica del Villani (Biblioteca Apostolica Vaticana). In due di questeultime egli è raffigurato nel momento del suo matrimonio con Iolandadi Brienne, nel 1225, quindi poco più che trentenne, e al suo ingresso inGerusalemme. Secondo le tesi esposte nel presente saggio l’immaginedi Federico, nell’affresco di S. Margherita, lo ritrarrebbe all’età di oltre40 anni. Vedi l’articolo “Nuove tessere”.16) Cfr. Enciclopedia dell’Arte Medioevale, Ist. Enc. Italiana, Roma1991, vol. 11, pag. 705.

Attenzione! l’articolo “Breve storia di una scoperta” riassume i duesaggi a stampa, indicati qui di seguito, ricchi di un maggior numero diargomenti e di prove; “Federico II a Melfi”, di L. Capaldo e A. Ciarallo,pubblicato in “Oltre”, Gennaio-Marzo 1995, n°1; “Castel del Monte eFederico II di Svevia, un binomio inseparabile”, di L. Capaldo pubbli-cato in “Oltre”, Gennaio-Giugno 1996, n°1/2. I saggi possono essererichiesti, fino ad esaurimento delle scorte, a [email protected]

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Figura 19 - Un disegno bota-nico di Iris variegata

Figura 20 - Lo stemma imperia-le degli Staufen sull’abbazia diWestminster. L’immagine è ca-povolta per agevolare il con-fronto con l’iris.

Bibliografia:

· L. Capaldo e A. Ciarallo, Federico II a Melfi: ritrovato il vero voltodell’Imperatore. Napoli 1994, Procaccini Editore.

· L. Capaldo e A. Ciarallo, Federico II a Melfi. Pubblicato dalla rivistaOltre n° 1/95 (redazione di via Riviera di Chiaia, 207, Napoli).

· L. Capaldo, Federico II di Svevia e Castel del Monte: un binomioinseparabile. Pubblicato dalla rivista Oltre n°1_2/96. (redazione di viaRiviera di Chiaia, 207, Napoli).

· L. Capaldo, Il trono di Federico II, Pubblicato negli Atti dell’accade-mia Pontaniana, vol. XLVII, Napoli 1999.

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Nuove tessere

Lo studio e gli approfondimenti, che riguardano Federico II e il suomondo, continuano e rendono possibile l’aggiunta di nuove tessere algrande mosaico già composto fino ad oggi per dare una sempre mag-giore certezza alla identificazione della famiglia imperiale ritratta neldipinto della cappella di S. Margherita in Melfi (PZ).L’occasione, in questo caso, ci è stata offerta dall’accurato esame di unimportante documento scritto in epoca coeva alla vita dell’Imperatore:parliamo della “Chronica Regia Coloniensis” conservata nella Biblio-teca Reale di Bruxelles (v. R. Russo, Federico II, Barletta 1994, pag.138).In questa opera compare un ritratto di Federico II che innanzitutto, d’ac-cordo con le rappresentazioni riportate nella “Chronica Figurata” di G.Villani (1276-1348), documenta che l’Imperatore aveva la barba (v. lenostre precedenti pubblicazioni e la bibliografia in esse riportata), econsente inoltre significative considerazioni che possono leggersi quidi seguito.Il confronto (v. fig. 21) tra l’immagine dell’affresco di Melfi e quellariportata dalla Chronica Regia Coloniensis sorprende per una incredi-bile somiglianza dei soggetti ritratti (vedi la figura 22): sopraccigliemarcate, naso dritto, baffi divisi in due parti, labbro superiore avvallato

al centro, barba corta, voltoovale; e quando due artisti,sicuramente appartenenti amondi tra loro lontani e di-versi, convergono a tal pun-to nel ritrarre un comunesoggetto, questo vuol dire,senza dubbio, che è il sog-getto stesso a possedere pro-prio quei caratteri.Basterebbe, dunque, questasola considerazione e un at-tento esame delle immaginiFig. 21

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Figura 22 - Federico II nell’affresco di Melfi; dettaglio della barba (rossiccia)e della bocca

poste a confronto per dire che, con quello di Melfi e quello della ChronicaRegia Coloniensis, ci troviamo di fronte ad un unico volto: quello verodi Federico II.

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Federico II tra Oriente ed Occidente

La civiltà araba fu frutto di una complessa elaborazione delle culture dioccidente e d’oriente raggiunte dall’espansionismo arabo.Filosofia greca, scienza ellenistica, astronomia persiana e matematicaindiana nutrirono questa civiltà dinamica e originale, che coltivò tutti irami del sapere e influenzò il mondo occidentale con i suoi pensatori(Averroè, commentatore di Aristotele), matematici (Al Khuwarizmi,astronomo), medici (Avicenna, autore del Canone di medicina), fisici(Alhazen, famoso per il suo trattato di ottica). Inoltre la civiltà arabaconcepì autonomamente, e diffuse nel suo vasto impero, originali efortunati modelli letterari e artistici.Ma, al di sopra di qualsiasi esperienza particolare, fu la storia stessa delpopolo arabo che, nella sua globalità, dovette giocare un ruolo determi-nante nella considerazione che di essa ebbe Federico II di Svevia, chene subì il fascino e i condizionamenti. Infatti l’Arabia si presentava,all’inizio della sua storia, con una popolazione formata in gran parte danuclei nomadi, per giunta dispersi su vasti e bruciati territori, e chesolo con l’avvento dell’Islam, nei primi decenni del VII sec. d.C., tro-varono unione e scopi comuni.Rappresenta uno degli eventi storici più straordinari la capacità cheessi dimostrarono nel conquistare e saper gestire un impero esteso dal-la Spagna all’India, nel saper assorbire le varie culture, magari elabo-randole e restituendole come patrimonio unificato ed aggregante.Una vicenda storica di questa portata non poteva non essere considera-ta come un insegnamento, una sorta di “modello” da colui che si ritene-va destinatario dello scettro del mondo.E fu così che lo Svevo, apprezzando quella cultura che sottendeva leaffermazioni del popolo arabo nel mondo, ne volle non pochi rappre-sentanti presso la sua corte col risultato, tra l’altro, di facilitare ulterior-mente un qualificato accesso di quella civiltà all’Europa.Uno dei primi frutti fu l’affermazione della lirica d’amore della scuolasiciliana, nella quale l’imperatore stesso si cimentò, che purriecheggiando composizioni dei poeti-musici della Provenza e della

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Germania, trova-va riscontro nellamistica amorosaarabo-persiana.Ma molti altri fu-rono gli episodistorici che dovet-tero far presa sul-l’animo delloStaufen: ne citia-mo uno di quelliche più ci ha fattoriflettere: soloqualche secoloprima dell’avven-to di questi, sor-sero in Arabiacentri di ascesi dove un maestro unico e “totale” insegnava una religio-ne segreta capace - era fama - di dare unità al mondo.Si trattava di forme di proselitismo iniziatico e per coltivarlo adeguata-mente fu realizzato il “Palazzo rotondo”, collegato alla reggia delcaliffo Harun Al-Rashid (766-809), esistente a Baghdad, il quale avviòrelazioni con Carlo Magno e ne cercò l’amicizia.L’intera città di Baghdad venne costruita nel 762 secondo certe propor-zioni geometriche basate sulla ruota ed i gruppi tradizionali sufi asso-ciarono la loro consacrazione con questo edificio rotondo. Non pochi,dunque, sono gli spunti che potrebbero costituire motivi di riflessionerelativi alla “santa cavalleria” dell’Europa medievale nonché allo stes-so Federico II e al suo prediletto Castel del Monte.Questi raccolse nelle sue residenze anche testimonianzearcheologiche, gioielli, preziosi strumenti astronomici, alcuni dei qualidonatigli dal sultano d’Egitto, e persino numerosi animali esotici, chearricchirono i giardini delle sue varie dimore così rendendole ben di-verse da molte corti occidentali. Nell’ambito della falconeria, poi, cheera sport elitario diffuso anche in Europa, l’imperatore ricorse spesso amaestri arabi notoriamente assai abili e ne trasse materia che, arricchita

Fig. 23 - Fiore di loto che, in relazione al suo originarioareale di diffusione, viene detto “east indian lotus” ecorrisponde alla specie scientificamente nota col nomedi Nelumbo nucifera (nel tempo associato al Buddha).

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da acute esperienze personalidegne di un moderno cultoredi scienze naturali, formaronola materia per un trattato diornitologia e di praticavenatoria.A lui, dotto tra i dotti, i coltiospiti della sua corte struttu-rata sui sontuosi e vivaci mo-delli adottati da regnantiorientali, davano occasione diacquisire nuove conoscenze,che poi venivano approfondi-te ponendo quesiti e discuten-done soprattutto con espo-nenti della cultura araba, colrisultato quindi di una lorosempre più ampia divulgazio-ne in occidente.Fu specialmente il settore dell’architettura quello che più colpì l’impe-

Fig. 24 - Ecco, schematizzata (con otto-sedici petali), l’immagine del fiore di lotooriginario dell’Africa, detto “white lotusof Egypt” (Nymphaea lotus), di valoresacrale non inferiore a quello orientale.

Fig. 25 - Dioniso nella grotta delle ninfe.Intorno al 300-275 a. C. -Dall’agorà diAtene. Argilla, Atene, museo dell’agorà.Il sogno di fondere la spiritualità del-l’Oriente con quella occidentale è statocoltivato da sempre.Tra le numerose testimonianze in questosenso abbiamo scelto questa immaginepoco nota ma di grande chiarezza ed effi-cacia: Dioniso, divinità di origine orien-tale venuta a suo tempo a far parte del-l’olimpo greco-romano ed in questa scul-tura riconoscibile per essere presentatotra l’uva ed i pampini, è contemporanea-mente portatore del sacro fiore di loto,emblematico della spiritualità dell’Orien-te.

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ratore, a cominciare dal Tempio della Roccia che egli vide aGerusalemme in occasione della sua incruenta crociata, e che sicura-mente gli suggerì lo schema delle sue più “personali” edificazioni.Di questo travaso ecumenico, coerentemente col modo di pensare deitempi, non poteva non rimanerci anche un simbolo e fu quello adottatoda Federico, in unione al giglio, per sancire a prima vista l’avviata fu-sione, per suo merito, tra il pensiero d’Oriente con quello dell’Occi-dente. Esisteva già, questo segnacolo, da sempre e in tutto il mondo.Nato in Oriente, in epoca remota, esso fu di ispirazione solare ma pre-sto si andò caricando di significati mistici entrando così a far parte diquei diagrammi circolari condivisi dall’esoterismo islamico e finendocon l’identificarsi col fiore di loto (convenzionalmente rappresentatocon 8 o 16 petali assecondo che si tenga conto di uno o due ordini dipetali) emblematico di una tendenza mistica presente in ogni momentoed in ogni luogo dove attecchisse la spiritualità dell’uomo alla ricercadi dio. Del loto infatti era universalmente noto che nascesse nel fangoper tendere verso il cielo e la luce.Lo troviamo come elemento ispiratore della struttura della CappellaPalatina di Aquisgrana (dove Federico, nel 1213, fu incoronato re deiRomani con una corona ottagonale) e del lampadario che a questa chie-sa donò il Barbarossa, lo troviamo nella pianta del Tempio della Rocciae di molti altri edifici sacri (in area cristiana soprattutto nei battisteri,ove i fedeli rinascevano in Cristo), nei grandi rosoni delle cattedrali diPuglia e d’Europa, nell’ornamentazione bizantina e della stessa Sve-via, nella pianta di numerosi monumenti edificati dallo Staufen, lo ri-conosciamo nelle simmetrie ottagonali così frequenti nell’arte araba, èpresente nei sacri mandala orientali ed islamici ed ancora, emblemati-co del mondo spirituale dell’Imperatore, lo troviamo, abbinato alle in-segne regali, ricamato sulle borse da caccia vistosamente esibite da Luie dai membri della sua famiglia nell’affresco melfitano ed infine nellaforma dell’anello che lo ha accompagnato nella tomba, quasi un sigilloidoneo a svelare, a chi poteva comprendere, la sua fede nonché la pre-senza del suo spirito.

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Letture consigliate:E. Akurgal, Oriente e Occidente, Mondadori Ed., Milano 1969Cattabiani, Florario, Mondadori Ed. Milano, 1996A. M. Di Nola, L’Islàm, Newton & Compton Ed. Roma,1989L. Frederic, Il loto, Ed. Mediterranee, Roma, 1988

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Federico II e Castel del Monte:un binomio inseparabile.

Contributo per una lettura simbolica di Castel del Monte

Numerosi gli scritti che ci dicono quello che Castel del Monte non è,pochi quelli che alla soluzione si avvicinano, nessuno che provi l’asserto.Le incertezze sussistono perché si tenta di capire cosa sia questa straor-dinaria costruzione, e non cosa essa significhi. Da sempre, tra tutti isimboli, è il cerchio che rappresenta la perfezione, ma esso è un puntodi arrivo. Se guardiamo agli edifici sacri vediamo che molti di essisorgono su base quadrata, poi il loro perimetro si trasforma in ottago-nale ed infine sono chiusi da una semisfera ispirata dalla volta celeste.L’ottagono, dunque, dinamicamente inteso, è il passaggio dalla terra alcielo, la via per avvicinarsi alla divinità.Uno straordinario esempio diquesta teoria lo troviamo nel faro di Alessandria. Dedicato a Zeus Soterche, nella sua parte più bassa era quadrangolare, poi continuava con unsecondo piano ottagonale ed infine terminava con una cupola sormon-tata dalla divinità. Federico conosceva la magia dell’otto perché fu in-coronato re dei romani nella cappella palatina di Aquisgrana, che eraun tempio a pianta ottagonale (attorno al quale corre un ambulacro disedici lati), illuminato da un lampadario (legato alle tradizioni di fami-glia) formato da otto lati e recante una torricella su ciascuno spigolo.Inoltre la corona che gli venne imposta era anch’essa ottagonale.Viveva, inoltre, questa forma anche nell’arte e nella simbologia islamicae per questo dovette apparire a Federico come il segnacolo più adatto arappresentare la vagheggiata unione tra Oriente e Occidente. Infatti eglila celebrò in molte costruzioni da lui volute fino a consolidarne il trion-fo con Castel del Monte.Ma c’è di più: quando, nel 1782, si procedette alla ricognizione delsepolcro di Federico, fu presente un diligente testimone, F. Daniele,che pubblicò un’accurata relazione dell’avvenimento, tra l’altro, ac-compagnandola con calligrafici disegni della mummia, perfettamenteconservata. Da essi chiaramente appare che l’Imperatore portava un

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anello il cui castone era formato da uno smeraldo centrale completatoda otto “petali” sulla circonferenza. Una sorta di sigillo personale, dun-que, che invano cercheremmo nella cancelleria imperiale (in realtà mainulla del genere è stato ritrovato), un simbolo segreto, come voglionole regole esoteriche, utilizzato e fatto rivivere da Federico, che sicura-mente era un iniziato, ogni volta che voleva far riconoscere, a chi pote-va intendere, il segno della sua presenza, della sua anima, della suafede.A saldare tra loro le varie parti di questo discorso e a collegarlebiunivocamente a Federico, si vedano i fiori ottopetali che appaionosulle borse da caccia della famiglia imperiale raffigurata nella cappellarupestre di S. Margherita in Melfi.Alla luce di queste sintetiche note (oggetto delle pubblicazioni di L.Capaldo citate in bibliografia) anche Castel del Monte appare come unsimbolo, ovvero un Mandala di pietra. In esso, pertanto, deve vedersiun edificio sacro (senza uno scopo pratico), un tempio laico che riassu-me il credo e l’anima stessa del grande Federico.

Fig. 27 - Qui di lato un particolare del disegno di F. Daniele che ci permette divedere, il particolare del sigillo ottopetalo al dito anulare della mummia diFederico II.

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Fig. 26 -Mandalainsanscritovuol direcerchio equesto è ils imboloche indi-ca sempre- nel cultosolare deiprimitivio nelle re-l i g i o n imoderne,nei miti onei sogni,nei moti-vi manda-la dei mo-n a c itibetani odei misti-

ci islamici, nei rosoni delle cattedrali - l’aspetto essenziale, la sua complessi-va e definitiva globalità. Nel mondo della civiltà orientale i mandala servonoalla meditazione e al raggiungimento della pace interiore, essi stimolano sen-so dell’ordine che dà significato e valore alla vita dell’uomo. Nel caso diFederico essi sembrano, inoltre, alludere alla condizione di equilibrio neces-saria per governare un regno con giustizia. La figura qui di lato riproducealcuni mandala, tra i tanti esistenti, rispettivamente: la Ruota della Legge(A); un motivo di stella, arte micenea, XVI sec. a. C. (B); un mandala ispiratoal fiore di loto(C); il ricamo che compare sulla tunica più intima che veste lamummia di Federico II come dal disegno del Danieli 1781 (D), alla (E) corri-sponde un’immagine che compare spesso nelle insegne regali dell’Imperato-re e che compare anche sulle borse da caccia portate da lui e dai i suoi famigliarinell’affresco di S. Margherita a Melfi (vedi un’immagine dell’imperatore), in(F) la pianta di Castel del Monte.

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Il Baphomet: l’idolo dei Templari

Se Castel del Monte, con la sua singolarissima forma ed i suoi contenu-ti (leggi “significati” nelle altre pagine dedicate a quaesto monumen-to), costituisce una strada sicura per comprendere l’animo poliedricodell’Imperatore, allo stesso modo il Baphomet ci porta a capire qualefosse la vera funzione del Castello, tempio iniziatico, e quindi anche ilmondo spirituale di Federico e quello dei Templari ai quali Federico,almeno inizialmente, fu vicino.Una concatenazione, questa, chetra l’altro prova l’iniziazionedello Svevo.

Ma procediamo con ordine.All’inizio del XII sec, in Euro-pa, assursero a fama e potere lacavalleria e il monachesimo conle loro corporazioni. Nacquecosì quella dei Templari che sipropose di liberare i Luoghi San-ti dagli infedeli. I cavalieri co-stituivano i “capitoli”, nei qualisi discutevano le questioni piùimportanti che riguardavanol’Ordine, e le riunioni avveniva-no nei loro castelli costruiti numerosi sia per queste esigenze, sia perpresidiare le Terre d’Oltremare nonché le strade per raggiungerle. Chieseed ospedali si moltiplicarono, per assistere non solo i cavalieri feriti, diritorno dalle crociate, ma anche i semplici pellegrini.Ancora oggi troviamo testimonianze di queste loro costruzioni che spes-so possono riconoscersi per uniformità di stile: i castelli, infatti, eranonormalmente costituiti da un corpo centrale quadrato con quattro torriagli spigoli, le chiese, invece, rispettavano frequentemente la pianta

Fig. 28 - Cavalieri Templari

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rotonda del S. Sepolcro inGerusalemme e si chiamavanoovunque “Il Tempio”. Anche lo sti-le architettonico era sui generis inquanto segna il passaggio dalle po-derose strutture portanti romanichea quelle in cui predominano gli ar-chi acuti, che consentono elegantislanci verticali. E’ insomma l’archi-tettura cistercense di Castel delMonte!! Ma i Templari, che riusci-rono ad accumulare grandi ricchez-ze, si resero famosi anche per le lorocapacità nel campo dell’economiae della finanza (avviando persinotraffici internazionali di tipo bancario) tanto che Federico si avvalseampiamente di loro, sia per prestazioni in questo settore, sia per la lororiconosciuta abilità di costruttori. Ed è stato proprio per questo che laedificazione di Castel del Monte è stata, di volta in volta, attribuitadirettamente all’Imperatore o ai Templari. Ma a noi la questione sem-bra irrilevante perché quello che conta è che esso fu concepito graziead una ideologia condivisa da Federico (anche se non ufficialmente) edall’Ordine, al quale (secondo certe versioni) il castello sarebbe statoconfiscato allorché l’iniziale trasporto di Federico verso i Cavalieri sitrasformò in irriducibile odio per aver essi osato ordire un agguato inTerra Santa allo scopo di ucciderlo.Indiscutibile ma segreto idolo sacro all’ordine dei Templari fu ilBaphomet, che si vuole traesse questo nome da Mahomet. La deriva-zione non regge alla critica, comunque dimostra un collegamento conil mondo islamico, che sicuramente influenzò il pensiero di molte mi-gliaia di Crociati e, come è noto, dello stesso Federico tanto che di luisi ritenne di poter dire che fosse un “sultano battezzato”. La vera eti-mologia della misteriosa divinità, dunque, è diversa ma, per compren-derla, è necessaria una breve premessa.Nei primi secoli dopo Cristo numerosi filosofi tentarono la fusione divarie dottrine religiose avviando una corrente di pensiero detto

Fig. 29 - Mosè

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sincretistico. A questo movimento presero parte anche pensatori arabie a tanto è dovuta l’influenza che ne subì la cabbala, dottrina in partesegreta, che si diffuse nella cultura propria dei paesi circumediterraneie, successivamente, in tutto il mondo islamizzato.In particolare si tentò la fusione (gnostica) tra il cristianesimo e le filo-sofie pagane ma, a causa di superficialità e per la sua occasionalitàstorica, essa non pervenne a risultati durevoli e a sviluppi originali.Tuttavia possiamo ancora oggi trovarne le tracce, e a darci questa pos-sibilità è proprio l’accennato demone.Esso ci guarda dalla chiave di volta della settima sala del primo pianodi Castel del Monte, da dove domina un tratto di quell’itinerario misti-co che gli iniziandi percorrevano nel castello.Un volto terribile, con chioma e barba fiammate dalle quali sporgonodue strane orecchie spesso scambiate per corna.Presentato ai visitatori come “un fauno” invece è proprio lui, ilBaphomet, ovvero la divinità dei templari dalle fattezze tenute semprerigorosamente segrete. In realtà esse risultano formate dal volto di Mosè,presente in altra chiave di volta del castello, cioè di colui che portò leTavole divine al popolo ebraico così divenendo l’emblema della cri-stianità, col quale si fonde, in una sorta di sacro connubio, l’immaginedi Hator dalle orecchie di vacca - massima divinità egizia, simbolodella remota Grande Madre e Nutrice - presa come emblema dellapaganità. E questa nostra originale intuizione trova conferma semanticanel nome stesso del demone: infatti in greco “bafèus” è colui che tinge,che impregna, mentre “met” è abbreviazione di “meter”: la madre. Ilprimo, dunque, è il Grande Inseminatore e la seconda rappresenta il

Fig. 30 - Hathor

Fig. 31Il “Baphomet”,i m m a g i n esincretica delleprime due.

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principio femminile, formanti, assieme, l’autosufficiente binomio ge-neratore di tutto e, appunto in una visione sincretistica, l’unico grandeDio di tutte le religioni.Senza trascurare che questa singolare figura costituisce una vera e pro-pria firma autografa dei Templari apposta sul Castello …!

Nota bibliografica:

Per Castel del Monte v.H. Götze “Castel del Monte” Ed. Hoepli, Milano 1984.

Per i Templari v.E. Kantorowicz “Federico II imperatore” Ed Garzanti Milano1976, 1981, specialmente i capitoli III e IV.F. Bramato: Storia dell’Ordine dei Templari, Ed. Atanòr, Roma1991.

Per il Baphomet v.Fulcanelli “Le dimore filosofali” Ed. Mediterranee, Roma 1973,Volume primo, specialmente pagg.163 sgg. e tavola XII.L. Capaldo: Castel del Monte e Federico II: Un binomio inse-parabile. Vedi la rivista “OLTRE” - gennaio - giugno 1996 n° 1/2

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Il Baphomet: nuove prove

L’occasione offerta dalla nota integrativa sul vero volto di Federico(vedi supra “Nuove tessere”) ci consente di tornare anche su altri aspetti,fino ad oggi poco considerati, relativi al mondo federiciano e alle stra-ordinarie aspirazioni concepite dall’Imperatore, o comunque da lui con-divise.In un nostro precedente lavoro abbiamo, in parte originalmente soste-nuto e in parte confermato nei dettagli, che Castel del Monte, coi suoisimboli spesso ignorati o solo parzialmente interpretati, ci rivela i piùsegreti ideali di Federico II. Tra questi la fusione del pensiero islamicocon quello occidentale al fine di individuare un unico Dio, per un’uni-ca religione, per un unico grande impero, per un unico Papa-Re. Sulpiano filosofico questa aspirazione traspariva anche da quelle correntidi pensiero che, in un ideale gnostico, tendevano a fondere il cristiane-simo con le filosofie pagane. Ma più che realizzare una conciliazionearmoniosa e profonda, questo velleitario sincretismo alimentò un in-treccio di riti pagani con dottrine religiose orientali e superstizioni di-sparate, spesso solo “appiccicandole” assieme nell’ambito di una distortaspiritualità cristiana.Fu in questo confuso momento della storia del pensiero che venne con-cepita la figura dell’unico e indiscusso, seppure segreto, dio del poten-te ordine dei Cavalieri del Tempio: il Baphomet. Ce lo suggerisce loFig. 32

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stesso Castel del Monte, libro dipietra ovvero sorta di bibbia delmondo federiciano, dove, quindi,non potevano mancare suggeri-menti per l’unificazione (certa-mente auspicata dall’imperatoreanche se mai apertamente perse-guita) tra le religioni d’oriente ed’occidente. Era divenuta questa,nella società del tempo, un’istan-za non del tutto rara, anche sespesso inconfessata: in realtà nelperiodo delle crociate non pochifurono cavalieri e i mercanti chesi convertirono alla religioneislamica. Tra le sculture che il

Castello contiene (si tenga conto che l’Ordine dei Templari non fu estra-neo alla costruzione di questo Tempio laico), l’immagine di quest’uni-co dio prende forma dalla giustapposizione di Hathor, cioè la eternaGrande Madre di sempre, fonte di vita e di nutrimento (così come veni-va rappresentata nel Pantheon egizio cioè nell’ambito di una religioneritenuta origine di tutte quelle mediterranee), con il volto barbuto diMosè, simbolo a sua volta unificante del credo monoteista delle popo-lazioni ebraiche, islamiche e cristiane (v. figura 32).In realtà è questi il grande genio religioso che, dal colloquio diretto conDio, ha ricevuto le Tavole coi comandamenti ed un complesso di leggiche costituiscono il “codice dell’alleanza”.Altre regole egli ha dettato, sempre traendole da dirette rivelazioni di-vine, specialmente quelle riguardanti il monoteismo. Così si esprimeuna lunghissima tradizione ebraico-cristiana che ha dominato il pen-siero religioso dell’antico testamento ed è fondamentale, seppur modi-ficata, nella teologia paolina e cristiana. Abramo aveva lasciato ai di-scendenti una fede monoteista, Mosè consegna loro la legge che tutele-rà tale fede. Ebbene: la testa nella chiave di volta della prima sala diCastel del Monte, pur senza riportarne la motivazione, fu identificataper quella di Mosè. In seguito a una lunga e costante tradizione ha

Fig. 33 - Il Mosè di Michelangelo

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consacrato questa attribuzione. Ma gli scettici di professione (per vo-cazione o per comodità), non potevano mancare, e così, attratti dal ri-sultato di poter smantellare, grazie a quest’unico dubbio, tutte le con-clusioni fin qui raggiunte, ignorarono questa importante identificazio-ne.Ma le prove che rafforzino la tradizione non mancano, di fatto la testain questione è dotata di una sorta di protuberanza frontale che, per laprima volta in questa sede, viene da noi evidenziata e alla quale, ade-rendo alla tradizione, riconosciamo il valore di simbolo di una superio-re sapienza direttamente inculcata da Dio: essa infatti è presente anchenel più tardo Mosè michelangiolesco secondo modelli di antica ispira-zione cristiana che con questi “corni” intendevano rappresentare, ap-punto, i raggi di un luce divina.Ultimo, ma non ultimo, l’aspetto del Baphomet ci viene confermatodai motivi che formano la cinquecentesca facciata moresca del “Ma-niero della Salamandra” aLisieux (Normandia) v. fig33, descritta da Fulcanelli(Le dimore filosofali, Ed.Mediterranee), lì dove essoappare, coi suoi orecchi bo-vini e la grande barba, al disopra della figura biblica diSansone che sganascia unleone. Nei suoi significatiprofondi, poi, il Baphometvede confermato il suo va-lore di unico DioTotipotente grazie alla inda-gine linguistica che definitivamente ne riconosce gli elementi che locostituiscono: infatti in greco bafeus indica “colui che tinge, che im-pregna” ovvero il “Grande Inseminatore”, il principio maschile (in ita-liano la lingua dà ancora un maggior aiuto in quanto “impregnare” sug-gerisce l’idea di “rendere pregna”) e meter richiama “la madre”, cioè inesso sono presenti ambedue i principi dell’arcaica divinità totale edautosufficiente.

Fig. 34 - La facciata moresca del “Manierodella Salamandra” a Lisieux in Normandia.

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NOTA

Sulla fronte del Baphomet si nota chiaramente un incasso ormai svuotato che qualcu-no, senza motivi particolari, ritiene possa aver contenuto una gemma: noi, invecetenuto conto delle componenti egizie che concorrono nella composizione di questovolto, ipotizziamo, con maggiore attendibilità, che esso testimoni la presenza di unureo successivamente rimosso. Era questo un simbolo raffigurante un cobra in colle-ra, col collo rigonfio, atto a rappresentare il sommo potere in quanto capace, come ilsole, di vivificare ma anche di uccidere. Lo si trova a coronamento delle facciate dinumerosi templi, sulla fronte dei faraoni, come ornamento emblematico delle divinitàsolari, a significare il doppio aspetto del potere originario dipendente solo da Dio.

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Il colore a Castel Del Monte

Tra i visitatori di Castel delMonte non sono molti coloroche notano una diffusa com-ponente simbolica che investee coinvolge tutta la fabbrica.Questo “protagonista” è il co-lore rosso che, nelle sue sfu-mature più tenui, fa apparirerosato, carnicino, il calcaredelle mura, ma poi si imponecon gli imprevedibili arabeschidella vistosa breccia corallina,utilizzata un po’ dovunque (enon a caso per il portone d’in-gresso e per altre porte), fino asorprendere definitivamentegrazie alle insolite e sanguignechiazzature (prodotte da infil-trazione di ossidi ferroso-ferrici nell’originaria forma-zione sedimentaria) del mar-mo cipollino di cui son fattele colonne che sostengono levolte, simbolicamente la cupo-la celeste. Strutture trine, que-ste, con riferimento alle tre religioni monoteiste (l’ebraica, la cristianae l’islamica) che “sorreggono” il Cielo e Dio stesso. In un’epoca nellaquale molto veniva affidato ai simboli, specie i messaggi più segreti eriservati, quelli che avrebbero potuto scatenare le reazioni della Chie-sa, non ci sembra che questa nostra osservazione possa rimanere igno-rata, soprattutto ricadendo essa all’interno di una struttura avente sicuri

Fig. 35 - Una colonna tristile di una saladi Castel del Monte: notare il colore rosso(che in questo caso risulta accentuato nel-la riproduzione fotografica) del marmocipollino.

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significati iniziatici. Ed ecco cosa può leggersi in varie fonti(spec. inBiedermann, cit.) relativamente al rosso. Sotto la forma dell’ossido diferro questo colore ha accompagnato il cammino dell’umanità a partiredalla preistoria. A parte le testimonianze rupestri dell’era glaciale, già iNeandertaliani tingevano di rosso i loro morti per restituire il caldocolorito del sangue e della vita. Per millenni, poi, questo colore è statolegato al fuoco, al sole, all’amore, ma anche alla lotta per la vita. Nel-l’arte cristiana esso è proprio della fiamma pentecostale dello SpiritoSanto, ma anche dell’inferno e del demonio. Infine nell’ambito dellapsicologia del profondo, il rosso accompagna sempre il mondo delleemozioni e, con riferimento alla iniziazione dei Cavalieri dell’Ordinereligioso-militare dei Templari, possiamo aggiungere: “Là dove il ros-so diffonde la sua luce, l’anima è pronta all’azione, alla conquista, allasofferenza, alla dedizione totale…..” (Aeppli, E., Der Traum und seineDeutung, Zuerich 1943, Muenchen 1980).

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Gli occhi di Federico

Alcuni cronisti contemporanei di Federico II ci hanno tramandato lacuriosa notizia che questi avrebbe avuto occhi di serpente ed ecco, inproposito, cosa ci riferisce il più informato e il più attento dei suoibiografi: Ernst Kantorowicz (in “Federico II imperatore”, ed. Garzanti,Milano 1988, pag.379) “L’immobilità dello sguardo mi piace dedurladall’osservazione che Federico avrebbe avuto “occhi di serpente” (Ama-ri M., Biblioteca arabo-sicula. Versione italiana, 2 vol., Torino-Roma1880, p. 24) poiché è per l’appunto caratteristico del serpente il fissareimmobilmente gli oggetti. Vi era, forse, negli occhi di Federico qualco-sa di simile a ciò che si trovava “stupendo” in quelli del Barbarossa;cfr. Ricard Londin., in MGSS., XXVII, p. 204: “In illo itaque, quod deSocrate legitur, insigne quiddam ac stupendum enituit. Nam constantiamanimi exprimebat vultus, semper idem et immobilis permanens.”Così si spiega anche la descrizione di parte araba dell’aspetto dell’im-peratore (Amari M., Bibliot., p. 515, vers. ital., vol. II, p. 210), secondo

Fig. 36 - Vediamo affiancati: l’occhio di Federico II, così come appare neldipinto di S. Margherita in Melfi, e l’occhio di un colubro comune in Italia(C.hippocrepis).

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la quale egli avrebbe avuto occhi “loschi”, vale a dire un’espressioneimmobile che è caratteristica di tutte le figurazioni del pantocratore,cioè di colui che rappresenta la massima, immutabile entità. Ed ora, inquesto ambito, scendiamo un po’ nei dettagli: chi ha osservato un ser-pente nella sua attività predatoria avrà certamente notato l’immobilitàdel rettile subito prima dello scatto finale, quello che si conclude con lafatale zannata inflitta alla preda. E’ parimenti evidente l’apparente pa-ralisi che blocca la vittima, che sembra quasi ipnotizzata da uno sguar-do fermo e vitreo, che così si manifesta grazie ai lucidi e immobiliocchi del serpente, privi di palpebre, e dotati di una grande e nera pu-pilla. Questa appare cerchiata da un’iride bruna, che esalta l’idea d’im-mobilità, che quasi dirige, incanala lo sguardo che non deve essere di-stolto dall’oggetto del desiderio prima che questo non sia stato soddi-sfatto. E, quasi ad illustrare tutto questo, ecco un curioso dettaglio delgrande ritratto dell’imperatore, che realisticamente lo raffigura nel di-pinto della Cappella di S. Margherita in Melfi: egli è qui rappresentatocon un iride bicolore che, pur realizzando uno stilema del pittore (in-fatti l’aspetto stratificato dell’occhio è comune a quello di Isabella),contribuisce a dargli l’aspetto di quello di una serpe, come si può rile-vare osservando l’immagine in figura.

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Federico II e gli ordinireligioso-militari

Nel XII sec, le vie del mondo erano, soprattutto nell’Europa centrale,quasi esclusivamente battute da due forme di nobiltà: i Cavalieri laici egli esponenti del monachesimo cioè da quei gruppi, più o meno orga-nizzati, appartenenti alle due maggiori consociazioni del mondo occi-dentale facenti rispettivamente capo all’imperatore ed al papa. In real-tà fu questo una sorta di patriziato, che contrassegnò quei tempi e queiluoghi, universalmente noto e rispettato come emanazione, appunto,del potere temporale e di quello ecclesiale. Negli anni che trascorse inGermania Federico si diede da fare per guadagnarsi le simpatie delledue grandi potenze: quella di portata temporale ovvero della cavallerialegata alla feudalità e quella religiosa, mediata da vari ordini monasticiformati da consorterie di monaci guerrieri costituitesi per l’assistenzaai pellegrini, per il riscatto e la difesa dei luoghisanti d’outre-mer (d’Outremar) nonché per la lot-ta agli infedeli. Le più importanti, tra quelle aven-ti ramificazioni nell’Europa centrale, Francia edItalia (altre ne sorsero in Spagna per contrastarel’invasione musulmana) furono: quellagerosolimitana (=di Gerusalemme), poi detta deiCavalieri di Rodi (oggi di Malta), quellacisterciense e quella dei Cavalieri Teutonici o delS. Sepolcro. Già dopo poche settimane dalla suaincoronazione in Aquisgrana, Federico prese con-tatto con queste ultime due.L’ordine di S. Bernardo, era stato da questi poco prima rafforzato inquelle premesse di ascesi e disciplina sulle quali l’istituzione si fonda-va. Di fatto, fin dalle sue origini, la regola esigeva massima semplicità,una liturgia ridotta e senza pompa, la casa spoglia.Il monastero vive coi proventi della colonizzazione dei terreni, spesso

Fig. 37 - SanBernardo Clairvaux.

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deserti e lontani dalle città, bonificati dai monaci che colà svolgonol’attività di veri e propri tenaci pionieri. Era dunque valorizzato il lavo-ro manuale, la capacità di abnegazione alle dure scelte imposte dallaregola senza, tuttavia, che venisse a soffrire la ricchezza di spirito lega-ta ad una vita interiore come ben lascia intendere il motto “ora et labora”.Ed è da queste premesse e da questi fermenti che nacque anche l’ordinedei templari, i cui rapporti coi Cisterciensi risultano ampiamente ri-scontrati. Fu infatti da un’iniziativa di Bernardo di Clairvaux, fondato-re dell’omonima abbazia che, nell’autunno del 1127, scaturì la regoladei “Pauperes Milites Christi Templique Salomonis”, in seguito allaquale i componenti della nuova istituzione religioso-militare si sparse-ro per la Francia e per il mondo effettuando ovunque reclutamenti eraccogliendo privilegi e donazioni. Si comprende facilmente come unamilizia di questo tipo potesse aver presa sull’animo di Federico che,oltre ad apprezzarne le qualità già dette e la rigorosa organizzazioneverticistica (congeniale al suo carattere), di essa ammirava la coraggio-sa dichiarazione di dovere al Papa l’obbedienza solo nelle cose di reli-gione. Essa così implicitamente ammetteva l’esistenza di una volontàed un potere che sfuggivano a quest’ultimo ed appartenevano inveceall’imperatore così “risolvendo” con apparente semplicità uno dei piùforti contrasti che la storia di quei tempi ci ha tramandato.Tuttavia gli scontri tra le due curie (imperiale e papale) spesso nonammettevano soluzioni semplici e quindi lo schieramento a favore del-l’una o dell’altra non risultava facile ed immediato; fu così cheCisterciensi e Templari, in alcune cir-costanze, a causa di una cieca obbe-dienza al Papa si alienarono la bene-volenza dell’Imperatore e vennemeno quella funzione di mediatoriche pur avrebbero potuto svolgere trale parti. La conseguenza fu il succe-dersi di rapporti favorevoli, tra Fe-derico e gli ordini monastici, alter-nati a momenti di grave scontro,come crudamente apparve allorché iTemplari ordirono una congiura per

Fig. 38 - Templari in combattimen-to, da una miniatura medievale.

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uccidere Federico e, in risposta, questi ordinò la confisca dei loro beni.In ogni caso risultò evidente come, soprattutto inizialmente, il rapportopreferenziale creatosi tra Federico II ed i Teutonici danneggiò gli altriordini tra i quali i Templari.Sebbene questi costituissero, con l’Ospedale di S. Giovanni diGerusalemme, l’istituzione crociata più prestigiosa d’Occidente, l’Or-dine del Tempio, dopo il 1220, venne quasi del tutto ignorato da Fede-rico mentre i Teutonici vennero favoriti con privilegi che talvolta “con-trastavano con i diritti dello stato e sottraevano al sovrano stesso entra-te rilevanti”. Per giunta tali interventi furono così numerosi che i notaidella cancelleria papale non riuscivano, per giorni e giorni, a redigerealtri documenti se non quelli in favore dell’Ordine Teutonico, sino aquel momento più che trascurato dalla curia (cfr. [2] della bibliografia,pagg. 119 e sgg.). Ben presto la scarsa considerazione di Federico neiconfronti dei Templari si trasformò in aperta ostilità e, a partire dal1227, vi fu l’inizio di restrizioni ed espropriazioni a danno dell’Ordine.D’altra parte, grazie all’esperienza maturata da elementi cisterciensinell’ambito della gestione del loro formidabile patrimonio, di alcuni diessi si servì l’Imperatore per l’amministrazione dei suoi beni, per ope-razioni finanziarie e, in tutt’altro settore, per conferire prestigio e inno-vazione al patrimonio castellare del regno che, grazie ad essi, si arric-chì di eleganti strutture architettoniche di transizione tra il romanico eil gotico.A questo proposito vi è chi ipotizza che Castel del Monte sia stato,appunto, costruito dai Cisterciensi e poi a questi sottratto tramiteesproprio. Ma negli ultimi anni della sua vita Federico II vollericomporre il dissidio con i Templari; e nel suo testamento dispose ini-ziative a loro favore, che tuttavia rimasero sulla carta.La cosa può comunque deporre per un suo riavvicinamento alla Chie-sa, giustificando anche il desiderio di indossare, in punto di morte, ilsaio dei Cisterciensi. Malgrado le numerose ricerche, quest’ultima im-portante richiesta non sembra storicamente documentata e resta a livel-lo di tradizione. Nonostante ciò, alcuni illustri biografi, fra i quali ilKantorowicz, l’hanno ripresa e commentata, ritenendola del tutto ade-rente allo spirito del personaggio. Per giustificarla, è certo necessarioimmedesimarsi in un uomo dalla personalità eccezionale, ricco di intu-

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iti innovativi e di una cultura vastissima, ma pur sempre vissuto inambiente medievale, ancor vittima di tradizioni dinastiche e di millecondizionamenti morali che la nostra mentalità difficilmente può com-prendere senza un elevato sforzo di immedesimazione.N.B. Si precisa che il presente articolo riassume o riporta stralci da“Federico II Imperatore” di [3] E. Kantorowicz (Garzanti, Milano1988), che dell’ampia materia tratta fornendone anche una bibliografiaragionata.

Altre letture consigliate:[1] AA.VV. XIII Convegno di ricerche templari. Ed. Penne & Papiri,Latina 1995.[2] F. Bramato, Storia dell’ordine dei Templari in Italia. Atanor, Roma1993[4] L. Pressouyre, I Cistercensi e l’aspirazione all’assoluto. Electa-Gallimard, Trieste 1999.Esistono anche alcuni siti in rete, dedicati ai Cisterciensi.

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Il trono di Federico IIChe uno dei troni di Federico fosse in un piccolo museo campano, neipressi di Napoli, erano in pochi a poterlo immaginare. Un’ipotesi inquesto senso fu formulata alcuni decenni orsono da studiosi tedeschi,esperti di storia sveva, e verbalmente comunicata all’Abate pro temporedel convento di Montevergine. Ma essi non consegnarono mai una co-

pia del loro studio, se mai lo con-clusero, così lasciandone il risulta-to nelle nebbie del dubbio e delvago.

Fig. 39 - Il seggio abbaziale diMontevergine che, tra i due scranniaggiunti lateralmente in tempi suc-cessivi, accoglie, al centro, il tronodi Federico.

Fig. 40 - Lo schienale del Tronocoi dodici cerchi e i sei gigli in-tercalati. Esso è sormontato dal-la cuspide con le due colombeed il simbolo solare della mas-sima divinità.

La notizia, riportata su un cartello espo-sto nel museo e oggi rimosso, era co-munque stimolante e così, qualche annofa, volli compiere un “pellegrinaggio”all’Abbazia, che sorge a m 1500 di alti-tudine, sul monte Partenio (AV), immer-sa in uno scenario di sogno, tra aereecime di candide rocce, spesso ricoperteda un virginale manto nevoso e più inbasso ombreggiate da dense foreste.Entrai nel piccolo museo e mi trovai in-nanzi ad uno splendido seggio

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abazziale, policromo, in legno scolpito, formato da tre scranni perchètanti erano i giudici nei processi ecclesiastici, ai quali esso venne desti-nato dopo l’acquisizione da parte del convento. Quello centrale è dota-to di un ricco schienale e si rivela come il vero e proprio trono imperia-le e, per provarne l’appartenenza in mancanza di una qualsiasi docu-mentazione, non rimaneva altro che indagare attentamente sui segniche lo ricoprono.Vi si trova una serie di dodici cerchi (v. fig. 40) nei quali la tradizioneabazziale vorrebbe vedere i segni zodiacali, ma di questo non si tratta.Intanto una non difficile indagine stilistica dimostra che ci troviamo difronte ad una realizzazione arabo-normanna nata nel regno di Siciliatra il XII e il XIII sec.: in un luogo, dunque, e in un tempo in cui lacultura islamica era egemone. Per conseguenza di segni zodiacali nonpuò trattarsi poiché gli arabi assorbirono le conoscenze classiche occi-

Fig. 42 - Uno dei due montanti deltrono. Anticipiamo l’eventuale obie-zione, secondo la quale Federico nonavrebbe avuto la barba, precisandoche vi sono validi motivi, esplicitatiin altra sede, che dimostrano il con-trario.

Fig. 41 - Re David sulle vetrate dellacattedrale di Augusta. Si noti, oltreal giglio stilizzato, la borchia a fioreottopetalo che ne affibia il mantello.

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dentali che sono ben diverse da quelle che riscontriamo sul trono.Piuttosto in esse dobbiamo vedere motivi appartenenti alla complessatradizione magico-astrologica medievale alla quale hanno contribuitocongiuntamente componenti orientali e del gotico europeo.Cominciamo con lo stilizzato giglio araldico che per ben sei volte com-pare tra i simboli cerchiati: esso ricopia fedelmente quello esibito daRe Davide, sulle vetrate dipinte dell’undecimo secolo esistenti nel duo-mo di Augusta, capitale della Svevia, mentre è noto che sempre questore venne ritenuto, nel medioevo, il predecessore degli imperatori delSacro Romano Impero (v. fig. 41). Basterebbe dunque l’epoca dellacostruzione del trono e le considerazioni testè svolte per condurci intempi ed in area sveva, ma c’è di più. Trascurando le analisi, peraltrosempre concordanti, degli altri segni scolpiti sul seggio, osserviamo idue montanti del trono. Essi ci mostrano, è lecito supporlo, colui che locommissionò, colto nell’atto di benedire cioè nello stesso atteggiamentodi Federico, così come ritratto sulla prima pagina del De arte venandicum avibus conservato nella biblioteca vaticana. Al di sotto di lui eccoun gatto con una sola testa, ma con due corpi, che compie con la zampaun misurato gesto (v. fig. 42).Ora, da sempre, a cominciare dalla religione egizia non del tutto estra-nea alla cultura araba, l’immagine del felino è stata costantemente as-sociata a colui che deteneva il massimo potere (Sakhmet), a chi eraassolutamente indipendente, a chi non si lasciava comandare. E quindiancora tutto questo ci porta all’imperatore che considerò inscindibili idue poteri, quello secolare e quello ecclesiale, uniti sotto un unico“Capo”.Numerose le analisi di altri dettagli che, tutte, ci portano agli stessirisultati, ma è la lettura di altra parte del trono che, in pratica, ci dà lacertezza di trovarci di fronte al trono di Federico. La cuspide dello schie-nale è ipostasi del massimo simbolo dedicato alla divinità: la stella aotto punte che richiama il solare fiore ottopetalo; accanto ad esso duecolombe, da sempre simbolo del tramite tra Dio e gli uomini, che sem-brano poggiare sulle spalle di colui che sul trono è assiso, cioè di chiambiva, in contrasto col Papa, sommare in se il doppio potere, dandocosì vita ad una ecclesia imperialis, come veniva discussa negli am-bienti al seguito di Pier delle Vigne.

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Letture consigliate:

L. Capaldo, Il trono di Federico II, in Atti dell’AccademiaPontaniana, vol. XLVII, Napoli 1998.

Gli articoli del medesimo autore pubblicati in questo stesso sitointernet.

A. Putaturo Murano, Arredi lignei, in AA.VV. Insediamentiverginiani in Irpinia, Di Mauro Ed. Cava dei Tirreni (SA)1988.

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L’affresco di S. Margherita:i recenti restauri

E’ in corso (ottobre 2002) di definizione il primo ciclo di interventidella Soprintendenza di Matera rivolto alla conservazione e al restaurodella cappella di S. Margherita in Melfi, dove si trova il noto dipintodella Famiglia di Federico II.Per ora, infatti, si è provveduto alla parziale chiusura dell’ambiente,alla sua illuminazione, alla sua “bonifica” (grazie ad un potente im-pianto di deumidificazione) nonché a piccoli saggi di restauro che, osia-mo sperare, possano presto estendersi a tutto il dipinto. Dobbiamo tut-tavia constatare che, nell’ultimo periodo, prima dei detti interventi eprecisamente quando le condizioni di abbandono della duecentescachiesetta avevano raggiunto un livello intollerabile, le incontrastate in-filtrazioni di acqua, provenienti dai suoli e dalla strada sovrastante eaventi effetti dilavanti sulle pitture che coprono le pareti, hanno provo-cato un loro sicuro deterioramento. A noi oggi sembra che, in questafase, almeno un 20 % di esse sia andato ulteriormente perduto, cosache un confronto tra vecchie e nuove immagini del dipinto potrebbefacilmente dimostrare. Ma quello che preoccupa di più è il passaggiodell’interno del monumento da una condizione di umidità al 100 % aquella attuale, assai più asciutta, essendo ormai esso assoggettato a unaininterrotta, intensa deumidificazione.Sarà, riteniamo, d’obbligo un serio monitoraggio, da parte dell’IstitutoCentrale per il Restauro, per evitare che la nuova situazione aggiunga,probabilmente, danno a danno.Anche l’impianto degli apparecchi illuminanti (fortunatamente prov-visori) è da perfezionare perché, così come oggi dislocati, essi ricado-no nel campo visivo del visitatore, offendendone la vista e inoltre im-pedendo l’immediata lettura di alcune caratteristiche architettonichedella cappella che, grazie ad esse, rivela la sua matrice moresca e quin-di l’inequivocabile epoca della sua edificazione, sicuramente sveva.Un sentito ringraziamento merita il giornalista Sig. Franco Cacciatore,Presidente della Pro Loco, per la sua ininterrotta opera di stimolo delle

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istituzioni, stimolo costantemente e fermamente rivolto allavalorizzazione del ricco patrimonio di storia e di arte della bella cittàlucana.Sensi di particolare apprezzamento vanno anche all’Università Popo-lare di Roma che, in considerazione degli straordinari valori culturalidella cappella rupestre, ha voluto contribuire, con una donazione di 10milioni, alla costruzione di una portone in legno da porre a protezionedella stessa. Al suo interno, dopo i primi interventi della soprintenden-za, sono state eseguite alcune foto e, tra queste, una di Federico II par-ticolarmente ben riuscita per la resa dei tratti e per la (emozionante!)fedeltà cromatica della sua corta barba rossiccia. Si riportano anchealtri documenti fotografici che evidenziano che cosa abbiamo perduto,e cosa andiamo perdendo, in termini di importanti dettagli tra quelliche, fino a ieri, erano presenti nell’affresco melfitano.

i ricami sulle borse da caccia: fiore ottopetalo e giglioi tre coltelli da caccia alla cintura di Federico, Elisabetta eCorrado

Le foto recenti rivelano purtroppo la scomparsa dei ricami, simbolica-mente importantissimi, del fiore ottopetalo e del giglio che ornavano le

Nella fig. 43, riproducente una fotografia in b/n degli anni 60, sinotino:

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Vedi i dettagli nelle foto che seguono.

borse da caccia di tutti e tre i “vivi” ed erano emblematici della Fami-glia.

Visibile, ma ormai solo confusamente, il coltello alla cintura della don-na, che ne identifica il Paese di origine (Inghilterra). Nella vecchia fotob/n possono, invece, ancora notarsi (specialmente nell’immagine dedi-cata a Corrado) alcuni dettagli come le fascette d’argento (con punterivolte in basso) che ornavano, eguali, i foderi dei tre pugnali. Quellodi Federico con qualche orpello in più, di gusto arabo, sull’impugnatu-ra.

Figura 44 - Dettaglio del dipinto ri-preso il 23 aprile 2001. Nel riquadrobianco il coltello di Federico con im-pugnatura arabeggiante

Figura 45 - Quello che rimane del-l’immagine del coltello di Elisabetta

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Figura 46 - Il coltello e la borsa dacaccia di Corrado

Figura 47 - Si noti il colore ed iltrattamento della barba imperia-le e, purtroppo, l’odierno riappa-rire delle alghe verdi sul collo del-l’imperatore, riprodottesi dopo ilrestauro, per eccesso di umiditàambientale.

Per concludere inseriamo un significativo dettaglio delle foto a coloridell’aprile 2001.

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I danni del restauro:Al fine di ufficializzare l’amarezza e la disillusione provocata dairecenti restauri, che non si esita a definire “scandalosi”, si riporta quidi seguito la protesta dello scrivente alla quale ha aderito il Prof.Giulio Pane, titolare della Cattedra di Storia dell’Arte dell’UniversitàFederico II.

PROF. ARCH. GIULIO PANE

On. Prof. GIULIANO URBANIMinistro per i Beni e le Attivita Cultural!Via del Collegio Romano, 2700186 ROMASpett.DirezioneISTITUTO CENTRALE PER IL RESTAUROPiazza S. Francesco di Paola 900186 ROMA

Napoli, l5.11.02

Si sono appena conclusi i lavori di conservazionee restauro della Chiesa di S. Margherita in Melfi, mabisogna amaramente rilevare la leggerezza con la qualeessi sono stati intrapresi e gestiti. Infatti, per quanto riguarda gl’interventi di conser-vazione, essi non realizzano la difesa del manufatto dallevibrazioni trasmesse dalla strada sovrastante, nè quelladei dipinti dalle infiltrazioni idriche, sempre presenti,che in breve tempo definitivamente cancelleranno,dilavandole, le già evanescenti pitture che ancora mira-colosamente resistono. Ma se questo è quanto doveva essere fatto - e non lo estato, nè sembra che sia previsto neppure come progetto -tracciamo ora un consuntivo delle opere eseguite, poichè epossibile confrontare le immagini precedenti e successiveal restauro. Senza voler prendere a paragone quelle deglianni ’60, che pure dovevano essere preservate, le immaginiattuali vengono poste a raffronto con le foto scattatesubito prima del “restauro”.

(continua...)

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Nel dipinto del cosiddetto Trionfo della Morte, certa-mente il più originale e prezioso fra quelli esistentinella chiesetta, le figure attualmente visibili sono solo1’ombra senza vita di quelle originali:è scomparsa un’at-mosfera e le immagini sono simili a quelle di un insigni-ficante ex voto ottocentesco... In particolare, poi, la comparazione dettagliata eletteralmente sconcertante, tanto da far venire il dubbioche si tratti addirittura di figure diverse! Ad esempio(v. l’immagine che segue), la capigliatura della donnaappare diradata, gli occhi sono spiritati e di colorediverso, le sopracciglia s’inarcano, il naso e più affila-to, mentre la pelle del volto e segnata da vistose lineeconcorrenti verso il mento e sul collo (rughe?).che sembrano ulteriormente testimoniare la evanescenza deipigmenti sopravvissuti al restauro. Che dire ? E’ veramente un risultato vergognoso esciagurato, ed è immaginabile il giudizio che ne daranno inumerosissimi turisti, in special modo tedeschi, che con-tinuamente vengono a visitare la cappella. Ci si chiede: quali mai siano i meriti accertati del-l’impresa fiduciaria prescelta dalla Soprintendenza di Materae quali e quanti i controlli effettuati da questo Ufficio?E quali quelli dell’Istituto Centrale del Restauro che,data la unicità e preziosità degli affreschi in questione,siamo andati insistentemente sollecitando a partire dal1993? Purtroppo 1’impressione finale è che uno straordinariodipinto duecentesco, ricco di storia e ili valori, siastato irreparabilmente manomesso e distrutto. A testimonianza del diffuse interesse suscitato tra ilpubblico dal ciclo delle pitture di S. Margherita alle-ghiamo un’intera pagina del quotidiano Repubblica, recen-temente uscita su Bari, nonchè una cartolina che documental’esistenza di un florido e accorsato sito internet dedi-cato a Federico II. Ritengono, gli Enti in indirizzo, che la documentazio-ne allegata meriti una qualche attenzione;In attesa di riscontro, si porgono distinti saluti

Dott. Pasquale Capaldo

VIA SANTA LUCIA 29 80132 NAPOLITEL. + FAX 081/7640741(s) 7649489(a) E-mail:

[email protected]

(continua...)

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1) Antonino De Stefano, Federico II e le correnti spirituali del suotempo, Roma, 1923.

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5) Alfredo Petrucci, Cattedrali di Puglia, Carlo Bestetti Edizionid’Arte, Roma, 1976.

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7) Roberto Matteo Pasquandrea, Fiorentino: una città bizantina difrontiera (XI-XIV sec.) in Profili della Daunia antica, a curadel Centro FG/31 (CRSEC Foggia), Foggia, 1986.

8) Autori Vari, Fiorentino, Campagne di scavo 1984 - 1985.Galatina (Lecce) 1987.

9) Ernst Kantorowicz, Federico II imperatore, Garzanti, Milano,1988.

10) H. Götze “Castel del Monte” Ed. Hoepli, Milano 1988.11) Carl Arnold Willemsen, Dragmar Odenthal, PUGLIA terra dei

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imperatore, Edizioni all’insegna del Veltro, Parma, 1990.13) F. Bramato: storia dell’Ordine dei Templari, Ed. Atanòr, Roma

1991.14) Giulio Cattaneo, Federico II di Svevia “Lo specchio del mon-

Bibliografia essenziale

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do”, Newton Compton Editori, Roma, 1992.15) Artur Haseloff, Architettura Sveva nell’Italia Meridionale,

Mario Adda Editore, Bari, 1992.16) David Abulafia, Federico II. Un imperatore medievale, Enaudi,

Torino, 1993.17) Autori Vari, Federico mito e memoria, Biblos, Bari, 1994.18) Eberhart Horst, Federico II di Svevia L’imperatore filosofo e

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Bari, 1994.20) Bianca Tragni, La meravigliose storia di Federico II , Mario

Adda Editore, Bari, 1994.21) Bianca Tragni, Il mitico Federico II, Mario Adda Editore, Bari,

1994.22) Maria Teresa Masullo Fuiano: Itinerario federiciano in

Capitanata, Foggia 1994.23) G. de Troia, Foggia e la Capitanata nel Quaternus

Excadenciarium di Federico II di Svevia, Banca del Monte,Foggia, 1994.

24) Renato Russo, Federico II Cronaca della vita di un imperatoree della sua discendenza, Editrice Rotas, Barletta, 1994.

25) Carlo Fornari, Frati, Antipapi ed Eretici Parmensi, protagonistidelle lotte religiose medievali, Silva Editore, Parma, ottobre1994.

26) L. Capaldo e A. Ciarallo, Federico II a Melfi: ritrovato il verovolto dell’Imperatore, Procaccini Editore. Napoli 1994.

27) Eduard Sthamer, L’amministrazione dei castelli nel Regno diSicilia sotto Federico II e Carlo I d’Angiò, Bari, ed. M. Adda,1995.

28) Autori Vari, Federico II Immagine e potere, Venezia 1995.29) J. M. Martin, Errico Cuozzo, Federico II Le tre capitali del

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Foggia, 1995.32) L. Capaldo e A. Ciarallo, Federico II a Melfi. Pubblicato dalla

rivista Oltre n° 1/95 Napoli.33) L. Capaldo, Federico II di Svevia e Castel del Monte: un

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34) Aldo Tavolaro, Astronomia e Geometria nella Architettura diCastel del Monte, Giuseppe Laterza Editore, Bari, 1996.

35) Giuseppe Sciannamea, Castel del Monte. Un viaggiocontroluce, Bari, 1996.

36) Giuseppe Tattolo, Castel del Monte - La Leggenda - Il Mistero,Schena Editore, Fasano di Brindisi, 1997.

37) Bianca Tragni, Il Re Solo, Corrado IV di Svevia, Mario AddaEditore, Bari, 1998.

38) Carlo Fornari, FEDERICO II un sogno imperiale svanito aVittoria, Silva Editore, Parma, maggio 1998.

39) Vincenzo Dell’Aere, Giuseppe Farina, Peter J. Osborne: Ilsegreto di Federico II di Svevia: L’Ultimo Faraone, LevanteEditore Bari, 1998 Bari.

40) Carlo Fornari, La corte illuminata e fastosa di un “mussulmanobattezzato”, Malacoda bimestrale di varia umanità n° 79 annoXIV - Luglio-Agosto 1998, Parma.

41) Alberto Gentile, Itinerari federiciani, Malacoda bimestrale divaria umanità n° 79 anno XIV - Luglio-Agosto 1998, Parma.

42) M. B. Silorata, C. D. Fonseca, C. Fornari, F. Ciceroni, FedericoII: tra Cronaca e Storia, Tabulae del Centro Studi Federicianidella Fondazione Federico II Hohenstaufen di Jesi, Gennaio -Maggio 1999 n° 1.

43) Lello Capaldo, Il trono di Federico II, Pubblicato negli Attidell’accademia Pontaniana, vol. XLVII, Napoli 1999.

44) Renato Russo, Federico II e la Puglia, Editrice Rotas - Barletta1999.

45) Carlo Fornari, Federico II Condottiero e Diplomatico, MarioAdda Editore, Bari, 2000.

46) Georgina Masson: Federico II di Svevia, Tascabili Bompaini,prima edizione 1957, riedizione tascabile aprile 2001.

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47) Ornella Mariani, Federico II di Hohenstaufen, edito da“Controcorrente”, Napoli. 30 maggio 2001.

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L’autore degli scritti contenuti nella presente pubblicazione ha studia-to anche immagini, forme e riti misteriosi a Pompei, Paestum e inMagna Grecia riuscendo spesso a rivelarne i significati più segreti einconfessati. Chi fosse interessato visiti il sito webwww.misterisvelati.it

Attenzione!