Favole Di Esopo

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Favole Di Esopo

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Esopo

Esopo.

FAVOLE.

Titolo originale della raccolta: "Aisopou mythoi".

Traduzione di Elena Ceva Valle.

Rizzoli Editore

Copyright Rizzoli editore 1951.

Indice.

Nota.

1. I Beni e i Mali.

2. Il venditore di statue.

3. L'aquila e la volpe.

4. L'aquila e lo scarabeo.

5. L'aquila, il gracchio e il pastore.

6. L'aquila dalle ali mozze e la volpe.

7. L'aquila trafitta.

8. L'usignuolo e lo sparviero.

9. L'usignuolo e la rondine.

10. Il debitore ateniese.

11. Il moro.

12. La donnola e il gallo.

13. Il gatto e i topi.

14. La donnola e le galline.

15. La capra e il capraio.

16. La capra e l'asino.

17. Il capraio e le capre selvatiche.

18. La schiava brutta e Afrodite.

19. Esopo in un arsenale.

20. I due galli e l'aquila.

21. I galli e la pernice.

22. I pescatori e il tonno.

23. I pescatori che pescarono ciottoli.

24. Il pescatore che sonava il flauto.

25. Il pescatore, i pesci grossi e i pesci piccoli.

26. Il pescatore e la mnola.

27. Il pescatore che batteva l'acqua.

28. L'alcione.

29. Le volpi sul Meandro.

30. La volpe con la pancia piena.

31. La volpe e il rovo.

32. La volpe e l'uva.

33. La volpe e il serpente.

34. La volpe e il taglialegna.

35. La volpe e il coccodrillo.

36. La volpe e il cane.

37. La volpe e la pantera.

38. La volpe e lo scimmiotto eletto re.

39. La volpe e la scimmia che disputavano sulla loro nobilt.

40. La volpe e il becco.

41. La volpe dalla coda mozza.

42. La volpe che non aveva mai veduto un .

43. La volpe e la maschera.

44. I due uomini che disputavano intorno agli di.

45. L'assassino.

46. L'uomo che prometteva l'impossibile.

47. L'uomo pauroso e i corvi.

48. L'uomo morsicato da una formica ed Ermes.

49. Il marito e la moglie bisbetica.

50. L'imbroglione.

51. Il fanfarone.

52. L'uomo brizzolato e le sue amanti.

53. Il naufrago.

54. Il cieco.

55. Il truffatore.

56. Il carbonaio e il lavandaio.

57. Gli uomini e Zeus.

58. L'uomo e la volpe.

59. L'uomo e il leone che facevano la strada.

60. L'uomo e il satiro.

61. L'uomo che spacc la statua del dio.

62. L'uomo che trov un leone d'oro.

63. L'orso e la volpe

64. L'aratore e il lupo.

66. Le rane che chiesero un re.

67. Le rane vicine di casa.

68. Le rane del pantano.

69. Il ranocchio medico e la volpe.

70. I buoi e l'asse del carro.

71. I tre buoi e il leone.

72. Il bifolco ed Eracle.

73. Borea e il Sole.

74. Il bovaro e il leone.

75. L'uccellino e il pipistrello.

76. La gatta e Afrodite.

77. La donnola e la lima.

78. Il vecchio e la Morte.

79. Il contadino e l'aquila.

80. Il contadino e i cani.

81. Il contadino e il serpente che gli aveva ucciso il figlio.

82. Il contadino e il serpe intirizzito dal freddo.

83. Il contadino e i suoi figli.

84. Il contadino e la Fortuna.

85. Il contadino e l'albero.

86. I figli discordi del contadino.

87. La vecchia e il medico.

88. La moglie e il marito ubriacone.

89. La padrona e le ancelle.

90. La donna e la gallina.

91. La fattucchiera.

92. La giovenca e il bue.

93. Il cacciatore pauroso e il taglialegna .

94. Il porcellino e le pecore.

95. I delfini, la balene e il ghiozzo.

96. L'oratore Demade.

97. Diogene e il calvo.

98. Diogene in viaggio.

99. Zeus e le querce.

100. I boscaioli e il pino.

101. L'abete e il rovo.

102. Il cervo alla fonte e il leone.

103. Il cervo e la vite.

104. Il cervo e il leone in un antro.

105. Il cervo cieco da un occhio.

106. Il capretto sul tetto della stalla e il lupo.

107. Il capretto e il lupo che sonava il flauto.

108. Ermes e lo scultore.

109. Ermes e la Terra.

110. Ermes e Tiresia.

111. Ermes e gli artigiani.

112. Il carro di Ermes e gli Arabi.

113. L'eunuco e il sacerdote.

114. I due nemici.

115. La vipera e la volpe.

116. La vipera e la lima.

117. La vipera e la biscia d'acqua.

118. Zeus e il Pudore.

119. Zeus e la volpe.

120. Zeus e gli uomini.

121. Zeus e Apollo.

122. Zeus e il serpente.

123. Zeus e il doglio dei Beni.

124. Zeus, Prometeo, Atena e Momo.

125. Zeus e la tartaruga.

126. Zeus giudice.

127. Il Sole e le rane.

128. La mula.

129. Eracle e Atena.

130. Eracle e Pluto.

131. L'eroe.

132. Il tonno e il delfino.

133. Il medico ignorante.

134. Il nibbio e il serpente.

135. Il nibbio che nitriva.

136. L'uccellatore e l'aspide.

137. Il cavallo vecchio.

138. Il cavallo, il bue, il cane e l'uomo.

139. Il cavallo e il palafreniere.

140. Il cavallo e l'asino.

141. Il cavallo e il soldato.

142. La canna e l'olivo.

143. Il cammello che stall nel fiume.

144. Il cammello, l'elefante e la scimmia.

145. Il cammello e Zeus.

146. Il cammello ballerino.

147. Il cammello visto per la prima volta.

149. I due scarabei.

150. Il granchio e la volpe.

151. Il granchio e sua madre.

152. Il noce.

153. Il castoro.

154. L'ortolano che innaffiava gli ortaggi.

155. L'ortolano e il cane.

156. Il citaredo.

157. Il tordo.

158. I ladri e il gallo.

159. Il ventre e i piedi.

160. Il gracchio e la volpe.

161. Il gracchio e i corvi.

162. Il gracchio e gli uccelli.

163. Il gracchio e i colombi.

164. Il gracchio fuggito.

165. Il corvo e la volpe.

166. Il corvo ed Ermes.

167. Il corvo e il serpente.

168. Il corvo ammalato.

169. La cappellaccia.

170. La cornacchia e il corvo.

171. La cornacchia e il cane.

172. Le chiocciole.

173. Il cigno preso per un'oca.

174. Il cigno e il suo padrone.

175. I due cani.

176. Le cagne affamate.

177. L'uomo morsicato da un cane.

178. Il cane invitato a pranzo, ovvero: L'uomo e il cane.

179. Il cane da caccia e gli altri cani.

180. Il cane, il gallo e la volpe.

181. Il cane e la conchiglia.

182. Il cane e la lepre.

183. Il cane e il macellaio.

184. Il cane addormentato e il lupo.

185. La cagna che portava la carne.

186. Il cane col sonaglio.

187. Il cane che inseguiva il leone, e la volpe.

188. La zanzara e il leone.

189. La zanzara e il toro.

190. Le lepri e le volpi.

191. Le lepri e le ranocchie.

192. La lepre e la volpe.

193. Il gabbiano e il pesce rondine.

194. La leonessa e la volpe.

195. Il regno del leone.

196. Il leone invecchiato e la volpe.

197. Il leone prigioniero e il contadino.

198. Il leone innamorato e il contadino.

199. Il leone, la volpe e il cervo.

200. Il leone, l'orso e la volpe.

201. Il leone e la ranocchia.

202. Il leone e il delfino.

203. Il leone e il cinghiale.

204. Il leone e la lepre.

205. Il leone, il lupo e la volpe.

206. Il leone e il topo riconoscente.

207. Il leone e l'onagro.

208. Il leone e l'asino che andavano a caccia insieme.

209. Il leone, l'asino e la volpe.

210. Il leone, Prometeo e l'elefante.

211. Il leone e il toro.

212. Il leone infuriato e il cervo.

213. Il leone che ebbe paura di un topo e la volpe.

214. Il brigante e il gelso.

215. I lupi e i cani in guerra tra di loro.

216. I lupi e i cani alleati.

217. I lupi e le pecore.

218. I lupi, le pecore e il montone.

219. Il lupo inorgoglito della sua ombra e il leone.

220. Il lupo e la capra.

221. Il lupo e l'agnello.

222. Il lupo e l'agnellino rifugiato nel tempio

223. Il lupo e la vecchia.

224. Il lupo e l'airone.

225. Il lupo e il cavallo.

226. Il lupo e il cane.

227. Il lupo e il leone.

228. Il lupo e l'asino.

229. Il lupo e il pastore.

230. Il lupo sazio e la pecora.

231. Il lupo ferito e la pecora.

232. La lampada.

233. L'indovino.

234. Le api e Zeus.

235. L'apicultore.

236. I menagirti.

237. I topi e le donnole.

238. La mosca.

239. Le mosche.

240. La formica.

241. La formica e lo scarabeo.

242. La formica e la colomba.

243. Il topo di campagna e il topo di citt.

244. Il topo e la ranocchia.

245. Il naufrago e il Mare.

246. I ragazzi e il macellaio.

247. Il cerbiatto e il cervo.

248. Il giovane prodigo e la rondine.

249. Il malato e il medico.

250. Il pipistrello, il rovo e il gabbiano.

251. Il pipistrello e le donnole.

252. Le piante e l'olivo.

253. Il taglialegna ed Ermes.

254. I viandanti e l'orso.

255. I viandanti e il corvo.

256. I viandanti e la scure.

257. I viandanti e il platano.

258. I viandanti e la sterpaglia.

259. Il viandante e la verit.

260. Il viandante ed Ermes.

261. Il viandante e la Fortuna.

262. Gli asini a Zeus.

263. L'uomo che voleva comperare un asino.

264. L'asino selvatico e l'asino domestico.

265. L'asino che portava il sale.

266. L'asino che portava la statua di un dio.

267. L'asino vestito della pelle del leone e la volpe.

268. L'asino che lodava la sorte del cavallo.

269. L'asino, il gallo e il leone.

270. L'asino, la volpe e il leone.

271. L'asino e le ranocchie.

272. L'asino e il mulo che portavano un carico eguale.

273. L'asino e l'ortolano.

274. L'asino, il corvo e il lupo.

275. L'asino e il cagnolino, ovvero: Il cane e il suo padrone.

276. L'asino e il cane che viaggiavano insieme.

277. L'asino e l'asinaio.

278. L'asino e le cicale.

279. L'asino che passava per leone.

280. L'asino che mangiava un cardo e la volpe.

281. L'asino che si fingeva zoppo e il lupo.

282. L'uccellatore, le colombe selvatiche e le colombe domestiche.

283. L'uccellatore e la cappellaccia.

284. L'uccellatore e la cicogna.

285. L'uccellatore e la pernice.

286. La gallina e la rondine.

287. La gallina dalle uova d'oro.

288. La coda del serpente e le sue membra.

289. Il serpente, la donnola e i topi.

290. Il serpente e il granchio.

291. Il serpente calpestato e Zeus.

292. Il ragazzino che mangiava la trippa.

293. Il ragazzo che dava la caccia alle cavallette e lo scorpione.

294. Il ragazzo e il picchio.

295. Il figlio e il leone dipinto.

296. Il ragazzo che rubava e sua madre.

297. Il ragazzo che faceva il bagno.

298. Il depositario e il Giuramento.

299. Il padre e le figlie.

300. La pernice e l'uomo.

301. La colomba assetata.

302. La colomba e la cornacchia.

303. Le due bisacce.

304. La scimmia e i pescatori.

305. La scimmia e il delfino.

306. La scimmia e il cammello.

307. I figli della scimmia.

308. I naviganti.

309. Il signore e il conciapelli.

310. Il signore e le lamentatrici.

311. Il pastore e il mare.

312. Il pastore e il cane che accarezzava le pecore.

313. Il pastore e i lupacchiotti.

314. Il pastore e il lupo allevato insieme con i cani.

315. Il pastore e il cucciolo del lupo.

316. Il pastore e le sue pecore.

317. Il pastore che introduceva il lupo nell'ovile il cane.

318. Il pastore che scherzava.

319. Il dio della guerra e la Violenza.

320. Il fiume e la pelle.

321. La pecora tosata.

322. Prometeo e gli uomini.

323. La rosa e l'amaranto.

324. Il melograno, il melo, l'olivo e il rovo.

325. Il trombettiere.

326. La talpa e sua madre.

327. Il cinghiale e la volpe.

328. Il cinghiale, il cavallo e il cacciatore.

329. La scrofa e la cagna che si insultavano a vicenda.

330. Le vespe, le pernici e il contadino.

331. La vespa e il serpente.

332. Il toro e le capre selvatiche.

333. Il pavone e la gru.

334. Il pavone e la cornacchia.

335. La cicala e la volpe.

336. La cicala e le formiche.

337. L'arciere e il leone.

338. Il capro e la vite.

339. Le iene.

340. La iena e la volpe.

341. La scrofa e la cagna che disputavano sulla fecondit.

342. Il calvo a cavallo.

343. L'avaro.

344. Il fabbro e il suo cane.

345. L'inverno e la primavera.

346. La rondine e il drago.

347. La rondine e la cornacchia che disputavano sulla loro bellezza.

348. La rondine e gli uccelli.

349. La rondine fanfarona e la cornacchia

350. La tartaruga e l'aquila.

351. La tartaruga e la lepre.

352. Le oche e le gru.

353. I vasi.

354. Il pappagallo e la gatta.

355. La pulce e l'atleta.

356. La pulce e l'uomo.

357. La pulce e il bove.

Nota.

Non si pu oggi parlare di Esopo senza affrontare, almeno per sommi capi, una questione esopica, che tanto pi ardua della questione omerica, quanto pi negletta fu la storia della classe sociale che egli rappresenta e quanto pi labile la consistenza di un'opera prosastica tramandata oralmente rispetto a quella di un'opera poetica fissata dalla scrittura.

Sull'esistenza storica di Esopo nessuno degli antichi sollev dubbi. Tra gli scrittori a noi giunti, il primo che ne faccia menzione Erodoto (quinto secolo avanti Cristo). Parlandone incidentalmente, egli asserisce che Esopo visse al tempo della famosa cortigiana Rdopi (570-526 avanti Cristo), che, insieme con lei, fu schiavo di un cittadino di Samo, Iadmone, e che mor ucciso dagli abitanti di Delfi, i quali, costretti dall'oracolo, pagarono pi tardi l'ammenda del loro delitto a un nipote di Iadmone, in mancanza di diretti discendenti.

Altre notizie sul favolatore si trovano, con crescente frequenza, in scrittori pi tardi, in Eraclide Pontico, in un anonimo commentatore di Aristofane, in Plutarco, in Suida, in Fedro, in altri molti. Sono, per lo pi, notizie incidentali e talora contraddittorie. Spiegano la sua morte come una vendetta dei Delfi, ai quali, giudicandoli ignobili parassiti del loro oracolo, egli non avrebbe distribuito una somma a tale scopo affidatagli dal re Creso, di cui era ambasciatore. Asseriscono che fu schiavo di un filosofo lidio, Xanto, che fu amico di Solone, che partecip con lui a un banchetto dei Sette Savi, che si trovava in Atene al tempo di Pisistrato. Ricordano statue erette in suo onore, tra cui una ad Atene del famoso scultore Lisippo. Lo fanno nascere ora in Tracia (a Mesembria), ora in Lidia, pi spesso in Frigia (a Cotieo o ad Amorio); ne collocano l'esistenza in date varie, tra la fine del settimo secolo e il secondo decennio dopo la met dei sesto secolo avanti Cristo. Si vanno precisando anche i suoi tratti fisici, e il saggio compositore di favole diventa un arguto conversatore, che suscita il riso non solo con le facezie, ma anche con la bruttezza e la deformit della persona, in stridente ed esemplare contrasto con l'eccellenza dell'ingegno, vivente smentita di quell'ideale aristocratico greco che da Omero a Platone vagheggia l'armonico connubio della bellezza spirituale con la bellezza fisica.

Attraverso queste frammentarie notizie, si intravedono i lineamenti di una tradizione popolare assai antica, che and man mano arricchendosi, finch, nei primi secoli del l'era volgare, quando la letteratura greca si volgeva con entusiasmo al nuovo genere letterario del romanzo, un ignoto compilatore, complicandola di elementi estranei e di fronzoli retorici e moralistici, ne traesse quella "Vita" (o meglio quel mediocre romanzo) di Esopo, di cui giunta a noi pi di una redazione dell'et bizantina, falsamente attribuita, spesso, a un erudito del quattordicesimo secolo, il monaco Massimo Planude. Esopo - esso racconta -nacque ad Amorio nella Frigia; fu schiavo brutto e deforme: cranio appuntito, naso camuso, collo corto, labbra tumide, colorito nero, donde gli deriv anche il nome, ch Esopo, secondo la cervellotica etimologia del compilatore, lo stesso che Etiope, ventre sporgente, piedi voltati in fuori, gobbo: riusciva quasi a superare il Tersite omerico, quanto a deformit della persona. Per di pi, cos impedito nell'uso della lingua, da essere poco meno che muto. Eppure, come seppe difendersi, il giorno che, approfittando di questo difetto, due malvagi compagni mangiarono i fichi riposti per il padrone, e poi accusarono lui della colpa da loro commessa! Una buona bevuta d'acqua tepida, due dita in gola. e l'invito al padrone che obbligasse i calunniatori a fare altrettanto! Dal pi grave dei suoi difetti, egli fu per liberato grazie alla gentilezza d'animo con cui onor e rimise sul giusto cammino certi sacerdoti di Diana che avevano smarrita la via: ricuper durante il sonno la favella, e ne approfitt subito per rimproverare al fattore da cui dipendeva le sue angherie contro i compagni. Venduto per una somma irrisoria a un mercante di schiavi, egli meraviglia tutti per la sua astuzia, perch, quando il nuovo padrone si mette in viaggio con la carovana, egli, tra gli innumerevoli bagagli, sceglie per s un'enorme cesta di pane, accortamente calcolando che i primi pasti dei viaggiatori basteranno a liberarlo dal suo carico. Giunto col padrone ad Efeso, egli sa cos argutamente tener testa alle domande del filosofo Xanto e dei suoi discepoli, che costoro lo acquistano e lo regalano al maestro, il quale lo porta con s a Samo.

Comincia qui una serie di vicende, in cui, alla sapienza ufficiale e cattedratica del filosofo patentato, si contrappone vittoriosamente quella pratica e tutta popolaresca dell'arguto servitore. Vi incontriamo, snervate in una redazione faticosamente prolissa, anche alcune favole delle nostre raccolte, come la 94 e la 154, ma per lo pi le trovate di Esopo poggiano sopra una cavillosa esigenza di propriet nel linguaggio. Cos, quando riceve l'ordine di far cuocere la lenticchia, egli fa cuocere una sola lenticchia; i doni inviati da Xanto a colei che lo ama son consegnati non alla moglie, ma alla cagnetta; il pranzo che dovrebbe essere imbandito con quanto c' di meglio, risulta composto esclusivamente di lingue cotte, in tutte le salse, proprio come il pranzo per cui stato ordinato quanto c' di peggio. Non infatti, dice Esopo, la lingua, strumento della cultura, della filosofia della poesia, e, d'altra parte, strumento di distruzione, d'ingiustizia, di morte? Esopo (fiero misogino, cui si fa invocare con disinvolto anacronismo, nientemeno che l'autorit di Euripide) cerca, sia pure con scarso successo, di liberare il padrone dai lacci di una cattiva moglie. Esopo, una volta che Xanto, brillo, ha scommesso di bere tutta l'acqua del mare, lo salva, suggerendogli di pretendere che gli avversari stornino prima le acque dei fiumi, di cui non s' fatto parola nella scommessa. Esopo dona persino al padrone un tesoro che egli ha scoperto; ma con tutto questo non riesce a ottenere la libert mille volte promessagli.

Gliela concederanno i cittadini di Samo, quando egli solo riuscir ad interpretare esattamente un grave presagio che riguarda la loro patria: essa minacciata di servaggio da un potente. Ecco infatti che Creso, re di Lidia, pretende di imporle un tributo. E, poich Esopo diventa per Samo l'anima della resistenza, il re chiede la sua consegna. Il favolatore racconta a sua difesa la favola dei lupi e delle pecore (217), ma poi va spontaneamente da Creso e riesce a riconciliarlo con gli isolani. A questo punto si innesta nel racconto una lunga digressione: Esopo va in Oriente dove i re se lo contendono come prezioso solutore di enigmi; diventa governatore di Babilonia, si ammoglia, e adotta come figlio un giovane, Enno, che lo calunnia e lo fa mandare a morte; sfugge al supplizio vivendo nascosto in un sepolcro, e ne esce infine per salvare il suo troppo credulo re dalle mire rapaci del re d'Egitto, Nectanebo. Tutta questa parte non che il rimaneggiamento di un antico romanzo orientale, dove si narravano le vicende di un personaggio favoloso che ha qualche affinit con Esopo, il saggio Ahikar.

Segue il ritorno di Esopo in Grecia, dove egli si reca a visitare il famoso santuario di Delfi. Qui ha occasione di esprimersi in modo poco lusinghiero per gli abitanti della citt, che, visti da vicino, gli si sono rivelati gli uomini pi inutili della terra. Per vendetta, i Delfi, alla sua partenza, gli infilano nei bagagli una coppa d'oro presa nel tempio, poi lo inseguono, lo perquisiscono e lo condannano come ladro sacrilego. Egli narra ad ammonimento del popolo le sue ultime favole, tra cui quelle della rana e del topo (244) e della volpe e dell'aquila (3); e poi vien precipitato da una rupe. I Delfi per sono puniti con una terribile pestilenza, che non cesser finch non avranno placato il suo spirito con un'onorevole sepoltura e un monumento funebre, e finch il suo processo, rifatto dai prncipi della Grecia, non condurr all'esemplare condanna dei colpevoli.

Le prime reazioni contro l'attendibilit di questo racconto, che ancora La Fontaine premetteva alle sue favole come una genuina biografia, sono del sedicesimo secolo; e allora non si dubita solo delle singole notizie, ma si nega addirittura la realt storica di Esopo, scorgendo in lui nient'altro che un simbolo: il simbolo della verit che suscita l'odio, o il simbolo delle antiche plebi schiave degli eroi - come pensava il Vico - o il simbolo dell'antica sapienza orientale, identificabile a sua volta con figure affini d'altri popoli, richiamate da qualche tratto della "Vita": Lokman, Ahikar, Salomone, Giuseppe. Altri infine lo credette una creazione dei retori greci, preoccupati di trovare, come era loro costume un inventore anche all'anonimo genere della favola.

La critica pi recente ormai orientata su posizioni meno assolute. Si esita a negar fede a notizie fornite da uno storico cos serio come Erodoto su avvenimenti che in fondo, non distano da lui che un secolo e mezzo, e, in genere, si ammette almeno la realt storica di Esopo, che sarebbe pertanto vissuto nel sesto secolo avanti Cristo che sarebbe stato - forse - schiavo e - forse - originario dell'Asia Minore, che non sarebbe stato l'inventore della favola - di cui si trovano gi esempi in poeti greci anteriori, a cominciare da Esiodo - ma che, per l'abbondanza o per l'eccellenza della sua produzione, o comunque per la fama derivatagliene, avrebbe nei secoli legato indissolubilmente il suo nome a questo componimento.

Una favola non che il racconto di casi fittizi volto ad illustrare un precetto morale, una riflessione, un consiglio pratico, e teoricamente ha quindi origine da un processo spirituale cos elementare che sarebbe vano indagarne la patria e la data di nascita. Essa nacque, si pu dire, la prima volta che un paragone, una metafora, una similitudine affior sulle labbra d'un uomo, sospinto, non dal semplice bisogno di liberarsi da una commozione, ma da quello pi complesso di imporre un giudizio, di suscitare una volont.

Tuttavia, il problema della sua origine si posto di nuovo nei tempi moderni, dopo che la miglior conoscenza delle lingue orientali addit in esse racconti, atteggiamenti e motivi affini a quelli esopici. Anzi, per un certo tempo, la paternit della favola fu, come quella della novella, attribuita all'India, patria di un libro di favole famoso: il "Panciatantra". Oggi per si procede anche qui con maggiore cautela, consci che la questione non pu essere risolta in blocco, ma richiederebbe di volta in volta una documentazione praticamente impossibile allo stato attuale delle cose. Si tende quindi a riconfermare alla Grecia il vanto d'aver dato forma letteraria alla favola, pur non escludendo la possibilit di influssi orientali, o, forse meglio, la presenza di un sustrato comune, tutt'altro che inverosimile tra popoli di origine comune.

Certo la favola, quale ci appare in tempi storici, presuppone una preistoria, che corrisponde alla creazione di quel mondo fittizio di cui essa si presenta quasi un frammento di cronaca: un mondo dove, accanto agli esseri irrazionali gratificati del senno e della favella umana, l'uomo, ed eventualmente anche il dio, pu convivere solo a patto di rinunciare alle sue caratteristiche personali, riducendosi a paradigma di una categoria.

In primo piano vi stanno le bestie, personaggi ideali per una fantasia infantile: abbastanza ricchi di atteggiamenti simili a quelli umani per stimolarne potentemente il processo analogico, non abbastanza espliciti per troncarne i voli con una smentita. La loro rappresentazione poggia sull'esistenza di una zoologia morale di pubblico dominio, che ne ha determinato i caratteri fondandosi sui dati di una osservazione empirica (destinata a ricevere nei secoli pi di una smentita dalla scienza), senza per irrigidirsi in modo da impedire alla fantasia il libero giuoco di una casistica. Ecco il leone, forte e anche violento ma sempre regale, l'aquila rapace ma nobile, il lupo prepotente e crudele, il serpente traditore; ecco l'Ulisse del piccolo mondo, la volpe intelligente ed astuta, ecco l'agnello, vittima che suscita la piet, e l'asino, vittima che suscita il riso, e il cervo vanitoso, e il cane, in cui la convivenza con l'uomo pare aver sviluppato le attitudini pi varie, e il bue lavoratore, e la cagna e la scrofa volgari ed immonde, e la formica avida e operosa, e la rana dalla gran voce e dal piccolo cuore, e la pulce e la zanzara, moleste e audaci eroine di brevi epopee.

Sono esseri limpidi e trasparenti, spogliati dell'inquietante mistero donde germogli un giorno il religioso terrore del totem, e che riaffiorer soltanto agli occhi futuri di poeti pi tormentati e sottili. Li conosciamo ormai quasi tutti nella ricca tavolozza delle similitudini omeriche; ma qui sono passati al servizio della ragione, la quale obbliga questo mondo esente da leggi etiche a far lezione di morale all'uomo; ch la favola, sia che avanzi sbandierando in testa o in coda la sua morale, sia che proceda tutta chiusa, invitandoci col suo ambiguo e inquietante profumo a spremerne il succo, sempre giudizio, critica, satira del mondo o di un mondo storico.

Quella esopica coglie l'uomo ancor vicino allo stato di natura, condizionato al minimo da transeunti caratteristiche di luogo e di tempo; e questa , in parte, anche la ragione della sua vitalit. A circostanze storiche bens legata la prospettiva secondo cui questo mondo veduto: la visuale delle plebi greche, quelle plebi che tra gli splendori eroici dell'epopea si affacciano solo di sfuggita nelle contrastanti figure del servo fedele e dell'odioso ribelle, di Eumeo e di Tersite, ma che gi riverberano la loro grigia tristezza nella poesia di Esiodo. Nemmeno questo incide per sulla attualit della rappresentazione satirica e dell'osservazione morale, perch sono circostanze storiche eternamente presenti nell'umanit: le possiamo ritrovare in qualsiasi assetto sociale, solo che si punti lo sguardo l dove di volta in volta fluttua l'instabile confine che separa il libero dallo schiavo; intendendo per libero chi riuscito a formulare un ideale etico autonomo e coerente e lo usa come sicuro metro delle sue azioni e dei suoi giudizi.

Riflesso di uno stadio psicologico non meno che di una classe, la morale esopica il prodotto di una categoria che costretta ad operare in un mondo di cui non ha posto e nemmeno capito le regole del giuoco, ma non pu per questo rinunciare al bisogno di spiegare il proprio insuccesso, e lo spiega con la sua o con l'altrui colpa, distillandone una sapienza spicciola e provvisoria, pericolosamente propensa ad elevare a norma universale il risultato contingente; onde si pu dire che in essa, non meno che nelle raccolte dei proverbi, non c' massima a cui non se ne possa accostare un'altra che ne attenui o ne contraddica le conclusioni.

Essa frutto di uno stadio della vita in cui l'esercizio del pensiero un'eccezione imposta o un lusso permesso dalle pause di una prevalente ed assorbente attivit fisica o materiale: la vecchiaia, la stanchezza, la malattia. Di qui il suo tono in genere pessimistico, scettico. Cos poteva parlare Tersite rinsavito per le busse di Ulisse, o il vecchierello, chino sul focolare dove bruciavano le fascine che la Morte aveva riassettato sulle sue spalle. La terra ostile all'uomo; il lavoro fatica; molti sono i mali e i beni pochi: uno solo, forse: la speranza, che non ha mai empito la pancia a nessuno. Gli uomini sono cattivi: per egoismo e per avidit adulano, mentono, rubano, uccidono, tradiscono; la forza dell'odio li rende pi bramosi del male altrui che del bene proprio; chi parla di riconciliazione o di riconoscenza quasi sempre una persona sospetta. Ma pi ancora forse che cattivi, gli uomini sono stupidi: irriflessivi o ingenui, misconoscono quello che hanno di buono, a cominciare dalla ragione, si rallegrano del loro male o addirittura lo bramano, chiedendo delle grazie che son vere disgrazie.

Di qui il ridicolo di un mondo dove i dappoco si danno delle arie, chi vuol salvarsi si rovina, chi ha qualcosa fa di tutto per perderlo, chi predica bene razzola male e gli indovini non prevedono il proprio avvenire, i sapienti cascano nel pozzo, i paurosi vanno a caccia di leoni, e gli infelici amano la vita. La giustizia degli di? Somiglia troppo ai gesti incomposti di un uomo stizzito. Quella umana? I forti, i ricchi, i re, se non sono infingardi, sono malvagi; d'altra parte, senza la violenza non si pu regnare, ch sulla gratitudine non c' da fare assegnamento, s che talvolta l'ammirazione per il prepotente traluce persino nella vittima. Quanto alla democrazia essa non che schietta demagogia; vedete quanto scarso il buon senso nelle varie elezioni, e di politica si occupa lo spino, non il fico o l'olivo. Morire, allora? No ch la morte peggiore della vita peggiore.

Nel naufragio delle fedi che hanno sorretto altre et e altri uomini, qualche rottame galleggia, e a questo ci si aggrappa. Bellezza e nobilt non sono proprio parole vuote di senso per chi si soffermato a meditare sullo splendore della rosa, sulla melanconia dell'aquila incatenata e sul canto dei passeri e delle cicale; ma esse suscitano solo qualche sospiro parentetico, che non diventa mai respiro animatore e vivificante.

Qualche cosa di pi solido resiste, tuttavia, nel campo morale: la forza delle leggi di natura, l'esecrazione del sangue versato e del giuramento infranto, un certo vago senso della giustizia delle cose. E poi, a sorreggere l'umile, ci sono le virt degli umili: la pazienza, la diligenza, la forza dell'abitudine, la rassegnazione, e soprattutto la prudenza e l'astuzia, vere regine della vita. Chi giunto a sue spese a scoprire che tra far torto e patirlo c' una terza via, meno pericolosa dell'una e dell'altra, ammira il leone, compiange l'agnello, ma segue la volpe. Questo il contenuto della favola d'Esopo.

Quanto all'arte, una silloge cos miscelata non permette un giudizio complessivo. Le trecentocinquantotto favole che seguono qui tradotte sono quelle che lo Chambry ha raccolte nella sua edizione bilingue (Les belles lettres, Parigi, 1937), ordinandole alfabeticamente sotto l'iniziale del titolo greco; sono, cio, scartate le varianti di poco conto, tutte quelle che i nostri manoscritti, d'et assai tarda, attribuiscono esplicitamente ad Esopo, senza che altri ne rivendichi la paternit. Ma impresa disperata sceverare tra esse il nucleo originale.

Composto in prosa, in quel dialetto ionico di cui qui non si trova nemmeno pi la traccia, e affidato alla tradizione orale, esso divenne presto cos famoso che accentr intorno a s una gran quantit di racconti di natura affine, senza farsi scrupolo nemmeno dei pi stridenti anacronismi (si vedano le favole 96-98). Inoltre fu trascinato secoli e secoli, come materiale didattico per esercitazioni, sui banchi delle scuole di rettorica, nelle quali furono probabilmente perpetrate le sue morali, tarde (alcune persino d'et cristiana), sciatte, pedantesche, pronte a immiserire e a fraintendere il senso, come ad esprimersi con irrispettosa goffagine (si vedano, per esempio, le favole 20, 340, 356, 397).

Ma chi legge, pur sorvolando su di esse, e sui raccontini sciatti o forzati, sugli aneddoti insulsi, sui motti pi o meno spiritosi, si ferma ad ogni passo, attratto qui dall'evidenza di una narrazione, l dalla vivacit del dialogo, pi oltre dalla fresca grazia di un particolare o dal fascino di un sorriso malizioso appena venato di melanconia; e sente allora che anche la favola, questa figlia del raziocinio e della fantasia, acquista piena legittimit nel regno dell'arte, se nata non da un freddo calcolo, ma da un atto d'amore: il gran libro della natura non perde forme o colori per esser contemplato, da chi veramente cos lo ami e lo senta, sotto la stella della saviezza.

Nella nostra tradizione letteraria, Esopo rimasto come un vecchio, saldo tronco, da cui nei secoli rigermogliano inesauribili le favole. In prosa o in versi, liberamente esultanti nelle parlate popolari, come nel siciliano del Meli e nel romanesco del Trilussa, senza tuttavia ribellarsi alle eleganze letterarie, esse procedono a quadri isolati, come in Fedro, in Babrio, nel La Fontaine, il pi grande tra gli emuli d'Esopo, nei nostri settecentisti (Pignotti, Fiacchi, Bertola, Gozzi...) e nel Perrault, nel Lessing, nell'Andersen e nel Krilov; ma possono anche collegarsi in veri cicli, come nei "Racconti della giungla" del Kipling, o incastonarsi come gemme in opere di diversa natura, come le commedie di Aristofane e le satire di Orazio e dell'Ariosto. Amano la brevit, ma non rifiutano di allargarsi in poemi, quali il medioevale "Roman de Renart" e "Gli animali parlanti" del Casti, o in drammi e romanzi, quali "Chanteclair" del Rostand, "L'uccellino azzurro" del Maeterlinck, "La fattoria degli animali" dell'Orwell e vi trovano adeguata espressione i pi vari atteggiamenti spirituali, dal realismo al simbolismo, dal proselitismo medioevale o settecentesco alla sfiduciata amarezza dei contemporanei.

Elena Ceva Valla.

1.

I BENI E I MALI.

I Beni erano troppo deboli per difendersi, e cos furono cacciati via dai Mali. Allora se ne rivolarono s in cielo, chiedendo a Zeus (1) come dovevano fare per aiutare gli uomini. Ed egli li consigli di non andare tutti insieme, ma di presentarsi loro uno alla volta. Ecco perch i Mali che dimorano vicini agli uomini, li assalgono senza tregua, mentre i Beni, dovendo scendere dal cielo, arrivano a una certa distanza l'uno dall'altro.

I beni, nessuno riesce ad ottenerli rapidamente, mentre non passa giorno senza che ognuno sia bersagliato dai mali.

Note.

1. Zeus (Giove), nella mitologia pagana, il re degli di, signore del cielo e dei fenomeni celesti, tutore della giustizia; ha come arma il fulmine; gli sacra l'aquila.

2.

IL VENDITORE DI STATUE.

Un tale aveva scolpito un Ermes (1) di legno, l'aveva portato in piazza e l'offriva in vendita, ma nessuno si faceva avanti. Allora, per attirare qualche compratore, egli prese ad annunziare a gran voce che vendeva un dio generoso, dispensatore di benefici e di guadagni. Ehi, galantuomo, gli osserv uno dei presenti, e perch lo vendi, allora, invece di approfittare tu dei suoi favori?. Il fatto si , rispose quello, che io avrei bisogno di un aiuto immediato e lui, i guadagni, abituato a procurarli con tutto suo comodo.

Ecco una favola fatta per certi uomini avidi e sfacciati che non hanno rispetto nemmeno degli di.

Note.

1. Ermes o Ermete (Mercurio), nella mitologia pagana, figlio e messaggero di Zeus, protettore del commercio, dei guadagni, dei viandanti.

3.

L'AQUILA E LA VOLPE.

Un'aquila e una volpe, fattesi amiche, stabilirono di abitare una vicino all'altra, pensando che la vita in comune avrebbe rafforzato la loro amicizia. Ed ecco che la prima vol sulla cima di un albero altissimo e vi fece il suo nido; l'altra strisci sotto il cespuglio che cresceva ai suoi piedi e qui partor i suoi piccoli. Ma un giorno, mentre la volpe era uscita a cercar da mangiare, l'aquila, che si trovava a corto di cibo, piomb nel cespuglio, afferr i volpacchiotti e se ne fece una scorpacciata insieme coi suoi figli. Quando, al suo ritorno, la volpe vide che cosa le avevano fatto, fu colta da un dolore che non era nemmeno tanto grande per la morte dei suoi piccoli quanto per il pensiero della vendetta: animale di terra, essa non aveva infatti la possibilit di inseguire un volatile. Perci, immobile, di lontano, unico conforto che rimane ai deboli e agli impotenti, scagliava maledizioni sulla sua nemica. Ma non pass molto e tocc all'aquila scontare il suo delitto contro l'amicizia. Infatti, un giorno che in campagna si offriva in sacrificio una capra agli di, essa piomb gi e si port via dall'altare uno dei visceri che stava prendendo fuoco; ma quando l'ebbe trasportato nel suo nido, un forte soffio di vento lo invest e da qualche filo di paglia secca suscit una vivida fiammata. Cos i suoi piccoli - volatili ancora impotenti - furono abbruciati e cascarono al suolo. La volpe accorse e se li divor tutti sotto gli occhi della madre.

La favola mostra come coloro che tradiscono l'amicizia, se anche, per l'impotenza delle vittime, sfuggono alla loro vendetta, non riescono per mai ad evitare la punizione degli di.

4.

L'AQUILA E LO SCARABEO.

Un'aquila inseguiva una lepre; la quale, in mancanza d'altri protettori, rivolse le sue suppliche al solo essere che il caso le pose sott'occhio: uno scarabeo. Questo le fece animo e, quando vide avvicinarsi l'aquila, cominci a pregarla di non portargli via la sua protetta. Ma quella, piena di disprezzo per il minuscolo insetto, si divor la lepre sotto i suoi occhi. Da allora lo scarabeo, tenace nel suo rancore, non perdette pi di vista i nidi dell'aquila: appena essa deponeva le uova, saliva s a volo, le faceva rotolare e le rompeva; fino al giorno in cui, cacciata da ogni parte, l'aquila, che l'uccello sacro a Zeus, si rifugi presso di lui e lo scongiur di trovarle un luogo sicuro per covare. Zeus le concedette di deporre le uova nel suo proprio grembo. Ma quando lo scarabeo se ne avvide, fece una pallottola di sterco, si lev a volo e, giunto sopra il grembo del dio, ve la lasci cadere. Zeus, per scuotersi di dosso lo sterco, si alz e, senz'avvedersene, gett a terra le uova. Da allora, dicono, nella stagione in cui compaiono gli scarabei, le aquile non covano.

Questa favola insegna a non disprezzare nessuno, perch nessuno tanto debole che, offeso, non sia in grado un giorno di vendicarsi.

5.

L'AQUILA, IL GRACCHIO E IL PASTORE.

Un'aquila, calandosi dall'alto di una rupe, rap un agnello. Visto quel colpo, un gracchio, invidioso, volle imitarla e, precipitandosi gi con gran fracasso, piomb su un montone. Ma gli artigli gli si impigliarono nella lana. Incapace di sollevarsi, esso si mise a sbatacchiare le ali, finch il pastore, avvedutosi del fatto, accorse e lo prese. Gli mozz la punta delle ali e, giunta la sera, lo port ai suoi figli. Questi gli domandarono che razza d'uccello fosse, e lui rispose: Gracchio garantito, a scienza mia. Per, se state a sentir le sue pretese, un'aquila5.

Cos, chi si mette a gareggiare coi potenti, non solo non ottiene nulla, ma per di pi, riesce a far ridere delle proprie disgrazie.

6.

L'AQUILA DALLE ALI MOZZE E LA VOLPE.

Una volta un'aquila fu catturata da un uomo. Questi le mozz le ali e poi la lasci andare, perch vivesse in mezzo al pollame di casa. L'aquila stava a capo chino e non mangiava pi per il dolore: sembrava un re in catene. Poi la comper un altro, il quale le strapp le penne mozze e, con un unguento di mirra, gliele fece ricrescere. Allora l'aquila prese il volo, afferr con gli artigli una lepre e gliela port in dono. Ma la volpe che la vide, ammon: I regali non devi farli a questo, ma piuttosto al padrone di prima: questo gi buono per natura; l'altro invece meglio che tu lo rabbonisca, perch non ti privi delle ali se ti acchiappa di nuovo.

Sta bene ricambiare generosamente i benefattori, ma bisogna anche ingraziarsi prudentemente i malvagi.

7.

L'AQUILA TRAFITTA.

Un'aquila stava appollaiata sull'alto di una rupe, facendo la posta alle lepri, quando fu colpita da una freccia: la punta le trafisse il corpo, mentre la cocca, con le sue penne, le si fermava davanti agli occhi. A tal vista, essa esclam: Ecco un nuovo dolore per me: morire proprio per opera delle mie penne!.

Il pungolo del dolore pi acuto quando uno incappa nei guai per opera dei suoi familiari.

8.

L'USIGNUOLO E LO SPARVIERO.

Posato su un'alta quercia, un usignuolo, secondo il suo solito, cantava. Lo scorse uno sparviero a corto di cibo, gli piomb addosso e se lo port via. Mentre stava per ucciderlo, l'usignuolo lo pregava di lasciarlo andare, dicendo che esso non bastava a riempire lo stomaco di uno sparviero: doveva rivolgersi a qualche uccello pi grosso, se aveva bisogno di mangiare. Ma l'altro lo interruppe, dicendo: Bello sciocco sarei, se lasciassi andare il pasto che ho qui pronto tra le mani, per correr dietro a quello che non si vede ancora!.

Cos, anche tra gli uomini, stolti sono coloro che, nella speranza di beni maggiori, si lasciano sfuggire quello che hanno in mano.

9.

L'USIGNUOLO E LA RONDINE.

La rondine consigliava l'usignuolo a nidificare, come lei, sotto il tetto degli uomini e a condividere la loro dimora. Ma quello rispose: Non desidero ravvivare la memoria delle mie antiche sventure (1); per questo vivo nei luoghi solitari.

Chi stato colpito da una sventura cerca di sfuggire persino il luogo dove questa gli accadde.

Note.

1. Allusione a una nota leggenda. Il re di Tracia, Tereo, che aveva sposato Procne figlia di Pandione, re d'Atene, sedusse la sorella della moglie, Filomela, e poi l'abbandon, tagliandole la lingua, perch non parlasse. Scoperto il fatto, Procne, d'accordo con la sorella, per vendicarsi del marito, uccise Iti, il figlioletto che aveva avuto da lui, ne cucin le membra e le imband al padre. Quando egli se ne avvide e volle punire le donne, intervennero gli di, che trasformarono i vari personaggi in uccelli: Tereo in upupa, Iti in cardellino, Procne in rondine, Filomela in usignuolo. Secondo un'altra versione meno diffusa della leggenda, fu invece Filomela a esser trasformata in rondine (vedi favola 350).

10.

IL DEBITORE ATENIESE.

Ad Atene, un debitore, a cui era stato ingiunto dal creditore di pagare il suo debito, sulle prime lo preg di concedergli una dilazione, dichiarando che si trovava in cattive acque. Non riusc per a convincerlo; e allora gli port una scrofa, l'unica che possedeva, e, in sua presenza, la mise in vendita. Gli si avvicin un compratore, chiedendo se quella era una scrofa che figliava, e lui l'assicur che non solo figliava, ma presentava anche una particolarit straordinaria: alla stagione dei Misteri (1) figliava femmine, e per le Panatenee, maschi. A questo discorso, l'ascoltatore rimase a bocca aperta. Ma il creditore soggiunse: E perch ti meravigli? Questa una scrofa che, per le Dionisiache, ti figlia anche dei capretti.

Questa favola ci mostra come molti, per il proprio interesse, giurino senza esitare le pi inverosimili falsit.

Note.

1. I "Misteri eleusini", feste in onore di Dmetra (Crere), si celebravano in settembre-ottobre; le "Panatenee", in onore di Atena (Minerva), in luglio-agosto; le "Dionisiache maggiori", in onore di Diniso (Bacco), in marzo-aprile. Per la migliore intelligenza della favola, si tenga presente che una scrofa figlia solo due volte l'anno.

11.

IL MORO.

Un tale comper uno schiavo moro, pensando che il suo colore fosse dovuto all'incuria del precedente proprietario. Condottolo a casa, prov su di lui tutti i detersivi e tent di sbiancarlo con lavacri d'ogni sorta. Ma non riusc a cambiargli il colore; anzi, con tutti i suoi sforzi, lo fece ammalare.

Questa favola ci mostra come le qualit naturali si conservino quali si sono manifestate originariamente.

12.

LA DONNOLA E IL GALLO.

Una donnola (1) aveva preso un gallo e avrebbe voluto un pretesto plausibile per mangiarselo. Comincio quindi ad accusarlo di esser molesto agli uomini, perch, cantando di notte, non li lascia prender sonno. E quello si difendeva, asserendo di farlo nel loro interesse, affinch si svegliassero per attendere alle loro faccende quotidiane. Allora la donnola gli muoveva un'altra accusa, quella di violare le leggi di natura, accoppiandosi con sua madre e con le sue sorelle. E poich il gallo asseriva che anche questo era nell'interesse dei padroni, perch cos le galline facevano loro molte uova, la donnola esclam: S, s, non ti mancano certo delle magnifiche giustificazioni; ma io non voglio mica per questo rimanere a bocca asciutta!, e se lo divor.

La favola mostra come i malvagi, quando si sono messi in testa di fare un sopruso, se non ci riescono con pretesti plausibili, agiscono alla scoperta.

Nota.

1. Il gatto domestico, diffusosi in Grecia in et piuttosto tarda, vi fu chiamato con nomi gi usati per specie selvatiche affini, come la donnola. Non quindi sempre facile stabilire se in una favola si parli di un gatto o di una donnola.

13.

IL GATTO E I TOPI.

C'era una casa piena di topi. Lo venne a sapere un gatto, che and a stabilirvisi e, prendendoli uno alla volta, se li mangiava. I topi, fatti segno a quella sistematica distruzione, si rimpiattavano nelle loro buche, finch il gatto, non arrivando pi a prenderli cap che bisognava farli uscir fuori con qualche tranello. Perci sal sopra un piolo, e, lasciandosi penzolare gi, fingeva d'essere morto. Ma quando un topo, facendo capolino, lo scorse, esclam: Caro mio, puoi diventare anche un sacco, ma noi vicino a te non ci verremo!.

Questa favola mostra come gli uomini prudenti, una volta fatta esperienza della malvagit di qualcuno, non si lascino pi ingannare dalle sue finzioni.

14.

LA DONNOLA E LE GALLINE.

Una donnola sent che in una fattoria c'erano delle galline ammalate, e, camuffatasi da medico e munita degli strumenti della sua professione, vi si rec. Fermatasi alla porta, cominci a chiedere come stessero di salute. E quelle, pronte: Benone, dichiararono, basta che tu giri al largo.

Cos, anche tra gli uomini, i prudenti sanno riconoscere i malvagi, per quanto questi ostentino le migliori intenzioni.

15.

LA CAPRA E IL CAPRAIO.

Un capraio richiamava le capre alla stalla. Ne rimase indietro una, che stava brucando qualcosa di buono; il pastore le tir una pietra e, con un colpo da maestro, le spezz un corno. Poi cominci a scongiurarla di non dir niente al padrone. Ma anche stando zitta, rispose la capra, come far a nasconderglielo? Che il mio corno sia rotto, salta agli occhi di tutti.

Quando la colpa evidente, non possibile dissimularla.

16.

LA CAPRA E L'ASINO.

Un tale teneva un asino e una capra. La capra, che era invidiosa dell'asino perch gli davano fin troppo da mangiare, andava dicendogli che lo maltrattavano senza tregua, ora facendogli girar la macina, ora caricandolo di pesi, e lo consigliava di fingersi epilettico e di lasciarsi cadere in un fosso, se voleva godere un po' di riposo. L'asino le diede retta: si butt gi, e si fracass le ossa Allora il padrone chiam il medico e gli chiese un rimedio. E il medico ordin che gli facessero un'infusione di polmone di capra, che lo avrebbe risanato. Cos, per curare l'asino, uccisero la capra.

Chi macchina inganni contro gli altri il primo autore delle proprie disgrazie.

17.

IL CAPRAIO E LE CAPRE SELVATICHE.

Un capraio, che aveva portato fuori le sue capre a pascolare, s'accorse che ad esse se ne erano mescolate delle altre selvatiche, e, al cader della sera, le mand dentro tutte nella sua grotta. Il giorno dopo cadde una gran pioggia, e, non potendo condurle al solito pascolo, egli si mise ad accudire ai loro bisogni dentro alla stalla: alle proprie gettava quel tanto di foraggio che bastasse a non morir di fame; ma alle forestiere ne metteva davanti un bel mucchio, nella speranza di appropriarsele. Ci nonostante, quando, passato il brutto tempo, le port al pascolo tutte insieme, le capre selvatiche presero s per i monti e si diedero alla fuga. Il pastore le accusava d'ingratitudine, perch lo abbandonavano, dopo aver ricevuto da lui cure maggiori delle altre. Ed esse, volgendosi indietro, gli dissero: Ma proprio questa una delle ragioni pi forti per stare in guardia. Se noi, le ultime venute di ieri, abbiamo avuto un trattamento di favore rispetto alle tue vecchie capre, questo significa che domani, se te ne capiteranno delle altre, tu le tratterai meglio di noi.

Questa favola mostra che quando noi, nuovi venuti, ci vediamo preferiti da qualcuno ai suoi vecchi amici, non dobbiamo rallegrarci delle sue manifestazioni di simpatia, pensando che, divenuti anche noi amici di lunga data egli si legher con altri e ce li far passare avanti.

18.

LA SCHIAVA BRUTTA E AFRODITE.

Una schiava brutta e cattiva era diventata l'amante del padrone. Riceveva da lui del denaro, si adornava splendidamente e attaccava lite con la padrona. D'altra parte, per, continuava ad offrir sacrifici e preghiere ad Afrodite (1) come a colei che la rendeva attraente. Ma la dea, apparendo in sogno alla schiava, le disse: Non parlare di riconoscenza, quasi che tu fossi debitrice del tuo fascino a me; perch io, anzi, sono piena d'ira e di sdegno contro quel tale che ti trova bella.

Non il caso di montare in superbia per essersi arricchiti con mezzi vergognosi, tanto pi se non si ha n nobilt n bellezza.

Note.

1. "Afrodite" (Venere) , nella mitologia pagana, la dea della bellezza e dell'amore.

19.

ESOPO IN UN ARSENALE.

Esopo, il favolatore, un giorno che non aveva niente da fare, entr in un arsenale. Gli operai cominciarono a canzonarlo e a stuzzicarlo perch rispondesse. Allora Esopo prese a raccontare: Una volta c'erano soltanto il caos e l'acqua. Poi Zeus volle far venir fuori un elemento nuovo, la terra, e perci consigli a quest'ultima di ingoiarsi il mare in tre sorsi. La terra si mise all'opera. Col primo sorso fece comparire le montagne. Poi bevve il secondo sorso e mise a nudo anche le pianure. Adesso, il giorno che si decide a ingoiar acqua per la terza volta, addio! tutta la vostra arte non servir pi a nulla.

Questa favola mostra come, a stuzzicar gente pi fina di noi, ci si attirino imprudentemente risposte pepate.

20.

I DUE GALLI E L'AQUILA.

Due galli si battevano per questioni di galline, e uno mise in fuga l'altro. Il vinto and a nascondersi tra i cespugli, mentre il vincitore, levatosi a volo, si issava su un alto muro, cantando a squarciagola. Ma tosto un'aquila piomb sopra e lo port via. Cos quello che se ne stava nascosto nell'ombra pot, da allora in poi, coprire tranquillamente le sue galline.

Questa favola mostra che il Signore si oppone agli orgogliosi e concede grazia agli umili.

21.

I GALLI E LA PERNICE.

Un tale che allevava dei galli, avendo veduto in vendita una pernice domestica, la comper e la port a casa per tenerla insieme con quelli. Ma i galli si misero a picchiarla e a correrle dietro; e la pernice si rodeva il cuore convinta che la disprezzassero perch era d'un'altra razza. Quando per, dopo qualche tempo, s'avvide che i galli si azzuffavano tra di loro e non la smettevano prima d'essersi vicendevolmente coperti di sangue, disse tra s:

Ma se anche mi picchiano, non me la piglio pi, ora, perch vedo che non si risparmiano nemmeno tra di loro.

La favola mostra che le persone assennate si rassegnano alle ingiurie del prossimo, quando vedono che questo non risparmia nemmeno i suoi familiari.

22.

I PESCATORI E IL TONNO.

Dei pescatori, usciti alla pesca, si erano affaticati a lungo senza prender nulla, e sedevano scoraggiati nella loro barca. Ed ecco, in quella, un tonno in fuga che, mentre avanzava rumorosamente, schizz, senz'avvedersene, dentro la barca. I pescatori lo presero e lo portarono a vendere in citt.

Cos, spesso, ci che non procaccia l'arte, la sorte regala.

23.

I PESCATORI CHE PESCARONO CIOTTOLI.

Un gruppo di pescatori tirava in secco la rete. Sentendola pesante, ridevano e ballavano, convinti d'aver fatto una buona pesca. Ma quando, trascinatala a riva, trovarono che di pesce ce n'era poco e la rete era piena di ciottoli e di altri detriti, ne rimasero crucciati in modo eccessivo, dolendosi non tanto per quel che era avvenuto, quanto perch si erano illusi del contrario. Allora uno di essi, un vecchio, disse: Ora basta, amici miei. Il dolore fratello della gioia, a quanto pare; e allora, dopo esserci tanto rallegrati prima, era ben naturale che provassimo anche qualche dispiacere.

Neppur noi, dunque, vedendo la prontezza con cui si succedono i mutamenti nella vita, dobbiamo lusingarci della stabilit delle nostre condizioni, convinti che dopo le grandi bonacce vengono necessariamente anche le burrasche.

24.

IL PESCATORE CHE SONAVA IL FLAUTO.

Un pescatore che era anche sonatore di flauto prese il suo strumento e le reti, se ne and alla spiaggia e, per prima cosa, standosene ritto sopra uno sperone roccioso, si mise a sonare, convinto che i pesci sarebbero balzati fuori spontaneamente verso di lui, attratti dalla dolcezza dei suoni. Ma tutti i suoi lunghi sforzi non approdarono a nulla. Allora egli pos il flauto, prese il giacchio e, gettandolo in acqua, pesc molti pesci. Mentre li versava dalla rete sulla spiaggia, vedendoli dar gli ultimi guizzi esclam: Ah, brutte bestie! Non ballavate quando sonavo, e vi mettete a ballare ora che ho smesso.

Questa adatta per chi si mette a far le cose nel momento meno opportuno.

25.

IL PESCATORE, I PESCI GROSSI E I PESCI PICCOLI.

Un pescatore aveva tirato fuori dal mare la sua rete. I pesci grossi, gli riusc di afferrarli e li gett in secco sulla spiaggia; i pi piccoli, invece, scivolando attraverso le maglie, fuggirono in acqua.

Per chi non possiede grandi fortune, facile salvarsi; ma raro veder sfuggire ai pericoli uno che abbia fama di esser potente.

26.

IL PESCATORE E LA MENOLA.

Un pescatore cal in mare la sua rete e tir s una mnola. Si trattava di un pesce piccolo e, data appunto la sua piccolezza, lo pregava di non prenderlo subito, ma di lasciarlo andare. Mi potrai prendere quando io sia cresciuto e diventato un pesce grosso, diceva, perch allora ti render anche di pi. E il pescatore rispose: Sarei proprio uno stupido se, nella speranza di un guadagno, sia pur grande, ma ancor di l da venire, rinunciassi a questo, che, per quanto piccolo, gi nelle mie mani.

Questa favola mostra che sarebbe irragionevole, nella speranza di qualcosa di meglio, lasciar andare quello che si ha in mano, per la ragione che poco.

27.

IL PESCATORE CHE BATTEVA L'ACQUA.

Un pescatore pescava in un fiume. Dopo aver teso le reti e sbarrato la corrente dall'una all'altra riva, batteva l'acqua con una pietra legata a una funicella, perch i pesci, fuggendo all'impazzata, andassero ad impigliarsi tra le maglie. Vedendolo intento a quest'operazione, uno degli abitanti del luogo si mise a rimproverarlo perch insudiciava il fiume e rendeva loro impossibile di bere un po' d'acqua limpida. E quello rispose: Ma se non intorbido cos l'acqua, a me non resta che morir di fame.

Cos anche negli Stati, per i demagoghi gli affari vanno bene specialmente quando essi son riusciti a seminare il disordine nel loro paese.

28.

L'ALCIONE.

L'alcione un uccello amante della solitudine, che vive sempre sul mare e fa, dicono, il suo nido sugli scogli vicini alla costa, per sfuggire alla caccia degli uomini. Un giorno un alcione che stava per deporre le uova, posandosi su di un promontorio, scorse una roccia a picco sul mare, e and a farci il nido. Ma una volta, mentre esso era fuori in cerca di cibo, accadde che il mare, gonfiato dal soffio impetuoso del vento, si sollev fino all'altezza del nido e lo inond, affogando i piccoli. Quando, al suo ritorno, l'alcione vide quel che era accaduto: Me misero, esclam, per guardarmi dalle insidie della terra, mi rifugiai sul mare; e il mare mi si dimostrato ben pi infido di quella.

Questo capita anche a certi uomini, che, mentre si guardano dai loro nemici, senz'avvedersene, vanno a cascare in mezzo ad amici che sono ben peggiori di quelli.

29.

LE VOLPI SUL MEANDRO.

Un giorno un branco di volpi si radun sulle rive del fiume Meandro (1), per abbeverarsi. Ma, per quanto si esortassero a vicenda, non osavano scendere, intimorite dallo scroscio della corrente. Allora una di esse venne fuori a svergognare le compagne e, irridendo alla loro pusillanimit, come colei che si credeva pi brava delle altre, balz arditamente nell'acqua. La corrente la trasport nel mezzo. Le compagne, stando sulla riva, le gridavano: Non abbandonarci; torna indietro a farci vedere da che parte si passa per bere senza pericolo!. E quella, mentre la corrente la trascinava via: Devo portare una risposta a Mileto, diceva, e non voglio mancare. Quando torno indietro ve lo far vedere.

Questa va a chi si caccia da solo nei guai, per far lo spavaldo.

Note.

1. "Meandro" (oggi "Meinder") un fiume dell'Asia Minore, che sbocca nell'Egeo, a poca distanza dal luogo dove sorgeva la potente colonia greca di "Mileto". La descrizione del suo corso violento e ricco di sinuosit ("meandri) costituisce quasi un luogo comune nella letteratura greca e latina.

30.

LA VOLPE CON LA PANCIA PIENA.

Una volpe affamata, vedendo, nel cavo di una quercia, del pane e della carne lasciativi da qualche pastore, vi entr dentro e li mangi. Ma quando ebbe la pancia piena, non riusc pi a venir fuori, e prese a sospirare e a gemere. Un'altra volpe che passava a caso di l, ud i suoi lamenti e le si avvicin, chiedendogliene il motivo. Quando seppe l'accaduto: E tu resta l, le disse, finch non sarai ritornata com'eri quando c'entrasti: cos ne uscirai facilmente.

Questa favola mostra che il tempo risolve le difficolt.

28.

LA VOLPE E IL ROVO.

Una volpe, nel saltare una siepe, scivol e, stando per cadere, s'aggrapp, come sostegno, a un rovo. Ahim!, gli disse tutta indolorita, quand'ebbe le zampe insanguinate dalle sue spine, io mi rivolgevo a te per avere un aiuto, e tu mi hai conciato ben peggio. L'errore tuo, mia cara, le rispose il rovo, hai voluto aggrapparti proprio a me che, d'abitudine, son quello che si aggrappa a tutto.

Questa favola mostra come siano stolti, anche fra gli uomini, coloro che ricorrono per aiuto a chi, d'istinto, piuttosto portato a far del male.

32.

LA VOLPE E L'UVA.

Una volpe affamata vide dei grappoli d'uva che pendevano da un pergolato e tent d'afferrarli. Ma non ci riusc. Robaccia acerba!, disse allora fra s e s; e se ne and.

Cos, anche fra gli uomini, c' chi, non riuscendo, per incapacit, a raggiungere il suo intento, ne d la colpa alle circostanze.

33.

LA VOLPE E IL SERPENTE.

Una volpe, vedendo un serpente coricato, fu presa d'invidia per la sua lunghezza, e le venne voglia di uguagliarlo: si stese gi vicino a lui e cerc di tendersi, fino a che, per gli eccessivi sforzi, la malaccorta crep.

Questo capita a coloro che si mettono a gareggiare coi pi forti: prima di poterli raggiungere, vanno in malora.

34.

LA VOLPE E IL TAGLIALEGNA.

Una volpe, inseguita dai cacciatori, vide un taglialegna e lo supplic di nasconderla. Egli la invit ad entrare nella sua capanna e ad appiattarvisi. Dopo non molto, giunsero i cacciatori e chiesero al taglialegna se avesse veduto passar di l una volpe. Quello dichiar ad alta voce di non averla vista; ma intanto, con un cenno della mano, indicava loro il suo nascondiglio. I cacciatori non badarono ai suoi cenni, ma prestarono fede alle sue parole. Come li vide allontanarsi, la volpe usc, e se ne andava senza far motto, quando, con tono di rimprovero il taglialegna le chiese se, dopo esser stata salvata da lui non le testimoniava la sua riconoscenza nemmeno con una parola. E quella: Non avrei mancato di ringraziarti, disse, se i gesti delle tue mani e i tuoi sentimenti fossero stati simili alle tue parole.

Questa favola si potrebbe applicare a certi uomini, i quali, a parole, manifestano i pi generosi propositi; ma, all'atto pratico, si comportano male.

35.

LA VOLPE E IL COCCODRILLO.

La volpe e il coccodrillo disputavano chi dei due fosse pi nobile. Il coccodrillo, dopo aver illustrato minutamente le glorie dei suoi antenati, alla fine dichiar che i suoi progenitori erano stati ginnasiarchi (1). E allora la volpe: Non c' bisogno di dirlo. Si vede anche dalla tua pelle, che hai un allenamento di lunga data negli esercizi ginnici.

Cos, anche tra gli uomini, i bugiardi sono smascherati alla prova dei fatti.

Note.

1. In Atene, invece delle ordinarie imposte dirette sul patrimonio, vi erano delle imposte particolari, dette liturgie, che colpivano solo i cittadini ricchissimi ed erano considerate quindi non meno onorifiche che onerose. Una di queste liturgie era la ginnasiarchia: il "ginnasiarco" doveva a sue spese provvedere all'allestimento delle splendide gare ginniche che avevano luogo nelle massime solennit religiose. Ma "ginnasiarco" era detto anche il direttore di un ginnasio, cio di una palestra. La favola giuoca sul doppio senso della parola. Per comprendere l'allusione alla pelle dura, sudicia e fangosa del coccodrillo, va poi ricordato che, nelle palestre, i lottatori, per sfuggire alla presa dell'avversario, non solo si ungevano, ma si soffregavano di polvere e di fango, tanto che la loro apparenza sudicia motivo di scherzi da parte di altri scrittori greci.

36.

LA VOLPE E IL CANE.

Una volpe, insinuatasi in un gregge di pecore, prese un agnellino lattante e fingeva di baciarlo. Un cane le chiese che cosa facesse. E quella: Lo accarezzo, disse, e lo faccio giocare. Ma il cane: Adesso te le d io delle carezze da cane, se non lasci andare quell'agnellino!.

Ecco una favola adatta per un uomo senza scrupoli e senza cervello che vuol far il ladro.

37.

LA VOLPE E LA PANTERA.

Una volpe e una pantera discutevano chi delle due fosse la pi bella. Poich la pantera vantava ad ogni pi sospinto il suo corpo flessuoso e variegato, la volpe la interruppe, dicendo: Quanto sono pi bella io, che queste doti le ho, non nel corpo, ma nella mente!.

La favola mostra che gli ornamenti dello spirito valgono pi della bellezza fisica.

38.

LA VOLPE E LO SCIMMIOTTO ELETTO RE.

Lo scimmiotto, che s'era fatto apprezzare come ballerino, fu eletto re dalle bestie riunite a parlamento. Ma la volpe si ingelos e, una volta che le capit sott'occhio un pezzo di carne fissato a una tagliola, port lo scimmiotto in quel luogo, dicendogli che aveva trovato un tesoro, che, invece di tenerlo per s, glielo aveva serbato come omaggio dovuto al sovrano e che lo pregava di accettarlo. L'altro, senza pensarci due volte, si avvicin, e fu afferrato dalla tagliola. Cominci allora ad accusare la volpe di avergli teso un tranello, ma quella gli disse: E tu, povero scimmiotto, con quel cervellino, saresti il re delle bestie?...

Cos chi si accinge a un'impresa senza riflettere, non solo fallisce, ma si guadagna per di pi le risate del prossimo.

39.

LA VOLPE E LA SCIMMIA CHE DISPUTAVANO SULLA LORO NOBILTA'.

La volpe e la scimmia facevano la stessa strada e discutevano intanto della nobilt dei loro natali. Ciascuna aveva ormai vantato i suoi numerosi titoli quando, giunte a un certo punto della strada, la scimmia vi gett uno sguardo e si mise a sospirare. La volpe gliene chiese il motivo, e quella, additandole le tombe che avevano davanti, disse: E come potrei non piangere, quando vedo i sepolcri di coloro che furono liberti o schiavi dei miei antenati?. E l'altra, allora: Ma s, racconta pur panzane fin che vuoi; tanto, nessuno di essi salter fuori a smentirti!.

Succede cos anche tra gli uomini: i bugiardi si vantano specialmente quando non c' nessuno che possa smentirli.

40.

LA VOLPE E IL BECCO.

Una volpe casc gi in un pozzo e dovette rimanerci per forza. Pi tardi, spinto dalla sete, giunse a quello stesso pozzo un becco, che, vedendola, le chiese se l'acqua era buona. E quella, approfittando con piacere dell'occasione, si sbracciava a lodare l'acqua, assicurava che era eccellente, e lo invitava a venir gi. L'altro, con la voglia che n'aveva, non ci pens due volte e discese. Mentre saziava la sete, voleva esaminare con la volpe il modo per uscir di l; ma la volpe lo interruppe, dichiarando: Il modo lo so io, se davvero tu vuoi che ci salviamo tutti e due. Fa il piacere di appoggiarti alla parete coi piedi anteriori e di drizzare le corna: io salter fuori e poi ti tirer s. Il becco, pronto, diede retta al suo consiglio; e la volpe, salendo s per le gambe, le spalle e le corna del compagno, si trov sulla bocca del pozzo; ne usc e si avvi per andarsene. E poich il becco le rinfacciava d'aver violato il patto, volgendosi indietro, gli disse: Caro mio, se tu avessi tanto sale in zucca quanti peli hai nella barba, non saresti disceso senza pensar prima al modo per tornar s.

Cos anche gli uomini, prima di por mano a un'impresa, dovrebbero prudentemente meditare sul suo futuro esito.

41.

LA VOLPE DALLA CODA MOZZA.

Una volpe aveva lasciata la coda in una tagliola e, sotto il peso di questa vergogna, le sembrava insopportabile la vita. Pens allora che le sarebbe convenuto indurre le altre volpi ad imitarla, per celare la sua inferiorit nella comune sventura. Radunatele tutte, prese dunque a consigliarle di tagliarsi la coda, sostenendo che quell'appendice, non solo era poco decorosa, ma costituiva anche per esse un inutile peso. Ma una delle compagne la interruppe dicendo: Cara mia, se non fosse per il tuo interesse, questo consiglio tu non ce lo daresti certamente.

Questa favola par fatta per coloro che offrono consigli al prossimo, non gi per il suo bene, ma per il proprio tornaconto.

42.

LA VOLPE CHE NON AVEVA MAI VEDUTO UN LEONE.

Una volpe che non aveva mai veduto un leone, la prima volta che per caso se lo trov davanti, prov un tale spavento alla sua vista che quasi ne mor. Avendolo per incontrato una seconda volta, si spavent s, ma non proprio come la prima. Quando poi lo vide per la terza volta, trov tanto coraggio da avvicinarglisi e da attaccare persino discorso.

La favola mostra che l'abitudine rende tollerabili anche le cose spaventose.

43.

LA VOLPE E LA MASCHERA.

Una volpe penetr nella casa di un attore e, frugando in mezzo a tutti i suoi costumi, trov anche una maschera da teatro artisticamente modellata. La sollev tra le zampe ed esclam: Una testa magnifica! ma cervello, niente.

Ecco una favola per certi uomini belli di corpo ma poveri di spirito.

44.

I DUE UOMINI CHE DISPUTAVANO INTORNO AGLI DEI.

Due uomini disputavano se fosse un dio pi potente Teseo oppure Eracle (1). Gli di si sdegnarono contro i due litiganti, e Teseo si vendic sul paese dell'uno, Eracle su quello dell'altro.

Le discordie dei loro dipendenti invitano i potenti alla violenza contro i sudditi.

Note.

1. "Teseo", figlio di Egeo, leggendario re d'Atene, era l'eroe nazionale dell'Attica. "Eracle" (Ercole), figlio di Zeus e di Alcmena, era, almeno in origine, l'eroe nazionale dell'Argolide; dopo la sua morte fu assunto nel novero degli di greci (vedi favola 130).

45.

L'ASSASSINO.

Un assassino fuggiva, inseguito dai parenti della sua vittima. Giunto alle rive del Nilo, si vide venire incontro un lupo. Atterrito, sal su un albero che sorgeva presso il fiume. Mentre se ne stava nascosto l, scorse un serpente che strisciava verso di lui. Allora si gett nel fiume. E nel fiume un coccodrillo se lo mangi.

La favola mostra che per gli uomini maledetti da Dio nessun elemento sicuro, n la terra, n l'aria, n l'acqua.

46.

L'UOMO CHE PROMETTEVA L'IMPOSSIBILE.

Un povero s'era ammalato e stava assai male. Quando il medico gli ebbe tolta ogni speranza, prese a raccomandarsi agli di, promettendo che, se si fosse levato da letto, avrebbe offerta un'ecatombe (1) e doni votivi. E con che cosa li pagherai? gli domand la moglie, che si trovava vicino a lui. E lui: credi davvero che io mi alzer, perch gli di possano venire a reclamarli?

Questa favola mostra che gli uomini promettono facilmente quello che pensano, all'atto pratico, di non mantenere.

Note.

1. Solenne sacrificio, nel quale - almeno nei tempi pi antichi - si immolavano agli di ben cento buoi.

47.

L'UOMO PAUROSO E I CORVI.

Un uomo pauroso stava partendo per la guerra, quando i corvi si misero a gracchiare, ed egli, deposte le armi, rimase l immobile. Poi le riprese e si avvi di nuovo. I corvi gracchiarono ancora. Allora egli si ferm definitivamente, esclamando: Gridate pure con tutta la vostra voce. Della mia carne, tanto, non ne assaggerete.

Favola per i vigliacchi.

48.

L'UOMO MORSICATO DA UNA FORMICA ED ERMES.

C'era una volta un tale, che, avendo veduto affondare una nave con tutto l'equipaggio, asseriva che gli di sono ingiusti nei loro giudizi, perch, a causa di un solo passeggero empio, erano morti, insieme con lui, anche degli innocenti. Il luogo dove egli si trovava era pieno di formiche; per caso, una di esse, proprio mentre egli stava cos parlando, gli diede un morso; ed egli, per esser stato pizzicato da una sola, le schiacci sotto i piedi tutte quante. Gli apparve allora dinanzi Ermes, che, toccandolo con la sua verga, gli disse: E allora, non vogliamo darglielo, agli di, il permesso di giudicar gli uomini con lo stesso criterio che tu usi per le formiche?.

Nessuno imprechi contro gli di quando capita una disgrazia, ma rifletta piuttosto ai propri peccati.

49.

IL MARITO E LA MOGLIE BISBETICA.

Un tale aveva una moglie bisbetica all'eccesso con tutti quelli di casa. Gli venne voglia di sapere se essa si comportava cos anche nella famiglia del proprio padre, e trov un pretesto plausibile per mandarla da lui. Al suo ritorno, dopo pochi giorni, le chiese come l'avevano accolta quelli di casa sua. C'erano i bovari e i pecorai, rispose lei, che non mi potevano vedere. E il marito, allora: O moglie mia, se sei riuscita a farti odiare da quelli che escono all'alba per portar fuori il bestiame e non rientrano che la sera, che cosa mai ci si pu aspettare da quelli con cui passavi l'intera giornata?.

Cos spesso dalle cose piccole si argomentano le grandi, dalle cose manifeste si arguiscono quelle celate.

50.

L'IMBROGLIONE.

Un imbroglione s'era impegnato con un tale a dimostrare che l'oracolo di Delfi (1) mentiva. Nel giorno stabilito, prese in mano un passerotto e, copertolo col mantello, and al tempio, si ferm in faccia all'oracolo, e gli chiese se quel che teneva tra le mani respirava o no. Se gli fosse stato risposto di no, egli intendeva mostrare il passero vivo; se invece gli fosse stato detto che respirava, l'avrebbe strozzato prima di tirarlo fuori. Ma il dio, comprendendo il suo malizioso proposito, rispose: Smettila, o uomo, perch sta in te far s che ci che hai in mano sia a vivo oppure morto.

La favola insegna che la divinit non pu esser colta in fallo.

Note.

1. In "Delfi", citt della Fcide, sorgeva il pi venerato degli oracoli greci. Ivi il dio Febo (Apollo) esalava, attraverso una spaccatura del suolo, i suoi magici effluvi. Investita e inebriata da questi, la Pizia, che era la sua sacerdotessa, pronunciava i profetici responsi.

51.

IL FANFARONE.

Un atleta del pentatlo (1), che, per il suo scarso valore, veniva regolarmente fischiato dai concittadini, se ne and un bel giorno all'estero. Dopo qualche tempo ritorn in patria, vantandosi che, prodezze, ne aveva compiute in molte citt, ma a Rodi, in particolar modo, aveva spiccato un salto di tale altezza che non c'era olimpionico (2) in grado di eguagliarlo; cosa, ripeteva, di cui quelli che eran stati spettatori avrebbero potuto far testimonianza, se mai fossero venuti al suo paese. Allora uno dei presenti lo interruppe, dicendo: Ma se cos, che bisogno hai di testimoni? Metti che Rodi sia qui, e salta!.

Questa favola mostra che qualsiasi discorso superfluo, l dove possibile la prova dei fatti.

Note.

1. Complesso di cinque esercizi ginnici, che erano, per gli antichi, il salto, il lancio del giavellotto, il getto del disco, la corsa, la lotta.

2. "Olimpionico" era detto il vincitore nelle pi famose competizioni ginniche nazionali, le quali avevano luogo ogni quattro anni in Olimpia, nell'Elide.

52.

L'UOMO BRIZZOLATO E LE SUE AMANTI.

Un uomo brizzolato aveva due amanti, una giovane e l'altra vecchia. Quella anziana, che si vergognava della sua relazione con un uomo pi giovane di lei, ogni volta che egli andava a trovarla, gli strappava i capelli neri. Quella giovane, a cui ripugnava aver per amante un vecchio, gli strappava i capelli bianchi. Cos avvenne che, pelato in parte dall'una, in parte dall'altra, egli rimase calvo.

Cos, in ogni circostanza, ci che eterogeneo presenta pericoli.

53.

IL NAUFRAGO.

Un ricco Ateniese compiva, insieme con altri passeggeri, un viaggio per mare. Si lev una gran tempesta e la nave si capovolse. Mentre tutti gli altri nuotavano, l'Ateniese continuava ad invocare Atena (1), facendole un monte di promesse, se mai riuscisse a salvarsi. Allora uno dei naufraghi, che stava nuotando l accanto, gli disse: Intanto che chiami Atena, muovi un po' le braccia anche tu!.

Noi pure, dunque, oltre a pregar gli di, dobbiamo provvedere personalmente ai fatti nostri.

E' preferibile guadagnarsi il favore del cielo coi propri sforzi, anzich esser salvati dalla divinit mentre noi trascuriamo i nostri stessi interessi.

Quando capita una disgrazia, bisogna aiutarci con tutte le nostre forze e, cos facendo, invocare anche l'aiuto di Dio.

Note.

1. "Atena" (Pallade, Minerva) , nella mitologia pagana, la figlia di Zeus, protettrice, fra l'altro, delle arti e delle scienze, e signora di Atene, che da lei trasse il nome.

54.

IL CIECO.

Un uomo cieco si era abituato a distinguere al tatto qualsiasi animale gli mettessero tra le mani. Una volta gli diedero un lupacchiotto. Egli lo palp, rimase incerto, e poi disse: Io non so se sia figlio di lupo, o di volpe, o di altro animale del genere, quel che so bene, per, che non bestia da mandare insieme con un gregge di pecore.

Cos l'animo dei malvagi spesso traspare persino dal loro aspetto fisico.

55.

IL TRUFFATORE.

Un uomo povero, che era ammalato, e molto gravemente, promise agli di che avrebbe offerto loro in sacrificio cento buoi, se l'avessero salvato. Quelli vollero metterlo alla prova e in breve lo fecero star meglio. Quando egli si lev dal letto, dato che buoi veri non ne possedeva, ne fece cento di sego e li bruci su un altare dicendo: Eccovi, o di, quanto vi avevo promesso. Ma gli di, a loro volta, vollero ricambiare la beffa dei buoi, e gli mandarono un sogno per invitarlo a recarsi sulla spiaggia: l si sarebbero trovate mille dramme attiche (1) per lui. Tutto allegro, egli and di corsa alla spiaggia: l si imbatt nei pirati, che lo portarono via; e quando fu messo in vendita, si trovarono proprio mille dramme attiche per lui.

Questa una favola che va bene per un mentitore.

Note.

1. La "dramma attica" era una moneta d'argento di valore corrispondente, all'ingrosso, alla nostra lira-oro.

56.

IL CARBONAIO E IL LAVANDAIO.

Un carbonaio vide che vicino alla casa dove egli esercitava il suo mestiere era venuto ad abitare un lavandaio, e and a trovarlo, proponendogli di trasferirsi da lui, perch cos, gli spiegava, si sarebbero legati pi strettamente in amicizia e avrebbero anche tratto qualche vantaggio economico dal vivere in una sola abitazione. Ma il lavandaio lo interruppe, dicendo: E' assolutamente impossibile da parte mia, perch tutto quello che io laver, tu me lo imbratterai di fuliggine!.

La favola mostra che non si possono mettere insieme le cose che fanno a pugni tra loro.

57.

GLI UOMINI E ZEUS.

Raccontano che, al tempo dei tempi, quando furono creati gli animali, essi ebbero in dono da Dio, chi la forza, chi la velocit, chi le ali. L'uomo, rimasto nudo, gli disse allora: Soltanto me tu hai privato dei tuoi favori. E Zeus gli rispose: Tu sei incosciente del dono che ti toccato; eppure esso il pi grande di tutti, perch tu hai ricevuto la ragione, la quale potente tra gli di e tra gli uomini, pi potente dei potenti, pi veloce degli esseri pi veloci. L'uomo riconobbe allora il suo dono e, prima d'andarsene, si prostr dinanzi a Dio e gli rese grazie.

Col dono della ragione tutti siamo stati gratificati da Dio; eppure ci sono alcuni che, insensibili a tanto onore, trovano pi invidiabili gli animali privi di coscienza e di ragione.

58.

L'UOMO E LA VOLPE.

Un tale era pieno di rancore contro una volpe che gli recava danni, e il giorno che la cattur volle prendersi una bella vendetta: le leg alla coda della stoppa inzuppata d'olio e le diede fuoco. Ma un dio guid la volpe proprio nei campi di colui che aveva appiccato il fuoco. Era il tempo della messe, e quello le andava dietro piangendo, perch non aveva mietuto nulla.

Bisogna essere tolleranti e non abbandonarsi senza ritegno all'ira, perch l'ira procura spesso gravi danni agli uomini collerici.

59.

L'UOMO E IL LEONE CHE FACEVANO LA STESSA STRADA.

Una volta un leone e un uomo camminavano insieme e, discorrendo, ciascuno dei due menava gran vanto di s. Ed ecco, sulla strada, una stele di pietra, dove era rappresentato un uomo che strozzava un leone. L'uomo, additandola al suo compagno: Vedi, disse, quanto siamo pi forti di voi!. Ma l'altro, sorridendo: Eh, se i leoni fossero capaci di scolpire, quanti ne vedresti di uomini, sotto una zampa di leone!.

Molti a parole si vantano d'essere forti e arditi; ma la prova dei fatti, smascherandoli, li rivela per quel che sono.

60.

L'UOMO E IL SATIRO.

Raccontano che una volta un uomo fece un patto di amicizia con un satiro (1). Sopraggiunse l'inverno e si fece freddo. L'uomo portava le mani alla bocca e ci soffiava s, e, al satiro che gli domandava perch facesse cos, rispondeva che si scaldava le mani per il freddo. Pi tardi, imbandita loro la mensa, poich il cibo era molto caldo, l'uomo lo prendeva un pezzetto per volta, lo avvicinava alla bocca, e soffiava. Il satiro domandava allora, di nuovo, perch facesse cos; e l'uomo rispondeva che stava raffreddando il cibo perch era troppo caldo. E il satiro a lui: Caro mio, se tu sei uno che dalla stessa bocca manda fuori e caldo e freddo, alla tua amicizia io ci rinunzio.

Fuggiamo dunque anche noi l'amicizia delle persone di indole ambigua.

Note.

1. Nella mitologia pagana i "satiri" erano esseri selvaggi e primitivi, rappresentati come uomini dalle corna e dalle gambe di capro, che seguivano il corteggio del dio Bacco.

61.

L'UOMO CHE SPACCO' LA STATUA DEL DIO.

Un uomo aveva un dio di legno e, poich era povero, lo scongiurava di fargli del bene; ma quanto pi pregava, tanto pi povero era. Allora, adiratosi, lo sollev per una gamba e lo sbatt contro il muro. Fracassatasi immediatamente la testa della statua, ne rotolarono fuori delle monete d'oro. Testa bislacca! Ingrato!, gridava l'uomo raccogliendole. Finch ti onoravo, non facesti un bel nulla per me. Ti ho picchiato, ed eccomi compensato con magnifici doni.

La favola mostra che non si ha alcun vantaggio onorando un malvagio; se ne ottiene di pi a picchiarlo.

62.

L'UOMO CHE TROVO' UN LEONE D'ORO.

Un tale, che era tanto avaro quanto pauroso, si imbatt in un leone d'oro, e diceva: Non so come comportarmi in questo frangente. Son fuori di me e non vedo che cosa posso fare, diviso tra il desiderio dell'oro e la paura che innata nell'animo mio. Ma quale sar mai stato il caso o il dio che ha creato un leone d'oro? Dinanzi a quel che accade l'animo mio straziato: brama l'oro, teme l'essere fatto con quest'oro; a prenderlo lo spingerebbe il desiderio, a fuggirlo la natura. O sorte che offri e non lasci prendere! O tesoro che non di gioia! O grazia di dio che ti muti in disgrazia! Che fare, dunque? Con qual mezzo potrei usufruirne? A che espediente potrei ricorrere? Ecco: vado a prendere i miei servi, che sono un buon numero e lo cattureranno. Io star a vedere da lontano.

Questa favola adatta per quelli che, pur essendo ricchi, non osano toccare le loro ricchezze e goderne.

63.

L'ORSO E LA VOLPE.

L'orso menava gran vanto dei suoi sentimenti umanitari, per il fatto che esso non mangia cadaveri. Ma la volpe gli disse: Dio volesse che tu sbranassi dei morti, e non dei vivi!.

Questa favola svergogna i prepotenti ammantati di ipocrisia e di vanagloria.

64.

L'ARATORE E IL LUPO.

Mentre un aratore, staccati i buoi, li conduceva ad abbeverarsi, un lupo affamato, in cerca di cibo, si imbatt nel suo aratro. Esso cominci prima a leccare tutt'intorno il giogo; poi, senza saper come, poco per volta, vi introdusse il collo, e non fu pi capace di tirarlo fuori, cosicch si mise a trascinar l'aratro nel solco. Quando, al suo ritorno, l'aratore lo vide, esclam: Dio volesse, cattivo soggetto, che tu lasciassi da parte i furti e le scelleratezze per darti al lavoro dei campi!.

Cos gli uomini malvagi, anche quando si comportano nel modo pi promettente, non trovano credito, a causa del loro carattere.

65.

L'ASTRONOMO.

Un astronomo aveva l'abitudine di uscire tutte le sere per studiare le stelle. Una notte che s'aggirava nel suburbio con la mente tutta rivolta al cielo, casc senz'avvedersene in un pozzo. Mentre egli si lamentava e gridava, un passante ud i suoi gemiti e gli si avvicin. Saputo il caso, gli disse: Caro mio, tu cerchi di sapere quello che c' nel cielo, e intanto non vedi quello che c' sulla terra.

Questa favola potrebbe servire per uno di quei tali che si vantano di cose incredibili, mentre non sanno fare nemmeno quello che fanno tutti gli uomini normali.

66.

LE RANE CHE CHIESERO UN RE.

Le ranocchie, stanche di vivere senza alcuno che le governasse, mandarono ambasciatori a Zeus, pregandolo di largire loro un re. E Zeus, vedendo la semplicit dell'animo loro, butt gi nello stagno un pezzo di legno. A tutta prima, atterrite dal tonfo, le ranocchie si tuffarono nel fondo; ma poi, dato che il legno rimaneva immobile, risalirono a galla, e giunsero a tal punto di disprezzo per il loro re che gli saltarono addosso e vi si accomodarono sopra. Infine, vergognandosi d'avere un sovrano di tal fatta, andarono nuovamente da Zeus, e lo pregarono di mandarne loro un altro in cambio, perch il primo era troppo indolente. Allora Zeus perdette la pazienza, e mand una biscia d'acqua, che cominci ad afferrarle e a divorarsele.

La favola mostra che meglio avere governanti infingardi ma non cattivi, piuttosto che turbolenti e malvagi.

67.

LE RANE VICINE DI CASA.

Due ranocchie erano vicine di casa: una abitava in uno stagno profondo e discosto dalla strada, l'altra in una pozzanghera sulla strada stessa. Quella dello stagno consigliava l'altra a trasferirsi da lei, per godere una vita pi comoda e pi sicura, ma questa non le dava retta e diceva che non poteva staccarsi dalla sua dimora abituale; cos and a finire che pass di l un carro e la schiacci.

Cos, anche tra gli uomini, ci sono di quelli che, attaccati alle loro sciocche abitudini, piuttosto che cambiare in meglio, son disposti a morire.

68.

LE RANE DEL PANTANO.

Due rane, abbandonato il pantano dove abitavano, perch nell'estate s'era prosciugato, andavano cercandone un altro. Capitarono presso un profondo pozzo, e una di esse, quando lo vide, disse all'altra: Ehi tu! scendiamo gi insieme in questo pozzo. Ma l'altra le rispose: E se poi l'acqua secca anche qui, come faremo a uscirne fuori?.

La favola mostra che non bisogna mai avventurarsi imprudentemente in un'impresa.

69.

IL RANOCCHIO MEDICO E LA VOLPE.

Standosene nel suo pantano, un ranocchio annunciava un giorno a gran voce a tutti gli animali: Io sono un medico pratico di ogni sorta di cure. E la volpe, udendolo, disse: Ma come potrai guarire gli altri, tu che sei zoppo e non sei capace di curare te stesso?.

Come potr insegnare agli altri chi digiuno di scienza? Questa la morale della favola.

70.

I BUOI E L'ASSE DEL CARRO.

Mentre i buoi trascinavano un carro, l'asse strideva. Allora quelli, voltandosi indietro, gli dissero: Ohi, amico! il carico lo portiamo tutto noi, e quel che si lamenta sei tu?.

Cos, anche tra gli uomini, c' chi finge d'esser stanco quando sono gli altri che lavorano.

71.

I TRE BUOI E IL LEONE.

Tre buoi pascolavano sempre insieme. Un leone aveva voglia di mangiarseli e non ci riusciva a causa di questa loro concordia. Allora egli li separ, inimicandoli tra di loro con subdole dicerie, e poi, quando pot trovarli soli, uno per volta, se li divor.

Se davvero vuoi vivere sicuro, non credere ai nemici; abbi fiducia nei tuoi amici e tienteli cari.

72.

IL BIFOLCO ED ERACLE (1).

Un bifolco il suo carro verso il paese

menava; ed ecco gli rovina in un fosso.

Invece d'affannarsi, quello sta fermo

ed Eracle a gran voce prega ed invoca,

Eracle, il primo per lui di tutti i numi.

Eracle appare, e dice: Mano alle ruote!

E pungola quei bovi! Muoviti prima,

e dopo prega! Se no, preghi per niente.

Note.

1. Qui, e nelle favole 219, 243, 280, 317, 357, 358, riprodotto il verso dei corrispondenti originali greci, redazioni di un'et assai tarda, in cui il senso dei valori della metrica classica in gran parte gi andato smarrito.

73.

BOREA E IL SOLE.

Borea (1) e il Sole, che contendevano per stabilire chi dei due fosse il pi forte, s'accordarono di considerare vincitore colui che riuscisse a toglier di dosso i vestiti a un viandante. Cominci Borea, che prese a soffiar forte; l'uomo si serrava addosso i vestiti; e quello sopra con maggior violenza. Allora il viandante, sempre pi tormentato dal freddo, aggiunse a quel che aveva addosso un altro mantello; e Borea cedette il suo uomo al Sole. Questi dapprima prese a splendere moderatamente; poi, quando l'uomo ebbe deposto il mantello supplementare, sprigion vampate sempre pi forti, finch quello, non potendo pi resistere al calore, si spogli nudo e and a fare il bagno nel fiume che scorreva l presso.

La favola mostra che la persuasione spesso pi efficace della violenza.

Note.

1. "Borea" la personificazione del vento di tramontana.

74.

IL BOVARO E IL LEONE.

Un bovaro, conducendo al pascolo il suo armento, perdette un vitello. Mentre si aggirava invano nei dintorni alla ricerca, fece voto a Zeus di sacrificargli un capretto, se fosse riuscito a trovare il ladro. Ma quando, entrando in un querceto, scorse un leone che stava mangiandosi il suo vitello, colto da terrore, alz le mani al cielo e supplic: Zeus, signor mio, una volta promisi di sacrificarti un capretto per trovare il ladro, ma ora, se faccio tanto da svignarmela dalle grinfie di questo ladro, un toro ti voglio sacrificare.

Si potrebbe raccontare questa favola a proposito di certi disgraziati che nel bisogno pregano per ottenere qualche cosa, e poi, quando l'hanno ottenuta, s'affannano per liberarsene.

75.

L'UCCELLINO E IL PIPISTRELLO.

Un uccellino (1), appeso fuori d'una finestra, cantava di notte. Il pipistrello, udendone la voce, si avvicin e gli chiese per qual ragione stava zitto di giorno e gorgheggiava di notte. E quello gli rispose che c'era il suo perch: Quando mi presero, era di giorno, e io stavo cantando. Da allora son diventato prudente. E il pipistrello: Ma perch star in guardia ora che non ti serve pi a nulla? Dovevi farlo prima che ti prendessero.

La favola mostra che, quando le disgrazie sono avvenute, il pentimento diventa inutile.

Note.

1. Non essendoci elementi per identificare l'uccello di cui il nome nel testo greco, si sostituito nella traduzione un termine generico.

76.

LA GATTA E AFRODITE.

Una gatta che s'era innamorata d'un bel giovane, preg Afrodite di trasformarla in donna, e la dea, mossa a compassione dal suo amore, la cambi in una bella ragazza. Cos il giovane, vedendola, se ne invagh e se la port a casa. Ma mentre essi se ne stavano sdraiati nella