FACOLTÁ di SCIENZE POLITICHE ROBERTO RUFFILLI · costruito man mano con la guerra civile, ......
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Werner Zanotti
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Alma Mater Studiorum
Università di Bologna – Sede di Forlì
FACOLTÁ di SCIENZE POLITICHE “ROBERTO RUFFILLI”
Corso di Laurea in Scienze Internazionali e Diplomatiche
ELABORATO FINALE
In Storia e Istituzioni Politiche dell’Africa Contemporanea
RWANDA: DAL GENOCIDIO ALLA RICOSTRUZIONE CANDIDATO RELATORE
Werner Zanotti Prof. Arrigo Pallotti
Anno Accademico 2008/2009 Sessione II
Werner Zanotti
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Sommario
Sommario 1
Introduzione 3
1. Il contesto storico in cui si è sviluppato il genocidio in Rwanda 5
1.1 Il Rwanda dall’epoca precoloniale alla colonizzazione 5
1.2 Verso l’indipendenza 7
1.3 Gli anni di Kayibanda: La Prima Repubblica 9
1.4 La Seconda Repubblica (luglio 1973 – aprile 1994) 11
1.4.1 Il problema dei Tutsi in esilio 13
1.4.2 Il regime in crisi 14
1.4.3 Il clan akazu 16
1.4.4 Il RPF (Rwanda Patriotic Front) e il problema dei rifugiati 17
1.4.5 La reazione di Francia e Belgio 18
1.4.6 Paul Kagame 21
1.4.7 Il processo di democratizzazione 22
1.4.8 Il regionalismo in Rwanda 23
1.4.9 La guerra civile e ulteriori massacri 24
1.5 Gli Accordi di pace di Arusha 25
1.5.1 Gli avversari degli accordi di pace 28
1.5.2 La radicalizzazione delle masse Hutu 29
1.5.3 Hutu Power (“Hutu Powa”) 29
1.5.4 Il ruolo dei media 32
1.5.5 L’armamento delle milizie e l’insuccesso delle trattative di Arusha 34
1.5.6 L’assassinio di Melchior Ndadaye in Burundi 35
1.5.7 L’assassinio di Habyarimana 37
2. Il genocidio e la situazione politica fino al 2003 38
2.1 Il genocidio 38
2.2 Il genocidio in Rwanda 39
2.3 La comunità internazionale e il fallimento dell’UNAMIR 42
2.4 Il Rwanda tra il 1994 – 2003 43
2.5 La trasformazione politica 45
2.5.1 Lo stato del RPF (2003 – 2006) 48
2.5.2 Tra liberalizzazione e repressione 49
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3
2.6 La ricostruzione della società civile 50
2.6.1 Gli anni dal 1994 – 2003 51
2.6.2 Aumento della repressione contro la società civile 52
3. Il genocidio in Rwanda e le sue ripercussioni sulla
Repubblica Democratica del Congo 54
3.1 La regione dei Grandi Laghi dopo il genocidio in Rwanda 54
3.2 Gli attori della guerra 55
3.3 La distruzione dei campi dei profughi 59
3.4 Crimini di guerra 61
3.5 La Seconda Guerra del Congo 62
3.6 Il traffico d’armi 65
3.7 Gli Accordi di Lusaka 66
Conclusione 70
Bibliografia 72
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Introduzione
“Let us not, in studying our history, get our lessons wrong.”1
Il presente elaborato prende in analisi la storia del Rwanda, il periodo antecedente al
genocidio, il ruolo del RPF prima e dopo il genocidio ed il genocidio stesso. Inoltre viene
esposto un quadro sugli sviluppi politici, economici e sociali del Rwanda nel decennio
successivo al genocidio e sulle ripercussioni nella vicina Repubblica Democratica del Congo.
Diversi studiosi si sono concentrati sulla dimostrazione che la lotta razziale non può essere
considerata la causa del genocidio. Il Rwanda non ha delle tribù. Il Rwanda ha una storia
molto particolare di etnicità che ha a che fare con l’introduzione coloniale del razzismo e con
la crescita del nazionalismo etnico di maggioranza dopo l’indipendenza. I leader estremisti
Hutu pianificarono lo sterminio ed utilizzarono le strutture organizzative ed amministrative
dello stato per raggiungere il loro obiettivo: l’eliminazione fisica dei Tutsi e degli Hutu
dell’opposizione.
E`nel frattempo ben documentato che la differenziazione etnica tra i due gruppi è in larga
parte un prodotto del passato coloniale e che la minoranza Tutsi doveva il suo posizionamento
nella società alla valutazione ricevuta durante il dominio coloniale.
Negli anni antecedenti il genocidio, il sentimento di appartenenza ad una classe inferiore
largamente diffuso tra gli Hutu, culminava in un totale “Feindbild”. Nella percezione della
maggioranza Hutu, i Tutsi erano un pericolo mortale. Gli estremisti Hutu riuscirono a
convincere le masse che i Tutsi avevano pianificato di sterminarli2.
Questo pericolo esistenziale non era un prodotto della fantasia collettiva, ma era stato
costruito man mano con la guerra civile, con scritti teorici e una massiccia attività
propagandistica (utilizzando soprattutto lo strumento della radio).
Quando gli estremisti e pianificatori del genocidio videro che la comunità internazionale non
sarebbe intervenuta, scatenarono la loro furia omicida su tutto il territorio nazionale con il
chiaro intento di eliminare tutti i Tutsi e tutti gli oppositori e moderati Hutu. Un ruolo
particolare fu svolto dalla stazione radio RTLM tramite la quale gli estremisti riuscirono a
raggiungere grandi parti della popolazione anche al di fuori delle aree urbane.
1 L’ambasciatrice Americana alle Nazione Unite , Madeleine Albright, 4 marzo 1994 2 Welzer Harald, Täter. Wie aus ganz normalen Menschen Massenmörder werden, Fischer Taschenbuch Verlag, Frankfurt am Main, 1999, p. 229
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Il testo si compone di tre capitoli. Il primo delucida il contesto storico in cui è venuto a
svilupparsi il genocidio, concentrandosi negli anni dopo l’ascesa al potere di Habyarimana (la
Seconda Repubblica, 1973 – 1994).
Nel secondo capitolo vengono presi in esame il genocidio e la situazione politica in Rwanda
fino al 2003. Particolare attenzione è rivolta al ruolo della comunità internazionale e al
fallimento della missione delle Nazione Unite.
Il terzo capitolo si concentra sulle ripercussioni del genocidio sugli eventi nella Repubblica
Democratica del Congo, cerca di spiegare le cause della prima grande guerra dell’Africa e si
conclude con gli Accordi di pace di Lusaka.
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1. Il contesto storico in cui si è sviluppato il genocidio in Rwanda 1.1 Il Rwanda dall’epoca precoloniale alla colonizzazione
Nella regione dei Grandi Laghi coesistono due sistemi rurali: le piantagioni di banane che
circondano le unità abitative sparse nel territorio e la pesca lungo il Lago Victoria ad est, e un
misto tra coltivazione e pastorizia nelle montagne ad ovest (Rwanda, Burundi, sud-ovest
Uganda e l’altipiano del Kivu).3
I prodotti che insieme all’allevamento costituiscono le principali risorse dell’economia
domestica sono: sorgo e mais, legumi e tuberi, il caffè e il tè. 4
Il Rwanda sino ad’oggi ha mantenuto le caratteristiche di una società patrilineare: la famiglia
segue la linea del padre, se un Hutu sposa una donna Tutsi, i bambini diventano degli Hutu.
I confini del Rwanda erano stati in gran parte definiti già prima del colonialismo. Durante il
regno di Kigeri V Rwabugiri (1853 - 1895) si manifestò un espansionismo regionale e delle
tendenze di accentramento del potere. In questo periodo iniziò un processo di differenziazione
all’interno della popolazione. Il potere era distribuito tra la popolazione Tutsi, da sempre più
propensi all’attività pastorale, e gli Hutu. La parola Tutsi si sviluppò in quegli anni come
sinonimo di membri della casta governativa, mentre la denominazione Hutu veniva usata per
tutti coloro che venivano governati.5
Le colline del Rwanda e del Burundi, a est del Lake Kivu nel 19esimo secolo rimanevano tra
le ultime terre Africane da esplorare.
Durante la Conferenza di Berlino nel 1885, il Regno di Rwanda e Urundi veniva concesso alla
proprietà coloniale Guglielmina. Uno dei primi esploratori del territorio fu il medico militare
tedesco Richard Kandt che veniva nominato consigliere del Re (Mwami) dal governatore
imperiale del “Deutsch-Ost-Afrika”, il Conte Gustav Adolph Graf von Goetzen. Secondo
quest’ultimo, la società rwandese era divisa in tre gruppi: i Tutsi, che erano pastori e che
formavano la classe sociale superiore (da essa provenivano i leader politici), la maggioranza
Hutu, in gran parte agricoltori ed i Twa, una tribù appartenente ai pigmei che formava meno
dell’un per cento della popolazione.6
3 Chrètien Jean-Pierre, The Great Lakes of Africa, Two Thousand Years of History, Zone Books, New York 2003, pp.25-26 4 Fusaschi Michela, Hutu – Tutsi. Alle radici del genocidio rwandese, Bollati Boringhieri, Torino, 2000, pp. 16-17 5 Heeger Carsten, Politische und gesellschaftliche Entwicklung, in Harding Leonhard (a cura di), Ruanda – Der Weg, zum Völkermord, Hamburg, LIT Verlag, 1998 pp.13-20 6 Braeckman Colette, A People betrayed: the role of the West in Rwanda’s Genocide, in New Left Review 9, maggio – giugno, 2001
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Con la presenza europea incrementò il potere del Re (Mwami) e il sistema gerarchico fu
rafforzato e centralizzato (in questo modo il controllo sulle aree rurali periferiche aumentava
notevolmente).
Durante la prima Guerra Mondiale, mentre la Germania aveva invaso il Belgio, le truppe
coloniali belghe nel 1916 hanno occupato il Ruanda-Urundi.
Nel 1924 la Lega delle Nazioni Unite conferì al Belgio l’amministrazione del territorio dell’ex
colonia tedesca e legò il Ruanda-Urundi alla colonia del Congo anche se le forme di
amministrazione erano distinte:
Il Congo era governato da Brussels, il Ruanda-Urundi invece, seguendo la forma di governo
coloniale dell’”indirect rule”, veniva amministrato tramite l’aristocrazia locale Tutsi.
I Belgi sottolinearono la distinzione tra Tutsi e Hutu creando, nella divisione etnica, uno
strumento per governare la colonia.
Anche se i confini coloniali disegnati artificialmente non rispecchiavano la situazione che era
venuta a crearsi dalla rivalità dei due Regni Buganda e Rwanda-Urundi, ad oggi sono rimasti
gli stessi.
Durante il governo coloniale tedesco, i rapporti sociali in Rwanda vennero interpretati
secondo la teoria razzista europea degli Hamiti (sviluppata dall’esploratore inglese John
Hanning Speke nel suo "Journal of the Discovery Of The Source Of The Nile) secondo la
quale i Tutsi sarebbero discendenti da popoli niloti che secoli fa erano arrivati nei territori dei
Grandi Laghi. Siccome le popolazioni niloti erano, attraverso linee etniche caucasiche, parenti
dei popoli europei, erano da considerare superiori alle popolazioni bantu come gli Hutu e i
Twa.
Altri studiosi contemporanei condividono questa teoria sulla provenienza dei Tutsi ma
discordano dal concetto che tale origine possa essere considerata un motivo di superiorità7.
Secondo altre versioni invece,8 la distinzione tra Hutu e Tutsi non dipendeva né da migrazioni
né da idee ed invenzioni del governo coloniale. La divisone della società in gruppi etnici era
frutto di una dinamica sociopolitica che privilegiò la fazione dei Tutsi nella realtá e
nell’immaginazione sociale classificando cosi tutti gli altri soggetti come Hutu.
7 Prunier Gèrard, The Rwanda Crisis, History of a genocide, Hurst & Company, London, 2008, pp.16-17 L’autore parla di una possibile discendenza della tribù degli Omoro. 8 Vansina Jan, Antecedents to Modern Rwanda, Wisconsin Press, Wisconsin, 2004, p. 18
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8
Altri studiosi9 interpretano la divisione etnica e le parole Hutu e Tutsi come significati diversi
nella storia del Rwanda paragonando talvolta il ruolo dei Tutsi a quello degli Indiani in
Uganda (dove i colonizzatori erano britannici) considerati colonizzatori di secondo livello.
Concludendo si può affermare che Tutsi e Hutu parlavano la stessa lingua, avevano la stessa
religione e le stesse usanze, ma erano divisi secondo delle linee feudali, paragonabili al
sistema delle caste in India: l’aristocrazia Tutsi regnava e i coltivatori Hutu formavano i
sudditi. I conquistatori tedeschi non cambiarono queste strutture ed anche quando, dopo la
prima guerra mondiale, il Rwanda-Urundi passò al Belgio, permase questa suddivisione.
Mentre i primi anni di amministrazione belga furono caratterizzati da un “wait and see”10, dal
1926 con le riforme Voisin, il Belgio rinforzò il sistema della classificazione etnica le cui
caratteristiche erano la centralizzazione ed efficienza dell’apparato amministrativo, il neo-
tradizionalismo e il cattolicesimo.
L’unione della potenza coloniale estera con i governanti tradizionali Tutsi intensificò l’odio
da parte della popolazione Hutu ulteriormente.11
1.2 Verso l’indipendenza
Dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, la società rwandese cambiò radicalmente sia dal
punto di vista economico che sociale. Il Rwanda divenne protettorato delle Nazioni Unite e
l’obiettivo principale era quello di preparare il terreno per l’indipendenza. Il Belgio aveva
sempre in mano l’amministrazione però doveva, secondo gli accordi con le Nazioni Unite,
cedere gradualmente il potere alla popolazione locale. Così nel 1952 i governatori belgi
organizzarono una grande riforma amministrativa alla quale seguirono le prime elezioni a
livello comunale. L’introduzione di elezioni libere aveva un significato ed una rilevanza
psicologico – politica importante. Anche se i risultati delle elezioni di fatto non cambiarono
nulla a livello politico, si aprì comunque la possibilità alla popolazione di partecipare alla vita
politica. Inoltre per la prima volta agli Hutu fu concesso di accedere al potere politico.
L’elite Tutsi si rendeva conto del pericolo di perdere il predominio politico e fece pressione
per ottenere l’indipendenza al più presto possibile. In tal modo i Tutsi avrebbero fermato il
processo di democratizzazione per mantenere il loro ruolo dominante (nella società ruandese).
9 Mamdani Mahmood, When victims become killers, Colonialsim, Nativism, and the Genocide in Rwanda, 2002, Princeton University Press e Jean – Pierre Chrètien, op. cit. 10 Prunier Gèrard, op. cit, p.26 11 Ibidem
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Di conseguenza l’elite Tutsi perse l’appoggio dell’amministrazione coloniale belga che non
era interessata ad accelerare la fase di cessione del potere politico.
Le parole che meglio illustrano quanto sia accaduto in quegli anni vengono dal vice –
governatore del Rwanda – Urundi Paul Harroy: i Tutsi vogliono l’indipendenza quanto prima
e tentano di sabotare gli amministratori belgi. A loro volta, i belgi, si trovano a dover
affrontare una situazione completamente nuova, data la buona collaborazione avuta per anni
con i capi locali.
Nel 1957 la situazione politica deteriorò ulteriormente. Nove intellettuali Hutu, tra i quali
anche il futuro presidente Kayibanda, pubblicarono il “Hutu Manifesto” (che originariamente
aveva il titolo francese “Note sur l’aspect social du problème racial indigène au Rwanda”), un
documento che conteneva una dichiarazione nella quale si incolpava la segregazione etnica di
tutti i problemi sociali del paese. 12 Il testo accusando apertamente i Tutsi fu indirizzato al
vicegovernatore generale del Congo belga e del Rwanda – Urundi e verrà in seguito
considerato come fondamentale per la futura Repubblica13. I Tutsi venivano ritenuti i soli
responsabili di tutti i problemi in cui versava il paese. I firmatari del manifesto enumerarono
sedici richieste di riforme, prima fra tutte quella di non considerare più i Tutsi come
appartenenti ad una razza superiore a quella dei Bantu Hutu. Seguivano altre richieste come
l’abolizione del lavoro forzato, il riconoscimento della proprietà privata, la creazione di
aziende di credito, la promozione effettiva degli Hutu alle funzioni pubbliche, la creazione di
borse di studio e altri provvedimenti. L’elemento di grande rilevanza che trasformò il
Manifesto in una minaccia reale per la classe al potere, fu l’impiego del termine “razza” per
definire rispettivamente gli Hutu, i Tutsi e i Twa. Questo riferimento testimoniava
chiaramente l’adozione di un concetto di matrice europea. La lotta anticolonialista degli Hutu
si era quindi indirizzata non tanto contro i belgi, colonizzatori venuti da fuori, quanto contro il
colonizzatore interno: i nemici Tutsi.
In questo modo la battaglia per il potere politico divenne ancora di più una lotta interetnica (o
meglio interrazziale). La politicizzazione dell’appartenenza etnica era una cosa voluta per
coinvolgere la popolazione rurale, in larga maggioranza Hutu, nella vita politica. Questa
situazione rispecchiava un momento di politicizzazione dell’etnicità, cioè lo spostamento del
conflitto politico su un piano etnico. I politici Hutu cercarono di creare un’unità etnica al loro
interno per seguire e portare avanti i propri obiettivi politici.14
12 Prunier Gèrard, op. cit., p. 48 13 Fusaschi Michela, op. cit., p. 132 14 Harding Leonhard (a cura di), Rwanda - der Weg zum Völkermord. Vorgeschichte – Verlauf – Deutung, LIT Verlag, Hamburg 1998, p. 209
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La reazione dell’èlite Tutsi si sviluppò in due direzioni differenti: da una parte i conservatori,
cioè il Mwami e gli uomini vicini alla corte, dall’altra parte i più moderati tra i quali alcuni
giovani Tutsi istruiti.
Alla fine degli anni ‘50 si crearono in seguito alla prima apertura democratica dei partiti
politici costituiti quasi esclusivamente lungo le linee etniche.
A novembre del 1959 ebbero luogo le prime azioni di violenza con motivazione “etnica”. La
violenza si diffuse come un incendio nell’intero paese. Bande di Hutu saccheggiavano
ovunque. Il giorno 6 novembre sia a Ruhengeri che a Gisenyi si scontrarono Tutsi e Hutu e di
conseguenza il Belgio dichiarò lo stato di guerra. Dopo tre settimane i governatori belgi
riuscirono a prendere di nuovo in mano la situazione anche se d’ora in avanti si sarebbero
schierati a favore degli Hutu.
Nel 1961 altri scontri nella regione di Butare hanno causato circa 150 morti Tutsi e 22mila
rifugiati. Il 25 settembre del 1961 sotto gli occhi delle Nazioni Unite si tennero le elezioni per
una commissione costituente dalle quali gli Hutu uscirono come chiari vincitori.
Il 1° luglio del 1962 fu proclamata la Repubblica di Rwanda e fu concessa formalmente
l’indipendenza. Grègoire Kayibanda divenne il suo primo presidente.
Gli scontri violenti antecedenti le elezioni per l’assemblea costituente causarono circa 2mila
vittime e oltre 100mila rwandesi, in larga maggioranza Tutsi dovettero lasciare il loro paese.
Nella popolazione di conseguenza aumentarono la paura e le preoccupazioni per la propria
sicurezza che d’ora in poi verrà strumentalizzata dai leader politici.
La Repubblica di Rwanda dunque nacque dalla politicizzazione dell’etnicità, una situazione
che sicuramente contribuirà al genocidio 30 anni dopo.
1.3 Gli anni di Kayibanda: La Prima Repubblica
Poco dopo le elezioni del 1961 alcuni tradizionalisti Tutsi che avevano criticato apertamente
l’esito delle elezioni, decisero di lasciare il paese e di andare in esilio per combattere il nuovo
regime anche con la forza. Il 21 dicembre 1963 questi esiliati, che più tardi saranno chiamato
“inyenzi”15 (scarafaggi), lanciarono dal Burundi un’offensiva militare, la quale però, dopo
alcuni successi e conquiste territoriali, venne respinta dall’esercito rwandese. L’attacco ebbe
delle conseguenze immediate e durissime: il governo Kayibanda colse l’occasione per
15 Il termine inyenzi è stato ripreso dagli estremisti Hutu per definire tutti i Tutsi come essere non umani e per riuscire a togliere alla popolazione lo scrupolo dell’uccidere.
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liberarsi dall’opposizione interna dei Tutsi e fra la popolazione Hutu si formarono delle
“truppe di autodifesa” che saccheggiavano e uccidevano la popolazione Tutsi.16
Circa 14mila Tutsi furono uccisi e il numero dei rifugiati era superiore a 300mila.17 La
comunità internazionale, nonostante le critiche dal Vaticano e del filosofo britannico Bertrand
Russell, rimase inattiva; si parlava di uno sterminio sistematico paragonando i massacri al
genocidio degli ebrei durante il regime nazista. Verso la fine del 1964 sia l’opposizione
interna che quella esterna vennero estinte.
Per i politici Hutu del Rwanda gli attacchi del nemico (gli “inyenzi”) portavano alle seguenti
conseguenze:
1. L’immaginazione di un nemico (colpevole) comune rinforzava l’unione tra gli Hutu e
creava un mezzo effettivo per opprimere l’opposizione politica interna.
2. Estendendo il conflitto a tutta la popolazione Tutsi si poteva ricavare un notevole utile
sequestrando le loro merci e i loro terreni.
3. La posizione passiva della comunità internazionale nei confronti dei massacri lasciava
pensare che anche in futuro la comunità internazionale non avrebbe reagito con delle
misure adeguate.
Kayibanda non solo utilizzava gli attacchi degli “inyenzi” durante gli anni 60 per liberarsi di
volta in volta dall’opposizione politica, ma grazie a due riforme costituzionali nel 1963 e 1973
riuscì anche a concentrare il potere sempre di più nelle sue mani. Il sistema pluripartitico era
andato sparendo nel 1965 e nel 1969 Kayibanda venne eletto con quasi il 100% dei voti (era
l’unico candidato).18
Il miglioramento della qualità della vita promesso dalla rivoluzione non arrivò mai; sia la
povertà che le interrelazioni di interessi personali rimasero quelli di una volta. E così anche
molti altri settori non subirono alcuna variazione o miglioramento rispetto agli anni del
governo precedente l’indipendenza, dal quale ci si voleva liberare.
Una casta ristretta di governanti si divideva le risorse economiche ed i privilegi politici. La
grande parte della popolazione (Hutu come Tutsi) non aveva alcuna partecipazione al potere e
alla distribuzione delle risorse economiche. Inoltre aumentava il nepotismo.
16 Melvern Linda, Rwanda. Der Völkermord und die Beteiligung der westlichen Welt, Hugendubel Verlag, München, 2004, p. 8 17 Ibidem 18 Reyntjens Filip, “Pouvoir et droit au Rwanda. Droit public et èvolution politique, 1916 – 1973“, Tervuren, Brussels, 1985, cap. 4
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In pochi anni il potere si concentrò nelle persone e famiglie vicine al presidente Kayibanda;
tutte le persone partecipanti al potere provenivano dal sud del paese. Il numero dei politici
provenienti da Gitarama e le province del sud era sproporzionalmente alto.19
Questa politica era molto pericolosa, unilaterale e aumentava il rischio di un isolamento della
casta politica. Inoltre aumentava il numero di oppositori Hutu. Soprattutto gli Hutu delle
regioni di Gisenyi e Ruhengeri erano quelli che protestavano e iniziavano a complottare
contro il Presidente ed il suo regime. Paradossalmente gli oppositori di Gisenyi e Ruhengeri
riuscirono a guadagnare una maggioranza nell’esercito e nella guardia nazionale
(gendarmeria).
Per affrontare la pressione politica interna Kayibanda cercò di incanalare il malcontento della
popolazione e di indirizzarlo verso i Tutsi. Nel 1972 il Presidente Kayibanda cercò
disperatamente di creare intorno a sé un’unione di forze contro gli “inyenzi” (come era già
successo durante gli attacchi del 1963).20 Tra ottobre 1972 e febbraio 1973 si organizzarono
dei comitati con il compito di controllare che la quota etnica del 9% di Tutsi venisse rispettata
nei vari settori della pubblica amministrazione, nelle scuole e nelle università. Anche se la
popolazione agricola si mostrava poco interessata, la pressione psicologica verso i Tutsi era
talmente forte che ebbe come conseguenza un’altra ondata massiccia di emigrazione.
La tattica del governo però non ebbe successo; le differenze tra Hutu del sud e del nord erano
troppo profonde e durante questa fase d’instabilità e insicurezza il maggior – generale Juvenàl
Habyarimana riuscì a prendere il potere con un golpe non sanguinoso.
1.4 La Seconda Repubblica (luglio 1973 – aprile 1994)
A luglio del 1973 il Generale Juvènal Habyarimana, ufficiale più alto dell’esercito, prese il
potere con la promessa di ripristinare l’ordine e l’integrità nazionale. La Seconda Repubblica
nacque dunque da un golpe non sanguinoso anche se, subito dopo l’installazione di
Habyarimana al potere, ca. 50 esponenti politici importanti della Prima Repubblica furono
eliminati o lasciati morire in prigione; tra questi anche il presidente della Prima Repubblica
Kayibanda21.
I Tutsi rimasero esclusi dalla politica quotidiana: durante il regime di Habyarimana solo due
dei settanta parlamentari erano Tutsi; tutti i prefetti erano Hutu, un unico ufficiale
nell’esercito era Tutsi. Comunque, nel periodo tra il 1973 e 1980, non si registrarono azioni
19 Ibidem 20 Prunier Gerard, op. cit., p. 60 21 Des Forges Alison, Kein Zeuge darf überleben. Der Genozid inn Ruanda, Hamburger Edition, Hamburg, 2002, p. 67
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13
coercitive contro i Tutsi e in questo clima favorevole, molti di loro hanno colto l’occasione
per cambiare identità e di diventare Hutu (ad esempio tramite matrimoni). Habyarimana, nei
suoi primi anni di governo, riuscì a portare la nazione rwandese verso la pace e a portare
stabilità all’interno del paese.
La vita per i Tutsi rimaneva comunque difficile, soprattutto a causa della discriminazione
nella vita quotidiana anche se, paragonata alla situazione durante gli anni del regime
Kayibanda, era migliorata. La logica per i Tutsi: non fare politica (considerato come
privilegio per gli Hutu) e sarai lasciato in pace22.
Habyarimana nei suoi primi anni di governo si concentrò nella lotta all’opposizione Hutu che
si andava formando soprattutto nel sud del paese.
Nel 1975, fra le prime misure politiche introdotte, Habyarimana dichiarò illegittimi tutti i
partiti politici e fondò, poco tempo dopo, il partito unitario MRND (Mouvement
Rèvolutionnaire National pour le Dèveloppement): un partito totalitario a tutti gli effetti. Tutti
ne dovevano far parte; i prefetti e i sindaci venivano scelti all’interno del partito. Tanti dei
sindaci avevano un rapporto diretto con il presidente Habyarimana.
Il controllo amministrativo da parte del partito era equiparabile a quello del partito unico in un
regime comunista23. Tutti i comuni erano suddivisi in settori nei quali vivevano ca. 5000
abitanti. Dai rappresentanti eletti da questi settori veniva formato il Consiglio comunale il
quale doveva svolgere il ruolo di consigliere del sindaco. I settori erano composti da cellule
comunali di ca. 1000 abitanti ciascuno il cui direttivo era composto di 5 membri con a capo
un responsabile e avevano il compito di rendere esecutivi gli ordini ricevuti dall’alto.
L’apparato amministrativo organizzato in tal modo aveva due obiettivi: il controllo totale e la
mobilitazione della popolazione Hutu. Uno strumento di controllo rimase, ad esempio,
l’obbligo di portare con se il documento di riconoscimento nel quale veniva riportata anche
l’indicazione Hutu o Tutsi24.
Nonostante i metodi utilizzati da parte del governo Habyarimana, caratteristici di un sistema
totalitario, il Rwanda diede in questi anni un’impressione positiva alla comunità
internazionale, soprattutto perché il governo riusciva a stabilizzare il paese ed a porre fine alla
violenza tra Hutu e Tutsi.
22 Prunier Gèrard, The Rwanda Crisis, History of a genocide, Hurst & Company, London, 2008, p. 76 23 Ibidem 24 Des Forges Alison, op.cit., p. 69
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Un dato significativo viene dai programmi di sviluppo economico: negli anni Ottanta in
Rwanda erano presenti oltre 2000 associazioni governative e non governative che dirigevano
più di 500 progetti di sostegno e sviluppo25.
Il Regime Habyarimana riuscì a portare il sostegno economico della comunità internazionale
all’interno del suo paese ad un punto tale che si parlava di “dittatura dello sviluppo”26.
Negli anni ’80 la crescita economica del Rwanda raggiunse un PIL di 300 dollari per persona
e l’economia di sussistenza si stava trasformando con successo in economia di mercato.
Secondo i dati del World Bank Yearly Development Report il Rwanda migliorò di 12 posti
nel ranking mondiale tra il 1976 e 1990. Nel 1991 il 22% del PIL arrivò da sussidi economici
(in gran parte dalla Francia, Germania, Belgio, Svizzera, Canada ed USA)27. Un altro dato
interessante viene fornito dalla crescita demografica: nel 1991 il 57% della popolazione aveva
meno di 20 anni.
La Chiesa Cattolica aveva delle relazioni strette con il partito unico, l’MRND; il vescovo di
Kigali fino al 1989 era membro del Comitato centrale del partito unico.
Tre sono i fattori per l’arricchimento delle èlite rwandese: l’esportazione di caffè e tè,
l’esportazione di stagno e gli aiuti economici esteri28.
1.4.1 Il problema dei Tutsi in esilio
La seconda Repubblica, in contrasto con l’intento della prima Repubblica, cercò di situarsi in
un contesto regionale avvicinandosi al sistema democratico della vicina Tanzania. La volontà
di adattare le riforme politiche e trasformare il paese da uno stato monopartitico in un sistema
di multipartitismo, dimostravano infatti la volontà di democrazia del governo. Il giorno
dell’invasione dei ribelli del RPF nel 1990, il Rwanda era un paese con politiche più
democratiche rispetto ai paesi limitrofi (con eccezione la Tanzania). Mentre la Tanzania fu
l’unico stato a non perseguire l’opposizione e a non mandare interi gruppi politici in esilio, il
Rwanda indipendente era lo stato alla cui nascita era seguita una diaspora politica.
L’errore più grave della seconda Repubblica che portò in seguito anche al suo fallimento fu
l’insuccesso nell’integrazione dei Tutsi nella politica post coloniale. Teoricamente i Tutsi
facevano parte della comunità politica del Rwanda come gli Hutu. Questo fallimento sarebbe
stato evitabile se lo stato indipendente rwandese non fosse stato visto come uno stato della
nazione Hutu. E’ questa la caratteristica che distingue il Rwanda da tutte le altre nazioni nella
25 Braeckman Colette, Rwanda. Historie d’un genocide, Fayard, Paris, 1994, p. 87 26 Kreiner Herbert in Frankfurter Rundschau, 05.11.1992 27 Prunier Gèrard, op. cit., pp. 88-89 28 Ibidem
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15
regione (compreso il Burundi).29 Tutti gli altri stati erano, chi più chi meno, modelli di
pluralismo culturale, le cui unità erano chiamate etnie e che costituivano a loro volta la
nazione.
Il Rwanda, nel 1959, in seguito alla rivoluzione Hutu, diventò di fatto orfano di una gran parte
dei Tutsi. Anche se Habyarimana, durante il suo governo, aveva riabilitato i Tutsi dall’essere
una razza non indigena, non era mai veramente intenzionato ad estendere questa
“riconciliazione” ai Tutsi in esilio. Per la prima volta si era creato nella regione un gruppo che
veniva dalla regione, ma non faceva parte di nessuna di esse.
I Tutsi esiliati nel 1959 e negli anni successivi rimanevano degli stranieri ovunque si
rifugiassero. È possibile paragonare i Tutsi rifugiati agli ebrei europei prima della seconda
guerra mondiale.
Se la prima generazione di Tutsi fu sempre intenzionata a tornare nella loro patria la seconda
generazione crebbe con l’idea di vivere nelle terre in cui era nata. Questa convinzione venne
però completamente sradicata in seguito alla guerra civile in Uganda che si protrasse dal 1981
al 1986 e alla quale i Tutsi (Banyarwanda) presero parte attivamente. Da qui si divulgò l’idea
che, nell’Africa post-coloniale, la patria fosse da identificare nella terra degli antenati e quindi
nella patria pre-coloniale: nel caso specifico il Rwanda.30 Questo fatto sottolinea che la critica
e l’opposizione dall’esterno non erano rivolte soltanto contro le politiche di Habyarimana ma
avevano radici ben più profonde. Era piuttosto l’espressione di coloro che vivevano una
situazione impossibile e che erano senza patria politica nell’Africa postcoloniale.
1.4.2 Il regime in crisi
Verso la fine degli anni ottanta la stabilità del regime di Habyarimana venne messa a dura
prova. La situazione economica del Rwanda subì un forte deterioramento a causa del crollo
dei prezzi del caffè (i prezzi del caffè crollarono del 50% nel 1989; nel 1985 il Rwanda
incassò 144 milioni di dollari mentre nel 1993 soltanto 30 milioni)31, del tè e dello stagno sui
mercati internazionali. Le conseguenze immediate a questo aggravarsi della situazione
economica, furono: la chiusura di gran parte delle miniere, il drastico aumento della
disoccupazione ed i tagli nel settore sociale. Conseguenze che a loro volta portarono ad un
impoverimento dei suoli coltivabili.
Il malcontento aumentava soprattutto tra i contadini nelle campagne. A questo si sommava un
crescente tasso di natalità. Nel 1989, i dati delle Nazioni Unite registrarono ca. 300 morti a 29 Mamdani Mahmood, op.cit., pp. 155-156 30 Ibidem 31 Mamdani Mahmood, op.cit., p. 147
Werner Zanotti
16
causa della fame nel sud del Rwanda motivo per cui molti rwandesi in questi anni
espatriavano in Tanzania. Per fare fronte a questa situazione, il governo si vide costretto ad
accettare le condizioni previste dai programmi di aggiustamento strutturale imposte dal Fondo
Monetario Internazionale e dalla Banca Mondiale che prevedevano l’eliminazione dei sussidi
ai produttori di caffè e la riduzione del deficit del PIL. Le conseguenze furono però una
svalutazione del 67% della moneta rwandese nel 1990 e la crescita dal 12% nel 1990 al 19%
nel 1993 del deficit del PIL32.
Visto dunque il fallimento, le organizzazioni di Bretton Woods si rifiutarono di fare seguire
alla prima manovra altre risorse finanziarie ed aiuti economici.
I fondi per le spese militari però, tra il 1989 e 1992, quadruplicarono fino a raggiungere l’8%
del PIL.
Alla crisi economica si aggiunsero le richieste di una maggiore apertura democratica del
regime da parte della comunità internazionale e dei politici Hutu più moderati. Habyarimana e
la sua èlite politica ed economica temevano invece, che il multipartitismo avrebbe potuto
erodere il loro potere.
Nonostante la crisi economica profonda, furono due gli eventi che prepararono il terreno per il
genocidio: l’inizio della guerra civile nel paese e i cambiamenti politici internazionali che
sono seguiti al crollo del comunismo.
Il giorno 01 ottobre 1990 l’RPF attaccò il Rwanda con la penetrazione di soldati dal territorio
ugandese dando cosi inizio alla guerra civile. Le truppe erano guidate dal generale Fred
Rwigyema (Paul Kagame, il futuro leader, al momento dell’invasione era negli Stati Uniti)33.
I loro obiettivi erano di porre fine alla spaccatura etnica per arrivare all’eliminazione
dell’obbligo di portare la carta di autentificazione etnica (Hutu o Hutsi) e porre fine alla
corruzione per iniziare un processo di democratizzazione. Sul piano internazionale l’RPF si
presentò come un movimento democratico e multietnico.
L’elite rwandese rimase scioccata dall’invasione.
La guerra civile sarebbe terminata soltanto nel 1993 con gli accordi di pace di Arusha.
Il secondo grande fattore che influenzò la situazione nel paese dipendeva direttamente dai
cambiamenti nel mondo politico internazionale. Come tanti stati africani, il Rwanda era uno
stato monopartitico. Con il crollo del comunismo mondiale nel 1990, le èlite africane
iniziarono a rifiutare i regimi totalitari ed a fare pressione per un’apertura politica
democratica. Il potere politico del governo iniziò ad erodere.
32 Ibidem 33 Ibidem
Werner Zanotti
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Due trend politici dominarono il Rwanda post coloniale: il principio della rivoluzione Hutu e
il forte regionalismo.
Con la rivoluzione, gli Hutu volevano imporre il loro predominio sul governo ed esercito
escludendo totalmente la partecipazione dei Tutsi. Il regionalismo, che caratterizzò gli anni
fino al 1990, favoriva principalmente gli Hutu provenienti da una distinta parte del paese.
Il primo presidente Kayibanda veniva dalla prefettura Gitarama nel centro – sud del Rwanda.
Il suo governo aveva privilegiato gli Hutu provenienti da queste regioni.
Il suo successore Habyarimana e la sua èntourage venivano dalla prefettura Gisenyi. Nel 1990
quasi tutte le posizioni cruciali nell’amministrazione, nell’esercito e nelle compagnie
parastatali erano nelle mani di Hutu provenienti del nord ovest.34
1.4.3 Il clan akazu35
Nell’epoca precoloniale con “akazu” si descriveva la cerchia ristretta della corte reale.
Habyarimana, durante i suoi primi anni di governo, fu attento a mettere nelle posizioni più
importanti amici e parenti stretti della moglie Agathe Kanzinga. Sua moglie diventò talmente
potente che il popolo rwandese la chiamò Kanjogera in memoria della terribile madre del Re
Musinga. L’akazu fu ritenuto responsabile di tanti delitti ed omicidi come l’assassinio del
colonello Stanislas Mayuya (vice-presidente designato del Rwanda) nell’aprile 1988. Cosi
come lui, furono eliminate altre persone che diventavano troppo potenti. (Un’ipotesi espressa
da alcuni studiosi è che l’assassinio di Habyarimana sia stato pianificato dall’akazu36). Il clan
gestiva il traffico di droga e di armi e possedeva proprie milizie37. Tutti i membri dell’akazu
provenivano dalla provincia di Bushiru che era anche la regione che profittava più di tutte le
altre degli aiuti economici internazionali38.
L’akazu fondò delle vere e proprie squadre di morte all’interno della guardia presidenziale e
riuscì con grande successo ad inserire in tutte le aree della società rwandese i propri
componenti. Secondo le prove ad oggi esistenti, è certo che l’akazu pianificò e preparò il
genocidio del 199439. Protais Zigiranyirazo (il fratello di Madame Agathe) ed il colonello
Thèoneste Bagosora, ambedue membri dell’akazu, furono imputati davanti alla Corte
Internazionale di Giustizia per il Rwanda ad Arusha in Tanzania.
34 Straus Scott, The Order of Genocide: Race , Power and War in Rwanda, Cornell University Press, Ithaca and London, 2006, pp. 23-24 35 Tradotto letteralmente significa “la piccola casa”. 36 Chrètien Jean-Pierre, Eine soziale Revolution besonderer Art, in Rwanda, Nichts getan, nichts gesehen, nicht darüber reden, Schmidt von Schwind Verlag, Köln, 2004, p. 47 37 Braeckman Collette, op.cit., pp.71-72 38 Melvern Linda, op.cit., p. 23 39 Reyntjens Filip, Rwanda Trois Jours qui ont fait basculer l’historie, in African Rights, Paris 1995, pp. 21-32
Werner Zanotti
18
1.4.4 Il RPF (Rwanda Patriotic Front) e il problema dei rifugiati
L’ RPF (Rwandan Patriotic Front), fondato nel 1987 da esiliati rwandesi, era un movimento
politico – militare con base in Uganda, composto prevalentemente da discendenti di esiliati
Tutsi fuggiti dal Rwanda in più ondate durante la Prima Repubblica e specialmente dopo la
Rivoluzione Hutu del 195940.
L’RPF nacque come un movimento prevalentemente Tutsi anche se, per statuto, cercò fin
dall’inizio di darsi un carattere multietnico. Ne facevano parte infatti molti membri
dell’opposizione Hutu che, per motivi di sicurezza, avevano scelto l’esilio in Uganda o negli
altri paesi limitrofi. A dimostrazione di tale caratteristica vi era ad esempio il fatto che la metà
dei 26 membri del Comitato Esecutivo doveva essere di appartenenza Hutu. Tuttavia fino ad
oggi non è ancora chiaro se tutto ciò fosse un mero motivo di legittimazione morale per
affrontare il regime razzista rwandese o se l’RPF fosse stato guidato da una cerchia ristretta di
esponenti cresciuti in esilio in Uganda.
Negli anni Ottanta ca. 600mila rwandesi vivevano all’estero, di cui tanti in Uganda.
I rifugiati del Rwanda diventarono un elemento molto importante nella politica interna
dell’Uganda. Inizialmente i Tutsi rifugiati in Uganda favoreggiarono il cambio regime dal
dittatore Milton Obote, il quale aveva fatto rappresaglia contro la minoranza ruandese, a Idi
Amin. Nel 1973 Obote ritornò al potere e da quel momento nacque la resistenza del NRA
(National Resistance Army) di Yoweri Museveni. Il NRA aveva l’appoggio di molti
rwandesi, di cui faceva anche parte il giovane Paul Kagame. Nel 1986 Museveni dopo una
lunga guerra civile prese il potere in Uganda. Nel governo di Museveni alcuni rwandesi come
Kagame e Fred Rwigyema occuparono delle cariche molto alte: Kagame ad esempio faceva
parte del servizio segreto ugandese. Il governo di Museveni era una “No – Party Democracy”,
cioè una democrazia che poteva funzionare senza partiti politici. In questo contesto nacque la
RANU (Rwandese Refugee Welfare Foundation) che nel 1987 mutò in RPF con un chiaro
contenuto militare. Gran parte dei leader del RPF avevano ricevuto l’addestramento
dell’esercito dell’Uganda, tra cui anche Kagame che per un certo periodo fu il vice –
comandante dei servizi segreti. Kagame inoltre aveva goduto un addestramento nell’esercito
statunitense a Fort Leavensworth.
Museveni era favorevole per un ritorno dei rifugiati rwandesi, dall’altro canto però aveva
paura di una destabilizzazione della regione. Il ruolo del RPF non era del tutto chiaro: da un
lato si dava un carattere interetnico, cioè era aperta verso gli Hutu e dall’altro, essendo
comunque una forza militare, procedeva duramente nelle sue azioni attaccando la popolazione
40 Prunier Gèrard., op. cit., pp. 93-94
Werner Zanotti
19
civile. Nel 1993, durante l’aggressione militare contro Ruhengeri, secondo organizzazioni
umanitarie rwandesi il RPF ammazzò centinaia di persone. Secondo alcuni testimoni i soldati
del RPF uccisero i membri dei partiti MRND e CDR chiedendo prima a tutti di mostrare il
documento di appartenenza politico41. Anche durante il genocidio il RPF secondo
documentazioni di organizzazioni internazionali, uccise un enorme numero di civili e i suoi
soldati presero parte a dei massacri42.
Già nel 1964 ca. 350 mila Rwandesi si sono rifugiati nei paesi limitrofi. Si stima che il
numero fino al 1990 crebbe a ca. 700 mila persone43. Gran parte dei rifugiati viveva in
povertà e in condizioni economiche al di sotto di ogni limite e con poca speranza di
miglioramento. Molto drammatica era la situazione in Uganda dove, dopo il coup d’etat di
Milton Obote, quest’ultimo estese gli atti di discriminazione verso i rifugiati rwandesi.
Lo scopo iniziale della fondazione del RPF era di riportare i rifugiati in Rwanda anche con la
forza militare. Molti dei membri appartenevano alla seconda generazione dei rifugiati e
essendo cresciuti in Uganda che era un paese anglofono, la lingua franca del RPF era
l’inglese. Da qui anche la paura da parte dei militari e politici francesi che il Rwanda, una
volta nelle mani del RPF, potesse diventare un paese anglofono.
1.4.5 La reazione di Francia e Belgio
Il 1° ottobre 1990 circa 2.500 ribelli dell’ RPF oltrepassarono il confine del Rwanda con il
chiaro obiettivo di porre fine al regime di Habyarimana.
Dopo un mese le truppe dell’esercito Rwandese (FAR)44, che raggiungeva in totale un numero
di 5200 soldati incluse le truppe speciali francesi, dello Zaire e del Belgio, riuscirono a
fermare i ribelli e a spingerli di nuovo oltre il confine. Mentre le truppe belghe dopo un mese
lasciarono il Rwanda, alcuni reparti dell’esercito francese rimasero in aiuto dell’esercito
locale per la coordinazione logistica e l’organizzazione tecnico – militare.
L’attacco dell’ RPF diede a Habyarimana l’opportunità di procedere in maniera durissima
contro l’opposizione interna Hutu e Tutsi (oltre 13 mila persone vennero arrestate, molti dei
quali morirono in prigione45), dichiarando tutti coloro che erano sospettati di collaborare con
l’RPF “inyenzi” (termine coniato per i Tutsi che negli anni ’60 erano arrivati in Rwanda e
facevano parte dell’opposizione).
41 Des Forges Alison, op.cit., p.823 42 Des Forges Alison, op.cit., pp.847 - 854 43 Prunier Gèrard, op. cit., p. 63 44 FAR, Forces Armèes Rwandaises 45 Des Forges Alison, op. cit., p. 77
Werner Zanotti
20
Il presidente francese Francois Mitterrand venne tempestivamente informato dell’invasione
del RPF in Rwanda e la decisione di inviare delle truppe francesi a sostegno del regime di
Habyarimana era stata immediata.46 (L’Ufficio per gli Affari africani nel Palazzo del
Presidente francese era in quegli anni sotto la guida di Jean – Christophe Mitterrand, figlio del
presidente).
Il 04 ottobre 1990, 150 soldati del Reggimento dei Paracadutisti francesi stazionati a Bangui
in centro-Africa arrivarono a Kigali. Contemporaneamente il Belgio dispose la partenza di
400 soldati da Brussels.
Mentre le truppe belghe e francesi si limitarono ad un sostegno principalmente tecnico
dell’esercito rwandese, le truppe inviate dal Presidente dello Zaire Mobuto Sese Seko,
appartenenti alle unità speciali del DSP (Division Spèciale Prèsidentielle), si misero fin da
subito in azione contro il nemico, l’RPF.47
Le truppe belghe si ritirarono dal territorio poco dopo il primo attacco, in seguito alla legge
emanata dal loro Parlamento che vietava all’esercito di prendere direttamente parte ad una
guerra civile.
La guerra contro i ribelli dell’ RPF contribuì alla creazione di un nuovo sentimento nazionale.
Con l’aiuto del conflitto, il regime fece rinascere il pericolo feudale dei Tutsi e, con la
creazione di un nuovo nemico comune da combattere, Habyarimana riuscì ulteriormente a
rafforzare la propria posizione.48
Nei mesi che seguirono i primi conflitti militari ambedue le parti, l’esercito FAR e l’RPF,
aumentarono notevolmente il loro budget per le spese militari cosi come il numero dei soldati.
Le truppe del FAR crebbero da 5200 soldati nel 1990 a ca. 15 mila nel 1991 per arrivare a ca.
50 mila nel 1992.49 L’enorme richiesta di militari portò con se due problematiche principali: il
reclutamento di giovani rwandesi che sempre più spesso erano poco istruiti e che sceglievano
di entrare a far parte dell’esercito regolare per la garanzia di sicurezza, cibo e alloggio50 e
l’armamento delle nuove reclute.
La Francia, insieme al Sudafrica e l’Egitto, erano i principali fornitori di armi per l’esercito
rwandese al punto che nel 1994, il Rwanda, uno fra i più piccoli stati africani, divenne il terzo
importatore d’armi del continente.
46 Prunier Gèrard, op. cit., p. 101 47 Ibidem 48 Harding Leonhard (a cura di), op.cit, p.98 49 Prunier Gèrard, op. cit., p. 113 50 Ogni soldato aveva diritto a due birre al giorno.
Werner Zanotti
21
Anche l’RPF riuscì ad aumentare notevolmente il numero dei soldati arrivando ad avere,
all’inizio del genocidio nel 1994, un esercito composto da ca. 25 mila unità.51
I finanziamenti provenivano in larga parte da Tutsi rifugiati all’estero dopo la grande diaspora
negli anni sessanta (soprattutto dalle comunità in esilio in Canada e USA) ma anche da una
parte di commercianti ed imprenditori rwandesi scontenti del regime esistente e sotto
pressione politica come ad esempio Valens Kajeguhahwa, Tutsi ex manager della compagnia
del Petrolio rwandese e Silas Majyambere, Hutu ex presidente della Camera di commercio di
Kigali.52
Ebbe inizio cosi una guerra civile durante la quale l’RPF lanciò continuamente attacchi contro
il territorio rwandese causando principalmente timore e disorientamento nella popolazione.
L’RPF era guidata, nei giorni della prima invasione, dal caporalmaggiore Fred Rwigyema.
Rwigyema era riuscito a diventare vice-ministro per la difesa in Uganda prima che il nuovo
regime, sotto la guida del dittatore Milton Obote, espellesse tutti i “non Ugandesi” dalle loro
cariche politico – militari. Una nuova legge introdotta in Uganda durante il suo regime,
proibiva infatti a tutti gli stranieri di possedere della terra e tutto ciò contribuì ad aumentare la
pressione tra i rifugiati per tornare nella loro patria.53
Fred Rwigyema fu ucciso il secondo giorno dopo l’invasione. Circa la metà dei soldati
caddero durante il difficile ritiro nelle montagne Virunga.
Con l’intento di aumentare la pressione ed il timore per l’RPF, l’esercito rwandese organizzò
dei finti attacchi nemici a Kigali54 mentre in realtà i ribelli erano a distanza di oltre 70km dalla
capitale. Questo doveva servire a convincere gli stati esteri amici ad accorrere in loro aiuto. E
cosi fu. L’esercito francese arrivò il 04 ottobre a Kigali e si incaricò immediatamente del
controllo e la protezione delle postazioni strategiche quali ad esempio l’aeroporto.
I soldati belgi, come già sottolineato, non presero mai parte attivamente alla guerra mentre i
soldati dello Zaire, dopo aver contribuito a respingere l’attacco dei ribelli, vennero ritirati in
patria non per ultimo a causa della mancanza di disciplina.55 Da parte sua, il governo
rwandese, si prodigò per introdurre nuove misure di sicurezza quali ad esempio l’istituzione
di blocchi stradali e pattuglie notturne per intensificare i controlli.
51 Prunier Gèrard, op. cit., p. 117 52 Ibidem 53 Melvern Linda, op.cit., pp. 24-25 54 Des Forges Alison, op. cit., p. 77 55 Des Forges Alison, op. cit., p. 78
Werner Zanotti
22
1.4.6 Paul Kagame
Paul Kagame (nato il 23 ottobre 1957 e rifugiato di Gitarama) lasciò il Rwanda da bambino e
crebbe in Uganda. Fu proprio lui a salvare l’RPF dallo sfacelo.
Kagame, uomo intelligente e di carattere tenace, prese il comando di quello che restava delle
truppe dell’ RPF dopo la ritirata forzata oltre il confine. In pochi mesi riuscì a dare disciplina
ai soldati e a sviluppare un piano di attacco. Kagame aveva la fama di essere un abilissimo
stratega militare e i risultati ottenuti durante un corso di addestramento al Command and
General Staff College statunitense di Fort Leavenworth lo confermavano.
Come Rwigyema, Kagame era un soldato con molta esperienza nella guerriglia; anche lui
aveva fatto carriera nell’esercito ugandese dove raggiunse il grado di vice responsabile del
servizio segreto militare e fu uno delle 27 reclute che lottarono a fianco del futuro presidente
dell’Uganda Yoweri Museveni quando questo riuscì a sovrapporsi al dittatore Milton Obote
nel 1986. Questa fu la prima volta nella storia dell’Africa che un governo veniva destituito dai
ribelli e sia Kagame che Rwigyema avevano fatto parte della ribellione.
Kagame era dell’opinione che solo la guerriglia classica avrebbe potuto distruggere il regime
di Kigali. Il suo esercito era poco armato e somigliava più ad una fanteria leggera56. Kagame
era un leader che viveva con i suoi soldati ed era perfettamente cosciente del fatto che la
guerra contro l’esercito regolare del Rwanda sarebbe durata a lungo.
Dopo il fallimento del primo attacco, Kagame decise di lanciare un’operazione che umiliò il
regime. Il 22 gennaio 1991, i ribelli dell’ RPF sferrarono il loro attacco a Ruhengeri, dove era
situata la prigione più famosa del Rwanda. I ribelli riuscirono a liberare 1500 carcerati, per lo
più prigionieri politici. Si fermarono un giorno nella città per poi ritirarsi prima dell’arrivo dei
rinforzi per il FAR. I ribelli, oltre a liberare gli ostaggi, riuscirono a conquistare grandi
quantità di armi.
Il regime reagì molto duramente a questo attacco imprevisto e solo pochi giorni dopo ordinò i
massacri contro i Bagogwe. I massacri ebbero principalmente luogo nei comuni di Gaseke,
Giciye e Karago, tutti situati in una delle regioni meno accessibili in Rwanda.
Molti parlarono di genocidio contro i Bagogwe. In effetti costoro furono uccisi in quanto
appartenenti ad un determinato gruppo etnico e l’obiettivo era proprio quello di sterminare i
Bagogwe come gruppo. Sei mesi dopo, la regione era nuovamente accessibile e molti dei suoi
abitanti si erano rifugiati a Kigali.
56 Melvern Linda, op. cit., p.27
Werner Zanotti
23
1.4.7 Il processo di democratizzazione
Invece di fomentare l’odio tra Tutsi e Hutu dell’opposizione, questi attacchi portarono
effettivamente ad un rafforzamento delle loro posizioni che culminarono nel marzo del 1991
con la formazione dei primi partiti politici, uno dei quali era l’MDR (Mouvement
Dèmocratique Replucain) i cui membri provenivano soprattutto dal sud del paese.
La tattica di intimidazione utilizzata dal governo rwandese contro l’opposizione di
Habyarimana non diede però i risultati sperati. Per i membri dell’akazu, il pericolo maggiore
era diventato la possibilità di un’alleanza fra Tutsi, Hutu del sud insieme alle altre forze
politiche il cui obiettivo comune era quello di introdurre un regime democratico.57
Il processo di democratizzazione era stato intralciato in tutti i modi possibili dal regime di
Habyarimana che fu però costretto a cedere il 10 giugno 1991 quando, in seguito alla forte
pressione da parte della comunità internazionale, venne modificata la costituzione ed
introdotto ufficialmente il multipartitismo.
Habyarimana fu costretto a sciogliere il partito MRND, che venne però immediatamente
ricostituito come Mouvement Revolutionnaire National pour la Dèmocratie et le
Dèveloppement - MRNDD. Non soltanto il nuovo movimento portava la stessa sigla, ma
anche l’ideologia e il concetto non erano variati.
Con l’apertura al multipartitismo si fondarono diversi partiti politici nel paese: il PSD (Partì
Social Dèmocrate), classificabile con standard occidentali come partito di centro – sinistra; il
Partì Lìberal (PL) di centro – destra popolare (con grande afflusso tra Tutsi e Hutu moderati
proveniente dal settore del commercio); il Parti Dèmocrate – Chrètien (PDC) che
rappresentava gli interessi della Chiesa cattolica.
Il Partito liberale non aveva basi regionali e trattava la questione etnica sotto un profilo molto
liberale (come del resto anche il PSD).58
Diverso rimaneva l’MDR, all’interno del quale spiccava la figura di Jean Kambanda, colui
che sarà il primo uomo a dichiararsi colpevole di genocidio davanti ad un Tribunale
Internazionale di Giustizia. Jean Kambanda era uno dei membri civili dello Zero Network.59
Il Network Zero poteva essere definito come una rete comunicativa segreta della quale
esistenza sarebbero stati al corrente soltanto gli estremisti e che gli dava la possibilità di
rimanere in contatto tra di loro.
I membri dei vari partiti d’opposizione erano spesso dei personaggi con un passato criminale:
il leader del PL Justin Mugenzi ad esempio, era un assassino dichiarato colpevole di avere 57 Melvern Linda, op. cit., pp. 27-30 58 Ibidem 59 Melvern Linda, op. cit., p. 46
Werner Zanotti
24
ucciso sua moglie nel 1976 e nel 1981 era stato graziato dal presidente Habyarimana.60
L’interesse di questi personaggi ad una democrazia funzionante era tanto grande quanto
quello del presidente Habyarimana stesso: spesso erano interessi meramente privati a spingere
questi personaggi in politica.
Il 13 ottobre del 1991 il presidente Habyarimana acconsentì a dimettersi dalla carica di Primo
Ministro che aveva ricoperto, fino a quel momento, contemporaneamente alle cariche di
Presidente dello Stato, Ministro della Difesa e Capo di Stato Maggiore dell’esercito e della
polizia. Ma invece di cedere l’incarico ad un esponente di uno dei partiti di opposizione,
Habyarimana scelse un membro del suo partito, Sylvestre Nsanzimana, quale suo successore.
Questa decisione portò a proteste di massa e migliaia di seguaci dei partiti di opposizione
scesero nelle strade per dimostrare il loro dissenso. E anche in questa occasione il governo
reagì duramente agli attacchi con divieti di dimostrazione, incarcerazioni e liquidazioni di
avversari politici.
In conclusione si può affermare che il processo di democratizzazione era iniziato ma veniva
bloccato o ritardato in tutte le parti possibili dal regime di Habyarimana.
1.4.8 Il regionalismo in Rwanda
Il regionalismo, la forte divisione fra nord e sud, è un fattore troppo sottovalutato nell’analisi
degli eventi storici del paese.
Da sempre gli Hutu del Nord hanno considerato quelli del sud come gli “altri”, come Tutsi, e
li hanno disprezzati per avere una cultura ed un colore della pelle simile a loro.
L’antagonismo tra nord e sud raggiunse il suo apice quando Habyarimana, un ufficiale
dell’esercito del nord, salì al potere. Prima di lui il presidente Kayibanda, uomo del sud, aveva
favorito la sua prefettura natale di Gitarama mentre Habyarimana cercò sempre di recare
vantaggi alle province del nord ovest.
Ci fu un unico momento in cui Nord e Sud si unirono per combattere un nemico comune:
durante la rivoluzione sociale del 1959. Ma ben presto il fattore di unione venne a mancare e
tutto tornò ad essere come prima.61
Anche se l’indipendenza seguita a tale rivoluzione, fosse da interpretare di per se come un
evento positivo per la maggioranza etnica rwandese, gli anni sessanta furono comunque
contrassegnati da terrore e discordia. Le atrocità venivano in gran parte dalle autorità del sud
che cercavano di accrescere il loro potere politico ed economico. 60 Prunier Gèrard, op. cit., p. 130 61 Pottier Johan, Re-imagining Rwanda. Conflict, Survival and disinformation in the late Twentieth Century, Cambridge University Press, Cambridge, 2004, p.35
Werner Zanotti
25
Quando Habyarimana salì al potere, il presidente francese Mitterrand si disse convinto che
avrebbe posto fine alle pratiche scorrette e corrotte introdotte del regime Kayibanda.
E la rivoluzione morale fu infatti uno dei perni dell’oratoria inaugurale di Habyarimana. In
realtà, una volta insediatosi, la situazione non cambiò affatto e gli aiuti economici al Rwanda
iniziarono a concentrarsi sempre più nella parte nord-ovest del paese. Questo portò a
conseguenze disastrose per il meridione come ad esempio lo spostamento di una parte
dell’Università controllata dalla Francia da Butare a Ruhengeri con la conseguente
mobilitazione di studenti e professori Tutsi e Hutu che si trovarono cosi direttamente nelle
mani degli estremisti Hutu.
Le accuse che vennero mosse contro la Francia di Mitterrand per l’appoggio dato ad
Habyarimana devono essere viste nel complesso della politica francese nell’Africa centrale: la
Francia aveva dato supporto diplomatico e militare ad un regime dittatoriale, aveva addestrato
le forze militari come previsto negli accordi di cooperazione ed era intervenuta a proteggere
un regime che allora si pensava fosse vittima di un’aggressione esterna. Le politiche ufficiali
in realtà, erano cementate anche da relazioni personali tra le leadership e da possibili accordi
segreti, commerciali e militari.62
1.4.9 La guerra civile e ulteriori massacri
Un altro massacro organizzato contro i Tutsi che si concluse con oltre 300 morti, avvenne nel
marzo 1992 nella regione di Bugesera, poco a sud di Kigali. Un volantino falsificato ed
erroneamente attribuito al PL chiedeva apertamente ai Tutsi di uccidere i loro vicini Hutu: la
pace era talmente fragile che sarebbero bastate provocazioni minori per scatenare reazioni
crudeli e bestiali.
La casta politica in tal modo cercava di sensibilizzare l’uomo comune per la questione etnica;
le persone che dovevano essere eliminati erano tutti degli “ibyitso” (collaboratori del nemico
del RPF).63
Oltre ai contadini locali che, come durante l’assassinio dei Bagogwe svolgevano il ruolo di
esecutori dell’ordine impartito dalle autorità a Bugesera, per la prima volta agirono anche gli
Interahamwe, la milizia del partito MRND del presidente. In un’intervista al giornale Le
Monde il 14 marzo 1992, Fèlicien Gatabazi, allora Presidente del PSD, parlò apertamente
della dimensione politica e delle cause dei massacri: ogni volta che si incontravano delle
62 Callamard Àgnes, French Policy in Rwanda in Adelman Howard and Suhrke Astrid (a cura di), The Path of a Genocide: the Rwanda crisis from Uganda to Zaire, Transaction Publishers, New Brunswick and London, 1999, pp. 157 - 188 63 Prunier Gèrard, op. cit., pp. 137 - 138
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difficoltà nella fase di democratizzazione, le violenze “tribali” organizzate dal regime
aumentavano drasticamente – questi elementi di guerra civile venivano usati per giustificare
lo status quo.64 È chiaro che i massacri a Bugesera e gli altri attacchi terroristici erano delle
risposte alla mobilitazione dell’opposizione contro il governo Nsanzimana.
La pressione sul regime di Habyarimana aumentava di continuo: nel marzo del 1992
l’opposizione ed il presidente si accordarono per un nuovo gabinetto nel quale l’MRND
costituiva sempre la fazione maggioritaria ma la carica di Primo Ministro andava ad un
membro dell’MDR. Il 16 aprile 1992 fu inaugurato il nuovo governo sotto la guida di Dismas
Nsengiyaremye.65
Contemporaneamente alla formazione del nuovo governo si formò un nuovo partito estremista
Hutu, il CDR (Coalition pour la Dèfense de la Rèpublique), per protesta contro tutti i
compromessi fatti dal MRND con i partiti d’opposizione.
Essi proclamavano apertamente il ritorno ai principi dell’Hutu Manifesto, dichiarazione
ufficiale di Gregoire Kayibanda del 1957 che vedeva nei conflitti etnici tra Hutu e Tutsi i
problemi della società rwandese. Anche se criticavano apertamente il presidente, i
rappresentanti del CDR avevano degli stretti rapporti con l’akazu ed il MRND.
Il CDR svolse un ruolo decisivo nell’organizzazione del genocidio e nella radicalizzazione
delle masse Hutu.
1.5 Gli Accordi di pace di Arusha
Nel 1992 una delegazione composta dai membri dei partiti MDR, PSD e PL si riunì,
nonostante il pericolo di essere accusati di tradimento, con gli esponenti del RPF per discutere
su un possibile cessate il fuoco.
I ribelli del RPF erano riusciti a conquistare dei terreni nel nord del Rwanda e potevano così
operare all’interno del territorio rwandese.66 Il 14 luglio grazie alle intermediazioni dell’OUA
le parti contraenti firmarono un primo “cessate il fuoco”. Fu stabilito l’inizio delle trattative
per degli accordi di pace ad Arusha in Tanzania. Oltre ai diretti interessati, dovevano
partecipare alle trattative anche le delegazioni delle Nazione Unite, del Belgio, della Francia,
degli Stati Uniti e della Germania.
Habyarimana e il suo partito del MRND continuarono a bloccare gli accordi annullando ad
esempio le proposte per la formazione di nuovo parlamento, al quale avrebbero dovuto
partecipare tutti i partiti (tranne la CDR) ed anche l’RPF. Inoltre i membri del MRND insieme 64 Prunier Gèrard, op. cit., pp. 137 - 138 65 Ibidem 66 Harding Leonhard (a cura di), op. cit., p.118
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al CDR organizzarono delle dimostrazioni a Kigali e nelle città più grandi contro il risultato
degli accordi di pace di Arusha.
La paura maggiore degli estremisti Hutu era quella di perdere il predominio totale che
avevano acquisito nella vita sociale ed economica. Come evitare la perdita del potere se la
pace ed il pluralismo politico sarebbero diventati l’ordine del giorno in Rwanda?
Per gli estremisti c’era soltanto una risposta possibile la quale non poteva essere altro che
radicale: se i nuovi sviluppi avessero messo in pericolo lo status quo questi avrebbero dovuto
essere combattuti e distrutti rischiando anche la condanna da parte dell’opinione
internazionale.67
L’opinione e la reazione della comunità internazionale non andava sopravalutata. Ad esempio
la Francia non nascose mai il suo appoggio per il regime di Habyarimana mentre gli altri paesi
dell’OECD mostrarono sempre scarso interesse per il caso rwandese come anche il governo
statunitense dichiarò che le sue relazioni con il Rwanda sarebbero state eccellenti e che non
esistevano casi di abusi contro i diritti umani dell’esercito rwandese.68
L’8 febbraio 1993 l’RPF, sostenendo di volere impedire nuovi massacri contro i Tutsi, ruppe
il cessate il fuoco ed iniziò così una nuova offensiva militare contro l’esercito rwandese.
In pochi giorni i soldati del RPF avanzarono fino a arrivare a 25 km da Kigali, dove l’esercito
regolare FAR grazie al massiccio supporto di truppe francesi riuscì a fermare l’avanzata dei
ribelli. La Francia nel frattempo aumentò il suo contingente per arrivare a circa 700 soldati
che sostenevano la gendarmeria locale, la guardia presidenziale e l’Interahamwe
nell’addestramento di nuove reclute69. Inoltre a Habyarimana era stato concesso un
consigliere militare “privato”.
Prima che l’Accordo fosse stato firmato, la Francia rinforzò il suo contingente di 150 soldati
per essere in grado di intervenire qualora fosse accaduto qualcosa d’inaspettato.70
Secondo le analisi di alcuni studiosi (si vede Gèrard Prunier) è molto probabile che la Francia
senza rendersi conto abbia addestrato dei membri appartenenti alle milizie Intarahamwe e
Impuzamugambi (milizia del partito CDR). La Francia ufficialmente negava sempre questo
fatto (senza però mostrare delle prove contrarie) anche se delle testimonianze provano questo
la partecipazione attiva e il Presidente francese Mitterrand in Rwanda era sopranominato
come “Mitterahamwe”. Tutto ciò non aiutò a disperdere le voci di un sostegno attivo dei
soldati del governo francese. 67 Prunier Gèrard, op. cit, pp. 161 - 162 68 Human Rights Watch Arms Project, „Arming Rwanda: The Arms trade and Human Rights abuses in the Rwandan war“, Vol. 6, Issue I, 1994, p. 21, http://www.hrw.org/en/reports/1994/01/01/arming-rwanda 69 Melvern Linda, op. cit., p. 101 70 Ibidem
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Nell’edizione del giornale Kangura dove il giornalista Hassan Ngeze pubblicò i dieci
comandamenti degli Hutu (di cui l’ottavo vietava il matrimonio di Hutu con Tutsi71) c’era la
pubblicazione ufficiale della foto del presidente francese con il titolo in Kinyarwanda: “è nei
tempi difficili dove si capisce chi si sono gli amici veri”.72 (Kangura, edizione Nr. 6 del
1990).
Nei vari rapporti emanati dell’Assemblea nazionale francese si parla di un aiuto decisivo
dell’esercito francese senza il quale i ribelli del RPF avrebbero raggiunto Kigali e sarebbero
riusciti a prendere il potere.
Il 9 marzo dello stesso anno si raggiunse un nuovo “cessate il fuoco” e grazie al continuo
intervento del Presidente della Tanzania Ali Hassan Mwinyi, le parti contraenti tornarono al
tavolo degli accordi di pace.
Dopo mesi di dibattiti e discussioni il 4 agosto del 1993 si raggiunse un accordo di pace che
sarebbe stato firmato da ambedue le parti. Anche se la firma del presidente Habyarimana
avvenne soltanto dopo l’enorme pressione della Francia e della Banca Mondiale che
minacciavano di bloccare tutti gli aiuti economici al Rwanda.73 Habyarimana, dopo la
sostituzione dell’ambasciatore francese in aprile 1993 e l’elezione di un nuovo premier in
Francia (Edouard Balladur), perse due storici amici e sostenitori del suo regime.
L’accordo di pace fu festeggiato dalla comunità internazionale per essere stato raggiunto con
il forte impegno dell’OAU74. Le Nazioni Unite promisero di sorvegliare l’accordo e di
mandare proprie truppe di pace. I punti più importanti dell’Accordo di pace erano:
1. Implementazione di un governo provvisorio (“Broad – Based Transitional Government,
BBTG); che doveva essere composto dal MRND (5 ministeri), il RPF (5 ministeri compresa
la nuova figura introdotta del vice - premier), il MDR (4 ministeri compreso la carica del
Premier), il PSD (3 ministeri), il PL (3 ministeri) e il PDC (1 ministero). Non era prevista una
partecipazione al governo provvisorio del partito estremista Hutu CDR.
In questo governo, infatti, avrebbero dovuto equilibrarsi e forze dei tre poteri: Habyarimana e
il suo gruppo, l’RPF e un blocco di ministri di altri partiti.
2. La creazione di una zona demilitarizzata (DMZ) nel nord del paese la quale doveva fungere
da zona di cuscinetto tra i due eserciti coinvolti.
71 Mamdani Mahmood, op.cit., p. 190 72 Ibidem. 73 Des Forges Alison, op. cit. p. 161 74 Organisation de l’Unitè Africaine
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3. L’unificazione dei due eserciti che prevedeva che le cariche di ufficiali sarebbero state
divise a metà e che il numero dei soldati sarebbe stato diviso con una relazione 60:40 a favore
dell’esercito FAR. Il nuovo esercito sarebbe dovuto essere composto di un numero di circa
19mila soldati e 6mila membri della polizia nazionale. Di conseguenza sia l’esercito FAR
(che insieme alla polizia nazionale arrivava a ben oltre 30mila membri) che l’RPF (circa 20
mila soldati) avrebbero dovuto licenziare una grande parte del personale militare.75
4. Il permesso per tutti i rifugiati di tornare in Rwanda.
L’unica restrizione era che solo chi aveva lasciato il paese negli ultimi dieci anni avrebbe
avuto diritto a riavere la proprietà lasciata.
Habyarimana doveva rimanere in carica come Presidente del paese nonostante la perdita
notevole del suo potere e quello del partito del MRND. Una gran parte delle competenze
governative sarebbe passata al Consiglio dei Ministri che poteva emanare delle leggi con una
maggioranza di due terzi, cosa che permise all’opposizione di emanare leggi anche senza il
consenso del MRND.
La tripartizione del potere tra le varie parti avrebbe dovuto impedire che un’unica forza
potesse opporsi alle elezioni e una possibile pace definitiva.
Per motivi di sicurezza (si voleva garantire ai politici del RPF di poter svolgere le loro
attività) fu concesso uno stazionamento di un battaglione di 600 soldati del RPF a Kigali.
Il’RPF inoltre chiese il ritiro totale delle truppe francesi e, insieme ai suoi contraenti, chiese
un mandato di truppe dell’ONU. Pochi mesi dopo il Consiglio di sicurezza dell’ONU ha
concesso il mandato per mandare delle truppe che dovevano sorvegliare la pace
(“peacekeeping forces” - UNAMIR)
1.5.1 Gli avversari degli accordi di pace
La gente comune festeggiò il risultato dell’Accordo di pace; i radicali, estremisti Hutu invece
avevano aumentato la pressione contro le ordinanze dell’accordo. Nei giorni successivi alla
firma dell’Accordo i servizi segreti belgi misero in guardia il governo belga sul pericolo di
dimostrazioni, scontri e attentati a Kigali e nelle varie città del Rwanda. Gli accordi di pace
suscitarono un grande malcontento tra i soldati dell’esercito rwandese e tra molti civili. I
soldati erano contrari ai risultati degli accordi perché questi implicavano grandi licenziamenti
tra il personale semplice ma anche tra i tanti ufficiali che temevano di perdere la loro
posizione. Il colonnello Thèoneste Bagosora era il portavoce di tutti coloro che erano a rischio
75 Des Forges Alison, op. cit., 162
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di perdere la loro carica. Egli era il grande avversario dell’accordo e accusò tutti gli Hutu che
lo avessero accettato e firmato, di essere degli
opportunisti. Per Bagosora, che durante le trattative per gli accordi di pace fu visto parecchie
volte ad Arusha76 (egli voleva “buttare un occhio” sugli avvenimenti) anche il presidente
Habyarimana fece parte del gruppo degli opportunisti.77
Casi esemplificativi per la pressione e il potere degli estremisti Hutu furono: la fuga del
portavoce del governo, il Ministro della Difesa Gasana fu minacciato e scappò in Svizzera; il
Ministro degli Esteri Ngulinzira, che dopo l’Accordo di pace era rientrato in Rwanda, fu uno
dei primi ad essere assassinato in aprile 1994.
1.5.2 La radicalizzazione delle masse Hutu
Dall’inizio del processo di democratizzazione alla fine degli anni ottanta l’èlite rwandese
intorno all’akazu cercò con tutti i mezzi disponibili di rimanere al potere. Gli attacchi dei
ribelli del RPF servivano per costruire un nemico comune da combatter; tutti gli Hutu
dovevano unificarsi e appoggiare il presidente per contrastare l’avversario principale. Gli
estremisti definivano l’invasione dei Tutsi come il tentativo di ricostruire le vecchie strutture
di dominio dell’epoca coloniale secondo cui gli Hutu sarebbero di nuovo diventati dei sudditi.
Testimoni e colpevoli del genocidio confermano che la propaganda degli estremisti Hutu ebbe
grande successo fra le masse Hutu, che riuscirono a far credere che i Tutsi sarebbero stati un
pericolo mortale e che la loro distruzione sarebbe stato un mero atto di autodifesa.78
1.5.3 Hutu Power (“Hutu Powa”)
Gli estremisti dell’akazu, del partito CDR e esponenti del MRND formarono un nuovo
movimento di nome Hutu Power con il chiaro intento di radicalizzare ulteriormente le masse.
Il loro obiettivo comune era la difesa del Rwanda dagli invasori esteri e dai loro aiutanti
rwandesi Tutsi.
Contrariamente alle teorie razziste di John Henning Speke e Arthur de Gobineau gli estremisti
definivano i Tutsi come razza aliena e non come gruppo etnico indigeno che doveva “sparire”
dal Rwanda.79 Questa visione differenziava la prima dalla seconda repubblica: Habyarimana
fino all’invasione del RPF parlava dei Tutsi come di un gruppo etnico e non di una razza,
76 Prunier Gèrard, op. cit., 163 77 Des Forges Alison, op. cit., p. 163 78 Documentario, „Tuez – les tous“, di Raphaël Glucksmann, Pierre Mezerette, David Hazan, Francia, 2004 79 Mamdani Mahmood, op. cit., pp. 189 - 190
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come una minoranza rwandese e non straniera. Per l’Hutu Power (detto “Hutu Powa”) gli
Hutu invece non rappresentavano soltanto la maggioranza ma anche tutta la nazione.
La nascita dell’Hutu Power che già negli anni ottanta stava diventando un’ideologia di massa
era una reazione immediata agli attacchi dei ribelli del RPF. L’invasione del 1990 cambiò
radicalmente il contesto social-storico del Rwanda. Per la prima volta, dopo le sommosse dei
Tutsi negli anni ’60, l’invasione del 1990 fece rinascere il pericolo di una forza Tutsi
all’interno del Rwanda.
Il ministro degli esteri Casimir Bizimungu, in un documento rivolto al corpo diplomatico
presente a Kigali, parlava di un possibile ritorno al lavoro forzato e alla schiavitù feudale.80
L’Hutu Power avrebbe dovuto impedire l’intento di Habyarimana di riabilitare i Tutsi come
minoranza etnica all’interno della società del Rwanda. L’obiettivo della loro propaganda era
di “re – razzializare” i Tutsi, come nel periodo coloniale e come nella Prima Repubblica di
Gregoire Kayibanda (1961 – 1973).81
Tramite un accurato programma di propaganda i membri dell’Hutu Power riuscirono ad
aumentare continuamente il numero di seguaci nella popolazione. Con ogni successo militare
e diplomatico del RPF cresceva il terreno fertile sul quale gli estremisti Hutu potevano
espandere il terrore dai Tutsi.
L’Hutu Power proclamò e propagò l’autodifesa e quando l’MRND nel 1991 fondò la propria
milizia, l’Interahamwe, numerosi giovani uomini si aggregarono. Secondo un Memorandum
del settembre 1991 redatto dal Ministero della difesa, una casa su dieci avrebbe dovuto essere
armata. Dopo i massacri a Bugesera nel marzo del 1992 dove gli Interahamwe avevano
partecipato per la prima volta, il giornale indipendente rwandese “Umuranga Mbangusi”
scrisse che la milizia era composta da killer militari ben addestrati. Si diceva che il governo
MRND stesse addestrando la milizia all’uso di machete, coltelli, nel rapinare gente e
l’assassinio di persone.82
Già durante la fase delle trattative per gli accordi di pace ad Arusha il movimento Hutu Power
aveva iniziato a mobilitare contro il Presidente Habyarimana il quale era accusato di avere
concesso troppo al RPF e l’opposizione. Inoltre tanti politici Hutu dell’opposizione avevano
lasciato i loro partiti per aggregarsi al movimento Hutu Power. All’interno dei tre partiti
d’opposizione più grandi si crearono delle frazioni “Hutu Power” che, nonostante le
differenze interne, rimasero nei partiti per non perdere le cariche concesse grazie agli accordi
80 Ibidem 81 Ibidem 82 Umuranga Mubangutsi, „Interahamwe, the source of Hutu refugees“, edizione nr. 9, 17 marzo 1992 http://www.lib.unb.ca/Texts/JCS/bin/get6.cgi?directory=vol20_1/&filename=Dorn.htm
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d Arusha. Anche se i membri del gabinetto appartenevano a vari partiti, gli estremisti Hutu
avevano raggiunto una larga maggioranza83.
Quando il nuovo governo del Primo Ministro Nsengiryaremye salì in carica uno dei primi
compiti richiesti al Presidente Habyarimana fu di riorganizzare la leadership dell’esercito con
lo scopo di eliminare gli estremisti più risoluti.
Alcuni dei colonnelli estremisti come Rwagafilita e Hakazimana sono stati licenziati. Il
Colonnello moderato Geogratias Nsabimana fu nominato come il nuovo Comandante
dell’Esercito e un altro moderato Marcel Gatsinzi divenne comandante della scuola militare
(giugno 1992). Comunque, lasciando in carica il Colonnello Ndindiliyimana come
comandante della Gendarmeria (polizia paramilitare rurale) e non riuscendo a liberarsi del
Colonnello Thèoneste Bagosora (che poi sarebbe stato accusato di essere uno dei protagonisti
del genocidio) la riorganizzazione dell’esercito è rimasta una farsa. Bagosora aveva degli
stretti legami con il clan di Madame Habyarimana ed i suoi tre fratelli che figuravano tra gli
uomini più potenti del Rwanda.84 Bagosora risucì ad ottenere la carica del Direttore dei
Servizi del Ministero della Difesa potendo così controllare tutte le azioni dell’esercito ed
essendo in questo modo alla fonte di tutte le informazioni.
A ottobre del 1992 il Professore belga dell’Università di Anversa Filip Reyntjens insieme al
Senatore Willy Kuypers organizzò una conferenza stampa nel Senato di Brussels per accusare
l’esistenza di un’organizzazione civile – militare con il sopranome “Zero Network”
intenzionata a fondare una squadra di morte secondo il modello latino americano. Secondo
vari testimoni questa squadra di morte avrebbe partecipato ai massacri di Bugesera (1992).
Tra i suoi leader, secondo il professore Reyntjens, spiccavano vari esponenti dell’akazu come
i tre fratelli (uno dei quali era l’ex prefetto della provincia di Ruhengeri Protais Zigiranyirazo,
nominato anche Monsieur “Z”85) di Madame Habyarimana, Pascal Simbikangwa (sembra che
a casa sua siano stato sviluppati i piani per i massacri ai Bagogwe e di Bugesera86), il
Colonello Elie Sagatwa (segretario personale del Presidente e sposato con una sorella del
Presidente), il Generale Maggiore Augustin Bizimungu, il Ministro degli esteri Casimir
Bizimungu, l’imprenditore Fèlicien Kabuga, il comandante dei servizi segreti, il comandante
della Guarda Presidenziale ed anche il Colonello Thèoneste Bagosora. 87 Sèraphin
Rwabukumba, il fratello minore di Agathe Knazinga fu il proprietario dell’impresa “La 83 Prunier Gèrard, op.cit., p.197 84 Prunier Gèrard, op.cit., p.167-168 85 Des Forges Alison, op.cit., p. 71 86 Melvern Linda, op.cit., p. 42 87 Ibidem
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Centrale” (Importazioni e esportazioni) e lavorava nel reparto estero della Banca Centrale del
Rwanda. Secondo alcuni rapporti di organizzazioni internazionali per la difesa dei diritti
umani lo Zero Network avrebbe avuto stretti contatti con i vertici della leadership politica.
Secondo la giornalista investigativa britannica Linda Melvern, ci sarebbero dei testimoni che
confermano che le squadre di morte avrebbero dovuto eliminare alti ufficiali dell’esercito e
politici che avevano partecipato ai vari massacri per il pericolo della loro testimonianza contro
il regime.
Il nome del Network Zero (“Rèsau Zèro”) avrebbe fatto riferimento al numero dei Tutsi che
gli estremisti volevano lasciare in vita. Le squadre di morte erano delle cellule specializzati
agli ordini dei cd. “draghi”, cioè coloro che indicavano i nominativi delle persone che
dovevano essere uccise. Esse venivano anche chiamate abakuzi (termine che in Kinyarwanda
viene utilizzato per buoni lavoratori).88
1.5.4 Il ruolo dei media
All’inizio del 1990 in Rwanda uscì per la prima volta la rivista “Kangura” (che in
Kinyarwanda significava “svegliare gli altri”). L’iniziativa venne da Madame Agathe
Kanzinga e l’akazu e, in breve, diventò per gli estremisti lo strumento pubblicitario più
efficace (altri organi estremisti erano “l’Umrava Magazine”, ’l’Echo des milles collines”,
“Kamarampaka”). Kangura era redatto sia in Kinyarwanda, che in lingua francese e
nonostante solo il 30% della popolazione rwandese sapesse leggere, Kangura riuscì a
raggiungere tutte le persone. Le novità presentate venivano lette in pubblico e le illustrazioni
erano fatte in modo da essere comprensibili per chiunque. Dato lo stretto contatto dei
giornalisti con le autorità, i Ministeri, l’esercito ed i servizi segreti, Kangura era sempre
ottimamente informato ed in poco tempo divenne uno strumento informativo molto credibile.
Tutti parlavano degli articoli di Kangura e durante le manifestazioni dell’Interahamwe si
recitava dalla rivista; Kangura sapeva chi doveva essere incarcerato o ucciso89.
L’editore della rivista era Hassan Ngeze90, un demagoga ed ex venditore di bevande
analcoliche91, che con i suoi articolo era capace di mobilitare le masse contro i Tutsi e Hutu
moderati. Uno dei suoi articoli più famosi fu pubblicato nel dicembre 1990 e portava il titolo
“I dieci comandamenti”, un richiamo alla coscienza Hutu.92 I Batutsi in questo scritto
88 Melvern Linda, op.cit., p. 47 89 Ibidem 90 Hassan Ngeze nel dicembre 2003 fu dichiarato colpevole e condannato all’ergastolo per sobillazione al genocidio dalla Corte di Giustizia Internazionale per il Rwanda. 91 Rusesabagina Paul, Ein gewöhnlicher Mensch, Berliner Taschenbuchverlag, Berlin, 2006, p.90 92 Chrètien Jean – Pierre, „The Great Lakes of Africa“, Zone Books, New York, 2006, p. 323
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venivano accusati di essere assetati di sangue e di utilizzare due armi contro i Bahutu: il
denaro e le donne (da qui deriva il divieto chiesto da Ngenze per gli Hutu di sposarsi con le
donne Tutsi). Il contenuto del quinto e del sesto dei comandamenti riportava quanto segue: le
cariche strategiche, politiche ed amministrative e i ranghi militari più elevati dovevano essere
riservati ai Bahutu così come anche l’istruzione doveva essere nelle mani di quest’ultimi93.
Ciò che colpiva in questa fase fu la ripresa di un discorso che aveva nel passato i suoi punti di
forza. Attraverso la storia scritta prima e il discorso politico poi, gli Hutu erano riusciti a
legittimare un noi-Hutu, che essi definivano nei termini di popolazione-nazione rwandese94.
Nel 1993 Kangura pubblicò un’immagine del primo presidente Kayibanda vicino a una falce
enorme che simbolizzava una vocazione dell’enorme potere degli Hutu. Il conflitto tra Hutu e
Tutsi, secondo Kangura, sarebbe stato inevitabile e razziale e doveva avere assoluta priorità.
Per illustrare l’importanza del discorso vengono riportate le parole di Kangura (1992): …
Riscoprite la vostra etnicità. Voi siete un importante gruppo etnico all’interno del grande
raggruppamento dei Bantu. La nazione è artificiale, ma l’etnicità è qualcosa di naturale.95
La storia del Rwanda veniva letta come il conflitto tra Hutu e Tutsi (qui possiamo trovare dei
parallelismi con l’ideologia e la visione della storia dei nazionalsocialisti). La propaganda
estremista di Kangura venne diffusa in Burundi dove si distribuiva una copia internazionale
della versione rwandese. Inoltre molti organi ufficiali come ad esempio quello del partito
MRND del presidente Habyarimana, riprendevano i discorsi di Kangura e li pubblicavano a
loro volta.
Il ruolo più importante nella radicalizzazione delle masse può essere attribuito alla radio. Nel
1990 la stazione radio statale Radio Rwanda iniziò ad emttere delle trasmissioni di odio
contro i Tutsi. Ferdinand Nahimana, un professore di storia e direttore dell’ufficio
d’informazione statale Rwandese, trasmise una dichiarazione nella quale venivano fatti i nomi
di presunti collaboratori del RPF i quali dovevano essere uccisi. La trasmissione diede inizio
ai massacri di Bugesera.
Nel 1992, Ferdinand Nahimana e Joseph Serugend (ex tecnico radiofonico e membro
dell’Interahamwe96), con l’aiuto dei membri dell’akazu, fondarono la stazione radio RTLM
(Radio Télèvison Libre des Milles Collines) che trasmise per la prima volta nell’agosto 1993.
Le trasmissioni, rispetto a quelle statali, erano divertenti, facevano ridere e davano alla gente
93 Fusaschi Michela, op. cit., p.154 94 Ibidem, p.155 95 Chrètien Jean – Pierre, op.cit., p.324 96 Melvern Linda, op.cit., p. 70
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comune quello che volevano sentire in una versione più moderna. RTLM in breve diventò una
fonte importantissima per gli estremisti per diffondere l’odio contro i Tutsi. I due moderatori
più famosi del RTLM erano Giorges Ruggiu (accusato e condannato a 12 anni di prigione) e
Valèrie Bemeriki. Il Ministro dell’Informazione Faustin Rucogoza moderato, si appellò ai
responsabili della stazione Radio per fermare i programmi che diffondevano l’odio razziale
ma nessuno rispose mai alle sue accuse in considerazione anche del fatto che la stazione radio
aveva dei patroni potenti. Uno degli azionisti maggiori era il Presidente Habyarimana stesso
(altri azionisti erano Thèoneste Bagosora ed anche il cantante rwandese più famoso Simon
Bikindi).97 Durante il genocidio, RTLM è diventò lo strumento di comunicazione più
importante per gli assassini; i suoi moderatori,informati direttamente dall’Interahamwe,
emettevano le liste delle persone che dovevano essere perseguitate ed uccise.
Il generale Romèo Dallaire, comandante dei caschi blu dell’ UNAMIR, all’inizio del
genocidio chiese parecchie volte alla sede centrale di New York l’autorizzazione di
distruggere i trasmettitori della stazione radio. Le Nazioni Unite a loro volta inviarono la
richiesta agli Stati Uniti i quali però, a causa dei costi troppo elevati per il volo dell’aereo
militare (quotato con 8500 dollari all’ora) e con la scusante di non volere violare la sovranità
nazionale del Rwanda, non appoggiarono la richiesta di distruzione. Secondo Dallaire, il
Pentagono non avrebbe voluto investire i fondi necessari all’eliminazione dei trasmettitori
nonostante ogni giorno venissero uccisi tra gli 8 e 10mila rwandesi. 98
1.5.5 L’armamento delle milizie e l’insuccesso delle trattative di Arusha
Durante le trattative di Arusha il governo rwandese continuò con il massiccio acquisto di
armi. Un paese leale al Rwanda era l’Egitto (con il quale solo tra il 1990 e 1993 furono
stipulati otto accordi segreti per l’acquisto di armi). 99 Altri accordi per la fornitura di armi
furono presi con la Francia (che secondo le liste ufficiali superavano il valore di 3 milioni di
Euro annui), il Sudafrica e l’Israele.
Tra il 1992 e 1994, la ditta cinese di Pechino Oriental Machinery Incorporated vendette oltre
mezzo milione di falci; uno degli importatori più grandi era la ditta dell’imprenditore Fèlicien
Kabuga il quale era anche uno dei finanziatori della stazione radio RTLM. Mentre l’economia
rwandese stava per crollare, la disoccupazione e il malcontento soprattutto tra i giovani che
vivevano nei sobborghi di Kigali aumentavano rapidamente. Bisogna analizzare l’enorme
97 Melvern Linda, op.cit., pp. 70-72 98 Dallaire Romèo, „Shake hands with the devil, The failure of humanity in Rwanda”, Carroll & Graf Publishers, New York, 2003, p. 375 99 Melvern Linda, op.cit., p. 74
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distribuzione di armi e il loro facilissimo accesso in questo contesto (sul mercato nero le
bombe a mano costavano 3 dollari ed una falce aveva il prezzo di un dollaro).100
Il numero delle reclute delle milizie cresceva costantemente e, secondo alcune stime, solo nel
1993 furono distribuiti oltre 85 tonnellate di munizione. Nel triennio che va dal 1990 al 1993
il Rwanda, uno dei paesi più poveri del mondo, divenne il terzo importatore di armi in Africa
(con un valore degli acquisti annui pari a circa 100 milioni di dollari). I fondi venivano in
gran parte da contributi internazionali.
Nel 1990 il Rwanda fu costretto ad accettare il programma di aggiustamento strutturale
imposto dalla Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale che metteva la gestione
dell’economia rwandese nelle mani delle istituzioni internazionali, le quali concessero circa
216 milioni di dollari di aiuti finanziari (una grande parte di queste venivano dalla Comunità
Europea e dagli Stati Uniti).101
Nonostante i membri della Banca Mondiale avessero visitato parecchie volte il Rwanda e lo
stesso Presidente della Banca Mondiale avesse criticato il governo per l’elevata spesa militare,
i fondi finanziari non vennero mai bloccati. Il presidente Habyarimana rispondeva alle critiche
giustificando l’aumento della spesa militare come investimento necessario a causa della
guerra contro il RPF e per la difesa contro un’eventuale invasione da parte del vicino Uganda.
Nel 1993, alla domanda del vescovo di Nyundo che chiedeva spiegazioni al governo per la
massiccia distribuzione di armi, fu risposto che il Rwanda, non avendo abbastanza soldati per
la difesa, era costretto ad armare la popolazione che avrebbe dovuto imparare ad
autodifendersi.102
1.5.6 L’assassinio di Melchior Ndadaye in Burundi
Nell’ottobre del 1993 la situazione in Rwanda si aggravò ulteriormente a causa di un evento
nel vicino Burundi dove, nel giugno dello stesso anno dopo una lunga fase del processo di
democratizzazione, si erano svolte delle elezioni libere.
Il vincitore (con 64,8% dei voti) era l’Hutu moderato Melchior Ndadaye il quale diventò il
primo presidente Hutu nella storia del Burundi. Il 21 ottobre 1993 Ndadaye insieme ai suoi
collaboratori più stretti ed il Vice – Presidente dell’Assemblea Nazionale Gilles Bimazubute,
venne ucciso da ufficiali estremisti Tutsi che controllavano ancora grandi parti dell’esercito.
Le conseguenze immediate furono degli scontri violenti nel paese con circa 50 mila morti (di
cui, secondo alcune stime, 60% Tutsi e 40% Hutu) e 450 mila profughi: 150 mila Tutsi 100 Rusesabagina Paul, op.cit., p. 94 101 Melvern Linda, op.cit., p. 75 102 Melvern Linda, op.cit., p. 77
Werner Zanotti
37
cercarono rifugio nelle città controllate dall’esercito mentre gran parte dei 300 mila Hutu
fuggirono in Rwanda. All’assassinio seguirono reazioni violente in Rwanda con assassini di
numerosi Tutsi e Hutu moderati.103
L’omicidio di Ndadaye rinforzò la posizione degli estremisti in Rwanda e diede loro la
possibilità di aumentare la loro influenza nelle masse della popolazione Hutu e di
radicalizzare ulteriormente la loro opinione nei confronti dei Tutsi.
L’impatto psicologico per il Rwanda, causato dall’assassinio del presidente Hutu Ndadaye e il
conseguente arrivo di centinaia di migliaia di rifugiati (dal Burundi), fu fortissimo.
A Bujumbura, i ministri sopravvissuti dell’attentato, si rifugiarono nell’ambasciata francese
ad eccezione di due ministri che da Kigali, con l’appoggio di Habyarimana, cercarono di
creare un governo “libero”. La popolazione e i politici moderati attendevano a questo punto
un intervento della comunità internazionale il quale però non arrivò mai.
Alcuni giorni dopo l’omicidio, gli ufficiali responsabili dell’assassinio fuggirono in Zaire ed
Uganda e i militari di rango superiore espressero la loro lealtà al Primo Ministro Sylvie
Kinigi. La situazione si aggravò ulteriormente e, in pochi mesi, si arrivò a registrare oltre 100
mila morti.
A dicembre del 1993, dopo l’installazione dell’ex Ministro degli Esteri Sylvestre
Ntibantunganya a nuovo Presidente dell’Assemblea Nazionale e dopo le elezione del nuovo
Presidente, Cyprien Ntaryamira, la situazione in Burundi si tranquillizzò. Le Nazioni Unite,
rappresentate dal diplomato della Mauritania Ahmedou Ould Abdallah, riuscirono a fare da
intermediario fra i due partiti maggiori del Burundi: il FRODEBU (Front pour la Démocratie
au Burundi fondato nel 1986 e legalizzato nel 1993, partito dei sostenitori di Ndadaye) e
l’UPRONA (Union pour le Progrès National, Partito nazionalista del Burundi fondato nel
1961 e appoggiato in larga parte dalla popolazione Tutsi). Si è formò così un nuovo governo
con un Tutsi moderato quale Primo Ministro: Anatole Kanyenkiko.104
Il vicino Rwanda intanto scivolava in una situazione sempre più caotica visto che la data per
la composizione del nuovo governo transitorio, prevista dagli Accordi di Arusha, continuava a
essere rimandata e i partiti d’opposizione non riuscivano a trovare un accordo sui nomi dei
ministri. Inoltre Habyarimana con la collaborazione degli estremisti Hutu, riuscirono a
posticipare l’implementazione degli accordi raggiunti utilizzando tattiche di rallentamento.105
La situazione degenerava e ben presto si arrivò a degli scontri aperti tra i politici che, a loro
volta, causarono violenze nelle strade di Kigali. Dopo l’ennesimo fallimento 103 Prunier Gèrard, op. cit., p.199 104 Chrètien Jean – Pierre, op.cit., pp. 328-329 105 Prunier Gèrard, op. cit., pp. 202 - 205
Werner Zanotti
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nell’implementare un governo transitorio, il 22 febbraio 1994 fu ucciso il politico moderato
del Partito PSD (il secondo partito più grande dell’opposizione) Fèlicien Gatabazi. Gatabazi
in una sua relazione aveva accusato il Presidente Habyarimana di corruzione e la guardia
presidenziale di addestrare le milizie alla rivolta. Il giorno successivo alla morte di Gatabazi
Kigali era deserta e gli unici a circolare erano gruppi armati di falci.
I soldati delle Nazioni Unite, insieme alla polizia locale, riuscirono a controllare la situazione
e nel pomeriggio del giorno successivo come reazione punitiva all’assassinio di Gatabazi, il
leader del partito CDR, Martin Bucyana tornando da un viaggio a Butare venne linciato. La
reazione della milizia Impuzamgambi del CDR fu l’appello pubblico di dare la caccia a tutti i
complici dei ribelli Tutsi del RPF.
L’esercito e la gendarmeria non avevano più sotto controllo le milizie, le bande armate di
giovani e i soldati disertori106. In pochi giorni si registrarono 35 morti e oltre 150 feriti.107 Nel
nord del Rwanda si contavano ca. 40 Tutsi uccisi nella caccia iniziata dopo l’assassinio di
Bucyana.
La guerra civile in Rwanda era ormai “ante portas”. Mancava l’oscilla che avrebbe portato
all’esplosione del barile di polvere.
1.5.7 L’assassinio di Habyarimana
La sera del 6 aprile 1994 l’aereo del Presidente Habyarimana fu abbattuto nell’aeroporto di
Kigali durante la fase di atterraggio. A bordo c’erano i piloti francesi, i collaboratori stretti del
presidente, il Presidente Habyarimana ed il Presidente del Burundi. I responsabili
dell’attentato fino ad’oggi sconosciuti. Gli estremisti, così come la Commissione
Parlamentare francese costituita ad hoc, accusarono l’RPF e il suo leader Paul Kagame di
essere responsabile dell’attentato. Il RPF accusò a sua volta gli estremisti e le persone vicine
all’entourage del presidente.
Già nelle prime ore dopo l’assassinio, la guardia presidenziale iniziò con l’uccisione
sistematica dei leader dell’opposizione Hutu e degli esponenti politici Tutsi. I blocchi stradali
a Kigali organizzati dall’esercito, ne impedivano la fuga.
La guerra civile ebbe così il suo inizio.
106 Melvern Linda, op.cit., p. 136 107 Prunier Gèrard, op. cit., p. 206
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39
2. Il genocidio e la situazione politica fino al 2003
“The biggest crime of all is that we weren’t able to keep it from happening”.108
2.1 Il genocidio
Il termine genocidio fu coniato da Raphael Lemkin (un emigrato ebreo polacco) per
descrivere l’intento dei nazisti di sterminare tutti gli ebrei e i Rom dell’Europa. Dopo lunghi
dibattiti il 09 dicembre 1948 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite adottò la
Convenzione per la prevenzione e repressione del delitto del genocidio (“Convenzione ONU
sul Genocidio”)109. La definizione di genocidio venne data nell’articolo 2 della Convenzione:
di genocidio si parla quando c’è l’intento di distruggere, in parte o in maniera totale, un
gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso. Il genocidio supera l’assassinio o i crimini
contro l’umanità. L’obiettivo del genocidio è di sterminare parzialmente o interamente una
determinata categoria di essere umani per il semplice fatto di essere o rappresentare se stessi.
Il genocidio è inteso come soluzione finale, come intento di estinguere un gruppo di persone
che non può più essere tollerato come tale110.
Mentre per quarant’anni la Convenzione sul genocidio rimaneva una semplice formalità nel
diritto internazionale, i casi di Cambogia, le atrocità nella Guerra dei Balcani, del Rwanda e
della regione dei Grandi Laghi cambiarono radicalmente la situazione. Il genocidio cominciò
a fare parte dell’agenda della comunità internazionale. Dal Consiglio di Sicurezza delle
Nazioni Unite furono istituiti dei Tribunali Internazionali per esaminare i Crimini di guerra
dell’ex Jugoslavia a Den Haag in Olanda e del Rwanda ad Arusha in Tanzania.
Il Tribunale di Arusha fu il primo tribunale ad accusare e condannare una persona per il
crimine di genocidio. Jean Kambanda che era il Primo Ministro del Rwanda durante il 108 Dallaire Romèo, „Shake hands with the devil, The failure of humanity in Rwanda”, Carroll & Graf Publishers, New York, 2003 109 La Convenzione è entrata in vigore il 12 gennaio 1951.
110 Art. II: Nella presente Convenzione, per genocidio si intende ciascuno degli atti seguenti, commessi con l'intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religiose, come tale: (a) uccisione di membri del gruppo; (b) lesioni gravi all'integrità fisica o mentale di membri del gruppo; (c) il fatto di sottoporre deliberatamente il gruppo a condizioni di vita intese a provocare la sua distruzione fisica, totale o parziale; (d) misure miranti a impedire nascite all'interno del gruppo; (e) trasferimento forzato di fanciulli da un gruppo ad un altro.
http://www.iureconsult.com/areeatema/il_diritto_militare/convenzione_onu_sul_genocidio/index.htm
Werner Zanotti
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genocidio, fu la prima persona a essersi dichiarato colpevole per crimine di genocidio davanti
ad un Tribunale Internazionale.
Diversi critici sottolineano il fatto che la Convenzione sul genocidio abbia fallito soprattutto
nella prevenzione dal genocidio stesso, perché prevede che gli stati firmatari siano obbligati
ad intervenire quando si parla di genocidio. Paradossalmente, fu proprio questo obbligo di
intervenire che fece evitare a tanti stati di definire la catastrofe in Rwanda come genocidio.
Quello che manca è un meccanismo automatico che prevede un’azione immediata ed
appropriata per prevenire l’umanità da simili atrocità. Al momento la Convenzione è soltanto
reattiva, cioè prevede l’intervento obbligatorio quando il genocidio è già in atto. La
convenzione non prevede la possibilità di agire in maniera preventiva. Quando si affermano
atti di genocidio, la Convenzione di Ginevra conferisce a tutti gi stati firmatari la possibilità di
richiedere alle Nazioni Unite di intraprendere azioni appropriate. Ma, come ben illustra il caso
del Rwanda, tali azioni non si mostrarono appropriate per fermare le violenze.
Secondo il rapporto della Commissione d’inchiesta delle Nazioni Unite111 non vi è alcun
dubbio che in Rwanda si verificò un caso di genocidio.
Ogni parte del sistema internazionale, in particolare il Segretario Generale, il Segretariato, il
Consiglio di Sicurezza e gli stati membri delle Nazioni Unite devono assumersi le proprie
responsabilità nel fallimento della comunità internazionale nel caso del Rwanda.
2.2 Il genocidio in Rwanda
I fatti accaduti in Rwanda sono del tutto attribuibili al gruppo degli Hutu il quale fu guidato da
una cerchia ristretta di estremisti che aveva pianificato di eliminare i Tutsi: ogni singolo
cittadino aveva dichiarato nel proprio passaporto l’appartenenza ad uno dei due gruppi etnici.
L’obiettivo era di eliminare sistematicamente tutto il gruppo dei Tutsi. In 100 giorni morirono
circa 800 mila persone pari al 10% della popolazione oppure in altri termini circa 8mila
persone al giorno.
Gli ufficiali militari dell’esercito rwandese presero in mano il potere subito dopo
l’abbattimento dell’aereo presidenziale di Habyarimana e negarono il consenso alla proposta
fatta dal comandante dell’UNAMIR, il generale Romèo Dallaire, di mettere in carica come
nuovo presidente la premier Madame Uwilingiyimana. La premier era in diretto pericolo e
chiese di essere protetta da una scorta più numerosa.112 Il responsabile politico delle Nazioni
111 UN, Report of the Independent Inquiry Into the Actions of the United Nations During the 1994 Genocide in Rwanda, 1999, www.un.org 112 Des Forges Alison, op. cit., p.230
Werner Zanotti
41
Unite Booh Booh però dovette informare la premier che la leadership militare del Rwanda
non avrebbe mai accettato la sua leadership.
Uwilingiyimana fu capace di nascondersi dai soldati della Guardia Presidenziale insieme a
suo marito nella casa dei suoi vicini dove però fu scoperta e uccisa insieme ad altre due
persone la mattina del giorno successivo. I 15 soldati UNAMIR che dovevano proteggere la
casa della Premier furono fermati da soldati dell’esercito rwandese. Mentre i 5 soldati ghanesi
della scorta vennero liberati, i dieci soldati del contingente belga furono ammazzati dopo una
lunga sparatoria a poche centinaia di metri dalla centrale dell’esercito regolare del Rwanda.
Nel frattempo il colonnello Thèoneste Bagosora convocò gli ufficiali più alti dell’esercito per
dibattere sulla creazione di un governo provvisorio. Mentre Bagosora volle instaurare un
governo militare sotto la sua guida, gli ufficiali volevano essere solo d’appoggio ad un
governo provvisorio civile.
Lo stesso giorno furono eliminati i due candidati presidenziali dell’opposizione: Fèlicien
Ngango del PSD e Leopold Ndasingura del PL. Oltre a questi alti esponenti politici le guardie
presidenziali e le squadre di morte uccisero anche il Presidente della Corte Costituzionale
Joseph Kavaruganda.
Nel giro di poche ore furono uccisi tutti i candidati politici che avrebbero potuto guidare un
governo provvisorio. Anche se Bagosora non riuscì ad instaurarsi come Presidente
provvisorio fu molto efficacie nell’eliminare tutti gli avversari politici.113
Dopo l’esperienza del fallimento della missione delle Nazione Unite in Somalia nel 1993
(furono uccisi alcuni soldati americani a Mogadisho e il governo statunitense di Clinton ritirò
le truppe americane e diede un parere negativo su ogni forma di intervento militare in
Rwanda) e dello scarso appoggio politico internazionale dell’UNAMIR, la strategia dei
hardliners - estremisti intorno a Bagosora - fu quella di far ritirare tutte le truppe belghe che
formarono il cuore del contingente dell’UNAMIR.
Gli ufficiali nominarono Thèoneste Sindikubwabo come Presidente provvisorio che rimase
però soltanto una marionetta nelle mani dei militari. L’intero governo provvisorio fu
composto da persone del MRND che sarebbero state facili da controllare dai militari e sotto
pressione dell’Hutu Power. I promotori del genocidio furono in larga parte dei militari come
Bagosora il quale dopo la morte di Elie Sagatwa (il fratello della moglie di Habyarimana
ucciso durante l’abbattimento dell’aereo presidenziale) aveva ottenuto il controllo sulla
Guardia Presidenziale, sui paracomandi e sui servizi segreti (con un numero complessivo di
oltre 2mila soldati esperti e ben attrezzati).
113 Des Forges Alison, op.cit., p. 234
Werner Zanotti
42
Fino all’11 aprile furono uccisi ca. 20mila rwandesi, quasi tutti dalle forze militari speciali.
Radio RTLM chiese ad ogni singolo Hutu rwandese (pochi mesi prima dell’esplosione della
violenza il governo rwandese distribuì gratuitamente delle radio alla popolazione) di
aggregarsi alle milizie Hutu: furono sparse delle liste che contenevano i nomi di coloro che
dovevano essere uccisi. Prima del genocidio tutti i dati degli abitanti dei vari distretti furono
registrati in maniera molto accurata e con questa lista fu possibile eliminare sistematicamente
tutti i Tutsi. I sindaci che seguirono gli ordini dei militari informarono i loro impiegati di
mobilitare gli abitanti per partecipare al genocidio. Il genocidio non fu una guerra tribale
caotica e non controllabile come veniva definito al tempo dai media internazionali, ma venne
caratterizzata da un grande ordine e organizzazione.
RTLM rendeva pubblico quotidianamente quali persone dovevano essere uccise e dove
abitavano e i sindaci che non si attennero agli ordini furono eliminati. Le squadre di morte
furono appoggiate da tanti volontari che, in compenso, ricevevano aiuti economici (cibo e
birra). La propaganda dell’Hutu Power riuscì con tutti i mezzi disponibili ad accrescere nella
popolazione Hutu l’odio verso i Tutsi; in pochissimo tempo si arrivò ad una realtà nella quale
l’uccidere il vicino Tutsi per gli Hutu era l’unica possibilità di salvezza: si creò in tal modo
una necessità esistenziale per gli Hutu di ammazzare i Tutsi.114
Nei media rwandesi, uccidere degli “scarafaggi” fu descritto come necessario e vitale per la
sopravvivenza degli Hutu. La stessa situazione si verificava anche in Burundi dove
l’assassinio del Presidente Hutu Melchior Ndadaye nel 1993 peggiorò ulteriormente la
situazione fomentando l’odio degli Hutu per i Tutsi.
Oltre a questi eventi straordinari anche le circostanze socioeconomiche, notevolmente
peggiorate negli anni Novanta, contribuirono alla situazione di malumore generale nella
popolazione. La guerra civile tra RPF e l’esercito rwandese provocò numerosi profughi
(interni) che vissero in condizioni di grande precarietà e povertà. Anche le scarse prospettive
dei giovani possono essere elencate come motivo per l’altissima partecipazione all’assassinio
collettivo. Molti giovani a causa della disoccupazione crescente non avevano un futuro e il
monopolio della vita politica fu detenuto da una ristretta minoranza. Come se non bastasse, la
democrazia era diventata “etnocrazia”, nepotismo e corruzione erano diffusamente utilizzati
dal governo.
Il processo di democratizzazione iniziato con gli Accordi di pace di Arusha più che
tranquillizzare la popolazione e dare delle nuove speranze per il futuro ne fece accrescere la
114 Welzer Harald, Täter. Wie aus ganz normalen Menschen Massenmörder werden., S. Fischer, Frankfurt am Main, 2005, p. 230
Werner Zanotti
43
paura ed i dubbi. Tutti questi aspetti però non sembravano essere abbastanza importanti per
spiegare la trasformazione della gente comune in assassini.
Il retroscena socio – psicologico è fondamentale nell’analisi di un paese che fu travolto da un
genocidio e che ne uscì con una struttura sociale totalmente distrutta. Il sociologo – psicologo
tedesco Harald Welzer raggruppa la volontà generale di uccidere in cinque elementi
sociopolitici:
- Il pericolo di essere ucciso viene fantasticato. Per questo motivo si cerca di anticipare
il nemico immaginario.
- La situazione tra Hutu e Tutsi fu caratterizzata dall’estrema volontà di uccidere. La
brutalità dell’uccidere aumenta, quando si tratta di difendere la propria identità.
- Uccidere è definito come lavoro e per cui viene anche praticato come tale.
- La struttura amministrativa prestò le condizioni per l´uccisione di massa. Nel caso del
Rwanda furono utilizzate le strutture dell’amministrazione esistente.
- Gli autori dell’assassinio collettivo furono convinti che l’agire sarebbe stato giusto e
avrebbe avuto senso. Per la maggioranza Hutu era un’azione normale perchè praticata
da tutti.
2.3 La comunità internazionale e il fallimento dell’UNAMIR
La decisione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite del 1993 di mandare una piccola
missione per la pace in Rwanda e di lasciarli lavorare in delle condizioni nemiche fu visto in
retrospettiva un errore. L’UNAMIR (United Nations Assistance Mission for Rwanda) che fu
fondata per sorvegliare il passaggio del Rwanda dalla dittatura monopartitica alla democrazia,
avrebbe avuto successo soltanto in delle condizioni molto favorevoli. Visto comunque la
situazione reale, il numero ridotto di soldati e il debole mandato, il successo della missione
era irrealizzabile. La scarsa reazione delle Nazione Unite non portava a dei risultati concreti e
inoltre incoraggiava gli estremisti a proseguire con la pianificazione e concretizzazione del
genocidio.
L’UNAMIR non aveva alcun mandato per intervenire attivamente nella guerra civile. Il
rapporto della Commissione d’inchiesta delle Nazione Unite115 parlava di un chiaro errore
delle Nazioni Unite per il fatto di non avere affrontato il pericolo del genocidio e per non
essere intervenuto in maniera corretta quando questo ebbe inizio. Kofi Annan che a dicembre
del 1996 venne nominato come nuovo Segretario Generale delle Nazioni Unite ammise di
115 UN, Report of the Independent Inquiry Into the Actions of the United Nations During the 1994 Genocide in Rwanda, 1999, www.un.org
Werner Zanotti
44
essere colpevole per il fallimento della missione delle Nazioni Unite e chiese ufficialmente
scusa.
Quando il genocidio ebbe inizio nell’aprile 1994 avrebbe dovuto essere subito condannato
dalla comunità internazionale e la missione dell’UNAMIR avrebbe dovuto essere rinforzata
da un maggior numero di soldati e avrebbe dovuto ottenere un mandato più forte che avrebbe
dato la possibilità di intervenire (in questo caso il mandato sarebbe stato di “peace
enforcement”). Quando a fine aprile del 1994 si potevano avere i primi numeri sul genocidio i
paesi delle Nazioni Unite avrebbero dovuto terminare tutti i rapporti diplomatici con il
Rwanda e avrebbero dovuto ritirare i loro rappresentanti diplomatici.
Dato lo scarso interesse della comunità internazionale comunque, gli estremisti e i
responsabili del genocidio si potevano sentire relativamente al sicuro e potevano continuare
con l’eliminazione sistematica della popolazione Tutsi e dell’opposizione Hutu116.
Alla presa del potere del RPF in Rwanda in 100 giorni sono stati ammazzati ca. 800mila
persone.
2.4 Il Rwanda tra il 1994 – 2003
A luglio del 1994 l’RPF prese in mano il potere in Rwanda. I partiti d’opposizione rimasti
avevano scarso peso politico. Solo il PL e l’MDR dimostrarono di essere delle alternative
valide al RPF. Il Premier Faustin Twagiramungu veniva dal MDR ma nel 1995, dopo conflitti
con l’RPF, dovette lasciare il paese. Il governo transitorio costituito dopo la fine della guerra
civile aveva l’obiettivo di unificare di nuovo la nazione; dato il suo insuccesso e in seguito
all’ennesima rottura e il ritiro del Presidente Bizimungu nel 2000, Paul Kagame il leader del
RPF prese definitivamente in mano il potere.
Il governo transitorio non era legittimato da alcune elezioni, ma si sentiva legittimato dal
genocidio e dalle sue conseguenze. L’RPF, che seguendo gli Accordi di Arusha divideva il
potere con gli altri partiti sin dall’inizio, era la potenza dominante nel governo e decisivo nelle
varie commissioni. L’RPF riuscì ad ingrandire negli ultimi nove anni del periodo transitorio il
suo potere; tutte le cariche importanti erano del RPF. Nel 2002 ad esempio, mentre i ministri
provenivano da partiti diversi, 12 dei 16 segretari generali dei vari ministeri erano del RPF;
gli altri 4 ministeri erano nelle mani dai politici del RPF. L’accordo reciproco tra i vari partiti
che prevedeva che non potessero essere reclutati nuovi membri, fu ignorato totalmente dal
RPF.
116 Melvern Linda, op. cit., p. 314
Werner Zanotti
45
L’RPF da sempre cercò di rompere i confini tra Hutu e Tutsi e di allontanarsi dall’essere un
partito della minoranza. Dopo la caduta del Primo Ministro Bizimungu nel 2000 si aprirono
dei conflitti all’interno del governo. Il conflitto si traeva tra i sopravvissuti del genocidio e tra
quelli che tornava dall’esilio ugandese. Con il nuovo governo tornarono in Rwanda anche
persone ricche che erano andate in esilio dopo la Rivoluzione Hutu e durante la prima e
seconda Repubblica. L’RPF veniva appoggiata soprattutto da queste nuove èlite. Nei primi
anni dopo il genocidio si notò che numerosi rwandesi appoggiavano il nuovo governo perché
questo garantiva sicurezza e stabilità.
I primi obiettivi del governo furono quelli di sviluppare un nuovo sistema di istruzione, di far
partecipare le nuove èlite al governo e accrescere la fiducia nei nuovi governanti.
Il secondo pilastro del governo del RPF fu la politica di sicurezza ed il totale controllo tramite
la sorveglianza militare (molto importante soprattutto nella prima fase post – genocidio). Nei
primi anni del governo transitorio, il Rwanda fu in pericolo a causa di attacchi dall’esterno.
Soprattutto negli anni tra il 1994 – 1998, ex miliziani e soldati dell’esercito rwandese
attaccarono il Rwanda usando i campi profughi come basi sicure per i loro attacchi. Nel 1996
le milizie dell’Interahamwe e soldati dell’ex Far si riunirono nel Congo per fondare ALIR
(Armee de Liberation d Rwanda) un esercito che nel 2001 contava oltre 12 mila soldati. Il
numero dei soldati dell’esercito del RPF in totale ammontava a circa 40mila elementi. Solo
dopo la chiusura dei campi profughi nel Congo nel 1996 sarebbe migliorata la situazione.
L’ALIR nel 1997 riuscì a penetrare per poco tempo nel territorio nord – ovest del Rwanda.
Un altro problema del post-genocidio fu il dissolvimento dell’ex esercito FAR; per reintegrare
i soldati nella società si attuò un programma di smobilitazione e reinserimento degli ex
combattenti (DDRRR) tramite il quale circa 15 mila soldati dell’ex FAR furono integrati con
successo nell’esercito del RPF.
Complessivamente si può affermare che, un aspetto elementare del governo fu il suo rapporto
con l’esercito. Tanti studiosi all’epoca definivano il regime di Kigali negli anni dopo il
genocidio come un regime militare perché la sua legittimità si basava unicamente sulla fine
del genocidio.
Paul Kagame che nel 2000 diventò presidente del Rwanda era un esponente militare, un fatto
che rese palese l’interdipendenza dei militari con la politica e la grande influenza dei primi
sulla seconda.
Il grande obiettivo della politica dopo il genocidio fu la difesa della pace, obiettivo che
sarebbe stato possibile tramite una politica di sicurezza coordinata tra militari, polizia e
servizi segreti. La stessa guerra nel Congo fu motivata con l’obiettivo di garantire la sicurezza
Werner Zanotti
46
interna in Rwanda anche se allo stesso tempo l’elite rwandese derubò sistematicamente il
territorio congolese sotto il suo controllo. Solo nel 2000 gli incassi dalla vendita di Coltano
del Congo raggiunsero gli 80 – 100 milioni di dollari (pari alla spesa totale del Ministero della
difesa del Rwanda)117 e secondo le stime delle Nazioni Unite il Rwanda tra il 1999 – 2000
guadagnò oltre 250 milioni di dollari dalle risorse minerali del Congo. Non per niente il
Rwanda fu definito un esercito con uno stato; nel Kivu (Nord-est del Congo) i soldati
rwandesi furono battezzati “soldati senza frontiere”.118
A garantire ordine e sicurezza nella popolazione, oltre all’esercito, doveva essere il nuovo
Local Defence Force (LDF) che in parte faceva ricordare le milizie del 1994 perché fu
fondato come milizia (nel 1994) e perché aveva il compito di essere d’ausilio all’esercito
regolare. Lo scopo iniziale fu di garantire sicurezza dai genocidari. Ogni distretto ebbe il suo
comandante che venne nominato dalla polizia. I membri di questa milizia parteciparono ad un
programma di addestramento (durata tre mesi) dell’esercito. Nel 1995 l’organizzazione venne
dissolta ma, dopo le sommosse nel 1997, venne di nuovo attivata; LDF.
L’altra riforma politica importante e profonda fu la decentralizzazione amministrativa. Il
Rwanda fu caratterizzato da un forte centralismo sia durante il periodo coloniale sia durante i
governi autocratici della Prima e Seconda Repubblica.
Si voleva trovare un equilibrio tra gli interessi nazionali e comunali con le elezioni a livello
locale. Questa politica doveva avere la sua legittimazione da una nuova costituzione. Infatti,
nel 2000 l’RPF incaricò una Commissione per la Riforma della Costituzione; i suoi
risultati furono accettati tre anni dopo tramite Referendum Costituzionale.
2.5 La trasformazione politica
Dopo il genocidio il nuovo governo fu instaurato secondo gli accordi di Arusha e il 19 luglio
del 1994 il governo transitorio (Government of National Unity) redisse un programma di 10
punti secondo il quale il sistema politico in Rwanda poteva essere completamente
riorganizzato.
Il primo Presidente del “Government of National Unity” fu Pasteur Bizimungu un esponente
del RPF; il premier diventò Faustin Twagiramungu del MDR. Entrambi erano Hutu,
particolare molto rilevante soprattutto per quanto riguarda la riconciliazione tra Hutu e Tutsi.
Il generale Paul Kagame diventò vice – Presidente e Ministro della Difesa. Oltre al Governo
transitorio nacque la TNA (Transitory National Assembly), un foro di esponenti dei vari 117 Reyntjens Filip, The Great African War Congo and Regional Geopolitics, 1996 – 2006, Cambridge University Press, Cambridge, 2009, p. 226 118 Ibidem
Werner Zanotti
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partiti con 70 membri, il cui Presidente diventò Charles Murigade, anch’esso membro del
RPF.
La creazione del nuovo sistema politico in Rwanda fu influenzato fortemente dalle
conseguenze del genocidio che non solo lasciarono un paese traumatizzato ed una società
disfatta ma anche un’infrastruttura distrutta. Tra il 1996 e 1998 circa 3 milioni di rifugiati
tornarono in Rwanda. Contemporaneamente continuavano gli attacchi dei ribelli estremisti
Hutu dal vicino Congo dove i responsabili del genocidio, mischiandosi ai profughi di massa,
riuscirono a ricostruirsi come forza militare. In questo ambiente di tensione l’RPF dovette
stabilizzare e ricostruire il Rwanda.
La base per il nuovo Rwanda fu costituita dal livellamento di Hutu e Tutsi, cioè eliminando
tutte le differenze “naturali” e da quelle costruite artificialmente. Mentre la prima e la seconda
Repubblica si erano prescritte la separazione dei due gruppi etnici, adesso tutto ciò che
avrebbe discreditato la nuova unità nazionale sarebbe stato interpretato come divisionismo e
quindi sanzionato. I partiti d’opposizione furono le prime vittime di questa strategia perché le
loro pretese per essere più partecipi alle decisioni politiche venivano interpretate come
divisionismo. La conseguenza immediata di questa strategia fu che il Premier Twagiramungu
nel 1995 andò in esilio e il periodo transitorio che inizialmente doveva essere di cinque anni
fu prolungato successivamente fino al 2003. Dei tentativi di democratizzazione furono le varie
elezioni indette dopo il genocidio che vennero organizzate dalla NEC (National Electoral
Commission), la quale si incaricò anche di nominare alcuni candidati. La commissione
responsabile per la neutralità, trasparenza ed indipendenza delle elezioni era composta in larga
parte da militari.
Nel 1999 si tennero delle elezioni nei settori amministrativi locali e vennero nominati i giudici
per i Tribunali “Gacaca119”. I gacaca iniziarono la loro opera nel 2002, in alcuni distretti ed
erano dei tribunali che rispecchiavano una vecchia cultura rwandese di risolvere dei conflitti
in famiglia, tra i vicini o anche nei comuni. Le decisioni dei gacaca dovevano essere veloci,
effettive e venivano accettate in larga parte dalla popolazione. Il concetto storico si basava sul
principio di restituire/pareggiare il valore perso/danno della vittima.
Questa istituzione fu modernizzata e ristrutturata dopo il genocidio da parte del governo. La
differenza basilare dei gacaca moderni era la loro competenza in maniera punitiva. La legge
del 1996 distinse quattro categorie di crimini contro l’umanità (quattro categorie di
genocidio). Nel 2002 la legge dei gacaca fu attivata e un anno prima 250 mila giudici furono
eletti dal popolo. I tribunali gacaca potevano giudicare soltanto su casi della categoria II – IV
119 Tradotto letteralmente significa “giudicare sull’erba”.
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e soltanto su reati che rientravano nel periodo 1990 – 1994. Tutti i casi che rientravano nella
categoria I venivano trattati da un tribunale convenzionale. Per i reati della categoria II una
confessione dell’imputato poteva portare ad una pena ridotta. I condannati della categoria III
dovevano scontare la loro pena per metà in prigione e per l’altra metà svolgendo delle attività
sociali. I reati della categoria IV rientravano nelle pene retributive. Nella prima fase furono
istituiti 10684 tribunali Gacaca, praticamente in tutte le unità amministrative del Rwanda.
Alla riunione del Tribunale Gacaca dovevano essere presenti minimo 100 persone. Uno dei
grandi problemi fu che i Tribunali furono attivati soltanto 8 anni dopo il genocidio e che i
processi si basavano su delle testimonianze, le quali non potevano essere sottoposte a
verifiche. Il carattere giurisdizionale del processo in questo modo poteva trasformarsi
facilmente in carattere politico. La pressione psicologica sui testimoni data la partecipazione
della comunità fu molto alta. I delitti dei soldati del RPF non potevano essere trattati dai
Tribunali Gacaca; nel momento in cui il governo non si dedicò e non sottomise i delitti dei
propri soldati a dei processi dovette convivere con la critica di avere instaurato una giustizia
da vincitori.
Alcuni accademici accusarono il governo rwandese di essere nient’altro che un élite di potere
Tutsi; si sarebbe dunque stati testimoni di una “Tutsificazione”120 delle istituzioni statali.
L’accrescere del predominio dei Tutsi avrebbe fatto aumentare il potenziale conflittuale anche
se un nuovo separatismo all’interno della popolazione non avrebbe aiutato di certo il governo.
A marzo del 2001 si svolsero le prime elezioni comunali e nel 2003 seguirono le elezioni
presidenziali e parlamentari. Siccome durante l’era di Habyarimana qualsiasi tentativo di
democratizzazione fallì, la popolazione era scettica per quanto riguardava le elezioni. La
gente non visse mai in una democrazia e non conobbe l’esperienza di conflitti elettorali. Per
questo motivo il governo organizzò cosiddetti “Urugwiro Town meetings”. Da maggio 1998 a
marzo 1999 si svolsero dei seminari con politici, commercianti ed imprenditori i cui
partecipanti avrebbero dovuto imparare la storia rwandese secondo nuovi punti di vista. Oltre
a questi seminari si mandavano i giovani in campi di solidarietà dove si imparava a conoscere
un nuovo concetto di unità del Rwanda. Quando nel 1999 si svolsero le elezioni comunali, i
partiti politici non furono ammessi e si potevano nominare soltanto delle singole persone.
L’elezione inoltre si svolse pubblicamente e dato questo scrutinio pubblico, la pressione
sociale fu alta e la possibilità di controllo per lo stato garantita. Davanti ogni seggio elettorale
120 Reyntjens Filip, op.cit., p. 29
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si trovavano militari uniformati ed in borghese che aumentavano ulteriormente la pressione
psicologica verso gli elettori.
Con questi primi passi verso la democratizzazione si tentò di seguire le richieste degli accordi
di Arusha e di avvicinare la popolazione alla democrazia. L’RPF e Paul Kagame trasmisero
con la loro politica che la paura di una nuova spaccatura sarebbe stata molto alta. Soprattutto
vigeva un grande scetticismo verso la campagna elettorale (queste contribuirono fortemente
alla spaccatura etnica degli anni Novanta).
2.5.1 Lo stato del RPF (2003 – 2006)
La seconda fase del governo del RPF si differenziò soprattutto dal punto di vista della
legittimazione: il governo del 2003 nacque da un’elezione.
La cerchia ristretta intorno a Paul Kagame non fu comunque trasparente. Il suo potere era
sempre molto alto e lo stile politico subì alcuna modifica. Durante la campagna elettorale la
pressione verso l’opposizione aumentò; si registrarono anche atti di repressione. L’RPF ebbe
paura di un modello “Burundi” dove le strutture sociali erano simili: gli Hutu rappresentavano
una larga maggioranza della popolazione e venivano comunque
governati dalla minoranza Tutsi. Il partito dominante UPRONA e il suo candidato Pierre
Buyoya erano i favoriti nelle elezioni del 1993. Vinse comunque Melchior Ndadaye, il
candidato degli Hutu. Vista questa esperienza, l’RPF fu molto attento a non toccare il tasto
dell’etnicità durante la campagna elettorale; questo livellamento generale di Hutu e Tutsi fu il
modo per assicurare il potere del RPF. Dopo le elezioni, 5 dei 9 membri RPF del governo
furono degli Hutu e Paul Kagame riuscì ad ottenere il 95% dei voti.
Nella prima fase di governo RPF si registrò una forte interrelazione tra militari e governo.
Nella cerchia intorno a Kagame si trovavano delle persone che palesemente commerciarono
con le risorse minerali come il Coltano dando cosi origine a delle joint ventures con
businessmen e commercianti europei. Dato che tutto il Coltano arrivava dal Congo si deve
sottolineare l’interesse economico nella guerra contro i soldati dell’ALIR. Il piccolo Rwanda
diventò una potenza militare con un esercito che, lontano dai suoi confini, condusse grandi
operazioni militari.
L’occupazione di grandi parti del Congo, le repressioni contro l’opposizione, le violazioni dei
diritti umani contribuirono alla critica che veniva mossa contro il governo RPF, di non
prestare attenzione ai diritti umani. La ristrutturazione del Rwanda non fu certo caratterizzata
dalla pluralità del sistema politico. Piuttosto la politica del governo di transizione fu
Werner Zanotti
50
caratterizzata fortemente dalla diffidenza verso tutto ciò che avrebbe potuto destabilizzare il
paese.
2.5.2 Tra liberalizzazione e repressione
La democratizzazione insieme alle elezioni del 2003 videro una generale riduzione dello
spazio politico e durante le elezioni presidenziali e legislative del 2003 si potevano registrare
una riduzione dello spazio politico in generale.121 Le conseguenze delle elezioni e del
referendum per la costituzione da una parte simbolizzavano dei passi importanti verso una
maggiore democratizzazione del paese ma dall’altra facevano anche registrare un aumento del
potere autoritario del RPF. Anche se furono introdotte una costituzione liberale e si tennero
delle elezioni non si poteva parlare di completa libertà di stampa; giornalisti critici del regime
furono ancora incarcerati o addirittura fatti sparire e accusati di divisionismo. Il 19 novembre
del 2003 la polizia ad esempio arrestò cinque giornalisti della rivista privata Umusesu ed
un’edizione fu completamente vietata. I giornalisti furono liberati dopo alcuni giorni di
detenzione.122
Anche se grazie alle elezioni democratiche la partecipazione della popolazione all’attività
politica aumentò, la non partecipazione dei partiti d’opposizione dimostrò lo scetticismo e la
paura del governo. La battaglia elettorale venne vista come un grande pericolo in sè,
soprattutto per la divisione della società. Nella campagna elettorale delle elezioni
presidenziali del 2003 furono presenti soltanto partiti del governo transitorio (i tre candidati
alle presidenziali erano Paul Kagame, Faustin Twagiramungu e J. Nayinzira)123. La
fondazione di nuovi partiti veniva resa possibile soltanto con la nuova costituzione. L’ex
presidente Bizimungu ad esempio, cercò di fondare un nuovo partito nel 2000 che venne però
proibito con la critica di divisionismo e Bizimungu fu arrestato.
L’unico avversario di Kagame, Faustin Twagiramungu, alla fine rimase senza partito e senza
supporto nella campagna elettorale. Kagame fu eletto con il 95% dei voti (dei 3,9 milioni di
elettori iscritti).
Lo svolgimento tecnico delle elezioni fu, anche secondo gli assistenti internazionali, un
successo. Le elezioni presidenziali e legislative prevedevano che il voto fosse segreto a
121 Uvin Peter, Aiding Violence: The Development Entreprise in Rwanda, Kumarian Press, West Hartford, 1998, p. 1 122 Amnesty International Report 2004, Rwanda, www.unhcr.org/refworld/country,,AMNESTY,,RWA,456d621e2,40b5a2002a,0.html 123 Samset Ingrid and Dalby Orvar, The Norwegian Institute of Human Rights/NORDEM, 2003 www.cmi.no/publications/file/1770-rwanda-presidential-and-parliamentary-elections.pdf
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51
differenza di quelle tenute nella prima fase del governo RPF. Non fu facile capire quale fu il
vero appoggio che l’RPF ebbe nella popolazione: anche se ufficialmente venne pubblicizzato
il pensiero unitario e la fine del pensiero in termini di gruppo etnico Tutsi e Hutu non si deve
dimenticare che l’RPF, prima della guerra civile, si definiva come minoranza Tutsi. La
costituzione fu votata dal 90% dell’elettorato e prevedeva un sistema multipartitico e
bicamerale. La camera fu composta da 80 seggi. Dei 53 seggi che furono eletti direttamente
33 andavano al RPF; l’opposizione del PSD e PL vinse 13 seggi. Una buona parte dei seggi
era riservata a donne e portatori di handicap. Nel Senato il predominio del RPF fu ugualmente
alto.
La percentuale di donne presenti nel Parlamento fu, con il 48%, uno dei più alti a livello
mondiale. Secondo la costituzione, il Presidente, il Premier e il Presidente del Paralamento
non potevano essere dello stesso partito. Il sistema politico può essere definito come regime
presidenziale (elezione diretta del Presidente). La figura del Presidente veniva inoltre
rafforzata grazie ad un mandato di 7 anni. La costituzione prevedeva che il Presidente poteva
essere rieletto una sola volta.
Il referendum costituzionale venne svolto in forma molto triviale: la domanda che venne posta
alla popolazione era se si accettava o meno il testo della costituzione. Altre opinioni non
erano previste.
Il processo di democratizzazione fu sicuramente favorito dalla promessa della comunità
internazionale di fondi e contributi. Nelle elezioni successive però, vista la forte restrizione
nella situazione politica, i contributi internazionali furono ridotti. Originariamente la comunità
internazionale aveva promesso di finanziare il 20% dei costi per lo svolgimento delle elezioni
alla fine però il suo contributo ne copri soltanto l’8%.
Si può inoltre constatare che, nonostante le elezioni, la situazione dei diritti umani non era
migliorata.
2.6 La ricostruzione della società civile
Uno degli obiettivi del governo rwandese era di rafforzare la società civile. Nel documento
strategico “Vision 2020”, lo sviluppo e la crescita della società civile è riportato come uno dei
target primari da raggiungere. Il genocidio ha distrutto l’intera rete sociale in Rwanda; la
nuove classe politica sta cercando di costruire un nuovo Rwanda in tutte le parti della vita
sociale. Nella prima fase, gli anni immediati dopo il genocidio, si cercava di costruire vari
gruppi all’interno della società civile che comprendeva il settore privato, organizzazioni
Werner Zanotti
52
religiose, organizzazioni locali non governative e organizzazioni di persone con interessi
comuni. Le attività di questi gruppi possono essere divise in quattro campi:
1. Settore dello sviluppo: Le varie organizzazioni s’impegnano per un miglioramento
della situazione generale.
2. Giustizia, riconciliazione e lavoro nel campo dei diritti civili: negli anni 90 durante il
processo di democratizzazione nacquero sei organizzazioni per i diritti umani. Queste
organizzazioni lottavano per i diritti umani appunto e rendevano pubblico il
comportamento delle istituzioni statali ogni qualvolta commettessero degli errori.
3. Il mercato (per esempio i sindacati): organizzazioni che difendevano gli interessi della
popolazione lavorativa nei confronti degli interessi statali.
4. Settore religioso: queste organizzazioni o associazioni lavoravano nel settore
caritativo, nel campo dell’istruzione oppure mettevano a disposizione posti di lavoro.
5. Settore agricolo: queste associazioni difendevano gli interessi della popolazione
rurale.
Gli attori che lavoravano nei vari settori si definivano come NGO (organizzazioni non
governative) che agivano indipendentemente dalle istituzioni statali. NGO internazionali sono
presenti in maniera molto numerosa in Rwanda, mentre sono rare le NGO locali. Inoltre
quest’ultime sono dipendenti da finanziamenti esteri che, nella maggior parte dei casi,
arrivavano proprio dalle NGO internazionali. Oltre alle varie associazioni nelle zone rurali si
organizzavano dei gruppi di “auto-sussidio”.
I gruppi più grandi sono organizzati in federazioni: nel campo dei diritti umani quella più
grande è la CLADHO (Collectif des Ligues et Associations des Droits de l’Homme au
Rwanda).
2.6.1 Gli anni dal 1994 – 2003
Nella prima fase dopo il genocidio (1994 – 2003) nacquero fino a 100 organizzazioni locali. Il
governo non ostacolò questo sviluppo. I motivi per la creazione delle varie organizzazioni
erano interessi e richieste comuni. Anche il governo stesso era molto interessato alla loro
formazione in quanto fondamentale per la nascita di una nuova società civile. Inoltre per il
governo era molto importante agire secondo il principio della “good governance”, nonché
l’includere della società civile. Vari documenti governativi provano l´impegno e il sostegno
del governo allo sviluppo e rafforzamento della società civile. Il governo cercò di coordinare
Werner Zanotti
53
il lavoro di questi vari gruppi. Il Ministero del Governo Locale (MINALOC124, nel 1994
questo Ministero era nato come Ministero degli Affari Interni e Sviluppo comunale; nel era
stato rinominato Ministero per il Governo Locale) raccolse i dati di queste organizzazioni e li
rese pubblici in Internet. L’altro obiettivo era di semplificare il lavoro di suddette
organizzazioni. Nel 2002 il Governo emanò una legge che prevedeva che tutti i lavori e le
attività delle organizzazioni e associazioni non governative dovessero essere resi pubblici
tramite il MINALOC. In larga parte i gruppi lavoravano nei settori di sviluppo politico,
religioso, agronomico e dei sindacati. Il settore dei diritti umani rimase quello meno
rappresentato. Il potere maggiore apparteneva alle associazioni attive nel commemorare il
genocidio e nell’aiuto ai sopravvissuti. Inoltre le varie chiese mantennero sempre una grande
influenza. Il 90% della popolazione Rwandese è di religione cristiana, di cui il 62% è
appartenente alla Chiesa cattolica. La Chiesa cattolica soffre però ancora della perdita di
credibilità dato che molti dei suoi rappresentanti furono coinvolti attivamente nel genocidio. Il
numero crescente dei musulmani è interessante anche se rimane, soprattutto nelle aree rurali,
un dato insignificante.
Infine si può dire che la gran parte delle organizzazioni non è attiva politicamente e concentra
il suo lavoro intorno a bisogni primari. Tante organizzazioni sono molto piccole e dipendenti
dai finanziamenti esteri.125
2.6.2 Aumento della repressione contro la società civile
Nel 2003 si svolsero le elezioni presidenziali. Si mostrava che la legge del 2002 per le
organizzazioni non governative era usata per controllare tali organizzazioni. Le
organizzazioni i cui fini erano comuni a quelli del governo potevano agire e svilupparsi in
maniera libera mentre le altre non lo potevano fare. Non c´è da meravigliarsi che le
organizzazioni che si occupavano di commemorare il genocidio fossero quelle più importanti
e avessero maggiore influenza nella società rwandese. L’RPF giustificava questo modo di
agire con il passato terribile: questo aspetto ha certamente rilevanza ma non giustifica un
differenziazione all’interno delle varie organizzazioni. Il divisionismo è un metodo per
opprimere l’opposizione e le loro istituzioni. Già prima delle elezioni, membri dei partiti
politici dell’opposizione e di organizzazioni non governative furono incarcerati oppure spinti
verso l’esilio. Un caso illustrativo è quello dell’organizzazione per i diritti umani
LIPRODHOR: l’organizzazione nacque durante gli anni della democratizzazione sotto il 124 www.minaloc.gov.rw (sito Internet ufficiale del Ministero) 125 Adamczyk Christiane, Einheimische Organisationen und Zivilgesellschaft in Rwanda, 2006, Deutscher Entwicklungsdienst, p. 28
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54
governo di Juvènal Habyarimana. Durante il genocidio l’organizzazione perse l’80% dei suoi
membri. L’organizzazione, che fa parte della federazione CLADHO, pubblicò nel 2001 un
rapporto molto critico per quanto riguardava la situazione nelle prigioni del Rwanda. Alcuni
soci erano anche membri del partito d’opposizione MDR. Il partito MDR fu vietato prima
delle elezioni presidenziali del 2003 e anche la stessa LIPRODHOR registrò casi di
repressione.
Nel 2004 altre organizzazioni si sciolsero sotto la pressione del governo per avere supportato
ideologie del genocidio.126 Si può constatare che la partecipazione delle organizzazioni non
governative è accettata soltanto laddove il lavoro del governo non venga criticato. Non vige
un rapporto equo tra le organizzazioni e il governo: i tentativi di controllare e di dominare le
organizzazioni civili hanno sicuramente contribuito a peggiorare il clima tra le due parti e ad
aumentare la diffidenza reciproca.
126 Freedom House Annual Report 2006, Rwanda (nel 2006 nel Freedom House Index il Rwanda era elencato tra i paesi non liberi), www.freedomhouse.org/uploads/ccr/country-7259-8.pdf
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3. Il genocidio in Rwanda e le sue ripercussioni sulla Repubblica
Democratica del Congo
3.1 La regione dei Grandi Laghi dopo il genocidio
Gli anni dal 1990 al 1993 furono molto turbolenti per il Rwanda. Gli undici mesi dalla firma
degli accordi di Arusha all’inizio del nuovo governo al 19 luglio 1994 furono forse il periodo
più tremendo e tumultuoso che l’Africa abbia mai visto.
La fine del genocidio non significò la chiusura di un capitolo nero nella storia ma destabilizzò
l’intera regione dei Grandi Laghi causando direttamente ed indirettamente una guerra che
avrebbe coinvolto sia il nuovo governo del Rwanda sia gli eserciti di tanti stati africani. Per
l’Africa il genocidio sarebbe stato soltanto l’inizio di una grande guerra che avrebbe coinvolto
numerosi stati africani.
Il conflitto fu inevitabile una volta che l’Hutu Power e una grande parte dell’esercito
rwandese furono capaci di rifugiarsi nello Zaire dopo la presa del potere del RPF in Rwanda.
La situazione venne aggravata dal fallimento delle Nazioni Unite do procedere al disarmo
degli estremisti e responsabili del genocidio. La Francia con il suo presidente Jacques Chirac
riuscì a persuadere la Comunità internazionale che la miglior cosa per i rifugiati fosse lasciarli
andare in Congo. Questa politica, non solo protesse gli estremisti e partecipanti al genocidio,
ma riabilitò anche un Mobutu indebolito in Zaire e nel resto del mondo. A novembre poco
dopo che gli fu negato il visto per entrare in Francia Mobutu fu invitato al summit franco –
africano durante il quale il nuovo governo del Rwanda fu condannato127.
Mobutu sin dall’inizio fu uno sponsor del presidente del Rwanda Habyarimana e dopo la sua
morte si associò con la leadership dei responsabili del genocidio e li difese diplomaticamente
e li aiutò con la fornitura di armi. Secondo il rapporto delle Nazioni Unite nel 1998 Mobutu
avrebbe fornito regolarmente degli armi nei vari campi dei profughi (Goma e Bukavu) dello
Zaire orientale. Anche la posizione di Kigali fu molto trasparente: l’RPF non avrebbe più
tollerato che l’Interahamwe e i soldati dell’ex FAR sfruttassero la loro posizione nello Zaire
per i loro raid nel Rwanda.
Allo stesso tempo il cambiamento di strategia dei genocidari che erano basati nella regione
del Kivu intensificò le tensioni regionali ulteriormente e nel primo anno dopo aver rifugiato i
loro raid nel Rwanda avrebbero avuto soltanto degli scopi economici. Questi attacchi
suscitarono fortissime repressioni da parte del RPF. L’intenzione fu quella di punire anche
127 Prunier Geràrd, op. cit., p.377
Werner Zanotti
56
tutti i simpatizzanti dei ribelli causando l’effetto però che nella popolazione Hutu del Rwanda
aumentò la simpatia per gli estremisti. Una volta che l’esercito RPF aveva sviluppato una
strategia per affrontare gli attacchi degli estremisti, questi si concentravano nell’attacco alle
autorità civili locali in Zaire e ai sopravissuti del genocidio.
Una terza strategia degli estremisti basati nello Zaire orientale fu quella dell’eliminazione
totale dei Tutsi che vivevano in quella regione da generazioni.
Il fallimento nel disarmo dei responsabili del genocidio e il riemergere di Mobutu furono i due
motivi per i quali la comunità internazionale può essere criticata. Le conseguenze immediate
furono due guerre disastrose nello Zaire.
Come reso noto dal rapporto del Segretario Generale delle Nazioni Unite Kofi Annan, la
presenza di gruppi armati nella Repubblica Democratica del Congo fu al cuore del problema e
il fattore primario per la destabilizzazione dell’intera regione. Tanti autori parlano anche della
Prima Guerra Mondiale in Africa, altri della Prima Guerra Continentale in Africa.
Dare comunque dei numeri precisi sulle persone morti nei vari conflitti, è un’impresa assai
difficile. Diversi autori e fonti parlano di centinaia di migliaia di soldati, combattenti, civili e
rifugiati.
3.2 Gli attori della guerra
La presenza di eserciti stranieri contribuì fortemente alla complessità della guerra, così nel
1999 e 2000 erano presenti eserciti regolari di sette paesi (Congo, Rwanda, Burundi, Angola,
Uganda, Zimbabwe e Namibia), due eserciti non regolari (dello Zaire e del Rwanda, ex FAR)
e più di una dozzina di gruppi di ribelli che furono in conflitto diretto con una o più delle
forze estere presenti. Altri paesi africani come il Ciad, Libia, Sudan e Namibia furono
coinvolti marginalmente mentre il governo francese e quello statunitense lavorarono dietro le
quinte. Ci sono, infatti, delle testimonianze che provano l’aiuto militare degli Stati Uniti
nell’addestramento delle truppe dell’esercito regolare del Rwanda (dopo la vittoria del RPF
nel 1994)128.
Nel 1996 si svolsero quattro guerre civili nel territorio dello Zaire che videro rispettivamente:
le truppe del RPF del governo rwandese contro i responsabili del genocidio, le truppe del
governo Tutsi del Burundi contro gli avversari Hutu, le truppe dell’Uganda di Yoweri
Museveni contro due gruppi di ribelli e vari gruppi di ribelli contro il governo di Mobutu. Alla
fine del 1996 questi quattro conflitti formarono una grande guerra regionale.
128 Madsen Wayne, Genocide and Covert Operations in Africa 1993-1999, Edwin Mellen Press, New York, 1999, p. 39
Werner Zanotti
57
Il tutto iniziò quando l’esercito regolare del Rwanda insieme a dei guerrieri locali Tutsi e una
piccola alleanza di forze anti Mobutu attaccarono i campi dei profughi del Kivu.
È ormai un dato provato che le forze furono addestrate con l’aiuto degli Stati Uniti e che il
governo statunitense e la sua leadership militare insieme ai servizi segreti furono sempre più
convinti che il regime di Mobutu andava sostituito con uno più solido. Dietro a tutto stavano
dei grandi interessi economici nella regione del Congo orientale che era molto ricco di risorse
minerarie (oro, diamanti, rame, platino e soprattutto coltano)129. Il governo del Rwanda
inizialmente negò il suo coinvolgimento diretto e soltanto sei mesi dopo le prime incursioni e
scontri militari il vice Presidente Paul Kagame ammise la partecipazione ufficiale
dell’esercito rwandese130.
Già prima del genocidio del 1994 si verificarono dei conflitti nelle regioni del Kivu tra i
residenti dello Zaire di origine del Rwanda e i gruppi locali. Circa la metà della popolazione
totale del Kivu del Nord (3,5 milioni) furono Banyarwanda e di questi l’80% (ca. 1,4 milioni)
furono Hutu e il rimanente 20% Tutsi (ca. 350mila). I Banyarwanda includevano anche tutte
le persone che durante il governo coloniale del Belgio furono portate nella regione come forza
di lavoro per le grandi piantagioni. Una gran parte dei Tutsi furono dei rifugiati dei conflitti
del post indipendenza del Rwanda. Una legge del 1972 dello Zaire concesse la cittadinanza a
tutte le persone di origine rwandese che furono arrivate prima del 1950. Ma, nel 1981 una
nuova legge tolse la cittadinanza a questi residenti e li rese “senza stato”. Anche se i
Banyarwanda nel Kivu del Nord furono in maggioranza, furono perseguitati in diverse
maniere. Negli anni passati sono emersi vari conflitti tra loro e i gruppi etnici locali per via
della terra, le strutture tradizionali delle autorità e la rappresentanza politica su livello
nazionale. Tra il 1991 e 1994 avvennero degli scontri tra Banyarwanda Tutsi e Hutu e tra i
Banyarwanda e le milizie dei gruppi etnici locali. Questi attacchi provocarono oltre 6mila
morti e circa 250mila rifugiati. Questa fu la situazione prima che l’onda del genocidio
invadesse il territorio del Kivu del Nord nello Zaire.
L’arrivo di 1,2 milioni rifugiati a luglio del 1994 trasformò radicalmente il conflitto nella
regione del Kivu. Prima, il conflitto primario fu tra autoctoni e Banyarwanda. Nonostante, le
forti interrelazioni tra Hutu e Tutsi nel Kivu, dopo il genocidio in Rwanda tutto cambiò
radicalmente. I membri dell’Hutu Power arrivati dal Rwanda con la massa dei profughi
all’improvviso si sono trovati numerose reclute nuove e si formò una nuova alleanza tra Hutu
Banyarwanda, ex FAR, Interahamwe e autoctoni contro i Tutsi Banyarwanda. Oltre tutto gli
129 Madsen Wayne, op. cit., p. 42 130 Pomfret John, Rwandans led revolt in Congo, in ”Washington Post”, Washington D.C. ,09.07.1997
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esiliati portarono fucili automatici con loro che sostituirono le machete, l’arma più diffusa tra
i guerrieri locali.
Il conflitto causò immediatamente centinaia di morti e migliaia di persone che dovettero
rifugiarsi. Uno dei massacri più crudeli accadde a Masisi nel Kivu del Nord, dove tanti Tutsi
Banyarwanda nonostante gli appelli di Medicines sans Frontieres alla comunità internazionale
furono massacrati.
Una situazione analoga emerse nel Kivu del Sud dove i Tutsi fuorno conosciuti come
Banyamulenge (popolo dei Mulenge) perché arrivarono in questo territorio circa due secoli
prima. Le relazioni con i loro vicini fino agli più recenti furono abbastanza armoniose. Le
prime tensioni si verificarono quando i Banyamulenge come tutte le persone dell’ex Rwanda
furono private dalla loro identità nazionale dello Zaire. Queste aggressioni e conflitti si
intensificarono quando nel 1993 in Burundi fu ucciso il Presidente Julius Ndadaye da parte di
ufficiali Tutsi e oltre 300mila Hutu del Burundi si rifugiarono nel vicino Kivu del sud. A
ottobre del 1996 i governatore del Kivu del Sud ordinò che tutti i Tutsi del Kivu del Sud
avrebbero dovuto lasciare il territorio entro una settimana. Chi si fosse opposto a
quest’ordinanza sarebbe stato espulso o sterminato131.
Queste dichiarazioni ufficiali incoraggiarono e aiutarono la formazione all’interno dei gruppi
etnici locali di milizie simili all’Interahamwe per combattere i Banyamulenge e presto si
misero insieme all’esercito dello Zaire per uccidere e saccheggiare i Banyamulenge.
A ottobre del 1996 il governo RPF del Rwanda con l’appoggio dell’Uganda contribuì
fortemente al formarsi dell’alleanza AFDL composto da quattro gruppi militari anti-Mobutu
(Alliance des Forces Dèmocratiques pour la Libèration du Congo-Zaire) e Laurent Kabila un
nemico storico di Mobutu divenne il suo leader. L’unico elemento unificativo dei quattro
gruppi fu di essere esiliati e nemici di Mobutu. Come Paul Kagame poco tempo dopo la
creazione dell’AFDL ammise l’intera operazione sarebbe partita dal Rwanda: l’esercito
rwandese addestrò i Tutsi dello Zaire e aveva anche stretti contatti con la nuova milizia dei
Banyamulenge. I comandanti del RPF furono i leader militari dell’AFDL. L’azione del
Rwanda fu seguita e supportata da tre paesi confinanti dello Zaire: l’Uganda, il Burundi e
l’Angola e tutti i tre videro in Kabila il leader perfetto per comandare l’alleanza anti Mobutu.
Anche se l’azione fu portata avanti da paesi africani, il governo statunitense come alleato
dell’Uganda e del Rwanda appoggiò apertamente l’AFDL.
Quali furono le motivazioni dei quattro paesi coinvolti nel conflitto?
131 McGreal Chris, Trapped in a bloody triangle of terror, in “The Guardian”, London, 21.10.1996
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L’Angola che fu l’ultimo paese ad entrare in guerra; il governo Mobutu durante la guerra
civile in Angola appoggiò apertamente Jonas Savimbi ed il suo gruppo dei ribelli
dell’UNITA. Per l’Angola questo conflitto era il momento ideale per liberarsi
contemporaneamente di due nemici: Jonas Savimbi e Mobutu.
L’Uganda di Museveni fu il paese nativo del RPF e il suo governo appoggiò i ribelli
dall’inizio della guerra civile in 1990 alla presa del potere dopo il genocidio. L’Uganda
rimase sempre il maggior fornitore di armi per l’esercito ruandese del RPF.
Inoltre tanti gruppi di ribelli dell’Uganda agivano da basi militari dello Zaire. Eliminare
Mobutu avrebbe significato togliere le basi di appoggio a questi gruppi militari.
Il Burundi ebbe interessi simili. Il paese stava affondando sempre di più nell’anarchia causato
dalla guerra civile iniziata immediatamente dopo l’assassinio di Ndadaye. Nel 1987 il
maggiore Tutsi Pierre Buyoya fece cadere il regime Tutsi di Jean-Baptiste Bagaza che aveva
governato per 11 anni e nel 1993 Buyoya dopo la lunga pressione della comunità
internazionale concesse le prime elezioni democratiche multipartitiche. A vincerle fu l'Hutu
Melchior Ndadaye, leader del FRODEBU, Fronte per la Democrazia in Burundi. Ndadaye
però fu assassinato poche settimane dopo la sua nomina a presidente in un ennesimo colpo di
stato, causando nuovi disordini nel paese e una nuova strage perpetrata dall'esercito, ancora
controllato dai Tutsi, ai danni degli Hutu. Questo golpe fallito portò ad una triplice lotta
politica: l’esercito dominato dai Tutsi continuò a sopprimere il governo civile dominato dalla
FRODEBU; gli estremisti della società civile Tutsi che volevano opporsi ad un governo
secondo loro responsabile di genocidio e gli estremisti Hutu contro gli Hutu moderati al
governo che furono considerati come meri esecutori degli ordini (galoppini)132.
Anche il successore di Ndadaye, Cyprien Ntaryamira, fu un Hutu. Egli perse la vita nell'aprile
del 1994, in un attentato aereo, insieme al presidente del Rwanda Habyarimana l’evento che
scatenò un'ondata di violenza in Rwanda diede l’inizio al genocidio.
Il successore di Ntaryamira fu un altro Hutu, Sylvestre Ntibantunganya. A luglio del 1996
mentre il conflitto tra Hutu e Tutsi si allargò sempre di più e l’esercito controllato dai Tutsi
rovesciò il governo del Presidente Ntibantunganya , il maggiore Pierre Buyoya salì al potere
per la seconda volta.
Migliaia di civili furono ammazzati e si è formò una nuova organizzazione radicale degli
Hutu, il CNDD (National Council for the Defence of Democracy) con un suo braccio armato
la FDD (Democratic Defence Front). Ambedue avevano le loro basi nel Kivu del Sud nello
132 Prunier Gèrard, Africa’s World War, Congo, the Rwandan Genocide and the making of a continental catastrophe, Oxford University Press, 2009, Oxford – New York, p. 59
Werner Zanotti
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Zaire. La FDD arruolò giovani Hutu con il motivo di combattere l’esercito e rovesciare il
governo del Burundi. Per il Burundi liberarsi di Mobutu avrebbe significato togliere
l’appoggio ai ribelli del FDD. Comunque, dei quattro paesi il contributo militare del Burundi
alla guerra nello Zaire era quello meno significante.
Il ruolo più importante nel conflitto e nell’appoggio della coalizione dell’AFDL era quello del
Rwanda. Varie erano le ragioni per il forte impegno del Rwanda e per il suo ruolo centrale
nella guerra civile dello Zaire. Prima di tutto fu l’intervento a favore dei Tutsi dello Zaire che
durante la guerra civile in Rwanda diede un forte appoggio al RPF con nuovi recluti, armi e
finanziamenti. Come secondo elemento si può elencare il forte tono della propaganda anti
Tutsi nella regione del Kivu che fece rinascere le paure create durante il genocidio. L’ultima
motivazione che spinse il Rwanda ad intervenire fu i vari campi dei profughi ed il fallimento
palese della comunità internazionale di controllarli. Ci sono delle prove che decina di migliaia
di profughi all’interno dei campi furono soldati ex-FAR e membri dell’Interahamwe. I campi
divennero la base per il Hutu Power ed i suoi raid nel Rwanda i quali comportavano
distruzione delle infrastrutture e l’assassinio della popolazione Tutsi con lo scopo di tornare al
potere in Rwanda e portare a termine il “lavoro” iniziato nei 100 giorni del genocidio.
I leader del RPF avevano già espresso più volte la loro determinazione di intervenire se la
comunità internazionale sarebbe fallita133.
Paul Kagame in agosto 2006 fece una visita all’amministrazione Clinton a Washingtone
secondo le sue affermazioni egli stava cercando di trovare delle soluzioni insieme al governo
statunitense, cosa che però non si sarebbe concretizzata. Anche in quest’occasione Kagame
avrebbe sottolineato che se le Nazioni Unite non fossero stati capaci di risolvere la situazione
dei campi dei profughi “lo avrebbe fatto qualcun altro”. Kagame fece capire alla comunità
internazionale che l’AFDL sotto la guida del RPF avrebbe dovuto portare a termine
l’operazione.
3.3 La distruzione dei campi dei profughi
Nel 1996 la RPF che guidò l’alleanza anti Mobutu iniziò ad attaccare i campi dei profughi che
erano sotto il dominio dell’Hutu Power nello Zaire orientale. Si parla di migliaia di morti tra i
soldati Hutu e civili Hutu e migliaia di rifugiati dislocati. A novembre l’ex FAR e le milizie
Interahamwe furono sconfitte nei maggiori campi. Tutti gli abitanti, soldati e persone civili
133 Adelman Howard and Suhrke Astrid (a cura di), The path of a genocide: The Rwandan crises from Uganda to Zaire, Transaction Publishers, New Brunswick and London, 2000, p. 337
Werner Zanotti
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sono stati costretti ad abbandonare le loro residenze dove abitavano da ormai due anni. Circa
640mila persone ritornarono in Rwanda.
Al contrario di quanto pensato questi rifugiati non soffrirono di malnutrizione né erano affetti
da malattie. Un altro numero significante erano le migliaia di persone (qui le cifre delle varie
fonti discordano e vanno da decine di migliaia a centinaia di miglia) che si rifugiavano verso
le zone centrali dello Zaire e che erano inseguite dalle truppe del RPF che li volevano
uccidere e le varie organizzazioni umanitarie che cercavano di aiutarli.
Quando a novembre del 1996 si moltiplicavano le voci che si stava verificando un massacro e
uno sterminio di massa, i mass media che avevano lasciato la regione dopo l’ultima grande
epidemia di colera ad agosto del 1994, tornavano in loco e speravano di trovare delle masse di
persone nella regione del Kivu che morivano di fame e malattie. I mass media internazionali e
il segretario generale delle Nazioni Unite Boutros Boutros Ghali parlavano di 1 milione di
morti tra i rifugiati rwandesi e lo chiamarono un “genocidio di carestia” 134.
Le Nazioni Unite e il Commissario della Comunità Europea per gli Affari Umanitari
parlavano di possibili 500mila fino ad un milione di morti.
Anche le NGO più note non resistettero alle opportunità che la situazione presentava. Così ad
esempio Oxfam annunciò che circa un milione di persone stavano per morire a causa della
fame e malattie. Anche CARE avvertì la comunità internazionale utilizzando le stesse parole.
Inevitabilmente la comunità internazionale diventò parte del tumulto e tante nazioni avevano
paura che si stesse avverando un’altra immensa tragedia umanitaria in Africa. Soprattutto la
Francia stava spingendo per un intervento internazionale dichiarando che la situazione nel
Kivu sarebbe una delle crisi umanitarie più disastrose che il mondo abbia mai visto. Il
governo francese lanciò la proposta di una missione internazionale per salvare il milione di
rifugiati dalla morte di fame.
Iniziò la discussione sul fatto chi sarebbe dovuto intervenire. Alcuni stati africani chiesero che
i soldati mandati dalle varie nazioni estere avrebbero dovuto in primo luogo disarmare e
neutralizzare i soldati dell’ex-FAR. Gli Stati Uniti comunque non avrebbero mai dato il loro
consenso a un intervento militare “attivo” (che avrebbe contribuito e portato a scontri militari
diretti). Il Canada si portò avanti come possibile paese leader di un’operazione internazionale
per assicurare e garantire gli aiuti esteri ai rifugiati. Il Consiglio di Sicurezza dell’ONU con
varie risoluzioni autorizzò alla fine l’intervento nello Zaire dell’est di una forza militare
neutrale (MNF) per scopi umanitari e per favorire il rimpatrio volontario dei rifugiati nel
134 De Waal Alex, Famine Crimes: Politics and the disaster relief industry in Africa, Oxford University Press, Oxford, 1997, p. 204
Werner Zanotti
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Rwanda. La discussione per l’intervento iniziò comunque troppo tardi e così i ribelli anti
Mobutu sono riusciti, accelerando ed intensificando i loro attacchi contro l’ultimo campo,
quello di Mugunga, di portarlo al collasso. Circa 640mila di rifugiati dopo che l’ex-FAR e
l’Interahamwe furono sconfitti e respinti, lasciarono il campo per ritornare in Rwanda. Tutto
questo fu riportato dalle telecamere dei vari giornalisti internazionali e solo pochi giorni dopo
il consenso internazionale dei vari governi, le Nazioni Unite e delle varie ONG si parlava di
un’ imminente tragedia umanitaria.
Il 15 novembre 1996 il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite fece passare l’ultima
risoluzione che formalizzò l’intervento delle MNF. La crisi umanitaria però si spense sotto la
luce delle telecamere e le truppe internazionali si fermarono all’aeroporto di Entebbe in
Uganda. I campi furono eliminati e i responsabili del genocidio in Rwanda dovettero
scappare; un’altra volta la soluzione arrivò senza l’assistenza della comunità internazionale135.
Una volta che i giornalisti e le telecamere si accorsero che i profughi stavano tornando in
Rwanda senza morire di fame o di malattie la regione dei Grandi Laghi sparì di nuovo dal
palcoscenico e dalla coscienza internazionale. La stragrande maggioranza della comunità
internazionale non si interessò più del destino dei profughi e delle guerre sporche che stavano
continuando perché i mass media semplicemente decisero che gli eventi tumultuosi non
sarebbero stato abbastanza interessanti.
3.4 Crimini di guerra
Il perseguimento dei profughi nell’interno dello Zaire e l’avanzata delle forze anti Mobutu
aprirono un altro capitolo di atrocità emerse dopo il genocidio. Le azioni si portarono avanti
per mesi: mentre ambedue le parti combattenti commisero delle atrocità secondo le
organizzazioni umanitarie, gli abusi delle forze anti Mobutu erano in gran lunga più seri ed
estesi. I vari accampamenti dei rifugiati furono attaccati e le persone uccise. Le truppe del
RPA ammazzarono il numero più grande delle persone; squadre speciali furono responsabili
di migliaia di assassini (solo alcuni di queste persone erano responsabili del genocidio).
In aprile del 1997 la Commissione delle Nazioni Unite per i diritti umani espresse le sue
preoccupazioni per le continue e serie violazioni dei diritti umani e delle libertà fondamentali
135 Adelman Howard, The Use and Abuse of Refugees in Zaire, in Stedman, John Stephen & Tanner Fred (a cura di), Refugee Manipulation. War, Politics, and the Abuse of Human Suffering, Brookings, Washington (D.C.), pp. 95-134
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nello Zaire. In particolare vennero condannate le esecuzioni multiple, la violenza contro le
donne, le condizioni disumane nelle prigioni e l’alto numero di persone civili assassinate136.
La Commissione diede il mandato per una missione investigativa guidata da Roberto
Garreton, inviato speciale per i Diritti Umani nello Zaire. Le forze anti Mobutu guidate da
Kabila comunque rifiutarono qualsiasi collaborazione con la missione investigativa e di
garantire libero accesso alle aree nello Zaire sotto il loro controllo.
La missione concluse che non ci sarebbero stati alcuni dubbi sui massacri etnici commessi e
che le vittime erano in gran parte Hutu del Burundi, Rwanda e dello Zaire. Alcuni di questi
massacri avrebbero le caratteristiche per essere definiti atti di genocidio. Solo un
investigazione più profonda nel territorio dello Zaire avrebbe potuto chiarire la situazione. A
luglio del 1997, una volta che Kabila prese il potere in mano, rinominò lo Zaire in Repubblica
Democratica del Congo. Kofi Annan, l’allora Segretario Generale delle Nazioni Unite mandò
una nova missione investigativa ma anche questa volta si accorsero che il governo di Kabila
non appoggiò la missione del tutto.
Secondo il rapporto della Commissione tutte le parti nella guerra civile avrebbero commesso
atti volenti contro i diritti umani e avrebbero leso il diritto internazionale. I massacri delle
forze anti Mobutu AFDL e dei loro alleati (come la RPA, Rwandan Patriotic Army)
commisero crimini contro l’umanità e negarono l’assistenza umanitaria ai profughi Hutu
rwandesi. Secondo i membri della commissione alcuni massacri costituivano atti di genocidio.
Si chiesero delle ulteriori investigazioni che però non si sarebbero mai avverate.137
3.5 La Seconda Guerra del Congo
A maggio del 1997 le forze alleate dell’Uganda, Rwanda, Angola e Burundi insieme alla
coalizione anti - Mobutu dell’AFDL guidata da Laurent Kabila spinsero il vecchio tiranno
Mobutu a fuggire dallo Zaire; Kabila fu proclamato presidente della rinominata Repubblica
Democratica del Congo.
La Francia cercò di piazzare alcuni degli ex-ministri del governo Mobutu nel nuovo governo
che adesso parlava la lingua inglese invece del francese che veniva usato per secoli come
lingua franca nel Congo. La vittoria di Kabila comunque fu ben vista da tanti paesi africani:
Julius Nyerere, ex-presidente della Tanzania dichiarò che tutti avevano fallito nel tentativo di
persuadere Mobutu di lasciare il governo e solo la guerra civile e le forze anti Mobutu ci 136 UN High Commissioner for Human Rights, „Situation of Human Rights in Zaire,“ Commission on Human Rights Resolution 1997/58. E/CN. 4/Res/1997/58 137 Letter from Secretary – General to President of Security Council, June 29, 1998, including Report of the Secretary – General’s team charged with investigating serious violations of human rights and international humanitarian law in DRC, s/1998/581, http://www.un.org/News/Press/docs/1998/19980713.sc6545.html
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riuscirono. Comunque chi si aspettò una pace nell’immenso territorio del Congo presto
sarebbe stato convinto del contrario.
A inizio del1998 (poco dopo la fine del regime di Mobutu) la relazione tra Kabila ed i suoi
“sponsor” (alleati), il Rwanda e l’Uganda, si stava rompendo. A luglio del 1998 Kabila
dichiarò che l’accordo di co-operazione militare tra la DRC e il Rwanda fu terminato. Le
truppe del Rwanda che avevano servito alla causa dovevano lasciare il Congo e tornare in
patria al più presto possibile. Poco dopo che le truppe erano tornate a casa si formarono come
forze nemiche e rientrarono nel Congo come forza avversaria. Così ebbe inizio la Seconda
Guerra del Congo.
Si formarono delle nuove alleanze: contro Kabila lottarono i suoi vecchi alleati del Rwanda,
Burundi ed Uganda mentre dalla sua parte rimase l’Angola138. I nuovi alleati di Kabila erano
lo Zimbabwe di Robert Mugabe e il Namibia di Sam Nujoma, entrambi in aprile del 1999
firmarono un patto di alleanza difensiva. Insieme all’aiuto reciproco militare le conseguenze
finanziarie (all’interno dei singoli paesi) di questi impegni militari non furono insignificanti: il
Namibia annunciò che nel 1999 avrebbe speso per la difesa 120 milioni di dollari (oltre il
65% di più dell’anno precedente). Il Fondo Monetario Internazionale ad esempio espulse lo
Zimbabwe quando riconobbe che l’intervento militare nel Congo fu molto più costoso di
quanto dichiarato ufficialmente. Si stimò che la presenza dei circa 10mila soldati dello
Zimbabwe comportarono un costo complessivo di circa 3milioni dollari al mese139.
Oltre a questi partecipanti diretti nel conflitto tanti altri paesi nel continente avevano qualche
coinvolgimento nella Seconda Guerra del Congo: questi paesi erano il Sudafrica, lo Zambia,
la Libia, il Ciad, il Sudan, l’Eritrea, l’Egitto, il Congo Brazzaville e la Tanzania. Allo stesso
tempo una serie di gruppi armati non – governativi (cosiddetti mercenari) erano seriamente
impegnati nella guerra. Tra questi vi erano vari gruppi di ribelli anti – Kabila, l’UNITA, che
era il nemico vitale del governo dell’Angola, generali dell’ex esercito di Mobutu, e l’ex FAR
e le milizie dell’Interahamwe che avevano sempre l’intento di destabilizzare il Rwanda e far
cadere il suo governo attuale.
Le implicazioni degli sviluppi sia per l’intera regione dei grandi laghi che per lo stesso
Rwanda furono immense. Per chi dall’esterno cercava di risolvere il conflitto, la situazione fu
molto complicata perché le alleanze rimasero fluide e a volte imprevedibili e che ogni paese
ebbe i suoi interessi specifici e non per ultimo ogni singola azione comportò con se nuove
reazioni.
138 Braeckman Colette, L’enjeu congolais: L’Afrique centrale après Mobutu, Fayard, Paris, 1999, p. 395 139 Ibidem
Werner Zanotti
65
Le forze dell’ex FAR e l’Interahamwe fino a questo momento rappresentarono il nemico
comune da combattere, ma con lo scatenarsi della Seconda Guerra del Congo il loro ruolo
veniva “istituzionalizzato” e a livello internazionale venivano riconosciuti come forza alleata
del governo Kabila. I nuovi arruolati si stavano alleando nelle basi militari dell’ex FAR
seguendo i piani di un’invasione in Rwanda e le forze radicali ed estremiste degli Hutu in
entrambi i paesi, il Rwanda ed il Burundi stavano pianificando degli attacchi. Secondo i
rapporti della Commissione investigativa delle Nazioni Unite il Rwanda in quegli anni fu
esposto ad un serio pericolo di attacchi dall’est e dal sud.
Questo era uno dei motivi per cui il governo del Rwanda rimase coinvolto nel conflitto:
l’obiettivo centrale era di eliminare il nemico dell’ex FAR e l’Interahamwe e di distruggere le
loro basi militari nel Congo. Il vice Presidente Paul Kagame dichiarò apertamente che se i
nemici del Rwanda non sarebbero stati disarmati l’RPF sarebbe rimasta nel Congo fino alla
loro neutralizzazione140.
Tutti questi sviluppi complicarono il raggiungimento di una stabilità e pacificazione nella
regione dell’Africa centrale. Inoltre le ricchezze minerarie che nonostante lo sfruttamento del
regime di Mobutu rimasero immense attrassero le forze estere, un motivo non da sottovalutare
per i vari attori per rimanere con le loro forze nel Congo.
I diamanti e l’oro assicurarono l’attrazione per tante organizzazioni clandestine e criminali per
le quali il continuo conflitto nel Congo era più che favorevole. Dietro queste organizzazioni
spesso si trovarono investitori esteri o cooperazioni che alla loro volta spesso erano
appoggiate da governi esteri.
Grandi società che operavano nel Congo avevano le loro sedi principali in paesi come il
Sudafrica, Zimbabwe, Stati Uniti, Gran Bretagna o Canada.141
Gli aiuti finanziari esteri per lo sviluppo di un’economia locale nel Congo furono molto bassi.
Si può invece trarre una linea diretta dallo sfruttamento coloniale del Belgio di Re
Leopoldo142 a Mobutu e da questo a Kabila. Tutti loro governarono uno stato concessionario
e si arricchirono delle risorse naturali (minerarie) del Congo senza costruire o sviluppare delle
infrastrutture per la popolazione congolese. In queste condizioni l’unica economia attiva fu
quella dello sfruttamento. Il Congo nel 1999 aveva dei debiti esteri che andarono oltre i 15
140 Wohlgemuth L. and Overgaard K., Nordic African Institute Report IV, July – October 1999, p.1 141 Adelman Howard, op.cit., p. 26 142 Un’opera narrativa ed esaustiva sul Congo di Re Leopoldo è il libro di Hochschild Adam, King Leopold’s Ghost. A story of greed, terror, and heroism in colonial Africa, Mifflin, Boston/New York, 1998
Werner Zanotti
66
miliardi di dollari, ma non riuscì a sfruttare il suo enorme potenziale di risorse naturali
(minerali, potenza idroelettrica e terra fertile).143
La responsabilità della comunità internazionale nello sviluppo storico del Congo fu centrale:
già il re del Belgio Leopoldo iniziò con la raccolta e l’esportazione della gomma (durante il
suo regno morirono ca. dieci milioni della popolazione locale che era la metà degli
abitanti)144. Il generale Mobutu fu portato al potere dai servizi segreti americani che furono
coinvolti direttamente nella pianificazione dell’assassinio del Primo Ministro Patrice
Lumumba (che sarebbe rimasto l’unico Primo Ministro eletto democraticamente nel Congo
post coloniale) sarebbe poi diventato il dittatore più preferito del mondo occidentale.
Anche oggi si può assistere a un mondo impreparato e non interessato al disarmo di tutti i
gruppi coinvolti nella guerra civile.
3.6 Il traffico d’armi
Secondo i rapporti ufficiali della Commissione Internazionale per il Rwanda del 1998,
l’incontrollato flusso d’armi in Africa genera e nutre conflitti, fortifica l’estremismo e
destabilizza l’intera regione. La corrente situazione nella regione dei Grandi Laghi,
particolarmente nella Repubblica Democratica del Congo fu causata dalla proliferazione
enorme di armi leggeri. Il maggior numero degli armi andò ai 23 gruppi che non furono
sottoposti all’embargo delle Nazioni Unite (come ad esempio l’ex FAR o l’Interahamwe) I
gruppi di ribelli a loro volta avevano dei legami tra di loro e gli armi delle volte furono
scambiate. Il facile accesso agli armi incoraggiò i vari gruppi militanti politici a favorire
l’opposizione armata a quella democratica.145
Altri studi critici scoprirono il ruolo attivo degli Stati Uniti nel fornire armi nella Guerra del
Congo. Anche se le fonti ufficiali negano questo traffico d’armi, oggi si può rimproverare il
governo statunitense di avere seminato insieme ad altri attori le basi del conflitto e di non
essere intervenuto con la volontà necessaria per porre fine o per trovare delle soluzioni
accettabili.
143 In un’intervista a settembre 1999 del Programma d’informazione “Africa Recovery” (oggi “Africa Renewal”) edito dalla Sezione Africana del Dipartimento di Pubblica Informazione delle Nazioni Unite, il consigliere del Ministero per il Commercio e la Pianificazione della DRC, Jean-Marie Mbala dichiarò: “The DRC is paying "about $5 mn a month in debt service," … "Now, you should not really ask someone with an amputated leg to run the 100-metre dash. At least you help the person get another leg first, do some physical therapy, get stronger and then move with you." http://www.un.org/ecosocdev/geninfo/afrec/vol13no2/mbala.htm 144 Hochschild Adam, King Leopold’s Ghost. A story of greed, terror, and heroism in colonial Africa, Mifflin, Boston/New York, 1998, p. 280 145 Kassem Mahmoud, UN Report of the Chairman of the International Commission of Inquiry on Rwanda, 1998
Werner Zanotti
67
La guerra civile nel Congo letto in quest’ottica fu anche una conseguenza della fornitura di
armi da parte degli Stati Uniti. Già il regime di Mobutu poteva sopravvivere soltanto grazie al
forte sostegno militare statunitense (si stima il valore sui 300 milioni di dollari di armi e 100
milioni di dollari in addestramento militare). Anche se il governo di Clinton ufficialmente
criticò i governi coinvolti nella disastrosa Seconda Guerra del Congo non si può nascondere il
fatto che ben otto degli eserciti combattenti furono armati con l’aiuto degli USA.
L’amministrazione di Clinton tagliava le spese per lo sviluppo economico dell’Africa e non
mostrò alcuna intenzione di trovare soluzioni alternative all’impegno militare indiretto e
diretto146.
Secondo le analisi di Hartung e Moix l’approccio del governo di Clinton all’Africa focalizzò
soltanto gli interessi nella regione a breve termine, mantenendo però una posizione di
sicurezza lontana dai vari problemi e incoraggiando la risposta armata al complesso problema
di transizione democratica e processo di pace. Gli Stati Uniti avrebbero dovuto intensificare le
consultazioni con i vari governi e la società civile per poter identificare le radici delle cause di
instabilità e violenza.
Se gli Stati Uniti utilizzassero parte delle loro risorse che attualmente vengono fornite agli
eserciti dei vari governi africani per trovare soluzione alternative non militari come lo
sviluppo democratico, lo sviluppo e la pacificazione, gli Stati Uniti potrebbero dare un
significativo contributo e rafforzare la loro leadership nella regione147.
Grazie al contributo di questi autori critici il ruolo degli Stati Uniti nella regione fu esaminato
in maniera dettagliata. Il ruolo delle altre Nazioni come ad esempio quello della Cina rimase
meno chiaro. Secondo le fonti ufficiali del Dipartimento USA per il controllo e il disarmo, la
Cina fu il primo fornitore seguito dagli Stati Uniti e la Francia e il Dipartimento descrisse
l’impatto del traffico d’armi nella regione come catastrofico. Non ci sarebbero stati possibili
soluzioni alla guerra senza la diminuzione o il blocco del traffico d’armi da parte di tutti i
paesi coinvolti.
3.7 Gli Accordi di Lusaka
Già subito dopo l’inizio della guerra tra i governi del Rwanda e Uganda e il governo di
Kabila, altri leader africani cercarono di trovare una soluzione pacifica. Nei prossimi dieci
mesi una volta al mese si organizzarono dei meeting tra i vari paesi africani a livello
146 Hartung William D. and Moix Bridget, Deadly legacy: US arms to Africa and the Congo War, World Policy Institute, Washington D.C., 2000, p.2 http://www.worldpolicy.org/projects/arms/reports/congo.htm 147 Ibidem
Werner Zanotti
68
ministeriale e presidenziale. Quando, finalmente a luglio del 1999 si arrivò ad un cessate il
fuoco nella DRC firmato dallo Zimbabwe, Angola, Namibia, Rwanda e Uganda si fece un
enorme passo in avanti. Anche se tre gruppi di ribelli anti Kabila firmarono l’accordo solo in
un futuro momento e le lesioni dell’accordo furono parecchie e l’implementazione della pace
rimase molto difficoltoso, si può parlare di una pietra miliare nella breve storia della DRC. Gli
accordi contenevano quattro componenti che riflettevano le dimensioni nazionali, regionali e
internazionali del conflitto148:
1. Si creò una commissione militare che fu composta dalle parti belligeranti e da un
gruppo di osservatori dell’OUA. I loro compiti furono di investigare le violazioni
contro il cessate il fuoco, l’elaborare di meccanismi per disarmare le milizie e di
controllare il ritiro delle truppe straniere dal territorio della DRC.
2. Le parti contraenti africane chiesero alle Nazioni Unite in collaborazione con l’OUA
di mandare una missione di “peace – making” (implementazione) con un forte
mandato (Chapter VII mandate) che potesse garantire l’implementazione della pace
(contrariamente al mandato dell’UNAMIR in Rwanda che era una missione peace –
keeping seguendo il Chapter VI). Il ruolo di questi garanti internazionali della pace
sarebbe stato di disarmare le milizie e di controllare il ritiro delle truppe estere.
3. I vari gruppi armati andavano fermati e disarmati. I responsabili dei crimini di guerra
andavano portati davanti al Tribunale Internazionale per il Rwanda situato ad Arusha.
4. Sarebbe dovuto iniziare un dialogo nazionale in Congo che avrebbe dovuto portare ad
una nuova situazione politica nella DRC. Per l’OUA questo processo fu seguito
dall’ex Presidente del Botswana Sir Ketumile Masire.
Il ruolo centrale nell’implementare del cessate il fuoco fu sicuramente quello del disarmo
delle varie milizie e gruppi di ribelli: il disarmo dell’ex FAR e dell’Interahamwe (chiamate
anche le forze del genocidio) fu centrale per il Rwanda, quello del FDD per il Burundi e
quello dell’UNITA per l’Angola e vari gruppi di ribelli che utilizzarono il Congo come basi
per attaccare l’Uganda.
Nessuno di questi gruppi fece parte degli Accordi di Lusaka e nessuno di questi ribelli li
firmò. Tutti furono legati ad uno o più governi assegnatari degli Accordi fino al loro disarmo
continuarono i loro attacchi. In più, questi attori non statali ebbero un interesse nella
continuazione della guerra e nel fallimento degli accordi di pace e del cessate il fuoco.
148 International Crisis Group, Democratic Republic of Congo: An Analysis of the Agreement and Prospects for Peace, Africa Report N°5, 20 August 1999
Werner Zanotti
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Un’altra volta emerse il fatto che il punto chiave del successo degli Accordi di Lusaka sarebbe
stato il disarmo dei gruppi dei ribelli. La situazione fu ulteriormente complicata dalla presenza
di una quantità enorme di armi nella regione. Inoltre alcuni governi dovevano assistere ed
aiutare il disarmo dei loro alleati dell’ex FAR e delle milizie Interahamwe; il Rwanda
altrimenti non avrebbe ritirato le sue truppe dal territorio della DRC. Altri oppositori agli
Accordi di pace furono gruppi armati come i Mayi-Mayi e Banyamulenge nella regione
orientale del Congo e il gruppo di ufficiali e soldati ex-Mobutu che furono in opposizione al
governo di Kabila. Si stimò che circa 20mila soldati delle forze ex-Mobutu avrebbero le loro
basi in Congo-Brazzaville.149
Le Nazioni Unite contrariamente alla posizione presa prima, durante e dopo il genocidio in
Rwanda sotto la guida degli Stati Uniti approvarono la Missione per il Congo che prese il
nome ufficiale MONUC (l’abbreviazione francese per Organizzazione della Missione delle
Nazioni Unite in DRC).
Comunque, secondo delle stime di studiosi per pacificare la regione che si espande dal Sudan
allo Zambia e dal Congo Brazzaville al Tanzania si avrebbe bisogno di circa 100mila soldati
ben armati.
A febbraio del 2000 il Consiglio di Sicurezza delle Nazione Unite su richiesta del Segretario
Generale Kofi Annan autorizzò la missione di 5537 soldati con il compito primario di
garantire la sicurezza dei circa 500 osservatori del processo di pace. Per paragonare questo
numero ad altre missioni: il mandato del Sierra Leone prevedeva una missione di 11mila
soldati mentre nel Congo che aveva 32 volte la dimensione del Sierra Leone e 10volte la
popolazione neanche la metà dei soldati.
Visto le esperienze passate, gli studiosi internazionali riconobbero che un mandato di 100mila
soldati non si sarebbe mai avverato. Quali sarebbero state le alternative?
Ritornando alle analisi di quanto era accaduto nella regione dal 1994 ad oggi è possibile
affermare quanto segue:
Il supporto degli Stati Uniti per Mobutu portò direttamente alla presente crisi della DRC e
preparò il terreno fertile per il conflitto in atto. Il fallimento della comunità internazionale ad
149 International Crisis Group, Democratic Republic of Congo: An Analysis of the Agreement and Prospects for Peace, Africa Report N°5, 20 August 1999
Werner Zanotti
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impedire il genocidio in Rwanda, il possibile rifugio dei responsabili del genocidio nell’allora
Zaire e la loro ri-organizzazione nei vari camp dei profughi portarono direttamente alla
Guerra del Congo. Ognuno di questi errori ebbe conseguenze dirette.
Oltre alla difficile soluzione del conflitto militare gli Accordi di Lusaka ebbero un’altra
lacuna: mancò un’agenda umanitaria. Mancarono semplicemente i fondi internazionali per
potere appoggiare il processo di pace con degli aiuti economici per la popolazione coinvolta
nel conflitto. Infatti, gli Accordi di Lusaka inclusero in uno degli obblighi del MONUC anche
l’assistenza umanitaria per i rifugiati interni e tutti i profughi. Le Nazioni Unite stimarono che
ca. 800mila furono cacciate internamente come rifugiati nel proprio paese e che 10milioni
soffrirono d’insicurezza e intimidazione.
Sembra che questa parte degli Accordi fu dimenticata del tutto; le organizzazioni umanitarie
furono disperate. Alcuni funzionari delle Nazioni Unite furono dell’opinione che senza
l’intervento umanitario la MONUC sarebbe stato un fallimento. Comunque è altresì vero che
senza disarmo delle parti contraenti non si arriva mai ad un cambiamento positivo.
Infine, si può ripetere la convinzione che l’Africa deve assumersi la responsabilità per le sue
crisi umanitarie e militari. È palese che furono dei rwandesi africani che lanciarono il
genocidio contro altri Africani nel Rwanda e fu altrettanto palese che sono dei governi
Africani che con grandi costi si fecero la guerra nel Congo. Sono i governi Africani che per
primi dovrebbero cercare di mandare delle truppe di pace per terminare il conflitto nella
regione.
Infatti nel 1999 nel Summit dell’OUA ad Algeri fu proclamata la Dichiarazione che l’anno
2000 sarebbe stato l’anno della pace, della sicurezza e della solidarietà in Africa. Il DRC
sarebbe stato il l’occasione ideale per il suo inizio.
Werner Zanotti
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Conclusioni
Il punto cruciale nell’analisi della storia del Rwanda è che non sappiamo del tutto quali
variabili e meccanismi abbiano portato al genocidio rwandese.
Vi è un consenso tra gli studiosi sul fatto che il genocidio sia di responsabilità di un’élite
rwandese che proveniva dalla cerchia ristretta che stava intorno al presidente Habyarimana e
sull’utilizzo di strumenti moderni per eseguire l’assassinio di massa150.
La comunità internazionale all’inizio del genocidio rimase paralizzata e non ebbe alcun
controllo sugli eventi che stavano accadendo in Rwanda. Questo mancato intervento potrebbe
essere riconducibile alle esperienze negative delle missioni delle Nazioni Unite nell’ex
Yugoslavia ma soprattutto in Somalia nel 1993. I grandi attori internazionali, come ad
esempio gli Stati Uniti, riuscirono ad evitare che si parlasse di genocidio e fecero il possibile
per non essere costretti ad intervenire in Rwanda.
Il conflitto nel Congo, chiamato anche La grande Guerra dell’Africa151, è strettamente
correlato alla guerra civile e al genocidio in Rwanda. Le truppe governative del RPF
cacciarono le milizie e i responsabili del genocidio dai campi profughi e li inseguirono per
tutto il territorio congolese.
Oltre un milione di profughi si rifugiarono nei campi Goma e nel territorio del Kivu nel
Congo. La grande sfida per la comunità internazionale fu di rimpatriare i profughi nel
Rwanda.
Alla guerra del Congo del 1998 parteciparono, oltre al Rwanda, anche gli eserciti regolari di
Burundi, Angola, Uganda, Zimbabwe e Namibia nonché una dozzina di gruppi di ribelli e due
eserciti non regolari.
Con gli accordi di Arusha ed il cessate il fuoco del 1999, la diplomazia africana e le Nazioni
Unite ebbero la possibilità di trovare delle soluzioni per pacificare la regione. Le Nazioni
Unite, sotto la guida degli Stati Uniti, approvarono la Missione per il Congo (MONUC) e nel
2000 il Consiglio di Sicurezza autorizzò il mandato per l’invio di truppe internazionali e
osservatori del processo di pace.
Il ruolo centrale nella pacificazione della regione fu svolto dal disarmo delle varie milizie e
dei gruppi dei ribelli.
150 Straus Scott, The order of genocide. Race, Power, and War in Rwanda, Cornell University Press, London 2006, p. 40 151 Reyntjens Filip, The African War, Congo and and Regional Geopolitics, 1996 – 2006, Cambridge University Press, Cambridge, 2009, p. 279
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L’esclusione politica, economica e sociale sono le principali dimensioni necessarie per
apprendere le dinamiche della violenza domestica e interstatale nella regione esaminata in
questo elaborato.152
La causa principale è da ricondurre sicuramente alla polarizzazione etnica che apre la strada
all’esclusione politica che a sua volta porta a repressione ed insurrezioni e guerre tra le
milizie. Questi conflitti furono causa del movimento di masse di profughi che, a loro volta,
destabilizzarono l’intera regione dei Grandi Laghi. Dove i conflitti etnici sfondarono le
barriere dei confini nazionali, portarono con se il potenziale conflittuale e diventarono fattori
e vettori di instabilità e insicurezza
152 Lemarchand Renè, The Dynamics of Violence in Central Africa, University of Pennsylvania Press, Philadelphia, 2009, p. 31
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