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GLI ABITATORI DELLE GROTTE BIOSPELEOLOGIA DEL FRIULI di Fabio Stoch

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GLI ABITATORI DELLE GROTTEBIOSPELEOLOGIA DEL FRIULI

di Fabio Stoch

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TestiFabio Stoch

FotoMarco Bodon: 43aAndrea Colla: 55, 67Adalberto D’Andrea: 10, 12, 13, 17, 23, 28a, 46, 54, 64, 65, 66, 70Willy de Mattia: 42bLuca Dorigo: 28b, 28c, 28d,Dario Ersetti: 57aPaolo Forti: 59Fulvio Gasparo: 14, 20, 21, 26, 29, 44b, 52, 53, 68Gianluca Governatori: 45, 51bLuca Lapini: 30Bruno Maiolini: 37Paolo Morettin: 4, 27, 39, 49, 56bGiuseppe Muscio: 15, 25, 57bEnrico Pezzoli: 42Rosa Romanin: 58, 60, 63Beatrice Sambugar: 19, 44aFabio Stoch: 6, 33, 34, 35, 40, 41, 42a, 43b, 47, 48, 50, 51aStefano Zoia: 56a

DisegniRoberto Zanella

Impaginazione e graficaGiuseppe Muscio

La pubblicazione è stata realizzata con il contributo della Provincia di Udine - Assessorato all’Ambiente

Circolo Speleologico e Idrologico Friulano - UdineQuaderno n. 1

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di Fabio Stoch

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> Che cos’è la biospeleologia:un po’ di storia

La biospeleologia è la scienza che studia lavita nelle grotte. Scienza recente, spesso tra-scurata, talvolta ingiustamente relegata amera curiosità o ritenuta campo esclusivodegli “specialisti”. In realtà l’Uomo ha da sempre creduto chenell’oscurità delle grotte ci possa essere vita.Una vita nel buio, pertanto in una dimensioneche sfugge alla percezione degli esseriumani, abituati a valutare l’ambiente con l’au-silio della vista. Un ambiente sconosciuto, dasempre ritenuto dimora di esseri fantastici,spesso crudeli e che solo di notte, quandoappunto fa buio, potevano uscire dalle lorocaverne.Le tradizioni di tutte le regioni del mondo sonoricche di leggende popolate da streghe, dra-ghi, fantasmi, orchi ed altri personaggi fanta-siosi. In Friuli le anguane e le krivopete (stre-ghe con i piedi rivolti all’indietro) abitano legrotte, soprattutto se ricche d’acqua, e i nomipopolari delle cavità ricordano queste arcai-

che presenze. Nel Foran des Aganis (sopraPrestento, nel Cividalese) si possono persinoudire i mormorii delle anguane provenire dalprofondo della grotta. E poco importa se queimormorii altro non sono che il gorgogliaredelle acque sotterranee; un po’ di arcaico eirrazionale timore all’entrata di questa grottasi prova ancora oggi.Ma l’uomo primitivo non era solo pauroso ecredulone; sappiamo che era anche un esplo-ratore ed un osservatore attento, che spessoha trovato nelle grotte un ambiente sicurodove rifugiarsi. Tanto osservatore da disegna-re, oltre 30.000 anni fa, un piccolo animalecavernicolo. Ne troviamo la testimonianza inun’incisione prodotta su di un osso di bisonte,rinvenuto nella “Grotte des Trois-Frères” suiPirenei: l’incisione rappresenta fedelmenteuna cavalletta cavernicola, molto comuneanche nelle nostre grotte (un ortottero delgenere Troglophilus). Forse la biospeleologia,come mera curiosità, ha origini molto più anti-che di quello che pensiamo.In Italia la prima osservazione di organismicavernicoli risale addirittura alla seconda

La biospeleologia

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metà del cinquecento, quando, in una letteradatata 1537 ed indirizzata a frate LeandroAlberti di Bologna, l’oratore e poeta vicentinoGiovangiorgio Trissino citò alcuni “gamberet-ti picciolini” provenienti dal Covolo diCostozza sui Monti Berici. Sappiamo trattarsidi una specie acquatica di crostaceo anfipo-de, bianca e cieca (Niphargus costozzae),ancor oggi molto comune nell’area dei Covolidi Costozza, che all’epoca deve aver suscita-to non poca curiosità.

Curiosità che nuovamente si fonde con la fan-tasia nel 1689: il barone Johann WeichardValvasor descrive addirittura un “piccolo didrago” rinvenuto in una sorgente dellaCarniola (Slovenia). Si tratta del noto proteo(l’anfibio Proteus anguinus), che sarà peròdescritto “scientificamente” solo nel 1768 daJoseph Nicolaus Laurenti.La specie verrà citata per la prima volta per ilterritorio italiano da Berni nel 1826, quandovenne scoperta in alcuni pozzi, utilizzati per

Niphargus costozzae

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l’approvvigionamento idrico, di Gradiscad’Isonzo.Dalla descrizione del proteo iniziarono nume-rose le ricerche sugli animali cavernicoli, inparticolare sul proteo stesso e sui pipistrelli,che, però, veri cavernicoli non sono.La prima accurata descrizione scientifica diun invertebrato realmente cavernicolo venneeffettuata da Ferdinand Schmidt che, nel1831, descrisse Leptodirus hohenwarti, uncoleottero perfettamente adattato alla vitanell’ambiente sotterraneo scoperto nelle“Grotte di Adelsberg” (cioè le Grotte diPostumia) dal conte Franz von Hohenwart,cui la specie è stata dedicata. La successivamonografia che descrive scientificamente

altre specie di invertebrati delle stesse grotteè datata 1849, opera di un entomologo dane-se, Jørgen Matthias Christian Schiødte.La biospeleologia era ormai nata, anche sedobbiamo aspettare il 1904 perché assuma ilsuo attuale nome (Biospéléologie), ad operadi Armand Virè, ed il 1907 perché, con lapubblicazione del saggio del rumeno ÉmileRacovitza (Essai sur les problèmes biospéo-logiques), abbia la dignità di una veraScienza.Dalla descrizione di nuove specie si passòanche allo studio della loro biologia, e com-parvero i primi laboratori sotterranei, comequello dello stesso Virè a Parigi (distrutto dauna piena della Senna nel 1910).

La prima raffigurazione del proteo nella pubblicazione di Laurenti (1768)

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L’articolo di “Mondo Sotterraneo” nel quale Giuseppe Feruglio descrive, nel 1904, Spelaeosphaeroma julium

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> La biospeleologia in Friuli

Nella prima metà del novecento vennero pub-blicati in Italia i primi lavori scientifici sullafauna delle nostre grotte. Uno dei più famosiriguarda proprio una specie del Friuli: sulprimo volume della rivista speleologica“Mondo Sotterraneo” (1904), ad opera diGiuseppe Feruglio troviamo il lavoro “LoSpelaeophaeroma julium. Nuovo crostaceoisopode cavernicolo”. La specie (oggi notacome Monolistra julia) venne scoperta nelleacque sotterranee della Grotta Pre-Oreak, inVal Cornappo.Poiché questo crostaceo presenta un interes-sante comportamento difensivo, consistentenell’appallottolarsi, in una lettera indirizzata aRenzo Cosattini il 29 aprile 1904, Ferugliorichiese ulteriori esemplari e riportò alcunenorme basilari della moderna ricerca biospe-leologica volte a raccogliere informazioni sullabiologia della specie: “Raccomando a chi divoi andrà a raccoglierli di camminare adagio esenza far rumore, e di osservare dopo avernepresi alcuni se facendo baccano o scuotendol’acqua si raggomitolino; se vivono strisciandosul fondo della pozza o sulla roccia, se ne esi-stino fuori dell’acqua, e se camminando ten-gono ferme o muovano le antenne e le anten-nule, se ve ne sono di accoppiate.”

La scoperta della nuova specie fece scalporenel mondo della speleologia friulana; le suecitazioni sono frequenti nelle riviste speleolo-giche dell’epoca, e non solo. Nel resocontodel XXIV Congresso della Società AlpinaFriulana (pubblicato sul periodico “In Alto” il 1settembre 1905) vengono riportati alcuniversi, decantati in occasione del brindisi dopoil pranzo sociale. Tra questi, nell’epitalamio“per l’auspicatissimo connubio dell’Alpinismocon la Speleologia”, letto dal cav. Fratini, sitrova un verso “biospeleologico”:

“I ciechi Protei danzanoEntro gli stagni oscuriE maliziosi godonoDi quei strani sussuri;Lo SpelaeosphaeromaJulium a quel fracassoL’arrovesciato passoTronca di botto, e sta.”

A tanta popolarità non fanno seguito però,nell’immediato, nuove ricerche biospeleologi-che. Dobbiamo aspettare vent’anni dallapubblicazione del lavoro di Feruglio, non-ostante l’enfasi con cui è stato accolto, pertrovare alcuni studi, riguardanti soprattutto laGrotta Nuova di Villanova, scoperta nel 1925e di facile percorribilità. In realtà le ricerchesulle grotte friulane languono per decenni,vuoi per uno scarso interesse per l’argomen-

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to da parte degli speleologi locali, vuoi perl’errata convinzione che ben poche altre spe-cie cavernicole rimanessero da scoprire.Convinzione errata poiché nel frattempo fer-vevano gli studi sul Carso triestino e isontinoda parte degli entomologi triestini, in partico-

lare ad opera di Giuseppe Müller, divenuto inseguito direttore del Museo Civico di StoriaNaturale di Trieste.Agli anni trenta seguì però un periodo di stasianche negli studi biospeleologici sulle grottedel Carso classico, in parte dovuti al secondo

Il Ramo delle Cascate nella Grotta Nuova di Villanova (Fr 323)

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conflitto mondiale, stasi che si protrasse sinoalla fine degli anni ‘50.Con questi anni possiamo affermare che siconclude la “prima fase”, pionieristica, dellabiospeleologia friulana.La “seconda fase”, esplorativa, cresce a par-tire dagli anni ’70, quando le ricerche ripren-dono con vigore, in particolare sulla fauna ter-restre, mentre quasi tutto quello che oggi si sasulla fauna acquatica deriva da ricerche ini-ziate solo alla fine degli anni ’80. In questa“seconda fase” si delineano i popolamenticavernicoli della nostra Regione, si inizia adiscutere sull’origine e sulla composizionedella fauna, si descrivono le principali specieendemiche, si comincia a delineare il quadrobiogeografico nel quale la fauna stessa si col-loca. Queste ricerche sono tuttora in corso ele scoperte si succedono oggi a ritmo freneti-co, dimostrando che la fase biospeleologicaesplorativa è ben lungi dall’essere conclusaanche in aree carsiche e cavità (come le stes-se grotte Pre-Oreak e Nuova di Villanova) chesi ritenevano fra le meglio conosciute ed inda-gate d’Italia. Alla fine del ‘900 e nel nuovo millennio inizialo studio dell’ecologia, della biogeografia edella moderna tassonomia degli animalicavernicoli (anche con l’aiuto delle sofisticatetecniche basate sull’esame del DNA), soprat-

tutto nell’ottica di una esigenza di tutela econservazione. Esigenza che si è fatta senti-re in modo marcato da quando, con l’emana-zione della Direttiva Habitat da parte dellaComunità Europea nel 1997, le grotte sonostate riconosciute come “habitat di interessecomunitario”, cioè habitat che richiedono diessere protetti e conservati per le generazio-ni future nell’intero territorio della ComunitàEuropea. Nell’ottica di traghettare verso que-sta “terza fase” la ricerca biospeleologica friu-lana, riveste una grande importanza la divul-gazione.Portare alla conoscenza di un pubblico vastole problematiche scientifiche legate alla faunacavernicola, spiegarne anche l’importanzapratica nell’ambito del monitoraggio dellostato di conservazione degli ecosistemi e dellivello di inquinamento delle acque sotterra-nee, è senz’altro il passo fondamentale perpoter tutelare le grotte e la loro fauna.In questa attività di divulgazione si inserisce ilpresente volumetto, che si propone di spiega-re in modo semplice, ma rigoroso, lo “statodell’arte” dell’attuale ricerca biospeleologicain Friuli, inserendola in un contesto ecologicoe conservazionistico che travalica gli angustispazi delle grotte a dimostrazione della stret-ta interconnessione tra questi ambienti, gliecosistemi di superficie e gli esseri umani.

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> I fattori ambientali:cosa regola la vita nelle grotte?

La vita degli organismi cavernicoli è influenza-ta nettamente da numerosi fattori ecologici, trai quali i più importanti sono l’assenza di luce,la costanza della temperatura, l’umidità eleva-ta e la scarsità di nutrimento.La luce. Sicuramente il fattore che più colpiscequando si visita una grotta è l’assenza di luce:ad essa consegue il fatto che, oltre una certadistanza dall’ingresso, mancano le piante verdie pertanto l’ecosistema cavernicolo dipende,per la sua sopravvivenza, dall’apporto di mate-riale dall’esterno (spesso detrito di originevegetale e, in minor misura, animale). Pernumerose specie cavernicole la luce è un fat-tore limitante, mentre per altre non costituisceun problema. Molte specie cavernicole presen-tano una particolare avversione nei confrontidella luce, spesso non sopportandone l’espo-sizione diretta per lunghi periodi. Inoltre l’as-senza di luce porta alla riduzione o scomparsadei “ritmi nictemerali” (che regolano l’attivitàlegata al susseguirsi del giorno e della notte) in

Le grotte come ecosistemi

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L’ingresso della Grotta di Taipana (Fr 61)

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molti organismi cavernicoli. Per alcune specie,però, la luce non sembra rappresentare un fat-tore limitante. Già all’inizio del secolo era noto,ad esempio, che alcuni cavernicoli acquatici(come i crostacei anfipodi del genereNiphargus) si potevano raccogliere nelle sor-genti carsiche all’esterno delle bocche sorgen-tizie, e che non sempre questo era dovuto atrasporto passivo. Questi animali compionoinfatti “migrazioni” dall’ambiente sotterraneo aquello di superficie per trovare una più sicuraed abbondante fonte di nutrimento.Temperatura. Normalmente la temperatura diuna grotta corrisponde alla media annua dellatemperatura esterna: è un parametro stretta-mente legato alla latitudine ed all’altitudine alla

quale si apre la cavità, e presenta limitatissimevariazioni nel corso dell’anno nelle parti piùinterne della grotta. Anche l’andamento preva-lentemente verticale od orizzontale e la pre-senza di più ingressi o di corsi d’acqua influen-zano la temperatura interna di una grotta.Il ruolo della temperatura come fattore limitanteper gli organismi cavernicoli è controverso. Si èinfatti notato che alcuni cavernicoli sopportanoin laboratorio variazioni di temperatura di ben20-25°C, mentre altri non li sopportano affatto.È ovvio che le esigenze termiche variano nellediverse specie e sono in relazione al loro habi-tat, che va dalle fredde grotte d’alta quota sulleAlpi alle grotte relativamente “calde” vicine allalinea di costa. La costanza della temperatura,pur assumendo forse una rilevanza minorerispetto alla luce e all’umidità, può essere dun-que considerata un fattore condizionante la vitanegli ambienti sotterranei per numerose specie.Umidità. Nelle grotte l’umidità è spesso vicinaai valori di saturazione (umidità relativa pari al95-100%), e questo sembra essere uno dei fat-tori limitanti più importanti per i cavernicoli ter-restri. È ben noto infatti ai biospeleologi come itratti più secchi delle grotte, ove vi sono adesempio correnti d’aria, siano quelli più poveridi fauna troglobia. L’umidità relativa agisceinfatti sul metabolismo, sulla respirazione e sul-l’assorbimento di acqua attraverso la cuticola.

Tegenaria silvestris è un ragno che trova all’ingressodelle grotte le condizioni ottimali di temperatura e umidità

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Abbondanza di nutrimento. Si ritiene in genereche la quantità di nutrimento sia molto bassanelle grotte e che questo condizioni la soprav-vivenza delle specie cavernicole. Sono notimolti adattamenti negli animali di grotta, cuiaccenneremo in seguito, volti ad operare unvero e proprio “risparmio energetico” per adat-tarsi ad un ambiente povero di risorse alimen-tari. Questo però non è sempre vero. In basealla disponibilità di risorse nutritive, le grottepossono essere classificate in varie categorie.Adottando una semplificazione, possiamosuddividere le grotte (o loro parti) in:oligotrofiche, con scarse risorse alimentari(scarsissime nelle grotte di montagna)eutrofiche, con ampia disponibilità di nutri-

mento, in genere costituita da accumuli dimateriale organico, ad esempio il guano deipipistrelli, o i cumuli di detrito vegetale veicola-to dalle acque attraverso gli inghiottitoimesotrofiche, cioè con quantità di nutrimentointermedie tra le categorie precedenti (lamaggior parte delle grotte prealpine).Tuttavia sono le grotte oligotrofiche e soprat-tutto quelle mesotrofiche le più ricche in spe-cie cavernicole specializzate: spesso le grot-te eutrofiche sono colonizzate da specieopportuniste, che costituiscono dense popo-lazioni che sfruttano le abbondanti risorsetrofiche accumulatesi; ne sono un esempio iguanobi, che si cibano del guano, cioè escre-menti di pipistrelli.

Gli accumuli di detrito vegetale (a sinistra) e di guano (a destra) sono i più importanti apporti di nutrimento nellecavità; le immagini sono state realizzate nella grotta Pre Oreak (Fr 65)

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> La rete alimentare

Negli ambienti di superficie vi sono due

distinte categorie di esseri viventi: gli autotro-

fi (comprendente i produttori, essenzialmente

le piante verdi) e gli eterotrofi (comprendente

i consumatori, cioè gli animali, ma anche fun-

ghi e molti batteri). Nelle grotte la componen-

te autotrofa è, come vedremo, molto limitata

e la sua distribuzione è relegata in genere ai

primi metri dall’entrata, dove la luce penetra

in maniera sufficiente a consentire lo svilup-

po almeno delle alghe.

Nell’ambiente sotterraneo vero e proprio que-

sta componente è del tutto assente e le cate-

ne alimentari sono basate principalmente sul

nutrimento proveniente dall’esterno. Questo

viene infatti veicolato all’interno delle cavità

sotto forma di detrito organico e pertanto alla

base delle “piramidi alimentari” delle grotte si

pongono i detritivori, consumatori primari di

sostanze animali e vegetali in decomposizio-

ne. Questo detrito è presente sia nel terreno,

sia nell’acqua dove può trovarsi in sospensio-

ne o depositato sul fondo. Gli anelli successi-

vi della catena alimentare includono invece

essenzialmente i predatori: si tratta di una rete

alimentare semplificata.

Piante verdi Animali

CARNIVORI

DECOMPOSITORI(funghi e batteri)

SOSTANZA ORGANICA

ENERGIA SOLAREPRODUTTORI DI SUPERFICIE

GUANO

CONSUMATORI DI SUPERFICIE

DETRITO VEGETALE

DETRITIVORI

DETRITO ANIMALE

La rete alimentare di una grotta dipende in buona parte dall'apporto di nutrimento dalla superficie

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> La biodiversità:cos’è e da cosa dipende

La biodiversità, di cui oggi molto si parla, èsostanzialmente la ricchezza di specie di unadeterminata area; altre definizioni più com-plesse includono i rapporti numerici tra le spe-cie, ma nella sua formulazione più semplicepossiamo dire che, più specie abitano unagrotta, maggiore è la sua biodiversità.Oltre a spiegazioni legate alla storia dell’areacarsica, di cui ci occuperemo nel capitolo dedi-cato alla biogeografia, la biodiversità dellegrotte dipende da fattori ecologici complessi.Eterogeneità dell’habitat. La complessità strut-turale dell’habitat, con la conseguente diversi-ficazione dell’ambiente (presenza di fessure didiverse dimensioni e di aree a diversa circola-zione idrica) crea la disponibilità di numerosenicchie spaziali che possono venir occupatedalle diverse specie e pertanto è direttamenteproporzionale alla biodiversità di una grotta. Area. L’estensione delle aree carsiche èimportante, poiché aree più estese ospitanoovviamente un maggior numero di specieche possono arricchire anche le comunitàlocali; in sostanza, grotte situate in aree car-siche più estese possono essere più ricche dispecie di grotte di pari dimensioni, ma situa-te in aree carsiche più piccole.

Produttività e disponibilità di risorse. Ambientiricchi di risorse dovrebbero ospitare faune piùricche, ma non sempre è così. È noto che grot-te molto povere di risorse (oligotrofiche) ospita-no faune più povere, ma il numero di speciecavernicole tende a diminuire superata unacerta soglia di disponibilità alimentare, decre-scendo negli ambienti troppo ricchi di risorse(eutrofici) ove prevalgono specie non stretta-mente cavernicole. Pertanto la maggior ric-chezza di specie cavernicole si riscontra ingenere nelle grotte mesotrofiche.

Tratto concrezionato nella Grotta Mitica (Fr 2907):l’eterogeneità e la complessità dell’habitat sono fattoridirettamente correlati con la ricchezza di specie

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> La vegetazione all’imboccaturadelle grotte

Le voragini e le doline presentano una vege-tazione piuttosto particolare; la rapida varia-zione delle condizioni ambientali dà origine alben noto fenomeno di “stratificazione inversa”della flora. La dolina o la voragine può infattiessere paragonata ad una montagna capo-volta la cui sommità corrisponda al fondo del-l’imbuto. Le pareti di questo gigantesco imbu-to presentano una distribuzione della florasimile quella che si può osservare risalendo ipendii di un’alta montagna; nelle doline piùprofonde possiamo addirittura incontrare sulfondo il ghiaccio perenne.L’imboccatura di grotte e pozzi carsici puòessere considerata come una fascia di transi-zione (ecotono) tra l’ambiente di superficie equello sotterraneo. In relazione all’intensitàdella luce, le grotte possono venir suddivise inalmeno tre diverse zone: la zona dell’ingresso(“liminare”), dove vivono ancora le faneroga-me (cioè le piante con fiore), con una intensi-tà luminosa ridotta fino a 1/500 di quellaesterna; la zona di transizione (“subliminare”),caratterizzata dalla dominanza di felci nellaparte più esterna, di muschi ed epatiche inquella più interna, con intensità luminosaridotta fino ad 1/1000; la zona interna, dove

sopravvivono le sole alghe microscopicheche possono tappezzare le pareti di macchieverdastre o nerastre sin dove la luce è pari a1/2000 della luce solare esterna; oltre c’è l’o-scurità assoluta: qui sopravvivono solo alcunifunghi, che non sono però dei vegetali, nonsvolgendo la fotosintesi clorofilliana.

Nord Sud

Zona esterna

Zona liminare

Zona subliminare

Oscurità assoluta

Zona interna

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-20 m

-30 m

Limite inferiorefanerogame

Limite inferiorefelci

Limite inferioremuschi

Limite inferiorealghe verdi

Limite inferiorealghe azzurre

Zonazione della vegetazione in un pozzo carsico infunzione dell'intensità della luce

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Questa “seriazione” della vegetazione, parti-colarmente evidente nel caso dei pozzi verti-cali, è dovuta alla richiesta di acqua da partedei meccanismi riproduttivi dei vegetali chevivono nelle diverse zone. La riproduzionedelle alghe, che presenta complessi cicli, conalternanza di fasi sessuate e asessuate, èindissolubilmente legata alla presenza diacqua. Con i muschi e le epatiche la fase ses-suata prevale su quella asessuata: la piantinache noi osserviamo porta infatti le cellule ses-suali, maschili e femminili, legate all’acquaper la fecondazione; le spore (portate in urnesu piccoli filamenti), che daranno origine allenuove piantine, possono venir veicolate dalvento e pertanto sono slegate dall’acqua percontinuare il ciclo. Nelle felci accade invecel’opposto: la fronda che noi osserviamo reca

le spore sulla pagina inferiore, e fa parte dun-que della fase asessuata, slegata dall’acqua;la fase sessuata, legata all’acqua, è inveceridottissima. Infine nelle piante con fiore, lefanerogame, il ciclo riproduttivo, ben noto atutti, si attua indipendentemente dalla presen-za dell’acqua. Poiché la sequenza alghe - muschi ed epati-che - felci - fanerogame ricalca la sequenzadell’evoluzione delle piante nel corso delleere geologiche, il botanico triestino LivioPoldini ha notato un parallelismo di grandevalore didattico: risalendo dal fondo di unavoragine carsica verso la superficie, ideal-mente ripercorriamo le tappe dell’evoluzionedelle piante, che hanno colonizzato le terreemerse slegandosi progressivamente dallapresenza dell’acqua per la riproduzione.

Polypodium gr. vulgare (felce dolce) e Phyllitis scolopendrium (lingua cervina) si sviluppano nella zona subliminare,ancora rischiarata dalle tenui radiazioni luminose

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Gli habitat dei cavernicoli

> Gli habitat terrestri

A lungo i biospeleologi hanno pensato all’am-biente cavernicolo come costituito dalle solegrotte accessibili all’uomo. Con il progrediredegli studi è stato però compreso che le grot-te sono solo una piccola parte del mondo sot-terraneo, formato in realtà anche da tutto unreticolo di microfessure che permea la rocciacalcarea e spesso costituisce il principalehabitat degli organismi cavernicoli. Limitandoci invece all’esame di una grottanella sola sua parte percorribile, possiamodistinguere vari habitat terrestri, ognuno deiquali ospita una fauna del tutto particolare. Ilprimo è certamente quello costituito dai gran-di spazi, dalle gallerie che possono ospitareanche animali di più grandi dimensioni come ipipistrelli. All’interno di questi ambienti è pos-sibile individuare almeno tre zone. Nella zonadell’ingresso si possono incontrare, a secon-da del periodo dell’anno, diversi animali disuperficie che vi trovano rifugio; non si trattain genere di vere specie cavernicole, maspesso di opportunisti. Dalla zona di penom-

bra fino alla parte iniziale della zona oscurasulle pareti si incontra un insieme di specieche costituiscono la cosiddetta “associazioneparietale”, tra cui sono comuni ragni, ditteri,lepidotteri, ortotteri, tricotteri: qui si mescolanoi veri cavernicoli con gli ospiti occasionali.

Il lepidottero Triphosa dubitata è un caratteristicomembro dell’associazione parietale

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Sugli accumuli di guano troviamo i “guanobi”,in genere organismi opportunisti che sfruttanoquesta importante risorsa alimentare. Infinenella zona più profonda della grotta, dove latemperatura è costante, l’umidità è elevata edil buio totale, si incontrano i veri cavernicoli: sipossono trovare tra il terriccio, sotto i sassi,sulle stalagmiti, nei pressi dei legni marce-scenti o dove si accumulano le foglie. Molti deipiccoli invertebrati che vivono in questa zonafrequentano anche il cosiddetto ambiente sot-terraneo superficiale, o epicarso. Si tratta di unhabitat costituito dall’insieme di microfessure

Suolo

Ambientesotterraneosuperficiale

Ambientesotterraneoprofondo

Grotta

nella roccia fratturata situato sotto l’ultimo oriz-zonte del suolo, che spesso mette in collega-mento le grotte con il resto del reticolo carsico.Recenti studi hanno dimostrato che alcunespecie di insetti passano diversi periodi del-l’anno in questo ambiente, frequentando legrotte solo in determinate stagioni.Al di sopra di questo habitat troviamo l’ambien-te endogeo, che comprende la porzione disuolo fino alla base delle radici, e presentalegami stretti con l’ambiente sotterraneo super-ficiale e con le grotte fornendo loro sostanzaorganica: siamo però ormai in superficie.

Le grotte costituiscono solo una piccola parte dell'ambiente ipogeo

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> Gli habitat acquatici

L’acqua che permea un massiccio carbonaticoprende il nome di acquifero carsico. All’internodi un questo acquifero possiamo distingueredue diverse componenti distinte dalla modali-tà di circolazione delle acque. La componen-te trasmissiva, tipica dei sistemi fortementecarsificati, è costituita dalle fessure e galleriedi maggiori dimensioni, ove l’acqua scorrecon velocità anche elevate. La componente

capacitiva è caratterizzata invece da una cir-colazione idrica in fratture medie o piccole,con varie ramificazioni, spesso adiacenti alsistema trasmissivo, dove si formano piccolesacche di acqua calma. Se il sistema tra-smissivo pone forti limiti alla sopravvivenzadelle specie sotterranee, la situazione èdiversa nel sistema annesso capacitivo, dovela velocità di corrente è bassa, l’accumulo disostanza organica e di particelle inorganicheconsiderevole, tutte caratteristiche che lo

Vaschetta nella Grotta Mitica (Fr 2907)

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rendono idoneo ad ospitare una ricca faunasotterranea.Procedendo dalla superficie in profondità, gliacquiferi possono essere suddivisi in insaturie saturi.Nella parte superiore di un sistema carsico citroviamo in quella che in termini tecnici vienedefinita “zona vadosa” (insatura): in questazona le fessure del reticolo carsico non sonoperennemente occupate dall’acqua, ma ilgrado di saturazione dipende dalle precipita-zioni. La circolazione dell’acqua è prevalente-mente verticale: dalla superficie l’acqua per-cola nell’epicarso (lo strato in parte disgrega-to di rocce calcaree che si trova immediata-mente sotto l’esiguo suolo), dove si accumulaa formare riserve idriche anche consistenti: èquesto l’habitat principale di molti organismiacquatici.L’acqua attraversa poi gli strati rocciosi sotto-stanti e perviene nella cavità sotto forma distillicidio. L’acqua di percolazione si raccogliein: laghetti, la cui formazione è favorita da untamponamento impermeabile e che possonoessere perenni; gours, cioè pozze in concre-zione, periodiche in funzione delle precipita-zioni; microgours, cioè raccolte d’acqua inconcrezione di piccolissime dimensioni (dapochi millimetri a qualche centimetro), dove siraccoglie l’acqua che percola lungo le pareti

stalagmitiche; pozzette o pozzanghere, quan-do le raccolte d’acqua si formano sul terrenoargilloso.Nonostante all’apparenza si tratti di habitatpiuttosto inospitali e nessuna forma di vita siain genere visibile a occhio nudo (se escludia-mo qualche crostaceo anfipode), le acque dipercolazione sono popolate da un elevatonumero di specie animali appartenenti a sva-riati gruppi tassonomici; le dimensioni di que-sti organismi vanno dai tre decimi di millime-tro a circa cinque millimetri, ma certi organi-smi possono superare il centimetro di lun-ghezza quando l’ampiezza delle fessure loconsenta.

Zona vadosa

Zona freatica

Ambiente interstiziale

Tipologie di acque sotterranee

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> Gli habitat artificiali

Accanto alle cavità naturali, esistono quelleartificiali, realizzate cioè dall’uomo (miniere,gallerie di cava, gallerie di guerra, cisterne,acquedotti, cantine, etc.). Numerosi studi fau-nistici sono stati condotti su questi particolariambienti a partire dal XIX secolo e testimo-niano l’interesse delle cavità artificiali per labiospeleologia. Particolare interesse assu-mono le cavità artificiali scavate in rocce car-bonatiche poco carsificabili, che permettonodi aprire una “finestra” attraverso la qualel’uomo può affacciarsi su ambienti altrimentiinaccessibili.

Quando le acque di percolazione intercettanouno strato impermeabile, ad esempio unostrato di rocce marnoso-arenacee (“flysch”),come in molte delle grotte delle Prealpi Giulie,si originano ruscelli sotterranei, talora inter-vallati da laghetti o sifoni. Si parla di acque“localmente sature”: la loro fauna è solitamen-te molto diversa da quella dell’epicarso edelle acque di percolazione. Spesso sul fondodei ruscelli si accumulano ghiaia e sabbia, acostituire quello che viene detto “ambienteinterstiziale”: un habitat che ospita una faunamolto particolare, costituita da organismi dipiccole dimensioni, spesso allungati per potermuoversi tra i minuscoli spazi esistenti tra igranelli di sedimento.Gli acquiferi carsici saturi (“zona satura” o“zona freatica”, perennemente invase dalle“acque di base”) sono spesso caratterizzatidalla presenza di ampi spazi idrici (fiumi sot-terranei o laghi): non a caso vi si rinvengonogli organismi di maggiori dimensioni (dell’ordi-ne di alcuni centimetri), come grossi crostaceie il proteo. Le acque della zona satura per-meano l’intero massiccio carsico e fuoriesco-no da imponenti risorgive; ne troviamo classi-ci esempi nel Carso Triestino, ove fuoriesco-no principalmente alle Bocche del Timavo, enelle Prealpi Carniche, ove troviamo l’impo-nente risorgiva del Gorgazzo. Pozza con concrezionamento nella Miniera di Cludinico

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Gli animali cavernicoli

> Classificazione ecologicadegli animali delle grotte

Gli organismi che frequentano le grotte inrealtà sono un insieme di specie che presen-tano differenti gradi di fedeltà all’ambientesotterraneo; è per questo motivo che sin dallametà dell’ottocento (il primo lavoro “moderno”su questo tema risale al 1854 ad opera diSchiner) sono state proposte classificazioniche tengano conto delle caratteristiche adat-tative di ciascuna specie.Si distinguono oggi tre categorie principali dianimali presenti in grotta, recentemente (giu-gno 2008) ridefinite dal biospeleologo slovenoBoris Sket in chiave esclusivamente ecologica.Troglosseni: si definiscono troglosseni que-gli organismi la cui presenza in grotta è spo-radica e accidentale. Ne costituiscono unesempio gli animali trasportati negli inghiotti-toi dalle acque durante le piene o caduti neipozzi; sono dunque organismi che pocohanno a che fare con l’ambiente sotterraneo,ma che possono talvolta costituire una impor-tante fonte di nutrimento per i cavernicoli pre-

datori o saprofagi. Alcune specie troglossenepresentano una maggior propensione adessere rinvenute nelle grotte, ricercandovicondizioni idonee di temperatura ed umidità,che possono trovare però anche in altriambienti, come semplici ripari sotto le pietre onei muschi umidi; talvolta questi organismisono definiti “troglosseni regolari”.Troglofili: sono organismi presenti con rego-larità nelle grotte, seppure si tratta sostanzial-mente di specie di superficie. Si distinguono aloro volta in due gruppi: i subtroglofili abitanole grotte regolarmente o solo in alcuni periodidella loro vita, ma rimangono legati alla super-ficie per alcune funzioni biologiche (ad esem-pio per nutrirsi); gli eutroglofili mostrano unanetta preferenza per le grotte e particolariadattamenti che consentonoad alcune popolazioni di vive-re permanentemente nel-l’ambiente sotterraneo,pur potendo altre popo-lazioni della specievivere e riprodursianche all’esterno.

Troglosseno(Euscorpius sp.)

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Troglobi: si tratta di organismi (intere specieo popolazioni) esclusivamente legati all’am-biente di grotta; questi animali mostrano gliadattamenti più spiccati (morfologici e fisiolo-gici) all’ambiente cavernicolo e compionoall’interno delle grotte il loro intero ciclo vitale.Si usa in genere definire “veri cavernicoli”solo i troglobi e gli eutroglofili; il rapporto traqueste due categorie e le altre due (subtro-glofili e troglosseni regolari) viene definito“indice di specializzazione” e serve a dareun’idea di quanto sia “specializzata” alla vita

cavernicola la fauna di una determinata areacarsica. Riprenderemo questo concetto par-lando della biogeografia.Per gli organismi acquatici sotterranei, indi-pendentemente dal fatto che vivano in acquecarsiche, in acque che permeano i terreni allu-vionali o che scorrono in altri tipi di rocce, siusano spesso i termini stigosseni, stigofili estigobi, di analogo significato. Si tratta di termi-ni ricchi di fascino in quanto derivati dal miticoStige, il fiume che le anime dei morti devonotraghettare per entrare nell’Oltretomba.

Troglosseni (a), troglobi (b), subtroglofili (c) e stigobi (d) possono occupare nicchie spaziali diverse in una stessa cavità

a b c d

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> Gli adattamenti nei troglobi

Gli organismi cavernicoli si sono adattati alleparticolari condizioni di vita al buio nel corsodi milioni di anni di evoluzione, anche se altriorganismi (ad esempio quelli che vivono nelsuolo o negli abissi marini) possono presen-tare adattamenti analoghi pur senza esserecavernicoli.Adattamenti morfologici e fisiologici.L’allungamento degli arti e delle appendici èuno degli adattamenti più evidenti, atto amigliorare il loro ruolo tattile in un ambientedove l’oscurità è totale; ad esso è seguitoanche lo sviluppo degli organi di senso (recet-tori chimici, di umidità, ecc.) e l’allungamentodelle setole tattili.Un altro caratteristico adattamento è lo svi-luppo inconsueto della superficie addomina-le e delle elitre che, in alcuni coleotteri piùspecializzati, assumono un aspetto globoso:questo adattamento (che in termini tecnici èdetto “falsa fisogastria”) è da mettere in rela-zione con la respirazione ed il bisogno di ariaumida. Ma sicuramente gli adattamenti piùcospicui e noti sono quelli legati alla depig-mentazione (cioè alla mancanza di colore) eall’assenza degli occhi: i veri cavernicoli siriconoscono facilmente poiché sono pallidi eciechi.

Accanto a questi importanti adattamenti se neaggiungono altri: il metabolismo ridotto, l’au-mento del volume delle uova e la riduzionedel loro numero, che consentono di vivere eriprodursi al meglio in ambienti poveri di cibo,risparmiando energia.Neotenia. Un caso di adattamento peculiaree molto ben studiato è quello del proteo, notosoprattutto per la neotenia (obbligatoria edirreversibile). Il proteo raggiunge cioè la matu-rità sessuale pur mantenendo caratteri larva-li, tra cui spiccano le branchie esterne rosse,

L’assenza di occhi è un preadattamento alla vita nellegrotte, come in questo diplopode eutroglofilo(Brachydesmus subterraneus)

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che conserverà per tutta la vita. Il proteodepone 20-80 uova, una alla volta nell’arco dicirca un mese, attaccate sulle rocce e sotto lepietre dei corsi d’acqua e dei laghi sotterraneiove vive. Le larve, grigiastre, possiedonoocchi ben distinti sino all’età di circa due mesi.

In natura la riproduzione avviene raramenteprima del decimo anno di età, ed il proteo ènoto per la sua longevità che può senz’altrosuperare i 20 anni.La scoperta di una sottospecie (Proteusanguinus parkelj) oculata e pigmentata (ilfamoso “proteo nero”), avvenuta in Slovenianel 1994, geneticamente affine alle popola-zioni stigobie della stessa area, mostra quan-to i suoi eccezionali adattamenti possanoessere stati in realtà acquisiti in tempi abba-stanza rapidi. Progenesi. Diverso dalla neotenia, anche sepuò portare a risultati simili, è il processo dellaprogenesi, attraverso il quale alcuni caratteridell’adulto vengono anticipati nello sviluppo;conseguentemente, l’adulto, maturo sessual-mente, conserva caratteristiche tipiche dellostadio giovanile o larvale. Questo adultospesso è di piccole dimensioni, con minornumero di segmenti corporei (se trattasi diorganismo “metamerico”, cioè dal corpo seg-mentato) di quanti ne avrebbe avuti se il suosviluppo avesse seguito il percorso tradizio-nale. La progenesi si osserva frequentemen-te ad esempio nei crostacei stigobi, che trag-gono vantaggio a rimanere piccoli per potersimuovere ad esempio nelle anguste microfes-sure della roccia calcarea, o negli interstizi deisedimenti ghiaiosi e sabbiosi.Proteo (Proteus anguinus)

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> Come si sono originati i troglobi?

Molto si è di recente dibattuto, in convegni eriviste scientifiche, sull’origine della fauna tro-globia. Sostanzialmente vi sono due granditeorie a confronto. La prima si basa sull’ideache i cavernicoli siano per lo più “relitti” di unaantica fauna e le grotte costituiscano dei “rifu-gi” dove questi animali possono essere sfug-giti agli effetti devastanti dei grandi cambia-menti climatici (in primo luogo alle glaciazioniquaternarie). La seconda si basa invece sulprincipio della “colonizzazione attiva” dellegrotte da parte degli organismi di superficieche vi trovano nicchie libere e minor competi-zione. L’interesse dei modelli di rifugio pressoi biospeleologi è stato notevole, in quantorispondevano ad una importante domanda:perché gli organismi sono penetrati nelle grot-te, cioè in un ambiente così ostile? In realtàtutti gli ambienti ostili della terra, dai ghiaccidel polo ai deserti, agli abissi marini ospitanouna fauna; allo stesso modo devono pertantocomportarsi le grotte, che non sono poi cosìspeciali né ostili. Il modello di rifugio negli ulti-mi anni è stato pertanto affiancato al modellodella colonizzazione attiva, che spiega tra l’al-tro anche la presenza di cavernicoli nelle areetropicali (ove ad esempio l’effetto delle glacia-zioni non si è fatto sentire in modo marcato) e

i numerosi casi osservati di colonizzazionedelle cavità sotterranee che sono stati docu-mentati come attualmente in corso.Affinché si originino delle vere specie caverni-cole, alla fase di “colonizzazione” delle grottedeve però seguire la fase di “speciazione”, cioèla nascita di una nuova specie, esclusivamen-te sotterranea, ben distinta da quella di super-ficie. La speciazione nelle grotte è sempredovuta ad isolamento, che porta come conse-guenza alla formazione di numerose specie“endemiche”, la cui distribuzione è cioè limitataad una ristretta area geografica, spesso ad unsolo massiccio carsico, talvolta ad una solagrotta. È questo uno dei motivi principali per iquali le grotte sono considerati tra gli ambientinaturali più ricchi di specie rare ed endemiche,e pertanto meritevoli della massima tutela.

SPECIE DI

SUPERFICIESPECIE DI

SUPERFICIE

1. Colonizzazione

2. Speciazione

1. Colonizzazione

2. Speciazione

3. Radiazione adattativa

SPECIE

TROGLOBIASPECIE

TROGLOBIA

Colonizzazione e speciazione danno origine, con duediverse modalità, alle specie troglobie

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> Biogeografia della fauna cavernicola

La biogeografia è quella scienza che si propo-ne di spiegare il ruolo che i fattori storici edecologici hanno avuto nell’origine dell’attualedistribuzione geografica degli organismi enell’assemblaggio delle faune. Uno dei campidella biogeografia è studiare lo “spettro coro-logico” di una data fauna, cioè classificare gliorganismi in categorie che tengano conto delloro areale di distribuzione (“categorie corolo-giche”) e vedere come questi incidano sullacomposizione della fauna.Da un punto di vista biogeografico, la faunadelle grotte del Friuli Venezia Giulia è costitui-ta in primo luogo da un cospicuo numero dispecie endemiche (soprattutto numerosenella fauna terrestre, in particolare tra i coleot-teri), ad areale cioè ristretto; in genere sitratta di specie diffuse dalla Slovenia alTagliamento o, più raramente, sino al Venetoorientale (endemiti prealpini orientali). Accantoa queste specie legate all’arco alpino orienta-le, ne troviamo altre il cui areale è limitato aduna sola delle aree montuose (Carniche,Giulie, Carso classico) della Regione, o taloraad un singolo massiccio montuoso o ad unasingola grotta, anche se in quest’ultimo casopotrebbe trattarsi di una carenza di ricerche.Si tratta in genere di specie di origine “antica”,

pre-quaternaria, come testimoniato spessodalla loro totale assenza (con le dovute ecce-zioni) nelle grotte poste a Nord della linea trac-ciata dall’ultima glaciazione pleistocenica. Aquesto nucleo di specie se ne aggiungonoaltre a distribuzione alpino-orientale e alpino-dinarica (cioè il cui areale si estende ad Estsino ai Balcani); questi diversi areali di distribu-zione convergono in Friuli a costituire un popo-lamento biogeograficamente complesso. I principali “contingenti” (seguendo la termino-logia dei biogeografi) che avrebbero dato ori-gine al popolamento delle grotte friulanesarebbero sostanzialmente due: un contin-gente di specie nordiche, spinte verso Suddall’avanzare delle glaciazioni pleistocenichee che ne hanno seguito il ritiro verso Nord nelpostglaciale, ed un cospicuo contingente dina-rico, proveniente da SE, da cui si è originata lamaggior parte delle specie endemiche. Alcunespecie acquatiche di piccole dimensioni pos-sono raggiungere areali di distribuzione anchepiuttosto ampi; si tratta di popolamenti giuntinell’area presumibilmente mediante dispersio-ne postglaciale attraverso le falde freatiche.Le glaciazioni quaternarie hanno pertantoagito sulla fauna cavernicola delle nostre mon-tagne in modo drastico, cancellando spessoogni traccia del popolamento pre-glaciale. Perquesto motivo il popolamento cavernicolo delle

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aree alpine è decisamente più povero di quel-lo delle aree prealpine. Anche l’“indice di spe-cializzazione” di cui si è detto, che si attestanelle aree prealpine attorno al 70%, è piùbasso nelle grotte alpine (60% o meno), poichéspecie subtroglofile o troglossene hanno occu-pato nel post-glaciale (sostanzialmente negliultimi 10.000 anni) le nicchie lasciate libere daun popolamento pre-glaciale, oggi scomparso.Ma alcune tracce di questo popolamento esi-stono ancora in alcune aree: si tratta dei “relittiglaciali”, interessanti specie, spesso endemi-che, sopravvissute in “aree di rifugio” rimastelibere dai ghiacci all’interno dell’arco alpino. Sene trovano interessanti esempi tra i coleotteri.

N. brixianus

N. julius

N. lessiniensis

N. aff. stygius

N. costozzae

N. stygius

N. montellianus

N. krameri

N. tridentinus

Sopra: Niphargus montellianusSotto: Distribuzione nelle aree carsiche dell’Italianord-orientale (aree grigie) di alcune specie diNiphargus in relazione al limite meridionale raggiuntodai ghiacciai wurmiani (linea blu)

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Lo studio degli animali cavernicoli

> Perché e come raccogliere

Le raccolte di organismi cavernicoli possonoessere effettuate per conoscere quali sono lespecie che popolano una determinata cavità(studi faunistici) o per il prelievo di individui diuna o più specie al fine di effettuare poi deglistudi in laboratorio. Un altro motivo per cui sipossono effettuare delle raccolte in grotta è lostudio ecologico delle comunità cavernicole.Esempi di questo tipo di ricerche sono gli studisulla dinamica di determinate popolazionidurante certi periodi o le analisi sulle modalitàdi utilizzo della grotta da parte di una o piùspecie nel tempo e le interazioni tra di esse.Un altro campo recente di applicazione è lostudio degli organismi come bioindicatori dideterminate condizioni ambientali, soprattuttocome indicatori della vulnerabilità degli acqui-feri all’inquinamento o dello stesso grado diinquinamento delle acque carsiche sotterra-nee. La condizione fondamentale, per questotipo di studi, è che i prelievi siano standardiz-zati e quindi ripetibili nel tempo e comparabilitra loro. Non sempre però è necessario prele-

vare gli organismi per effettuare questi studi.Talora, per le specie di maggiori dimensioni, èinfatti possibile effettuare dei conteggi e dellemarcature direttamente in grotta senza arre-care eccessivo disturbo agli animali.Accanto agli studi che si possono effettuare uti-lizzando animali conservati o direttamente incampo su animali liberi, vi sono molte ricercheche possono essere condotte sugli animalitenuti in allevamento. Si tratta per lo più di studiche richiedono la disponibilità di strutture spe-cialistiche: i laboratori di biospeleologia.

Gli studi faunistici sono integrati dal rilevamento deiprincipali parametri ambientali

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> Cercare i cavernicoli terrestri

Per la fauna terrestre, raccolte di questo tipopossono essere effettuate mediante la “ricercadiretta” utilizzando delle pinzette entomologi-che (molto morbide per non rovinare gli esem-plari), un aspiratore (per gli organismi piccoli eveloci) ed un pennellino (per quelli ancora piùminuti). Nel caso di specie difficilmente rinveni-bili con la ricerca diretta, si possono usare delleesche che, poste in alcuni punti della grotta eriparate sotto delle pietre, attireranno diversi

animali, nonché i loro predatori. Ottimi attrattivisi sono rivelati la carne, il pesce, il formaggioforte e la frutta marcescente, lasciati sul postonon meno di una settimana. Sono sicuramenteda sconsigliare, tranne nel caso di particolari egiustificate ricerche scientifiche, le trappole acaduta che, se lasciate in loco per lungo tempo,possono provocare morie di massa di animalicavernicoli. Per la raccolta di animali che sinascondono nel terriccio e nel guano, si puòutilizzare il selettore Berlese o altre tecnicheche possiamo trovare su riviste specializzate.

Raccolta di organismi cavernicoli terrestri mediante pinzette entomologiche

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> La ricerca delle specie stigobie

La fauna delle acque carsiche sotterraneepuò venir studiata con metodiche più specia-listiche e differenziate a seconda che l’inda-gine riguardi le acque di percolazione o quel-le di base. La caccia a vista è senz’altro unmetodo efficace per la cattura degli esempla-ri di maggiori dimensioni, che possono esse-re raccolti con le pinzette o con piccoli retinida acquario. Il metodo però fornisce solo lespecie più grandi e trascura la frazione piùimportante della fauna, costituita da organi-smi di piccole dimensioni molto difficili daindividuare ad occhio nudo: questi possonoessere raccolti solo mediante filtraggio del-l’acqua. Strumento indispensabile a questoscopo è il retino da plancton, in tessuto dinylon a maglie molto fitte (0.07-0.1 mm),munito di bicchierino terminale in cui si rac-colgono i detriti e gli organismi quando l’ac-qua viene filtrata.Nella zona vadosa si usa lasciare dei conte-nitori di raccolta dell’acqua di stillicidio, chevengono periodicamente svuotati nel retino,o che dispongono essi stessi di una reticellaper permettere la fuoriuscita dell’acqua ineccesso trattenendo gli organismi. Si puòinoltre filtrare l’acqua delle pozzette di stillici-dio nel retino raccogliendola talora con una

Raccolta di organismi stigobi mediante captazione efiltraggio delle acque di stillicidio

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le trappole al massimo dopo 1-2 giorni,lasciare aperti i barattoli ed evitare assoluta-mente l’uso di nasse che, se dimenticate,analogamente alle trappole a caduta, potreb-bero causare morie di massa di specie rare elocalizzate.

> Conservazione e studio del materiale

Per fissare il materiale raccolto si usa semprealcol al 70-80%. Per i coleotteri si usano pro-vette con trucioli di sughero imbibiti di etereacetico e successivamente il materiale va pre-parato a secco, seguendo le tecniche racco-mandate nei manuali di entomologia.La determinazione e lo studio degli esemplariraccolti, previo smistamento in laboratorio, ècompito degli specialisti. È pertanto del tuttoinutile raccogliere materiale se non si sonopreventivamente presi accordi con specialistiper il loro studio. Naturalmente fondamentaleè che ogni tubetto rechi al proprio internoun’etichetta (a matita o china, su carta resi-stente) che annoti: nome della grotta e suonumero di catasto, località esatta dove si aprela cavità, punto della cavità ove il materiale èstato raccolto, data, nome del raccoglitore.Materiale privo di queste indicazioni è sprov-visto di ogni valore scientifico e può esseretranquillamente gettato !

siringa o con una peretta di gomma. Neiruscelli si dispone il retino con la bocca con-trocorrente e si rimuove il detrito a monte,raccogliendo il sedimento che viene trascina-to dalla corrente.Nei sifoni e laghetti infine si procede filtrandol’acqua con il retino, ma avendo sempre curadi smuovere il detrito di fondo e raschiare lepareti. Talora, negli spessi depositi ghiaiosidei torrenti di alcune cavità, è opportunousare le tecniche che si adoperano per leacque interstiziali dei fiumi di superficie (tec-nica Karaman-Chappuis), che consiste nelloscavare una buca nel sedimento poco distan-te dalla riva e raccogliere e filtrare nel retinol’acqua interstiziale che vi si accumula. Perraccogliere i nicchi di molluschi in questiambienti è necessario prelevare sufficientiquantità di sedimento che verranno poi esa-minate in laboratorio.Infine anche nello studio della fauna acquati-ca si possono usare trappole: semplici barat-toli di conserva, senza tappo, in cui si ponel’esca (in genere un pezzetto di carne frescao salumi) che, lasciati sul posto per una gior-nata, attirano i grossi crostacei, talora in grannumero. Per questo motivo è necessariousare piccole quantità di esca (per evitare ladecomposizione con conseguente consumodi ossigeno e moria degli animali), rimuovere

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> L’etica nella biospeleologia

La raccolta occasionale a scopo scientifico diinvertebrati in una grotta indubbiamente nonarreca alcun danno alle comunità sotterranee,poiché sappiamo che la grotta è soltanto una“finestra” su un vasto sistema di microfessuree gli organismi che vi possiamo raccoglieresono solo una piccola frazione di quelli esi-stenti. Ben altra cosa sono invece i trappola-menti o i campionamenti ripetitivi: è noto chele trappole possono causare morie di specierare e, se dimenticate, potrebbero addirittura

estinguerle in un sito. Questo metodo di studiova pertanto utilizzato con attenzione e sempree solo da parte di persone esperte.Un discorso diverso meritano invece i verte-brati, ed in particolare i pipistrelli ed il proteo,per i quali esistono precise norme di legge(dalla Direttiva Habitat alla Convenzione diBerna) che ne vietano il disturbo, la raccolta,l’uccisione, la detenzione e la commercializ-zazione nonchè il danneggiamento dei siti disosta e riproduzione. Qualsiasi trasgressionea queste norme va segnalata alle autoritàcompetenti.

Troglophilus cavicola: lo studio di questa specie utilizza metodi (marcaggio e ricattura) che non danneggiano lepopolazioni

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tra

julia

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La fauna cavernicola del Friuli

> PlatelmintiLe planarie (“vermi piatti”), comprendononumerose specie diffuse soprattutto nelleacque dolci e in quelle marine, ma anche nelsuolo umido; sono particolarmente numero-se nelle sorgenti e nei tratti a corrente velo-ce dei ruscelli alpini e delle rogge di risorgi-va. Strisciano sui ciottoli o sulle rocce esono dei voraci predatori di altri piccoli inver-tebrati.Le specie di acque sotterranee, del tuttoincolori e prive di organi visivi sono poco fre-quenti. Dendrocoelum collinii è una planariabianca (non supera il centimetro di lunghez-za) che si può incontrare con una certa faci-lità nelle acque dei ruscelli che percorrono laGrotta Nuova di Villanova (Prealpi Giulie).

> NematodiSi tratta di un phylum di organismi vermifor-mi dall’aspetto molto caratteristico, per ilcorpo molto sottile e allungato, spessoappuntito alle estremità.Si tratta di un gruppo molto ricco di specie(oltre 100.000), che vivono nelle acque dolci

e marine, nel suolo, o come parassiti su altriinvertebrati o su vertebrati.A causa del numero di individui talora moltoelevato, anche nelle grotte, il loro ruolodovrebbe essere fondamentale nel funziona-mento degli ecosistemi cavernicoli, ma sino-ra non sono stati fatti studi in proposito.Le piccole dimensioni e le difficoltà nell’iden-tificazione di questi organismi hanno finoracostituito un ostacolo al loro studio; sinoranelle nostre grotte non sono stati segnalatitroglobi, ma solo specie ad ampia valenzaecologica.

j

Nematode

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> Molluschi Solamente i gasteropodi hanno colonizzato,con poche specie, le nostre grotte e le acquesotterranee, anche se non è raro osservareaccumuli di detriti e fango frammisti a nume-rosi nicchi di molluschi. Si tratta però di mate-riale proveniente dall’ambiente esterno,magari trascinato nelle grotte dalle acque dipercolazione. Le specie troglobie terrestri appartengonotutte al genere Zospeum, di piccole dimen-sioni (al massimo un paio di millimetri). Il nic-chio è biancastro, talora diafano e trasparen-te; l’animale non presenta macchie oculari.Le specie di Zospeum vivono nelle zone più

umide delle grotte,sulle pareti e all’inter-

no delle fessure.L’interesse per

queste specierisale alla

seconda metà dell’800, quando CarloPollonera, insigne studioso di molluschi, con-sigliò agli speleologi di allora di spazzolare lepareti delle grotte facendo cadere il detrito (egli animali) in scatoline; un altro metodo consi-steva nel ricercarli nel detrito accumulato nelleanse dei fiumi (“posature”) provenienti da areecarsiche. La classificazione delle specie diZospeum è complessa ed è stata oggetto diricerche recenti. In Friuli sarebbero frequentiZospeum isselianum e Z. spelaeum, diffusianche in Slovenia. Zospeum alpestre potreb-be essere presente in alcune grotte della cate-na del Monte Musi (Prealpi Giulie).Accanto ai gasteropodi troglobi ne troviamoin grotta, specie in vicinanza del-l’ingresso, molti altri, talorapredatori e di maggioridimensioni. Aegopis gemo-nensis, come ben spiega ilnome, è un troglofilo presentenelle grotte delle Prealpi centro-orientali. Nelle sorgenti e nelle acque carsiche sotterra-nee troviamo talora numerosi gli idrobioidei.Anch’essi molto piccoli (2-3 mm), possiedonoconchiglie di forma varia, talora molto allunga-te (“spira elevata”), tal’altra piatte e discoidali(“spira depressa”). Mentre alcune specie stigo-file presentano areali abbastanza ampi, come

Zoospeumisselianum(in alto) e

Z. spelaeum(in basso)

Aegopisgemonensis

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Graziana pupula eBythinella opaca,quasi tutte le speciestigobie sono ende-miche. Ricordiamoi generi Iglica ePhreatica, dallaconchiglia allunga-ta, e Hauffenia eHadziella, discoi-dali. Hauffenia tel-linii, una delle spe-cie più diffuse, è

stata descritta dalPollonera nel 1898 ededicata all’insigne

geologo e naturalista friulano Achille Tellini.

> AnellidiAgli anellidi appartengono numerosi animalidall’aspetto vermiforme (anche i lombrichi nefanno parte), terrestri, d’acqua dolce e mari-ni, per lo più detritivori o filtratori.Tra i policheti, anellidi essenzialmente mari-ni, due specie stigobie hanno colonizzato leacque dolci sotterranee e sono di grandeinteresse per la biogeografia.Il piccolo Troglochaetus beranecki si è anti-camente originato da progenitori che faceva-no parte dello “psammon” (il popolamento

delle sabbie) dei mari terziari, da dove hainvaso le acque dolci interstiziali. La suastraordinarietà consiste nell’abilità di disper-sione, testimoniata dalla sua vasta distribu-zione in Europa e America settentrionale.Rarissimo in Italia, è stato recentemente rin-venuto nel Fontanon di Riu Neri (“LaRimine”) nell’alta valle del FiumeTagliamento. L’altra specie, Marifugia cavati-ca, assente in Friuli, è comune nella VeneziaGiulia, e merita di essere ricordata per i suoitubuli, lunghi anche oltre 1 cm, che letteral-mente tappezzano le pareti delle grandi gal-lerie del Timavo sotterraneo.Tra gli oligocheti troviamo specie detritivore oche si cibano della microflora fungina e batte-rica nei sedimenti e nel detrito in decomposi-zione. Sono tra gli organismi più frequenti nellenostre grotte, anche se sovente le dimensioni

minute e le abitudini

Gasteropodi dei generiIglica e Phreatica (in alto)e Hauffenia (in basso)

Oligocheti enchitreidi

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schive e “fossorie”(tendenti cioè ainfossarsi neisedimenti) nerendono diffi-cile l’osserva-

zione. Ad essiappartengono anche

i grossi lumbricidi, ter-resti, molto comuni nel

terreno umido e ricco dimateria organica alla base

dei pozzi carsici, ritenuti troglosseni regolari osemplici endogei. Ma sono le specie acquati-che, più minute, a costituire gli elementi stigo-bi più interessanti: esse rivelano talora affini-tà esclusivamente con generi marini. Il gene-re Abyssidrilus, tanto per citarne uno dalnome significativo, conta rappresentanti mari-ni accanto ad una specie rinvenuta nellaGrotta di Papipano (Valli del Natisone).Agli anellidi appartengono infine gli irudinei osanguisughe; solamente la specie Dina kra-sensis penetra nelle nostre grotte come stigo-fila e vi si rinviene talora abbondante. Di gran-di dimensioni (sino a 7-8 cm) non si nutreaffatto di sangue (come il termine “sanguisu-ghe” potrebbe far credere): si tratta di un pre-datore di altri invertebrati acquatici, assoluta-mente innocuo per l’uomo.

> AracnidiPalpigradi. Ordine di aracnidi terrestri piccolie ciechi, inconfondibili per la presenza di unlungo filamento, detto “flagello”, all’estremitàdell’addome. Poco noti e studiati, sono preda-tori di altri piccoli invertebrati. Ragni. Inconfondibili nell’aspetto, predatori,sono presenti nelle nostre grotte con numero-se specie di superficie, che penetrano nellecavità come troglosseni o troglofili a ricercarele idonee condizioni di temperatura e umidità.I ragni sono molto frequenti in prossimità degliingressi, ove tessono tele alle pareti o fra isassi. Tra le specie più comuni, ma menolegate all’ambiente cavernicolo, ricordiamoPholcus phalangioides, che costrui-sce ragnatele rade e irregolarianche nelle cantina delle case,e i rappresentanti del genereTegenaria, con le caratteristi-che tele ad imbuto.Più legati alle grotte sonole comunissime Metamenardi e Metellinamerianae, subtroglofile,e l’eutroglofilo Nesticusidriacus, presente inFriuli e in poche grottevenete, che presentariduzione oculare. Meta menardi

Cernosvitoviella sp.

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specie troglobie più specializzate sono moltoallungate. Tra i generi segnalati nelle grottefriulane, contano specie cavernicole, taloraendemiche, Chtonius, Neobisium e Roncus.Opilioni. Facilmente confondibili con i ragnidall’osservatore meno preparato, gli opilionise ne differenziano per avere l’addome salda-to alla parte anteriore del corpo per tutta la lar-ghezza, mentre nei ragni è attaccato con unsottile peduncolo. Sono aracnidi predatori osaprofagi, molto comuni nelle grotte friulanecome stigofili, di cui costituiscono un elemen-to importante dell’associazione parietale.Poche le specie troglobie,appartenenti al gene-re Ischyropsalis,come I. muellneriche è presentenelle grotte delleAlpi e PrealpiGiulie; prediligegrotte fredde ed èun predatore di chioc-ciole.Acari. Si tratta di aracnidi di piccole o picco-lissime dimensioni (da 3 cm a 0,1 mm), pre-senti praticamente in tutti gli ambienti e pos-sono essere predatori, necrofagi, fitofagi,commensali e parassiti di altri animali, siainvertebrati che vertebrati. Nelle grotte si pos-

Ischyropsalis muellneri

Roncus assimils

Tra le poche specie troglobie, ricordiamo leendemiche Troglohyphantes juris e T. scien-tificus; quest’ultimo deve curiosamente il suonome al fatto di essere stato raccolto la primavolta nella sala contenente apparecchiaturescientifiche nella Grotta Nuova di Villanova.Infine, i ragni più specializzati sono quelli delgenere Stalita, presente con due specie sulCarso triestino e goriziano e di recentesegnalato anche in Friuli, nella sola Grotta diCanebola (Prealpi Giulie). In questi ragnimolto specializzati, gli organi visivi scompaio-no del tutto e si sviluppano i “tricobotri”, seto-le allungate che consentono di percepire glispostamenti dell’aria.Pseudoscorpioni. Gli pseudoscorpioni, o“falsi scorpioni”, sono aracnidi molto simili aiben noti scorpioni; se ne differenziano perl’assenza della “coda” e dell’aculeo velenife-

ro. Le dimensioni sono però molto più pic-cole di quelle degli scorpioni,

variando dai 2 mm dellespecie di superficie (chevivono nella lettiera,sotto le pietre o le cortec-

ce) agli 8 mm di alcunespecie cavernicole. Sono tuttipredatori, nutrendosi di altripiccoli invertebrati che cattu-rano con le chele, che nelle

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Il torrente sotterraneo della Grotta Pod Lanisce (Fr 573) ospita ostracodi, copepodi, isopodi e anfipodi stigobi

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sono incontrare sui depositi di guano o neipressi di accumuli di materiale organico, maanche sul terreno, sotto le pietre o nelle fes-sure della roccia. In Friuli sono poco noti enon sappiamo se ve ne esistano di veri troglo-bi. Interessanti sono anche i parassiti dei pipi-strelli (genere Ixodes), cavernicoli occasiona-le che possono però compiere in grotta l’inte-ro ciclo vitale.

> CrostaceiOstracodi. Classe di piccoli crostacei (0,5-2mm nelle acque sotterranee), molto ricca dispecie, caratterizzata dal corpo racchiuso inun “carapace bivalve” (di forma ovoidale, tra-pezoidale o a fagiolo) che li rende inconfon-dibili (“ostracodi” deriva dal greco “ostracos”= “conchiglia”). Questo fatto rende gli ostra-codi di grande interesse per gli studi di paleo-geografia, poiché i carapaci si conservanonei sedimenti e fossilizzano: l’elevato nume-ro di specie fossili, accanto alla grande varie-tà di specie viventi, permette di studiare indettaglio i meccanismi dell’evoluzione.Nonostante il loro interesse e la loro elevatafrequenza nelle acque sotterranee, gli ostra-codi stigobi sono poco studiati e numerosespecie aspettano ancora di essere scoperte.Una specie di grande interesse è la minuta(0.5 mm) Sphaeromicola stammeri, che vive

da commensale su crostacei isopodi stigobidel genere Monolistra, presente pressochéin tutte le cavità attive dell’arco prealpino.Allo stesso genere viene ascritta anche unaspecie commensale su crostacei marini, atestimonianza della supposta discendenzada antenati marini sia di questi ostracodi siadei loro ospiti.Copepodi. Considerati da alcuni alrango di classe, da altri stu-diosi come sottoclasse deimaxillopodi, i copepodiincludono oltre 13.000specie descritte. Durantela loro lunga storia evoluti-va, i copepodi si sono diffusiin tutti i continenti, colonizzandocon successo ogni habitat acqua-tico. I copepodi comprendono dieciordini, dei quali quattro contano rap-presentanti stigobi e due di questi (iciclopoidi e gli arpatticoidi) sono dif-fusissimi nelle grotte friulane.Questi ultimi sono tutti di piccoledimensioni (0.2 - 1 mm); il corpodistintamente diviso in dueparti (prosoma e urosoma)e la caratteristica presen-za di due rami caudali (lacosiddetta “furca”) li Nitocrella psammophila

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rende inconfondibili. I maschi sidistinguono facilmente dallefemmine per avere le primeantenne modificate e con-formate a organi di presaidonei ad afferrare la fem-mina durante l’accoppia-

mento. Dalle uova (portatedalla femmina in sacche

ovigere) nasce una larvadetta “nauplio”. Vi sono bensei stadi naupliari e ad ognistadio l’organismo “muta” libe-randosi del vecchio involucro.Dopo la quinta muta, il naupliosi trasforma in un’altra larva, ilcopepodite, più simile all’a-dulto.Seguono quindi altri cinque

stadi prima di raggiungere lostadio adulto, maturo ses-

sualmente. I copepodi sono filtratori, detriti-vori o anche predatori, talora onnivori. Tra iciclopoidi e gli arpatticoidi stigobi troviamosia specie esclusive della zona freatica, siaspecie legate alla zona vadosa, ove abitanoil reticolo di microfessure e si rinvengono fre-quenti nei gours.Tra i ciclopoidi, il genere Speocyclops, comeben dice il nome, è tra i più diffusi nelle grotte,

ove popola le pozzette di stillicidio, accanto allespecie di Diacyclops e Megacyclops che vivo-no nei laghetti e nei ruscelli. Tra gli arpatticoidi,dal corpo più allungato, troviamo innumerevolispecie, quasi tutte endemiche di singole areecarsiche (come quelle dei generi Nitocrella,Elaphoidella, Lessinocamptus o i minuti rap-presentanti del genere Parastenocaris, lunghinon più di tre decimi di mil-limetro).Batinellacei. Sononote oltre 200 speciedi questo ordine dellaclasse dei malacostraci,tutte stigobie.Si tratta di un gruppo diorigine molto antica,forse già ben diversifi-cato sin dal Paleozoico,era durante la qualeavrebbe colonizzato dalmare le acque dolci.In Friuli la fauna a batinella-cei è stata poco studiata;sono frequenti nelle acquedi percolazione e nell’in-terstiziale dei ruscelli sot-terranei le specie del gene-re Bathynella, di dimensioninon superiori ai due millimetri.

Speocyclops sp.

Bathynella sp.

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Isopodi. Si tratta di un ordine di malacostraciche conta oltre 10.000 specie diffuse inambienti terrestri, d’acqua dolce e marini, o

che si sono adattate alla vita daparassiti. Gli isopodi

hanno colonizzatole grotte a partire

dal mare, dalleacque dolcisuperficiali odal suolo.Gli isopodi sipresentano

con una grandevarietà di forme.

Tra le specie acquatiche le più note sonoquelle del genere Monolistra, di antica originemarina, forse miocenica, caratterizzate dallapossibilità di appallottolarsi per proteggersidai predatori o per farsi trasportare dalla cor-rente. Monolistra julia è endemica dellePrealpi Giulie, mentre Monolistra lavalensis èesclusiva delle Prealpi Carniche; le lorodimensioni superano il centimetro.Più piccoli i rappresentanti del genereProasellus (3-5 mm), diafani, dal corpodepresso e allungato; vivono nei ruscellisotterranei e nell’ambiente interstiziale;Proasellus intermedius è la specie più diffusa.A differenza degli altri crostacei, gli isopodi

hanno secondariamente colonizzato anchel’ambiente terrestre col sottordine degli oni-scoidei, cui appartengono i noti “porcellini diterra”. Le specie delle grotte friulane neces-sitano di ulteriori studi e la loro classificazio-ne rimane problematica; vi prevalgono quel-le del genere Androniscus, con prevalenzadelle specie A. dentiger e A. noduliger. Anfipodi. Come gli isopodi, cui sono affini,anche gli anfipodi sono un ordine di malaco-straci, con circa 6.000 specie marine, d’ac-qua dolce e, in piccola parte, semiterrestri.Gli anfipodi hanno colonizzato le acque car-siche sotterranee del Friuli a partire presu-mibilmente dalle acque dolci di superficie evi hanno subito una eccezionale “radiazioneadattativa”. Sappiamo che una decina delleoltre 250 specie note del genere Niphargussono presenti nelle grotte friulane.Si tratta forse degli stigobi più noti anche aglispeleologi, poiché alcune specie possonoraggiungere dimensioni ragguardevoli (supe-rando talora i tre centimetri di lunghezza) epossono essere facilmente osservate nellepozze fangose e nei ruscelli. La loro classifi-cazione è difficile e controversa, e rappresen-tano per i tassonomi uno dei gruppi più “diffi-cili” da studiare della nostra fauna.Accanto alle specie di maggiori dimensioni(Niphargus julius e due altre specie simili nelle

Monolistra julia

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Niphargus julius

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Prealpi Giulie, Niphargus montellianus inquelle Carniche) ve ne sono altre più minute(alcune, come Niphargus similis, N. transiti-vus e N. ruffoi, lunghe 3-5 mm).

Popolano tutte lecavità ove vi sia

una seppurminima atti-vità idrica,anche vado-

sa, dai fon-dovalle preal-

pini sino ai reti-coli carsici posti a

quote elevate (Niphargus strouhali è statotrovato sul Monte Coglians oltre i 2000 m diquota), colonizzati seguendo il ritiro dei gran-di ghiacciai quaternari.Le specie del genere Niphargus rivestono unruolo importante nell’ambito degli ecosistemisotterranei, dove sono onnivori o fungono dagrossi predatori. Occupano tutte le nicchiedisponibili, dall’ambiente interstiziale allemicrofessure nelle rocce carbonatiche e non,ai corsi d’acqua, laghetti e sifoni sotterranei,sino alle condotte carsiche di maggioridimensioni; alcune specie sono molto resi-stenti al disseccamento dei bacini ove abita-no, e possono sopravvivere in cellette nelsuolo umido.

> Chilopodi e diplopodiI chilopodi (noti comunemente come “cento-gambe” o “centopiedi”) sono facilmente distin-guibili dagli altri artropodi che gli assomigliano(i diplopodi) poiché ogni segmento corporeoporta un unico paio di zampe (15 o più paianegli adulti), mentre nei diplopodi (come dice ilnome) ne porta due. Nelle grotte friulane nonè infrequente Eupolybothrus tridentinus, sub-troglofilo o troglosseno opportunista; l’unicaspecie troglobia in Regione (E. obrovensis) sitrova invece sul Carso triestino. Tutti i chilopo-di sono voraci predatori.Nella classe dei diplopodi (o “millepiedi”) tro-viamo animali frequenti sia nell’ambienteendogeo che all’interno delle grotte. I diplopo-di troglobi, depigmentati, ciechi e con antenneallungate, si nutrono di detrito vegetale osono saprofagi. Nelle grotte sono pertanto piùfrequenti dove vi sono tronchi o foglie marce-scenti, e nelle zone più umide. Ricordiamo laspecie troglobia Trachysphaera fabbrii, ende-mica di poche grotte delle Prealpi Giulie,caratterizzata da unnumero ridotto disegmenti corporeie dalla capacità diarrotolarsi a palla(“volvazione”) comegli isopodi del genere Trachysphaera fabbrii

Niphargus similis

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Monolistra o alcuni oniscoidi (porcellini diterra) di cui si è detto. Brachydesmus subter-raneus, il diplopode più facilmente osservabi-le nelle grotte friulane, è invece una specietroglofila.

> Collemboli e dipluri La classe dei collemboli comprende artropodidi piccole dimensioni (1-2 mm) numerosi nellegrotte; tuttavia, si tratta un gruppo ancora pocostudiato. Nei collemboli, molti dei quali fannoparte della fauna del suolo, la depigmentazio-ne e la scomparsa degli occhi non è una carat-teristica esclusiva delle specie troglobie. I col-lemboli si vedono comunemente “saltellare”sulla superficie delle piccole vaschette d’ac-qua, sfruttando il fenomeno della “tensionesuperficiale”, o sul suolo umido. Questo com-portamento è dovuto alla presenza di un singo-lare apparato addominale (la “furcula”) che,scattando all’indietro, come una molla pro-voca un notevole salto dell’animale.

I dipluri sono una piccola classe di artropodidepigmentati, privi di occhi, allungati e fornitidi lunghe antenne; raramente oltrepassanoun centimetro di lunghezza. Dall’ultimo seg-mento dell’addome si dipartono i “cerci” chepossono essere lunghi e filiformi (nei campo-deidi) o conformati a pinza (negli iapigidi), evengono in tal caso usati per catturare leprede.Sono ospiti frequenti delle grotte, sebbenesiano da considerarsi troglofili.

> InsettiOrtotteri. Gli ortotteri (detti anche “saltatori”)comprendono i grilli e le cavallette. Le speciecavernicole sono in genere saprofaghe, manon sono infrequenti la predazione e il can-nibalismo. I principali adattamenti negli ortot-teri che vivono nelle nostre grotte sono, oltrealla parziale depigmentazione, l’allungamen-to dei palpi e la riduzione o scomparsadelle ali.

Brachydesmus subterraneus

Troglophilus cavicola

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Il genere Troglophilus comprende tutte lecavallette cavernicole del Friuli, diffuse elocalmente abbondanti come membri del-l’associazione parietale e pertanto facilmen-te osservabili; vi si distinguono due specie,T. neglectus e T. cavicola, che possonolocalmente convivere.Un’altra specie frequente è Gryllomorphadalmatina, più piccola e con le zampe salta-torie più corte.Gli ortotteri cavernicoli sono considerati tro-glofili; non di rado, infatti, la notte si sposta-no al di fuori delle grotte, frequentando ilsottobosco. Facilmente si incontrano nellecantine o in altri ambienti sotterranei bui eumidi.Tricotteri. Insetti acquatici allo stadio larvale,volatori da adulti. Le larve, note come “porta-legna” o “portasassi”, frequentano le acque disuperficie e sono occasionali nelle grotte,mentre gli adulti di alcune specie (soprattuttoil grande Stenophylax permistus) possonocomportarsi da subtroglofili, soprattutto in pri-mavera ed estate, entrando a far parte del-l’associazione parietale. Recentemente nella Grotta di Attila (Piani diLanza) è stata ritrovata una specie di super-ficie, Philopotamus ludificatus, che compiel’intero ciclo vitale nella cavità, riproducen-dosi nel ruscello sotterraneo.

Lepidotteri. L’ordine deilepidotteri comprende lefarfalle. Non esistonospecie realmente caverni-cole, ma molte farfalle tro-vano rifugio nei tratti ini-ziali delle grotte. Due diesse, Triphosa dubitatae Scoliopterix libatrix,sono comunissime nellegrotte friulane, dove tra-scorrono l’inverno entrandoa far parte dell’associazione parietale.Coleotteri. Si tratta senz’altro degli insetti piùnoti e studiati dai biospeleologi, nonchéoggetto di raccolta da parte dei collezionistiper l’elevato numero di specie spesso stretta-mente endemiche; con oltre 300.000 speciedescritte sono sicuramente l’ordine più riccodi tutto il regno animale. Carabidi. I carabidi rappresentano una dellepiù grandi famiglie di coleotteri (oltre 40.000specie in tutto il mondo) e uno dei gruppi ani-mali dove gli adattamenti morfologici e fisiolo-gici alla vita nell’ambiente sotterraneo sono piùevidenti e studiati (allungamento degli arti edelle antenne, sviluppo dei recettori tattili e chi-mici, scomparsa dei ritmi circadiani, rallenta-mento del metabolismo e del numero di uova,assenza di occhi e depigmentazione).

Scoliopterix libatrix

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Grotta Nuova di Villanova (Fr 373), località tipica di numerose specie di crostacei, ragni e coleotteri

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Possiamo osservare nelle diverse specie dicarabidi tutti i diversi gradi di adattamento allavita nelle grotte, sino ad arrivare alle specie tro-globie dette “ultraevolute”, altamente specializ-zate. La maggior parte dei carabidi cavernico-li, predatori o più raramente saprofagi, appar-tiene alla tribù dei trechini, di antica origine.Le specie troglobie più note nelle grotte friula-ne appartengono ai generi Orotrechus eAnophthalmus. La distribuzione in Italia delgenere Anophthalmus è limitata al FriuliVenezia Giulia (e precisamente all’area alpinaorientale, prealpina - sia carnica che giuliana- e al Carso triestino), ove è presente conben 16 specie e numerose sottospecie. Traqueste ricordiamo Anophthalmus fabbrii,uno degli elementi più specializzati; scoper-

to dall’entomologo triestinoGiuseppe Müller nellaGrotta Nuova di Villanovae descritto nel 1931, èendemico delle PrealpiGiulie. Alla tribù degli sfo-drini appartiene inveceLaemostenus schreibersi,una delle specie più comu-ni nelle nostre grotte cometroglofila, potendosi ritrova-re anche in suoli forestali eghiaioni montani.

Colevidi. Famiglia anch’essa di origine antica,ricca di specie saprofaghe che vivono indiversi ambienti sotterranei terrestri, tra cui legrotte, l’ambiente sotterraneo superficiale e lecavità artificiali. Insieme ai carabidi, presenta-no i più straordinari esempi di adattamentoalla vita nelle grotte, che si manifestanosoprattutto tra le eccezionali leptodirine. Tra irappresentanti troglobi piùinteressanti vanno ricordatii generi Orostygia (con O.pretneri, endemica dellePrealpi Carniche), Oryotus(con ad esempio O. gaspa-roi endemica delle PrealpiGiulie e O. trezzii del Canin)e Aphaobius (con A. milleriforojulensis descritto dalMüller per la Grotta Nuova diVillanova). Ma il leptodirino che presenta ilmaggior grado di modificazione morfologica èsenza dubbio Leptodirus hohenwarti; assentenelle grotte friulane, ma presente sul Carsotriestino, merita di essere ricordato poiché èl’unico invertebrato cavernicolo italiano attual-mente inserito tra le specie protette nellaDirettiva Habitat.Curculionidi. Famiglia di coleotteri facilmentericonoscibili per l’allungamento del capo checonferisce loro una forma a “rostro” (da cui ilAnophthalmus fabbrii

Aphaobius milleri

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nome volgare di “punteruoli”). Trattandosi difitofagi, poche specie si sono adattate allavita endogea e cavernicola. RicordiamoOtiorhynchus (Troglorhynchus) anophthal-moides, che penetra nell’ambiente cavernico-lo seguendo gli apparati radicali delle piantedi cui si nutre.Stafilinidi. Vasta famiglia comprendentecoleotteri dalle elitre brevi e tronche, chelasciano scoperta la porzione terminale del-l’addome. Nelle grotte sono particolarmenteinteressanti i rappresentanti della sottofami-glia delle pselafine, di piccola taglia (di regolainferiore ai 2.5 mm), predatori per lo più di col-lemboli. Bryaxis casalei e Bythoxenus italicussono specie endemiche ad areale ristrettissi-

mo, essendo note la prima di duegrotte e la seconda di una sola

cavità, tutte situate sullePrealpi Giulie.Ditteri. Vastissimo ordinedi insetti (oltre 100.000specie sinora descritte)caratterizzato dallapresenza di un solopaio di ali (il secondo ètrasformato in organi diequilibrio, i “bilancieri”).

Nelle nostre grotte sonofrequentissimi presso gli

ingressi, dove fanno parte dell’associazoneparietale. Pur potendo trovare in grotta anchele zanzare, la maggior parte dei grossi “zan-zaroni” che si vedono ammassati sulle paretidelle nostre grotte, soprattutto in estate,appartengono in realtà alla specie Limonianubeculosa, subtroglofila, innocua per l’uo-mo.Un discorso a parte meritano i nicteribiidi,parassiti dei pipistrelli, senza ali ed occhi,con unghie sviluppate idonee alla presa sul-l’ospite.

> ChirotteriI chirotteri o pipistrelli, sebbenesiano forse i più noti abitatoridelle grotte e siano da oltre unsecolo adottati come simbolo danon pochi gruppi speleologici,non sono in realtà strettamen-te associati alle grotte, oalmeno non sempre. Ichirotteri sono un ordi-ne di mammiferi checomprende quasi unmigliaio di specie,ben note per la capa-cità di volare utiliz-zando una membra-na (detta “patagio” eLimonia nubeculosa Rhinolophus hipposideros

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tesa fra le falangi delle mani, le zampe poste-riori e la coda), nonché per l’emissione diultrasuoni. Questa straordinaria capacità,nota come “ecolocazione” ed utilizzata in con-tinuo soprattutto per localizzare oggetti nelbuio, permette loro di volare con rapidità esicurezza evitando gli ostacoli e individuandole prede, costituite in prevalenza da insetti.I nostri pipistrelli sono inoltre ben noti per lelimitate capacità di termoregolazione: in inver-no essi infatti si ritirano in letargo all’interno disiti (detti “ibernacoli”), tra cui rivestono impor-tanza le grotte umide e termostatate. Nellegrotte i pipistrelli gregari si possono radunare

talora in gran numero, e spesso in questoperiodo avvengono gli accoppiamenti. I picco-li nascono alle nostre latitudini verso la metà digiugno, quando le femmine gravide hanno giàcostituito gli assembramenti riproduttivi, taloraimponenti, detti “nursery”. I pipistrelli hanno ingenerale tassi riproduttivi piuttosto ridotti: siriproducono una sola volta all’anno, da ogniparto nasce in genereun piccolo (raramen-te due) e la mortalitàneonatale è piuttostoelevata. Questo fattoli rende vulnerabili aipredatori (rapaci not-turni e piccoli mammife-ri), alla scarsa disponibili-tà di cibo (dovuta adesempio a periodi molto pio-vosi) e al disturbo da parte del-l’uomo. Al basso tasso di riprodu-zione fa da contrappeso la longevità:sembra che la lunghezza della vita possavariare fra i dieci e i trent’anni. Si tratta di adat-tamenti se vogliamo comuni a quelli di alcunespecie cavernicole.Solo poche specie di pipistrelli sono in realtà,come detto, legati alle grotte, e poche sono lenursery note in Friuli in cavità naturali (anchele specie più strettamente legate all’ambiente

Rhinolophus ferrumequinumpossiede particolari struttureimplicate nell'ecolocazione

Nursery diMiniopterus schreibersii

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Crani di pipistrelli concrezionati nella Grotta Doviza (Fr 70)

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“ferri di cavallo” (così denominati per la formadella struttura implicata nell’ecolocazione):Rhinolophus hipposideros e Rhinolophus fer-rumequinum. Queste ultime sono le specieche più di frequente si incontrano, spessosolitarie o in piccoli gruppi di individui sparsi,nelle grotte durante l’inverno, anche se que-ste sono occasionalmente frequentate in que-sto periodo da varie altre specie.

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cavernicolo possono utilizzare per questoscopo vecchi edifici o cavità negli alberi).Dove questo accade, si possono trovaregrossi accumuli di guano, che rimangono atestimoniare la frequentazione della cavità.Le specie più comuni nelle nostre grotte sonoMiniopterus schreibersii (che forma assem-bramenti anche molto cospicui), Myotisblythii, M. myotis e soprattutto due specie di

Myotis myotis

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La fauna delle grotte: tutela e conservazione

> Come si degradanogli ecosistemi cavernicoli

Pur essendo state le nostre grotte culla deglistudi biospeleologici, la maggior parte deglispeleologi che le frequentano hanno spessola seguente scala di valori:1. importanza esplorativa, lunghezza e pro-

fondità, impegno fisico e tecnico richiesto2. importanza geologica, paleontologica e

paletnologica, quando vi si rinvengonoresti di animali quaternari e tracce dell’atti-vità dell’uomo preistorico

3. importanza come ecosistemi naturali datutelare e proteggere per la loro fauna.

Anche in questo caso spesso si vede l’am-biente “a misura d’uomo”; pertanto “animalecavernicolo” è sinonimo di “pipistrello” o “pro-teo”, e “disturbo antropico” di “inquinamento”. Come abbiamo potuto comprendere leggen-do i capitoli precedenti, la grotta è prima ditutto un ecosistema, costituito sia dall’am-biente fisico (fattori climatici, apporto di nutri-mento e struttura dell’habitat), sia dallenumerose specie che vi abitano.

Modificare il delicato equilibrio che si èinstaurato nel corso di milioni di anni è moltofacile e l’importanza come ecosistemadovrebbe essere il fattore principale da con-siderare nell’avvicinarsi a questi ambienti,vuoi per pratica sportiva o turistica, vuoi perstudi scientifici.Il degrado dell’ecosistema può avveniresostanzialmente per due vie diverse. Vi sonoinfatti cause di degrado esterne alle grotte,ma che le influenzano profondamente (cause“esogene”) ed altre che sono localizzateentro le cavità stesse (“endogene”).Cause esogene. Le cause esogene consi-stono in interventi umani effettuati o nelleimmediate vicinanze delle cavità o anche lon-tano da esse, ma vicino alla fonte di infiltra-zione delle acque o a sistemi di microfessurecollegati con la grotta stessa. Questi inter-venti, indiretti, possono causare, talora invo-lontariamente, danni irreversibili agli ecosi-stemi sotterranei. Tra le cause esogene didegrado ne ricordiamo alcune:Scarichi fognari (industriali o urbani). Esempidi inquinamento delle acque sono all’ordine

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del giorno nelle cavità; un caso “classico” eracostituito dalla Grotta Nuova di Villanova, incui si riversavano gli scarichi reflui dallebaracche dopo il terremoto del Friuli, inquina-mento oggi fortunatamente in buona partesanato.Attività agricole. L’agricoltura, specie seintensiva, fa largo uso di concimi (organici echimici) e diserbanti, che penetrano nellegrotte per le vie di infiltrazione delle acque dipercolazione (quando non vengono drenatein inghiottitoi), causando eutrofizzazione oinquinamento chimico.

Pratiche zootecniche. Queste produconoliquami che seguono le stesse vie di penetra-zione dei reflui dell’agricoltura e causanopesante eutrofizzazione. Sono diffusi nell’a-rea prealpina e alpina, anche se fortunata-mente non raggiungono l’intensità (e la gravi-tà delle conseguenze sulle grotte) di quellisituati sui Lessini o sull’Altopiano di Asiago.Discariche. Oltre alle discariche autorizzate,sappiamo esistono molte piccole discaricheabusive: le grotte invase dai rifiuti sononumerose ed un tempo non lontano erausanza degli allevatori di sbarazzarsi dei

fiume sotterraneo

scarichi urbaniscarichi industrialiagricolturadiscariche

Centri di pericolo e fonti inquinanti in ambiente carsico

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corpi degli animali domestici gettandoli neipozzi carsici.Impermeabilizzazione del suolo. La creazionedi piazzali, posteggi, strade, costruzioni portaa cementificazione del suolo con gravi riper-cussioni sulla circolazione idrica nel sottosuo-lo, che viene privato delle acque di percola-zione e pertanto dell’apporto di nutrimentodalla superficie.Cause endogene. Sono dovute al disturbo

umano perpetrato all’interno delle grotte.Sappiamo che, a parte gli studi scientifici,l’uomo frequenta le grotte per due motivi:speleologia e turismo. Attività speleologica. La speleologia è indub-biamente, se condotta correttamente, l’attivi-tà meno dannosa; possono arrecare dannosicuramente l’eccessivo calpestio, la rotturadelle concrezioni, l’abbandono dei residui delcarburo usato per le lampade ad acetilene

Tracce di vecchie discariche nella Grotta delle Risorgive presso Villanova

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(oggi fortunatamente meno usato, ma spes-so si trovano in grotta le pile delle luci a led,non meno nocive), l’abbandono di immondi-zie o di sostanze estranee (soprattutto legnaintrodotta dall’esterno); questo causa inqui-namento. Infine non va dimenticato il distur-bo diretto alla fauna, soprattutto pipistrelli,che può essere nocivo se questi vengonorisvegliati dal letargo o disturbati nel periododella riproduzione.Turismo e grotte turistiche. Lo sfruttamentoturistico delle grotte crea problemi non dapoco: le infrastrutture modificano drasticamen-

te l’ecosistema e il disturbo diretto alla faunacresce esponenzialmente. Non meno impor-tante è il cambiamento climatico causato dallarespirazione del pubblico che incrementa iltasso di anidride carbonica (fatto molto impor-tante per le grotte di piccole dimensioni) e dallapresenza di esseri umani che innalzano sensi-bilmente la temperatura dell’aria nelle partiinterne delle cavità: numerosi studi scientificidocumentano questo problema, che va risoltoregolamentando i flussi turistici. A questo siaggiunge il deleterio effetto dell’illuminazione,che non solo disturba le specie troglobie, maspesso causa la crescita di alghe e pianteestranee all’ambiente di grotta. Introduzione di fauna estranea. I visitatori pos-sono portare nelle grotte, volontariamente oinvolontariamente, animali estranei, ad esem-pio provenienti da altre cavità o dall’esterno.Ben più grave è il fatto che talora, deliberata-mente, alcune persone, per sedicenti scopi“pseudoscientifici”, introducono nelle grottespecie estranee (si pensi al proteo allevato inaltre parti d’Italia, ma non solo: cavallette,coleotteri, anfipodi sono stati introdotti in cavi-tà diverse da quelle di origine). Si parla alloradi “inquinamento genetico”; non sono statiesenti da questo problema nemmeno i “labora-tori sotterranei”, che hanno talora causatoripercussioni gravi sugli ecosistemi di grotta. La grotta di San Giovanni d’Antro (Fr 43) è in parte turistica

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> Vulnerabilità delle grotte

Ma quali ripercussioni sulla fauna cavernicolahanno l’eutrofizzazione, l’inquinamento, il cam-biamento del clima, la modifica dei cicli idrologi-ci e l’introduzione di specie che potremmo defi-nire “aliene”? E quali sono i disturbi che si pos-sono involontariamente arrecare alla fauna?Vediamo di procedere con ordine.Inquinamento. Per quanto riguarda eutrofiz-zazione ed inquinamento, questi sono tantopiù marcati quanto maggiore è la vulnerabilità“intrinseca” di un acquifero. Un acquifero è

tanto più vulnerabile quanto maggiore è lapossibilità di penetrazione delle acque super-ficiali che veicolano le sostanze inquinanti.Questo dipende ad esempio dal grado di car-sificazione (cioè dalla presenza di sistemi con-duttivi, di inghiottitoi) e pertanto dalla strutturadelle rocce, nonché dalle vie di circolazionedelle acque sotterranee. Un acquifero vulnera-bile si arricchisce di sostanze organiche o altriinquinanti liberati in superficie: le ripercussionisulla fauna sono notevoli. Nel caso di eutrofiz-zazione, sia negli habitat terrestri che in quelliacquatici, si assiste in genere ad una drastica

Abisso di Viganti (Fr 65): gli inghiottitoi possono veicolare nel sottosuolo le sostanze inquinanti

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modifica della fauna: le specie troglobie ven-gono sostituite da quelle troglossene, più com-petitive nello sfruttare le nuove risorse. Nelcaso di inquinamento, le popolazioni di specietroglobie, spesso molto sensibili, possonovenir ridotte o eliminate e, se il livello di inqui-namento non è molto elevato, assistiamoanche qui ad un maggiore sviluppo di specietroglossene. Anche i cambiamenti “climatici” dicui si è detto sono una forma di inquinamento,e così le specie aliene: portano alla diminuzio-ne o scomparsa dei troglobi.Disturbo. Sono particolarmente sensibili al

disturbo i vertebrati ed in particolare i pipistrel-li. Se risvegliati durante il letargo, possonorapidamente consumare le riserve di grasso;questo fatto può condurre alla morte gli esem-plari. Le luci fredde (led) disturbano meno diquelle calde (acetilene) e sono più idonee adosservare questi animali senza disturbarli. Piùproblematico è il caso delle nursery: visitarle digiorno, quando ospitano anche gli adulti, puòcausare la caduta dei piccoli, con morie anchegravi: per questo gli studiosi di chirotteri per icensimenti visitano le nursery solo la notte,adottando particolari precauzioni.

Il disturbo, anche involontario, di un chirottero durante il letargo può avere gravi conseguenze sul suo stato di salute

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> Gli organismi cavernicolicome bioindicatori

Il fatto che i troglobi siano così sensibili aicambiamenti ambientali e soprattutto all’in-quinamento li rende ottimi “bioindicatori”.Indichiamo con questo termine quegli organi-smi che possono essere considerati come“spie” delle condizioni ambientali e servono avalutare l’integrità di un ecosistema.Seppure la ricerca deve ancora compieremolti sforzi per riuscire a costruire dellemetodiche standardizzate che permettanol’uso dei cavernicoli come bioindicatori,come già avviene per gli ambienti di superfi-cie, molti passi avanti sono stati compiuti,soprattutto nel campo delle acque sotterra-nee.Gli stigobi sono buoni indicatori della qualitàbiologica delle acque, ma non solo. Il rappor-to tra stigobi e stigosseni può anche essereusato per valutare la vulnerabilità “intrinseca”di un acquifero carsico: ambienti con maggio-ri connessioni con la superficie, e pertantopiù vulnerabili, saranno più ricchi di stigosse-ni degli acquiferi più isolati dove, se le condi-zioni ecologiche sono idonee, troveremoquasi esclusivamente stigobi.Questo metodo, applicato di recente anchead alcuni acquedotti, ha consentito di stima-

re il “rischio” di contaminazione cui un acqui-fero è sottoposto. Non solo curiosità scientifi-che e testimoni di una lunga evoluzione dura-ta milioni di anni: gli organismi cavernicolidivengono oggi anche utili strumenti per tute-lare le nostre risorse idriche e, in sostanza, laqualità della nostra vita.

Nebria (Oreonebria) diaphana venetiana

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> Le normative di tuteladella fauna cavernicola

Le grotte non sono solo meritevoli di esseretutelate per la bellezza delle loro concrezioni,per l’importanza delle loro riserve idriche o perla loro importanza preistorica o storica. Vi sononorme di legge che ne impongono la tutelacome ecosistemi e che proteggono la lorofauna, spesso di eccezionale importanza perla scienza e la cultura per i suoi adattamentistraordinari, nonché patrimonio dell’umanitàper la ricchezza di specie endemiche. Specie

che non si possono trovare cioè in alcun luogosulla Terra al di fuori delle nostre grotte.Le grotte naturali, non soggette a sfruttamentoturistico all’epoca di emanazione della norma-tiva, sono protette ai sensi della DirettivaHabitat (92/43/CEE), e dai decreti applicatividello stato italiano. La Direttiva ha nell’endemi-smo e nella vulnerabilità della fauna i suoi fon-damenti. L’allegato I elenca gli habitat naturalie seminaturali per i quali la Comunità Europeaha l’obbligo di tutela istituendo particolari sitiper la loro conservazione (SIC, Siti diImportanza Comunitaria). Tra questi, con ilcodice 8310, sono elencate le “Grotte nonancora sfruttate a livello turistico”. Ma non solol’habitat (inteso dalla Direttiva come ecosiste-ma) è tutelato: anche alcuni animali cavernico-li sono strettamente protetti da questa normati-va. Tutti i chirotteri sono rigidamente protetti (egià lo erano da parte dal Testo Unico sullaCaccia del 1939, presumibilmente per la loroutilità nel combattere gli insetti nocivi), accantoal proteo (specie “prioritaria” per la Direttiva) eal coleottero Leptodirus hohenwarti. Per questianimali vige anche il divieto assoluto di: distur-bo, raccolta, detenzione, trasporto, commer-cializzazione e danneggiamento delle aree disosta e dei siti di riproduzione. Ogni grotta cheospiti questi animali, dentro e fuori i SIC, deveessere pertanto rigorosamente protetta.Leptodirus hohenwarti

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illustrati semplici concetti, come il cambiamen-to della vegetazione con la diminuzione dellaluce, l’associazione parietale o l’osservazione,se si è fortunati, di qualche troglobio che offrealle guide e agli insegnanti spunto per parlaredegli adattamenti, serve anche a sviluppare,nei giovani studenti, capacità di esplorazione,orientamento ed osservazione coniugandodivertimento e studio. Ma una visita guidatache mostri la grotta come un ecosistema avràsicuramente molto da insegnare anche agliadulti, che potranno comprendere le finalitàdella conservazione, e forse anche agli spe-leologi, che potranno apprezzare anche l’im-portanza (per riallacciarci a quanto riportatonell’introduzione) di “camminare adagio esenza far rumore, e di osservare”, come scri-veva Giuseppe Feruglio nel 1904, invece diprocedere dritti in profondità.

> Le grotte e la didatticadella biospeleologia

Le grotte non sono solo un argomento di studioriservato agli specialisti e le osservazioni didat-tiche che si possono fare non sono limitate allesole grotte turistiche. Una visita a facili cavità,ove non vi siano specie protette o a rischio diestinzione, può essere una esperienza indi-menticabile, ben più istruttiva della visita turisti-ca dove la guida generalmente commenta lasomiglianza delle concrezioni con oggetti, ani-mali o mostri tralasciando di parlare della fauna.Inoltre la didattica, come si propone questovolume, è oggi fondamentale per comprenderela natura e pertanto desiderare di tutelarla. Nonpossiamo conservare ciò che non conosciamoe non possiamo non comprendere ciò che perlegge conserviamo: il risultato della mancanzadi didattica sarebbe disastroso.La spiegazione dei fenomeni carsici di un’a-rea, di come una grotta faccia parte di unambiente più vasto e impenetrabile, la suaimportanza come ecosistema e l’interessescientifico e pratico della sua fauna, arricchi-sce culturalmente la visita di una cavità, chegià di per sé è un momento di grande fascinoe di stupore per i più giovani, attratti dal buio,dalle ombre, dal gocciolio, dalle leggende.Una visita “biospeleologica” in cui vengano

Studenti in visita alla Grotta Doviza (Fr 70)

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Bibliografia

Chi volesse approfondire gli argomenti trattati in questo volumetto, trarrà sicuramente interessanti spun-ti dal volume seguente: STOCH F. (ed.), 2001 - Grotte e fenomeno carsico. Quaderni Habitat, Ministero dell’Ambiente e della

Tutela del Territorio e Museo Friulano di Storia Naturale, 158 pp.In esso la biospeleologia e le problematiche di tutela e conservazione sono trattati in modo esaustivo perle grotte italiane.Più semplice e agile il fascicolo:BANI M., 2001 - La vita nelle grotte. Quaderni Didattici della Società Speleologica Italiana, 10: 27 pp.Chi invece volesse approfondire le conoscenze sulla biospeleologia ad un livello scientifico, potrà trarregiovamento dalla serie di tre volumi (in parte esauriti):JUBERTHIE C., DECU V. (eds.), 1994-98. Encyclopaedia Biospeologica. Société de Biospéologie, Moulis-

Bucarest, 3 voll.Infine, per le grotte friulane, recenti pubblicazioni scientifiche, soprattutto inserite nei volumi monograficidelle Memorie dell’Istituto Italiano di Speleologia, riportano liste faunistiche e analisi scientifiche dellafauna delle grotte della Provincia di Udine. Sono le seguenti:GASPARO F., 1997b - Fauna. In: Guidi P. (ed.), Bibliografia Speleologica del Friuli. Circolo Speleologico e

Idrologico Friulano, Udine, e Provincia di Udine, Assessorato all’Ecologia: 109-134.GASPARO F., GOVERNATORI G. & STOCH F., 2001 - Osservazioni sulla fauna delle grotte e delle acque car-

siche sotterranee delle Prealpi Carniche orientali. Memorie dell’Istituto Italiano di Speleologia, (s II)12: 75-88.

GOVERNATORI G, 2004 - Considerazioni faunistiche e biogeografiche su artropodi ipogei delle AlpiCarniche. Memorie dell’Istituto Italiano di Speleologia, (s. II) 15: 75-85

GOVERNATORI G. & CHIAPPA B., 1997 - Artropodi terrestri di sistemi sotterranei delle Valli del Natisone.Memorie dell’Istituto Italiano di Speleologia, (s. II) 9: 65-88.

STOCH F., 1997 - La fauna delle acque carsiche sotterranee delle Valli del Natisone. Memorie dell’IstitutoItaliano di Speleologia, (s. II) 9: 89-100.

STOCH F., 2004 - Prime osservazioni sulla fauna delle acque carsiche sotterranee delle Alpi Carniche.Memorie dell’Istituto Italiano di Speleologia, (s. II) 15: 87-95.

STOCH F., 2008 - La fauna cavernicola delle Prealpi Giulie settentrionali. Memorie dell’Istituto Italiano diSpeleologia, (s. II) 20: 97-121.

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Finito di stampare nel mese di settembre 2008presso la Graphiclinea di Tavagnacco - Udine

Indice

La biospeleologia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Le grotte come ecosistemi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Gli habitat dei cavernicoli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Gli animali cavernicoli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Lo studio degli animali cavernicoli . . . . . . . . . . . . . . . . . .La fauna cavernicola del Friuli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .La fauna delle grotte: tutela e conservazione . . . . . . . . .BIbliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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circolo speleologico e idrologico friulano - udine