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Ho Bynum non sembra affattoun nome americano: quali sonole origini della tua famiglia?Ho è il cognome di mia madre,nata in Cina e venuta a sette anninegli Stati Uniti. Bynum èinvece il cognome di miopadre, d’origine gallesecon radici pure in Inghil-terra e Germania.

Cosa ti ha affascinatodella cornetta?Sono passato dalla trombaalla cornetta circa diecianni fa. Ovviamente sitratta di strumenti moltosimili, stessa estensione dibase e stessa tecnica: sonofratelli stretti nella fami-glia degli ottoni, e resta sempre unlegame stretto con i trombettisti.Io però preferisco il suono dellacornetta, più rotondo e dal timbropiù flessibile, mi piace il modo incui si combina all’interno di un en-

semble, laddove la tromba sembraspesso suonare al di sopra dell’in-sieme. Forse la cornetta non èprecisa come la tromba, ma il tim-bro è più malleabile. Credo che

come strumento affascini i musici-sti interessati all’improvvisazionetanto sul suono che sulle note, ra-gion per cui troviamo molti cor-nettisti nei primi anni del jazz —in particolare i grandi strumentisti

di Ellington come Rex Stewart eRay Nance — e dopo gli anni ’60 —Don Cherry, Bobby Bradford, ButchMorris, Olu Dara, et al. —, mentrenon sono tanti nel bebop, dove

prevalgono strategie d’im-provvisazione armonica,quantunque Thad Jones eNat Adderly costituiscanomeravigliose eccezioni.

Oggi sono molti i trom-bettisti che la usano.Mi sorprende che nonsiano di più! Molti grandisi sono dedicati a questostrumento per decenni,come Graham Haynes eRob Mazurek, StephenHaynes ne è assiduo prati-

cante, sebbene suoni molto purela tromba, Ron Miles suonava lacornetta in modo stupendo ma poiè passato ad un modello ibrido co-struito su misura, pure Josh Ber-man, di Chicago, ha un bel sound,

In questa musica risiede

la perfetta combinazione

di studio della tecnica e della storia

con la voglia di esplorare

ambiti completamente diversi,

dando la possibilità di creare un suono

ed un approccio individuali

di Antonio Terzofoto di Scott Friedlander

e Leonardo Schiavone

Scelta fra gli ottoni la cornetta come strumento più vicino alla duttilità richiesta dalla sua indoleil musicista di Boston ad ogni sua uscita segna un punto a favore di una musica senza etichette

se non quella di esprimere sé stesso, secondo la lezione dei grandi che lo hanno instradato.Ideatore di molteplici formazioni, onnivoro in letteratura come in musica, in “Madeleine Dreams”,

uno dei nuovi album, rende in forma di suite le atmosfere oniriche di un romanzo della sorella,senza dimenticare di omaggiare tre dei suoi ispiratori: Ellington, Ornette Coleman e Sun Ra

TTAAYYLLOORR HHOO BBYYNNUUMMl a c o e r e n z a d e i c o n s t r a s t i

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e ancora una folta schiera di col-leghi: una circoscritta minoranzanel mondo degli ottoni.

Come sei arrivato all’improvvi-sazione radicale?Credo sia stata la musica ad atti-rare la mia personalità, si adattavanaturalmente a me e ai miei inte-ressi. Sono stato pure molto fortu-nato ad avere mentori come BillLowe, Anthony Braxton, Jay Hog-gard, che mi hanno preso sotto laloro ala protettiva. A parte edu-carmi sulla musica, mi hanno datofiducia e coraggio per esplorare lemie idee. Al più alto livello, in que-sta musica risiede la perfetta com-binazione di studio della tecnica edella storia con la voglia di esplo-rare ambiti completamente di-versi, dando la possibilità di creareun suono ed un approccio indivi-duali pur restando parte di una co-munità più vasta. Per me è indefinitiva una vera impresa umana.

A chi si deve l’idea del DoubleTrio, con due trombe, due chi-tarre e due batterie, in contito-larità con Stephen Haynes?Stephen ed io da anni suoniamoinsieme in diversi contesti, com-presi i gruppi di Cecil Taylor e BillDixon. Quando il Festival of NewTrumpet Music nel 2006 mi chiesedi presentare un progetto, pensaiche sarebbe stato divertente pro-vare a fare qualcosa di nuovo conlui. Dato che allora entrambi la-voravamo con piccoli gruppi dallastrumentazione similare, deci-demmo di puntare sull’idea di unensemble “speculare”. Alla finedegli anni ’90 avevamo avuto ungruppo di ottoni, Paradigm Shift,con due trombe, due tube e duebatterie, perciò in qualche modoDouble Trio è una eco di quello.

E chi grida a metà di Triple Duo?È Warren Smith, meraviglioso per-cussionista. Gli altri musicisti delgruppo hanno scritto la musica,mentre ai due batteristi è stato

dato un testo, una sorta di flussodi coscienza da interpretare, e dacui credo Warren in quel passag-gio si sia lasciato trascinare.

Double Trio è un’esperienza fi-nita o pensate di riprenderla?Sono certo che con Stephen in fu-turo faremo molti altri concerti, eci piacerebbe tantissimo ripren-dere l’idea di questo trio, sebbeneal momento non ci sia nulla di pia-

nificato. Abbiamo appena finito dicoprodurre e registrare “Tape-stries for Small Orchestra” (Fire-house12), un cofanetto di due Cdpiù Dvd con nuova musica di BillDixon. L’anno prossimo uscirà perla Hathut l’atteso debutto di Ste-phen in quartetto, per il quale hoscritto le note di copertina.

Nel Cd “Asphalt Flowers ForkingPaths”, nonostante la partitura,il risultato suona molto free.In effetti quella musica ha una

struttura compositiva suonataperò con l’idea di giustapporvi ele-menti differenti l’uno contro l’al-tro, come i riscontri della chitarrarock a contrastare le più delicatemelodie cameristiche, o l’esplo-sione del sestetto in due trii cheusano materiale composto ed im-provvisazione. Componendo permusicisti improvvisatori, ritengoche molto del mio lavoro consistanel creare ambienti avvincentiperché loro vi improvvisino, crearequalcosa di particolare per ispirareo sfidare i musicisti a reagire in unmodo diverso da quanto farebberoin un contesto totalmente “free”.Tutta la musica composta per il se-stetto è stata scritta avendo inmente i singoli musicisti. Quandomisi su il gruppo, scelsi i musicistiper le loro personalità artistiche,senza badare al loro backgroundmusicale o allo strumento. Così lastrumentazione ha finito per es-sere inusuale, e mi sono dovuto in-ventare cosa fare come gruppoman mano che si andava avanti.Ho imparato a lavorare con questaband, e mi piace vedere che sipercepisce l’evoluzione dell’ideamusicale sui due album, “The Mid-dle Picture” e “Asphalt Flowers”.

Rispetto a “Other Stories”, pre-cedente album di SpiderMonkeyStrings, il nuovo “Madeleine Dre-ams” è più teatrale: è vero?In qualche modo ho sempre pen-sato che la musica di SpiderMon-key Strings sottenda una certadrammaticità. Con questo gruppoin particolare ho voluto crearedelle narrazioni musicali, anchese la narrazione è astratta. Mausando nel nuovo album dei testie la voce di Kyoko Kitamura, quel-l’aspetto è divenuto più esplicito,specie nella suite Madeleine Dre-ams. Il testo è tratto dallo splen-dido romanzo di mia sorella SarahShun-lien. Sapevo di non poteresaurire tutta la storia in una solacomposizione, ma volevo cattu-rare l’atmosfera onirica del libro.

Suonare in vari gruppi

mi permette di esplorare,

mi aiuta a definire

chi sono...

Se voglio avere una

voce coerente devo

fare un grande sforzo

per non ripetermi.

Non mi interessa fare

tante cose che siano

impercettibili variazioni

sul medesimo tema

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Come mai hai pensato di inserire anche tre branidi Ornette Coleman, Duke Ellington e Sun Ra?In parte perché si tratta di tre dei miei musicisti pre-feriti, e penso andassero bene per il gruppo. Ma vo-levo pure spingere sull’idea che ci si può divertireanche facendo del “repertorio jazz”. È stata scrittauna gran quantità di musica nel secolo scorso, matroppo spesso i colleghi non ne grattano che la super-ficie, affrontando sempre pezzi suonati e risuonati,interpretati in modo compassato ed alquanto reve-renziale. A me piace l’idea di mettere insieme unastrumentazione insolita e delle tendenze aperte dacui trarre il massimo del divertimento musicale.

In SpiderMonkey suona Jason Kao Hwang, violini-sta con il quale hai instaurato un felice connubio.Ci siamo incontrati la prima volta in uno dei progettiper grande ensemble di Anthony Braxton, ma ave-vamo suonato già insieme quando Jason era statospecial guest del Trio Ex Nihilo — Jeff Song al violon-cello e Curt Newton alla batteria. Jason è un musicistaed improvvisatore così fantastico che è stato il primoche ho chiamato quando ho messo su SpiderMonkeyStrings. Quando poi lui ha iniziato con Edge ha chia-mato me. Credo che ci sia da parte di entrambi unimmenso piacere a suonare insieme, ed è favolosointeragire con lui in contesti musicali differenti.

Qualche mese fa è uscito “Garabatos Volume One”

(Cuneiform), debutto del gruppo Positive Catastro-phe che condividi con Abraham Gomez-Delgado:come ha origine quest’organico di dieci elementi?Abraham è uno dei miei fratelli di musica, suoniamoinsieme da oltre dieci anni. Ci siamo conosciuti a Bo-ston e per un po’ siamo stati pure coinquilini. Luiguida la band di “avant-salsa” Zemog el Gallo Bueno,io sono uno dei fondatori e ci suono quando posso.Un paio d’anni fa mi fu chiesto di partecipare ad untributo per Sun Ra al Whitney Museum e presi lapalla al balzo per formare una big band. Anche Abra-ham cercava d’avere un altro gruppo oltre a Zemog,così decidemmo di unire le forze e nacque PositiveCatastrophe. È bello combinare le nostre composi-zioni, proveniamo da esperienze musicali diverse manel mezzo c’è un enorme spazio su cui incontrarsi.

Collabori molto con Anthony Braxton: come èl’esperienza con questo grande musicista?Lavorare con Braxton è un’esperienza straordinaria.Innanzitutto c’è l’ispirazione musicale. Dopo più diquarant’anni di carriera continua ancora a sfidare séstesso come compositore e teorico e prova idee sem-pre nuove. Guarda alla musica in modo intelligente eanalitico, eppure ne coglie ancora il mistero. È tantosicuro della sua musica da avere completa fiducia neimusicisti. Il suo metodo mi lascia molta libertà comeindividuo, mi permette di fare le mie scelte esplo-rando il suo mondo musicale a mio modo, e tuttavia

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la musica mantiene sempre la sua innegabile firma.Come esecutore è un eccezionale strumentista ed im-provvisatore. Suonare con lui è incredibilmente ap-pagante, mi obbliga ad andare ben oltre ciò di cui micredo capace. Questa sfida mi ha reso un musicistainfinitamente migliore, in tutti i sensi. Ho imparatomolto anche da lui come persona, dal suo impegno edalla sua dedizione al lavoro. Non perde tempo a cer-care qualcuno che faccia capitare le cose al postosuo, lui le fa avvenire da sé. Crede nella sua musicae vuole investire le sue risorse nel realizzarla. Inoltredà ampio spazio alla sua immaginazione e non rivedele sue idee per ragioni di carattere economico o diimmediatezza. Ad esempio, da diversi decenni lavorasui suoi cicli operistici, impresa mastodontica, senzaricevere alcun sostegno da parte dell’industria musi-cale o del mondo dell’opera, e tuttavia il lavoro chesta producendo è rivoluzionario e personale. Adessostiamo riformando la sua Tri-Centric Foundation, lavo-riamo ad incrementare la produzione delle sue operee speriamo d’iniziare a registrare ed eseguirne alcunenei prossimi due anni. Infine, Braxton mantiene un at-teggiamento assolutamente gioviale, tale che lavo-rare con lui è già di per sé un gran divertimento.

Come consideri l’avanguardia europea?Girare l’Europa in tour negli ultimi anni mi ha dato

l’opportunità di suonare con tanti grandi musicisti eu-ropei. Gli Stati Uniti sono pietosi in termini di soste-gno alle arti, raramente invitiamo sperimentatorieuropei da noi, ed è un peccato, perché oggi questaè una musica davvero globale, e gli Stati Uniti stannoperdendo molto da che il dialogo non si svolge anchenei loro confini. Sul piano estetico, comunque, nonsono certo che classificare gli artisti in termini di na-zionalità oggi sia ancora utile. Certamente in passatoci sono stati stili distinti in ragione della geografia,ma a questo punto l’accesso alla musica è universale,e ci ascoltiamo tutti a vicenda. Basta osservare lo svi-luppo delle varie tecniche trombettistiche nei ven-t’anni passati: Bill Dixon ha iniziato certe cose da cuihanno preso ispirazione Axel Corner e Franz Hautzin-ger, che le hanno trasmesse a ragazzi come Greg Kel-ley e Nate Wooley. È una conversazione continua cheva avanti e indietro. Il bello della musica è esprimeresé stessi e celebrare un’umanità condivisa. Non pensoche Joëlle Léandre suoni come un contrabbassistafrancese o che Evan Parker suoni come un inglese oche Enrico Rava abbia un suono necessariamente ita-liano: suonano soltanto come sé stessi.

Che tipo di nesso c’è fra la tua musica e la AACM?La AACM è una delle organizzazioni musicali più im-portanti degli ultimi sessant’anni. La creatività di

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quella prima generazione è davvero fenomenale. PerBraxton, Threadgill, Bowie, Smith, Mitchell, Abrams,Myers, Jenkins, Jarman, and McCall — per nominarnesolo alcuni — provenire dalla stessa comunità è cometestimoniare l’idea che l’essere brillanti è il fruttodel dialogo e dell’indagine condivisa. Ed è già un no-tevole successo il fatto che la AACM sia sopravvissutatutti questi anni e continui a fungere da guida, adeducare e a produrre un pensare creativo. “A PowerStranger than Itself” di George Lewis è un fantasticolibro e spero sia il primo passo affinché l’AACM possaottenere il riconoscimento che merita, anche comestruttura educativa. Dunque ad un livello puramenteartistico, la musica di molti artisti dell’AACM è unodei miei primari termini di paragone, e la storia diquesta associazione è parimenti di grande ispira-zione per me come attivista delle arti e produttore.

Dunque hai vari progetti a tuo nome, alcuni in co-leadership, e poi contribuisci a lavori di altri: cosanasconde questo continuo metterti in gioco?Come molti musicisti di oggi cerco di portare avantidiversi progetti alla volta. E confesso di avere senti-menti contrastanti a riguardo. Ad una parte di memanca in effetti l’idea di avere una sola band, e cosìla sfida diventa sviluppare un’unica complessiva iden-tità di gruppo e come tale esplorare tutti i possibiliterritori. Questo era il modello originario nel jazz: laDuke Ellington Orchestra non avrebbe potuto averequel suono se i suoi membri non avessero suonato in-sieme 50 settimane all’anno. Come i quintetti classicidi Miles. La cosa più simile che mi sia capitata è stata

suonare con la Fully Celebrated Orchestra a Boston:per quattro anni ci siamo esibiti una volta a setti-mana, più i concerti occasionali, quindi facevamocirca 60 date l’anno insieme, e questo faceva in mu-sica un’innegabile differenza. Ma i fattori economiciattuali rendono ormai impraticabile tutto ciò. Nessunorganizzatore di tour può offrire abbastanza concertida finanziare davvero una band: i tempi in cui CharlesMingus o Thelonious Monk risiedevano per sei mesi alFive Spot sono un ricordo lontano. Molti musicisti de-vono destreggiarsi fra molteplici progetti anche soloper avvicinarsi ad un lavoro regolare. Allo stessotempo ci sono degli effettivi vantaggi, in termini ar-tistici, nel suonare con più gruppi. Ogni musicista,ogni organico con cui suono offre sfide ed ispirazionidifferenti. La mia identità artistica si forma attra-verso questa varietà di influenze, così suonare in varigruppi mi permette di esplorare, mi aiuta a definirechi sono e, muovendomi nei diversi contesti, a sco-prire ciò che è coerente con la mia estetica. Se voglioavere una voce coerente all’interno dei vari gruppi,devo fare un grande sforzo per non ripetermi. Non miinteressa fare tante cose che siano impercettibili va-riazioni sul medesimo tema. A me piace che ogni pro-getto che mi coinvolge, come leader o comesideman, abbia una forte e distinta identità. Spider-Monkey Strings non ha nulla a che fare con PositiveCatastrophe, che non ha nulla a che fare con il se-stetto. A volte temo che questo saltare da un gruppodi musica da camera improvvisata ad una big banddal forte groove possa confondere il pubblico, maspero che alcuni vogliano fare quel viaggio con me.

Taylor Ho Bynum (crnt, flc), Kyoko Kitamura(vc), Jason Kao Hwang (vl), Jessica Pavone(vla), Tomas Ulrich (vlo), Pete Fitzpatrick(ch), Joseph Daley (tb), Luther Gray (bt)

Madeleine Dreams:HushLe PetomaneLessonMetamorphosisObjects Lost on JourneysHush (reprise)

What Reason Could I GiveThe MoocheAngels and Demons at Play

Quest’album potrebbe definirsi una sortadi “Un Americano a Parigi” di tipo cameri-stico, non perché vi siano punti di contattofra il capolavoro gershwiniano e le compo-sizioni di Bynum, ma perché, in entrambi icasi, la musica riesce a rendere perfetta-mente l’immagine ispirativa che muove iprogetti e le loro rispettive ambientazioni.Gli strumenti al servizio di un’idea, dun-que. In “Un Americano a Parigi” l’orchestraa strombazzare, a percorrere viali, a ripro-durre il caos cittadino ma anche luci e co-lori, qui un ottetto che crea un’atmosferaonirica e surreale, l’impercettibile lineache separa i sogni dalla realtà. E quando asognare è una bambina — almeno così cipiace pensare Madeleine, protagonista dellibro “Madeleine is Sleeping” di Sarah Shin-lien Bynum cui il Cd si ispira — allora subireimpressioni dalla realtà e trasferirle in sug-gestioni oniriche è ancora più facile. Cosìne Le Petomane, spunto il fenomeno Jo-seph Pujol, petomane francese che esibivale sue “arie a comando” nei teatri, imi-tando il verso di uccelli, del grillo o anchesuoni temporaleschi, ma nel quale Made-leine scopre una persona malinconica. In

2’ e 30” la voce pacata ma al contempomolto espressiva di Kyoko Kitamura rac-conta la deliziosa Lesson: se uno strumentopuò riprodurre e provocare emozioni — agi-tazione, pathos, furia, brama, desiderio,ma anche curiosità, divertimento, delu-sione —, ciò che Madeleine avverte ascol-tando la viola è la sensazione di potersuonare pure lei. Più nervosa Metamorpho-sis, con fitto dialogo iniziale fra cornetta etuba, cui si sovrappongono gli archi, quindii toni elegiaci in onore di valige, occhialied oggetti smarriti vari in Objects Lost onJourneys. A questa suite, aperta e chiusadalla ninna-nanna Hush, si aggiungono trebrani di altrettanti importanti jazzisti delpassato, in cui si distinguono non soltantogli strumentisti, ma anche — ed ancora —la Kitamura, sia in What Reason Could IGive, dove segue le tortuose linee dellanota composizione di Ornette Coleman, sianella più celebre The Mooche ellingto-niana, dove a tratti simula la tromba eBynum al flicorno sordinato ha inflessionida trombone. Infine, avvio quasi sulfureoin Angels and Demons at Play di Sun Ra,per la chitarra di Pete Fitzpatrick._An.Te.

TTAAYYLLOORR HHOO BBYYNNUUMM && SSPPIIDDEERRMMOONNKKEEYY SSTTRRIINNGGSSMMAADDEELLEEIINNEE DDRREEAAMMSS(Firehouse12 - 2009)

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