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NIELS PFLAEGING – SERGIO MASCHERETTI Leadership e obiettivi flessibili Beyond Budgeting: come rivoluzionare il sistema delle performance ETAS

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Extract from the book "Leadership e obiettivi flessibili Beyond Budgeting: come rivoluzionare il sistema delle performance", by Niels Pflaeging and Sergio Mascheretti (published in Italian by ETAS, 2010)

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NIELS PFLAEGING – SERGIO MASCHERETTI

Leadershipe obiettivi flessibili

Beyond Budgeting: come rivoluzionare il sistema delle performance

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Leadership e obiettivi flessibili

L’economia mondiale è sostanzialmente cambiata nel corsodegli ultimi decenni e ancora più drasticamente negli ultimianni. I metodi e le prassi di gestione continuano sorprendente-mente ad essere gli stessi: occorre chiedersene la ragione. Moltedelle tecniche ritenute standard di riferimento per una buonagestione devono oggi essere criticamente analizzate: negozia-zione di obiettivi, predisposizione di piani di business, piani diincentivazione individuali, analisi degli scostamenti rispetto aipiani/budget... Tutte tecniche ampiamente diffuse, ma ancorautilmente applicabili?E se non lo fossero, potrebbero essere opportunamente sostitui-te con qualcosa di migliore e più adatto ai tempi? Che cosapotrebbe sostituire il rigido controllo top-down, gli incentivi, ladefinizione ossessiva di obiettivi rigidi?Pflaeging e Mascheretti illustrano casi di aziende note, di varisettori, dimensioni e Paesi che hanno abbandonato da lungotempo l’uso del budget e della pianificazione (assieme ad altrepratiche di gestione molto diffuse) e che sono diventate piùcompetitive. Il modello di gestione da esse utilizzato, chiamatoBeyond Budgeting, mostra di funzionare nel lungo periodo econsente di liberarsi della cultura del “comando e controllo” e dimolta della burocrazia ad esso legata.“Esiste una nuova e più efficace modalità di gestione delle azien-de, una nuova forma di esercizio della leadership e delle perfor-mance. Leadership oggi significa mettere le decisioni importan-ti nelle mani di tutte le persone dell'organizzazione. Tutte.”Premiato come libro di management dell’anno, categoria leader-ship, dal Financial Time Deutschland.

Niels Pflaeging è co-fondatore del Beyond Budgeting TransformationNetwork, e presidente di MetaManagement Group, società di consulen-za di San Paolo, Brasile. È stato controller in imprese multinazionali.

Sergio Mascheretti, consulente aziendale, presidente di ITM Consulenza,insegna Sistemi di controllo di gestione all’Università di Bergamo. È coau-tore di Guida all’analisi di bilancio (Etas, seconda ed. 2007).

In copertina: © Zhu Difeng /Shutterstock

Euro 22,50

pflagingpista1 1-02-2010 17:02 Pagina 1

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Leadership e obiettivi flessibili

Beyond Budgeting: come rivoluzionare

il sistema delle performance

NIELS PFLAEGING

SERGIO MASCHERETTI

ETAS

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Impostazione grafica di Matteo Bologna Design, NY

Fotocomposizione Studio Norma, Parma

ISBN 88-453-1576-3

Copyright © 2006 Campus Verlag GmbHAll rights reserved

Copyright © 2010 RCS Libri S.p.A.Prima edizione italiana: Etas - gennaio 2010

www.etaslab.it

I libri Etas sono disponibili con particolari sconti quantità per l’utilizzo promozionale onell’ambito di programmi di formazione aziendale. Per ulteriori informazioni scriverea [email protected].

Le fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15%di ciascun volume dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall’art. 68,commi 4 e 5, della legge 22 aprile 1941 n. 633.Le riproduzioni effettuate per finalità di carattere professionale, economico o commer-ciale o comunque per uso diverso da quello personale possono essere effettuate aseguito di specifica autorizzazione rilasciata da AIDRO, Corso di Porta Romana n. 108,Milano 20122, e-mail: [email protected] e sito web www.aidro.org.

Titolo originale: Führen mit flexiblen ZielenEditore originale: Campus Verlag GmbHTraduzione dal portoghese di Sergio Mascheretti

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Presentazione all’edizione italiana XI

Prefazione

Gestione per obiettivi? Un disastro incommensurabile! XVIIL’obiettivo non chiarisce il percorso XVIIPensare in modo nuovo anziché usare criticamente tecniche manageriali più o meno nuove XIXI pionieri XXIChe cosa aspettarsi dalla lettura di questo libro XXIII

Parte prima

PENSARE IN MODO RELATIVO

1 Un obiettivo è più che un obiettivo 3Taylor e le sue conseguenze 4Esorcizzare l’arroganza della sede centrale 9Una diversa immagine della natura umana: un diverso contratto di prestazione 14

INDICE

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Un nuovo approccio: oltre il budget (Beyond Budgeting) 19La storia di un pioniere: Handelsbanken 24

2 Indirizzare anziché dare ordini 32Dall’entusiasmo alla paralisi 34Come si motiva un seguace di Atena? 38Basta parlare di incentivi! 39Organizzazioni democratiche per persone democratiche 42Come trasformare i capi in consulenti 45La storia di un pioniere: AES 47Dalla conoscenza teorica al saper fare 51

3 Perché ha senso definire solo obiettivi relativi 54I mezzi giustificano il fine 55Dare un significato all’esistenza delle aziende 59La storia di un pioniere: dm-drogerie markt 65Ma perché si lavora? 69La storia di un pioniere: Southwest Airlines 73

Parte seconda

AGIRE IN MODO RELATIVO

4 Nuove liturgie per nuove mete 81Mete predeterminate non hanno più senso 82Gli obiettivi specifici sono più efficaci 87Le mete relative funzionano così 90La storia di un pioniere: W.L. Gore & Associates 99

5 Basta pianificare, meglio pensare strategicamente 104È meglio guardare fuori dalla finestra che immaginare il futuro 105Pensare strategicamente e pianificare sono due mestieri diversi 107La vita punisce chi decide troppo in fretta 110Oltre il budget 111

VI � Leadership e obiettivi flessibili

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Pianificare in modo diverso 113La storia di un pioniere: Guardian Industries 118

6 Le misure del controllo 123Il sogno della cabina di comando in azienda 124La paura della perdita di controllo 126Benedizione e maledizione del calcolo dei costi 128La storia di un pioniere: Dell 134

7 Realtà e fantasia nella gestione d’impresa 139100 clienti in 9,7 secondi: record mondiale! 140Come si comportano i pionieri 142La storia di un pioniere: Aldi 144Guardarsi intorno: il benchmarking 148

8 Stimoli e reazioni: il sistema delle retribuzioni 152I soldi non motivano... 154Legare l’incentivo all’obiettivo 156La storia di un pioniere: Egon Zehnder International 159Semplicemente più giusto 163Oltre il budget, cioè oltre gli incentivi 166Livelli salariali e giustizia 168Come implementare? 170

9 Non interferite: delegate! 173Leadership senza burocrazia 174Un paradosso: democrazia in azienda 178La storia di un pioniere: Semco 180Chi decide? 185Il principio della consultazione: un rovesciamento di paradigma 188Effetti della consultazione 192L’imperativo della trasparenza: l’ossigeno per respirare 194

10 Organizzazioni senza organigrammi 197Nuove strutture per l’organizzazione del futuro 198Centro e periferia 201

Indice � VII

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La storia di un pioniere: Toyota 205Dall’esterno verso l’interno: come raccogliere gli stimoli 209Il centro, le cellule, le reti 211Area finanza e controllo: occorre ridurne significativamente il ruolo 214Marketing centrale: eliminazione o ridimensionamento 215Risorse umane: eliminare o cambiare sostanzialmente 218

Parte terza

OTTENERE SUCCESSI RELATIVI

11 Configurare il cambiamento 223O tutto o niente 224La storia di un pioniere: Ahlsell 226Sbarazzarsi delle teorie obsolete 230Ma come fare? 233E, dopo il cambiamento, altri cambiamenti 237

12 Epilogo: buone prospettive! 241

Bibliografia 245

Ringraziamenti 249

Gli autori 251

Indice analitico 253

VIII � Leadership e obiettivi flessibili

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Tutto è relativo.Albert Einstein

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Opero nel settore della consulenza direzionale da molti anni e misono sempre occupato di sistemi di pianificazione e controllodelle aziende, cioè di quell’attività volta sia all’individuazione dellevariabili (oggi le chiamiamo “indicatori di performance”) mag-giormente in grado, ai vari livelli dell’organizzazione, di misurareil raggiungimento dei risultati aziendali prefissati, sia alla realiz-zazione di strumenti/metodologie a supporto dell’attività di indi-rizzo (prima) e di controllo (poi).

Forse per la mia persistente curiosità e voglia di migliorare eforse anche per un latente senso di insoddisfazione rispetto allareale efficacia di tanti progetti di pianificazione e controllo inaziende che hanno investito tanto impegno, tanto tempo e moltodenaro, questa disciplina continua ad assorbire le mie energie poi-ché risulta sempre “intrigante”. Mi affascinano sia il lavoro sulcampo in azienda, sia la formazione manageriale e universitariasia, talvolta, lo sforzo di mettere a fuoco in uno scritto le mieriflessioni ed esperienze sui temi della pianificazione e controllo.

Questo libro nasce da un incontro fortuito con Niels procura-toci da Monica, una comune amica brasiliana. Anche Niels nasce

PRESENTAZIONE ALL’EDIZIONE ITALIANA

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controller, ma poi, come spesso gli dico, “folgorato sulla via diDamasco”, sviluppa, con amici conosciuti in ambito CAM-I(un’associazione dove si è sviluppata la scuola di pensiero dellagestione per attività e frequentata anche da me per anni), unapproccio ai temi del governo aziendale decisamente alternativo aquello generalmente riscontrabile nella stragrande maggioranzadelle imprese; in sintesi un approccio che si occupa più delle per-sone che degli strumenti.

Un approccio quindi davvero diverso dalla tradizionale impo-stazione che vede l’attività di pianificazione e controllo presidiatada contabili (più o meno esperti) che utilizzano un variegato set distrumenti per controllare tutto e tutti. Questo dibattito sulla collo-cazione in ambito aziendale della funzione pianificazione e con-trollo non è certo nuovo. Tralasciando per ovvie (ai nostri occhi)ragioni di palese inadeguatezza la scuola “cibernetica”, che vede ilcontrollo delle performance aziendali come un semplice mecca-nismo tecnico di retroazione (quale può essere un termostato cheregola la temperatura), nella letteratura, come avevano ben classi-ficato tempo fa Franco Amigoni e Claudio Devecchi dell’Univer-sità Bocconi, esistono almeno tre macro-alternative per affrontareil tema. Alternative che poi originano logiche e prassi molto diver-sificate e che dipendono dalla “scelta” della disciplina di riferi-mento nella quale collocare l’attività di controllo. Secondo questaimpostazione l’attività di controllo può essere “dominata” alterna-tivamente dai contabili, dagli esperti di organizzazione o dagliaziendalisti (cioè quelli con una visione più sistemica e omni-comprensiva del problema).

Prima che nascesse l’idea di un libro a due mani basato sullaprecedente edizione brasiliana del libro di Niels, io e lui discu-temmo a lungo l’argomento, forti, ognuno, delle proprie convin-zioni, e potremmo semplicisticamente definire la nostra discus-sione una disputa tra Niels, preoccupato soprattutto delle moda-lità di esercizio della leadership, e il sottoscritto, più teso a fardiscendere la logica di governo di un’azienda dall’analisi dell’a-zienda stessa e del contesto ambientale.

Pur convinto della validità intrinseca di molte delle più comunie consolidate metodologie correntemente utilizzate nelle aziende

XII � Leadership e obiettivi flessibili

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multinazionali meglio gestite, ero motivato da una grande curiositàrispetto al tema del “Beyond Budgeting”. Una curiosità legata all’e-sperienza di avere spesso visto vanificati interventi ben progettatitecnicamente e supportati da adeguati strumenti informatici.

Il percorso del libro, nel quale grande importanza hanno senzadubbio i racconti (le descrizioni) delle esperienze di aziende disuccesso che hanno testato sul campo i dodici principi del BeyondBudgeting, è avvincente perché adeguato ai tempi e perché ricer-ca i punti di convergenza tra un approccio più “umanistico” e unopiù economico/tecnico ai temi della pianificazione e controllo.

Siamo sempre più alle prese con un ambiente imprevedibile,altamente competitivo e che richiede tempi di risposta molto velo-ci. Quale deve essere quindi il ruolo del “leader”? Dovrà lui/leiorganizzare, condividere, pianificare e controllare, come diceva Ro-bert Taylor circa un secolo fa?

Oppure, come già vent’anni fa sosteneva Henry Mintzberg inun articolo sulla Harvard Business Review, il “capo” svolge un ruolocaratterizzato da un’estrema varietà di compiti, ognuno da affron-tare in tempi brevi? Senza tanto tempo per pensare perché troppoimpegnato a fare?

Nella letteratura di management più qualificata si trovanoormai molti stimoli, supportati da risultati di importanti ricerche,che chiariscono come la realtà del lavoro quotidiano di un leadersia molto lontana da quella immaginata da Taylor.

Il “capo” non può più permettersi (se mai lo ha potuto fare) diosservare la realtà, elaborare una strategia, definire regole di com-portamento e verificare che tutti i collaboratori eseguano i compi-ti predefiniti. La globalizzazione prima e la crisi degli ultimi annipoi hanno reso sempre più evidente la necessità di ripensare atutto tondo il tema del governo delle aziende.

E in tal senso si trovano stimoli interessanti. Uno, recente, adopera di Ronald Heifetz, Alexander Grashow e Martin Linsky appar-so sulla Harvard Business Review, focalizza la sua attenzione sull’im-portanza di alcune “nuove” qualità da ricercare nei leader, quali: aiu-tare le persone ad adattarsi continuamente ai cambiamenti, a viverein situazioni di costante disequilibrio, e creare le condizioni perchéa tutti i livelli dell’organizzazione si sviluppi leadership. A questo

Presentazione all’edizione italiana � XIII

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proposito non possiamo non citare tutto il movimento di pensieroche tratta della necessità della creazione di senso nelle organizza-zioni; una scuola di pensiero che penso si possa ricondurre aglistudi di Karl E. Weick e, in Italia, di Giancarlo Traini. Una scuola dipensiero che, per citare un esempio di immediata metabolizzazio-ne, vede preferire, in situazioni di guerra non convenzionale, al sol-dato ipertecnologico dotato di tutte le migliori armi il guerriero pel-lerossa che “istintivamente” si adatta e cerca di battere il nemico (o,nel caso di specie, almeno di sopravvivere, come devono fare tanteimprese di fronte a concorrenti molto agguerriti).

Il libro descrive, in modo spesso provocatorio, le esperienze diaziende coraggiose e innovatrici le quali, assieme ormai a unnumero sempre più numeroso di adepti, hanno saputo prendereatto della necessità di innovare radicalmente le pratiche di gestio-ne e hanno dato vita a importanti cambiamenti spesso non aven-do chiari tutti i contorni del progetto. Innovazioni organizzativeche muovono sì dal cambiamento di contesto esterno ma anche, esoprattutto, dall’accettazione piena di un tratto marcante della per-sonalità umana: quello della preferenza per un ambiente di lavo-ro dove si possa (sia giusto) avere un ruolo attivo e non di meraesecuzione di compiti dettagliatamente normati da altri.

I casi di aziende di successo di vari e diversi settori, Paesi,dimensioni, mercati, stadi del ciclo di vita illustrano chiaramentel’affinità di molte soluzioni di gestione adottate. Soluzioni chehanno consentito l’elaborazione di un modello di governo, ilBeyond Budgeting, ormai solido e basato su principi codificati eapplicabili da tutte le aziende (non solo quelle grandi) che voglio-no sperimentare un’alternativa alla prassi, per ora, più diffusabasata sul “controllo” per sposare un approccio basato sulla possi-bilità per tutti di dare un contributo al successo dell’azienda.

È una filosofia di gestione nella quale gli strumenti e le tecni-che tradizionali hanno chiaramente un ruolo meno cruciale; noncostituiscono più il centro delle attenzioni; anche se continueran-no a mantenere un ruolo rilevante, non fosse altro che per la por-tata degli investimenti informatici ad essi associata. Il modello digestione del Beyond Budgeting rappresenta la cerniera mancantetra il focus centrato solo sulle persone (i loro valori, le loro moti-

XIV � Leadership e obiettivi flessibili

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vazioni) e quello troppo ancorato alla fiducia nelle soluzioni for-nite da metodologie e strumenti (informatici). Forse, crediamo, ilmodo per raggiungere l’obiettivo ultimo dei sistemi di governo èquello, come diceva Richard Anthony tanti anni fa, di influenzarei comportamenti di chi opera in azienda.

A coloro che giustamente temono i rischi collegati alle nuovesfide vale la pena ricordare che è insito addirittura nell’etimologiadel termine imprenditore lo stimolo a creare “qualcosa” di diversodall’esistente.

Nel libro Built to Last, dove si raccontano le storie di aziende disuccesso nel lungo periodo, alcuni grandi imprenditori non par-lano mai dell’obiettivo del profitto (che è ritenuto una derivata diun buon progetto aziendale e un vincolo di un’adeguata remune-razione dei capitali). Essi sono volti al perseguimento costante del-l’eccellenza, alla costruzione di un “mondo” diverso da quello esi-stente. Un mondo quindi dove la creazione di valore da parte delleimprese è argomento centrale, ma con un’importante avvertenzaper i naviganti. Il valore di cui si parla nel mondo del Beyond Bud-geting è inequivocabilmente qualcosa di molto diverso dal calcolopuntuale dell’EVA (cui sfortunatamente tutti dedicano umanisforzi spesso soprattutto rivolti alla manipolazione dei dati) che sifa in ogni occasione di incontro con la comunità finanziaria. Ilvalore cui ci si riferisce nel libro non è perciò una semplice (illu-soria?) sottrazione del valore del reddito da governare tecnica-mente da quello effettivamente generato. Nel libro il valore diun’azienda fa riferimento, in senso lato, all’importanza dell’azien-da per i clienti, i dipendenti, i soci e la collettività tutta.

Il Beyond Budgeting, che vede tutti i dipendenti come potenzialiimprenditori e imprenditori-investitori, non può che favorire questomodo di pensare, cioè un percorso di miglioramento delle persone,del loro ambiente di lavoro e, in senso lato, del mondo in cui si vive.Un percorso non tracciato nelle sue minute metodologie, ma moltosolido nei principi. Un messaggio, come quello spesso contenutonei discorsi del presidente Obama, di speranza e di valori profondiemotivamente condivisibili che non si perde in technicalities.

Buona lettura.Sergio Mascheretti

Presentazione all’edizione italiana � XV

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XVI � Leadership e obiettivi flessibili

Modello di gestione “comando e controllo” del XX secolo:

• obiettivi e piani prefissati,

• struttura gerarchica centralizzata,

• governo dall’alto verso il basso.

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Presentazione all’edizione italiana � XVII

Nuovo modello per il XXI secolo:

• obiettivi e sfide creative (per far fronte al mercato),

• struttura a “rete decentralizzata”,

• governo dall’esterno verso l’interno.

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L’OBIETTIVO NON CHIARISCE IL PERCORSO

Un numero sempre maggiore di dirigenti d’azienda si sta ren-dendo conto che qualcosa non va nel modo di definire gli obietti-vi all’interno delle imprese.

Gli esseri umani hanno bisogno di obiettivi: difficilmente unmanager dubita di questa affermazione. Peraltro nella realtà delleaziende questo concetto non si applica facilmente. Perché? Forseperché scegliamo obiettivi sbagliati? Perché si definiscono obietti-vi esageratamente alti/difficili o inopportunamente troppo facili, oinvece perché il processo di definizione degli obiettivi è sbagliato?

Il modello di gestione per obiettivi più comune nelle aziende sibasa sulla seguente premessa: “Gentili dirigenti e quadri, noi stia-mo fissando chiaramente gli obiettivi per ognuno di voi: se li rag-giungete, sarete premiati, in caso contrario sarete puniti”.

Sembra tutto semplice, logico e corretto. Ma allora perché lamotivazione delle persone diminuisce costantemente e tutti affer-mano che l’MBO (management by objectives) è l’unica alternativache conduce le aziende al successo? Perché la produttività e i risul-

PREFAZIONE

Gestione per obiettivi? Un disastro incommensurabile!

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tati sono così frequentemente inferiori alle aspettative? Perchénon riusciamo a fidelizzare i clienti come vorremmo? E perché inostri collaboratori non danno libero sfogo al loro talento?Rispetto a quest’ultima domanda, chi oggi dirige un’azienda è giàfelice se può affermare che i collaboratori non sabotano l’impresa.

Quali sono le cause? L’economia e la società sono profonda-mente mutate ma i metodi di gestione e i principi che le ispiranosono rimasti gli stessi. Piani dettagliati, obiettivi prestabiliti, valu-tazioni individuali, remunerazione collegata ai risultati, budget,confronti budget/consuntivo e gestione per attività a partire dalvertice: sono tutte pratiche manageriali ben definite.

Ma tutte queste tecniche sono ancora adatte alla realtà attuale?E se così non fosse, come possiamo adattarci meglio a circostan-ze ambientali molto diverse e lavorare meglio?

Sia nella letteratura di management che nella pratica quotidia-na sono ormai numerose le critiche alle tecniche tradizionali.Ormai la coscienza che il tradizionale MBO non porti grandi risul-tati esiste. Ma come si può procedere?

Molte aziende conoscono tutte le tecniche tradizionali, maspesso non le sanno applicare e non ne misurano l’efficacia. Èchiaro a tutti che abbiamo bisogno di capire meglio i meccanismidella motivazione individuale, il funzionamento di un’organizza-zione e come responsabilizzare le persone nelle imprese. Ma cosasignifica tutto ciò?

Molti dirigenti insoddisfatti dei risultati conseguiti utilizzandole tecniche tradizionali si stanno chiedendo come realizzare unanuova cultura del risultato. Per ora le proposte suggerite da impre-se pioniere, dalla letteratura e dalla dottrina sembrano eccessiva-mente generiche e adatte solo a poche aziende vagamente esoti-che con caratteristiche peculiari. Questo giudizio potrebbe peròrisultare un po’ precipitoso perché è ormai acclarato che esistonopercorsi fattibili per gestire aziende attraverso la creazione diorganizzazioni di “tipo nuovo”.

È però necessario chiedersi quali degli ormai numerosi casi diaziende gestite in modo innovativo possano essere di orienta-mento e abbiano un valore metodologico.

Le imprese che si saranno liberate dal vincolo della gestione

XVIII � Leadership e obiettivi flessibili

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per obiettivi fissi (e di tutte le altre metodologie collegate) sarannole imprese di successo nel lungo periodo. Ma l’obiettivo di questolibro non è la critica alle tecniche tradizionali, bensì l’illustrazionedi un’alternativa vera e comprovata dalla realtà al mero ricorso allesuddette tecniche.

Il libro racconta i casi di aziende pioniere che hanno scelto undiverso modello di leadership e spiega che occorre sostituire lostile troppo direttivo (command and control), quello nel quale ilpotere è esercitato attraverso organigrammi, obiettivi rigidi, siste-mi individuali e aggressivi di incentivazione e confronti esacerba-ti tra consuntivi e budget.

La soluzione consiste nell’utilizzo di tecniche in sé non deltutto nuove, ma al contrario già ampiamente sperimentate in variambiti: perseguimento di obiettivi, sistemi di remunerazione,modelli di pianificazione, di processi decisionali e di buona orga-nizzazione. Ciò che è importante sapere è che nell’impresa delfuturo conterà molto più la leadership rispetto alla gestione.

Un’impresa attrezzata per il domani (che è già oggi) deve diri-gere sempre meno la sua attenzione all’interno (cioè ai piani, aigiochi di potere, alla negoziazione e alla dimostrazione di perfor-mance interne) per rivolgerla piuttosto all’esterno, cioè al merca-to, ai concorrenti e ai clienti. Il libro illustrerà come è possibilegestire un’impresa con modalità adatte al XXI secolo.

PENSARE IN MODO NUOVO

ANZICHÉ USARE CRITICAMENTE TECNICHE MANAGERIALI

PIÙ O MENO NUOVE

Tesi, casi, concetti di questo libro trovano origine nel lavoro delBeyond Budgeting Round Table (BBRT) e del Beyond BudgetingTransformation Network (BBTN).

Il filone di studi del Beyond Budgeting (BB) è relativamenterecente ed è diventato un “movimento” internazionale sostenutograzie agli sforzi delle due organizzazioni sopracitate.

Il BBRT, fondato in Inghilterra nel 1998, è un gruppo di ricer-ca che ha l’obiettivo di definire un modello di gestione d’impresa

Prefazione � XIX

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più adatto ai mercati dinamici del XXI secolo. All’interno delBBRT ci si è interrogati sul fatto che, se i mercati sono dinamici ecomplessi, ci deve essere un’alternativa alla gestione dirigisticabasata su mete rigide. Il lavoro del BBRT prese dunque le mossedalla seguente domanda: come può funzionare un’impresa senzabudget, senza negoziazioni legate al budget, senza analisi degliscostamenti dal budget ecc.?

Nel tentare di rispondere alla domanda apparve chiaro che ilproblema non risiedeva nelle metodologie di pianificazione, manello stile di leadership prevalente all’interno delle organizzazio-ni, e cioè nella logica “comando e controllo”.

Nella realtà delle aziende la logica “comando e controllo” èmolto diffusa, tutti noi immaginiamo infatti le aziende comeentità ben strutturate e gerarchicamente definite dall’alto in basso.Implicitamente separiamo le persone che decidono da quelle cheoperano e il momento della decisione da quello dell’azione.Immaginiamo che il capo decida e gestisca persone e piani; e spe-riamo che chi deve agire lo faccia nel rispetto dei piani, degli indi-catori, delle regole ecc.

Questo modo di fare è purtroppo sempre più lontano dallarealtà dei mercati e dal comportamento delle persone.

I problemi attuali non possono essere risolti con paradigmiprodotti nel passato; farlo significherebbe ripetere azioni errate,eventualmente ottimizzate.

Sarebbe quindi preferibile definire quali sono le cose “giuste” dafare attaccando il male alla radice anziché lavorare solo sui sintomi.

Per meglio definire questo cammino di cambiamento occorresuperare una serie di convinzioni ben radicate ma che, a ben vede-re, non sono altro che miti su che cosa sia davvero un’azienda.

La maggior parte dei dirigenti opera in aziende votate al meto-do “comando e controllo”. Se un manager non ha più fiducia in uncollaboratore o in un reparto, istituisce istintivamente altri sistemidi controllo. Tra questi: il budget, gli obiettivi rigidi, le valutazionipersonali, gli ordini di servizio, le supervisioni, le misure di con-trollo dei risultati, le procedure relative ai miglioramenti, l’analisidel clima interno ecc. Sono tutte tecniche note e spesso non se nepercepisce il costo in termini di spreco di tempo, risorse e denaro.

XX � Leadership e obiettivi flessibili

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La maggior parte dei manager, di fronte a questi sforzi spesso inu-tili, alza le spalle e conclude: “Le cose vanno così”.

Il rischio implicito, operando in questo modo, è che la leader-ship passi dalle persone alle prassi. Vengono annullate la fiduciareciproca e la presa di responsabilità; il coinvolgimento e l’impe-gno spontaneo svaniscono.

Porsi domande rispetto a questo operare schematico ha porta-to le imprese pioniere a ricercare alternative allo schema “coman-do e controllo”.

I PIONIERI

Nel corso degli anni i ricercatori del Beyond Budgeting hannoidentificato una serie di aziende innovative che operano secondoprincipi comuni.

Tutte loro hanno adottato una chiara nuova filosofia che haconsentito di attuare una trasformazione rivoluzionaria senzacedere alla tentazione di una crescente burocratizzazione.

In questo libro sono analizzati per esteso dodici esempi.Nell’elenco che segue si trovano nomi noti e meno noti.

• AES: impresa americana del settore energia (global power com-pany). Fin dalla sua costituzione AES ha modificato le regole diconduzione del business e il modo di lavorare. I dirigentihanno rinunciato al modello “comando e controllo” puntandosu una leadership basata sui valori.

• Ahlsell: impresa svedese di vendita al dettaglio nel mercatodelle costruzioni con alti tassi di crescita in un mercato sta-gnante. Ahlsell genera alta redditività in tutti i suoi settori diattività grazie a un alto livello di decentramento di responsabi-lità e decisioni.

• Aldi: la più grande impresa tedesca di vendita al dettaglio inforte espansione internazionale, combina un alto successo eco-nomico a una filosofia organizzativa interessante. Inoltre Aldiha rivoluzionato lo stile d’acquisto degli europei inventando ilsettore “discount” nei supermercati.

Prefazione � XXI

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• Dell: produttore americano di computer (la “Toyota” del setto-re elettronico) opera con successo dall’inizio degli anni Ottantain un segmento difficile generando utili. I processi di produ-zione e logistica di Dell sono già una leggenda.

• dm-drogerie markt: la seconda catena tedesca in ordine digrandezza di vendita al dettaglio di cosmetici, parafarmacia,prodotti di bellezza ecc. È la più efficiente e stimata del Paese.L’impresa è diretta nel rispetto del valore della persona. Il suofondatore, Götz Werner, ha ricevuto nel 2005 il premio comeimprenditore dell’anno.

• Egon Zehnder International: è l’impresa svizzera leader nellaricerca di alti dirigenti (ritenuta la “Porsche” del suo settore).L’estrema attenzione ai bisogni delle aziende clienti ha resoZehnder il concorrente più redditizio del settore, pur in unmercato fortemente ciclico.

• Guardian Industries: impresa americana produttrice di vetripiani, mostra tassi di crescita elevati a livello internazionale findagli anni Sessanta adottando uno stile di leadership che nonprevede burocrazia. In azienda prevalgono i concetti diempowerment, decentramento e “piacere di lavorare”.

• Handelsbanken: questa banca universale svedese è una dellemigliori del settore sotto tutti gli aspetti. È il miglior esempiodi applicazione del Beyond Budgeting secondo il modello quipresentato.

• Semco: impresa brasiliana di tecnologia e servizi che ha lafama di essere “la più democratica del mondo” con uno stile dileadership che genera buoni risultati da più di vent’anni.

• Southwest Airlines: l’impresa aerea americana che ha inventa-to il modello di business “low price-low cost”. Ritenuta la piùefficiente del mondo nel settore, trasmette passione tra mae-stranze, clienti e azionisti.

• Toyota: famoso produttore giapponese di auto. I metodi Toyotahanno consentito all’azienda di essere il più redditizio produtto-re di auto del mondo. Il modello di produzione Toyota – total pro-duction system (TPS) – e l’efficienza aziendale sono leggendari.

• W.L. Gore & Associates: impresa manifatturiera americana,ritenuta tra le più innovative, dispone delle maestranze più

XXII � Leadership e obiettivi flessibili

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soddisfatte del loro lavoro. Piccoli gruppi molto autonomihanno sviluppato prodotti spettacolari (il famoso Gore-Tex, percitarne uno) e raggiunto risultati eccellenti.

Al di là delle differenze tra i dodici casi citati (differenze di sto-ria, di dimensione, di settore, di cultura), esistono molti aspetticomuni: ognuna delle aziende ha realizzato un modello di gestio-ne e di leadership molto flessibile, basato sulla fiducia e su “con-tratti di performance relativi”.

Si tratta di cinque aziende americane, cinque europee, unaasiatica e una dell’America del Sud. Un altro dato statistico inte-ressante: sei pionieri sono imprese private, gli altri sei sono azien-de quotate o possedute da fondi.

È chiaramente un elenco non esaustivo di pionieri del BeyondBudgeting. Google, l’impresa americana fondata nel 1998 (con unacapitalizzazione di oltre 150 miliardi di dollari e più di 20.000dipendenti), non è nell’elenco solo perché è un’azienda di più recen-te costituzione, ma faremo riferimento ad alcune caratteristiche delmodello di gestione da essa adottato.

Altri esempi di aziende interessanti rispetto al filone BeyondBudgeting sono Flight Centre (rete di agenzie viaggi australiana),Whole Foods (supermercati statunitensi), Promon (settore inge-gneria in Brasile), Nucor (acciaieria statunitense) e Ikea (aziendasvedese, con sede in Danimarca, maggior produttore e venditoredi mobili al dettaglio del mondo).

Forse non è un caso che tutte le imprese citate siano, per qual-che motivo, imprese eccezionali e che in qualche caso siano stateconsiderate “imprese un po’ pazze” perché troppo anticipatrici.

Tutte queste aziende (e il loro modo di agire) dimostrano cheun’organizzazione diversa da quelle solitamente attuate non èun’utopia: ciò che esse ci “dicono” è rilevante per tutti.

CHE COSA ASPETTARSI DALLA LETTURA DI QUESTO LIBRO

È un libro per persone insoddisfatte e che non accettano di rima-nere tali. Si rivolge a tutti i dirigenti d’azienda che lavorano perobiettivi e anche a coloro che si considerano leader.

Prefazione � XXIII

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Il libro ha un valore speciale per chi deve disegnare, gestire esupervisionare i sistemi di management, quindi: membri di consi-glio di amministrazione, alti dirigenti, attori del cambiamento,esperti di sistemi di controllo di gestione e di risorse umane, con-sulenti di management. Cioè tutti coloro che, fino a oggi, non sonoriusciti a contrapporre niente di valido al pur insoddisfacente MBO(la distribuzione di 4 miliardi di dollari come bonus 2008 ai mana-ger di Merril Lynch è un’ulteriore testimonianza in tal senso).

La dimensione delle aziende non è un aspetto critico dell’ap-proccio che proponiamo in questo libro. Ciò che conta è poter sta-bilire nuovi e flessibili impegni sul conseguimento di risultati e,soprattutto, una forma nuova e duratura di esercizio della leader-ship. Riuscirci è una sfida per qualsiasi impresa.

Leadership e obiettivi flessibili vuole aiutare a sbarazzarsi di alcuneprassi di gestione scadenti: “cestinare prassi inutili/dannose” è untema importante del Beyond Budgeting. Questa non è solo una pro-vocazione: è in gioco la revisione del significato di una serie di tema-tiche considerate normali, e addirittura il loro abbandono. In parti-colare ci riferiamo all’MBO e ad altre tecniche ad esso collegate a cuisi è abituati, ma che palesemente spesso non funzionano.

Serve una distruzione creativa, utile al rinnovamento del nostroorientamento ai risultati e alla capacità di essere efficienti. Senzaqualche rinuncia non c’è vero rinnovamento. In futuro le tecnicherivolte solo al tentativo di ottimizzare non saranno sufficienti.

Oggi le tecniche in uso, mentre dichiarano di esigere e pro-muovere l’ottimizzazione, in realtà la impediscono; demotivano lepersone, soffocano l’entusiasmo e l’innovazione con eccessi diburocrazia e di potere.

Questo libro vuole dimostrare che esiste un diverso modello digestione decisamente distante dal sistema “comando e controllo”.

Il Beyond Budgeting è una cosa vera e funziona. Ha, in ultimaanalisi, l’obiettivo di realizzare cose utili per le aziende e per lasocietà nel suo complesso. Stiamo suggerendo di abbandonare lafiducia nella macchina chiamata organizzazione: non funzionapiù, occorre puntare maggiormente sulle persone.

XXIV � Leadership e obiettivi flessibili

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PARTE PRIMA

PENSARE IN MODO RELATIVO

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Marco Almeida respira profondamente prima di entrare in riunio-ne. Siamo verso la fine dell’anno e si stanno per discutere gli obiet-tivi per l’anno successivo. Il capo inizia la riunione con un tono cheappare calmo: “Caro Marco, quest’anno non abbiamo molti margi-ni di manovra. Il suo collega Paolo è d’accordo con me nel ritene-re che non si debbano fare grandi cambiamenti. E l’alta direzionefa pressione per mantenere i costi allo stesso livello dello scorso an-no. Ho quindi pensato che forse il suo budget debba essere prati-camente uguale a quello che avevamo per quest’anno...”.

Più tardi, alla pausa caffè, Marco riferisce della riunione al col-lega della logistica: “In pratica si è trattato di un dialogo fra stupi-di. Ho adottato il sorriso di circostanza per questo tipo di riunionie ho assecondato il capo. Dovevo semplicemente dimenticare imiei piani ambiziosi elaborati con tanta fatica. Non c’è stato nem-meno bisogno che intervenissi in riunione, in soli venti minuti lacommedia è finita. Sono davvero un ingenuo! Credevo veramenteche non arrivasse con i soliti dati di fatturato e di costi già elabo-rati e che sappiamo già che non funzionano...”.

Il collega Alessandro della logistica chiede: “E adesso?”.

1 UN OBIETTIVO È PIÙ CHE UN OBIETTIVO

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Marco, abbattuto: “Non ho margini e nemmeno il mio capo li ha,perché i dati li ha avuti dal suo capo. Ho solo l’agio di distribuire icosti nelle varie voci di spesa ma il totale è vincolato: cercherò di au-mentare le spese viaggio per non dover giustificare altre spese. Co-munque tutte le esperienze con i clienti principali e i collegati pro-getti di marketing degli ultimi anni sono finiti nel dimenticatoio.Siamo semplicemente obbligati a ignorare il mercato”.

Il collega della logistica, che aveva solo ascoltato, alzando lespalle, commenta: “Sappiamo tutti che in questa impresa la nego-ziazione degli obiettivi funziona così! È addirittura una tradizione.Ho sentito che alla direzione vendite sta succedendo la stessa co-sa rispetto ai volumi di vendita di budget. E sappiamo già che il ri-sultato sarà alti stock, incredibili promozioni, forti sconti, il tuttoverso il mese di settembre. Vedrai, a settembre scoppierà come alsolito la bomba...”.

Marco si rassegna e trae la conclusione che il senso di quel ti-po di riunioni può essere così sintetizzato:

• mostrami il tuo sistema di remunerazione e io ti spiego il tuomodello di business;

• spiegami come interagisci con le persone e io ti chiarisco cheidea hai della natura umana;

• illustrami come pianifichi e ti dico come lavori con i clienti.

In conclusione, sullo sfondo della definizione degli obiettivi edelle performance si trova una filosofia, i valori di fondo di un’im-presa. Il problema è voler affrontare la realtà del XXI secolo convalori e metodi adatti all’inizio del XX.

TAYLOR E LE SUE CONSEGUENZE

Frederick Winslow Taylor (1856-1915) è considerato il padre dellateoria dell’organizzazione scientifica del lavoro (scientific manage-ment). Alla fine del XIX secolo Taylor passava per le fabbriche conil cronometro e il notes degli appunti con l’obiettivo di migliorarela produttività del lavoro.

4 � Parte I. Pensare in modo relativo

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Secondo lui il compito dei “capi” era il miglioramento dellaproduttività dei sottoposti ottenibile attraverso la razionalizzazio-ne dei processi e l’esecuzione di compiti minuziosamente descrit-ti. Nel suo mondo i miglioramenti derivavano dall’ottimizzazionedel tempo di esecuzione delle singole azioni. Il risultato di questopensiero fu quello di vedere il luogo fisico (la fabbrica) governatoda un’altra fabbrica: quella dello studio dei processi, della loro pia-nificazione e del loro controllo.

Il modello ha funzionato bene. Il taylorismo si è dimostrato ge-niale, l’efficienza è migliorata complessivamente in modo incre-dibile. Fino ad allora solo la produzione di cattedrali era “indu-strializzata”: con il taylorismo rami interi di industria manifattu-riera passarono alla produzione di massa. Il modello fu perfezio-nato sul campo da Henry Ford e da Alfred Sloan (il primo a par-lare di gestione attraverso i numeri).

La rivoluzione apportata da Taylor, cioè il grande migliora-mento della produttività, ha consentito agli operai dell’industria diottenere buoni salari e diventare classe media, il tutto senza néformazione né attitudini specifiche.

Del movimento non beneficiarono solo le imprese con obietti-vi di lucro; il metodo della divisione netta tra chi pensa e chi agi-sce fu applicato anche in altri ambiti: ospedali, scuole, chiese, fon-dazioni, istituti di carità, organismi pubblici; “tutti” adottarono ilmetodo taylorista.

Anche negli organismi pubblici si conseguirono sostanzialiaumenti di produttività che si tradussero in benefici per la collet-tività. Nel periodo della rivoluzione industriale il taylorismo fu,senza ombra di dubbio, una cosa buona, se non altro rispetto al te-ma della produttività.

Il principio base è chiaramente la separazione netta tra il lavo-ro che genera valore e il lavoro di coordinamento e gestione (cheha l’obiettivo di ridurre la complessità).

In prima battuta, liberare chi produce e trasforma dalla preoc-cupazione di “pensare” aumenta incommensurabilmente la pro-duttività rispetto all’impresa artigiana. Così facendo però i proces-si di creazione di valore perdono contatto con il mercato e diven-gono ciechi rispetto al valore economico del proprio operare.

1. Un obiettivo è più che un obiettivo � 5

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Quindi chi lavora in fabbrica ha bisogno di orientamento per lapropria attività esattamente come “i ciechi che hanno bisogno deicani da guida”.

Contemporaneamente la fabbrica della gestione diventa un’or-ganizzazione parallela a quella fisica e diventa sempre più poten-te e grande. Aumenta il numero di persone che professionalmen-te si occupano di attività indirette: amministrazione, magazzino,qualità, pianificazione. Ciò crea una sempre maggiore dipenden-za delle persone che creano valore (che producono) dalle altre de-dite all’organizzazione.

Grazie a Taylor, la formazione manageriale sulla gestione ci in-segna a dividere e scomporre tutto per cercare di migliorare ognisingolo piccolo componente dell’organizzazione, per poi ricom-porre il quadro. Come giocare con il lego. Questo modo di ragio-nare illude che ci sia sempre un metodo o una tecnica che risolvelo specifico problema (senza occuparsi della visione d’insieme).

Ma poiché i tempi sono cambiati la gestione taylorista creasempre più problemi. Come è possibile che l’organizzazione rea-gisca a mercati imprevedibili e clienti esigenti se è praticamenteproibito a chi crea valore di pensare autonomamente?

Visto che l’approccio taylorista prevede che si gestisca tutto at-traverso i numeri, come è possibile farlo misurando il lavoro in-tellettuale che riveste sempre maggiore importanza? Quale valorepotremo dare alle idee di una campagna di marketing?

Peter Drucker può essere considerato il primo specialista di ge-stione che ha descritto in modo adeguato la nascita dell’economiabasata sulla conoscenza. Già negli anni Sessanta Drucker prevideche sarebbe nato un nuovo modo di gestire le imprese. Sfortunata-mente egli non poté assistere all’avvento di questo cambiamento.

Peraltro si può sostenere che sia lui sia Michael Porter e altririnomati studiosi di management hanno contribuito più a perfe-zionare il modello taylorista rendendolo più resistente ai cambia-menti che a tendare di evolverlo.

A nostro modo di vedere il lavoro intellettuale, al contrario dellavoro di fabbrica della produzione di massa, non può essere coor-dinato o migliorato attraverso la semplice standardizzazione delleattività e l’analisi input-output.

6 � Parte I. Pensare in modo relativo

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W. Edwards Deming, l’inventore della qualità totale, disse: “Unobiettivo quantitativo conduce facilmente a distorsioni e finzionisoprattutto quando si percepisce di non essere in condizioni diraggiungere gli obiettivi prefissati. Tutti riescono a raggiungereun obiettivo determinato, soprattutto se nessuno sarà responsabi-lizzato per i costi generati per raggiungerlo”.

E quali sarebbero questi costi? Per rispondere dobbiamo parlaredella gestione dei costi: un argomento amato sia dagli alti dirigentisia dai controller perché ritenuto una pratica “normale e valida”.

Se analizziamo il metodo di calcolo da un punto di vista sistemi-co possiamo semplicemente concludere che non si possono “gesti-re” i costi. I costi sono rilevazioni contabili: riflessi dei processi dicreazione di valore; ombre di complessi processi di lavoro.

Voler mettere mano ai costi senza metter mano ai processi che ligenerano significa generare un mondo parallelo a quello reale. È er-rato pensare che possiamo migliorare i risultati solo lavorando suinumeri. Spesso sbagliamo e ci dimentichiamo che il miglioramen-to non può che avvenire intervenendo sui processi di lavoro.

In altre parole: bisogna migliorare sempre nella creazione divalore. Purtroppo, sovente la gestione dei costi diventa un sostitu-to della vera gestione che deve dedicarsi al miglioramento costan-te dei processi nell’ottica del cliente. L’attenzione sistemica all’eli-minazione degli sprechi e alla creazione di valore è esattamentel’opposto dell’attività meccanica, astratta e illusoria del “taglio del-le spese”.

Prendiamo l’esempio degli obiettivi di vendita. Spesso, anzichérichiedere al personale di contatto con i clienti di concludere buo-ni affari, i capi (tutti) preferiscono esercitare il ruolo di “capo” epredefinire volumi e quote di vendita per ogni venditore.

Solitamente c’è una struttura dedicata a questi calcoli. Il lavorodi tutti diventa lo sviluppo analitico di questi calcoli anziché la ri-cerca comune dei clienti più redditizi per il futuro. Ci si dimenti-ca, nel fare i conti, della complessità del mercato e delle sue aspet-tative per adottare una mentalità amministrativa che spinge i pro-dotti verso il mercato.

Un altro esempio: il modello di remunerazione dei dipenden-ti. Tipicamente i produttori americani di automobili (ma non so-

1. Un obiettivo è più che un obiettivo � 7

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lo loro) hanno sviluppato un modello di remunerazione per glialti dirigenti che vincola il valore della loro pensione ai risultatidei loro ultimi anni di lavoro. Non è necessario essere uno stu-dioso di scienze comportamentali per farsi la seguente domanda:alle condizioni di cui sopra quale dirigente (negli ultimi anni dilavoro) deciderà di investire pesantemente in ricerca anziché li-cenziare il personale e tagliare i costi? La risposta è ridicolmentechiara: “Visto che decido io, mi preoccuperò dell’interesse mio edella mia famiglia”.

E nel settore pubblico? Anche qui negli ultimi anni sono proli-ferate le tecniche volte a definire indicatori, pianificare, stabilireobiettivi. Vediamo un esempio relativo all’attività della polizia ri-spetto al tema delle “aggressioni domestiche”. Marito e moglie li-tigano: siamo di fronte a due aggressioni; si chiama la polizia cheinterviene e riappacifica i coniugi registrando il caso come “risol-to senza ulteriori conseguenze”, cioè due violenze risolte. Casi co-me questo producono risultati straordinari quando si guardano lepercentuali dei casi risolti! Lo stesso tipo di manipolazione po-trebbe avvenire se collegassimo la ricompensa di un capo a unqualsiasi obiettivo precedentemente definito.

Sfortunatamente i ricercatori, i consulenti e i manager conti-nuano a ripetere che tutto funzionerebbe “se gli obiettivi fosserocorrettamente definiti”. Per esempio si dice: bisogna essere piùrealisti o più coraggiosi, coinvolgere maggiormente le persone, fa-re della buona formazione sul tema, migliorare i controlli ecc.

Nella realtà, qualsiasi iniziativa può, nella migliore delle ipote-si, scalfire la superficie del problema rispetto alle evidenze di nonfunzionamento dell’MBO (e della gestione attraverso i numeri)raccolte in decine di anni di gestione per obiettivi.

Quindi non sembrano esistere altre soluzioni: occorre elimi-nare la maggior parte degli obiettivi oggi comunemente utilizzati.Qualsiasi contratto predefinito di performance deve essere elimi-nato e sostituito da prassi che creino condizioni adatte a sfruttaremeglio il potenziale delle organizzazioni e delle persone.

8 � Parte I. Pensare in modo relativo

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ESORCIZZARE L’ARROGANZA DELLA SEDE CENTRALE

La maggior parte degli imprenditori e dei manager non sa in qua-le direzione dovranno evolvere le tecniche di gestione per consen-tire alle proprie aziende di sopravvivere alla forte concorrenza.

È chiaro, come vedremo poi, che solo chi si libererà del credonel meccanismo “comando e controllo” centralizzato potrà affron-tare le sfide del mondo di oggi. In queste imprese i gruppi di la-voro creatori di valore recuperano il contatto con il mercato e svi-luppano cambiamenti sorprendenti senza dover dipendere dallestrutture centrali: una sorta di auto-organizzazione.

La teoria dei sistemi ci ha insegnato che in un ambiente com-plesso possono prosperare solo le imprese già caratterizzate da rile-vante complessità interna. Esse esercitano pressioni sul mercato permezzo di idee fortemente innovative rispetto ai concorrenti.

Quindi trasformare un’impresa taylorista nel senso sopra cita-to significa aumentarne la competitività per renderla coerente coni nuovi mercati, come hanno fatto Toyota e Handelsbanken. Chinon procede a questa trasformazione resta con la sua struttura su-per-rigida e non più adatta alle nuove sfide.

Il punto forte dell’impresa taylorista, cioè l’intransigente ricer-ca dell’efficienza nell’esecuzione di processi ripetitivi, diventa untallone d’Achille.

Il modello praticato dalle imprese pioniere si basa sull’immo-dificabile convinzione che l’unico vantaggio competitivo duraturorisiede nelle persone che lavorano in azienda, nella loro creatività,passione e capacità di giudicare e agire per l’interesse complessi-vo dell’azienda.

Quando si è davvero convinti del valore delle persone, e non losi afferma solo per posa e nelle occasioni pubbliche di comunica-zione, allora nascono modelli di governo in palese contraddizionecon il modello taylorista governato dai numeri.

Esistono già imprese basate sulla conoscenza: per esempio tut-te le imprese di servizi professionali (avvocati, revisori e consu-lenti).

Molte di queste aziende operano attraverso i sistemi di reti trapartner (logica di “quasi partnership”) nelle quali alcune decisioni

1. Un obiettivo è più che un obiettivo � 9

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di vasta portata vengono prese, quasi democraticamente, in riu-nioni abbastanza frequenti e regolari tra i partner. Anche in que-ste imprese, però, spesso la gestione quotidiana si ispira ancora alprincipio “comando e controllo”.

L’organizzazione del futuro sarà caratterizzata da piccoli grup-pi molto autonomi con la responsabilità parziale o totale del pro-prio business. Nella sua forma più pura, questo modello supera ledivisioni funzionali e le rispettive aree di competenza. Non ci saràpiù la necessità di funzioni separate relative, per esempio, allavendita, ai nuovi business, all’analisi dei rischi, al controllo di qua-lità, al marketing, alle risorse umane ecc.

Perché ciò funzioni, si devono trasformare tutte le persone chelavorano in azienda in “imprenditori”. Ciò implica la completa re-visione del lavoro della sede centrale: anziché definire le strategiee prendere decisioni importanti, chi lavora alla holding deve di-ventare un consigliere, un controllore del rispetto dei principi edelle responsabilità di tutti e deve imparare a porre continuamen-te domande. In sostanza la sede centrale deve solo essere al servi-zio di chi crea valore. È evidente che in questo modello servono va-lori e principi guida molto forti che garantiscano la coesione.

Fino ad oggi su questo tema si sono viste più dichiarazioni diintenti che effettivi tentativi. Comunque, oltre alle aziende pionie-re citate, esistono altre aziende che stanno sperimentando il mo-del Beyond Budgeting: Unilever, Banco Mundial, UBS, Sight Sa-vers International, Statoil, Softlab, Hilti, Scottish Enterprise, Syd-ney Water, VCP, Datasul, Logoplaste do Brasil e altre. Ma cosa siè tentato di fare, di diverso, in queste aziende?

Nel 1982 Tom Peters e Robert Waterman pubblicano Alla ricercadell’eccellenza che, con alcuni milioni di copie vendute nel mondo,diventa il primo best seller sulla gestione d’impresa. I due consu-lenti McKinsey avevano analizzato le ragioni del successo di una se-rie di imprese. Il risultato della ricerca non è la ricetta per avere suc-cesso, bensì un elenco di fattori di successo (KSF): un approccio de-cisamente innovativo nella letteratura d’impresa.

Il libro non descrive quindi un’unica ricetta per conseguirebuoni risultati, ma illustra otto principi per raggiungere il succes-so nell’era della conoscenza, allora agli albori. È utile ripeterli qui:

10 � Parte I. Pensare in modo relativo

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1. attitudine all’azione (anziché ossessione per la pianificazione el’analisi);

2. prossimità al cliente (anziché orientamento all’interno);3. autonomia e imprenditorialità (anziché burocrazia e dipen-

denza);4. produttività generata dalle persone (anziché dalle macchine);5. approccio rivolto alla creazione di valore (anziché alla gerarchia

e alle prassi);6. attenzione a ciò che si sa fare bene (anziché ossessione per l’e-

spansione e la mancanza di focus);7. forme semplici, strutture snelle (anziché lo sviluppo funziona-

le taylorista);8. leadership forte ma disponibile (anziché “comando e controllo”).

Fin dall’inizio degli anni Novanta, quindi alcuni anni dopo lapubblicazione del libro, Tom Peters non si stanca di ripetere chegli otto principi si possono ridurre a uno solo: decentramento eautonomia. In effetti tutti gli altri sette discendono logicamente daquesto.

Ma come si fa a costruire un simile tipo di organizzazione ca-ratterizzata da ampia autonomia e forte decentramento? Quali so-no le imprese che possono dire di aver creato un modello di que-sto tipo più rivolto all’esterno che all’interno? (Figura 1.1)

Oggi esiste un ampio consenso tra i cultori del management sul-l’idea che i fattori di successo elencati sopra hanno acquisito una ri-conosciuta validità negli ultimi decenni. In assoluto accordo conquanto indicato negli anni Ottanta da Peters e Waterman, l’elenco ditali fattori può essere ridotto oggi ai sei elencati nel seguito:

1. reazione rapida: per fronteggiare meglio mercati discontinui;2. innovazione: per tenere conto di cicli di vita del prodotto sem-

pre più brevi;3. eccellenza nell’esecuzione: per essere sempre competitivi an-

che con prezzi calanti;4. vicinanza al cliente: per fidelizzare clienti sempre più esigenti

e meno fedeli;5. ottimo posto di lavoro: per attrarre talenti;

1. Un obiettivo è più che un obiettivo � 11

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12 � Parte I. Pensare in modo relativo

FIGURA 1.1

DIRIGERE LE ENERGIE VERSO L’ESTERNO

Organizzazione taylorista

Visione dall’interno all’esternoSpreco causato da gerarchia e burocrazia

R

IS O R

S

E

Aumenta la quotadi energia

rivolta all’interno

Diminuisce

la quota di energiacreatrice di valore

Un modello nuovo, diverso

Visione dall’esterno all’internoMiglioramento ricercato attraverso

una rete autogestita

“Al servizio della gerarchia”“Comando e controllo” dall’alto verso

il bassoPredomina l’attitudine alla “gestione”

del presentePriorità tipiche:negoziazione dei prezzi interni,

manipolazione interna, adozione di tattiche/politiche, bilanci/piani, tagli, management by numbers,sistema di incentivi ecc.

Maggior generazione di valore

Successo al di sopra della media!

Porta alla soddisfazione dei bisogni

organizzativi fondamentali, ma produce:

• insufficiente creazione di valore;

• sprechi eccessivi;

• scarso contributo complessivo alla

società.

Minimizzare

la quota di energiadirezionataall’interno

Massimizzare

la quota di energiacreatrice di valore

R

IS O R

S

E

“Al servizio del cliente”(interno/esterno)

Relazioni trasparenti con i clienti ecreazione di senso dall’esternoall’interno

Predomina l’attitudine alla leadershipPriorità tipiche:rapporto strategico con il mercato,

relazioni strette con i clienti,cooperazione/alleanze, dialogo econsultazione, sviluppo dei prodotti,miglioramento continuo, amore per idettagli...

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6. comportamento etico e socialmente “attento”: per soddisfare lasempre maggiore richiesta di trasparenza di tutti gli stakeholder.

Molte imprese per ora si limitano a dichiarare l’aderenza a que-sti principi. Nella pratica quotidiana si verifica spesso esattamen-te il contrario: la grande maggioranza delle aziende non ha unmodello organizzativo adatto alla ricerca/perseguimento dei fatto-ri di successo più sopra elencati.

Ciò accade soprattutto perché il modello “comando e controllo”mostra tre grandi limiti.

Il primo risiede nel processo decisionale: le decisioni le prendeil “capo” e quindi sono accentrate. Il risultato è il ritardo nei tempidi risposta, un minor grado di innovazione, maggiori costi fissi(overhead), l’allontanamento dei clienti, la demotivazione delle per-sone di talento e l’impedimento a un comportamento leale.

Il secondo limite riguarda la prassi di stipulare inflessibili“contratti” di prestazione su obiettivi fissi sia all’interno della pro-pria struttura sia con i terzi. Tali contratti stabiliscono obiettivi in-terrelati tra le funzioni, una rigida allocazione di risorse e un con-seguente schema di remunerazione. Il sistema è, per sua natura,molto burocratizzato mentre le condizioni di mercato richiedonoatteggiamenti più adattivi e imprenditoriali.

Il terzo limite, infine, è relativo alla gestione centralizzata deisistemi di informazione e controllo (logica taylorista del “coman-do e controllo”) che confligge con i fattori di successo dell’econo-mia della conoscenza.

Quando si parla di decentramento e autonomia, come sugge-risce Tom Peters, non si fa necessariamente riferimento all’intro-duzione di tecniche nuove o al miglioramento di quelle esistenti.Significa al contrario che imprenditori e manager (gli esseri uma-ni in generale) devono decidere di rinunciare completamente al-l’uso di tecniche e comportamenti quando non sono più utili. Neisistemi di leadership e di gestione delle aziende abbiamo bisognodi cominciare a “disimparare”: liberarci dalle pratiche tradiziona-li, gettarle in un cestino per pensare diversamente.

1. Un obiettivo è più che un obiettivo � 13

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UNA DIVERSA IMMAGINE DELLA NATURA UMANA:

UN DIVERSO CONTRATTO DI PRESTAZIONE

In linea di principio non si può dire nulla di sensato riguardantela gestione delle risorse umane e la leadership senza dover espli-citare il proprio pensiero rispetto alla natura umana. Molti testi dimanagement, molti docenti di leadership, molti approcci consu-lenziali perdono significato perché non chiariscono il loro pensie-ro rispetto alla natura delle persone (Figura 1.2).

Generalmente gli approcci a questo riguardo oscillano tra duepoli opposti: da un lato la convinzione di dover trattare le personecome bambini (condurle per mano e controllarle), dall’altro l’ideache le persone siano tutte individui adulti capaci di pensare da im-prenditori (quindi in grado di esprimere iniziative, creatività esenso di responsabilità). A prescindere dalla propria convinzione,che spesso non viene neppure esplicitata.

In questo testo si opta inequivocabilmente per una teoria di “ti-po Y”, ossia per il secondo degli approcci delineati più sopra: l’es-sere umano è intrinsecamente motivato, capace di gestirsi e de-gno di fiducia.

L’uomo, che è portatore di talenti, è mosso dalla volontà di da-re il suo contributo ed è alla ricerca di riconoscimento e di sensodi appartenenza. Secondo noi, per applicare i concetti del BeyondBudgeting e gestire le imprese nell’era della conoscenza, si devesempre fare riferimento alla teoria di tipo Y nel disegnare orga-nizzazioni e modelli di gestione.

Ai lettori più propensi a credere nella teoria di “tipo X”, conogni probabilità le prassi e le proposte qui rappresentate sembre-ranno problematiche e inconcepibili e le esperienze dei pionieridel Beyond Budgeting discutibili e pericolose. Ognuno può deci-dere in che cosa credere.

Tuttavia, la scelta ha conseguenze profonde e molto pratiche.Chi crede nella teoria di tipo X con ogni probabilità crederà nelleotto affermazioni presentate qui di seguito e le troverà centrali peril tema delle performance aziendali. Ebbene, secondo la teoria ditipo Y, questi otto concetti risultano dichiaratamente inadatti(semplicemente dei miti).

14 � Parte I. Pensare in modo relativo

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1. “Lo shareholder value, ovvero l’economic value added (EVA) –cioè la creazione di valore –, è il fine ultimo di ogni impresa”.È invece chiaro che l’EVA non è l’obiettivo. L’utile, nelle sue va-

1. Un obiettivo è più che un obiettivo � 15

FIGURA 1.2

IL MONDO È CAMBIATO

Tutti questi fattori critici

sono importanti al giorno d’oggi

Fattore critico di successo:

Efficienza!

L’era industriale sta terminando

Dominio dell’offertaMercati di massa

Un’economia avanzata

basata sulla conoscenza

Dominio della domandaForte concorrenza/domanda customizzata

Superiorità del modelloadattativo e decentralizzato

Fattori critici

di successo (FCS)Caratteristiche

1. Cambiamento • Risposta rapidadiscontinuo

2. Cicli di vita brevi • Innovazione

3. Prezzi in declino • Eccellenza operativa

4. Clienti sleali • Intimità con i clienti

5. Dipendenti esigenti • Luogo miglioreper lavorare

6. Trasparenza pressioni • Governance efficace,sociali comportamento etico

Ω Aspettative finanziarie • Creare maggior valorealte in modo durevole

Superiorità del modello“comando e controllo”

• Cambiamenti incrementali

• Lunghi cicli di vita

• Prezzi stabili

• Clienti fedeli

• Datori di lavoro esigenti

• Risultati “gestiti”

Dinamicità e

complessità

dell’ambiente

alta

bassa

1890 1980 1990 2000 2010 2020 2030

Peters/Watermanpubblicano

Alla ricerca dell’eccellenza

Oggi: le organizzazioni applicano un “modello di gestione”

che è stato progettato per l’efficienza...mentre il problema oggi è

la complessità!

“Tutto ciò che è solidotenderà

a scomparire!”

Caratteristiche

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rie accezioni, è solo uno dei risultati di un business, è soprat-tutto una condizione chiave per la continuità dell’attività. Lastessa critica si può fare per tutti gli indicatori finanziari.Confondere l’utile con la mission significa, per un’impresa,perdere la propria anima.

2. “Le aziende devono divulgare previsioni di utili futuri (earningsguidance) per indirizzare gli analisti finanziari”. Si tratta spes-so di vaghe promesse che comunque generano un impegno“fisso” nei confronti degli investitori; le imprese saranno quin-di “obbligate” a rispettare gli impegni. UBS, Porsche, Google,Coca-Cola e Citigroup hanno abbandonato questa prassi che, aloro giudizio, obbliga a giocare coi numeri.

3. “La crescita e gli utili sono i più importanti indicatori di succes-so”. L’obiettivo della crescita dovrebbe essere solo secondarioper la maggior parte delle aziende. Sicuramente è così per le im-prese che danno valore a un comportamento etico. La maggiorparte dei dirigenti d’azienda, messa alle strette, non è però ingrado di motivare adeguatamente l’affermazione circa la neces-sità di crescere continuamente. Sia la crescita sia la misura de-gli utili possono sì essere indicatori di eccellenza nella creazio-ne di valore e di competitività: ma potrebbe essere altrimenti.

4. “Dobbiamo misurare il rendimento individuale”. Non è vero eforse è addirittura impossibile. Almeno non è possibile nelleaziende dove i risultati derivano dallo sforzo interdipendentedi diversi attori e non dall’azione di un singolo individuo. Neisistemi complessi quali sono le imprese di oggi il rendimentoindividuale semplicemente non esiste.

5. “I rendimenti/efficienze si possono misurare oggettivamente”.Nessuna misura è obiettiva; al contrario essa si basa su ipotesiastratte di riferimento. L’affermazione What gets measured getsdone è sovente un’affermazione priva di significato.

6. “Un capo competente può governare un’entità organizzativa sedispone di buoni indicatori”. D’accordo, gli indicatori suggeri-scono, nella migliore delle ipotesi, le cose da fare: ma non da-ranno mai risposte. Sono utili se stimolano le persone a lavo-rare assieme e a far sorgere le giuste domande. Diventano pe-ricolosi se ritenuti obiettivi e indiscutibili.

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7. “L’agire delle persone è influenzato in modo preponderante daltop management”. È vero piuttosto che la gestione “eroica” deitayloristi è inefficace in contesti dinamici e complessi comel’attuale. Glorificare i top manager appare oggi una trappolaper il pensiero creativo.

8. “Le cause di cattive performance sono da attribuire alle persone”.Dovremmo invece chiederci che cosa impedisce alle persone e aiteam di raggiungere buoni risultati e che cosa dovremmo fareperché tutti possano esprimersi al meglio. Secondo Deming, lecause dei cattivi risultati sono per il 95% sistemiche e solo per il5% riconducibili alle persone. Quindi, concentrarci sulle perso-ne ci fa perdere il 95% della possibilità di miglioramento.

Ma dove si comincia il lavoro che ci consente di lasciare questiequivoci dietro le spalle?

Nel suo libro Leadership Is an Art Max De Pree distingue tra re-lazioni sancite da contratti e relazioni comunitarie all’interno diun’organizzazione. Nello schema concettuale legato al “contratto”l’uomo agisce secondo l’impulso dello scambio tra il lavoro e ilcompenso. Questo tipo di approccio sviluppa docilità e dipenden-za. È il modello taylorista. È teoria tipo X. A questo schema si con-trappone la gestione di relazioni comunitarie che si basa sull’im-pegno personale, cioè su una promessa consensuale tra capo e su-balterno che poggia sulla condivisione di idee, di valori e di obiet-tivi. Cioè teoria tipo Y.

Nel lavoro di ricerca del BBRT si è capito subito che, per un cam-biamento così radicale, non sarebbe stato sufficiente sostituire ibudget e le tecniche usuali di gestione con altre più nuove, ma sa-rebbe stato necessario costruire un nuovo paradigma organizzativo.

Nel tentare di operare questo importante cambiamento sorgo-no due grandi problemi. In primo luogo non si può descrivere la“nuova” organizzazione con il linguaggio usato per la “vecchia”.Servono nuovi schemi, nuovi concetti e, talvolta, nuovi vocaboli.In secondo luogo si percepisce chiaramente un curioso fenome-no: le imprese con i migliori risultati del XXI secolo, che sono inostri pionieri nell’uso del Beyond Budgeting, “non sanno quelloche stanno facendo”.

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Nella maggior parte dei casi esse hanno agito sugli stimoli e leintuizioni di imprenditori e dirigenti. Spesso i cambiamenti sonointervenuti senza aiuti esterni (né di consulenti, né di studiosi dimanagement) e senza una chiara idea del risultato finale a cui leaziende sarebbero approdate. Il modello alternativo è risieduto, fi-no ad oggi, nella visione di pochi.

Sono comunque stati fatti discreti passi avanti nella definizio-ne di standard di riferimento, oggi comuni tra i pionieri. Uno diquesti è il riconoscimento dell’importanza della stipulazione di“contratti di prestazione relativi” (uno dei fondamenti del BeyondBudgeting). I contratti di prestazione relativi, altrimenti detti“flessibili”, si basano sull’ipotesi che non sia conveniente impe-gnare dirigenti e gruppi di lavoro su obiettivi rigidi fissati antici-patamente e poi controllare i risultati rispetto agli obiettivi.

L’accordo implicito in questi tipi di contratto è che il compitodella direzione è solo quello di creare un clima aperto e interessa-to alle sfide per generare a tutti i livelli la ricerca del migliora-mento continuo. Nel farlo, tutti gli attori coinvolti devono usare leproprie conoscenze e capacità di giudizio per adattarsi sempre dipiù e meglio ai cambiamenti esterni/interni.

In questo tipo di contratti le decisioni non sono forzosamenteprese sempre dai capi e poi fatte scendere lungo la scala gerarchi-ca in forma surrettiziamente “partecipativa” ma, al contrario, ledecisioni sono distribuite il più in basso possibile nell’organizza-zione o, meglio ancora, il più possibile decentrate. Occorre deci-dere nel punto dove la presa di decisione è più rapida, quindi do-ve esiste interfaccia con il cliente (esterno o interno che sia).

Questo nuovo tipo di contratto si basa sulla fiducia reciproca,ma non deve far pensare a un clima rilassato, con assenza di de-terminazione.

Al contrario, l’elevata trasparenza di tutte le transazioni e gli al-ti livelli di aspettativa di tutti nei confronti di tutti rappresentanouna sfida costante: il loro non rispetto sarà sotto gli occhi di tutti.Servono e si realizzano alti livelli di fiducia e di corresponsabilità.

Le responsabilità dei risultati e della presa di decisioni sonotrasferite gradualmente dal centro alla periferia, cioè a chi deve as-

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sumere le decisioni. Trattasi di un cambiamento forte nello stiledi direzione: un grande cambiamento culturale.

UN NUOVO APPROCCIO:

OLTRE IL BUDGET (BEYOND BUDGETING)

La critica al modello taylorista è datata, risale addirittura agli anniCinquanta. Sia nei lavori di Douglas McGregor e Frederick Herz-berg – che studiavano gli aspetti motivazionali – sia in quelli del-lo statistico Edwards Deming, sia negli scritti di esperti di gestio-ne come Tom Peters, Charles Handy, Chris Argyris, Peter Block oReinhard Sprenger si trovano stimoli critici al riguardo.

La novità del Beyond Budgeting è la presenza di un modello al-ternativo orientato da principi nuovi che consente a chi governa leimprese di intraprendere i necessari cambiamenti, conoscendonei passi operativi e il probabile risultato finale, e le differenze ri-spetto al taylorismo. È questa facilità di utilizzo che forse consen-te di definire il Beyond Budgeting la prima grande idea di mana-gement del XXI secolo.

Agli albori del movimento Beyond Budgeting fu soprattuttouno l’aspetto che destò interesse: l’esigenza della completa elimi-nazione di tutto ciò che si riferisce all’elaborazione del budget e alcontrollo attraverso scostamenti da questo.

È chiaramente un postulato che si può agevolmente definire“radicale”, visto che almeno il 95% delle aziende grandi e medieutilizza il budget quale principale meccanismo operativo di piani-ficazione e controllo. Ma non è tutto. Le imprese che fondarono, eche dirigono, il Beyond Budgeting Round Table, che coniarono ilconcetto stesso, non perdono occasione di ribadire che non biso-gna solo abbandonare il budget ma si devono anche accantonarealtri strumenti molto diffusi. La definizione di obiettivi quantitati-vi di vendita deve pure essere eliminata; così come il controllo de-gli scostamenti dal budget, gli obiettivi predefiniti, tutte le logichedi negoziazione, le allocazioni parametriche dei costi ecc. Insom-ma molte delle tecniche ritenute obbligatorie.

In conseguenza di ciò si sono sviluppate accese dispute tra acca-

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demici, consulenti e manager di lingua inglese, tedesca e portoghe-se che coinvolgono soprattutto gli esperti di finanza e controllo. Lediscussioni, all’inizio caratterizzate da toni polemici, hanno comun-que portato a un sostanziale riconoscimento del valore del modello;oggi sono numerosi gli esempi di imprese di varie dimensioni ePaesi che stanno sperimentando il modello Beyond Budgeting.

Poco a poco il Beyond Budgeting sta cominciando ad apparirenel linguaggio (e nell’agenda) di uomini d’impresa, siano essiCEO, CFO, controller, responsabili di risorse umane o consulentiresponsabili di iniziative di cambiamento.

È quindi iniziato un movimento che ha sviluppato le idee natein Inghilterra nel 1998. In quell’anno il Consortium of AdvancedManagement International (CAM-I) creò a Londra il Beyond Bud-geting Round Table: un gruppo di lavoro costituito da rappresen-tanti di diverse imprese che aveva l’obiettivo di ricercare modellialternativi di gestione al tradizionale sistema basato sul budget.

La prima mossa fu la ricerca di aziende di successo che già ave-vano rinunciato al controllo budgetario. I numerosi esempi diaziende che si sono liberate, totalmente o parzialmente, del budgetfurono uno stimolo importante e una valida rassicurazione per illavoro dei ricercatori negli anni successivi. I ricercatori visitarono:Handelsbanken (banca svedese), Borealis e Rhodia (imprese chi-miche europee), AES (produttore di energia americano), la onlusSight Savers International, Ikea, il gruppo Bull, il gruppo SKF. Fu-rono analizzate dai ricercatori del Beyond Budgeting Round Tableimprese eccezionali quali la catena di supermercati Aldi (tedesca),il produttore giapponese di auto Toyota, e le americane SouthwestAirlines e Guardian Industries. Inoltre: il dettagliante svedese dimateriali da costruzione Ahlsell e organizzazioni pubbliche comeSydney Water, Scottish Enterprise e Banca Mondiale. Tanto multi-nazionali leader nei rispettivi mercati, quali Statoil, UBS e Unile-ver, quanto piccole imprese manifatturiere e di servizi hanno datoinizio a esperimenti di implementazione del Beyond Budgeting.Oggi più di 150 aziende lo stanno utilizzando.

Tutte queste imprese si sono liberate delle tecniche di control-lo budgetario o comunque hanno introdotto ampie trasformazio-ni del modello di gestione in essere. Ma la nostra sensazione più

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netta è questa: il vero problema non è la tecnica budgetaria in sé,è piuttosto la filosofia “comando e controllo” basata su impegnifissi predefiniti che si fatica ad abbandonare. Questi sono i due pa-radigmi che occorre davvero superare se si vuole porre in atto unmodello di gestione più efficiente e più adatto ai fattori di succes-so dell’economia della conoscenza.

Nell’aprile del 2003 è uscito sulla Harvard Business Review, sca-tenando grandi dibattiti, un primo importante articolo, seguitopoi da due libri scritti dai direttori del Beyond Budgeting RoundTable. Possiamo perciò dire che i fondamenti concettuali sono or-mai consolidati.

Lentamente il Beyond Budgeting si sta ora affermando anchenella vita delle imprese. Robin Fraser, ex socio Coopers & Lybrand,cofondatore e direttore del Beyond Budgeting Round Table, così il-lustra l’evoluzione del pensiero: “Abbiamo davvero ancora bisognodi anni per sviluppare il modello compiutamente a partire dalle suefondamenta che sono ormai chiare. Alcuni membri del BeyondBudgeting Round Table non hanno aspettato la costruzione teoricacompleta del modello e hanno cominciato a implementarlo”.

In queste imprese si sono sperimentate anche tecniche nuovequali il rolling forecast e la balanced scorecard. Sappiamo che l’usodi tecniche nuove non è mai sufficiente. Il Beyond Budgeting nonvuole impegnarsi per ottimizzare tecniche: la qualità totale, il bu-siness process reengineering, l’activity-based management, il betterbudgeting ecc., tutte hanno importanti aspetti positivi, ma l’enfasideve essere posta sul cambiamento culturale.

Infatti Fraser continua così: “Il Beyond Budgeting è un model-lo che sostituisce la burocrazia con la leadership, gli ordini im-partiti dall’alto con l’empowerment, le strutture gerarchiche e ac-centrate con le reti di unità autonomamente gestite”.

Realizzare questo nuovo modello richiede significativi cambia-menti a tutti i livelli per tutti i tipi di impresa. Si può dire, da que-sto punto di vista, che il Beyond Budgeting è la tecnologia per ge-stire il cambiamento secondo questo modello.

Il cambiamento è stato la nostra vera sfida specialmente neiconfronti dei responsabili finanziari con cui abbiamo iniziato ilprogetto alla fine degli anni Novanta. È però anche una grande op-

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portunità per i top manager, gli imprenditori, i change managerche davvero vogliono indurre sostanziali cambiamenti nelle loroorganizzazioni: “Un modello olistico al passo con i tempi”.

Il Beyond Budgeting è articolato in dodici principi di gestione:i primi sei favoriscono una leadership basata sull’empowerment equindi una gestione molto decentrata. Il secondo gruppo di seiprincipi descrive processi flessibili di gestione delle performance(Figura 1.3).

La lettura di questa figura può farci concludere che molte coseche vi si leggono non appaiono altro che riflessioni dettate dal buonsenso. È vero, ma se pensiamo che comunque la grande maggio-ranza delle aziende aderisce senza troppo questionare ai principiopposti (quelli della colonna “NON così!”), fare la scelta di adottarei principi del Beyond Budgeting non è per niente banale.

Inoltre, non si tratta di un menu del quale si possa scegliere diadottare solo alcune proposte di Beyond Budgeting: si compra tut-to il pacchetto, senza peraltro acquistare metodologie o software.Al contrario: i dodici principi mostrano un approccio coeso, orga-nico e indivisibile che va ricordato incessantemente.

Sosteniamo questo perché i risultati delle nostre ricerche di-mostrano che solo quando un’azienda adotta e sa utilizzare tutti idodici principi riesce a trasformarsi in un’impresa davvero adatti-va e decentralizzata, efficiente nel creare valore, attenta ai valorietici e più competitiva della media nel lungo periodo. Il fatto chei dodici principi abbiano molti punti di contatto e siano un tutt’u-no è la chiave per la vera comprensione del modello.

Ragionare così può sembrare paradossale: il nuovo modello è,in principio, indivisibile. Non serve a niente scegliere i più sim-patici tra i principi e provare solo con quelli; non possiamo spera-re di cambiare metodo di gestione se non adottiamo congiunta-mente i dodici principi: solo così possiamo attenderci risultati du-revoli, con i dodici principi del Beyond Budgeting completamenteapplicati. In pratica serve una vera rivoluzione. Risulta difficile, tut-tavia, soprattutto per grandi imprese di successo sul mercato dadecenni, attuare una transizione dal modello taylorista al modelloBeyond Budgeting, pretendendo di applicare subito tutti i princi-pi. Il cambiamento richiederà sicuramente diversi anni: il sistema

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FIGURA 1.3

I DODICI PRINCIPI DEL “BEYOND BUDGETING”

Sei principi relativi alla leadership

Principi

Clienti

Responsabilità

Prestazione

Libertà di agire

Governance

Trasparenza

Fare così!

Concentrare gli sforzi di tutti permigliorare i risultati per i clienti, rapporti“dall’esterno all’interno”

Creare una rete di piccole squadreresponsabili dei propri risultati

Promuovere il successo come “vittoriadi squadra”, rispetto al mercato

Dare ai team la libertà, la capacità el'autorità di agire

Basare la governance su obiettivi, valorie limiti chiari

Promuovere informazioni condivise eaperte per tutti

NON così!

Rapporti verticali di potere

Gerarchie centralizzate

Approccio contrattuale,focalizzatointernamente

Rispetto di piani fissi

Norme dettagliate e budget rigidi

Informazione ristretta,solo per chi deve sapere

Sei principi relativi a processi adattabili di gestione

Principi

Obiettivi

Ricompense

Pianificazione

Controlli

Caratteristiche

Coordinamento

Fare così!

Definire desiderata e mete flessibili in grado di promuovere miglioramentirelativi e continui

Ricompensare il successo ottenutocome squadra, basato sulla prestazionerelativa, valutato a posteriori

Rendere la pianificazione un processocontinuo e globale, concentrato sulle azioni

Basare i controlli sugli indicatori chiaverispetto al mercato, ai concorrenti e aiperiodi precedenti

Rendere disponibili le risorse necessariequando servono

Coordinare le interazioni in mododinamico con meccanismi di “mercato” e di dialogo

NON così!

Obiettivi fissati annual-mente e incrementativi

Raggiungereobiettivi fissi, individuali

Solo annualmente e top-down

Variazioni dal piano/budget

Dotazione di bilancio annuale

Cicli annuali di pianificazione

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nuovo verrà conseguito attraverso un processo evolutivo (ecco ilparadosso apparente).

Come si rendono compatibili un proposito rivoluzionario e unprocesso evolutivo? Come si combina la massiccia trasformazionenecessaria a formare un insieme coerente con le molte trasfor-mazioni pratiche nei sistemi e nei comportamenti dei componen-ti di un’organizzazione? Si deve agire così: per ottenere una tra-sformazione profonda serve un grande cambiamento nel modo dipensare e contemporaneamente nel modo di agire. Sono due di-mensioni interdipendenti del progetto. Sia il Beyond Budgetingsia il taylorismo inizialmente rivoluzionano il pensiero dei mem-bri di un’organizzazione e successivamente stimolano un’evolu-zione dell’azione attraverso tanti piccoli passi e comportamentiche cambiano profondamente. Vale la pena a questo propositoanalizzare da vicino l’esempio paradigmatico di Handelsbanken,dove il Beyond Budgeting applicato in toto ha consentito di creareuna banca universale veramente efficiente e decentrata.

LA STORIA DI UN PIONIERE: HANDELSBANKEN

Questa è la prima azienda in cui i direttori del Beyond BudgetingRound Table hanno trovato un modello di gestione post-tayloristatotalmente coerente già alla fine degli anni Novanta.

Svenska Handelsbanken, oggi Handelsbanken, è una bancauniversale fondata nel 1871 che fattura oggi 2 miliardi di dollari al-l’anno, dà lavoro a 9.500 persone e opera con più di 600 unità dibusiness (centri di profitto). I Paesi nei quali la banca opera sonotutti quelli scandinavi, oltre a Inghilterra, Polonia e Germania.

Nel corso degli ultimi trent’anni, in conseguenza alla radicaletrasformazione attuata già dal 1971, Handelsbanken si è semprecollocata alle prime posizioni in termini di efficienza nella gestio-ne dei costi con un rapporto costi/fatturato del 45% contro unamedia del 60% dei suoi principali concorrenti internazionali.

Questi migliori risultati rispetto alla concorrenza sono veri an-che per altri indicatori: soddisfazione della clientela, redditivitàdel patrimonio (ROE), utili per azione, per citarne alcuni. Han-

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delsbanken è leader di redditività con due sole eccezioni, una se-conda e una terza posizione. Pure nel rating Handelsbanken bat-te i suoi concorrenti internazionali (Figura 1.4).

In Handelsbanken non ci sono impegni fissi di prestazione, alcontrario si punta a continui confronti sia interni sia esterni age-volati dalla totale disponibilità di informazioni e da un processo

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FIGURA 1.4

DAL VECCHIO AL NUOVO MODELLO

Modello tradizionale

Burocratico-gerarchicoStatico, focalizzato sul controllo

Rapporti di potereObiettivi rigidi di prestazione

assoluta

Modello “nuovo”

Decentramento/empowermentRobusto e dinamico

Rapporti di creazione di valoreObiettivi di prestazione relativi

Gerarchia centralizzata

“comando e controllo”Rete centralizzata

“sentire e rispondere”(keep on track)

Cambiamento

rivoluzionario di

• principi

di leadership

• principi di gestione

delle prestazioni

• contratti

di prestazione

• valori

• sistemi

• cultura

...

Processi

fissi, annuali

Processi

dinamici, continui

Strategia

Obiettivi rigidi

(formalizzati)

di performance

assoluta

Impegno rispetto a

performance relative

Coordinamentodinamico

Controllo

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decisionale molto decentrato. Più del 50% dei dipendenti ha unaqualche autonomia decisionale rispetto alla concessione di credi-to; la sede centrale, composta da 500 dipendenti, è molto snella.Ci troviamo di fronte a tre soli livelli gerarchici: il presidente, i di-rettori regionali e i responsabili di filiale.

All’inizio degli anni Settanta Handelsbanken viveva una diffi-cile situazione: scarsa redditività, molta burocrazia e problemi colfisco svedese.

Il presidente Jan Wallander, divenuto chairman per il periodo1978-1991, aveva già sperimentato un processo di delega verso chiaveva contatti più diretti con la clientela in una piccola banca re-gionale. Divenuto CEO applicò questa esperienza a tutto il grup-po. Il risultato fu la nascita di un modello totalmente diverso daquelli in essere all’epoca.

“L’idea base – dice Wallander – è il decentramento del proces-so decisionale. Secondo questo approccio rimane comunque com-plicato liberarsi dei budget, ma è solo una delle implicazioni delnuovo modello”.

Per ottenere un vero decentramento decisionale, Wallander tra-sformò completamente l’intera organizzazione. Fin dall’inizio eli-minò “la sovrastruttura burocratica” (parole sue) per poter dare auto-nomia a chi non lavorava nella sede centrale. Tra le misure adottateci fu la completa abolizione degli obiettivi e dei budget fissi. Le divi-sioni furono abolite. Le funzioni organizzative centrali o furono abo-lite, o ridotte ai minimi termini o trasferite alle banche regionali.

Wallander comprese che gli obiettivi fissi generano comporta-menti irrazionali e dipendenza delle unità organizzative locali dalcentro. Secondo lui “tutte le persone della banca tendevano a su-bordinare gli obiettivi di business ai risultati predefiniti, anche a co-sto di manipolare i dati”. I dirigenti facevano di tutto per raggiun-gere gli obiettivi predefiniti anche a costo di destabilizzare impor-tanti processi di business e deteriorare le relazioni con i clienti.

Nella nuova organizzazione di Handelsbanken, collocare l’in-teresse del cliente prima di quello della banca divenne una prati-ca essenziale e un fattore di orgoglio per la banca.

L’obiettivo della banca diventò il conseguimento di una dura-tura redditività superiore alla media e non il conseguimento di vo-

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lumi di vendite e di fatturati; obiettivi questi ultimi che, in alcunicasi, si smise di rilevare.

Handelsbanken abbandonò l’obiettivo di essere la più grandebanca del Paese per puntare a essere la più efficiente. Quindi l’o-biettivo diventò, ed è tuttora, l’ottenimento del ROE più alto (at-traverso leadership di costo e di qualità) della media dei concor-renti del segmento di mercato di riferimento. Rispetto a questoobiettivo la prassi Handelsbanken non cambia da trent’anni.

Wallander e la sua équipe hanno sviluppato un modello di ge-stione molto semplice, di facile comprensione, privo di obiettivi ri-gidi e di pianificazione annuale. Le persone sviluppano l’abitudi-ne a lavorare orientandosi con misurazioni relative comparate conquelle esterne. Il successo quindi non è più costituito dal riuscirea realizzare quanto previsto da un’arbitraria pianificazione, bensìdal miglioramento di pochi indicatori. Quindi a partire da allora sicominciò a confrontare Handelsbanken con i suoi concorrenti di-retti attraverso alcune “tabelle di confronto” (graduatorie). Si trat-ta di classifiche come quelle di un campionato sportivo, nelle qua-li le banche regionali si confrontano costantemente e lo stesso ac-cade tra le filiali. In altre parole, tutti gli obiettivi, le valutazioni deirisultati e delle prestazioni diventano quelli relativi alla competi-zione interna ed esterna e al miglioramento continuo.

Il sistema basato sulle “classifiche” ha dimostrato grandi po-tenziali di autoregolazione; lungo i decenni ha richiesto solo pic-cole modifiche e, soprattutto, non implica aggiustamenti e nego-ziazioni infrannuali.

Lennart Francke, ex CFO della banca, così spiega il modello:“La maggior parte dei manager quando immagina obiettivi pensaa dati su cui si sia trovato un accordo e che diventano mete obbli-gatorie per la fine dell’anno. Noi non lavoriamo così. Utilizziamogli obiettivi per stimolare particolari miglioramenti nelle presta-zioni. Ci concentriamo solo su rilevazioni semplici che non met-tono pressione al gruppo. Tutto il contesto è quindi caratterizzatoda relativismo. I dirigenti e tutto il personale non sanno che nu-mero devono raggiungere perché, semplicemente, questo nume-ro non esiste. Ecco perché riusciamo a evitare le faticose negozia-zioni e i comportamenti irrazionali di fine anno volti a ‘far torna-

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re i conti’. L’impegno principale di tutti è quello di non essere su-perati dai colleghi; ciò induce automaticamente un continuo sfor-zo volto al miglioramento costante”.

Contemporaneamente sono stati eliminati tutti gli ostacoli po-sti alla generazione di valore da rigide procedure e controlli trop-po gerarchici. Per lo stesso motivo furono aboliti tutti i processi didefinizione di obiettivi di vendita, gli incentivi, la pianificazione ri-gida ed eccessivi staff centrali.

Nel breve volgere di pochi anni la banca abbandonò l’organiz-zazione funzionale e la struttura divisionale per orientarsi verso lacreazione di centri di profitto autogestiti con chiare relazioni coni clienti e responsabilità diretta per i risultati di queste relazioni.

Questa rete di centri di profitto riguarda tutte le 600 filiali, lebanche regionali giuridicamente indipendenti e le funzioni cen-trali di fornitura di servizi (risorse umane, amministrazione, con-trollo, tecnologie informatiche, gestione del rischio e altre).

Il punto centrale non è la sede, ma la rete di filiali la cui auto-nomia è continuamente aumentata a partire dagli anni Settanta.Conseguentemente lo status delle filiali di Handelsbanken e ilprestigio collegato sono maggiori di quelli delle altre istituzioni fi-nanziarie: un cambiamento culturale necessario per sostenere iltipo di cambiamento indotto. Nel caso Handelsbanken, il decen-tramento radicale significò anche il divieto per il dipartimentocentrale di marketing di emettere istruzioni e ordini e di obbliga-re a vendere determinati prodotti. Il focus diventò la redditività deiclienti e non dei prodotti, per i quali questo indicatore non vienenemmeno più preso in considerazione.

In sede, in Handelsbanken, non ci sono i responsabili di pro-dotto bensì “le imprese-prodotto” che sono pagate dalle banche re-gionali e dalle filiali sia per i servizi forniti sia per lo sviluppo deiprodotti. Dei prodotti non sono importanti né gli obiettivi di vendi-ta né le quote di ognuno, bensì il gradimento da parte dei clienti.

La modalità di lavoro delle funzioni centrali è la fornitura diservizi alle reti di filiali sulla base delle loro necessità, per i qualila funzione fornitrice riceve un compenso a copertura dei costi.Questo modo di fare induce tutta l’organizzazione a occuparsi piùdei clienti che dei superiori.

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L’obiettivo economico delle funzioni centrali è il raggiungi-mento del break-even. Per gestire tutte le transizioni fra il centroe la periferia sono stati definiti più di 2.000 prezzi di trasferi-mento negoziati trimestralmente o annualmente tra clienti inter-ni e fornitori interni; praticamente non ci sono costi non specifi-camente addebitati alle banche.

Non è mai previsto l’ottenimento di un utile dalla fornitura deiservizi centrali; il mercato interno di tutte le transazioni è gestito daldipartimento finanza e controllo che coordina i flussi verificando ilfunzionamento del “mercato” e le oscillazioni della domanda.

Sempre Lennart Francke afferma: “Nella nostra azienda i clien-ti interni fanno i loro calcoli per raggiungere il successo e di que-sto si devono preoccupare. Si comportano dunque come compra-tori di servizi con ampia autonomia. Quindi, se una filiale nonvuole comprare alcuni prodotti o servizi della sede, può compera-re all’esterno oppure rinunciarvi visto che è la diretta responsabi-le della redditività”. Questo sistema di gestione di Handelsbankencrea oggi un livello molto basso di perdite sui crediti, accompa-gnato a un basso rischio che si riflette in un eccellente rating. Conogni probabilità ciò deriva dalla decisione di lasciare la responsa-bilità della concessione del credito alle filiali che sono l’interfacciadei clienti: questo modello genera risultati superiori alla media apartire dagli anni Settanta, incluso il periodo della crisi bancariadegli anni Novanta.

Jan Wallander chiarisce che per la sua azienda è molto più im-portante capire e gestire il presente che tentare di prevedere il fu-turo. Si è totalmente liberata di ogni sistema centrale, integrato eformale di pianificazione. Non c’è un piano strategico formale digruppo: ne esistono a livello locale.

“Le filiali rilevano per iscritto tutto ciò che fanno e ciò che pen-sano di fare e distribuiscono i compiti tra i dipendenti. Ma ciò nonsignifica né che esiste un processo di pianificazione né che ci sidebba torturare per inventare cifre relative a obiettivi fissi”, affer-ma Lennart Francke.

Tutti i funzionari hanno la libertà di elaborare ipotesi di anda-mento futuro, ma non esiste un forecasting aziendale integrato.Aggiunge sempre Francke: “Ci interessa maggiormente assicura-

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re flessibilità e capacità decisionale in ogni situazione piuttostoche sprecare tempo in previsioni di lungo termine”.

Internamente la banca usa pochi indicatori chiave: quelli rite-nuti di grande importanza per il gruppo sono venticinque in tut-to; per i centri di investimento e di profitto (cioè le banche regio-nali e le filiali) sono sì previsti il ROE e il rapporto costi/ricavi, maanche tassi di acquisizione e di perdita di clienti, volumi di tran-sizioni, indici di produttività, ammontare di sconti concessi, red-ditività per cliente, soddisfazione del cliente, utile per addetto.

I prestatori di servizio (le funzioni centrali) utilizzano indica-tori di prestazione, di costo/ricavo e di costo pro capite; inoltre sieseguono sistematici benchmarking con l’esterno. Nessun indica-tore subisce pressioni gerarchiche al momento della sua defini-zione. L’obiettivo che si ricerca con la loro determinazione è la tra-sparenza dell’informazione per tutti perché serva da sfida per leéquipe che ci lavorano.

La competizione sportiva tra gruppi di pari livello è stimolataperché favorisce il coordinamento e sviluppa la leadership. Sonoperò stabilite regole per evitare la competizione tra équipe: ognicliente è associato a un’unica filiale per evitare dannose competi-zioni interne.

Inoltre l’esistenza di un meccanismo di partecipazione agli uti-li di lungo periodo ricorda a tutti che i concorrenti sono le altrebanche e non i colleghi: tutti i dipendenti partecipano in egual mi-sura a questa distribuzione di risultati senza riguardo alla posi-zione organizzativa occupata.

La partecipazione agli utili non è pagata in denaro, ma sottoforma di partecipazione a una fondazione che agisce da fondo diinvestimento e sviluppa piani pensionistici; questa fondazione,creata nel 1972, che si chiama Oktogonen, detiene il 10% delleazioni ed è quindi uno dei soci più importanti di Handelsbanken.E questo è l’unico tipo di retribuzione variabile esistente.

Siamo inoltre di fronte a un alto grado di soddisfazione deifunzionari che lavorano in banca e a un basso indice di rotazio-ne degli organici. In media i dipendenti restano tali per decen-ni; questo comportamento è stimolato anche da specifiche poli-tiche di sviluppo interno della leadership e di reclutamento solo

30 � Parte I. Pensare in modo relativo

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interno (dai capi filiale) per le posizioni top nelle banche regio-nali e in sede.

Un’azienda fortemente decentrata richiede un sistema moltoefficace di supervisione e di controllo finanziario, oltre che dellapolitica di concessione del credito: un sistema valido per tutto ilgruppo. Siamo di fronte a un sistema unico di gestione di tutte letransazioni e della contabilità molto solido, accanto al quale esistela prassi di frequenti riunioni tra dirigenti che servono più per ve-rificare la sintonia nei comportamenti che per decidere.

La sede è solo un aiuto che non è necessario richiedere. Le fi-liali hanno perciò il diritto di non ricorrere all’aiuto né delle ban-che regionali né delle soluzioni adottate in sede. Nel lungo perio-do dovranno dimostrare di essere di successo rispetto al mercato.

Lo staff di Handelsbanken non lavora incessantemente al mi-glioramento delle proprie prestazioni perché spinto da obiettivi eguadagni personali. Il sistema spinge a migliorarsi appellandosial senso di valorizzazione individuale e al riconoscimento dei col-leghi nel raggiungimento di un buon risultato globale.

L’esempio illustrato mostra che è possibile gestire in modo pe-santemente decentrato per un periodo lungo (più di 35 anni), at-traverso varie generazioni di funzionari e dirigenti, senza che il“grande capo” eserciti un’influenza determinante sui comporta-menti dei collaboratori nei confronti dei concorrenti.

Nei momenti di crisi, caratterizzati da mercati variabili e clien-ti sempre più esigenti, il modello Handelsbanken si dimostra sen-za dubbio più valido del modello taylorista, quest’ultimo moltopiù adatto ai tempi di vacche grasse.

1. Un obiettivo è più che un obiettivo � 31