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1 EVENTI DI PIOGGIA STRAORDINARI, BARRIERE OROGRAFICHE, TORRENTI MONTANI E ALVEI TOMBATI Fabio Rossi 1* , Paolo Villani 1 e Domenico Guida 1 1 Via P. D. Melillo, Dipartimento di Ingegneria Civile, Università degli Studi di Salerno, 84084 Fisciano (SA); *089 96 4075; * [email protected] PREMESSA A partire dall’analisi di un caso di studio relativo ad un evento alluvionale recentemente occorso in Italia Meridionale, vengono messi in evidenza alcuni nodi critici principali dal punto di vista della ricerca attuale nel campo della previsione degli eventi estremi e, di conseguenza, vengono svolte alcune considerazioni su cosa non funziona in Italia nel campo della difesa del suolo. 1. IL CASO DI STUDIO: ATRANI (SA), 9 SETTEMBRE 2010 Il caso studio riguarda l’evento alluvionale che colpì il piccolo Comune di Atrani (SA), in Costiera Amalfitana, il 9 settembre 2010. In quella circostanza, parte della portata del torrente Dragone defluì lungo la strada principale del centro abitato provocando una vittima ed ingenti danni. L’evento, dettagliatamente ricostruito in Bovolin (2012), appare emblematico giacché consente di focalizzare l’attenzione prima di tutto sul problema degli alvei tombati e poi su alcuni aspetti fondamentali per una più efficiente previsione e per la prevenzione di eventi idrologici estremi: i) la necessità di approfondire lo studio di modelli idrologici con specifico riferimento ai bacini di piccole dimensioni; ii) l’effetto di amplificazione delle precipitazioni dovuto alla presenza delle barriere orografiche; iii) la necessità di radar meteorologici per la previsione delle flash floods; iv) la possibilità di attuare semplici misure di protezione civile per la mitigazione del rischio. 1.1 Pluviometria Dall’analisi dei valori delle precipitazioni riportati in tabella 1, estratti dal Rapporto dell’evento redatto dal Centro Funzionale della Regione Campania, è possibile trarre interessanti considerazioni sulla distribuzione spazio-temporale delle piogge. La maggior parte delle precipitazioni si verificarono nell’arco temporale di 1 h quindi in un tempo paragonabile con il tempo di ritardo del bacino del Torrente Dragone. La massima precipitazione di durata 1 h fu registrata alla stazione di Pimonte (92.2 mm), con valori elevati anche in quelle di Moiano, Agerola, Ravello e Gragnano. La figura 1, inoltre, evidenzia chiaramente l’influenza dei Monti Lattari sulla distribuzione spaziale delle precipitazioni. I massimi delle precipitazioni ad 1 h registrati nelle stazioni più vicine al mare, infatti, risultano nettamente inferiori a quelli registrati nelle stazioni in quota. Nel corso dell’evento il coefficiente di amplificazione raggiunse valori molto elevati, circa 2.8 se si

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EVENTI DI PIOGGIA STRAORDINARI, BARRIERE OROGRAFICHE,

TORRENTI MONTANI E ALVEI TOMBATI

Fabio Rossi1*

, Paolo Villani1 e Domenico Guida

1

1Via P. D. Melillo, Dipartimento di Ingegneria Civile, Università degli Studi di Salerno, 84084

Fisciano (SA); *089 96 4075; * [email protected]

PREMESSA

A partire dall’analisi di un caso di studio relativo ad un evento alluvionale recentemente occorso in

Italia Meridionale, vengono messi in evidenza alcuni nodi critici principali dal punto di vista della

ricerca attuale nel campo della previsione degli eventi estremi e, di conseguenza, vengono svolte

alcune considerazioni su cosa non funziona in Italia nel campo della difesa del suolo.

1. IL CASO DI STUDIO: ATRANI (SA), 9 SETTEMBRE 2010

Il caso studio riguarda l’evento alluvionale che colpì il piccolo Comune di Atrani (SA), in

Costiera Amalfitana, il 9 settembre 2010. In quella circostanza, parte della portata del torrente

Dragone defluì lungo la strada principale del centro abitato provocando una vittima ed ingenti

danni. L’evento, dettagliatamente ricostruito in Bovolin (2012), appare emblematico giacché

consente di focalizzare l’attenzione prima di tutto sul problema degli alvei tombati e poi su alcuni

aspetti fondamentali per una più efficiente previsione e per la prevenzione di eventi idrologici

estremi: i) la necessità di approfondire lo studio di modelli idrologici con specifico riferimento ai

bacini di piccole dimensioni; ii) l’effetto di amplificazione delle precipitazioni dovuto alla presenza

delle barriere orografiche; iii) la necessità di radar meteorologici per la previsione delle flash floods;

iv) la possibilità di attuare semplici misure di protezione civile per la mitigazione del rischio.

1.1 Pluviometria

Dall’analisi dei valori delle precipitazioni riportati in tabella 1, estratti dal Rapporto dell’evento

redatto dal Centro Funzionale della Regione Campania, è possibile trarre interessanti considerazioni

sulla distribuzione spazio-temporale delle piogge.

La maggior parte delle precipitazioni si verificarono nell’arco temporale di 1 h quindi in un

tempo paragonabile con il tempo di ritardo del bacino del Torrente Dragone. La massima

precipitazione di durata 1 h fu registrata alla stazione di Pimonte (92.2 mm), con valori elevati

anche in quelle di Moiano, Agerola, Ravello e Gragnano.

La figura 1, inoltre, evidenzia chiaramente l’influenza dei Monti Lattari sulla distribuzione

spaziale delle precipitazioni. I massimi delle precipitazioni ad 1 h registrati nelle stazioni più vicine

al mare, infatti, risultano nettamente inferiori a quelli registrati nelle stazioni in quota. Nel corso

dell’evento il coefficiente di amplificazione raggiunse valori molto elevati, circa 2.8 se si

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considerano le stazioni di Amalfi e Ravello, e addirittura 3.2 se si confrontano i dati delle stazioni di

Amalfi e Pimonte.

Figura 1: Posizione delle stazioni pluviometriche con

indicazione dei massimi di pioggia di durata 1 h (da Bovolin,

2012)

Tabella 1: Massime precipitazioni (mm) con

assegnata durata registrate il 9 settembre 2010

(Fonte: Rapporto dell’evento redatto dal Centro

Funzionale della Regione Campania)

1.2 Descrizione del sistema

Il centro abitato di Atrani è attraversato dal tratto terminale del torrente Dragone, precisamente

dagli ultimi 280 m circa prima dello sbocco a mare. In questo tratto il torrente scorre in una sezione

tombata al di sotto di via dei Dogi. Come si può evincere dalla figura 2, dalla foce verso monte, si

riscontra la presenza tre porticati: il primo mette in comunicazione Piazza Umberto I con la

spiaggia, il secondo collega la piazza al parcheggio a ridosso della foce ed infine il terzo, sul quale è

stata edificata una chiesa, permette l’accesso alla vicina Piazza Umberto I.

Figura 2: Vista aerea dell’abitato di Atrani con indicazione dei punti di interesse (da Bovolin, 2012)

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Il bacino del torrente Dragone ricade nel territorio di competenza dell’Autorità di Bacino

Regionale Destra Sele. Dal Piano Stralcio predisposto dall’Ente, si rileva che il bacino sotteso alla

sezione di imbocco del tratto tombato ha una superficie poco più grande di 9 km2 con un’altezza

media di circa 700 m s.l.m.m. ed un tempo di ritardo di circa 1 ora. Per la stessa sezione di chiusura,

il Piano fornisce le portate di piena stimate con la procedura VAPI corrispondenti a diversi periodi

di ritorno: 30, 100, 200 e 300 anni, indicandole rispettivamente in 46, 61, 70 e 74 m3/s. Lo stesso

Piano, invece, utilizzando la formula di Gauckler-Strickler con K = 30 m1/3

/s ha stimato la capacità

di trasporto del tratto tombato in poco più di 90 m3/s.

Nel corso dell’evento del 9 settembre 2010, parte della portata del torrente Dragone defluì lungo

via dei Dogi, mobilizzando e trasportando a valle le numerose autovetture parcheggiate lungo la

strada. Le auto trasportate si accumularono in corrispondenza del secondo dei succitati porticati fino

ad ostruirlo, provocando così l’allagamento di piazza Umberto I e il deflusso dalla piazza verso la

spiaggia attraverso il primo porticato.

Figura 3: Principali effetti dell’evento alluvionale: a) Rottura copertura alveo tombato; b) Piazza Umberto I;

c) Ampliamento della spiaggia (da Bovolin, 2012)

Gli effetti furono: i) allagamento dei locali con ingresso da via dei Dogi e da Piazza Umberto I;

ii) rottura di parte della soletta di copertura dell’alveo tombato; iii) deposito di sedimenti nella parte

alta di via dei Dogi e in Piazza Umberto I; iv) ampliamento della spiaggia conseguente al deposito

dei sedimenti trasportati dalla corrente nel tratto tombato; v) espulsione degli elementi di copertura

dei tombini in prossimità di piazza Umberto I.

Il volume solido trasportato dalla corrente nel corso dell’evento è stato stimato in non più di

10000 m3

(Bovolin, 2012), di cui non meno dell’85% transitato attraverso il tratto tombato. Si può

quindi ritenere che il trasporto solido sia stato del tutto modesto.

1.3 Scenario idraulico

Lo studio idraulico sopra richiamato ha svolto un’accurata analisi idraulica dell’evento (Bovolin,

2012; Bovolin & Picciotti, 2012). In particolare affiancando le riprese video ad uno studio idraulico

basato su: i) modello idraulico monodimensionale; ii) tracce lasciate dalla corrente sugli edifici; iii)

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altezza idrica necessaria per “sollevare” un’automobile; sono state ricostruite le diverse fasi

dell’evento.

Lo studio riporta le seguenti considerazioni (Bovolin, 2012): i) la saturazione nel tratto di

imbocco e di valle era da attendersi per valori di portata paragonabili a quelle corrispondenti ad un

periodo di ritorno T=30 anni; ii) nella fase più intensa dell’evento alluvionale, il tratto vallivo del

tombamento ha presentato un funzionamento in pressione; iii) la rottura della copertura dell’alveo si

è manifestata in prossimità del punto in cui la porzione intermedia dell’alveo passa da un

funzionamento a superficie libera ad uno in pressione, cioè nella zona di cambio della pendenza; iv)

l’imbocco dell’alveo tombato, nella fase critica dell’evento, ha presentato un funzionamento in

pressione; v) nel tratto tombato è defluita una portata massima compresa tra 45 e 55 m3/s.

Le diverse fasi dell’evento possono essere così sintetizzate: i) inizialmente la portata in arrivo

defluì normalmente attraverso il tratto tombato; ii) a seguito dell’incremento della portata il tratto di

valle del tombamento cominciò a funzionare in pressione causando il cedimento della copertura

dell’alveo; iii) l’ulteriore incremento della portata indusse un funzionamento in pressione anche

nella porzione di imbocco del tombamento, provocando così il deflusso lungo via dei Dogi; iv) il

deflusso lungo la strada aumentò progressivamente fino a trasportare le autovetture parcheggiate

lungo via dei Dogi; v) le prime automobili trasportate formarono un primo nucleo che ostacolò il

deflusso attraverso il porticato del parcheggio; vi) l’arrivo di un secondo gruppo di autovetture

completò l’ostruzione del porticato, costringendo così la corrente a deviare verso la piazza; vii)

dalla piazza la corrente defluì attraverso il porticato che collega la piazza alla spiaggia; viii) per

consentire alla corrente di raggiungere il carico necessario a consentirne il deflusso attraverso il

porticato della spiaggia il livello idrico nella piazza aumentò fino a raggiungere un livello tale da

consentire il deflusso della portata in arrivo; ix) nel corso dell’evento i deflussi attraverso il

tombamento ed attraverso i porticati della spiaggia e del parcheggio si mantennero costanti per

parecchi minuti per poi successivamente decrescere; x) le portate massime defluite sono stimabili in

47-53 m3/s nel tratto tombato e 20-24 m

3/s lungo via dei Dogi, per cui la massima portata defluita

nel corso dell’evento è di circa 67-77 m3/s, maggiore della portata centennale indicata dal Piano

Stralcio per l’Assetto Idrogeologico (61 m3/s) .

Per l’analisi di alcuni scenari idraulici con effetti locali, nonché per verificare alcuni risultati

ottenuti con la modellazione monodimensionale, sono state condotte alcune simulazioni idrauliche

tridimensionali (Bovolin & Picciotti, 2012). Esse hanno permesso di: i) verificare che la presenza

delle travi emergenti comporta un’ulteriore riduzione della capacità di trasporto dei tratti tombati;

ii) confermare sia la capacità della modellazione tridimensionale di riprodurre le condizioni

idrodinamiche verificatesi nella piazza, sia la possibilità di affrontare lo studio anche con una

modellazione di tipo monodimensionale; iii) confermare la valutazione sull’entità della portata

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defluente nel tratto tombato; iv) verificare alcune ipotesi riguardanti le circostanze che portarono

all’irruzione della corrente all’interno del locale in cui lavorava la vittima dell’alluvione.

2. EVENTI DI PIOGGIA STRAORDINARI

Il gruppo di idrologia di Salerno ha in corso attività di ricerca volte a migliorare la distribuzione

TCEV (Rossi et al., 1984), utilizzata nella procedura VAPI (Rossi e Villani, 1994) per la

VAlutazione delle Piene nei corsi d’acqua Italiani. In particolare si è chiarito che le serie storiche

possono essere considerate come una miscela di componenti omogenee dal punto di vista dei

fenomeni meteorologici generanti e associare a ciascuna di esse una distribuzione di probabilità. Le

piogge estreme, infatti, non possono considerarsi variabili indipendenti ed identicamente distribuite

(i. i. d.). Oltre agli eventi di tipo frontale, che costituiscono la componente dominante nel

Mediterraneo, occorre distinguere almeno altre due componenti che generano eventi straordinari: le

celle temporalesche isolate e gli uragani mediterranei. Le prime interessano aree di piccolissima

estensione e quindi sono di interesse al massimo per i bacini urbani e per piccoli bacini montani. Più

rilevante è l'altra tipologia di struttura meteorologica. Gli uragani mediterranei (Pytharoulis et al.

2000; Reale e Atlas, 2001; Emanuel, 2005; Miglietta et al, 2008;), infatti, hanno origine a mare e

giungendo sulle coste danno luogo a delle vere e proprie “bombe d’acqua”. Da diverso tempo si sta

cercando di integrare i modelli idrologici con informazioni meteo (ad esempio Gabriele e

Chiaravalloti, 2011).

Con riferimento agli eventi di pioggia straordinari, il caso di Atrani deve far riflettere. Il verificarsi

di 80-90 mm di precipitazione in un’ora o di 100-140 mm in 12 h, come è avvenuto nell’evento del

9 settembre 2010, rappresentano indubbiamente un evento estremo, con effetti da considerarsi

catastrofici per il solo fatto di avere provocato una vittima. Si fa tuttavia fatica a considerare

l’evento straordinario, basti pensare che nella stessa area, nel 1954, si verificò un’alluvione ben più

severa dal punto di vista pluviometrico, l’alluvione di Salerno, che fece registrare nella omonima

stazione un massimo giornaliero di ben 504 mm.

Con ciò si vuole focalizzare l’attenzione sul concetto che tra l’opzione “impossibilità di mitigare a

priori una catastrofe naturale, intesa come evento imprevedibile e di intensità non arrestabile” e

l’opzione “protezione assoluta”, entrambe conducenti all’immobilismo in fase di pianificazione e di

esecuzione operativa degli interventi di mitigazione, esiste una terza opzione, di tipo graduale, che

mira ad identificare e risolvere i nodi critici che si possono risolvere. Con riferimento al caso di

Atrani, ad esempio, sono state avanzate alcune proposte per la mitigazione del rischio idraulico in

situazioni analoghe (Bovolin, 2012). Si tratta di interventi: i) di protezione civile (installazione di

radar meteorologici per il now casting, vietare la presenza di autovetture o di altri elementi

movimentabili dal flusso nelle zone critiche; installazione di sistemi di allarme all’interno degli

alvei tombati); ii) di tipo non strutturale (verificare l’effettiva capacità di trasporto dei tratti

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tombati sulla base di un loro rilievo di dettaglio ed individuarne le sezione critiche da adeguare, in

tal senso, ove possibile, si dovrebbe evitare la presenza di travi emergenti; assumere come portata di

verifica della criticità dei tratti tombati la portata minima che comporta il passaggio in pressione di

una prima porzione del tratto; migliorare i modelli idrologici per la valutazione delle portate di

piena nei bacini di piccole dimensioni; valutare il livello di esposizione del tratto tombato

confrontando la sua capacità di trasporto con portate idrologiche amplificate per tenere conto del

contributo volumetrico; manutenere i tratti tombati); iii) di tipo strutturale (sostituzione di parte

delle coperture chiuse con grigliati, in modo da rendere visibile il flusso nel tratto tombato ed

accrescere la consapevolezza della cittadinanza dell’eventuale pericolo presente; incremento della

capacità di trasporto dei tratti tombati aumentandone il franco di sicurezza; realizzazione di gallerie

di by-pass che colleghino i tratti degli alvei posti immediatamente a monte degli imbocchi dei tratti

tombati con lo sbocco posto in corrispondenza del mare).

3. IL RUOLO DELLA IDRO-GEOMORFOLOGIA: BARRIERE OROGRAFICHE ED

IDRO-GEOMORFOTIPI

3.1 Barriere orografiche

Nello studio delle dinamiche spazio-temporali dei sistemi meteorologici, climatici, idrologici e

geomorfici un ruolo centrale è assunto dalla presenza delle barriere orografiche sulla superficie

terrestre (Roe, 2005). Diversi eventi idrogeologici avvenuti sul territorio della regione Campania

hanno dimostrato che la presenza, la forma e la dimensione delle barriere orografiche rispetto ad

eventi pluviometrici di diversa intensità e provenienza inducono effetti di amplificazione locali e la

creazione di celle temporalesche temporanee. Per tale motivo, è stata proposta una metodologia

che, sviluppata in ambiente GIS, consente di identificare, delimitare e caratterizzare in termini

multi-scalari le barriere orografiche dell’Appennino Campano-Lucano (Cuomo e Guida, 2010).

Dato che gli effetti derivanti dalla interazione tra le barriere orografiche ed i flussi d’aria sono

diversificati a seconda che il fenomeno venga studiato alla mega-, meso- o micro-scala spazio-

temporale è stato adottato un procedimento di tipo gerarchico-multiscalare ed interdisciplinare, in

modo da tener conto delle diverse dinamiche interagenti di tipo geomorfologico, orografico e

pluviometrico, che si verificano alle diverse scale di rappresentazione del territorio. La tabella 2

riporta una comparazione delle entità gerarchiche idro-morfo-climatiche.

La metodologia adottata per la definizione digitale delle barriere orografiche prevede diverse fasi di

elaborazioni che, a partire dal comune Digital Elevation Model (DEM), si articolano in due

procedure distinte: da una parte, si procede alla gerarchizzazione del rilievo sulla base di

ordinamento (mountain ordering in Yamada, 1999; Cuomo et al., 2011), prominenza ed in termini

di parent relationship (Chaudhry & Mackaness, 2008), dall’altra alla definizione delle barriere

orografiche su base geomorfometrica. Il metodo oltre ad essere stato applicato a scala regionale, è

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stato applicato anche a scala nazionale e le ricerche in corso si stanno occupando dell’estensione

della procedura a scala europea. I risultati ottenuti e quelli attesi possono costituire un utile supporto

alla oggettivazione su basi geomorfometriche delle barriere orografiche, riconosciute sulla base di

criteri morfologici, il cui ruolo, per la regione Campania, è stato già modellato sia a scala regionale

da Rossi et al. (2005) che a scala sub-regionale da Longobardi et al. (2006) e fornire il supporto

geomorfometrico alla elaborazione di modellazioni fisicamente basate più dettagliate. Inoltre, quale

ricaduta in termini operativi, i risultati cui al momento si è pervenuti, possono offrire utili

indicazioni e basi cartografiche nell’ambito di un auspicabile e mirato potenziamento della rete di

monitoraggio pluviometrica, ai fini della previsione, prevenzione e mitigazione del rischio

idrogeologico, derivato da pericolosità geomorfologiche sia di versante che di fondovalle.

Tabella 2: Comparazione delle entità gerarchiche idro-morfo-climatiche (da Guida et al. 2012)

3.2 Idro-geomorfotipi

Le ricerche idro-geomorfologiche in corso hanno focalizzato l’attenzione anche sul problema della

definizione dell’unità territoriale elementare ai fini della trasformazione afflussi-deflussi nella

valutazione delle massime portate di piena. In accordo con quanto riportato nella Tab. 2, è stato

impostata, validata e calibrata una metodologia (Cuomo, A., 2012), che consente la automatica

individuazione, la oggettiva delimitazione e la funzionale caratterizzazione gerarchico-multiscalare

degli idro-geomorfotipi, già introdotti a livello concettuale in Rossi (1994). L’introduzione degli

idro-geomorfotipi, in combinazione con l’amplificazione orografica, ha già consentito di ottenere

ottimi risultati tra la valutazione dell’idrogramma di piena simulato con diverse formulazioni

analitiche e quelle ottenute sperimentalmente su bacini strumentati a diverse scale spazio-temporali,

anche in presenza di condizionamenti idrologicamente complessi, come i deflussi sub-superficiali e

profondi rapidi (carsismo).

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4. TORRENTI MONTANI

I debris flow sono fenomeni comuni nelle regioni montane, in ogni parte del mondo. Nel corso della

propagazione, il materiale disponibile può essere aggiunto alla massa trasportata determinandone un

aumento progressivo procedendo da monte verso valle. Quando la fase di propagazione avviene su

fondi saturi, si osserva che il caricamento di nuovo materiale è accompagnato da un incremento

della quantità di moto e della velocità, ma solo se grandi pressioni neutre positive nel materiale

d’alveo facilitano l’erosione e la riduzione dell’attrito, come dimostrato da studi condotti da Iverson

e dai suoi collaboratori (Iverson et al., 2010).

Si osserva, dunque, un’amplificazione del processo come è avvenuto nel caso delle piroclastiti

campane nell’evento di Sarno del 1998, in cui il materiale inizialmente mobilitato aumentava

mediamente di tre volte (Rega et al, 2008).

L’amplificazione è essenzialmente dovuta alla fluidizzazione del letto con riferimento a colate

costituite da materiale con particolari caratteristiche intrinseche. In particolare risultano fortemente

suscettibili alla fluidizzazione i terreni con un alto indice dei vuoti e con una distribuzione

granulometrica in cui sia il contenuto della ghiaia che il contenuto dell’argilla non superano il 10%.

In simili condizioni il fenomeno della fluidizzazione, consistente nell’interazione dinamica fra

l’insieme delle particelle solide e il fluido di porosità, e al quale è da attribuire la continua

modificazione dell’assetto particellare e dei vuoti interparticellari (Musso & Olivares, 2004), può

far seguito alla liquefazione statica e aumentare la capacità distruttiva e propagativa della colata.

Infatti, subito dopo il passaggio del fronte di una colata detritica, il fondo subisce degli sforzi

taglianti che inducono una contrazione del suo scheletro solido. In tale situazione, il contenuto

d’acqua e la porosità del mezzo sono parametri fondamentali perché la fluidizzazione si realizzi. Se

il volume dei vuoti tende a diminuire ad una velocità maggiore di quella della libera fuoriuscita

dell'acqua, la pressione del fluido aumenta fino a valori per cui eguaglia il peso della fase solida

sommersa, realizzando così la completa fluidizzazione del mezzo. I fondi saturi dunque, possono

essere inglobati nel sovrastante debris flow secondo un meccanismo di aggiunta di massa piuttosto

che di erosione progressiva, che però non risulta ancora completamente chiaro. Già da tempo la

ricerca ha cercato di individuare meccanismi di erosione e leggi che quantificassero un coefficiente

di entrainment, ma i risultati sono spesso molto diversi tra di loro (Seminara 1998).

Ma, se il meccanismo è ancora tema di ricerca, è comunque chiaro che lo studio dei debris flow

non può avvenire senza considerare l’apporto di materiale d’alveo, in quanto l’aumento di velocità,

massa e quantità di moto che esso produce può avere conseguenze catastrofiche.

Un altro parametro fondamentale alla fluidizzazione è la pendenza del fondo (Jaeggi & Pellandini,

1993; Takahashi, 2007); in particolare, sviluppando delle simulazioni sul modello di Takahashi,

considerando un’altezza d’acqua pari a 1m, si nota che la pendenza minima necessaria alla

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formazione di debris flow passa dal valori del 15%, nel caso che il materiale d’alveo abbia un

angolo di attrito pari a 30° e concentrazione 0.5, al valore di 25% per un angolo di attrito pari a 40°

e una concentrazione di 0.7.

I sistemi di briglie chiuse di consolidamento consentono la riduzione delle pendenze dei torrenti

montani e quindi possono attenuare la fluidizzazione e l’amplificazione, conseguendo così la

riduzione del rischio. Essi, inoltre, sono interventi a basso costo attuabili in maniera estensiva a

scala territoriale.

Con riferimento ai comuni a rischio di correnti detritiche, si potrebbe applicare la riduzione alle

pendenze di progetto di tutti i torrenti montani aventi pendenze maggiori del 15 – 20 %, mediante

sistemi di briglie chiuse, conseguendo così la mitigazione del rischio.

5. CONCLUSIONI

Che cosa non funziona nella difesa del suolo? La risposta al quesito non è semplice, ci sono cose

che vanno meglio ed altre che vanno peggio.

Fra le cose che vanno meglio c’è senz’altro la delimitazione delle aree a rischio in gran parte del

territorio nazionale ad opera delle Autorità di Bacino.

Nel caso, però, di alvei tombati: il rischio è troppo elevato, come dimostrano una serie di eventi

catastrofici con perdite di vite umane (vedi il caso emblematico di Atrani). Si potrebbe prevedere un

aumento generalizzato del franco di sicurezza per tenere conto del rischio di ostruzione. Esistono

molte situazioni di alvei tombati in cui, con interventi di costo contenuto, si potrebbe ottenere un

aumento significativo del franco.

La Protezione Civile ha gestito il rischio idrogeologico puntando a migliorare il sistema di

allertamento e di soccorso alle popolazioni raggiungendo livelli di eccellenza.

Gli scenari previsti sono però troppo generici, sia rispetto all’intensità del fenomeno, sia rispetto

agli impatti sulle persone coinvolte. Quando le persone hanno scarsa informazione su quello che

può succedere non riescono ad individuare le azioni di tutela ed autotutela necessarie. Gli scenari di

azione devono essere comunicati alle popolazioni interessate, utilizzando sistemi articolati di

diffusione delle informazioni (televisione, internet, scuole, luoghi di lavoro, ecc. ).

Non si finirà mai di raccomandare che i sistemi di preannuncio, per bacini di superficie maggiore di

1000-2000 km2, vanno sicuramente implementati in quanto sufficientemente affidabili se uniti ad

una tecnica di stima di tipo adattativo.

Dovrebbe essere potenziato il monitoraggio del territorio, aumentando il numero di stazioni idro-

pluviometriche, in particolare nelle aree montane che costituiscono le barriere orografiche, ma

soprattutto dovrebbe essere completata la rete di radar meteorologici. I radar meteorologici, infatti,

sono di grande utilità, sia per il monitoraggio delle precipitazioni, in particolare laddove la rete

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pluviometrica risulta eccessivamente rada rispetto all’estensione del fenomeno da osservare, sia per

la previsione degli eventi (si veda ad esempio Napolitano et al., 2000).

Figura 4: Rete Radar Nazionale (dati desunti al 15.04.2012 dal sito istituzionale della Protezione Civile:

http://www.protezionecivile.gov.it/jcms/it/sistemi_monitoraggio.wp)

Per quanto riguarda le competenze tecniche in materia di difesa del suolo, va evidenziato che esse

risultano decisamente insufficienti. Il numero di persone realmente esperte, capaci di progettare,

realizzare o valutare interventi strutturali e non strutturali di mitigazione del rischio idrogeologico è

del tutto inadeguato. Lo smantellamento del Servizio Idrografico ha sicuramente contribuito

all’impoverimento tecnico del paese.

Occorre pensare ad una formazione specifica sul tema della difesa del suolo, ad esempio attivando

master universitari che diano la possibilità di maturare una significativa esperienze sul campo.

Infine, per quanto riguarda la comunità scientifica, la domanda è: c’è una soluzione alternativa a

quello dei Gruppi Nazionali di Ricerca Scientifica voluti dall’on. Zamberletti circa 30 anni fa?

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BIBLIOGRAFIA

AUTORITÀ DI BACINO REGIONALE DESTRA SELE. Piano Stralcio per l’Assetto Idrogeologico.

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