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EVANGELO E ISTITUZIONE

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evangelo e istituzione

Marcelo Barros

EVANGELO E ISTITUZIONE

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PReMessa

Chi mi conosce sa bene che non mi piace discutere e, natu-ralmente, soffro molto quando qualcuno si arrabbia con me. Fin da giovane, ho imparato a distinguere il dibattito delle idee dalle relazioni personali. nel campo della fede, cerco sempre di favorire la comunione con i fratelli e le sorelle. Per causa della fede, mi impegno per la trasformazione del mondo e per la venuta del regno di giustizia e di pace in tutta la terra. Ma non posso dedicarmi alle attività orientate al cambiamen-to sociale senza, allo stesso tempo, prendermi cura della mia conversione personale e della purificazione della nostra chiesa, per far sì che essa si presenti al signore e all’umanità «pura e senza macchia», come voleva l’apostolo Paolo. i vescovi lati-no-americani riuniti a Medellín vollero «una chiesa povera, missionaria e pasquale, impegnata nella liberazione di tutta l’umanità, di ogni uomo e di tutto l’uomo» (Medellín 5,15).

Dalla conferenza di Medellín (1968) ai nostri giorni molte cose sono cambiate nel mondo e nelle chiese cristiane. Di-nanzi alle difficoltà di inserirsi nella realtà viva e di dire una parola profetica per il mondo di oggi, molte volte i ministri e i pastori si rifugiano nelle posizioni di potere e tendono a rafforzare l’istituzione.

trovandomi a essere testimone di questa realtà diffusa, da anni medito e rifletto sulla questione del potere nella chiesa.

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Di questo ho discusso, frequentemente, con uno dei miei più grandi maestri di vita, padre José Comblin, il quale nei suoi ultimi anni di vita, più volte, ha parlato pubblicamente e ha scritto su tale argomento. in queste pagine raccolgo alcuni dei suoi insegnamenti.

Dedico pertanto la presente meditazione biblica e spiritua-le su vangelo e istituzione al mio amato insegnante e maestro di vita, il caro defunto padre José Comblin.

la dedico come segno di gratitudine per tutto ciò che, nei tanti anni della sua vita dedicata all’america latina, da lui abbiamo potuto imparare.

Riguardo a ogni cosa si possono sempre avere almeno due punti di vista differenti. Perciò non voglio assolutamente pre-sentare queste riflessioni come l’unico punto di vista possibi-le su questa materia. Chiedo scusa, in anticipo, a qualunque persona io possa ferire o mettere a disagio con queste pagine. Mi propongo solamente di suscitare il dialogo con i fratelli e le sorelle, impegnati nel cammino ecclesiale, su un argomento che ci riguarda tutti: la profezia evangelica e le sue conseguen-ze per le chiese. Mi rendo conto che la mia è una riflessione incompleta e perciò mi dispongo a mantenere il cuore e la mente aperti a qualsiasi critica dei contenuti, come pure ad accettare le osservazioni di chiunque su queste pagine. «Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo spirito dice alle Chiese» (ap 2,7).

n.B. i brani di autori stranieri qui riportati, se in nota non vi è riferimento a un’edizione italiana, sono stati tradotti da g. staccone.

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Parole di sant’Agostino (vescovo del IV secolo)

Chiunque legge quest’opera, dunque, prosegua con me se avrà la mia stessa certezza, ricerchi con me se condividerà i miei dubbi; ritorni a me se riconoscerà il suo errore, mi richiami se si avve-drà del mio. insieme ci metteremo così sui sentieri della carità, in cerca di Colui del quale è detto: Cercate sempre il suo volto [...]. Certamente la spiegazione avrebbe potuto essere più facile, ma nessun uomo parlò mai in modo che tutti lo intendessero su ogni cosa. Pertanto colui che troverà questa lacuna nel mio trat-tato, veda se, mentre non comprende me, è invece in grado di comprendere gli scritti di altri, competenti in questi argomenti e questioni. se sarà così, lasci il mio libro, magari lo butti, se gli pare, e dedichi piuttosto fatica e tempo a coloro che è in grado di capire. non pensi tuttavia che io avrei dovuto tacere perché non ho potuto esprimermi con tutta la facilità e chiarezza di quelli che egli capisce. infatti, non tutti gli scritti di tutti gli autori cadono nelle mani di tutti; e può accadere che alcuni che sono in grado di comprendere questo nostro lavoro non abbia-no l’occasione di trovarne di più facili, ma trovino soltanto que-sto. È dunque utile che vengano scritti anche intorno alle stesse questioni da autori diversi molti libri con stile differente ma con identica fede, affinché la stessa cosa giunga a quanti più lettori è possibile, agli uni in un modo, agli altri in un altro. Ma se chi deplorasse di non aver capito questo mio scritto non fosse mai riuscito a capire nessun’altra spiegazione del genere, per quanto diligente e penetrante, costui se la prenda con se stesso, faccia propositi e sforzi per progredire, e non se la prenda con me per farmi tacere con le sue lamentele e invettive. Chi infine leggen-do dicesse: «Comprendo bene quanto qui si dice, ma tutto ciò non risponde a verità», sostenga se crede la sua tesi e, se può,

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confuti la mia. se farà questo, spinto dalla carità e dalla verità, e si prenderà cura di farmene partecipe, se sarò ancora in vita, trar-rò da questo mio lavoro abbondantissimo frutto [...]. spero che la misericordia di Dio mi darà perseveranza in tutte quelle verità di cui ho certezza. se il mio sentire sarà diverso dal vero, egli me lo manifesterà mediante ispirazioni e ammonimenti interiori o con l’aperta testimonianza della sua parola, oppure attraverso i colloqui con i fratelli. Di questo lo prego e affido il mio impegno e il mio desiderio a Colui che so capace di custodire ciò che ha donato e di dare ciò che ha promesso. (traduzione del testo da sant’agostino, Augustinus Hipponensis,

testo online: La Trinità, i, 3,5)1

1 agostino, De Trinitate, i, 2, 4-2, 5; in Oeuvres de Saint Augustin, vol. 15, Desclée de Brouwer, Paris 1955, 97-101.

PaRte PRiMa

Vedere

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Capitolo 1

il teMa Di questo liBRo1

Poco prima di partire da questa vita, padre Comblin, che dal mio primo anno di teologia fino alla fine della sua vita è sempre stato mio maestro e amico, fece un discorso (in Cile) che fu molto divulgato dai mezzi di comunicazione. la sua conferenza aveva come tema la situazione della chiesa cattolica in america latina e nel mondo. le sue affermazioni, libere e profetiche, provocarono un grande dibattito e molte polemi-che nel mondo ecclesiastico. un vescovo cattolico del Brasile pubblicò un articolo intitolato: tramonto di un profeta. io re-agii con un articolo in cui dicevo che, contrariamente a quan-to affermava quel vescovo, i profeti biblici erano stati sempre critici e perfino pessimisti nei confronti della comunità d’isra-ele. e sostenevo che padre Comblin esercitava il suo profeti-smo proprio perché era una persona libera e molto critica. io simpatizzavo con il mio maestro e lasciavo intuire molto chia-ramente che concordavo con tutto quello che lui aveva detto in quella conferenza. Comblin mi scrisse ringraziandomi. in quel messaggio mi diceva che avrebbe voluto scrivere una ri-flessione più profonda sul rapporto tra vangelo e istituzione. tre giorni dopo, improvvisamente, ci ha lasciato. Con la sua

1 già in «Páginas» 130 (dicembre 1994), 10-17.

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morte inaspettata quel progetto è rimasto incompiuto. suc-cessivamente, quasi due anni più tardi, Monica Muggler, che per Comblin è stata figlia spirituale e segretaria, ha pubblicato una serie di scritti su questo e altri argomenti correlati. Ha da-to al libro il titolo che Comblin aveva lasciato: Lo Spirito Santo e la tradizione Gesù 2. Ho letto e riletto quel libro e da esso ho stralciato molti riferimenti per questo mio scritto.

negli anni novanta avevo scritto un testo su «chiesa e po-tere», che non ho mai pubblicato. quel libro piacque a padre Comblin, il quale mi inviò alcune osservazioni che ho conser-vato. ora, in memoria di lui, ho deciso di riprendere quella meditazione e di pubblicarla come una provocazione al dialo-go per chiunque voglia approfondire il tema del rapporto tra vangelo e istituzione.

su questo argomento sono stati scritti diversi libri e pubbli-cati molti studi. Basti ricordare una delle opere più famose di leonardo Boff: Chiesa, carisma e potere 3. Ma già nel XiX se-colo, antonio Rosmini aveva scritto Delle cinque piaghe della santa Chiesa, un libro in cui trattava dei problemi più seri che ferivano il corpo della chiesa4. Con quel libro Rosmini causò

2 J. Comblin, O Espírito Santo e a tradição de Jesus, nhanduti editora, são Paulo 2012.

3 Cf. l. Boff, Igreja: carisma y poder, vozes, Petrópolis 1982; l.C. araújo, Profecia Poder na Igreja, reflexões para o debate, ed. Paulinas, são Paulo 1986; J. Comblin, A profecia na Igreja, Paulus, são Paulo 2008. questi sono alcuni dei libri pubblicati in Brasile. Ci sono altri scritti, pubblicati all’estero sullo stesso argomento. Permettetemi di citare solo Y. Congar, Un peuple messianique, salut et libération, ed. Du Cerf, Paris 1975.

4 Cf. a. Rosmini, Delle cinque piaghe della santa Chiesa, a cura di C. Riva,

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molte polemiche e un grande disagio. in Brasile, sono stati pubblicati diversi lavori su questo argomento. solo per citar-ne uno, ricordo Il ritorno alla grande disciplina di João Batista libânio, nel quale l’autore riflette sul ritorno al passato istitu-zionale della chiesa durante il pontificato di giovanni Paolo ii. in una linea più meditativa e biblica, più recentemente, padre Comblin ha pubblicato per l’editrice Paulus un libro su La vocazione alla libertà e un altro su La profezia nella Chiesa. entrambi contengono riflessioni sul tema che mi appresto a trattare. Per ultimo, ricordo il libro pubblicato da Hans Küng: Salviamo la chiesa.

Devo inoltre registrare che nel mese di marzo 2013, il nuovo papa, Francesco, ha dato inizio al suo ministero pre-sentandosi come «vescovo di Roma». egli mantiene uno stile di vita personale semplice e comunicativo e fa dichiarazioni che promettono cambiamenti nella struttura della chiesa. Fin dall’inizio del suo pontificato, molti cattolici e anche molti non cattolici s’interrogano sul significato dei suoi annunci, e si domandano se è possibile un cambiamento profondo della chiesa, e fin dove potrà arrivare il movimento di rinnovamen-to che papa Francesco sembra volere.

siamo ancora agli inizi di questo processo e non possia-mo parlare per lui o usare le sue parole per qualcosa che egli potrebbe non approvare. tuttavia, è chiaro che i suoi gesti semplici e alcune sue parole profetiche sulla necessità della chiesa di aprirsi al mondo, di entrare nel mondo dei poveri

Morcelliana, Brescia 19857.

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e di dialogare, costituiscono uno stimolo forte per riprende-re e approfondire una teologia e una spiritualità che diano sostegno e supporto all’auspicato processo di rinnovamento evangelico. non si può ignorare, peraltro, che la simpatia che circonda il papa, come capo carismatico di un’immensa forza sociale, può servire a rafforzare l’istituzione ecclesiastica che, in quanto tale, non sembra rivolta a sostenere il cambiamento e le trasformazioni sociali e umane richieste dal piano divino di giustizia e di pace per tutti. se un papa buono rendesse accettabile e gradevole una struttura che, presentandosi nella sua vera realtà, sarebbe rifiutata, allora quella bontà e quella simpatia finirebbero per favorire qualcosa che buono non è.

in una delle sue interviste in Brasile, papa Francesco ha citato il motto medievale: «la chiesa deve sempre riformar-si». Dobbiamo aiutarlo in questo compito. Mi domando se possiamo soltanto entusiasmarci con le dichiarazioni cordiali e simpatiche del papa o se, invece, possiamo sostenere noi stessi un punto di vista più consapevole e critico in relazione al mondo e alle stesse strutture della chiesa, come ha fatto ge-sù nel suo tempo. questo desidero fare con le riflessioni che propongo in questo libro.

Ho dato a queste pagine il carattere della meditazione bi-blica e teologica che lega la fede e la spiritualità, la Bibbia e la vita concreta quotidiana, la storia e le sfide per l’azione della chiesa nel mondo e per il suo rinnovamento. Mi accingo a fare una riflessione nello stile della teologia latino-americana, e scrivo queste righe come monaco. secondo la tradizione più antica, i primi monaci lasciavano le loro comunità parrocchia-

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li e si ritiravano nel deserto per contestare il mondo, ma anche la chiesa, che a partire dal iv secolo, libera dalle persecuzioni, cominciò ad adeguarsi alle strutture dell’impero. gli antichi monaci volevano riprendere e attualizzare la mistica dei mar-tiri, testimoni radicali del regno di Dio nel mondo; ma vo-levano anche aiutare tutta la chiesa a riscoprire la pratica di quella mistica. Dio sa che questo è l’esempio che mi muove a scrivere. Per l’amore ai miei fratelli e sorelle della chiesa, che io considero mia madre, scrivo questa riflessione che è critica, ma si pone l’obiettivo di consolidare la fede nell’edificazione del corpo di Cristo, che è la vocazione specifica di tutta la chiesa.

Come lo stesso titolo lascia ben trasparire, ho scritto sul rapporto tra vangelo e istituzione. non voglio opporre l’u-no all’altra. se pensassi così, avrei posto come titolo: Vangelo o istituzione. sin da quando avevo diciotto anni appartengo all’ordine benedettino, uno degli istituti più tradizionali della chiesa. e non ho alcuna intenzione di lasciarlo, nonostante la mia posizione critica che è volta, però, a stimolare l’istituto ad aprirsi e rinnovarsi. in queste pagine, troverete sicuramente, tanto nei testi di padre Comblin come nella mia riflessione, un’opposizione tra la radicalità del vangelo di gesù e la ten-tazione abbastanza diffusa di assolutizzare l’istituzione o di considerarla completa e perfetta.

questo libro si propone l’obiettivo di provocare la riflessio-ne e il dialogo. Ho scritto una breve introduzione per spiegare i termini: vuoi di ciò che si intende per vangelo, vuoi del si-gnificato della parola «istituzione». il primo capitolo è un ten-tativo di guardare la realtà della chiesa, tanto nel suo presente,

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come nella sua storia. nessuna lettura è neutrale. in questa prima parte, che corrisponde al «vedere», faccio alcune osser-vazioni e anticipo alcune conclusioni che sembrano sovrap-porre i tre momenti del vedere, giudicare e agire. tuttavia, comunque si guardi, la seconda parte della mia riflessione è la più importante dal punto di vista teologico. si compone di tre capitoli di meditazione biblica, che trattano del modo in cui il potere è stato affrontato dai profeti biblici e nel nuovo te-stamento, e di quali conclusioni si possono trarre per formare la nostra immagine di Dio. infine, nella terza parte propongo alcuni elementi di riflessione per tutti coloro che vogliono vi-vere la spiritualità ecclesiale in tempi di inverno istituzionale. Come conclusione, cito due testi di Comblin che espongono il suo punto di vista sul governo della chiesa.

Mi rendo conto che questo libro presenta, di fatto, una riflessione incompleta. Mi rivolgo ai laici militanti e agli ope-ratori di pastorale di base per confermarli nella fede e nella loro opzione comunitaria, così come nella spiritualità militan-te ed ecumenica. so bene che il rapporto tra i cristiani mag-giormente legati al cammino della chiesa in rinnovamento o, semplicemente, di mentalità più aperta e i loro pastori non è sempre facile. alcuni vescovi si trovano in conflitto con i mili-tanti della pastorale sociale e con i cristiani impegnati nei mo-vimenti popolari. voglio aiutare il dialogo a partire dall’op-zione più profonda della fede e dell’opzione per il vangelo. in nessun modo voglio istigare conflitti tra le persone o i gruppi impegnati e i fratelli che occupano posizioni di autorità nella gerarchia.

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quando scrivevo la maggior parte di quanto potrete leg-gere in questo libro, Roma non aveva ancora, come vescovo, papa Francesco. Come la maggior parte dei cattolici sparsi nel mondo ho ringraziato Dio per la scelta di questo latino-ame-ricano semplice e comunicativo a vescovo di Roma. spero che restituisca al papa la funzione primaria ed essenziale di vero vescovo di Roma, e come vescovo di Roma possa effettiva-mente essere pastore di unità tra le chiese particolari di tutto il mondo, senza escludere nemmeno le chiese che non si tro-vano in comunione con la sede romana. esprimo l’auspicio che sia possibile superare l’attuale situazione di neocristianità, che non aiuta la chiesa a compiere la sua missione nel mondo di oggi. si auspica che essa sia pronta ad ascoltare, con sempre maggiore attenzione e più ferma obbedienza, ciò che lo spiri-to dice, oggi, alle chiese e al mondo.

1. Che cosa dobbiamo intendere per Vangelo

il significato del termine è apparentemente ovvio. le chiese parlano di quattro vangeli (ma ci sono anche gli apocrifi). Per i cristiani, questi vangeli sono i testi più letti e conosciu-ti della Bibbia. una buona parte delle chiese della Riforma si denominano «evangeliche». negli ultimi decenni, uno dei verbi più comunemente utilizzati nelle chiese è stato «evange-lizzare». nel 2007, la v conferenza generale dei vescovi latino-americani, riunita in aparecida do norte in Brasile, ha propo-sto una nuova campagna continentale di «evangelizzazione». la preoccupazione che pareva soggiacere a quella decisione

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è stato il fatto che, secondo l’ultimo censimento (2000), il numero dei cattolici in Brasile era diminuito. inoltre, colo-ro che perseverano nella chiesa cattolica non hanno sempre manifestato un grande dinamismo nella fede e nello zelo apo-stolico. nessuno ha esplicitamente detto che, ad aparecida, l’evangelizzazione è stata proposta, certamente, come un nuo-vo annuncio di gesù Cristo, ma nell’ambito della chiesa cat-tolica. il documento di aparecida lancia l’appello per creare una nuova civiltà dell’amore; tuttavia, nel testo si parla della missione, soprattutto, nella prospettiva di un grande sforzo per trasmettere la fede cattolica a quanti hanno smesso di es-sere cattolici o non lo sono mai stati. in linea generale, nel documento questi due elementi sembrano essere assunti come sinonimi. tanto la chiesa cattolica come le chiese evangeliche fanno «campagne di evangelizzazione» e non sempre gli obiet-tivi e le modalità di questi processi sono molto chiari o sono in buona sintonia con il significato originario di che cosa sia, in sé, il vangelo.

oggi, il termine vangelo ha il significato di dottrina o di qualcosa di religioso. non fu questo, però, il significato del termine quando fu usato nella Bibbia in lingua greca. la paro-la vangelo appare in alcuni testi di isaia (ad esempio is 52,7). in quel contesto significa la «notizia» della liberazione dalla schiavitù di Babilonia. il ritorno del popolo verso la terra pro-messa sarà come un nuovo esodo (cf. is 40ss.). nei testi bibli-ci successivi alla cattività babilonese, il termine ha cominciato a significare la buona notizia che il regno di Dio starebbe per arrivare in questo mondo (is 52,7) e che il popolo avrebbe

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abitato la sua terra in piena libertà. Diversi salmi acclamano Dio come il re che manifesta al mondo il suo regno elargendo la sua giustizia e la sua libertà a tutti gli uomini (cf. salmi 47, 71, 96, 97, 98 e altri).

nel nuovo testamento, Paolo fu il primo a usare il termine vangelo ancora prima che i testi che oggi conosciamo come i vangeli fossero stati scritti. Paolo usa questo termine dandogli un nuovo significato. egli usa il nome vangelo per annunciare un nuovo evento: si fa riferimento, ancora, al regno divino come momento di liberazione e di giustizia per tutti, ma si afferma che esso viene al mondo per mezzo di gesù Cristo. viene elargito dalla grazia e dall’amore divino, ma richiede di essere accolto. Paolo annunciò il suo messaggio ai cosiddetti gentili, cioè ai non ebrei, integrati nella cultura ellenistica. il messaggio fondamentale di Paolo è presentato come «il mio vangelo» (Rm 2,16; 1Cor 15,1).

Per Paolo, l’uso del termine vangelo fu una scelta polemica e rischiosa. Di fatti, nel suo tempo, in molte regioni dell’im-pero la parola greca vangelo (buona notizia) significava un decreto di amnistia concesso da qualche governatore locale, o dallo stesso imperatore romano, e riguardava il pagamento delle imposte o la concessione di altri benefici.

quando Paolo e i suoi discepoli scrissero le loro lettere, il termine vangelo aveva ancora il significato prevalente di de-creto del re. gli imperatori di Roma pubblicavano decreti di amnistia dei debiti o di azioni delittuose. quei decreti erano chiamati vangeli. Per questo motivo, coloro che li emettevano erano considerati salvatori e benefattori dell’umanità. quan-

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do parlano di vangelo di Dio o di gesù Cristo le comunità paoline si contrappongono al vangelo degli imperatori romani e usano un linguaggio sovversivo. la vera salvezza non viene dal potere e ancor meno dall’autorità imperiale, ma da un povero ebreo che visse alla periferia dell’impero e morì assassi-nato dai potenti di questo mondo (cf. 1Cor 2,8).

i vangeli attuali, contenuti nel canone del nuovo testa-mento, sono stati scritti negli ultimi decenni del i secolo d.C., e il quarto vangelo potrebbe essere stato scritto, addirittura, nei primi anni del ii secolo. essi rappresentano un tentativo di affrancarsi dalle scritture ebraiche, introducendo una lette-ratura specifica delle comunità cristiane. i primi tre vangeli si concentrano nel presentare la testimonianza di gesù sulla ve-nuta del regno di Dio nel mondo. gesù annuncia la venuta di quel regno con la guarigione dei malati, con la cura dei mali delle persone e con il perdono dei peccati.

vangelo significa, propriamente, l’annuncio di un progetto divino per il mondo, nel quale la persona e la testimonianza di gesù assumono un ruolo importante e al quale noi, come discepoli, dobbiamo aderire assumendoci l’impegno di realiz-zarlo.

la buona notizia (vangelo) riguardava tutto il mondo e andava oltre l’ambito della religione. questa fu la novità della persona, delle azioni e delle parole di gesù di nazaret, che die-de inizio a un movimento sociale e chiamò i discepoli a essere i discepoli del regno. Ma, per vivere e testimoniare la venuta del regno, gesù dovette affrontare l’opposizione del mondo politico romano, così come del potere religioso ebraico e per-

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sino di gruppi all’interno del suo stesso movimento. lungo tutto il suo vangelo, l’evangelista Marco richiama l’attenzione sul fatto che i discepoli e gli apostoli non capivano le parole e i gesti di gesù e perciò molto frequentemente nascevano problemi di comprensione tra loro. secondo Matteo, gesù subito dopo aver detto a Pietro che il Padre gli aveva rivelato la sua vera identità (l’unto, il Messia, il Figlio di Dio), dovette rimproverarlo severamente e arrivò persino a chiamarlo sata-na perché Pietro lo tentava, consigliandogli di non prendere la via della croce (cf. Mt 16,23).

nel 2006, a nairobi (Kenya) durante il forum sociale mon-diale, ci fu un forum su «teologia e liberazione». in quella circostanza i teologi cristiani invitarono a parlare un teologo musulmano, il quale intervenne con queste poche parole: «vi chiedo: che cosa mai avete fatto con il cristianesimo per otte-nere che il sistema che governa il mondo e perfino il potere lo accettino così bene e in modo così tranquillo? Come è avvenu-to questo cambiamento? Come siete riusciti a fare questo mi­racolo?». non ascoltai da nessun teologo cristiano una risposta soddisfacente. Per lo più si proponeva di spiegare che cosa sia successo a partire dalla storia e da come il movimento evange-lico di gesù sia diventato una religione istituzionale. Cerchia-mo di capire meglio la natura e le limitazioni dell’istituzione.

2. Il segreto dell’istituzione

le istituzioni sono diverse tra di loro, ma tutte hanno in comune il fatto di essere predisposte per uno scopo partico-

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lare. esistono norme specifiche per le istituzioni assistenziali, politiche, educative, ricreative, sociali, e così via. lo stato è un’istituzione e ha le sue leggi specifiche. nella storia umana e nelle diverse culture dei popoli, spesso il potere politico si è legittimato attraverso un’istituzione religiosa o, per lo meno, si è appoggiato sulla sua dottrina e sulla sua morale per con-trollare la popolazione. in molti gruppi etnici tradizionali, i guru e gli sciamani hanno l’incombenza di presentare alla co-munità colui che è destinato a essere il capo o il comandante. nella tradizione cristiana, orientale e occidentale, molto spes-so, papi, vescovi e patriarchi hanno intronizzato imperatori, re e regine. sul rapporto tra religione e potere politico, ci sono buoni libri di vari autori5.

in queste pagine propongo di riflettere sull’istituzione reli-giosa e, in modo particolare, come essa pur essendo necessaria – tutto ciò che è umano ha bisogno di organizzazione – tende sempre a perpetuarsi in funzione di se stessa, a considerare il suo interesse istituzionale come l’obiettivo prioritario e, so-prattutto, come essa si rafforza e si consolida facendo ricorso al potere.

non voglio trattare dell’istituzione del governo o delle istituzioni economiche della società. Mi limito a parlare solo dell’istituzione religiosa cristiana. e più precisamente ancora, per il fatto di essere cattolico e di vivere nella chiesa cattolica, mi riferirò principalmente alle istituzioni della chiesa cattolica

5 Per esempio, g. Fragnière, La religion et le pouvoir. La Chrétienté, l´Occident et la démocracie, P.i.e. - Peter lang, Bruxelles, 2005. esiste una tra-duzione italiana di questo libro, La religione e il potere, eDB, Bologna 2008.

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romana, pur non trascurando o dimenticando le altre chiese. e di questo chiedo venia a voi che mi leggete.

Da sempre si è discusso sulla natura della chiesa. Molti non accettano l’idea che si possa fare una distinzione tra chiesa-evento o comunità di fede e chiesa-istituzione. non sostengo l’idea di una chiesa invisibile, diversa dalla chiesa istituzionale (idea comunemente attribuita a lutero, anche se quel rifor-matore ha proposto qualcosa di più profondo e più sfumato). non possiamo separare, assolutamente, la chiesa come sacra-mento (segno efficace) del disegno divino sul mondo dall’i-stituzione ecclesiastica, che dovrebbe servire a visualizzare e a rendere possibile la missione ecclesiale nella realtà di tutti i giorni. tuttavia, non si può negare che una cosa è la vita di una comunità di fede e anche di comunione tra tutte le comu-nità che, insieme, formano la cattolicità (chiesa universale), mentre altra cosa sono le istituzioni come il vaticano, la curia diocesana, il clero e così via. Padre José Comblin lo spiega così:

storicamente, il vangelo viene trasmesso nella chiesa e median-te la chiesa, includendo in essa tutti i rami separati dal tronco primitivo, perché anch’essi trasmettono il vangelo e anche in essi vivono dei veri discepoli di gesù. a trasmettere il vangelo non è l’istituzione, ma le persone che vivono nell’istituzione [...]. l’istituzione ecclesiastica è una religione. il vangelo arriva a noi per mezzo di una religione, o meglio attraverso il canale di una religione. Ma dobbiamo tener presente, con molta lucidità, che la religione è una creazione umana formatasi lungo i secoli, sempre in evoluzione in parallelo con l’evoluzione delle culture, e come risultato delle decisioni prese nel corso dei secoli da par-te delle autorità che determinano il suo orientamento. la reli-

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gione cristiana è simile a tutte le religioni del mondo, anche se è stata modellata dai discepoli di gesù Cristo che vivono in essa6.

la distinzione tra vangelo e istituzione appare chiara nel concilio vaticano ii quando si introduce la distinzione tra «chiesa di Cristo» e le attuali strutture della chiesa cattolica e di altre chiese cristiane. nella costituzione sulla chiesa, il concilio dice:

questa chiesa, in questo mondo costituita e organizzata come società, sussiste (subsistit in) nella chiesa cattolica, governata dal successore di Pietro e dai vescovi in comunione con lui, ancor-ché al di fuori del suo organismo si trovino parecchi elementi di santificazione e di verità, che, appartenendo propriamente per dono di Dio alla chiesa di Cristo, spingono verso l’unità catto-lica (Lumen gentium, i, 8).

anche se il significato dell’espressione «subsistit in» conti-nua ad alimentare il dibattito e i contrasti, la cosa importante è che nemmeno la gerarchia di Roma ha la presunzione di ripetere che la chiesa di Cristo è semplicemente la chiesa cat-tolica romana.

nel documento del concilio vaticano ii, il termine «sus-siste» vuole definire, correttamente, il tipo di rapporto che esiste tra la chiesa cattolica, come è oggi, e la chiesa originale di gesù Cristo. secondo il concilio, la chiesa di Cristo è più ampia e più estesa di quanto sia l’istituzione cattolica. il con-cilio riconosce che le altre denominazioni cristiane conserva-

6 Cf. J. Comblin, O Evangelho e a tradição de Jesus, nhanduti editora, são Paulo 2012, 46.

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no molti elementi della chiesa originale di Cristo, e perciò sono da considerare comunità salvifiche; ossia, per mezzo di esse, molti possono vivere il loro rapporto con Dio e ottenere la salvezza. oggi, partendo da una visione di fede che cerca di guardare più alla realtà che all’immaginazione, constatiamo che spesso gli elementi della vera comunità originale di gesù non si ritrovano più in nessuna delle chiese internazionali, ben organizzate e centrate più sull’istituzione che sull’amore.

Per ireneo di lione, vescovo del secondo secolo, la chiesa era il luogo dello Spirito. un secolo più tardi, ippolito di Roma affer-mava che i peccatori non appartengono, realmente, alla chiesa di Cristo, entrando così in conflitto con Callisto i, vescovo di Roma. Da questo fatto si può vedere che in quei primi secoli, il vescovo di Roma era, in generale, più aperto e su posizioni teologiche più avanzate di altri teologi e pastori. questa stessa controversia o contrasto avvenuto all’inizio del terzo secolo tra ippolito e Callisto a Roma, si ripete alcuni anni più tardi tra Ci-priano, vescovo di Cartagine e papa stefano, vescovo di Roma. i vescovi di Roma avevano posizioni più aperte dei teologi di Cartagine. questo conflitto interno alla chiesa rivela che già in quel tempo esisteva una certa tensione tra una concezione della chiesa considerata nella sua natura più spirituale (espressa dai fratelli di Cartagine), e la sua realtà istituzionale maggiormente difesa dal papa a Roma7.

Per tutto il Medioevo, a Roma l’aspetto organizzativo e soprattutto le istanze di potere dell’istituzione ecclesiastica si

7 u. Kuhn, vocabolo: chiesa in J. Y. lacoste et alii, Dicionário Crítico de Teologia, ed. Paulinas-loyola, são Paulo 1998, 855.

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ampliarono al punto da diventare una sorta di stato religioso, che metteva insieme la missione di coordinare la chiesa cat-tolica nel mondo con le strutture ordinarie del potere statale. in segno di protesta contro l’istituzione romana, Martin lu-tero e i riformatori (Xvi secolo) posero l’accento sull’aspetto carismatico e profetico della chiesa. Come reazione contro i protestanti, la chiesa cattolica romana, a partire dal concilio di trento e specialmente negli ultimi secoli fino al concilio vaticano ii, nella sua dottrina ha sottolineato e ha dato il suo giusto rilievo all’aspetto gerarchico e istituzionale dell’orga-nizzazione ecclesiastica.

il concilio vaticano ii ha cercato, ancora una volta, di ri-mettere l’accento sul carattere sacramentale e spirituale della chiesa, chiamata a essere segno e strumento di salvezza per tutta l’umanità (cf. Lumen gentium). senza negare l’importan-za della sua struttura visibile, il concilio ha esortato la chiesa a rinnovare «anche le più venerabili tradizioni» per diventare di nuovo, per il mondo, segno e seme del regno divino sulla terra. Per questo, il concilio ha dichiarato che la chiesa non è superiore alla parola di Dio, ma deve servirla e deve lasciarsi formare da essa (costituzione Dei Verbum). questa proposta ripresenta, con molta evidenza, a tutta la chiesa, ai pastori e ai fedeli, la sfida a lasciarsi interpellare dal vangelo e a convertir-si sempre di nuovo.