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Pierpaolo Bellucci DIRITTO PRIVATO COMPARATO 2008

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Pierpaolo Bellucci

DIRITTO PRIVATO

COMPARATO

2008

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Appunti tratti da:

Diritto privato comparato. Istituti e problemi, Laterza 2006

Istituzioni di diritto privato, Giuffré 2002

www.wikipedia.it

L’AMBITO DEL DIRITTO PRIVATO Per diritto privato s’intende il diritto degli interessi particolari e disponibili: dunque bisogni, esigenze, valori e finalità di cui gli stessi interessati possono, in certi limiti, cercare la soddisfazione o accettare il sacrificio. Il diritto pubblico cura gli interessi generali, mentre il diritto privato s’interessa delle parti in una posizione di reciproca eguaglianza, ma anche dell’autonomia privata (regolare da sé la soddisfazione dei propri interessi) e tutta la sfera giuridica del contratto. I settori in cui prevalgono le caratteristiche del diritto privato sono quelli che formano lo scheletro del codice civile: diritto delle persone e della famiglia, successioni ereditarie. Alcune di queste materie assumono il carattere di autonome discipline come il diritto civile o il diritto commerciale. I caratteri del diritto pubblico si ritrovano nelle norme che regolano l’attività degli organi costituzionali e della pubblica amministrazione, gli obblighi dei cittadini verso lo Stato, la prevenzione e repressione dei reati, lo svolgimento del processo. Le discipline che se ne occupano sono il diritto tributario, penale, amministrativo. Anche tra più soggetti pubblici possono esistere rapporti disciplinati dal diritto privato. In Europa il movimento di codificazione del diritto privato s’identifica con alcune grandi tappe: codici napoleonici (1804); formazione del Codice civile generale austriaco del 1811; formazione del Codice civile dell’Impero germanico (1900). Il Regno d’Italia, unificato nel 1861, nel 1865 si è dotato del Codice civile e del Codice di commercio, ricalcati sul modello dei codici francesi. Prima della codificazione non esisteva un apparato unitario di regole, ma esistevano leggi scritte emanate dall’autorità statuale, cioè dal sovrano. Queste leggi non formavano un sistema completo né coerente. Esistevano anche altre regole di cui tener conto: statuti municipali, statuti delle corporazioni mercantili, regole legate alla gerarchia feudale, diritto della Chiesa. I vuoti erano colmati dal diritto consuetudinario (costumi), che si poteva conoscere attraverso raccolte curate dai giuristi. Quasi alla base della vita giuridica stava il diritto romano, così come si conosceva nella codificazione di Giustiniano (VI secolo): questo era concepito come diritto comune ai diversi Stati. La complessità delle fonti di diritto si combinava con quella delle autorità giudicanti: la giurisdizione (potere di dettare norme e fare giustizia) del sovrano si incrociava con quella feudale, municipale, canonica.

COMPARAZIONE GIURIDICA E UNIFICAZIONE DEL DIRITTO

Il diritto uniforme tenta di superare i contrasti esistenti tra le varie esperienze giuridiche nazionali, proponendo una normativa comune, intesa a risolvere le questioni specifiche che ne formano l’oggetto in modo uguale da chiunque e ovunque esse vengano affrontate e risolte. Il movimento per una progressiva unificazione internazionale del diritto prende inizio sul finire dell’Ottocento, più o meno nello stesso periodo in cui si completano le

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codificazioni nazionali. I primi passi verso il ripristino di una maggiore uniformità normativa a livello internazionale vennero compiuti nel settore delle creazioni intellettuali (Convenzione di Parigi per la tutela della proprietà industriale del 1883; Convenzione di Berna sulla protezione delle opere letterarie e artistiche del 1886). I primi argomenti soggetti a comparazione furono il trasporto ferroviario, la navigazione marittima, il diritto di famiglia, la tutela degli incapaci e l’assistenza giudiziaria internazionale. Addirittura vi fu anche l’idea di procedere all’elaborazione di un vero e proprio codice universale. Il secondo conflitto mondiale rappresentò anche per il movimento per l’unificazione del diritto una cesura profonda. Quando agli inizi degli anni Cinquanta da più parti si cercò di rilanciarlo, riprendendo i lavori su progetti rimasti in sospeso oppure promuovendo nuove iniziative, apparve subito chiaro come il contesto internazionale era cambiato. In più, fin dai primi anni del dopoguerra era in atto una contrapposizione, sul piano ideologico e politico, tra Est ed Ovest, cui si sarebbe poi aggiunto, a partire dagli anni Sessanta, il contrasto, per ragioni economiche, tra i paesi industrializzati del Nord e quelli di nuova formazione e ancora in via di sviluppo del Sud. Apparve subito chiaro che, accanto ai soliti contrasti di carattere tecnico tra i sistemi di civil law e quelli di common law, vi sarebbero stati da sciogliere anche una serie di nodi politici, quali il principio della libertà di forma e la necessità nella determinazione del prezzo ai fini della valida conclusione del contratto, per quanto concerne i rapporti Est-Ovest, oppure la rilevanza degli usi, i termini per la denuncia dei vizi della cosa o il diritto di sospendere l’adempimento per l’alterarsi delle condizioni economico-finanziarie della controparte, nei rapporti Nord-Sud. Prospettive agli inizi del Duemila Il crollo dei regimi socialisti dell’Est europeo e il tramonto nella stessa Cina del mito del monopolio e dirigismo statale nell’economia dovrebbero favorire un riavvicinamento tra questi paesi e il resto del mondo non solo sul piano politico ed economico, ma anche su quello giuridico. Più problematico appare il discorso con riferimento ai rapporti Nord-Sud. Tutto lascia prevedere che, almeno a breve termine, il divario tra i paesi industrializzati c.d. occidentali e quelli del Terzo Mondo, tenderà ad aumentare ulteriormente, con la conseguenza che i loro rapporti continueranno ad essere improntati ad un clima di reciproca diffidenza, se non di aperta conflittualità. E’ altresì vero che, seppur in mancanza di una formale adesione da parte dei paesi in via di sviluppo alle singole convenzioni o leggi uniformi, i loro operatori economici se ne avvalgono sempre più di frequente in occasione delle loro contrattazioni con i partner dei paesi industrializzati, e ciò per disporre di un modello cui rifarsi per decidere il tipo di regolamentazione da concordare. Le diverse forme o tecniche di unificazione Unificazione legislativa. E’ ancora oggi la più diffusa tecnica di unificazione: esempio tipico è il diritto comunitario, nelle sue due fonti principali del regolamento e della direttiva.

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Unificazione giurisprudenziale. Il rimedio più radicale per assicurare questo risultato consiste nell’attribuire ad un tribunale internazionale la competenza a decidere in via preliminare le questioni relative all’interpretazione dei singoli prodotti di diritto uniforme, imponendo nello stesso tempo ai giudici nazionali di sospendere la decisione fino alla sua sentenza, per poi conformarvisi. Limitandoci all’esempio dell’ormai ricca giurisprudenza formatasi con la Convenzione di Bruxelles sulla competenza giurisdizionale e l’esecuzione delle sentenze, c’è da dire che già il metodo seguito dalla Corte nell’interpretare la Convenzione, vale a dire il fatto di non fermarsi all’interpretazione letterale del testo, valutando

invece gli obiettivi perseguiti dal legislatore, ha rappresentato una novità, quanto meno per i paesi di common law, dove peraltro gli stessi giudici nazionali hanno cominciato ad assumere un atteggiamento analogo. Inoltre, quando si trattava di determinare l’esatto significato da attribuirsi a termini e concetti usati dalla Convenzione, ma dalla stessa non meglio definiti (materia civile e commerciale, fallimento, contratto, succursale, agenzia, o qualsiasi altra filiale) la Corte ha sempre cercato, nei limiti del possibile, di fornire un’interpretazione autonoma, vale a dire di ricavare il significato dei singoli termini e concetti in questione dalla Convenzione stessa, oppure dai principi comuni ai sistemi giuridici di tutti gli Stati contraenti, anziché da un singolo ordinamento nazionale. Il metodo più efficace per raggiungere quest’obiettivo consiste nel considerare il modo in cui il rispettivo prodotto di diritto uniforme viene inteso e applicato negli altri paesi. Tanto più meritano di essere apprezzati gli sforzi compiuti da quei giudici nazionali che, confrontati con una questione interpretativa riguardante una determinata convenzione di diritto uniforme, hanno cercato di tener conto, in misura più o meno sistematica e completa, dei precedenti stranieri esistenti in materia, uniformandosi nei limiti del possibile. In più, in questi ultimi anni si registrano una serie di iniziative volte ad assicurare, anche con l’aiuto dell’informatica e della comunicazione elettronica, una più diffusa conoscenza delle varie decisioni nazionali in materia di diritto uniforme. Una di queste iniziative è Unilex, una banca dati creata e continuamente aggiornata dal Centro di studi e ricerche di diritto comparato e straniero in Roma. Unificazione contrattuale. Un’altra forma di unificazione da tempo praticata è quella che si attua sul piano contrattuale, attraverso l’impiego, in occasione delle singole operazioni tipiche del commercio internazionale, di strumenti negoziali largamente diffusi a livello internazionale o sovraregionale. Fu per ovviare a questo stato di cose poco favorevole ad un ordinato svolgimento dei traffici commerciali, che alcuni organismi internazionali neutrali hanno preso l’iniziativa di elaborare strumenti contrattuali che fossero, oltre che contenutisticamente più equilibrati, anche nella forma autenticamente “internazionali” o “transnazionali”, senza legami, cioè, con istituti e concetti propri di questo o di quest’altro sistema giuridico nazionale, e come tali suscettibili di essere intesi in maniera sostanzialmente uniforme ovunque e da chiunque dovessero essere in concreto adottati. Difficile stabilire fino a che punto i recenti strumenti contrattuali a vocazione autenticamente internazionale siano in pratica riusciti a sostituirsi ai prodotti del tradizionale diritto corporativo.

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Unificazione dottrinale. Altrettanto evidente è l’importanza dell’apporto dottrinale in sede di interpretazione del diritto uniforme esistente. A tal proposito, rilevante è l’iniziativa dell’Unidroit per l’elaborazione di principi dei contratti commerciali internazionali. Pubblicati nel 1994, i principi Unidroit rappresentano una sorta di codice del diritto dei contratti a vocazione universale, inteso a rispecchiare tutti i principali sistemi giuridici del mondo e a soddisfare le esigenze dei rapporti commerciali Est-Ovest non meno che Nord-Sud. Unificazione del diritto e circolazione dei modelli L’ipotesi normale è indubbiamente quella del travaso di modelli dagli ordinamenti nazionali verso la disciplina di diritto uniforme, ma vi possono anche essere dei casi in cui sono viceversa le soluzioni elaborate a livello internazionale ad essere imitate dai singoli legislatori statali, anche al di là dell’ambito di applicazione dello stesso diritto uniforme. A volte, poi, più che di circolazione, sarebbe opportuno parlare di vera e propria invenzione di modelli, visto che le soluzioni raggiunte in sede di elaborazione del diritto uniforme non trovano un diretto riscontro in alcuno dei modelli preesistenti. Sempre nell’ambito del diritto uniforme si può infine distinguere tra una circolazione formale o palese ed una circolazione informale o non dichiarata dei modelli. Ebbene, è precisamente in questa ulteriore fase che si può verificare una nuova circolazione di modelli, non più a livello legislativo, bensì ad opera della dottrina e della giurisprudenza, le quali, infatti, possono distorcere il vero significato della normativa uniforme interpretando i suoi termini e concetti, anziché in via autonoma, secondo il significato che essi tradizionalmente assumono all’interno di un particolare ordinamento internazionale. Unificazione del diritto ed esigenze di riforma Il più delle volte le materie, in ordine alle quali tentare di giungere ad una regolamentazione uniforme, venivano prescelte non già sulla base di valutazioni intrinseche, bensì muovendo dalla semplice constatazione che le stesse risultavano regolate all’interno dei singoli ordinamenti nazionali in maniera difforme, e che vi erano comunque buone probabilità di giungere ad una loro disciplina unitaria. Non dunque l’unificazione del diritto in quanto tale è da criticare, ma soltanto l’idea che essa rappresenti un valore assoluto, e quindi possa, anzi debba, essere perseguita senza tener conto, da una parte, del tipo di disciplina positiva che nell’ambito dei singoli ordinamenti si pretende di sostituire, e dall’altra parte, del tipo di regolamento uniforme che si intende predisporre a livello internazionale. In effetti, tralasciando quei settori come il diritto penale, amministrativo o fiscale, laddove si fa particolarmente sentire il diverso modo di concepire i rapporti tra Stato e società civile, tra autorità pubblica e cittadino privato, anche nell’ambito del diritto privato si nota la propensione da parte dei legislatori nazionali a prendere in considerazione interessi di carattere generale. Per quanto concerne poi il tipo di disciplina uniforme che si intende elaborare, il primo problema riguarda naturalmente la determinazione del suo oggetto. Una volta definito l’ambito di applicazione della progettata disciplina uniforme, si pone naturalmente il problema dei

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criteri da seguire per l’elaborazione del suo contenuto. Disciplinando esclusivamente i rapporti internazionali, sembrerebbe ovvio cercare i punti in comune tra le varie legislazioni. Discorso diverso nell’ipotesi di un’unificazione integrale, riguardante cioè anche la disciplina dei comuni rapporti interni. In questo caso si tratta di realizzare un vero livellamento tra i vari diritti positivi nazionali. La comparazione non deve essere uno

strumento per uccidere i diritti nazionali, bensì deve porsi l’obiettivo di livellare le differenze,

convergendo verso un’ampia armonizzazione tra le varie codificazioni.

IL MODELLO INGLESE DI PROPRIETÀ

Il giurista inglese troverebbe difficoltà nel comparare il concetto di proprietà presente negli ordinamenti di civil law, con il proprio concetto di property. Infatti, in italiano il termine proprietà assume un significato spiccatamente giuridico, cosa che non avviene nella lingua inglese. Un termine che esemplifica in maniera simile il concetto di proprietà, comune sia all’area di civil law che a quella di common law, è “dominion”, che indica un rapporto di appropriazione totale ed esclusiva. Questo termine ha radici feudali, ma col passare dei secoli e l’infittirsi dei codici di diritto non è stato in grado di rispondere alla casistica sviluppatasi. Infatti, se una tale res è posseduta da più persone, magari in maniera diversa, come bisogna comportarsi? Property e law of property Il problema relativo al confronto tra modello romanistico e inglese di proprietà consisterebbe in una diversa tessitura grammaticale. Nel caso del modello romanistico, come

risulta configurabile alla luce di una tradizione culturale che ha radici nel mondo romano, la

nozione di proprietà va intesa nel significato di diritto assoluto ed esclusivo del soggetto su una

cosa, mobile o immobile che sia. Nozione che viene tenuta distinta dal possesso. Il tutto, naturalmente, in un quadro di varianti nazionali più o meno importanti per la ricostruzione del modello. Nel modello inglese, si osserva che il termine property riveste una

marcata connotazione patrimonialistica, usandolo sia in termini soggettivi (con riferimento ai diritti reali 1), sia in senso oggettivo (con riguardo ai beni, materiali e immateriali, inclusi anche i diritti personali, in quanto considerati tutti insieme elementi costituenti la ricchezza di una persona, cioè il suo patrimonio). Real property. La prima delle due categorie di property attiene, storicamente, alle situazioni di carattere possessorio, in origine interne al mondo delle concessioni feudali,

1 Il diritto reale ha per oggetto una cosa (in latino res) e la segue indipendentemente dal suo proprietario. Caratteristiche peculiari dei diritti reali sono: l'assolutezza, cioè possono essere fatti valere erga omnes, contro tutti, e non solo contro l'alienante; l'immediatezza del potere sulla cosa; tipicità, cioè sono stabiliti dalla legge e patrimonialità, in quanto il contenuto è prevalentemente economico. Nel nostro sistema giuridico sono a numero chiuso, e tra di essi spicca: il diritto di proprietà (il diritto reale fondamentale), affiancato dai “diritti reali minori” (o “diritti reali su cosa altrui”), che a loro volta si distinguono in: diritti reali di godimento (l'enfiteusi, il diritto di superficie, l'usufrutto, il diritto reale d'uso, il diritto reale di abitazione, le servitù (o servitù prediali); e i diritti reali di garanzia (il pegno e l'ipoteca).

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riguardanti il libero godimento di fondi, tutelate mediante azioni reali, dirette ad ottenere la reintegrazione nel possesso dello specifico bene. Personal property. La seconda categoria si estende ad un’eterogenea gamma di beni mobili e diritti, quest’ultimi anche relativi ad immobili. Tali beni sono stati tutelati, ancora fino al secolo scorso, mediante azioni personali che non ne assicura la restituzione in forma specifica, stante la facoltà del convenuto di pagarne il valore. Un’eterogeneità di casi. Tuttavia, nell’odierno diritto inglese, e più in generale, nei paesi di common law, la scomparsa del regime feudale, l’abolizione delle antiche azioni reali e delle regole di diritto successorio, incidenti sui diversi modi di devoluzione, ha determinato una progressiva attenuazione delle ragioni alla base dell’originaria contrapposizione tra realty e personality. Ciò ha portato all’attuale giurisprudenza, che differenza in maniera sostanziale solo i diritti su beni mobili e immobili. Venendo ai contenuti della materia, c’è da osservare che di legge di proprietà si parla principalmente con riferimento ai beni, ma in alcuni casi la si riferisce anche ai diritti di famiglia, successorio e fallimentare. La confusione creatasi con questa eterogeneità di significati, ha portato il mondo giuridico medievale a non legiferare in maniera chiara sulla nozione di proprietà, con il risultato che si sono sviluppati una miriade di casi, tesi a fare chiarezza sulla moltitudine di “beni incorporali”, che stando alla legislazione vigente, erano da assimilare ad appezzamenti di terra, quando in realtà non lo erano affatto. Ownership e possession Al pari, e forse più di property, anche il termine ownership (avere come proprio, possedere), in assenza di una specifica nozione tecnica che ne traduca il significato corrente di “possesso in nome proprio”, “titolarità”, si presenta poco compatibile con il lessico romanistico-continentale, che non legifera su una nozione di uguale significato. Infatti nella giurisprudenza di common law il termine ownership sta a significare il possesso su una cosa, mentre nell’area di civil law il termine proprietà è svincolato dalla fisicità dell’oggetto in questione. In passato la differenza di concezioni su questo tema era ben più ampia, ora la comparazione ha sortito l’effetto di associare il termine ownership con la proprietà del bene fisico, in particolare se si tratta di un appezzamento di terreno. In definitiva, possiamo asserire che non solo la disciplina dei diritti sui beni immobili (land law), ma tutto lo scibile attinente alla law of property, continua ad essere caratterizzato dall’assenza di un’idea precisa di proprietà. Uno dei tratti caratterizzanti il modello inglese, per contrasto con quello romanistico di proprietà, è dato dalla connessione tra i concetti di ownership e possession. Mentre in Italia e negli altri ordinamenti giuridici

continentali, proprietà e possesso non sono sinonimi, nel mondo anglosassone formano una nozione

composita, quella di possessory ownership, che si basa sul principio di possesso come presunzione di

proprietà. Appare evidente che l’equazione ownership-title-possession, ovvero l’idea di ownership ancorata al suo fondamento possessorio per via del titolo che ne scaturisce, dà come nozione finale quello di una proprietà relativa, concepita quale possesso provvisto,

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appunto, di un titolo migliore al diritto corrispondente: nel senso che tutti i titles of land così fondati si dimostrano essenzialmente relativi, ovvero graduati in un ordine di priorità. Conclusione Per tentare di riassumere i modelli di proprietà nell’ambito delle due maggiori tradizioni giuridiche europee occidentali, possiamo dire che il modello di common law (contrariamente a quello di civil law) è riferibile alla proprietà delle cose in senso materiale, e alla titolarità di diritti qualificabili come un insieme di poteri relativi alle cose (anche immateriali). Tra i due modelli finisce per essere segnato un duplice paradosso. Da un lato, quello per cui nei paesi di civil law, muovendo da una base di concretezza estrema (le res corporales) si perviene a toccare le vette di un’estrema astrattezza, inseguendo il miraggio di un diritto assoluto di proprietà. Dall’altro lato, quello per cui nei paesi di common law, muovendo al contrario da un’astrattezza estrema, si perviene a toccare il limite di una relativizzazione dei diritti reali, fino a farne dei semplici diritti al possesso o diritti personali 2.

LINEAMENTI DI DIRITTO CONTRATTUALE

A livello di comparazione del diritto contrattuale, ciò che stupisce è la sostanziale uniformità dei trends evolutivi nelle esperienze straniere di maggior riferimento, nei progetti di codificazione uniforme e nelle regole del commercio internazionale: un’uniformità che si risolve nel ripensamento della stessa categoria logica e pratica di “contratto”, e nel dissolvimento del modello tradizionale di contratto. Si possono segnalare alcuni aspetti nell’evoluzione del diritto contrattuale: 1. Rilevanza dello status delle parti;

2. Rilevanza delle tecniche di controllo interno dell’operazione economica, con strumenti quali la

causa, l’oggetto e la forma;

2 Il diritto soggettivo è una situazione giuridica soggettiva attiva, attribuita ad un soggetto di diritto nel suo interesse. Il termine diritto viene usato anche in senso oggettivo, per denotare l'insieme delle norme che costituiscono l'ordinamento giuridico (ad esempio, il diritto italiano, svizzero, canonico, internazionale ecc.) o una sua parte (ad esempio, il diritto civile, amministrativo, costituzionale); in relazione a questo significato si parla di diritto oggettivo. La dottrina più recente, ritiene che il termine diritto, quando viene usato dai legislatori e dai giuristi in senso soggettivo, assuma diversi significati; infatti può di volta in volta significare: una particolare situazione giuridica soggettiva attiva elementare, che si può denominare anche pretesa e che nel rapporto giuridico è correlata all'altrui dovere od obbligo; una qualsiasi situazione giuridica soggettiva attiva elementare, ossia un diritto nel senso di pretesa, una facoltà, un potere o un'immunità (intesa come situazione correlata alla mancanza di potere); un complesso di situazioni giuridiche soggettive attive elementari (ad esempio, il diritto di proprietà su di un bene è scomponibile nella facoltà di utilizzarlo, nella facoltà di modificarlo, nel potere di alienarlo e così via). Come si è detto il diritto soggettivo, inteso come pretesa, è correlato nel rapporto giuridico alla corrispondente situazione giuridica passiva, il dovere od obbligo, in capo ad un altro soggetto. Al riguardo si distingue: il diritto assoluto, che il titolare può far valere nei confronti di chiunque e che è correlato ad un dovere in senso stretto, negativo (di non fare); il diritto

relativo, che il titolare può fare valere nei confronti di uno o più soggetti determinati, sui quali grava il correlato obbligo, negativo (di non fare) o positivo (di fare o dare).

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3. Applicazione di criteri di “giustizia contrattuale” con riferimento ai valori della persona e

all’equità dello scambio;

4. Applicazione di clausole generali per il controllo del comportamento delle parti nella fase

prenegoziale, nella fase di conclusione ed in quella di esecuzione del contratto;

5. Adattamento del contratto alle circostanze sopravvenute;

6. Codificazione sociale di formule contrattuali internazionali;

7. Affidamento della soluzione delle controversie ad organi extragiudiziali.

I processi di armonizzazione e di unificazione della disciplina del contratto non si realizzano in ragione delle asserite radici comuni, e neppure sotto il segno di una fittizia definizione di una trama comune di valori, quanto attraverso i propositi pratici ed economici che accomunano i giuristi nel tentativo di agevolare gli scambi di beni, servizi e capitali. In altre parole, il sostrato economico è il tessuto connettivo di questi processi: è la concezione del contratto come veste giuridica dell’operazione economica quella che accomuna i testi predisposti per il raggiungimento di una lingua comune. Non si costruisce un’Europa comune se non si costruisce un edificio giuridico comune. Non si promuovono le relazioni economiche se si mantengono in vita gli steccati costituiti da lingue diverse, categorie concettuali diverse o contrapposte, da regole giuridiche diverse o configgenti. L’analisi di questi fenomeni deve tenere distinti tre piani di lettura: 1. Tipizzazione dei contratti;

2. Sufficienza del consenso;

3. Rilievo dei patti nudi.

La causa gioca un ruolo fondamentale in tutti i piani: come elemento qualificante il tipo, come elemento integrativo del consenso, come elemento integrativo del consenso, come elemento di controllo della meritevolezza e della liceità dei contratti. Modelli contrattualistici (da www.wikipedia.it alla voce “contratto”) Il concetto di contratto non è definito allo stesso modo in tutti gli ordinamenti giuridici. Elemento comune di tutte le definizioni è, però, l'accordo tra due o più soggetti per produrre effetti giuridici (ossia costituire, modificare o estinguere rapporti giuridici), quindi un atto giuridico e, più precisamente, un negozio giuridico bilaterale o plurilaterale. Le differenze tra common law e civil law Nel linguaggio corrente e in quello economico il contratto è concepito come l’accordo tra due o più soggetti per lo scambio di prestazioni: ad esempio, nella compravendita, che rappresenta il prototipo del contratto in questa concezione, un soggetto trasferisce all’altro un bene e, in cambio, riceve da questi una somma di denaro (il prezzo). Negli ordinamenti di common law il contract è proprio questo: un accordo tra due o più soggetti connotato dallo scambio di prestazioni e, quindi, dall’assunzione di obblighi da entrambe le parti (la

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cosiddetta consideration). Negli ordinamenti di civil law, invece, il concetto ha una maggiore estensione, frutto di quella tendenza all’astrazione che caratterizza tali culture giuridiche. Qui, infatti, vengono fatti rientrare tra i contratti non solo gli accordi connotati da uno scambio di prestazioni e, quindi, dal sorgere di obblighi in capo a tutte le parti (contratti bilaterali o sinallagmatici) ma anche quelli che, come la donazione, fanno sorgere obblighi in capo solo ad una o ad alcune delle parti (contratti unilaterali). Nei paesi di common law questi ultimi non sono considerati contratti, in quanto mancanti del requisito della consideration; per produrre i medesimi effetti giuridici è necessario un atto formalmente unilaterale, il deed, nel quale la consideration è sostituita da una serie di requisiti formali (redazione per iscritto; firma della parte e suo sigillo, oggi sostituito dalla dicitura "as seal"; presenza di un testimone; consegna del documento all'altra parte). Inoltre, gli ordinamenti di civil law, a differenza di quelli di common law, ammettono l'esistenza di contratti reali (sebbene la categoria non sia operativa in tutti gli ordinamenti): questi, a differenza dei contratti consensuali, per perfezionarsi necessitano, oltre che del consenso delle parti, della consegna dell’oggetto del contratto dall'una all'altra parte (traditio rei); è il caso del deposito negli ordinamenti, come quello italiano, in cui ha natura reale. Le situazioni che negli ordinamenti di civil law danno luogo ad un contratto reale, nei sistemi di common law danno luogo ad un bailment, un rapporto giuridico in forza del quale chi ha consegnato il bene (bailor) può chiederne la restituzione a colui che lo ha ricevuto (bailee) non in virtù di un'obbligazione contrattuale ma della proprietà o del possesso sul bene medesimo. Le differenze all'interno dell'area di civil law In realtà nemmeno all'interno dell'area di civil law il concetto di contratto ha ovunque la stessa estensione. Infatti, mentre nell’ordinamento tedesco e in quelli ad esso ispirati è considerato contratto qualsiasi atto negoziale bilaterale o plurilaterale, a prescindere dal suo contenuto, in taluni ordinamenti di civil law, tra cui quello francese e quello italiano, sono contratti solo quegli accordi con i quali si creano, modificano o estinguono rapporti giuridici patrimoniali, vale a dire corrispondenti a interessi di natura economica (ossia suscettibili di essere valutati in denaro). Di conseguenza, in questi ordinamenti il concetto di contratto è più ristretto di quello di convenzione, che si estende anche agli accordi relativi a rapporti giuridici non patrimoniali, mentre i due concetti vengono a coincidere negli ordinamenti riconducibili al modello tedesco. Va aggiunto che nell’ordinamento tedesco e in quelli ad esso ispirati la validità del contratto non richiede, oltre all’accordo tra le parti, una causa poiché l’ordinamento conferisce validità alla dichiarazione di volontà in sé (principio di astrattezza) a differenza di quanto avviene negli ordinamenti dove vige il principio di causalità. Quella di causa è una nozione piuttosto sfuggente, che risale al diritto romano o, meglio, alla sua rielaborazione ad opera dei giusnaturalisti del XVIII secolo, ed è stata mantenuta nel Code Napoléon francese, donde si è diffusa negli ordinamenti che ne hanno recepito il modello, tra cui quello italiano. La causa, variamente definita sul piano teorico, finisce per riflettere l'esistenza di uno scambio di prestazioni nel caso dei contratti a titolo oneroso (richiamando così la consideration anglosassone) e lo spirito di liberalità, il cosiddetto animus donandi, nel caso dei contratti a titolo gratuito.

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Il contratto nel diritto inglese odierno Nella giurisprudenza inglese, l’idea di contratto, intesa come espressione dell’eguale potere di obbligarsi riconosciuto alle parti, tramonta alla fine del XIX secolo. Alcuni studiosi (come Atiyah) rintracciano le radici di questo declino nella nuova economia, nel tramonto del lassez-faire, nell’affermazione del principio di eguaglianza in senso sostanziale (oltreché formale), nel declino del sistema dell’equity 3. Secondo Atiyah, questo fenomeno può essere inteso in tre accezioni diverse: 1. Declino come perdita di rilevanza del ruolo del contratto nella società moderna;

2. Declino come sostituzione della libera scelta che dà luogo all’acquisizione di diritti, con una

scelta non volontaria del destinatario e imposta dall’intervento legislativo;

3. Declino della responsabilità fondata sulla promessa di fronte alla responsabilità fondata

sull’affidamento o sul benefit.

Nella sua accezione più comune, il contratto è costituito da uno scambio di promesse che creano diritti e obblighi per le parti. L’espressione “promessa” è sempre usata nell’accezione di promessa esplicita. Quando essa è implicita, è accompagna da un’adeguata oggettivazione. L’opera di Atiyah tratta della descrizione della crisi della promessa, intesa come manifestazione di volontà di per sé vincolante, senza riguardo alla sua causa, cioè al perché della sua determinazione. Passando alla comparazione delle diverse concezioni di causa, scopriamo che nelle codificazioni europee esistono tre modelli normativi in materia di causa: 1. La causa può essere definita codificandone il significato.

2. La causa può essere menzionata ma non definita.

3. La causa può addirittura non essere menzionata.

Laddove essa è definita non è necessario il ricorso alla dottrina e alla giurisprudenza, cosa che avviene laddove la causa non è definita, ma solo menzionata nei codici. Laddove, infine, la causa non è neppure menzionata nei codici, si registra con maggiore evidenza il divario tra il testo normativo e la costruzione dottrinale e giurisprudenziale del suo significato. Nel caso italiano, la causa assume diversi ruoli: 1. Dà il fondamento alla rilevanza giuridica del contratto.

2. E’ criterio interpretativo del contratto.

3. E’ criterio di qualificazione.

4. E’ criterio di adeguamento, in relazione alla sopravvenienza delle circostanze esterne al

programma economico delle parti.

3 L’equity è il nome attribuito ad un insieme di principi di diritto seguiti nei Paesi dotati di un sistema di common law, che intervengono, in via suppletiva, ogniqualvolta l'applicazione dello stretto diritto risulti in concreto iniqua, operando come criterio di giustizia che tiene conto delle particolarità del caso di specie e delle correlate circostanze umane, al fine di realizzare la c.d. "giustizia del caso concreto". È spesso contrapposta, in modo improprio, alla "legge" scritta, che negli ordinamenti di common law si indica come “statutory law”.

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Si impone perciò una stretta connessione tra causa e principio causalistico: la necessari età della causa, esaminata alla luce della tutela del promittente, importa la concezione unitaria del contratto, l’inscindibilità degli effetti del contratto, l’infungibilità delle varie cause e la corrispondenza della causa al negozio concluso tra le parti, ed infine la necessaria allegazione della causa. Importante esplicitare sempre, durante la stipulazione della causa del negozio, l’intento dei negoziatori. A tal proposito esistono vari intenti nella stipulazione

della causa del negozio: 1. Impiego della causa per identificare i motivi delle parti.

2. Impiego della causa per la qualificazione del contratto.

3. Impiego della causa per il controllo della compatibilità del contratto.

4. Uso della causa per circoscrivere i rischi accollati alle parti.

5. Impiego della causa per il riequilibrio del rapporto tra le prestazioni.

I contratti del consumatore e la loro influenza sulla disciplina del contratto Uno dei problemi che pervadono oggi la letteratura europea in materia di contratti riguarda la correlazione tra la disciplina dei contratti dei consumatori e la disciplina del contratto in generale. La categoria dei contratti dei consumatori è penetrata nell’universo concettuale e normativo delle esperienze dei paesi membri dell’Unione europea, a seguito dell’approvazione della direttiva 93/13/CEE, con la quale si è introdotto, per ragioni di protezione della concorrenza, per agevolare la circolazione di beni e servizi nel mercato interno e per la tutela degli interessi dei consumatori, un controllo giudiziale delle clausole

abusive. In alcuni ordinamenti la disciplina delle clausole abusive era già prevista: è il caso di Germania, Regno Unito e Francia. Negli ordinamenti in cui già esistevano modelli d’intervento, la direttiva ha comportato problemi derivanti dalla sovrapposizione delle due normative, il problema del loro coordinamento, e la scelta del mantenimento di una doppia formazione, oppure della loro unificazione. In Italia la categoria della vendita di immobili è sempre stata considerata estranea all’ambito di operatività della direttiva. Molteplici sono le ragioni che militano a favore di questa scelta: la vendita di immobili è strettamente legata, per la sua disciplina particolare, alla circolazione giuridica della proprietà immobiliare (mentre la vendita di beni di consumo è assoggettata ad una disciplina più semplificata, anche nelle forme) e non è materia di diritto comunitario. Per contro, si è stabilito recentemente di inserire anche i contratti di locazione di abitazioni nell’ambito dei contratti dei consumatori. I processi di armonizzazione e di unificazione del diritto contrattuale I processi di armonizzazione e di unificazione del diritto dei contratti non nascono ex novo. Non si tratta solo di circolazione di modelli giuridico-formali, ma anche della circolazione di prassi contrattuali e commerciali, della circolazione di modelli di decisione. Le categorie di comparazione sono in massima parte le seguenti:

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1. Libertà contrattuale

2. Buona fede, correttezza, ragionevolezza

3. Protezione della parte debole

4. Trattativa

5. Formazione del contratto

6. Contenuto

7. Forma

8. Conservazione

Il contratto, in qualsiasi modo venga denominato e concepito, appare come veste giuridica di un’operazione economica. La terminologia in questi testi è sufficientemente omologata in lingua inglese, ma un po’ in tutte le giurisdizioni, i concetti sono esposti in maniera semplice e

pratica. Altre caratteristiche comuni sono il prevalere dell’oggetto sulla causa; inoltre il

controllo di liceità è affidato ai giudici nazionali. Il contratto è considerato fonte di obbligazioni, piuttosto che come strumento di trasferimento della proprietà; al contratto si tende ad assegnare una durata e degli effetti che sono curvati allo scopo che è diretto a realizzare. La forma è tendenzialmente libera, per non impacciare la conclusione di operazioni economiche. Quando prevista, la forma è intesa come tecnica di tutela delle parti contraenti, perché esse comprendano il significato vincolante dell’operazione e i contenuti delle obbligazioni assunte. La parte più debole è protetta da quella più forte, più informata e preparata. Lo squilibrio economico tra le prestazioni cede allo squilibrio giuridico, ed in ogni caso il giudice si preoccupa di introdurre elementi correttivi. Gli stessi comportamenti negoziali delle parti, nelle diverse fasi dell’operazione, sono controllati mediante criteri di correttezza e ragionevolezza. L’operazione economica viene salvaguardata quanto più possibile, nel senso che prevalgono gli strumenti di riequilibrio e di adattamento piuttosto che quelli rivolti allo scioglimento del vincolo. Sul fronte della comparazione in senso stretto, interpretazione e integrazione operano in modo oggettivo. Le parti non sono considerate operatori neutri, ma si dà rilevanza al loro status. Il modello di riferimento, infine, rimane quello della compravendita, o comunque dello scambio. L’armonizzazione del diritto contrattuale e il progetto di Codice civile europeo Il processo di ravvicinamento del diritto civile e commerciale europeo ha preso avvio da alcune iniziative assunte dal Parlamento europeo con la risoluzione del 26 maggio 1989, su un’azione volta ad avvicinare il diritto privato come disciplinato negli ordinamenti nazionali, e con la risoluzione del 6 maggio 1994 sull’armonizzazione di taluni settori di diritto privato negli stati membri. L’acquis comunitario è già una realtà ampiamente sperimentata. Le opzioni offerte dagli organi preposti dell’Unione europea sono quattro: 1. Astensione del legislatore comunitario da ulteriori interventi;

2. Promozione di un complesso di principi comuni in materia di diritto dei contratti per arrivare

ad una maggiore convergenza degli ordinamenti nazionali;

3. Miglioramento qualitativo della legislazione esistente: è la proposta di ritoccare le disposizioni

già approvate per colmare le lacune, eliminare le antinomie e chiarire le formule ambigue;

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4. Adozione di una nuova ed esaustiva legislazione a livello comunitario.

Quest’ultima proposta si dirige indubbiamente verso la redazione di un nuovo testo uniforme. In realtà le opzioni davvero presenti sul tavolo di concertazione solo soltanto la “2” e la “4”. Stando agli atti delle sedute parlamentari europee, viene rilevato che e direttive approvate in materia di diritto civile provocano, se combinate con gli ordinamenti nazionali di diritto civile, alcuni problemi. In definitiva, i confini giuridici dell’Europa progressivamente si assottigliano, e proprio uno degli elementi identificativi dell’identità europea potrebbe essere apportato dalla costruzione di un ordinamento di diritto sostanziale e processuale unitario.

LA RESPONSABILITÀ CIVILE

Per responsabilità civile 4 s’intende quella branca del diritto privato che disciplina il sorgere di un obbligo in capo ad un soggetto che ha arrecato un danno al di fuori di un rapporto di natura contrattuale. Mettere l’accento sulla natura extracontrattuale della responsabilità implica che vi sia chiarezza sull’area confinante, che è quella della responsabilità contrattuale. Già da questa presentazione ci si avvede che l’oggetto varia a seconda: 1. dell’ambito della responsabilità contrattuale;

2. dell’esistenza di fonti di obbligazioni diverse dal contratto e dal fatto illecito produttivo di

responsabilità;

3. dell’identificazione degli elementi costitutivi della fattispecie di responsabilità.

L’evoluzione dei sistemi di responsabilità civile è poi influenzata da due ulteriori fattori: 1. La crescente complessità, per numero ed intensità, dei rapporti fra i soggetti

appartenenti ad una comunità, che non può più essere considerata localistica, ma che ha un’estensione planetaria.

2. Lo sviluppo economico-sociale, il quale tende nei paesi occidentali a ridurre i divari fra i cittadini e a raggiungere un’uguaglianza sostanziale, rende sempre più consapevoli i soggetti danneggiati della possibilità di ricorrere a procedure legali

4 La responsabilità civile rientra nella categoria più ampia delle responsabilità giuridiche. In particolare la locuzione ha un duplice significato: da un lato indica l’istituto composto dalle norme cui spetta il compito di individuare il soggetto tenuto a supporto il costo della lesione ad un interesse altrui; dall'altro può essere considerata sinonimo della stessa obbligazione riparatoria imposta al soggetto responsabile. La r.c. quale istituto si fonda su una molteplicità di norme distribuite in due grandi gruppi di cui agli artt. 2043 ss. c.c. e 1218 ss c.c. Esistono, poi, altre disposizioni previste per specifiche fattispecie. All'interno della r.c. si rinviene la disciplina del cd. "fatto illecito" descritto, in via generale dall'art. 2043 c.c. che obbliga chiunque arrechi, con fatto proprio, doloso o colposo, un danno "ingiusto" ad altra persona, al risarcimento del danno. Un atto illecito è un atto vietato dall’ordinamento: è una condotta umana per la quale l’ordinamento esprime un comando, un ordine cogente, di osservare un determinato contegno, e la cogenza del comando è espressa e coincide con l’imporre una sanzione a carico del trasgressore.

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ripristinatorie o risarcitorie e sempre meno disposti a sopportare il danno senza reagire giuridicamente. Il che ovviamente moltiplica il numero di azioni giudiziarie.

La comparazione degli orientamenti giurisprudenziali Le questioni che si esamineranno riguardano l’antigiuridicità della condotta dell’evento, il nesso causale fra condotta ed evento e la responsabilità per attività d’impresa. Antigiuridicità. S’intende quell’elemento dell’illecito civile che consente di affermare che il

comportamento del soggetto è appunto illecito, perché contrastante con una regola. In termini sommari si può dire che mentre negli ordinamenti continentali l’antigiuridicità è prevalentemente collegata alla sussistenza in capo al danneggiato di una situazione giuridica protetta, nei sistemi di common law essa è prevalentemente collegata alla sussistenza in capo al danneggiante di un divieto o di un obbligo. Nesso causale. Nei diversi sistemi della responsabilità civile il problema causale, inteso come riconducibilità all’azione di un soggetto di conseguenze negative subite da un altro soggetto, emerge in modo autonomo solo in tempi relativamente recenti che possono individuarsi, grosso modo, nell’età della codificazione. La ragione è duplice: per un verso, nell’epoca precedente, ci si interroga soprattutto sul nesso causale nel risarcimento del danno da inadempimento contrattuale. Per altro verso, , fin dall’epoca romana il nucleo essenziale dei fatti illeciti era costituito da comportamenti nei quali il danno veniva arrecato dalla persona dell’offensore direttamente contro la persona (o la proprietà) dell’offeso. Nell’Ottocento il nesso causale diventa uno degli elementi essenziali nella struttura della responsabilità per fatto illecito, utilizzato soprattutto al fine di escluderla. Responsabilità dell’impresa. Una delle grandi sfide che ha affrontato il sistema della responsabilità civile in tutti i paesi industrializzati è il proliferare dei fatti dannosi legati allo sviluppo delle imprese ed alla progressiva automazione dei processi produttivi. L’esempio topico sono gli infortuni sul lavoro. Il mero verificarsi del fatto dannoso nell’impresa o

nell’esercizio delle sue attività dà luogo all’erogazione previdenziale. Assai più complesse e lunghe sono le vicende relative ai danni arrecati dall’impresa al di fuori dei propri locali o luoghi di esercizio dell’attività a soggetti diversi dai propri dipendenti, ovvero ai consumatori. Nel momento in cui si verifica un fatto dannoso addebitato ad un prodotto si pongono numerosi problemi che solo all’apparenza sono meramente pratici: essi sono costanti e dunque caratterizzano la categoria: • Spesso il prodotto, al verificarsi del danno, è distrutto o viene sottoposto a modifiche strutturali.

• Poiché tra la fase di produzione e il momento del verificarsi del danno trascorre solitamente un

tempo rilevante, può riuscire assai difficile rilevare quando e come si è verificato il difetto.

• Lo sviluppo dei sistemi di trasporto consente che vengano immessi sul mercato prodotti

fabbricati da soggetti distanti, i quali si affidano a numerosi intermediari per la distribuzione.

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Le particolarità ora enunciate influiscono direttamente su quelli che sono elementi costitutivi della fattispecie illecita: la colpa, il nesso causale, l’imputazione della responsabilità e

la prova. Qualora si applicassero rigorosamente le regole abituali, la declaratoria di responsabilità del produttore sarebbe, il più delle volte, negata. Non è, pertanto, inusuale che nel caso della responsabilità dell’impresa per i danni da prodotti si assista alla sovrapposizione dei rimedi collocati nell’ambito contrattuale e di quelli extracontrattuali: spesso, ma non sempre, il danneggiato ha un rapporto contrattuale con il produttore e dunque può agire per l’inadempimento di quest’ultimo.

LE SUCCESSIONI NEL DIRITTO COMPARATO

L’essenza del fenomeno successorio si risolve nel complesso di regole che collegano alla morte di una persona la trasmissione delle situazioni soggettive e dei rapporti giuridici che ad essa facevano capo. Le scelte fondamentali del diritto delle successioni a causa di morte si possono immaginare disposte in una serie di cerchi concentrici, al cui nucleo si colloca l’appartenenza al diritto privato, cui seguono la riserva a favore dei legittimari, la libertà testamentaria, il principio della successione nell’universalità dei beni. In questo campo, la varietà di nozioni giuridiche presenti nei vari ordinamenti nazionali, scoraggia più di un comparatista a volere trovare soluzioni armoniche. E’ possibile definire quattro modelli successori (ciascuno collegato ad un’esperienza storica) in relazione ai quadranti descritti dagli assi ortogonali: 1. Successione familiare e non proprietaria;

2. Successione che non è né familiare né proprietaria;

3. Successione proprietaria e non familiare;

4. Successione insieme familiare e proprietaria.

Il venir meno della funzione politica della vicenda successoria si lega al fatto che lo strumento successorio in quanto tale non appare più idoneo a trasmettere il potere o la legittimazione sociale, sia esso il comando del clan familiare o la carica politica. Per altro verso, alla trasmissione ereditaria del patrimonio familiare non può più riconoscersi una funzione propriamente assistenziale/previdenziale, oggi assolta essenzialmente dallo Stato attraverso i meccanismi del welfare state. L’anticipazione degli effetti successori si lega, invece, al dato demografico: il prolungarsi della vita media ha determinato un salto generazionale nella trasmissione ereditaria, in quanto statisticamente si eredita in un’età compresa fra i 30 e i 50 anni, dunque dopo l’inserimento nel mondo del lavoro. Infine, strettamente connesso alle strategie di pianificazione ereditaria, è l’emergere di un sistema successorio parallelo per effetto di forme di delazione triangolari, che prescindono e sostituiscono il testamento. Dell’evoluzione della famiglia l’attuale diritto delle successioni è largamente tributario. Si pensi alla trasformazione della famiglia da unità produttiva ad unità di consumo, alla concentrazione del gruppo familiare ormai ridotto alla sua dimensione nucleare, all’attribuzione di compiti che prima gravavano sulla famiglia ad altri istituti frutto dello Stato sociale.

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Incidenza della trasformazione della ricchezza sull’istituto successorio Un discorso meno lineare di quello proposto per la famiglia può essere svolto con riguardo alla proprietà. Non può certo porsi in dubbio che il riferimento alla proprietà costituisca un dato indispensabile per comprendere l’evoluzione storica del diritto delle successioni. La prospettiva storica, ad esempio, consente di ipotizzare una spiegazione al fatto che sistemi giuridici caratterizzati da uno stato di sviluppo simile si sono ritrovati a disciplinare il fenomeno successorio in maniera diversa. La progressiva distribuzione della ricchezza tra le classi sociali fa sì che il fenomeno successorio interessi fasce crescenti della popolazione. Al tempo stesso, però, questo porta all’impoverimento del contenuto della successione, tanto che si è parlato di proletarizzazione dell’eredità, proprio a sottolineare che l’accumulazione consentita dal reddito da lavoro riduce il relitto essenzialmente ai risparmi ed ai beni di uso personale. E’ sufficiente limitare il discorso a tre esempi: 1. Nelle moderne economie capitaliste i beni produttivi sono di proprietà delle persone giuridiche,

che evidentemente si estinguono per ragioni diverse dall’avvicendarsi dei soci.

2. Si sono delineate una serie di nuovi beni, quali la previdenza pubblica e privata, la cui

allocazione è considerata indifferente alle regole di successione mortis causa.

3. Le strategie di riproduzione del potere sociale passano attraverso il capitale umano e si collocano

al di fuori della trasmissione ereditaria.

Una proposta di lettura ancora diversa è quella che rivolge attenzione alla natura e alle caratteristiche dei beni che cadono in successione, anche se la prospettiva dei moderni sistemi successori afferma che la legge non considera né la natura, né l’origine dei beni per regolarne la successione.

LA SOCIETÀ PER AZIONI La Società per azioni (SPA) è una società di capitali, in cui le partecipazioni dei soci sono espresse in azioni. Questo significa che il capitale sociale è frazionato in un determinato numero di titoli, ciascuno dei quali incorpora una certa quota di partecipazione e i diritti sociali inerenti alla quota stessa. In quanto società di capitali, le SPA sono caratterizzate anche dall'autonomia patrimoniale perfetta, ossia dal massimo grado di autonomia patrimoniale. Il patrimonio della società, in altre parole, risulta essere completamente distinto da quello dei soci che, quindi, non sono chiamati a rispondere delle obbligazioni sociali. La responsabilità dei soci è limitata, in via di principio, alla sola quota di partecipazione. Nel Codice civile gli articoli che trattano della SPA si trovano dal 2325 ss. Origine storica La nascita del modello societario “SPA” si fa risalire alle compagnie coloniali dei secoli XVII e XVIII. Le esplorazioni e gli insediamenti coloniali necessitavano di ingenti finanziamenti e comportavano altresì alti rischi per l'investimento effettuato. Per attrarre i finanziatori, i sovrani presero a concedere la separazione patrimoniale tra la società e i

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soci, cosicché questi ultimi non esponessero il loro intero patrimonio al rischio, ma solo il denaro investito nella compagnia. Da notare come sia essenziale sin dall’origine il momento del finanziamento dell’attività. Con le codificazioni napoleoniche, all’inizio del XIX secolo, venne introdotto un tipo generalizzato di società anonima, a cui i privati potevano ricorrere per ottenere, mediante il rispetto di determinate procedure, il beneficio dell’autonomia patrimoniale perfetta. Tipi reali di società per azioni In seguito alla riforma del diritto societario del 2003, si possono individuare tre livelli di disciplina della SPA a seconda del cosiddetto “modello socio-economico” sottostante. Il principio che anima questa tripartizione della regolamentazione è la considerazione delle differenze che intercorrono tra una piccola impresa con pochi soci che decidono di utilizzare il modello organizzativo SPA, e invece una SPA di grandi dimensioni con azionariato diffuso e frammentato e che faccia anche ricorso al mercato dei capitali di rischio. Si delineano quindi tre tipi:

1. SPA modello chiuso: la disciplina è quella codicistica, salvo qualora il legislatore detti norme specifiche per le società che fanno ricorso al mercato dei capitali di rischio o alle quotate che non valgono per questo primo tipo.

2. SPA modello aperto non quotata: si applicano anche le regole dettate per le società che fanno ricorso al mercato dei capitali di rischio.

3. SPA modello aperto quotata: vi sono quattro piani successivi in cui cercare la soluzione ai quesiti normativi. • Leggi speciali (es. T.U. Finanza D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58).

• Norme speciali per le quotate contenute nel Codice civile (es. 2441, 4° comma).

• Norme che si riferiscono alle società che fanno ricorso al mercato dei capitali di rischio.

• Diritto societario comune.

Per determinare quando una società faccia ricorso al mercato dei capitali di rischio occorre fare riferimento alla norma risultante dall'art. 2325 bis c.c., al 1° comma: “Sono società che

fanno ricorso al mercato dei capitali di rischio le società emittenti di azioni quotate in mercati

regolamentati [e qui si fa riferimento alle quotate] o diffuse fra il pubblico in misura rilevante".

Caratteristiche fondamentali Inquadriamo gli elementi che caratterizzano questo tipo societario, la cui sussistenza è essenziale per applicare la normativa relativa a questo istituto: • L’intento di limitare il rischio. • La presenza di azioni che rappresentano la partecipazione dei soci alla società. • La corporazione normativa: il legislatore impone che i poteri siano rigidamente

distribuiti tra diversi organi. Se viene meno uno di questi elementi non si considera integrata la fattispecie, e quindi non è applicabile la disciplina della SPA.

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Costituzione Le condizioni per la valida costituzione di una SPA sono quattro: • Un contratto associativo tra due o più persone o un atto unilaterale (nel caso della

SPA cosiddetta unipersonale, cioè con un unico socio). • La redazione di un atto costitutivo e di uno statuto per atto pubblico, contenenti

importanti informazioni sulla società (sede principale e sedi secondarie, oggetto sociale, ammontare del capitale) e le regole dell’agire comune che i soci stabiliscono.

• L’intera sottoscrizione di un capitale sociale il cui valore non deve essere inferiore ai 120.000 euro (una percentuale pari o superiore al 25% del capitale sociale dichiarato nell’atto costitutivo deve essere depositata presso un istituto di credito oppure una polizza assicurativa per una somma equivalente deve essere stipulata a fini di garantire il conferimento)

• Il deposito dell’atto costitutivo presso il registro delle imprese (da effettuarsi ad opera del notaio oppure in caso di inadempienza a cura degli stessi amministratori nominati nell'atto costitutivo) e la conseguente iscrizione della società in tale registro: solo a seguito di questa operazione la società acquisirà personalità giuridica e autonomia patrimoniale perfetta.

Solo al momento dell'iscrizione della società nel registro delle imprese si verifica la separazione patrimoniale tra il patrimonio dei soci e quello della società: la società acquista la personalità giuridica (art. 2331 c.c.). Degli atti compiuti nel periodo che intercorre tra la stipula dell'atto costitutivo e la sua iscrizione nel registro rispondono chi li ha compiuti e chi si ritiene abbia dato l'ordine. Tali atti possono poi essere ratificati dalla società, una volta che sia sorta, con l'effetto di aggiungere la responsabilità della società nei confronti dei terzi e, sul piano interno, di sollevare il socio che ha agito. Prima della riforma del diritto societario del 2003, non era consentito costituire SPA di tipo unipersonale. Qualora tale ipotesi si fosse verificata durante la vita della società, la conseguenza sarebbe stata il superamento della separazione patrimoniale ai danni dell'unico socio il quale avrebbe risposto, seppur in via sussidiaria illimitatamente con il proprio patrimonio delle obbligazioni assunte dalla SPA. Inoltre il permanere di tale situazione per un periodo di sei mesi era una delle cause di scioglimento della società. Attualmente, qualora si verificasse l’unipersonalità del socio nella SPA, il principio dell'autonomia patrimoniale perfetta è derogato solo nel caso in cui non siano stati effettuati per intero i conferimenti e non si sia adempiuto a pubblicizzare il fatto secondo gli oneri speciali del caso. L'atto costitutivo deve contenere: - Generalità dei soci e degli

eventuali promotori - Denominazione sociale e sedi - Oggetto sociale - Capitale sottoscritto e

capitale versato - Numero delle azioni emesse, valore nominale delle azioni, modalità di emissione,

modalità di circolazione delle azioni - Valore dei crediti e dei beni conferiti - Norme sulla

ripartizione degli utili - Benefici dei soci promotori o dei soci fondatori - Sistema amministrativo

adottato, numero, poteri, rappresentanza degli amministratori - Membri del collegio sindacale (3

oppure 5 + 2 sostituti) - Eventuale durata della società - Spese di costituzione a carico della società.

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Nullità della società (art. 2332 c.c.) La disciplina della nullità della Spa è rilevantissima perché mostra come il momento contrattuale che sta alla base della nascita della società lasci il campo al momento funzionale e organizzativo. Infatti una volta avvenuta la registrazione della società nel registro delle imprese, non valgono più le normali cause di nullità degli artt. 1418 e ss. c.c. ma si applica la differente disciplina del 2332 c.c.: "Avvenuta l'iscrizione nel registro delle

imprese, la nullità può essere pronunciata soltanto nei seguenti tre casi:

1. Mancata stipulazione dell'atto costitutivo nella forma di atto pubblico; 2. Illiceità dell'oggetto sociale; 3. Mancanza nell'atto costitutivo di ogni indicazione riguardante la denominazione della società, o

i conferimenti, o l'ammontare del capitale sociale o l'oggetto sociale. Azioni Le azioni rappresentano la partecipazione sociale. Danno accesso, a seconda dei tipi, a diritti amministrativi e/o patrimoniali. A seguito della riforma del diritto societario è stato aumentato il grado di atipicità dell'azione. In pratica nell'atto costitutivo i soci possono predisporre i più diversi tipi di azioni, corredati dalle più varie combinazioni di diritti amministrativi e patrimoniali. Gli unici vincoli sono: il capitale minimo di 120.000 euro deve essere interamente composto da azioni di tipo ordinario, e le azioni prive del diritto di voto non possono superare la metà del capitale sociale. Importante novità post-riforma è la possibilità concessa ai soci di stabilire nell’atto costitutivo un’assegnazione delle azioni diversa dal criterio dispositivo che è l'assegnazione proporzionale alla quota di capitale sociale sottoscritto. La conseguenza è una maggiore adattabilità del modello societario SPA al volere dei soci: è ora possibile attrarre soggetti particolarmente meritevoli o utili alla società mediante l'assegnazione di un numero di azioni superiore a quelle loro spettanti. I diritti dell’azionista possono essere: • Diritti patrimoniali: diritto all'utile, diritto alla quota di liquidazione. • Diritti amministrativi: diritto di intervento in assemblea, diritto di voto in assemblea,

diritto di impugnazione delle deliberazioni, diritto a consultare i libri contabili e i progetti di bilancio, il libro delle deliberazioni ed il libro soci.

• Diritti di controllo: diritto di denuncia di eventuali sospetti fondati di irregolarità. • Diritti di disporre: pegno/usufrutto dell'azione.

COMPARAZIONE DEL DIRITTO DELLE SOCIETÀ PER AZIONI Il diritto delle società presenta alcune caratteristiche comuni nella maggior parte degli ordinamenti vigenti nei diversi paesi. Tra questi, la distinzione tra società di persone e società

di capitali, l’attribuzione della personalità giuridica alle società di capitali, la presenza di società per

azioni, il progressivo affermarsi di società a responsabilità limitata e di società unipersonali. Generalmente, le società di tipo personale sono caratterizzate dalla responsabilità illimitata e solidale dei soci per le obbligazioni sociali sia nei paesi di derivazione romanistica che nei paesi di common law. Inoltre, il potere di amministrare è insito nella

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qualità di socio. Da questi principi discende che non è possibile trasferire la qualità di socio senza che gli altri soci vi acconsentano. Le società capitalistiche presentano caratteristiche opposte. Per esse vige, anzitutto, il principio della responsabilità limitata per cui i soci rispondono delle obbligazioni sociali soltanto nei limiti del proprio conferimento. Inoltre, le funzioni amministrative non sono direttamente correlate alla titolarità dello status di socio, che ha unicamente il diritto di concorrere alla nomina degli amministratori e al controllo del loro operato attraverso il proprio voto in assemblea. Lo status di socio può essere generalmente ceduto ad altri – a meno che lo statuto non limiti tale possibilità – per mezzo della cessione delle quote di partecipazione al capitale. La

società per azioni è il prototipo delle società di capitali, che tuttavia nei diversi paesi rappresenta realtà notevolmente diverse. La società per azioni è prevalentemente destinata alle società quotate, società di grandi dimensioni che fanno appello al pubblico risparmio, ma è impiegata anche in modo più ampio in altri paesi in cui, anche a causa di motivi psicologici, sociali, fiscali o legati a particolarità della disciplina della società, il numero delle società per azioni è elevato, ma la maggior parte di esse non è quotata e a volte è utilizzata per fini estranei alle regole del diritto societario. Nelle società

per azioni aperte il rispetto degli interessi in gioco rende necessario un maggiore formalismo procedurale ed una struttura di gestione e di controllo adeguata. Ciò non avviene nelle società per azioni chiuse, che sono di dimensioni più limitate. Costituzione. In Spagna e in Italia il numero dei soci di una società per azioni può ridursi ad uno dopo la costituzione. Le legislazioni di tutti i paesi membri della CE ammettono la costituzione da parte di una sola persona di società a responsabilità limitata. Le relative normative sono state introdotte spontaneamente in Danimarca, Germania, Francia, Olanda e Belgio, e in attuazione della XII direttiva negli altri paesi. Generalmente, la società

unipersonale è considerata come strumento di esercizio dell’attività imprenditoriale individuale, con il beneficio della responsabilità limitata, in minor misura come mezzo di raggruppamento della grande impresa. Nei paesi di civil law esiste la distinzione tra atto costitutivo e statuto, ma non assume la stessa rilevanza che nei paesi di common law. Anche in questi paesi la legge fissa il contenuto minimo dell’atto costitutivo e dello statuto, lasciando alla libera disponibilità delle parti l’inserimento negli statuti di particolari condizioni. Laddove, infatti, come nei paesi di common law, la società per azioni si è storicamente sviluppata come organismo a base associativa (corporation), completamente distinto dalle partnerships o società di persone (che sono contratti per lo svolgimento in comune di attività commerciale), non c’è alcun limite alle attività che possono essere svolte. Anche in Germania la società per azioni può avere ad oggetto un’attività con finalità non lucrative o anche un’attività non economica. Ciò deriva dalla diversa struttura che in tale sistema la società per azioni e le altre società di capitali presentano rispetto alle società di persone. Nei paesi di tradizione romanistica, invece, la società per azioni è rimasta collegata in modo più stretto agli altri tipi di società che svolgono attività economica e distinta nettamente dalle associazioni. Un problema sorge in

quei paesi che hanno conservato la distinzione tra società civili e commerciali. Il criterio di

distinzione tra i due tipi di società è dato proprio dall’oggetto sociale. Più recentemente si è affermato il criterio di distinzione basato sulla forma assunta dalla società. Questa

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tendenza si è affermata soprattutto con riferimento alle SPA, nelle quali difficilmente le attività relative alla costituzione e al funzionamento possono svolgersi senza comportare la creazione di un’impresa. Nei paesi di common law l’oggetto sociale rappresentava un vero e proprio limite alla capacità della società. L’assemblea dei soci. L’assemblea generale ha nei diversi ordinamenti una disciplina dettagliata con riferimento alle società di capitali, delle quali costituisce l’organo destinato ad esprimere la volontà sociale. I poteri dell’assemblea degli azionisti variano in base all’ordinamento. Gli organi amministrativi della società. La struttura degli organi amministrativi delle SPA nei diversi ordinamenti sono disciplinati secondo due modelli: tradizionale francese a

struttura monista (che comprende anche l’Italia) e tedesco a struttura dualista. Il controllo. Mentre nelle società civili e personali il controllo sull’’operato di chi amministra la società può essere esercitato da qualunque socio, nella SPA e nelle SRL tale controllo è esercitato in vari modi e a diversi livelli. Nelle SPA, il controllo può essere esercitato da organi interni delle società o da professionisti esterni. Può essere inoltre previsto un controllo di tipo pubblicistico svolto da organi statali o dall’autorità giudiziaria operante come controllo permanente o come reazione a situazioni patologiche. In pochi ordinamenti (tra cui la Spagna) ormai è ancora previsto e disciplinato un organo di tipo sindacale sul modello italiano. Le funzioni di detto organo tendono infatti ad essere attribuite all’organo di amministrazione negli ordinamenti che, sul modello tedesco, sdoppiano tale organo in direttorio e collegio di vigilanza. Il bilancio d’esercizio. In tutti i paesi le società di capitali devono redigere, di solito al termine di ogni esercizio, un bilancio da cui risulti il valore del patrimonio sociale e l’ammontare degli utili, se vi sono, distribuibili al termine dell’esercizio stesso. Il bilancio si presenta pertanto come uno dei principali strumenti posti dai diversi ordinamenti a tutela sia degli interessi dei terzi che intrattengono rapporti con la società, sia degli azionisti, tanto di maggioranza quanto soprattutto di minoranza. Si possono individuare due sistemi di formazione del bilancio. Nei paesi a consiglio di amministrazione monista, con esclusione dei paesi di common law, il bilancio è redatto dall’organo che sovrintende alla gestione, è controllato da un diverso organo e approvato dall’assemblea. I paesi ad organo di amministrazione dualista e i paesi di common law non riconoscono invece all’assemblea il potere di approvare il bilancio. Gruppi di società. La grande impresa economica appare spesso frammentata in una pluralità di società. Di solito si individua una società capogruppo, per lo più una SPA, che detiene le partecipazioni nelle altre società secondo una struttura cosiddetta “a stella” o, in alternativa, “a piramide”. La capogruppo è a volte affiancata da società satellite, ad essa sottomesse. Compiti affidati alla capogruppo sono gestire le partecipazioni (esempio Belgio e Lussemburgo) o partecipare alla gestione delle società partecipate. Anche quest’ultime sono spesso SPA.

Page 23: Europa - Diritto privato comparato - Diritto privato comparato.pdf · diritto tributario, penale, amministrativo. Anche tra più soggetti pubblici possono esistere rapporti disciplinati

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Trasformazione, fusione e scissione. Tra le modifiche dell’ordinamento societario, le delibere di trasformazione e di fusione rappresentano il limite estremo fino al quale possono giungere i mutamenti posti in essere dall’interno della stessa società senza che essa si estingua. Si tratta infatti di atti interni della società che possono cambiare interamente la sua forma organizzativa, trasformandola da un tipo ad un altro o cambiando interamente la sostanza della sua organizzazione, fondendola con un altro organismo societario o in un altro organismo societario. Per quanto riguarda la trasformazione, può trattarsi della trasformazione di una società di persone in altra società a base personale o in società di capitali; oppure viceversa. Quanto alla fusione, la normativa è stata armonizzata in seguito all’emanazione di una direttiva comunitaria del 1978. Presupposto della fusione e della scissione è il progetto, che deve essere predisposto dagli amministratori delle società partecipanti, reso pubblico e accessibile ai soci almeno un mese prima della data fissata per la riunione dell’assemblea che dovrà decidere sull’opportunità o meno del progetto. Scioglimento. I diversi ordinamenti prevedono che, al verificarsi di talune circostanze, definite “cause di scioglimento della società”, il rapporto societario si sciolga e la SPA entri in liquidazione. L’effettiva esistenza delle cause di scioglimento può dare luogo a contrasti tra soci per dirimere i quali deve intervenire l’autorità giudiziaria. L’assemblea dei soci può intervenire non solo per rimuovere la causa di scioglimento, ma anche per deliberare essa stessa lo scioglimento della società. In entrambi i casi si tratterà di una modifica dell’atto costitutivo. Una delle cause di scioglimento è la scadenza del termine di durata previsto dallo statuto, salvo proroga del termine stesso. Altra causa è il conseguimento

dell’oggetto sociale, qualora esso sia dettagliatamente circoscritto. Anche l’impossibilità di

conseguire l’oggetto sociale determina lo scioglimento della società. L’impossibilità dovrà essere di tipo oggettivo e indipendente da calcoli di convenienza e da difficoltà economiche della società.