Eugenio De Caro - Note sulla Fenomenologia dell'Estetico
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R E P R I N T
NOTE SULLAFENOMENOLOGIADELL’ESTETICO
EUGENIO DE CARO
NOTE SULLAFENOMENOLOGIADELL’ESTETICO
EUGENIO DE CARO
Milano 1996
© 1996-2013 EDUCatt - Ente per il Diritto allo Studio Universitario dell’Università Cattolica Largo Gemelli 1, 20123 Milano - tel. 02.7234.22.35 - fax 02.80.53.215 e-mail: [email protected] (produzione); [email protected] (distribuzione) web: www.educatt.it/libri
ISBN: 978-88-6780-039-1
Associato all’AIE – Associazione Italiana Editori
Questo volume è stato stampato per la prima volta nel mese di settembre 1996 presso la Litografi a Solari (Peschiera Borromeo) e, nel mese di ottobre 2013, in ristampa anastatica rispettosa dell’originale.
Indice capitolare
pagina
Introduzione 5
1. Wertnehmung e oggettivazione estetica in
Edmund Husserl 11
Estetica come Wertlehre 14
Piacere e valore estetici: das Interesse an der
Erscheinung 17
Wertnehmung e predicabilità del bello 24
Conoscenza estetica come intenzionamento del
possibile 31
2. Un progetto di estetica fenomenologica:
Stefano Zecchi 37
Estetica e atteggiamento scientifico 38
Fenomenologia costitutiva 39
Esperienza ed evidenza: la descrizione fe-
nomenologica 41
Prassi costitutiva e intenzionalità corporea 43
Fenomenologia dell’arte 47
Piacere estetico 50
Eideticità e costituzione: una base estetica
dell’analitica 52
3. Praxis e tradizione. Sui rapporti tra arte
e fenomenologia 61
4. Nota sulla fortuna italiana della prima
estetica fenomenologica 71
A. Bibliografia ragionata delle traduzioni dalla
prima estetica fenomenologica 72
Roman Ingarden 72
Nicolai Hartmann 75
Waldemar Conrad 77
Moritz Geiger 78
Max Dessoir 80
Fenomenologia e arte 80
Aloys Fischer 81
B. Le origini dell’estetica fenomenologica nella
loro fortuna italiana 82
L’oggetto che interroga il fruitore: Waldemar
Conrad 85
Essenza e significato dell’arte. Estetica
fenomenologica in Walter Meckauer e Oskar
Becker 90
Soggettività e oggettività dei momenti estetici 96
Ontologia dell’arte, valore, costituzione in
Roman Ingarden 101
Schema e costituzione dell’opera letteraria 101
Modificazione di neutralità ed emozione
originaria 106
Critica e assiologia 110
Moritz Geiger e la fenomenologia della fruizione
estetica 114
Anschauliche Fülle e fruizione estetica 119
Sul rapporto arte-possibilità in Nicolai
Hartmann 123
Fenomenologia e ontologia 125
Possibilità nella realtà dell’arte 130
Realtà, prassi, progetto 132
5. Fenomenologia e «aggancio metafisico»
nell’estetica di Elisa Oberti 135
Estetica e metafisica 136
Datità sensibile ed opera: la potentielle Offen-
barung di Ingarden 143
Concetto sensibile e ulteriorità: l’universale
senza interpretazione 151
6. Arte, estetica e possibilità secondo
Virgilio Melchiorre 157
Duplicità dell’arte: possibilità e immaginazione ;158
Piacere e perfezione .i.ontologic;a; 163
Estetica e .i.metafisica: la possibilità come
simbolo dell’identico 165
Bibliografia 171
5
Introduzione1
Questo volume offre una rielaborazione e uno
sviluppo di un precedente lavoro2 in cui si faceva il
punto sull’interpretazione nel nostro paese delle poche
ma dense notazioni husserliane sull’estetica e sulla
diffusione in Italia del pensiero dei primi esponenti
dell’estetica fenomenologica tedesca. Rispetto alla
precedente edizione vengono lasciati in secondo piano
alcuni aspetti legati alla ricostruzione storica del
crescente interesse occorso in Italia, a partire dagli
anni Cinquanta, per il pensiero di Husserl e dei suoi
primi seguaci, mentre priorità viene ora data alla
evidenziazione e allanalisi dei luoghi teoretici mag-
giormente rilevanti in ordine alla possibile fondazione
di unestetica fenomenologica.3
Il primo capitolo è dedicato alla interpretazione
del manoscritto A VI 1 di Edmund Husserl dal titolo
Ästhetik und Phänomenologie, letto con riferimento
anche ad altri luoghi della produzione husserliana –
1 Le citazioni dalla letteratura primaria e secondaria verrano effettaute mediante sigle costituire dal cognome dell’autore e dall’anno di edizione, seguiti dal numero di pagina. Tutte le sigle sono facilmente scioglibili nella bibliografia. 2 Eîdos. Una ricerca sulla fortuna italiana dell’estetica fenomenolo-gica - De Caro 1990. 3 Alcuni capitoli sono stati ampliati, altri spostati o ridotti, tutti co-munque ritoccati e aggiornati. Più specificamente, sono state omesse una nota sull’attività di traduzione dell’opera di Husserl e l’appendice sui rapporti fra Husserl e Lipps. La bibliografia, aggiornata con i lavori degli ultimi cinque anni, viene invece ripresentata per intero.
5
6
in particolare alle Logische Untersuchungen, a Ideen I
e Ideen II, assieme ad altri inediti – e considerando il
dibattito che una prima parziale pubblicazione
italiana del manoscritto nel 1972 ebbe a suscitare. Se
ne potrà concludere, come avremo occasione di espli-
citare, lindubbio rilievo di queste prime e uniche
riflessioni husserliane sullestetica, dovuto sia la loro
intrinseco interesse estetologico, sia al loro nesso con
altri temi portanti del pensiero dellautore quali la
costituzione oggettuale, la genesi attiva e passiva,
l’intenzionalità fungente e la fenomenologia del valore
– nella quale, secondo un piano prospettato nella
Einleitung in die Logik und Erkenntnistheorie.
Vorlesungen 1906/07, l’estetica avrebbe dovuto occu-
pare un posto eminente, a fianco dell’etica.4
L’attenzione riservata in Italia alle brevi note
d’estetica stese da Husserl ha prodotto un cospicuo
numero di interventi volti sia a interpretare il testo,
frammentario, ma ricco di spunti, sia a cercare di
trarne sollecitazioni in vista di una fondazione
fenomenologica dell’estetica. Tra questi diversi
lavori,5 il capitolo secondo isola un gruppo di studi
sviluppati tra la fine degli anni Sessanta e i primi
anni Settanta da Stefano Zecchi, lautore che per
4 Il progetto di una fenomenologia del valore estetico adombra evidentemente un fecondo e poco esplorato campo di ricerca relativo ai rapporti tra estetica ed etica a cui sarà dedicato il capitolo sesto. 5 Queste Note – va precisato – non avanzano alcuna pretesa di esau-stività rispetto a un possibile e auspicabile bilancio complessivo sull'estetica fenomenologica italiana; l'intento dei contributi qui proposti è invece principalmente, come s’è detto, quello di individuare, all'interno del dibattito sull’estetica fenomenologica, alcuni essenziali punti teoretici sui quali è possibile far leva in vista di una fondazione fenomenologica dell'estetica.
6
7
primo ha messo in circolazione il contenuto del
manoscritto A VI 1 attraverso una sua parziale
edizione-traduzione.6
Nel capitolo terzo viene focalizzato un altro pun-
to teoretico di rilievo per il pensiero estetico e in parti-
colare per la fenomenologie delle poetiche e la
storiografia estetica proposte da Luciano Anceschi7,
vale a dire la dialettica tra ʺtradizioneʺ e ʺinnovazio-
neʺ nei suoi rapporti con lorizzonte della praxis. An-
che in questo caso, come si vedrà, la riflessione si col-
lega a problematiche più generali legate alla cosiddet-
ta ʺcostituzione fenemenologicaʺ e quindi anche ai
rapporti tra arte e fenomenologia.
Piú mirato ad aspetti storici e storiografici è in-
vece il capitolo quarto in cui, senza trascurare di evi-
denziare anche qui il portato teorico dei vari contribu-
ti, si fa il punto sulla diffusione in Italia delle fonti
della prima estetica fenomenologica tedesca, avvenuta
principalmente per merito di Gabriele Scaramuzza.8
Considerando che i primi esponenti dell’estetica
fenomenologica sono stati oggetto d’attenzione e di
studio anche in contesti filosofici affatto differenti,
6 Zecchi 1972a. 7 Per l’altra fondamentale corrente dell’estetica fenomenologica italiana facente capo alla scuola bolognese che ha parimenti contribuito a caratterizzare e arricchire il panorama degli studi estetologici negli ultimi decenni si rinvia agli esaurienti lavori di Lino Rossi e Carlo Gentili: Rossi L. 1976a; Rossi L. 1983; Gentili 1981. 8 Il recente volume sull’Estetica monacense (AAVV 1996) curato da Gabriele Scaramuzza ha ulteriormente arricchito la disponibilità delle fonti dell’estetica fenomenologica grazie alla edizione di nuovi saggi su Geiger, Ingarden, Benjamin e ad un prezioso intervento sul pensiero estetico di Aloys Fischer, autore che, come si vedrà, dovette giocare un ruolo non se-condario anche per le riflessioni husserliane sull’estetica.
7
8
negli ultimi due capitoli le letture sino a quel momen-
to presentate vengono messe a confronto con quelle
proposte da due esponenti che hanno contribuito allo
sviluppo degli studi estetologici nellarea cattolica
milanese quali Elisa Oberti e Virgilio Melchiorre.
Il quinto capitolo analizza pertanto il volume
Estetica. Teoria dell'oggetto artistico come presenza
evidenziata (1962) di Elisa Oberti, opera che, nel pa-
norama dell’estetica fenomenologica italiana, occupa
un posto del tutto particolare. Dopo un confronto con
alcuni esponenti della prima estetica fenomenologica
tedesca (Waldemar Conrad, Moritz Geiger, Roman
Ingarden, Nicolai Hartmann), così come con Jean-
Paul Sartre, Oberti avanza infatti la proposta di un’e-
stetica fenomenologico-metafisica che, prendendo con-
gedo dalle estetiche metafisiche tradizionali, consenta
di avvicinare, a suo dire finalmente senza pre-concetti
o pre-giudizi, la dimensione sensibile propria dell’arte.
Si delinea in tal modo la prospettiva di un’estetica che
possa indicare la necessità di un «aggancio all’ulterio-
rità», senza per questo abdicare alla propria autono-
mia disciplinare. Questo documenta ulteriormente
lampio spettro di posizioni che linteressante confron-
to apertosi in Italia da qualche decennio con i primi
esponenti dellestetica fenomenologica è stato in grado
di produrre.
Nel capitolo sesto vengono infine analizzate al-
cune riflessioni sul rapporto tra arte e possibilità
sviluppate di Virgilio Melchiorre; in esse un ruolo
centrale è assegnato alla fenomenologia husserliana e
specificamente al manoscritto A VI 1 di Husserl.
Come già nel caso di Elisa Oberti, si profila anche qui
una linea di lettura del pensiero husserliano di
impostazione alquanto differente rispetto a quelle
8
9
considerate nei capitoli precedenti, linea che conduce
Melchiorre a identificare nel piacere estetico lindice
di una corrispondenza ontologica tra uomo e natura e
lopera darte come il luogo simbolico capace di
attivare lintenzionalità analogica dell'essere che
caratterizza a suo avviso luomo in quanto tale.
È proprio in ragione della documentazione della
differenza tra i risultati provenienti dalle varie letture
e attualizzazioni dellestetica husserliana e dei primi
teorici dellestetica fenomenologica che questo nostro
breve repertorio sulla fenomenologia dell'estetico ha
preso forma e ci sembra mantenga, pur nella sua asi-
stematicità, una sua specifica pertinenza: esso inten-
de infatti offrire una documentazione delle differenti
linee teoretiche che la ricezione del metodo fenomeno-
logico di Edmund Husserl è in grado di attivare e del
portato che tale metodologia può liberare nel processo
di ri-fondazione dell'estetica attualmente in corso al-
l'interno del pensiero estetologico italiano contempo-
raneo. Un processo in cui la fenomenologia, come ora
si vedrà, sembra poter in definitiva contribuire a ridi-
segnare la funzione epistemologica rivestita dallarte
entro lo statuto (filosofico) dellestetica.
Fra tutti coloro che mi sono stati di aiuto nel corso della ricerca
desidero soprattutto ringraziare: il prof. Gabriele Scaramuzza
che, con cordiale disponibilità, mi ha consigliato e mi ha fornito
utili notizie sul movimento dell’estetica fenomenologica; il prof.
Elio Franzini che, molto gentilmente, mi ha indicato preziosi
riferimenti bibliografici; il prof. Francesco Piselli che, con pa-
terna dedizione, mi ha seguito nel corso delle indagini e col quale
ho discusso alcuni passaggi teoretici; il prof. Amedeo Giovanni
Conte che mi ha aiutato su questioni filologiche ed etimologiche
reltivamente alla lingua tedesca. A tutti va la mia piú sentita
riconoscenza.
Palazzolo sull’Oglio (Bs), 30 agosto 1996
9
11
Wertnehmung e oggettivazione estetica
in Edmund Husserl
L’interesse di Husserl per l’estetica è sporadico
ma non privo di diversi spunti teoretici, in gran parte
concentrati su un gruppo di fogli manoscritti catalo-
gati all’Archivio Husserl di Lovanio sotto la sigla A VI
1. Si tratta di appunti non molto sistematici e stesi in
diversi momenti, con ogni probabilità a partire dal
1906 e sino al 1918, quando vennero raccolti in un
unico plico portante il titolo Ästhetik und Phänomeno-
logie; attraverso di essi, nonostante una certa difficol-
tà interepretativa, si possono ricostruire alcune diret-
tive di fondo del pensiero husserliano sull’estetica, il
quale non ha peraltro ricevuto, nemmeno successiva-
mente, alcun organico sviluppo.9
Anzi, per quanto possa sembrare un po’ para-
9 In verità, alcuni accenni a tematiche estetologiche si trovano già nelle Logische Untersuchungen (1900-01) e si incontreranno anche in diverse altre opere; si tratta però quasi sempre di esemplificazioni in-trodotte a sostegno di altre argomentazioni e dalle quali difficilmente si potrebbe dedurre un quadro dottrinale unitario. Non è del resto un caso se gli stessi esponenti dell’estetica fenomenologica, che pur guardavano con molto entusiasmo alle Ricerche Logiche, non avevano preso le mosse dai diversi riferimenti all’arte (letteratura, statue, dipinti, mimica, melodie), alla bellezza naturale, all’artista, all’atteggiamento o al piacere estetici qua e là introdotti da Husserl in quest’opera, e nemmeno dalle notazioni sulla fantasia o sulla coscienza d’immagine, ma avevano cercato di far propria l’impostazione metodologica generale della ricerca, al fine di trasporre entro i domini dell’estetica l’antipsicologismo e l’antinaturalismo che ave-vano animato la fondazione husserliana della logica. Cfr. su ciò Scaramuzza 1989, 31-42; per un quadro della situazione dell’estetica nei primi anni del secolo cfr. Geiger 1996b e Geiger 1996a. Sui primi sviluppi dell’estetica fenomenologica cfr. Scaramuzza 1976, 1989 e 1996c.
11
12
dossale, è probabilmente grazie ai contatti coi primi
studiosi dell’estetica fenomenologica che Husserl fu
spinto a prestare una certa attenzione alle possibili
estensioni all’estetica della fenomenologia o, perlo-
meno, ad esplicitare l’analogia che di fatto veniva a
sussistere fra l’epoché fenomenologica e l’atteggia-
mento estetico.10 Che Husserl sia stato in qualche
modo sollecitato ab extra a riservare qualche atten-
zione alle questioni dell’estetica sembra esser infatti
documentato dal fatto che alcuni importanti passaggi
teoretici del ms A VI 1 provengono dichiaratamente
da Aloys Fischer e Johannes Daubert, due studiosi
della cerchia di fenomenologi di Monaco che il 17
aprile 1906 gli fecero visita a Göttingen proprio per
discutere questioni sull’oggettività estetica.11 Alcuni
dei nuclei tematici annotati in quell’occasione da
Husserl si ritrovano infatti nella dissertazione per l’a-
bilitazione di Fischer presentata nel 1907,12 ed analo-
gie anche con altri studiosi monacensi sono state di
recente evidenziate da Gabriele Scaramuzza e Karl
Schuhmann.13 Allo stesso 1906, inoltre, risale anche
un altro importante foglio del ms A VI 1 che porta il
10 Sui rapporti fra arte e fenomenologia cfr. Scaramuzza 1976; Felmann 1982; Scaramuzza 1989, 61-81; AAVV 1991; Franzini 1994; Sepp 1996; Scaramuzza 1996c. 11 Per le vicende biografiche di Husserl si veda Schuhmann 1977. In conclusione ai due fogli del manoscritto intitolati Ästhetische Objektivität Husserl annota che le riflessioni che ha appena riassunto provengono nella loro parte principale «von den beiden Freunden» Husserl ms A VI 1, Scaramuzza-Schuhmann 1990, 173. 12 Un resoconto analitico della dissertazione dattiloscritta si trova in Scaramuzza 1996c. 13 Scaramuzza-Schuhmann 1990; tr. it. 1992.
12
13
titolo Ästhetik14, mentre dell’inizio dell’anno succes-
sivo è la lettera a Hugo von Hofmannsthal, della
quale vi è pure un abbozzo sul manoscritto.15
Successivamente a questi eventi, come si è detto,
Husserl non ha dedicato alcun lavoro specifico
all’estetica come ambito autonomo del sapere, avendo
operato tuttavia saltuari riferimenti od esempli-
ficazioni sui temi dell’oggettivazione, del piacere e del
valore estetici o dell’epoché spontaneamente praticata
dall’artista. Tali notazioni, sparse nelle sue opere
edite e inedite, possono certamente essere utilizzate
per dare maggiore organicità a quanto emerge dal
manoscritto A VI 1, che resta comunque la principale
testimonianza dell’interesse husserliano per l’estetica.
Considereremo qui quanto di esso è stato sinora pub-
blicato,16 unitamente alla citata lettera a
Hofmannsthal del 12.1.1907 e ad altri passi da Ideen
I, Ideen II, dalla raccolta su Phantasie, Bildbewusst-
sein, Erinnerung curata da Eduard Marbach,17 dalle
14 In: Husserl 1980, 145-146. Risulta difficile stabilire la sua anteriorità o posterità rispetto al colloquio coi due studiosi monacensi; cfr. al riguardo Scaramuzza-Schuhmann 1990, 166 e 174; 1992, 4; 1996, 17. 15 Hirsch 1968, ora anche in Husserl 1994, 133-135; tr. it.: Scaramuzza 1985, Zecchi-Franzini 1995, 958-961, AAVV 1996, 9-14. 16 Un regesto del manoscritto si trova, volto in italiano, in Zecchi 1972a (rist. in Zecchi 1984, 111-127 e parzialmente in Zecchi-Franzini 1995, 961-963), mentre dell’originale sono stati pubblicati due fogli dal titolo Ästhetische Objektivität in Scaramuzza-Schuhmann 1990, 171-173 (tr. it. Scaramuzza-Schuhmann 1992, 11-14), altri due fogli intitolati Zur Ästhetik (Kunst), piú un quinto foglio dal titolo Ästhetik sul volume XXIII di Husserliana curato da Eduard Marbach (Husserl 1980, 144-6 e 540-2). Per ulteriori notizie sul manoscritto si rinvia alle introduzioni dei curatori ai luoghi appena citati. 17 Il punto h) del Nr. 15 (Husserl 1980, 386-393) è tradotto in italiano col titolo Coscienza e sentimento estetico in Franzini-Ruschi 1983, 225-231.
13
14
Logische Untersuchungen e dalla Einleitung in die
Logik und Erkenntnistheorie. Vorlesungen 1906/07
edita da Ullrich Melle.
Estetica come Wertlehre
Al centro dell’attenzione di Husserl sta l’oggetti-
vità estetica, considerata nella sua strutturale corre-
lazione alla soggettività e nella sua differenza rispetto
all’oggetto naturale; il tratto fondamentale dell’este-
tico resta però la presenza del valore, come Husserl
afferma anche in un altro importante luogo in cui fa
rientrare l’estetica nella «reine Wertlehre».18 Tuttavia,
le riflessioni husserliane sull’estetica si inscrivono
necessariamente anche nel contesto della complessa
teoria della modificazione degli atti intenzionali per-
cettivi, visto che, come espliciteremo tra breve, il va-
lore estetico si gioca tutto sul piano dell’Erscheinung,
cioè del concreto rapporto ad un soggetto intenzionale;
quando Husserl tratta dell’oggettività estetica sembra
18 Cosí leggiamo nella Einleitung in die Logik und Erkenntnistheorie. Vorlesungen 1906/07: «Ersetzen wir die reine Logik durch reine Ethik, reine Ästhetik, reine Wertlehre überhaupt, Disziplinen, deren Begriffe nach Analogie der reinen Logik streng und von aller empirischen und materialen Moral usw. unterschieden definiert werden müßten, dann entspricht der Erkenntnistheorie oder Kritik der theoretischen Vernunft die Kritik der praktischen, der ästhetischen, der wertenden Vernunft überhaupt, mit analogen Problemen und Schwierigkeiten wie die Erkenntnistheorie. […] Und endlich entspricht der reinen Wertlehre und der Wertungskritik die Phänomenologie der ethischen, ästhetischen und sonstigen Wertungserlebnisse, die Voraussetzung und das Fundament der Auflösung der wertungskritischen Schwierigkeiten. Schließlich kann man den Begriff der Phänomenologie erweitern zu einer allumfassenden Wesensdeskription und -analyse, also zu einer Aufweisung und analytischen Zergliederung aller Spezies von Erlebnissen, Erlebnismomenten und Erlebnisformen […]» Husserl 1984a, 381; cfr. Schuhmann 1988, 242; Scaramuzza-Schuhmann 1990, 169.
14
15
infatti quasi farsi largo una peculiare tipologia di atti
intuitivi della percezione,19 costituita da atti che non
mirano specificamente alla presenza sensibile dell’og-
getto, ma che, attraverso questa stessa presenza,
offrono un’originaria (pre-teoretica) intenzione di
valore (Wertintention, Wertnehmung), la quale funge
da base materiale per la costituzione del vero e
proprio oggetto estetico-assiologico.20 Se è vero infatti
19 Rudolf Bernet, Iso Kern ed Eduard Marbach, ordinando materiali sparsi e in continua modificazione negli sviluppi del pensiero husserliano, distinguono fondamentalmente tre tipi di atti intuitivi della percezione: 1- atti intuitivi presentativi della realtà «in carne ed ossa»; 2- atti che conferiscono all’oggetto il significato d’immagine; 3- atti della mera co-scienza di presentificazione (in cui la presenza dell’oggetto è però sempre mediata dalla coscienza riproduttiva), la quale può essere a sua volta tetica (ricordo, co-presentificazione, aspettazione), o non-tetica (pura fantasia); cfr. Bernet-Kern-Marbach 1992, capp. IV-V. Gli atti di cui stiamo parlando (cioè gli atti che, essendo fondati sul coglimento sentimentale del valore, costituiscono la vera e propria oggettività estetico-assiologica) potrebbero rientrare nella tipologia (2) della coscienza d’immagine (cioè della presentificazione non riproduttiva ma fondata percettivamente), nella quale la coscienza percettiva fondante continua ad agire, ma – spiega Husserl – in modo del tutto simile al caso della funzione segnica o simbolica: il simbolo, infatti «appare in sé, ma è portatore di un riferimento a qualche altra cosa che in esso viene designata. Cosí anche nella vera e propria funzione d’immagine l’“immagine” è costituita in una propria apprensione oggettuale ed è portatrice di un riferimento a ciò che è raffigurato» Husserl 1980, 82. Nel ms A VI 1, però, è questione di coglimento di valori, mentre le distinzioni di cui abbiamo detto sono state elaborate da Husserl in vista di una teoria della conoscenza; si tratterebbe allora di trasferire quei risultati nell’ambito dell’assiologia, e questo è ciò che Husserl sembra abbozzare nei passi che stiamo commentando. 20 A Husserl non interessano tanto le tonalità emotive delle intenzioni oggettuali quanto piuttosto la distinzione dei diversi strati di predicati oggettuali. Cosí, infatti, si esprime in Ideen II: «Im ästhetischen Gefallen ist uns etwas als ästhetisch gefällig, als schön bewußt. Die Ausgangstatsache sei, daß wir im ästhetischen Gefallen leben, uns also gefallend an das erscheinende Objekt hingeben. Wir können auf das Gefal len reflektieren, […]. Aber etwas ganz anderes ist den Blick auf den
– segue –
15
16
che ci si deve astenere dall’interpretare l’esteticità
come una semplice proiezione di vissuti soggettivi e
che la costituzione dell’oggetto estetico-assiologico si
organizza come una sorta di risposta ad una capacità
dell’oggetto, considerato nella sua «sinnliche Kom-
plexion», di provocare una determinata percezione, la
Wertnehmung non può che organizzarsi nello stesso
darsi fenomenico dell’oggettualità; e questo in quanto
è proprio quella complessione sensibile strutturata in
opera dall’artista a suscitare un piacere estetico
(Gefallen), il quale a sua volta, analogamente a
quanto accade nell’epoché fenomenologica, provoca
una modificazione di neutralità della percezione che –
Gegenstand und seine Schönheit richten. Die Schönheit schaue ich am Gegenstand an, freilich nicht wie seine Farbe oder Gestalt in schlichter sinnlicher Wahrnehmung; aber am Gegenstand selbst finde ich das Schöne . […] Ich blicke auf das Objekt hin und finde an diesem in meiner geänderten, nun theoretischen Einstellung die Korrelate dieser Gemütsakte, eine objektive Schicht, übergelagert über die Schicht der sinn lichen Prädikate […]». Husserl 1952a, 14-15. Tr. it.: «Nel piacere estetico qualcosa è per noi piacevole esteticamente, è presente alla nostra coscienza come bello. Prendiamo come fatto iniziale questo: che noi viviamo nel piacere stesso, e che quindi, attraverso questo piacere, ci dedichiamo all’oggetto che ci appare. Noi possiamo riflettere su questo piacere […] Ma una cosa completamente diversa è rivolgere lo s g u a r d o v e r s o l ’ o g g e t t o e verso la sua bellezza. Io intuisco la bellezza sull’oggetto, anche se non come un colore o una forma, attraverso una semplice per-cezione sensoriale; n e l l ’ o g g e t t o s t e s s o i o t r o v o i l b e l l o . […] Io guardo l’oggetto e in esso, attraverso il mio atteggiamento modificato, diventato atteggiamento teoretico, trovo i correlati di quegli atti dell’emotività, uno strato obiettivo sovrapposto allo s t r a t o d e i p r e d i c a t i s e n s o r i a l i .» Husserl 1965a, 413-414. Si condivide dunque la posizione di Bernet, Kern e Marbach, quando affermano: «Husserl concepisce l’interesse soggettivo che regola il deflusso del processo di percezione primariamente come interesse scientifico co-noscitivo, diretto ad una presa di conoscenza massima (o adeguata) della cosa, e non come un interesse rivolto al godimento estetico o all’utilizzazione tecnico-pratica» Bernet-Kern-Marbach 1992, 169.
16
17
e qui sta appunto la specificità dell’estetico – sposta
l’intenzionalità soggettiva dall’orizzonte delle mere
Sachen a quello dei Werte. E tuttavia, essendo qui in
causa nient’altro che un valore «estetico», quest’ultimo
non si riferisce ad altro che al modo di apparizione
dell’oggetto. L’intenzione coscienziale atteggiata
estetico-assiologicamente, in altri termini, riesce a
prescindere dalla presenza «naturalistica» dell’og-
getto, volgendosi specificamente alle sue modalità di
presentazione fenomenica nella percezione, modalità
che, proprio in quanto svelano una strutturale co-
presenza del soggetto alla significatività dell’oggetto,
qualificano quest’ultimo come dotato di valore.
Piacere e valore estetici: das Interesse an der Erscheinung
La prima fondamentale costante che si coglie
nelle riflessioni husserliane sull’estetica contenute nel
ms A VI 1,21 è la relazione che viene stabilita fra
piacere estetico e valore,22 cioè, potremmo dire, fra
momento soggettivo e momento oggettivo dell’espe-
rienza estetica. Il momento soggettivo, però, non inte-
ressa a Husserl per il suo portato psicologico ma in
quanto coinvolto nella costituzione degli oggetti este-
tico-assiologici; la riflessione husserliana si concentra
infatti sui modi specifici di intenzionalità grazie a cui
21 Si tratta, come s’è accennato, soprattutto di appunti frammentari che non sono stati né pensati per un ben definito destinatario, né preparati per una qualche edizione. Cerco tuttavia di restituire, dal fitto e rapsodico argomentare husserliano, un disegno teorico d’insieme. 22 «Il puro piacere estetico è la scoperta del valore originario» Husserl, ms A VI 1, p. 2; Zecchi 1972a, 83. Dei passi originali husserliani non an-cora pubblicati riporto, come in questo caso, la sola traduzione di Zecchi; il numero di pagina si riferisce alla trascrizione dattiloscritta presente in Archivio e utilizzata per la traduzione.
17
18
l’oggetto, staccandosi dall’orizzonte della «bloße
Sache», acquisisce predicati di valore estetico.
Un secondo punto centrale è l’analogia indivi-
duata da Husserl fra l’atteggiamento dell’artista e
quello del fenomenologo, fondata sul fatto che en-
trambi lasciano fuori gioco l’atteggiamento naturale e
si volgono intuitivamente alle strutture essenziali
della realtà:
L’opera d’arte ha un effetto estetico: si muove nella
visione pura, in cui ogni posizione d’esistenza viene
esclusa. […] La visione fenomenologica non è una vi-
sione per il godimento estetico (Genuß), ma per eser-
citare la riflessione e cogliere in essa l’essenza imma-
nente, il senso immanente di ogni valutazione sia co-
noscitiva che estetica che etica. L’artista che osserva
e prende in esame il mondo, attinge da questo
materiale per le forme artistiche, si comporta esat-
tamente come il fenomenologo, dunque non come un
naturalista o un osservatore pratico.23
Per qualificare appieno l’oggetto estetico non è
però sufficiente affermarne la differenza rispetto agli
oggetti naturali e rifarsi a un’intenzione eidetica del-
l’artista;24 essenziale alla costituzione estetica è in-
fatti anche il vissuto di piacere (Gefallen), il quale
23 Husserl ms A VI 1, pp. 6-7; Zecchi 1972a, 85. 24 «La riduzione a fenomeno dell’evento estetico […] non significa solo l’emergere dell’oggetto estetico nella sua pura autonoma struttura, eliminato ogni presupposto naturalistico (come interpreteranno Conrad, Geiger, Ingarden). Visto nella globalità delle sue valenze, implica piuttosto – e questo è di enorme importanza – l’emergere dell’oggetto estetico in quanto oggetto costituito […]. Proprio questa attività costitutrice del soggetto, che dissolve la dura estraneità delle cose nella loro presenza di senso agli uomini, viene rivelata dalla riduzione fenomenologica». Scaramuzza 1976, 75-6.
18
19
viene ad essere la base fondante su cui si costituisce il
vero e proprio valore estetico. Quest’ultimo si può in-
fatti far presente all’intenzione coscienziale solo sulla
base di una modificazione di un atto pre-teoretico frui-
tivo, grazie al quale viene spontaneamente operata
un’epoché: «es ist ein Gefallen, das die Existenz
ausser Spiel lässt und wesentlich bestimmt ist durch
die Erscheinungsweise».25
La costituzione del valore estetico è dunque è
possibile solo sulla base di un’epoché che non viene
operata, come nel caso dell’analisi fenomenologica, per
motivi teoretici, ma che scatta sul fondamento di un
vissuto fruitivo: la coscienza che vive nel piacere lascia
perdere il mondo alla mano, già dotato di un senso, e
si volge invece al modo dell’apparizione, si volge cioè
alla genesi del valore come valore estetico. E ciò
comporta evidentemente un essenziale coinvolgimento
della soggettività nella costituzione oggettuale.26
25 Husserl 1980, 145, n. 1. «È un piacere, che lascia fuori gioco l’esi-stenza, ed è essenzialmente determinato dal modo di apparizione». 26 È di questi anni la cosiddetta svolta trascendentale husserliana, chiaramente teorizzata in queste annotazioni del settembre 1907, che riportiamo a titolo esemplificativo: «Per una fenomenologia che voglia essere gnoseologica, per una dottrina (a priori) dell’essenza della cono-scenza, il rapporto empirico rimane […] neutralizzato (ausgeschaltet)».
Primo e fondamentale corollario è l’abbandono di ogni indagine oggettuale in sé e per sé assunta: «La fenomenologia trascendentale è fenomenologia della coscienza cost i tuente, e quindi nessun particolare assioma og-gettivo (in relazione ad oggetti che non siano coscienza) vi può essere in-trodotto». Essa è scienza di apparizioni: «L’interesse trascendentale, l’interesse della fenomenologia trascendentale , va piuttosto alla co-scienza come coscienza, va solo ai fenomeni, e ai fenomeni in senso du-plice: 1) nel senso dell’apparenza in cui l’oggettività (Objektivität) appare, 2) dall’altro lato, nel senso dell’oggettività considerata solo in quanto appare, appunto, nelle apparenze, e quindi in modo “trascendentale”, con
– segue –
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L’oggettività – prosegue Husserl – può infatti ve-
nir costituita a due livelli: come oggetto teoretico o
come oggetto estetico-assiologico; quest’ultimo di-
pende dall’aspetto dell’oggettività che viene specifi-
camente intenzionato, cioè da come quell’oggettività,
grazie appunto alle intenzioni soggettive, appare este-
ticamente:
Bin ich in der ästhetischen Stellungnahme, habe ich
das Objekt aufgefaßt, so wie ich es auffassen soll
(nämlich von der Seite, mit dem Bedeutungsgehalt
verdeckter Art, mit dem Hauch, der die ästhetischen
Gefühle weckt, die der Künstler geweckt haben will),
dann erscheint mir das ästhetische Objekt […]. 27
Pertanto:
unter ästhetischer Objektivität […] es kann aber
auch gemeint sein die Komplexion von Werten, die
in der Werterscheinung erscheint […].28
Il confine fra valore e apparenza-del-valore è dunque
esclusione di ogni posizione (Setzung) empirica» Husserl ms. B II 1, in: Vasa 1981, 11. 27 Husserl ms A VI 1, in Scaramuzza-Schuhmann 1990, 172; «Se sono in una presa di posizione estetica, se ho appreso l’oggetto come devo apprenderlo (vale a dire dal lato, col contenuto significativo nascosto, con quell’atmosfera, che risveglia i sentimenti estetici che l’artista voleva risvegliare), allora mi appare l’oggetto estetico» Scaramuzza-Schuhmann 1992, 13. Stefano Zecchi commenta: «L’esserci dell’oggettività estetica viene fatto risalire agli atti intenzionali che costituiscono immagini e pen-sieri o forme simboliche che, a loro volta, portano all’ “apparenza”, alle manifestazioni fenomeniche, particolari valori estetici. Viene cosí messo in questione un aspetto del modo di costituirsi dell’oggettività, quello che può fare emergere geneticamente il valore estetico» Zecchi 1972a, 86. 28 Husserl ms A VI 1, in Scaramuzza-Schuhmann 1990, 172; «come oggettività estetica può essere intesa anche la complessione dei valori che appare nell’apparenza del valore» Scaramuzza-Schuhmann 1992, 13.
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molto sottile, tanto che il modo d’apparizione del va-
lore sembra coincidere con lo stesso valore dell’oggetto
estetico.29 Il mostrarsi del valore, in altri termini, si
costituisce come valore, proprio in quanto quest’ultimo
è qui ormai un valore di apparizione, non piú un
valore in sé e per sé considerato. Corrispondente-
mente, l’intenzione coscienziale si sposta sul processo
costitutivo dell’oggetto, pone cioè ad oggetto quello
stesso processo che costituisce l’oggettività come
oggettività estetica.
L’attuazione, la realizzazione (Erfüllung) dell’og-
getto estetico è comunque, secondo Husserl, progressi-
vo: agli atti costituenti l’«oggettività (teoretica) fon-
dante»30 se ne sostituiscono altri che via via realizzano
29 Husserl afferma che poche rappresentazioni dell’oggetto sono compatibili con l’apprezzamento, sono, cioè, estetiche. Il piacere estetico – riassume Zecchi – diviene dunque «l’indicazione di particolari atti in-tenzionali che in un processo genetico costituiscono ciò che nelle varia-zioni sensibili si unifica in rappresentazione con una propria legalità og-gettuale estetica». Zecchi, 1972a, 90. Sulla stessa linea – in riferimento al medesimo luogo husserliano – Luigia Di Pinto: «L’opera d’arte è dunque riconducibile ad una apprensione sensibile, ma non è assolutamente riducibile ad essa soltanto poiché l’apprensione sensibile-materiale è solo la struttura piú semplice ed evidente dell’opera d’arte. L’opera d’arte in senso proprio è la modalità in cui una connessione di rappresentazioni aventi un oggetto unitario produce piacere estetico: meglio, il passaggio qualitativo dall’oggetto sensibile all’oggetto estetico è prodotto dal “piacere estetico”; questo passaggio qualitativo non è perciò un’opera-zione intenzionale riducibile ad un rapporto di mera dipendenza causale poiché è invece un rapporto funzionale di distinzione-correlazione conse-guente ad un’operazione attiva del soggetto». Perciò: «La configurazione dell’oggetto estetico costituito è il risultato di un progressivo riempimento di significato in cui il valore si definisce come valore di ciò che per me diviene estetico» Di Pinto 1978, 48-50 (il corsivo, che occupava quasi tutto il passo, è stato omesso). 30 L’espressione «fundierende (theoretische) Objektivität» si trova nel ms A VI 1 (Scaramuzza-Schuhmann 1990, 171), ma era stata usata anche
– segue –
21
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i «sentimenti di valore (Wertgefühle)» suscitati dall’ap-
parizione estetica appropriata:
Das ästhetisch bedeutsame und bedeutsam
werdende Objekt baut sich normaler weise
schrittweise auf: Der Künstler versetz mich in eine
Situation, und zwar gibt er mir sie intuitiv oder
symbolisch gerade in der Weise, daß ein gewisses
Werten erregt wird, das gibt mir dann im nächsten
Schritt eine Direktion. Es werden die und die
Assoziationen erregt und bei ihr gerade Seite
wirksam, die gewisse Stimmungen, Gedanken etc.
weckt, die nun wieder neue “Wertgefühle” erregen
[…].31
Si verifica dunque qualcosa come un’intenzionalità se-
condaria,32 in cui, una volta sospesa l’oggettivazione
da Aloys Fischer nella sua tesi per l’abilitazione; cfr. su ciò Scaramuzza 1996c, 213-5. Di atti (e non però di oggetti) fondanti e fondati Husserl aveva già parlato nelle Logische Untersuchungen; al § 18 della Quinta ricerca come esempio di atto fondato viene proposta la gioia, e poco oltre, al §. 41 la distinzione si sviluppa in quella fra intenzioni primarie e secondarie e viene nominato, come atto secondario fondato, anche il sentimento estetico. Cfr. oltre nota 28; di Husserl cfr. anche Terza ricerca §. 14 e §. 16; Sesta Ricerca §. 48. 31 Husserl ms A VI 1, in Scaramuzza-Schuhmann 1990, 173. «L’oggetto esteticamente significativo e che si fa tale normalmente si co-struisce per gradi: L’artista mi immette in una situazione, e me la dà intuiti-vamente o simbolicamente proprio in modo che viene suscitato un certo va-lutare, questo mi dà poi una direzione nel passo successivo. Vengono susci-tate queste e quelle associazioni, e in questa associazione si fa attivo proprio quel lato che risveglia certi stati d’animo, pensieri, ecc., che a loro volta suscitano nuovi “sentimenti di valore» Scaramuzza-Schuhmann 1992, 14. L’oggetto estetico-assiologico, ne conclude Husserl, è quello che si costituisce sulla base di quei determinati valori che sono propri dell’oggetto, dell’opera d’arte. 32 Afferma Husserl nella Quinta ricerca logica: «Die Beziehung auf eine Gegenständlichkeit konstituiert sich überhaupt in der Materie. J e d e
– segue –
22
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teoretica posizionale, si verifica una seconda og-
gettivazione teoretica – fondata, però, come s’è visto,
sugli stati d’animo in cui il valore oggettuale viene
inizialmente colto intuitivamente nella fruizione – che
completa con predicati estetico-assiologici l’oggetto
(che, nel giudizio, potrà perciò esser qualificato come
bello). Solo quando il valore, prima vissuto e poi posto
di fronte teoreticamente, viene identificato nell’oggetto
si può dunque parlare di oggetto estetico(-assiologico)
costituito in senso pieno. Si comprende pertanto
l’importante notazione husserliana secondo cui
il modo in cui l’apprezzamento fa parte del “modo di
rappresentazione” e crea oggettivamente il suo pro-
M a t e r i e ist aber, so sagt unser Gesetz, M a t e r i e e i n e s o b j e k t i -v i e r e n d e n A k t e s und kann nur mittels eines solchen zur Materie einer neuen, in ihm fundierten Aktqualität werden. Wir haben gewissermaßen p r i m ä r e und s e k u n d ä r e I n t e n t i o n e n zu unterscheiden, von welchen die letzteren ihre Intentionalität nur der Fundierung durch die ersteren verdanken. Ob im übrigen die primären, objektivierenden Akte den Charakter der setzenden (fürwahrhaltenden, glaubenden) oder nichtsetzenden (“bloß vorstellenden”, neutralen) haben, ist für diese Funktion gleichgültig. Manche sekundäre Akte verlangen durchaus Fürwahrhaltungen, wie z. B. Freude und Trauer; für andere genügen bloße Modifikationen, wie z. B. für den Wunsch, für das ästhetische Gefühl.» Husserl 1984c, I, 515. Tr. it.: «Il riferimento ad un’oggettualità si costituisce in generale nella materia. Ma ogni materia, cosí dice la nostra legge, è materia di un atto oggettivante e solo per mezzo di un simile atto può diventare materia di una nuova qualità d’atto in esso fondata. Noi dobbiamo distinguere, in certo modo, le intenzioni primarie da quelle secondarie: queste ultime sono debitrici della loro intenzionalità al fatto che sono fondate nelle prime. In rapporto a tale funzione è poi indifferente che gli atti primari, oggettivanti, abbiano il carattere di atti posizionali (atti di credenza, assunzioni di verità) o non posizionali (atti di “mera rappresentazione”, neutrali). Molti atti secondari richiedono indubbiamente delle assunzioni di verità, ad es., la gioia o la tristezza; per altri sono sufficienti semplici modificazioni, come nel caso del desiderio o del sentimento estetico.» Husserl 1968a, II, 280.
23
24
dotto di valore, fa parte dell’oggetto “poesia”, “sinfo-
nia”, ecc.33
Wertnehmung e predicabilità del bello
Lasciamo ora momentaneamente il manoscritto
A VI 1 per confrontare quanto sinora visto con alcuni
passi di Ideen II in cui Husserl propone altri impor-
tanti riferimenti all’oggetto estetico. Leggiamo infatti
nel primo capitolo:
Die ursprünglichste Wertkonstitution vollzieht sich
im Gemüt als jene vortheoretische (in einem weiten
Wortsinne) genießende Hingabe des fühlenden
Ichsubjectes, für die ich den Ausdruck Wertnehmung
schon vor Jahrzehnten in Vorlesungen verwendet
habe.34
L’oggettivazione estetica – sostiene dunque Husserl –
muove da un’originaria Wertnehmung, espressione
che designa qualcosa di analogo, nella sfera dei senti-
menti, alla percezione, la quale, nella sfera dossica, si-
gnifica la presenza originaria (autoafferrante) dell’io
all’oggetto.35
Husserl gioca evidentemente sull’assonanza fra
il termine Wahrnehmung (percezione), e il Komposi-
33 Husserl ms A VI 1, p. 13; Zecchi 1972a, 89. 34 Husserl 1952a, 9. Tr. it.: «La costituzione piú originaria del valore si realizza nell’ambito emotivo, è quella dedizione pre-teoretica e fruitiva del soggetto-io che sente, una dedizione per la quale , già decenni fa, in certe mie lezioni, avevo proposto l’espressione ricezione del valore» Husserl 1965a, 408. 35 «Der Ausdruck [Wertnehmung] bezeichnet also ein der Gefühlssphäre zugehöriges Analogon der Wahrnehmung, die in der doxischen Sphäre das ursprüngliche (selbsterfassende) Dabeisein des Ich bei dem Gegenstande selbst bedeutet.» Husserl 1952a, 9.
24
25
tum Wertnehmung, che potremmo tradurre con «pren-
sione del valore», assonanza rinforzata dal fatto che
quest’ultimo termine, essendo composto ad hoc da
Husserl,36 sembra essere usato proprio per mettere in
risalto – attraverso il derivato dal verbo nehmen
(prendere) – l’analogia Wahr / Wert (custodia, consi-
derazione, attenzione / valore)37. Quello che Husserl
vuole far notare è dunque l’analogia (di rapporti) fra il
passaggio dalla percezione all’obiettivazione teoretica
(di un oggetto naturale) e il coglimento fruitivo-
emotivo del valore considerato come base fondante per
la costituzione dell’oggettività estetico-assiologica;38 e
quest’ultima è – egli precisa – sempre un’oggettività
36 La composizione (Zusammensetzung) è comunque operazione assai frequente e pienamente legittima in tedesco; Husserl, come si è visto, dice di aver già usato in precedenza questo termine. 37 Com'è noto, il sostantivo Wahrnehmen non va scomposto in wahr-nehmen, bensí in Wahr-nehmen, ove l’antico sostantivo Wahr, che significa custodia, considerazione, attenzione, non ha alcun rapporto (né semantico né etimologico) con quello del pur omonimo aggettivo wahr (vero); a Wahr sono etimologicamente affini termini come wahren (tutelare, difendere, custodire) oppure warnen (mettere in guardia), warten (sorvegliare), gewahrwerden (accorgersi di, vedere) o anche Erwartung (aspettativa), che proprio in questo passo viene usato da Husserl, ma non Wahrheit (verità). L'elegante parallelismo husserliano fra Wahrnemen / Wertnehmen è frainteso dal traduttore italiano Enrico Filippini che traduce questi due termini con l'espressione «prendere per vero / prendere per valido» (Husserl 1965a, 409). Chiarendo in quale senso la Wertnehmung è analoga alla percezione Husserl afferma infatti: «Beiderseits haben wir parallel strebende Intentionen, vorstellendes (erkennendes, auf Erkenntnis hin tendierendes) Streben und wertendens, auf Erwartung, auf Genießen hin tendierendes. Der Ähnlichkeit sollte die Ausdrucksparallele Wahrnehmen – Wertnehmen Ausdruck geben» Husserl 1952a, 10. Pare interessante, dunque, che Erwartung, che come s'è visto è etimologicamente affine a Wahr, sia qui affinacato a Genießen come appunto Wahrnehmen a Wertnehmen. 38 Tale analogia trova conferme anche in diversi passi di Ideen I; cfr. al riguardo §§. 117 e 121.
25
26
teoretica, sebbene «von höherer Stufe», di grado piú
alto, in quanto arricchita dei predicati di valore
estetico.
Non è certo semplice stabilire, dalle poche
indicazioni di Husserl a questo riguardo, le precise
modalità di quest’analogia fra i due rapporti fondanti,
ché si tratterebbe di stabilire meglio la modalità di
questo coinvolgimento della percezione dell’oggetto
nell’intenzionalità emotiva del valore; tuttavia il
passo che abbiamo sopra commentato lascerebbe
proprio intendere – qualora integrato col ms A VI 1 –
che l’estetico non deve essere rinvenuto nella
direzione della presentificazione (Vergegenwärtigung),
che Husserl andava in quegli anni sempre piú
staccando dalla radice percettiva,39 bensí in quello di
una nuova modalità di percezione modificata
dell’oggetto animata essenzialmente da un’intenzione
assiologica. Il valore qui in causa è infatti estetico,
vale a dire emergente geneticamente nel darsi dell’og-
getto, proprio in quanto la stessa apparizione svela
una strutturale partecipazione dell’intenzionalità sog-
gettiva alla costituzione oggettuale.
In sostanza – tornando ad Ideen II – si potrebbe
dire che la percezione continua ad essere attiva, pur
senza venir attualizzata come tale, e che la prensione
(Nehmung) che la caratterizza si dirige in questo caso
ad un’altra valenza dell’oggettualità, quella che fa
emergere l’oggetto come oggetto significativo per
l’uomo. Cosí pensiamo si possa intendere il significato
di quel valore che è prima intuito e poi obiettivato
teoreticamente:
39 Cfr. Bernet-Kern-Marbach 1992, 185-200.
26
27
[…] in der Beurteilung als Wert, so wie sie aus der
Einstellung der rein genießenden Hingabe hervorge-
gangen ist, ist das Kunstwerk in ganz anderer Weise
gegenständlich: es ist Angeschautes, aber nicht nur
sinnlich Angeschautes (wir leben nicht im Vollzug
des Wahrnehmens) sondern a x i o l o g i s c h A n g e -
s c h a u t e s .40
E si capisce come mai anche il correlato obiettivo del-
l’atteggiamento teoretico derivato da quello degusta-
tivo sia di nuovo tipo:
[…] im ästhetischen Beurteilen, Abschätzen ist es
nicht mehr in bloß genießender Hingabe Objekt, son-
dern Objekt im besonderen doxothetischen Sinne:
das Angeschaute ist im eigenschaftlichen (So-sein
konstituierenden) Charakter der ästhetischen Er-
freulichkeit gegeben. Das ist eine neue “theore-
tische” Objektivität, und zwar eine eigentümliche
von höherer Stufe.41
La base materiale dell’obiettivazione assiologica del-
l’oggetto estetico non è dunque propriamente fornita
dall’intuizione sensibile, ma da un’intuizione emotiva
del valore che si libera in essa; quando poi si passa al-
40 Husserl 1952a, 8-9; tr. it.: «[…] nella valutazione del valore quale è risultata dall’atteggiamento della dedizione puramente degustativa, l’opera d’arte è oggettiva in un modo completamente diverso: è un che di intuíto ma non di intuíto sensibilmente (infatti non viviamo nell’attuazione della percezione), è bensí qualcosa di intuí to assio logicamente.» Husserl 1965a, 408. 41 Husserl 1952a, 9; tr. it.: « […] nel giudizio estetico, nella valutazio-ne estetica, l’oggetto non è piú oggetto di una dedizione meramente degustativa, bensí oggetto in un particolare senso dossotetico: l’intuíto si dà col carattere qualitativo (costitutivo del suo esser-cosí) della gradevolezza estetica. Si tratta di una nuova obiettività “teoretica”, di una particolare obiettività di grado piú alto.» Husserl 1965a, 408.
27
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l’atteggiamento teoretico, il correlato della primitiva
intenzione assiologica viene obiettivato come valore-
bello, cioè come predicato di un oggetto inteso ora
come oggetto-di-valore, come oggetto estetico-assiolo-
gico. E la bellezza si definisce pertanto come un predi-
cato obiettivo, appartenente ad un’oggettività
costituita grazie ad atti teoretici che obiettivano non
piú il sostrato materiale-sensibile (poiché avremmo
un semplice oggetto della regione natura) ma una pre-
oggettività assiologica che è stata vissuta nel piacere:
Ich blicke auf das Objekt hin und finde an diesem in
meiner geänderten, nun theoretischen Einstellung
die Korrelate dieser Gemütsakte, eine objektive
Schicht, übergelagert über die Schicht der sinn-
lichen Prädikate […].42
La bellezza intesa come valore estetico e non come
semplice gradevolezza – ne conclude dunque Husserl
–, grazie agli atti teoretici obiettivanti derivanti dalla
modificazione di quelli fruitivi, viene colta come ap-
partenente proprio all’oggetto;43 un oggetto, però, cer-
tamente irriducibile a quello delle scienze naturali:
Die Natur enthält als bloße Natur keine Werte, kein
Kunstwerke etc. die doch Gegenstände möglicher
42 Husserl 1952a, 14-15; tr. it.: «Io guardo l’oggetto e in esso, attraverso il mio atteggiamento modificato, diventato atteggiamento teoretico, io trovo i correlati di quegli atti dell’emotività, uno strato obiettivo sovrapposto allo strato dei predicati sensoriali» Husserl 1965a, 413-4. 43 Nell’atteggiamento teoretico della riflessione non si trovano invece predicati obiettivi, ma solo predicati relativi alla coscienza; cfr. Husserl 1952a, 14-15; Husserl 1965a, 413-414.
28
29
Erkenntnis und Wissenschaft sind.44
Possiamo ora tornare al ms A VI 1, in cui, come
s’è visto, l’estetico viene legato all’emergere fenome-
nologico del valore a partire dal vissuto di piacere
(Gefallen): valore estetico – afferma Husserl – è quello
fondato sul privilegio conferito da parte di atti inten-
zionali a determinati strati oggettuali che, nel loro
apparire,45 producono piacere.
Verschiedene Erscheinungen desselben
Gegenstandes nicht gleichwertig […] Schon das ist
also ästhetisch. Da ist günstigste Erscheinung
ausgewählt. a) In sich das Maximum sinnlicher
Momente und Komplexion enthalten, die in dieser
Komplexion Wohlgefallen erwecken. b) Klare
Weckung des Gegenstandsbewusstseins, obwohl das
Interesse nicht den Gegenstand als Glied der wirk-
lichen Welt betrifft, nach seinen gegenständlichen
Eigenschaften, Relationen, etc., sondern eben nur
44 Husserl 1952a, 3; tr. it.: «La natura in quanto mera natura non contiene valori, opere d’arte, ecc., che pure sono oggetti di una possibile conoscenza e di una possibile scienza» Husserl 1965a, 402. 45 «[…] die Dingerscheinungen drücken immer etwas aus, bedeuten etwas, stellen etwas dar, nämlich für die Betrachtung der Kunst. Ästhetische Erscheinungen sind ausschliesslich Erscheinungen, die eben etwas ausdrücken, darstellen, und dies nicht in der Weise eines leeren Zeichens. Sie drücken immer von innen her aus, durch ihre Momente, durch Momente der Analogie, und dann erst kommt der ästhetische Unterschied des “schöner” und “minder schön”, des “schön” und “hässlich” in Betracht» Husserl ms A VI 1, in Husserl 1980, 146n; tr. it.: «Le apparenze delle cose esprimono sempre qualcosa, rappresentano qualcosa cioè per la trattazione dell’arte. Apparenza estetica è esclusivamente l’apparenza che esprime, rappresenta qualcosa e non un segno vuoto. Le apparenze estetiche esprimono sempre qualcosa dall’interno all’esterno, attraverso i loro momenti, attraverso i momenti dell’analogia, e solo successivamente subentra la distinzione estetica del bello e del meno bello, del bello e del brutto» Zecchi 1972a, 92.
29
30
die Erscheinung.46
Il valore estetico si riferisce, pertanto, alla configura-
zione fenomenica dell’oggetto ed è quindi struttural-
mente legato al processo di costituzione. Ed il piacere
estetico non è rinconducibile ad un mero sentimento
soggettivo, ad una reazione psichica all’oggetto, ma
entra a far parte dello stesso processo costitutivo che
trasforma (ma la prassi è qui solamente intenzionale)
un’oggettualità naturale in oggettività estetica.
Conseguentemente, il bello si sottrae alla mutevolez-
za del gusto, per fissarsi invece negli strati oggettuali
correlati alle intenzioni fruitive di valore. L’oggetto
estetico infatti, come abbiamo sopra sottolineato,
dev’esser percepito da quel lato che risveglia proprio i
sentimenti estetici che l’artista intendeva suscitare.
Husserl ha cosí affermato una strutturale impli-
cazione della soggettività nella produzione del valore
estetico, senza però concedere nulla allo psicologismo
o al sentimentalismo; l’estetico non è un orizzonte di
predicati riducibili ad una proiezione nell’oggetto di
certi vissuti psichici. La coscienza come cosa naturale,
del resto, è stata anch’essa sottoposta ad epoché. Nei
due fogli del ms A VI 1 dedicati all’Ästhetische
Objektivität, addirittura, le cose stesse sono portatrici
di proprie richieste di senso nei confronti degli atti che
46 Husserl ms A VI 1, in Husserl, 1980, 145; tr. it.: «Diverse appari-zioni dello stesso oggetto non sono equivalenti […] già questo è estetico. Viene allora scelta l’apparenza piú opportuna: a) deve contenere il massimo dei momenti e dei complessi sensibili che, in questo complesso, suscitano piacere; b) deve risvegliare chiaramente la coscienza dell’oggetto come membro del mondo reale, sebbene l’interesse non tocchi l’oggetto come membro del mondo reale, secondo le sue proprietà oggettuali, le sue relazioni, ma soltanto l’apparenza» Zecchi 1972a, 91.
30
31
devono costituire il valore estetico:
[…] nicht etwa Objektitäten zur Weckung kommen,
Anschauungen mit Gefühlen, Wertungen etc., die die
ästhetische Absicht des Künstlers hemmen, sie nicht
zur Entfaltung kommen lassen. Nicht jederlei
ästhetische Gefühle, sondern gerade diese sollen
geweckt werden, nicht alle ästhetisch bedeutsamen
Assoziationen sollen geweckt werden, sondern ge-
rade diese, welche dem einheitlichen ästhetischen
Objekt und Wert, die das Kunstwerk zu wecken hat,
zugehören.47
Conoscenza estetica
come intenzionamento del possibile
Come si è visto, l’interesse di Husserl per le que-
stioni dell’estetica si inscrive nell’ambito del ripensa-
mento in corso nel primo decennio del secolo di molti
temi fondamentali della sua fenomenologia; in parti-
colare, l’indagine sul processo dell’oggettivazione
estetica ha mostrato essenziali analogie con quello
della riduzione-costituzione, che, com’è noto, aveva
spinto Husserl a piegare il proprio pensiero in dire-
47 Husserl ms A VI 1, in Scaramuzza-Schuhmann 1990, 173; tr. it.: «[…] non vengono risvegliate ad esempio oggettività, intuizioni con senti-menti, valutazioni ecc., che ostacolano l’intenzione estetica dell’artista, non le consentono di svilupparsi. Non devono essere risvegliati sentimenti estetici di ogni sorta, ma proprio questi, non tutte le associazioni esteticamente significative debbono essere risvegliate, bensí proprio queste che appartengono all’unitario oggetto estetico e valore, che l’opera d’arte deve risvegliare.» Scaramuzza-Schuhmann 1992, 14. Non si deve pensare ad un qualche indulgere di Husserl a posizioni formalistiche; si fa infatti sentire qui – come ampiamente documentano Scaramuzza e Schuhmann – l’influsso di Aloys Fischer e semmai anche di Theodor Conrad, i quali stavano sviluppando la propria ricerca estetica sul piano di una «fenomenologia dell’oggetto».
31
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zione trascendentale, allontanandosi sempre piú dal
realismo che segnava l’interpretazione della fenome-
nologia da parti di alcuni suoi allievi.48 Le conferme
trovate a questo riguardo nei territori dell’estetica
non devono pertanto essere trascurate e possono
essere significative anche per comprendere il com-
plesso itinerario di pensiero del fondatore della
fenomenologia.
Ma pensiamo ci si possa spingere anche piú in là,
notando come queste pur sparse analisi sull’oggettiva-
zione estetica sembrino quasi fornire un modello di
quella ricerca di una significazione originaria che
avrebbe successivamente portato Husserl dalla cosid-
detta fenomenologia statica a quella genetica: l’auten-
tica costituzione dell’oggetto estetico-assiologico com-
porta infatti una vera e propria risignificazione del
reale che, neutralizzati i significati quotidianamente
attribuiti agli oggetti, faccia emergere geneticamente
il valore d’apparizione, a partire da una dimensione
estetico-sensibile; comporta cioè la necessaria pre-
senza di un polo corporeo-soggettivo intenzionale
nella genesi (attiva e passiva) del senso. Non sono
dunque coinvolti solo i livelli superiori delle intuizioni
categoriali ma anche quelli delle percezioni oscure
dell’intenzionalità fungente, che dicono di un lavorío
cinestetico del corpo e di un’originaria sintesi tem-
porale quale schema di ogni significazione originaria.
L’attivazione di simili intenzionalità genetiche
costituisce, del resto, uno degli obiettivi di fondo di
molte opere (talvolta ridotte, proprio per questo, ad un
48 Mario Sancipriano considera invece realistica la posizione di Husserl anche all’epoca delle Ideen; cfr. Sancipriano 1988.
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semplice gesto)49 delle cosiddette avanguardie arti-
stiche, in cui il senso che le consuetudini percettive
impongono alla realtà viene destrutturato e rifiutato,
per lasciar spazio ad un’estetica Urstiftung che apra
autenticamente la regione del possibile. È infatti solo
nell’autentico atteggiamento estetico (che quelle opere
vorrebbero dunque suscitare) che la coscienza porta in
primo piano il fenomeno, cioè il senso nel suo origina-
rio processo costitutivo. L’intenzionamento estetico
degli oggetti, in altri termini, non si volge ad un es-
sere reale ed effettuale il cui senso sia già abitualiz-
zato, ma riattiva i legami con la fondazione origina-
ria, con l’orizzonte dell’essere possibile, che costituisce
pertanto il vero e proprio oggetto della conoscenza
estetica di essenze.50 È quindi propriamente grazie al-
l’atteggiamento estetico che le cose possono apparire –
come Husserl ha in altro contesto affermato –51 quali
49 Per la letteratura sui rapporti tra la fenomenologia e l’arte contemporanea cfr. sopra n. 3. 50 Husserl attribuisce all’intuizione estetica un’essenziale portata cono-scitiva; cfr. a questo riguardo la parte centrale della lettera a Hofmannsthal del 12.1.1907 (Husserl 1994, 134; tr. it. Scaramuzza 1985, 204). 51 Vista l’importanza che riveste per l’interpretazione qui proposta, riportiamo il passo per intero: «Ist nun ein Ding, das doch unter allen Umständen e i n Ding, ein Identisches von Eigenschaften ist, wirklich in sich ein Festes, Starres hinsichtlich seiner realen Eigenschaften, nämlich ein Identisches, das identisches Subjekt identischer Eigenschaften ist, während das Wechselnde in ihm nur die Zustände und Umstände sind? Ist die Meinung also die: je nach den Umständen, in die es gebracht wird, oder in die es ideell hineingedacht werden kann, hat es andere aktuelle Zustände. Aber im voraus – a priori – ist durch sein eigenes Wesen vorgezeichnet, wie es sich benehmen kann und dann auch benehmen wird. Aber hat jedes Ding (oder, was hier dasselbe sagt: hat irgendeins) ü b e r h a u p t e i n s o l c h e s E i g e n w e s e n ? O d e r ist das Ding sozusagen immer auf dem Marsch, ist es gar nicht in dieser reinen Objektivität zu fassen, vielmehr vermöge seiner Beziehung zur Subjektivität prinzipiell nur ein relativ Identisches, etwas, das nicht im voraus sein Wesen hat, das immer
– segue –
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essenze aperte, quali nuclei di senso «immer auf dem
Marsch» o, ancor piú, come regole delle apparizioni
possibili,52 cioè, in altri termini, quali oggetti dotati di
valore.
Cosa distingue, a questo punto, l’assunzione in
concreto dell’atteggiamento estetico dall’esercizio di
riflessione del fenomenologo, se non, semplicemente,
la finalità estrinseca – rispettivamente fruitiva e ana-
litico-scientifica – in vista della quale è operante,
come sotto una lente d’ingrandimento, un identico
processo di neutralizzazione e ricostituzione del
senso? È quanto Husserl afferma in un importante
passo in cui dichiara, senza mezzi termini, l’affinità
della visione estetica con quella filosofica:
wieder je nach den konstitutiven Umständen der Gegebenheit neue Eigenschaften annehmen kann? Aber ist das Problem, den S i n n d i e s e r O f f e n h e i t , und zwar für die “Objektivität” der Naturwissenschaft genauer zu präzisieren» Husserl 1952a 298-9. Tr. it.: «Ora, una cosa, che in tutte le circostanze è u n a , un’identità di proprietà, è veramente qualcosa di ben saldo, di rigido nelle sue proprietà reali, un identico come soggetto identico delle sue identiche proprietà, mentre mutevoli in essa sono soltanto gli stati e le circostanze? Si ritiene che, a seconda delle circostanze in cui viene messa o in cui viene idealmente pensata, essa abbia altri stati attuali. Ma preliminarmente – a-priori – la sua essenza determina come può comportarsi e come si comporterà. Ma ogni cosa (o, ed è lo stesso: qual-siasi cosa) h a u n a s i m i l e e s s e n z a p r o p r i a ? Oppure, per cosí dire, la cosa è sempre in cammino, non può essere colta in questa pura obiettività ed è piuttosto, in virtú della sua relazione con la soggettività, un che di relativamente identico, qualcosa che non ha preliminarmente una sua essenza, una essenza afferrabile una volta per tutte, bensí soltanto un’essenza aperta la quale a seconda delle circostanze costitutive della datità, può assumere nuove proprietà. Il problema è allora di precisare, in vista della “obiettività” delle scienze naturali, il s e n s o d i q u e s t a a p e r t u r a » Husserl 1965a, 686. 52 «Das Ding ist eine Regel möglicher Erscheinungen» Husserl 1952a, 86.
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Das phänomenologische Schauen ist also nahe
verwandt dem ästhetischen Schauen in “reiner”
Kunst; nur freilich ist es nicht ein Schauen um
ästhetisch zu genießen, vielmehr darauf hin wieder
zu forschen, zu erkennen, wissenschaftliche
Feststellungen einer neuen (der philosophischen)
Sphäre zu constituiren.53
53 Husserl 1994, 135; (lettera a Hofmannsthal del 12.1.1907); tr. it.: «La visione fenomenologica è dunque strettamente affine alla visione estetica dell’arte “pura”; solo, essa, certo, non è un vedere per godere esteticamente, ma piuttosto per proseguire poi nella ricerca, per conoscere, per dar luogo a constatazioni scientifiche di una nuova sfera, la sfera filosofica» Scaramuzza 1985, 205.
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Un progetto di estetica fenomenologica:
Stefano Zecchi
I momenti estetologici presenti, anche se rari e
non sistematici, nella vasta produzione husserliana,
sollevano questioni di primaria importanza per la
riflessione dell’estetica; in stretto riferimento ad essi –
in particolare, ma non solo, al ms A VI 1 –54 alcuni
anni or sono Stefano Zecchi ha riproposto l’idea di una
fondazione fenomenologica dell’estetica che ne garan-
tisse l’autonomia di campo e al tempo stesso l’origi-
nario orientamento filosofico.55 Si tratta di un gruppo
di scritti pubblicati a partire dal 1967, nei quali viene
messo in luce come una riconsiderazione fenomeno-
logica del rapporto che lega oggettività e soggettività
nei vissuti estetici possa offrire una solida fondazione
teorica al sapere immanente all’odierno concetto di
arte (in quanto arte contemporanea), operando
mediante criteri effettivamente alternativi a quelli del
formalismo strutturalistico allora dominante.
54 Quando ci si ispira alla fenomenologia husserliana è bene secondo Zecchi individuare alcuni nuclei teorici di base che legittimino tale riferi-mento; infatti: «Non c’è ortodossia perché non c’è dogma: ma penso sia sbagliato ritenere che ciò comporti necessariamente l’esistenza di tante fe-nomenologie quanti sono i fenomenologi che si richiamano a Husserl» Zecchi 1979, 66. 55 Seguiremo in questo capitolo: Zecchi 1967, 1968, 1969, 1972a; 1972b; 1977; 1978; 1979; 1981; 1983; 1984; Zecchi-Franzini 1995, 955-958.
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Estetica e atteggiamento scientifico
Volendo dare fondazione ad un campo del sapere
è bene secondo Zecchi porsi innanzi tutto la questione
del metodo da seguire. Ora, egli argomenta, in qual-
siasi campo si stia operando, risulta necessario am-
mettere che l’oggettività è sempre e comunque frutto
di un processo costitutivo nel quale la soggettività è
essenzialmente coinvolta, e per questo l’analisi
fenomenologico-trascendentale risulta senza dubbio
quella che offre maggiori garanzie di scientificità.
Tutto ciò, però, con le giuste cautele e seguendo
sempre il dovuto rigore:
se non si ritiene che i fondamenti della oggettività
scientifica sono le categorie definite per via formale
si dovrà dimostrare che nei processi soggettivi si
determinano queste categorie, il che significa
spostare sul piano della soggettività il problema dei
“fondamenti” e ricercare all’interno della soggettività
stessa il principio della validità scientifica.56
Questo è del resto il primo carattere che deve posse-
dere un’indagine che desideri correttamente definirsi
«fenomenologica»:
La fondazione trascendentale delle scienze nel suo
obiettivo di riportare il soggetto nella scienza dell’og-
getto, diventa lo sfondo teorico ampio e articolato, in
cui le diverse espressioni degli sviluppi della fenome-
nologia di Husserl ritrovano una matrice comune.57
Segue che anche le scienze esatte della natura
devono esplicitare la propria costituzione trascenden-
56 Zecchi 1972b, 11. 57 Zecchi 1979, 66.
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tale, visto che la nozione di qualsiasi oggettività scien-
tifica rinvia necessariamente ad operazioni costitutive
che si danno nel decorso di vissuti di coscienza (Erleb-
nisse):58
L’oggettività non è un privilegio dell’una piuttosto
che dell’altra disciplina, ma delle operazioni che fon-
dano l’oggettività, ovvero le operazioni soggettive.59
L’estetica, dal canto suo, pur essendo certamente
irriducibile alle scienze naturali, deve anch’essa avan-
zare le proprie legittime pretese di scientificità
affinché possa pronunciarsi oggettivamente sulla
realtà che le pertiene; anche questo passo è legittimo,
in quanto la struttura dei processi costitutivi delle og-
gettività è fondamentalmente omogenea:
gli elementi specifici costituenti l’oggettività, in
quanto oggettività estetica, rientrano nell’ambito
degli atti che costituiscono in generale qualunque
complesso scientifico-culturale.
Dall’iniziale excursus epistemologico emerge
dunque la necessità, anche per l’estetica, di assicurare
un radicamento del proprio specifico campo ontico
nella Lebenswelt, nel mondo-della-vita, cioè nel mondo
circostante costituito in relazione alle esigenze della
persona.
Fenomenologia costitutiva
Zecchi sottolinea a questo punto come la propria
proposta differisca dai primi sviluppi dell’estetica
fenomenologica, nei quali, a suo avviso, venne fon-
58 Zecchi 1967, 64, con riferimento a Husserl 1961, §§ 33-35. 59 Zecchi 1967, 64; 1977, 7.
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damentalmente sviluppata un’ontologia dell’oggetto
estetico, giudicato struttura trascendente (e in ultima
analisi indeterminata) proprio in quanto indipendente
dal proprio rapportarsi ad un soggetto esperiente:
Un primo aspetto da sottolineare è il tipo di
approccio (piú che di metodo) con cui i primi
fenomenologi legati ad Husserl si servirono del suo
pensiero per affrontare i problemi dell’arte. Rispetto
a costoro, gli sviluppi successivi della ricerca (a
partire dal secondo dopoguerra) che si è potuta
valere di un materiale ovviamente piú completo
dell’opera husserliana, ha messo in crisi l’idea che
l’estetica possa essere un settore ontologico di cui
Husserl avrebbe tracciato, con la propria
fenomenologia, le linee di metodo. Questa […] sarà
una fondamentale discriminante tra i primi studi di
estetica [fenomenologica] e le ricerche attuali.60
L’attenzione del fenomenologo deve dunque se-
condo Zecchi restare sul momento soggettivo, genetico-
costitutivo, e l’indagine sull’oggettività estetica dovrà
far emergere le originarie operazioni di strutturazione
del senso, poi irrigiditesi nell’apprendimento e
nell’abitudine e non piú rivissute come tali; se non si
ripercorre tutto il processo genetico che ha reso possi-
bile l’intenzionamento del senso di una determinata
complessione oggettuale, quelle operazioni costitutive,
ormai abitualizzate e passivamente impostesi, comin-
ciano a fungere da pregiudizi che inficiano l’autenti-
cità di ogni possibile esperienza. Tutto questo assume
evidentemente un portato decisivo nel caso delle espe-
rienze estetiche, ed è per questo che un’estetica feno-
60 Zecchi 1978, II, 81.
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menologica deve porsi come obiettivo la descrizione e
spiegazione dei processi sottesi all’intenzionamento
estetico; infatti, grazie anche alle nuove conquiste
delle avanguardie artistiche, risulta sempre piú evi-
dente come l’oggetto estetico offra uno stimolo alla co-
scienza a ripercorrere il processo genetico del senso,
come indichi, metadiscorsivamente, il proprio percorso
genetico-costitutivo e cerchi con questo di reinsegnare
a vedere (contro le mistificanti sedimentazioni
semantiche di cui s’è detto). Pertanto, se «di fronte
alle questioni di estetica è spesso tangibile l’affannosa
ricerca di un criterio definitorio a garanzia della
solidità del giudizio», l’estetica fenomenologica porrà
invece fra i propri obiettivi
l’abbandono di questo tipo di ricerca e la rinuncia al
ricorso al piano ontologico o ad un precostituito si-
stema di significati che interviene a livello normativo
per fondare la validità del giudizio estetico.61
E su questo filo conduttore si sviluppa la proposta di
Zecchi, che ora seguiremo nei suoi momenti essen-
ziali.
Esperienza ed evidenza:
la descrizione fenomenologica
Zecchi aveva esposto gli esiti delle proprie
letture husserliane in Fenomenologia dell'esperienza.
Saggio su Husserl, (1972), focalizzando l’attenzione
sul rapporto fra esperienza e formazioni ideali di
senso;62 un ruolo centrale, a questo riguardo, svolgono
61 Zecchi 1977, 7. 62 Si prenderà in esame, annuncia nell’Introduzione, «il significato della particolare prospettiva, l’atteggiamento eidetico, con cui la
– segue –
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la riduzione fenomenologica e la dottrina della
costituzione oggettuale ad essa strettamente
collegata. E siccome proprio tale binomio riduzione-
costituzione sta alla base anche della proposta
d’estetica fenomenologica, sarà utile tenere sullo
sfondo questo saggio su Husserl, al quale comunque
rinviamo per un’ulteriore contestualizzazione dei
luoghi husserliani di cui faremo principale uso.
Ora, la fenomenologia costitutiva non può certo
prescindere da un primo momento esperienziale in cui
l’apertura della coscienza al mondo si fa fenomeno; e,
per Husserl, l’esperienza costituisce una forma
originaria d’evidenza:
Il campo esperienziale è evidenza, lo stato delle cose
cosí come mi si danno è evidenza perché l’analisi fe-
nomenologica, disoccultate quelle forme inerenti al-
l’esperienza, compie quella critica dell’esperienza
pura che consente all’esperienza stessa di poter es-
sere colta come presenza originaria, e di poter co-
gliere in una evidenza originaria ciò che presenta.63
Vi è dunque un piano di datità originaria della cosa,
per render adeguatamente conto del quale è necessa-
fenomenologia chiarisce le operazioni che portano alla costituzione dei complessi obiettivi, ritenendo la dimensione dialettica tra possibilità e realtà il terreno piú solido per comprendere l’uso che la filosofia trascendentale deve fare della ricerca eidetica» Zecchi 1972b, 2-3. 63 Zecchi 1967, 66; afferma Husserl in Logica formale e trascendentale: «Kategorie der Gegenständlichkeit und Kategorie der Evidenz sind Korrelate. Zu jeder Grundart von Gegenständlichkeiten […] gehört eine Grundart der “Erfahrung”, der Evidenz und ebenso des intentional indizierten Evidenzstiles in der evtl. Steigerung der Vollkommenheit der Selbsthabe» Husserl 1974, 169.
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rio adottare la descrizione fenomenologica.64 Quest’ul-
tima procede in duplice direzione:
Sia a livello di riconoscimento dell’originario, della
struttura elementare, di un “complesso significativo”
[…] sia a livello degli atti che costituiscono tale “com-
plesso”.65
La descrizione non si risolve, pertanto, in una sem-
plice «esposizione esplicativa del fenomeno», poiché si
estende anche al soggetto, che risulta essenzialmente
coinvolto «con le sue esperienze, con i suoi bisogni, con
la sua storia».
Prassi costitutiva e intenzionalità corporea
Il coinvolgimento genetico del soggetto sposta la
questione dell’intenzionalità sul piano della prassi co-
stitutiva:66 dalla mera «comprensione significativa» si
passa alla «trasformazione significativa», in quanto il
processo d’apprendimento si presenta fondamental-
mente anche come una «ristrutturazione» di senso.
Entrambi i momenti sono da tener presenti per
descrivere adeguatamente l’intenzione oggettuale.
La genesi fenomenologica dell’oggettività mette
64 «[…] nel parlare di descrizione fenomenologica non si vuol indicare una esposizione esplicativa del fenomeno quale esso ci appare ricercandovi un’obiettività […] per poi affidare il compito interpretativo ad una specifica disciplina (psicologia, religione, estetica); […] si vuole invece intendere la ricostruzione di un processo genetico-costitutivo in cui il soggetto si trova nella possibilità di una comprensione significativa e nel medesimo tempo di una trasformazione significativa» Zecchi 1967, 67. 65 Zecchi 1977, 9. 66 Zecchi 1967, 67-8. Merleau-Ponty, ricorda Zecchi, aveva recisamente affermato che «aver coscienza significa costituire» Merleau-Ponty 1967, 128.
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dunque in luce una carica decontestualizzante propria
degli atti coscienziali costitutivi, la quale consente al-
l’estetica di rendersi indipendente «dall’ideologia do-
minante» di particolari valori o da eventuali «legalità
scientifiche» ad essa predeterminate; verrebbe altri-
menti meno, spiega Zecchi, «la funzione stessa della
“descrizione”, incanalata nelle direzioni imposte dal
privilegiamento della legalità scientifica che si por-
rebbe a condizione per la “descrizione” e non un even-
tuale punto di arrivo».67 Vediamo, allora, come si
articoli, sul terreno dell’estetica, una tale descrizione
fenomenologica.
Nel mondo circostante non si incontrano «mere
cose», ma anche oggetti d’uso, «cose» religiose, artisti-
che, economiche, che si presentano all’esperienza
come determinate (storicamente e socialmente) da
complessi di attributi. Il fenomenologo dovrà allora
evitare di procedere con la progressiva esplicitazione
della “cosalità” per mezzo di attributi, e compiere il
cammino inverso: l’esclusione degli attributi per rin-
tracciare quel limite oltre il quale non è possibile an-
dare senza compromettere la presenza della cosa me-
desima.68
Anche l’opera d’arte verrà allora ridotta ad una strut-
tura materiale, estetico-sensibile, non appartenente
ancora ad una determinata regione ontica (e ancora
non riconoscibile, pertanto, come opera d’arte):
La riduzione dell’opera d’arte alla materialità so-
spende ogni determinazione e attribuzione signifi-
67 Zecchi 1967, 68-9. 68 Zecchi 1977, 10.
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cante, e ne mette in evidenza innanzitutto la sua
intelaiatura elementare, uno schema spazio-
temporale che non si presenta necessariamente come
unità morfologica, ma che può essere anche un in-
sieme di funzioni e di relazioni funzionali.
Si tratta dunque di un passaggio obbligato per
poter accedere al processo attraverso cui, partendo ap-
punto da un complesso spazio-temporale, un oggetto
può esser percepito come oggetto estetico. Qualsiasi
esteticità (valore estetico) già presente nelle cose
viene in tal modo sospesa, e vengono invece fatti
emergere i passaggi attraverso i quali un’eventuale
esteticità verrà volta a volta istituita, a partire da
quella materialità estetico-sensibile.69 L’analisi – ecco
un referente polemico che ci sembra sotteso a tutta
l’argomentazione di Zecchi – sarebbe altrimenti ri-
dotta a mera analisi semiotica:
Come descrivere gli atti intenzionali che fondano
l’oggettività estetica? In questa prospettiva la feno-
menologia mette in luce un’alternativa non esauri-
bile nel discorso di metodo: o ci si muove all’interno
del mondo dell’arte, come oggetto estetico in sé, per
sistematizzare il suo codice semiologico (analisi che
[…] non può metter capo che ad una dottrina catego-
riale ontologico-estetica e perciò normativa e
definitoria), oppure si opera una fenomenologia della
costituzione dell’oggetto estetico in cui il livello di
artisticità è già nelle cose ma può essere riconosciuto
solo attraverso un processo che relaziona il mondo
dell’esperienza soggettivamente vissuta con gli altri
69 Zecchi 1977, 11.
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campi dell’esperienza oggettiva.70
La riduzione del mondo dell’arte alla sua materialità,
dunque, lungi dal renderlo estraneo all’intenzionalità
soggettiva, è la via atta a porre in rilievo quel bisogno
profondo di espressione e comunicazione che sta se-
condo Zecchi alla radice dell’oggettivazione estetica,
come di ogni atto specificamente umano. Gli atti in-
tenzionali costitutivi non devono infatti essere assunti
in senso intellettualistico, essendo invece fondamen-
talmente «atti del corpo» che rappresentano «il biso-
gno reale di espressione e comunicazione con altri
corpi, con il mondo degli uomini e delle cose».71
È dunque un bisogno ciò che sta alla radice dei
fenomeni estetico-artistici: l’artista comincia ad ope-
rare, a manipolare le situazioni in cui si viene a tro-
vare, proprio in risposta ad una «richiesta oggettiva di
modi infinitamente possibili d’espressione».72 Nessuna
fissa ontologia (metafisica) dell’arte è dunque secondo
Zecchi a questo punto affermabile, anche perché
l’oggetto estetico può esser ridotto ad un dispositivo
70 Zecchi 1978, II, 103. L’atteggiamento delle scienze linguistiche, proprio in quanto portato a privilegiare l’analisi sincronica, sarebbe dunque parziale: «se l’astrazione, l’isolamento di un certo complesso consente l’analisi e la descrizione scientificamente corretta di quel complesso, il sog-getto intenzionante, quello che con la sua attività isola il complesso rendendolo autonomo, non deve essere trascurato dall’analisi e dalla descrizione». Secondo Husserl, infatti, «l’esser segno non è un predicato reale, anch’esso richiede una coscienza d’atto fondata, il regresso a certi caratteri d’atto di nuovo genere» Husserl 1968a, II, 208. Anche in estetica – ne conclude Zecchi – è indispensabile un’integrazione diacronica che non misconosca la valenza significante del «processo genetico di costituzione della struttura» Zecchi 1967, 72. 71 Zecchi 1977, 14. 72 Zecchi 1977, 16.
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che mette in evidenza quell’espressività elementare
che si cela in ogni complessione sensibile: la stessa
cosa materiale, ancor prima d’esser costituita estetica-
mente (in senso tradizionale), si qualifica come «base
sensibile dell’espressione del bisogno di», come «punto
originario in cui idealmente si può riconoscere la
fusione dell’uomo come corpo che esprime bisogni e
desideri e del mondo naturale con la sua necessità e
determinatezza fisica».73
Fenomenologia dell’arte
Zecchi fa notare che diverse tendenze dell’arte
contemporanea confermano tali acquisizioni dell’este-
tica fenomenologica: la reazione contro la «tirannia»
della forma da parte delle avanguardie artistiche (da
Cézanne fino a Duchamp, a Kosuth)74 significa la ri-
vendicazione del ruolo fondante della soggettività,
cioè degli atti che costituiscono la «cosa» come arte;
non per nulla si è arrivati addirittura a ridurre l’opera
ad un semplice gesto dell’artista, un gesto capace di
riempire di significato artistico anche un oggetto qua-
lunque:
73 Zecchi 1977, 14. 74 «La ricerca dei processi di trasformazione dell’avvenimento quotidiano, della visione naturale in visione artistica è quasi ossessiva nell’opera di Cézanne. Le analisi che egli svolge delle sensazioni semplici dell’intenzionalità del soggetto sono alla base della creazione artistica e dell’annullamento di significati già esistenti che bloccano legando al passato l’immaginazione del nuovo […]. La scelta oggettiva nel processo creativo emerge con provocatoria violenza nel ready made di Duchamp, denunciando l’inesistenza di un in sé dell’artisticità. È il gesto che crea il significato […] Nella conceptual art questo processo di ridefinizione del divenire dell’arte a partire dagli atti soggettivi raggiunge le conseguenze piú radicali. Kosuth ne è il teorico piú freddo» Zecchi 1977, 12-3.
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nella traccia lasciata dall’atto soggettivo troviamo
l’espressività elementare delle funzioni che fondano
il significato dell’opera d’arte.75
Si tratterà poi, per il fruitore, di riattivare una tale
intenzionalità, di «rendere evidente nella sua gradua-
lità il significato del dato che appare».
Ora, è proprio l’applicazione dell’analisi fenome-
nologica ai territori dell’estetica che consente di de-
scrivere i fenomeni sulla base delle operazioni coscien-
ziali che conferiscono all’oggetto – che appare inizial-
mente in modo percettivo – il «significato di immagi-
ne».76 E quand’anche tale significato si dovesse rarefa-
re a tal punto da ridursi allo stanco gesto che lo pone
(la semplice ostensione di un oggetto comune), esso ri-
marrebbe pur sempre referente intenzionale sia della
produzione che della contemplazione estetica; si tratta
del resto d’un significato che, come si è visto, rinvia ad
un irriducibile margine di espressività che anima la
prassi intenzionale quotidiana dell’uomo, come Hus-
serl afferma anche nel ms A VI 1.77
Le profonde trasformazioni che ormai da anni
hanno segnato il mondo dell’arte ricevono in tal modo
un’adeguata fondazione filosofica, ed un primo obiet-
75 Zecchi 1977, 16. 76 Husserl 1968a, II, 207; cfr. Zecchi 1972b, 15; Zecchi 1967, 86. Il significato d’immagine – precisa Zecchi – è comune ad ogni tipo di mes-saggio poetico, mentre i diversi materiali dei complessi pittorici, sonori, segnici propri dell’opera d’arte ridotta assicurano le differenze fra i generi artistici. 77 Come ha mostrato di recente anche Elio Franzini, la nuova consapevolezza del fenomeno arte maturata dall’estetica fenomenologica riesce a recuperare l’intenzionalità latente del Leib che funge in ogni atto esperienziale, prima in modo anonimo e impersonale e poi in modo responsabile, personale, espressivo. Cfr. Franzini 1991 e 1994.
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tivo di Zecchi potrebbe cosí considerarsi realizzato:
l’arte rinvia alle modalità dell’intenzionalità sogget-
tiva, e la sua definizione, pertanto, non può che rive-
larsi tautologica: arte è tutto ciò che gli uomini inten-
zionano come arte.78 E si realizza altresí una delle
principali peculiarità del metodo fenomenologico, la
capacità di «cogliere il fondamento senza teorizzarne
la definizione».79
Tutto questo, pare utile precisare, non comporta
affatto alcun approdo idealistico, anche se l’analogia
con un altro celebre esordio, quello del Breviario di
estetica crociano, balza subito all’occhio;80 la tautologia
di Zecchi, infatti, suppone la riduzione eidetica
husserliana: è la stessa esigenza di scientificità pro-
pria della fenomenologia a far perdere di vista
(metodicamente) le individualità fattuali – giudicate
fondamentalmente irrilevanti –81 a vantaggio di una
78 «La gestione definitoria dell’arte diventa tautologia: dire se il ready-made di Duchamp […] è arte o non-arte o negazione dell’arte ecc. è un problema definitorio che l’estetica fenomenologica rinvia ad un piano tautologico: arte è tutto ciò che viene intenzionato come arte» (Zecchi 1977, 15); non siamo lontani da un’altra celebre tautologia definitoria proposta da Dino Formaggio: «Arte è tutto ciò che gli uomini chiamano arte» Formaggio 1973, 9. 79 Zecchi 1977, 7, n. 1. 80 «Alla domanda: – Che cosa è l’arte? – si potrebbe rispondere celiando (ma non sarebbe una celia sciocca): che l’arte è ciò che tutti sanno cosa sia. E, veramente, se in qualche modo non si sapesse che cosa essa è, non si potrebbe neppure muovere quella domanda, perché ogni domanda importa una certa notizia della cosa di cui si domanda, designata nella domanda, e perciò qualificata e conosciuta» Croce 1943, 9. 81 «Überall galt das singuläre Erfahrungsdatum, z.B. irgendwelcher “Auffassung”, “Wahrnehmung” u.dgl. nur als Exempel, wir gingen immer sogleich über in die Wesenseinstellung und erforschten eidetisch das zum Wesen Gehörige, die in Wesen gewisser Auffassungen beschlossenen Möglichkeiten, in Anschauungsreihen, Erfahrungsrehen überzugehen, sich
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struttura invariante del fenomeno che ne metta in
luce l’elemento tipico, essenziale e, con esso, la «pura
possibilità» dello stesso dato d’esperienza.82 Ma, come
s’è ampiamente visto, questo non comporta per nulla
l’abbandono della dimensione materiale-percettiva,
l’ancoraggio a quella intenzionalità corporea fungente
che sta alla radice della fenomenologia dell’espe-
rienza.
Piacere estetico
Altro momento essenziale alla costituzione este-
tica è il vissuto di piacere che, ponendosi sulla linea
delle affermazioni husserliane, Zecchi considera un
vissuto indispensabile affinché possa essere operata la
costituzione estetico-assiologica di un’oggettività; il
Gefallen appartiene cioè al processo costitutivo dell’in-
dabei einstimmig zu erfüllen, ihren Sinn, d.i. den Sinn des darin Vermeinten, des Erfahrenen als solchen, und damit den Sinn der betreffenden Gegenständlichkeiten auseinanderzulegen» Husserl 1952b, 21; cfr; anche Husserl 1962, 71. 82 «[…] Selbst das durch Variation gewonnene Allgemeine muß noch nicht im eigentlichen Sinne rein, frei von aller Wirklichkeitssetzung sein. Wenngleich durch die Variation schon die Beziehung auf das zufällige, wirklich existierende Ausgangsexempel ausgeschaltet ist, so kann dem Allgemeinen doch noch eine Beziehung auf Wirklichkeit anhaften, und zwar in folgender Weise: Für ein reines Eidos ist die faktische Wirklichkeit der in Variation versetzen Einzelfälle völlig irrelevant. Und das muß wortwörtlich genommen werden. Die Wirklichkeiten müssen behandelt werden als Möglichkeiten unter anderen Möglichkeiten, und zwar als beliebigen Phantasiemöglichkeiten». Solo quando – prosegue Husserl – noi diveniamo consci del legame che comunque sussiste col mondo di fatti da cui le nostre variazioni hanno preso le mosse, solo allora noi possiamo porlo consapevolmente fuori azione («bewußt außer Spiel setzen») procurandoci in tal modo una vollkommene Reinheit: «Wir stehen dann sozusagen in einer puren Phantasiewelt, einer Welt absolut r e i n e r M ö g l i c h k e i t » Husserl 1948, 423-4.
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tenzionalità estetico-artistica e, di fatto, la sua pre-
senza rivela quel «bisogno reale di espressività del
corpo», per nulla riducibile a mera affettività sogget-
tiva, che s’era già sopra segnalato. Il vissuto di pia-
cere diviene in tal modo una sorta di marca emotiva
che qualifica assiologicamente l’intenzione oggettuale
e che, nel passaggio all’atteggiamento teoretico, rende
attingibile un nuovo strato dell’obiettività, sede del
suo valore estetico; esso si presenta pertanto come un
«punto di convergenza di soggettività e oggettività»
nel mondo dell’arte,83 grazie al quale il corpo vivente
(Leib), che funge da punto zero dell’orientamento in-
tenzionale, entra in relazione con la materia del
mondo, manifestando già a questo livello un’intenzio-
nalità conoscitiva: è «il godimento piú semplice del
corpo che intenziona nella materia il suo infinito pro-
cesso di espressività», un «godimento elementare» per
la materia organizzata, un piacere dell’organizzare la
materia, che nasconde a sua volta una «conoscenza
del “fare”, delle sue tecniche, dei suoi media».84 Ed
entrando a far parte delle modalità costitutive del-
l’artisticità il Gefallen può divenire esso stesso – torna
qui il motivo polemico piú sopra segnalato – il
«fondamento della lettura semiotica dei codici
dell’opera», consentendo un’euristica integrazione tra
esigenze fenomenologico-costitutive e strutturali-
stiche.85
83 « […] il bisogno reale del piacere […] chiude sincronicamente gli spazi che a diversi livelli dividono il soggetto e l’oggetto nell’arte» Zecchi 1977, 17. 84 Zecchi 1977, 17-8. 85 Zecchi 1977, 17.
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Eideticità e costituzione:
una base estetica dell’analitica
Se la riduzione dell’opera a «cosalità materiale»
consente già di retrocedere ad un’evidenza piú origi-
naria rispetto alla percezione quotidiana, questa
struttura materiale non esaurisce tuttavia la
complessa fenomenologia della percezione, che è fatta
anche di anticipazioni, proiezioni, variazioni,
progressivi riempimenti di senso. Per render conto di
tutte queste altre operazioni costitutive diventa
secondo Zecchi necessario introdurre il riferimento
agli atti categoriali volti ad individuare nei fenomeni
delle strutture invarianti, delle essenze ideali; il
movimento costitutivo deve, in altri termini
appoggiarsi a delle formazioni ideali di senso, a delle
strutture eidetiche:86
L’essenza entra nel processo costitutivo intenzionale
che interpreta l’idealità fenomenica come il processo
storico-genetico di costituzione della identità di una
datità a partire dalla fluidità del campo esperien-
ziale originario fissandola in un enunciato linguistico
la cui obiettività ideale si trasmette nel tempo alla
comunità soggettiva.
Ed ancora:
L’eidos, o per cosí dire i tipi costanti, non sono che
una qualificazione la cui costanza indica il semplice
ripetersi nel tempo delle loro componenti qualifica-
tive permanendo invariate le condizioni «d’ordine
universale» in cui in precedenza queste determina-
zioni erano entrate a far parte di un’opera d’arte.
86 La singolarità esperienziale, come s’è visto, funge in realtà per Husserl da luogo d’esercizio per l’individuazione di strutture eidetiche.
52
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Questo tipo di considerazione a confronto con quello
che genericamente si è chiamato attributo presenta
ciò che è costante, che permane nei complessi arti-
stici in relazione al succedersi temporale. 87
Oltre che al soggetto, con i suoi bisogni, le sue re-
lazioni, la sua storia, l’intenzionalità estetica rinvia
dunque anche a certe costanti, a certe condizioni d’or-
dine universale che costituiscono orizzonti di pre-da-
tità e di possibilità intenzionali delle quali è neces-
sario tener conto e, soprattutto, che risultano an-
ch’esse strutturate e quindi anche ristrutturabili in
un processo genetico-costitutivo. La «cosa», in altri
termini, dipende dalle condizioni percettive a partire
da cui viene costituita come tale; ed esiste del resto
una normalità della percezione, corrispondente alle
condizioni quotidiane d’esperienza in cui ogni percetto
è mediato solamente dal riferimento al proprio Leib
che percepisce alla luce normale del sole.88 Ora, argo-
87 Zecchi 1967, 83. 88 «Uno stesso oggetto, provvisto di una forma identica, appare a se-conda della sua posizione rispetto ad un corpo luminoso, con diversi colori e ha colori diversi a seconda della sua posizione rispetto a corpi luminosi diversi. […] Cosí certe condizioni risultano essere le condizioni “normali”: la visione nelle condizioni costituite dalla luce del sole e da un cielo chiaro, senza l’intervento di altri corpi capaci di influire sul colore delle appari-zioni. L’optimum che cosí viene ottenuto vale come il colore stesso, a differenza per esempio del rosso di sera che soffoca tutti i colori propri del corpo» Husserl 1965a, 455-56. Il colore normale può dunque essere considerato come un predicato obiettivo. Conviene però leggere anche quest’altro passo: «In una costanza di illuminazione ho una colorazione costante che si costituisce come stato oggettuale (Gegeständliche Beschaffenheit); nella modificazione, il precedente stato oggettuale diventa mero modo fenomenico di una nuova unità. La reciprocità tra colore e illuminazione si rivela anche nel fatto che la nuova unità costituita può essere considerata sia come colore uguale ad una illuminazione piú forte, sia come modificazione del colore in una uguale illuminazione. In realtà il
– segue –
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menta Zecchi, ripercorrere i processi costitutivi signi-
fica annullare il significato «imposto nella passività
della percezione», e portare in primo piano la
«donazione di senso» attraverso cui l’oggetto si quali-
fica come avente valore (estetico, nel nostro caso) o
come oggetto pratico (d’uso) o naturale (teoretico). Ma
come si esplicita il passaggio dall’intuizione sensibile
a quella eidetica? come si attesta l’a-priori, l’essenza
del fenomeno, che è a sua volta garanzia dell’origina-
ria offerenza dell’atto percettivo?
Una prima risposta potrebbe essere trovata nella
distinzione che Husserl pone nella Sesta ricerca logica
fra la rappresentazione dell’intero colto percetti-
vamente in modo immediato e quella di una sua parte
colta come tale (cioè in relazione con l’intero) solo gra-
zie ad un atto categoriale fondato.89 Ma lo stesso
Husserl dichiarandosi successivamente insoddisfatto
di quelle analisi – rimaste a suo avviso ancora al li-
vello di una psicologia razionale – tornò piú volte
colore viene posto oggettivamente e la variazione di colore viene interpre-tata nel primo senso; la cosa ha un colore oggettivo, che appare diversamente ad una illuminazione diversa. In che modo si forma allora questa oggettività del colore? Si potrebbe rispondere con il determinare una “normalità” di illuminazione» Husserl ms D 13 XXIV, in Piana 1966a, 27-28. 89 Cfr. Husserl 1968a, II, 454 ss. 90 Husserl 1952a, 298-9; tr/ it.: «Preliminarmente – a-priori – la sua essenza [della cosa] determina come può comportarsi e come si comporterà. Ma ogni cosa […] h a u n a s i m i l e e s s e n z a p r o p r i a ? Oppure, per cosí dire, la cosa è sempre in cammino, non può essere colta in questa pura obiettività ed è piuttosto, in virtú della sua relazione con la soggettività, un che di relativamente identico, qualcosa che non ha preliminarmente una sua essenza, una es-senza afferrabile una volta per tutte, bensí soltanto un’essenza aperta la quale a seconda delle circostanze costitutive della datità, può assumere nuove proprietà. Il problema è allora di precisare […] il s e n s o d i q u e s t a a p e r t u r a » Husserl 1965a, 686; cfr. Zecchi 1972b, 50 ss.
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sulla questione delle essenze. Zecchi fa qui leva su un
importante passo del II libro delle Ideen:
Aber im voraus – a priori – ist durch sein eigenes
Wesen vorgezeichnet, wie es sich benehmen kann
und dann benehmen wird. Aber hat jedes Ding (oder,
was hier dasselbe sagt: hat irgendeins)
ü b e r h a u p t e i n s o l c h e s E i g e n w e s e n ?
Oder ist das Ding sozusagen immer auf dem Marsch,
ist es gar nicht in dieser reinen Objektivität zu
fassen, vielmehr vermöge seiner Beziehung zur
Subjektivität prinzipiell nur ein relativ Identisches,
etwas, das nicht im voraus sein Wesen hat, bzw. hat
als ein für allemal erfaßbares, sondern ein offenes
Wesen hat, das immer wieder je nach den
konstitutiven Umständen der Gegebenheit neue
Eigenschaffen annehmen kann? Aber da ist das
Problem, den S i n n d i e s e r O f f e n h e i t , und
zwar für die “Objektivität” der Naturwissenschaft
genauer zu präzisieren»90
Vi sono dunque delle prescrizioni essenziali che
determinano idealmente a priori il significato dell’e-
sperienza possibile (del mondo naturale); si tratta di
generalità il cui senso si gioca comunque tutto all’in-
terno dell’intenzionalità fenomenologica, vale a dire in
90 Husserl 1952a, 298-9; tr/ it.: «Preliminarmente – a-priori – la sua essenza [della cosa] determina come può comportarsi e come si comporterà. Ma ogni cosa […] h a u n a s i m i l e e s s e n z a p r o p r i a ? Oppure, per cosí dire, la cosa è sempre in cammino, non può essere colta in questa pura obiettività ed è piuttosto, in virtú della sua relazione con la soggettività, un che di relativamente identico, qualcosa che non ha preliminarmente una sua essenza, una essenza afferrabile una volta per tutte, bensí soltanto un’essenza aperta la quale a seconda delle circostanze costitutive della datità, può assumere nuove proprietà. Il problema è allora di precisare […] il s e n s o d i q u e s t a a p e r t u r a » Husserl 1965a, 686; cfr. Zecchi 1972b, 50 ss.
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rapporto ad una coscienza costituente o, ancor prima,
ad un corporeità vivente in relazione materiale col
mondo. Talché, a seconda delle circostanze in cui
viene intuita, la stessa cosa si può presentare secondo
diversi stati di attualità; l’essenza identica della cosa
è, come ha detto molto icasticamente Husserl, «immer
auf dem Marsch». Ed ecco perché Zecchi può affer-
mare che «il problema categoriale, dell’intuizione
eidetica, si chiarisce sempre meglio come il problema
di definire il momento empirico nella sua idealità
rispetto alla soggettività costitutiva».91
Se dunque l’atteggiamento naturalistico non può
che descrivere oggetti assunti come già dati (il leone è
giallo), quello fenomenologico (eidetico) si distingue
proprio per la sua capacità di cogliere «il senso eter-
namente uguale della percezione possibile in gene-
rale»;92 la riduzione eidetica, dunque, abbandona il
riferimento alla «fittizia individualità dei vissuti», per
riproporre «il senso originario delle operazioni che co-
stituiscono uno stato nella totalità degli eventi»93.
L’essenza, in altri termini, determina come un per-
cetto si potrà conformare, senza però che questo esclu-
da la sua stessa genesi nell’esperienza, in quell’espe-
rienza pura che è per Husserl, nella sua originarietà,
percezione.94 L’essenza a-priori delle cosa è dunque a-
perta a future e possibili costituzioni di senso, che
91 Zecchi 1972b 62. 92 Husserl 1965a, 821. Una volta abbandonate le fattualità empiriche delle percezioni, afferma Husserl, «wir beschäftigen uns dann mit dem Eidos, dem Wesen Wahrnehmung, und mit dem, was zu einer “Wahrnehmung als solcher” gehört, gewissermaßen zum ewig gleichen Sinn von möglicher Wahrnehmung überhaupt» Husserl 1952b, 40. 93 Zecchi 1972b, 114. 94 Cfr. Husserl 1960c, 47.
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nasceranno da diverse intenzionalità percettive; essa
anticipa – è vero – e unifica il senso che viene proiet-
tato sull’oggetto nella percezione, ma si tratta di
un’anticipazione che non ha nulla di fisso e di eterna-
mente stabilito.
Guadagnare il terreno trascendentale per Husserl –
ne conclude Zecchi – vuol dire escludere dalla sfera
esperienziale il riferimento al significato già deter-
minato da sedimentazioni fondate sulla tradizione,
costituendolo attraverso la percezione pura.95
Anche l’orizzonte eidetico, il piano dell’ideale, viene
dunque costituito e – conseguenza assolutamente fon-
damentale – possiede una propria storia;96 l’oggetto,
nella sua trascendentale idealità, si configura allora
come un nucleo relativamente invariante (identico) di
senso, come una pre-datità che si offre alla comunità
intersoggettiva per esser costituito secondo determi-
nate condizioni percettive. Apparenza e realtà, e cioè
anche percezione e conoscenza, si unificano dunque
nella «normalità percettiva»,97 che comporta al tempo
stesso anche una «normalità giudicativa»,98 venendo a
95 Zecchi 1972b, 66. 96 Nella Krisis Husserl lamenta proprio come la teoria della cono-scenza non sia mai stata considerata come un compito peculiarmente sto-rico. Cfr. Husserl 1961, 367. 97 «La dialettica tra realtà e apparenza che si stabilisce sulle condizioni di mutevolezza delle situazioni ambientali e percettive, al limite si riunifica nella “normalità” ambientale e percettiva» Zecchi 1967, 75. 98 «Se già a livello di attività percettiva, che costituisce l’oggetto in quanto tale, è possibile riscontrare delle “norme” di percezione, anche nel-l’ultimo livello di significazione, che come si è visto è il giudizio, sarà presente una “normalità” giudicativa che consentirà di uscire dallo scet-ticismo soggettivo di tipo humiano per ritrovare nella comunicazione
– segue –
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costituire quella che Husserl chiama esperienza
intersoggettiva, per cui gli uomini raggiungono quella
socialità della conoscenza che costituisce i canoni
della normalità esperienziale.99
Sulla linea di quanto lo stesso Zecchi aveva
proposto per una fondazione fenomenologica
dell’estetica, anche i risultati a cui egli è pervenuto
circa rapporti fra eideticità e costituzione potrebbero
venir estesi all’orizzonte dell’arte. Non si tratta di
riflessioni effettivamente sviluppate, ma che ci paiono
fondamentalmente in linea col loro spirito. Si po-
trebbe infatti affermare che, se vale questa apertura
storico-sociale dell’eidos, il permanere attraverso le
epoche storiche dei valori di un’opera d’arte o, al
limite, della stessa forma opera d’arte, non dev’essere
lasciato alla passività delle sedimentazioni tradi-
zionali, che presto divengono delle ovvietà assunte in
modo acritico. Affinché si dia una vera e propria vita –
e non una mera sopravvivenza – dell’arte è
necessario riattivare quell’intenzionalità, che si dà
secondo una propria temporalità e sempre in un de-
terminato contesto intersoggettivo, capace di cogliere,
al di là della mera strumentalità delle cose, i predicati
di valore estetico; un valore, che consiste nella sua
mera fenomenicità, cioè che appare nel corso di un’e-
sperienza pura, grazie alla donazione di senso da
parte di sempre nuovi soggetti storici. E solo a queste
condizioni l’oggetto potrà venir riconosciuto100 ed in-
intersoggettiva un canone di riflessione sull’ “oggetto culturale”» Zecchi 1967, 74. 99 Zecchi 1967, 75. 100 Al riconoscimento dell’opera d’arte ha dedicato particolare attenzione Roman Ingarden; cfr. Ingarden 1937.
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tenzionato come arte. Ritroviamo cosí la tautologia se-
condo cui arte è tutto ciò che gli uomini intenzionano
come tale, definizione che consente – e qui sta la sua
portata euristica – di far rientrare nell’estensione di
un concetto un individuo che di quel concetto si
presenti come la negazione.101 Ed è appunto nella
direzione di un’estetica che espliciti la pretesa delle
arti di ridefinire geneticamente il senso della
percezione che la fenomenologia consente di muoversi.
Infatti,
la forma conoscitiva dell’arte non è veicolo di signifi-
cazione e non segue un senso precostituito dalla teo-
ria; è fondata su una prassi in cui il corpo è bisogno
di espressione che non solo attualizza, attiva ele-
menti significativi, ma è anche il loro campo, è
orizzonte di possibilità (non sistema combinatorio di
scelte semantiche/sintattiche) di variazioni imma-
ginative delle forme percepite. […] L’opera d’arte
«mostra» la forma di una conoscenza in cui principi
normativi e regole combinatorie sono solo derivabili
da un fondo in cui agisce la prassi del corpo, nel suo
bisogno di esprimere la tensione della padronanza di
sé tra realtà e aspirazione, in cui si condensa il
piacere del senso vitale, come pienezza acquisita o
irraggiungibile.
L’artista del XX secolo si sarebbe allora fatto
portavoce di un’esigenza di rinnovamento eidetico,
forse utopistica, ma comunque profondamente radica-
ta nella nostra epoca:
101 Pensiamo, ovviamente, alla tanto ostentata trasgressione alle norme poetiche tradizionali presente in tante opere dell’arte contemporanea e finalizzata a ridefinire in toto il senso del fare arte, allargandone di fatto l’orizzonte.
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La prassi piú elementare del gesto ha una forza che
proviene da un processo primario: il piacere di tra-
sgredire, di infrangere l’ordine degli oggetti, del lin-
guaggio, come risposta ad un bisogno reale di pro-
durre modi infinitamente possibili d’espressione che
attualizzano un “diverso”, “autentico” essere nel
mondo.102
Sarà allora l’oggetto estetico quella essenziale
Ding che Husserl pretendeva come regola delle appa-
rizioni possibili?103
102 Zecchi 1981, 99-100 103 «Das Ding ist eine Regel möglicher Erscheinungen. Das sagt: das Ding ist eine Realität als Einheit einer Mannigfaltigkeit geregelt zusammengehöriger Erscheinungen. Und diese Einheit ist eine intersubjektive» Husserl 1952a, 86. 103 «Das Ding ist eine Regel möglicher Erscheinungen. Das sagt: das Ding ist eine Realität als Einheit einer Mannigfaltigkeit geregelt zusammengehöriger Erscheinungen. Und diese Einheit ist eine intersubjektive» Husserl 1952a, 86.
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Praxis e tradizione.
Sui rapporti tra arte e fenomenologia
Nel contesto degli studi husserliani in Italia, che
vantano ormai una significativa tradizione, verso la
fine degli anni Cinquanta104 si è cominciato a parlare
di progetti di estetica fenomenologica. Si trattava di
correnti di pensiero molto vive nell’estetica italiana,
che avevano preso il via soprattutto grazie al lavoro e
al magistero di Antonio Banfi, ma che poi si erano
sviluppate secondo itinerari non più riconducibili ad
un filone unitario e il cui portato storico e teoretico
non può essere colto senza precisi riferimenti a tutto il
panorama dell’estetica e della cultura filosofica
italiana in quei decenni. Se non è certo possibile in
questa sede affrontare un simile argomento,105 in
conformità alle esigenze enunciate nell'introduzione
del presente volume, abbiamo provato a lanciare in
profondità una sonda per identificare specifici riferi-
menti all'opera di Edmund Husserl nei lavori di un
altro grande referente per gli sviluppi dell'estetica
fenomenologica in Italia, vale a dire la figura di
Luciano Anceschi, fondatore di un’importante linea di
studi presso lUniversità di Bologna. Anche in
104 Nel 1959 compaiono il saggio di Dino Formaggio intitolato Proposte per un'estetica fenomenologica (Formaggio 1959) e la seconda edizione di Autonomia ed eteronomia dell'arte. Saggio di fenomenologia delle poetiche di Luciano Anceschi (Anceschi 1959). 105 Si veda al riguardo l’esauriente Lino Rossi, Situazione dell’estetica in Italia (Rossi 1976) che fa il punto sull’estetica italiana sino a metà degli anni Settanta.
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Anceschi infatti, pur avendo egli sviluppato l'iniziale
riferimento metodologico husserliano – prendendo
peraltro anche esplicitamente le distanze da un certo
Husserl giudicato eccessivamente metafisico e
dogmatico – nella direzione di una fenomenologia
delle poetiche che mettesse in luce la loro effettiva
presa sulla vita e sulla situazione culturale, resta
sempre riconoscibile un significativo debito nei
contronti del pensiero dell’ultimo Husserl. Ciò
contribuisce ulteriormente a definire il quadro della
fortuna dellopera del fondatore della fenomenologia
entro i territori dell’estetica italiana.
In un capitolo di Progetto di una sistematica del-
l’arte, 1962,106 Anceschi dedica specifica attenzione a
un inedito husserliano che, a suo avviso, «tocca da
vicino l’estetica». La riflessione sul senso originario
della geometria sviluppata da Husserl in relazione ad
alcuni passaggi della Crisi delle scienze europee apre
infatti a interessanti considerazioni analogiche sulla
dottrina della lingua, sulla letteratura e sulla tradu-
zione; ma ciò che rende estremamente importanti per
l’estetica queste note è, ad avviso di Anceschi, la dia-
lettica che Husserl descrive fra tradizione ed oblio o,
in una parola, la riflessione ivi messa in campo sulla
storia. Si troverebbero infatti in tale scritto per la
prima volta enunciati «i procedimenti di una
storiografia fenomenologicamente intenzionata», che
potrebbe evidentemente liberare la sua efficacia
euristica anche nella riflessione storica dell’estetica.107
Lo spunto teorico husserliano riguarda, come si è
106 Anceschi 1962b, 115-137 107 Sui rapporti tra fenomenologia critica e storiografia estetica si vedano Rossi L. 1983 e 1990.
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detto, il concetto di ʺtradizioneʺ. Anceschi preferisce
comunque muovere da alcune intuizioni di Thomas S.
Eliot, che, sul piano teoretico potrebbero essere
considerate equivalenti, sebbene piú specificamente
orientate «dall’angolo del poeta; e di un poeta, poi, che
si è dato il compito di costituire un sistema di istitu-
zioni efficaci per sé e per i poeti seguenti». Notazione,
quest’ultima, che già anticipa un motivo di fondo della
nuova fenomenologia critica, che, come s’è detto, da
Husserl prende dichiaratamente le distanze. Ma
stiamo qui al nostro tema, cioè ai riferimenti
specificamente husserliani che in questo contesto
vengono fatti valere per l’estetica:
Eliot osserva – riassume Anceschi – che la tradizione
non consiste nel ricalcare con cieca e timida fedeltà le
vie della generazione che ci ha preceduti; esempi cosí
semplici presto si perdono, e, in ogni modo, la “novità è
meglio della ripetizione”. In realtà per tradizione va
inteso qualche cosa di molto piú ampio: essa deve ve-
nire acquistata in eredità, ma deve essere faticosa-
mente conquistata: in primo luogo, essa esige quel
senso storico che implica non solo l’intuizione dell’esser
passato del passato, ma anche quella della sua pre-
senza.
Ora, quest’esigenza messa in campo da Eliot di
una riconquista della tradizione è secondo Anceschi
tacitamente all’opera quando ci si cimenta nella pro-
duzione artistica del nuovo:
ciò che avviene quando è creata una nuova opera
d’arte è qualche cosa che avviene in tutte le opere
d’arte che la precedono […]. I monumenti esistenti
costituiscono tra loro un ordine che è modificato dal-
l’introdursi nel loro cerchio di una nuova (veramente
nuova) opera d’arte. L’ordine esistente è completo,
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prima che arrivi la nuova opera; perché l’ordine resi-
sta dopo il sopravvenire della novità, l’intero ordine
esistente deve essere, sia pure di poco, mutato. E
questo è l’accordo tra il vecchio e il nuovo, e questa è
nelle sue vive articolazioni la nozione di tradizione.
L’esperienza della tradizione si chiarisce dunque
nel rilievo delle relazioni che il presente istituisce col
passato, con le soluzioni che la storia tramanda e che
costituiscono l’orizzonte a partire da cui si genera il
senso della realtà attuale. Eppure, il riferimento al-
l’arte ci avverte che non è per nulla estranea al recu-
pero delle intenzionalità originarie la dimensione
della praxis, qui intesa come corporeità operativa
animata da un’intenzionalità progettuale; ed è proprio
in riferimento ad una tale nozione di corporeità che si
può far valere ad avviso di Anceschi il messaggio
dell’ultimo Husserl:
Per praxis, generalmente parlando, Husserl intende
quella vitalità del presente, in cui l’intenzionalità si
fa bisogno e propone orizzonti presunti. Tale vitalità
è soggetta a usura, e per cosí dire si consuma: nel
presente che in quanto passante viene formandosi
come passato, essa si vien spegnendo, e come
irrigidendosi. La tradizione è una conseguenza di
questo processo, ed è quasi l’invecchiamento della
storia vivente. La tradizione è dunque passato: ma è
un passato che può essere richiamato, che può rifarsi
e si rifà presente in relazione ad un orizzonte futuro
presente come prospettiva dell’intenzionalità.
Se invece per tradizione, come comunemente accade,
si intende solo un plesso di scienze compiute, di og-
getti finiti o di gesti definitivi, inevitabilmente si
perde tutto il processo che è stato necessario per
compiere e per definire quegli orizzonti culturali che
64
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vengono tramandati.
Il riferimento alla fenomenologia costitutiva
husserliana si situa dunque entro il contesto della
produzione delle Kulturwelten; Husserl – prosegue
Anceschi – «sembra aiutarci a coordinare in modo
organico intuizioni metodologiche e critiche finora
prive di sistemazione», tant’è che sulla sua scia ha
preso effettivamente il via una decisa rivendicazione
della scientificità – scientificità non strutturalistica e
non dogmatica –108 dei saperi sull’uomo e, fra questi,
in particolare, dell’estetica. L’excursus sull’origine
della geometria, infatti, è pienamente utilizzabile a
questi scopi, in quanto
[…] nello stesso tempo egli [Husserl] mette anche in
luce talune operazioni interne alla vita della lettera-
108 L’utilizzo della fenomenologia nella fondazione delle scienze umane rientrava anche in un progetto volto ad arginare la diffusione dello strutturalismo. L’argomento è stato studiato da Renato Barilli, il quale nota però come la nozione di struttura non sia di per sé, almeno nella sua formulazione in Ferdinand de Saussure, opposta ad un modello di pensiero del ceppo sintetico quale appunto la fenomenologia: «Parlare di struttura […] vuol dire sconfiggere sul nascere le pretese sommatorie-combinatorie di ogni metodologia di derivazione positivista, e anzi, in antitesi ad essa, fornire le migliori garanzie per una fondazione autonoma delle scienze umane, rispettandone appieno le esigenze specifiche». Tuttavia, in Italia, come anche in altri paesi, la dimensione diacronica della parole sarebbe stata ben presto abbandonata, essendosi invece massicciamente infiltrata la linguistica hjelmsleviana «con la cui mediazione lo strutturalismo si è ricalcato e rimodellato per intero secondo lo stampo del positivismo logico di Carnap». In breve, la struttura sarebbe stata sostituita dal segno. Gli anni ’60 sarebbero stati caratterizzati da una ventata «analitica», a tal punto che «le varie esigenze […] sintetiche, dinamiche di cui la fenomenologia era già portatrice negli anni ’50 contro il positivismo logico tornano buone oggi, per tentare di trovare un compenso alle sempre piú palesi deficienze delle imprese di specie semiotica» Barilli 1982, 153-154. Sulla fenomenologia come fronte d’opposizione allo strutturalismo cfr. anche Battaglini 1963; Curi 1965.
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tura per solito ignorate, o non considerate, o non
comprese dall’angolo di chi prestabilisce che la realtà
estetica non interessa oltre il risultato. Io penso qui
prima di tutto a quel sentimento per cui ogni deci-
sione sulla forma appare sempre una decisione sul
passato e sul futuro della forma stessa in generale; o
anche alla illusione (necessaria) che ogni opera, ogni
movimento porta con sé di “rompere ” con il passato
– cui corrisponde una successiva, inevitabile scoperta
dei legami con il passato, della continuità; o, infine,
ai frequenti riattivamenti del passato e ipotesi di fu-
turo in cui si muove l’attività artistica. Si tratta evi-
dentemente di suggerimenti preziosi in un campo
dove è facile concedere all’abitudine dei procedi-
menti, alla reificazione dei sistemi metodologici, al-
l’inerzia nell’uso di strumenti ormai in ritardo ri-
spetto alla conoscenza.
La dialettica individuata da Husserl fra Ur-
stiftung e sedimentazione passiva può dunque essere
ripresa nel contesto di un’estetica programmati-
camente orientata verso il divenire dell’arte e delle
sue poetiche.
Sorge però a questo punto un problema esegetico
relativo allo stesso pensiero husserliano:
Mentre inizialmente per Husserl l’intenzione di co-
scienza era soprattutto eidetica, visione, intuizione
essenziale, ora – e in particolare con la Krisis – essa
si fa pratica. Eidos e praxis. Il tema della praxis
sembra per noi uno dei piú fertili della ricerca hus-
serliana per gli sviluppi che suggerisce. Ma in che
modo la praxis si accorda con l’eidos? La purezza e
l’apoditticità dell’eidos non sarà turbata?
Per rispondere diamo la parola a Guido Pedroli
(a cui rinvia, in chiusura, lo stesso Anceschi), autore
di un contributo su Realtà e prassi in Husserl com-
66
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parso su quel vero e proprio manifesto della seconda
stagione di studi husserliani in Italia che è il volume
miscellaneo Omaggio a Husserl.109 Pedroli analizza al-
cuni inediti stesi tra gli anni 1930-35 in cui Husserl,
riflettendo sulla crisi delle scienze, considera la corpo-
reità operante quale fondamento di ogni esperienza –
esperienza possibile e del possibile:
Ogni percepire ed esperire, ogni intendere sia intui-
tivo che non-intuitivo è un operare, secondo modalità
diverse, secondo diverse implicazioni a livello di-
verso, ma sempre un operare corporeo (ein leibliches
Tun). […] Ciò significa rompere con la concezione
kantiana dell’atto conoscitivo come atto unificante
secondo forme categoriali la molteplicità dei dati di
coscienza di per sé non-significativi. Alla totale ma-
tematizzazione dell’“universo mondano” ad opera
della scienza “copernicana” Husserl contrappone una
visione fenomenologica del mondo incentrata sulla
coscienza esperiente, della quale negli ultimi scritti
sottolinea il carattere corporeo-concreto. Mentre
nelle Ideen I l’intenzione di coscienza era soprattutto
visione, in totale trasparenza dell’oggetto allo
sguardo intuente, negli ultimi scritti essa è conside-
rata principalmente come un movimento concreto
verso il reale, un “agire” corporeo del soggetto
esperiente. Ove resta aperta la questione in che
misura si può ancora parlare di trasparenza
dell’oggetto alla coscienza e di apoditticità della
visione eidetica.
Facendo leva su alcuni inediti preparatori alle
conferenze di Vienna e di Praga del 1935, Pedroli mo-
stra dunque come l’ultimo Husserl rimetta in discus-
109 AAVV 1960.
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sione l’evidenza oggettiva, intesa nella sua staticità
eidetica. Entra ora in considerazione l’orizzonte inter-
soggettivo e, al suo interno, la prassi genetica del
senso: il dato reale che «precede e stimola l’atto di co-
scienza» è già «frutto di un’esperienza collettiva», di
un’esperienza «intesa non nel senso ristretto di atto
conoscitivo ma di una vera e propria prassi di soggetti
che insieme vivono, operano, amano e soffrono». La
realtà che nel primo Husserl subisce la riduzione da
parte di una coscienza pura, e sembra perciò negata,
riemerge ora «in forma di attività pratica».
Si può notare in queste affermazioni qualcosa di
analogo all’interpretazione della fenomenologia non
piú come filosofia trascendentale ma come filosofia
della prassi che perseguiva in questi stessi anni Enzo
Paci;110 anche per Pedroli, infatti, il dato reale non si
110 «La questione della “crisi” mette alla prova il trascendentalismo della fenomenologia, nella sua pretesa di fondazione apodittica del sapere, e non è casuale che proprio La crisi delle scienze europee sia il testo che piú viene messo alla prova da filosofi vicini al pensiero husserliano, come Merleau-Ponty, Banfi o Paci, per sottolineare necessarie rettifiche e integrazioni alla fenomenologia trascendentale» Zecchi 1986, 35. E teniamo presente che il considerare la storia come tema essenziale «che inerisce alla fenomenologia necessariamente e senza il quale le fenome-nologia non avrebbe potuto essere quella che è» (Paci 1969, 16), è frutto dell’interpretazione husserliana di Enzo Paci: «Se per Husserl […] il mondo umano è per essenza sempre lo stesso, se per Husserl la ragione è il luogo in cui le idee si trovano eternamente e assolutamente, e se – ancora – la storia è una realtà solo in quanto dedotta dal movimento generale della razionalità, Paci sconvolge l’ordine fenomenologico husserliano inserendo l’essenzialità del divenire nell’essere e determinando, attraverso il divenire, le condizioni fenomenologiche per la manifestazione del senso che si costituisce sulla base di una filosofia della storia». Si tratta secondo Zecchi di un «oltrepassamento di Husserl nel nome di Husserl» Zecchi 1986, 39. Di Paci si vedano a questo riguardo soprattutto Paci 1961f; 1963a; 1968; 1973.
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rivela piú solo frutto dell’attività del soggetto, poiché
la fenomenologia genetica mette in chiaro come, di
fatto, la presunta coscienza «pura» lavori in realtà su
una «Vorgegebenheit» che ne condiziona radicalmente
l’intenzionalità. E si deve pertanto riconoscere che,
come afferma molto icasticamente Husserl, «Welt
wenn sie überhaupt konstituiert fertig war, war schon
Welt aus Praxis»111. Pedroli ne può cosí concludere:
A differenza dell’animale, cui l’orizzonte condizio-
nante si presenta secondo determinazioni univoche
(dell’essere cosí e non altrimenti), l’uomo vive in un
orizzonte di realtà che include anche il non-essere, e
cioè possibilità, probabilità, aspettative ecc.
L’atteggiamento fondamentale per cui l’uomo, attra-
verso il possibile, realizza un altro e diverso reale è
un atteggiamento pratico.112
Pedroli ha cosí toccato temi cruciali che saranno
al centro dell’attenzione nei successivi studi di (ma
anche sulla) estetica fenomenologica in Italia che si
svilupperanno negli anni immediatamente successivi:
il pre-categoriale materiale, la prassi intenzionale
sensitivo-corporea, la possibilità o variabilità del dato
d’esperienza. Ed è proprio l’esperienza estetica (frui-
tiva e produttiva) cosí come verrà teorizzata in questi
contesti che, destrutturando e ristrutturando i modi di
apparizione dell’oggetto, ponendo cioè le apparenze e-
splicitamente a tema, mette allo scoperto una genesi e
costituzione dell’oggettività molto vicina a quella
teorizzata dalla fenomenologia di Edmund Husserl.
111 «il mondo quando mai fu compiutamente costituito era già mondo a partire dalla prassi» Ms. A V 20, in Pedroli 1960, 206. 112 Pedroli 1960, 207.
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Si capisce dunque come il modello teorico, che si
andava sempre piú diffondendo nelle interpretazioni
italiane di Husserl, facente capo soprattutto al nuovo
«piccolo inizio» della Krisis, si prestasse molto bene ad
essere messo a frutto entro lo sfuggente orizzonte
dell’estetico, il quale, del resto, proprio allora abbiso-
gnava di una riconsiderazione filosofica che ne
evidenziasse la specificità e la pertinenza di fronte al
proliferare delle scienze umane esatte che tendevano
a revocare alle proprie epistemologie tutto il com-
plesso dell’indagine antropologico-filosofica.
La lezione husserliana spingeva in altri termini
nella direzione di una rifondazione dell’estetica che ne
attestasse l’autonomia di campo e allo stesso tempo la
capacità di comprendere l’intenzionalità originaria
che ermerge dalle vive indicazioni delle poetiche. E
queste indicazioni sono ciò che l’attenta ricerca di
Luciano Anceschi non tende lascarsi sfuggire.
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71
Nota sulla fortuna italiana
della prima estetica fenomenologica
Nel capitolo primo abbiamo esaminato alcune ri-
flessioni – le uniche, per quanto si sappia – dedicate
da Husserl specificamente all’estetica, alle quali
abbiamo successivamente accostato ulteriori rifles-
sioni dascendenza strettamente husserliana che
possono essere fatte valere per la teorizzazione di
un’estetica fenomenologica. Ora, al di là degli sviluppi
interni al pensiero di Husserl, sin dai primi anni del
secolo avevano autonomamente cominciato ad operare
diversi autori che cominciano a teorizzare un’estetica
fenomenologica, evidentemente ispirantesi a Husserl,
sebbene non sempre del tutto in linea col suo stesso
pensiero. Si tratta di studiosi che fanno parte del
cosiddetto ʺcircolo fenomenologico di Monacoʺ oppure
di allievi del periodo di Gottinga, i quali, prendendo a
modello le riflessioni husserliane sulla logica, avevano
cominciato a delineare una fondazione dell’estetica
come disciplina scientifica e autonoma.113
Da quanto va emergendo grazie agli importanti
studi di Gabriele Scaramuzza, sembra che queste
113 Come s’è visto nel capitolo 1, sono state di recente evidenziate diverse analogie esistenti fra le riflessioni sul valore estetico elaborate per la libera docenza da Aloys Fischer – ora disponibili anche in traduzione italiana: Fischer 1996 – e alcuni fogli di appunti raccolti nel ms A VI 1 di Husserl. Al di là di queste analogie, si può in ogni caso affermare che l’estetica fenomenologica ha proceduto autonomamente rispetto agli sviluppi del pensiero husserliano, seguendo fondamentalmente due di-rettive, una basata su un isolamento metodico dell’oggetto al fine di inda-garne formalisticamente l’artisticità, l’altra concentrata sull’inerenza all’og-gettività di un valore ed attenta ai suoi effetti soggettivi.
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riflessioni non siano per nulla di second’ordine e che
costituiscano invece un importante termine di
riferimento per la comprensione di diversi aspetti
della cultura filosofica nella prima metà del XX se-
colo.114
Proveremo qui di seguito a tracciare le linee di
sviluppo dellinteresse nato allinizio degli anni
Settanta in Italia per la prima estetica fenomeno-
logica, interesse che conduce anche alla traduzione e
pubblicazione – spesso accompagnata anche da utili
cornici interpretative – di diversi scritti di non facile
reperibilità di Waldemar Conrad, Roman Ingarden,
Moritz Geiger, Nicolai Hartmann,115 e recentemente
anche di Aloys Fischer. Cominceremo col loffrire un
breve repertorio bibliografico dell'attività traduzione e
pubblicazione dei testi, per passare poi ad una sintesi
dei principali contenuti teorici emersi nel confronto
critico sviluppato dagli estetologi italiani con i primi
esponenti dell’estetica fenomenologica tedesca.
A. Bibliografia ragionata delle traduzioni dalla prima
estetica fenomenologica.
Roman Ingarden è noto al panorama filosofico
italiano perlomeno dal 1956.116 In quell’anno il filosofo
114 Autori come Waldemar Conrad o Roman Ingarden hanno avuto fortuna anche nei paesi dell’Europa orientale, essendo rintracciabili loro influssi nei confronti del formalismo russo e poi dello strutturalismo linguistico praghese, oppure anche negli USA o in Sudamerica, dove è ben noto anche Moritz Geiger. Questi, sottolinea Scaramuzza, fu maestro di Walter Benjamin, che ne subí un certo influsso. 115 A prescindere da ogni discussione sulla ortodossia fenomenologica di Hartmann, il suo nome di fatto compare qui in Italia unitamente a quello di altri esponenti dell’estetica fenomenologica. 116 In Italia il valore delle sue indagini è stato ampiamente messo in ri-lievo da: Oberti 1964; Migliorini 1968; Scaramuzza 1976; 1984; 1989;
– segue –
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polacco pronuncia a Venezia una relazione su Le
valour esthétique et le probleme de son fondement
objectif,117 mentre l’anno seguente l’«Archivio di filoso-
fia», pubblica (anche in versione italiana) il saggio
Über die Gegenwärtigen Aufgaben der Phänomenolo-
gie118; di nuovo, nel 1958, l’allievo husserliano è
relatore a Venezia con Bemerkungen zum Problem des
ästhetischen Werturteils119. Nel 1961 Gianni Vattimo
traduce per «Rivista di estetica» O tak zwanym ma-
larstwie abstrakcjnym (La pittura astratta), saggio
pubblicato l’anno precedente su rivista polacca,120 ed
ora ristampato su una ricca miscellanea curata da Ga-
briele Scaramuzza sui rapporti tra arte e fenomenolo-
gia.121 Sembra dunque che la lezione ontologico-forma-
le di questo fenomenologo – notoriamente avverso al
presunto idealismo husserliano – sia stata inizialmen-
te resa nota in Italia nella sua versione estetologica.122
Sempre sulla «Rivista di estetica» trova spazio,
nel 1963, un’estesa recensione di Ladislao Strozewski
degli scritti ingardeniani raccolti nei due volumi di
Studia z estetyki,123 mentre «Il Verri» propone nel
1967 la traduzione del capitolo Das «Leben» des litera-
rischen Werkes, tratto da Das literarische Kunstwerk.
Eine Untersuchung aus dem Grenzgebiet der Ontolo-
1996; Baccarini 1981 e 1982. Dufrenne 1969, 291-302 ritiene invece che Ingarden non abbia compreso sino in fondo la fenomenologia husserliana, ed altrettanto sbrigativo è il giudizio sul filosofo polacco anche in Morpurgo-Tagliabue 1960, pp. 442-3. 117 Ingarden 1957a. 118 Ingarden 195 b, tradotto: Ingarden 1957c. 119 Ingarden 1958a, tradotto: Ingarden 1958b. 120 Ingarden 1960b; 1961a. 121 AAVV 1991. 122 Cfr. Ingarden 1925; 1929; Husserl 1968d. 123 Strozewski 1963, Ingarden 1966; la prima edizione è del 1957-58.
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gie, Logik und Literaturwissenschaft,124 lo scritto forse
piú noto di Ingarden, in cui la struttura dell’opera
letteraria viene indagata per strati (Schichten). Il
testo viene tradotto integralmente l’anno succes-
sivo,125 mentre altri passi si trovano su un’antologia
curata da Stefano Zecchi.126 Il fatto che anche la prima
integrale traduzione dal discepolo di Gottinga sia
condotta su un’opera di tematica propriamente este-
tologica (sebbene egli abbia dichiarato d’analizzare
l’opera letteraria spinto da interessi ontologico-for-
mali) sembra ulteriormente sottolineare l’importanza
della sua originaria applicazione del metodo fenome-
nologico all’universo delle arti.127
Nel 1969 si segnala inoltre la traduzione di un
124 Ingarden 1931. 125 Ingarden 1968a. La traduzione è condotta sulla seconda edizione tedesca (Ingarden 1960a). L’edizione comprende l’appendice sul teatro dal titolo Von den Funktionen der Sprache in Teaterschauspiel, saggio originariamente edito su rivista polacca (Ingarden 1959). La versione italiana, però, non è sempre felice ed è ormai difficilmente reperibile in commercio. 126 Zecchi 1983, 255-267. 127 Das literarische Kunstwerk, composto nell’inverno 1927/28, oltre che nel 1931 è apparso in Germania anche nel 1960, 1965 e 1972. Era stato però anche riscritto da Ingarden in polacco e quindi tradotto in inglese e in francese. Nella prefazione alla seconda edizione tedesca Ingarden riferisce di aver aggiunto alcune note allo scopo di dissolvere le numerose obiezioni alzate negli anni contro lo scritto, lasciando peraltro invariata la struttura generale del testo. Egli dichiara di essere piú fiducioso nella compren-sibilità della sua opera, ritenendo gli anni ’60 tempi piú maturi per la comprensione del realismo ontologico in essa teorizzato: «Allora, nell’anno 1930, era un’impresa arrischiata, occuparsi dell’ontologia dell’opera d’arte letteraria, discutere problemi puramente strutturali ed esistenziali-ontologici, trattando l’opera letteraria sulla base del problema Idealismo-Realismo. Ma proprio in tal riguardo la situazione di fatto, in questi trenta anni, si è sostanzialmente trasformata. … Esso [questo libro] quindi non rimarrà cosí isolato nel mondo scientifico come all’inizio della sua esistenza» (Ingarden 1968 a, p. 12). Un’opinione che si è rivelata fonda-mentalmente corretta.
74
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breve passo da O Poznawaniu Dziela Literackiego
(Ingarden 1937), uno studio di poco successivo a Das
Literarische Kunstwerk. Nel brano qui tradotto
(Ingarden 1969), Ingarden si limita però a riassumere
i capisaldi dello studio precedente.
Nel 1982 Antonio Setola e Massimo Seretti
traducono Über die Verantwortung. Ihre ontischen
Fundamente, relazione tenuta da Ingarden a Vienna
nel settembre del 1968, e poi pubblicata a Stoccar-
da.128
Tra il 1988 e il 1989 vengono infine tradotte
alcune pagine sull’architettura e il saggio su L’opera
musicale e la sua identità129 tratte dagli scritti conte-
nuti nella raccolta intitolata Untersuchungen zur On-
tologie der Kunst.130
Nicolai Hartmann Nel 1969 la collana Orienta-
menti di Estetica dell’editrice Liviana in Padova, di-
retta da Dino Formaggio, pubblica un volumetto por-
tante sul frontespizio, sotto il nome di Nicolai
Hartmann, il titolo L’Estetica.131 Dopo un saggio intro-
duttivo di Dino Formaggio132 il lettore vi trova passi
scelti da Möglichkeit und Wirklichkeit e dall’Ästhetik
tradotti da Massimo Cacciari e, in appendice, una
breve nota terminologica133. L’Ästhetik, pubblicata po-
stuma nel 1953 a Berlino,134 era già apparsa in
128 Ingarden 1982, traduce Ingarden 1970 b. 129 Sull’importanza dell’estetica musicale di Ingarden ha di recente richiamato l’attenzione Gabriele Scaramuzza (Scaramuzza 1991b). 130 Ingarden 1988 e 1989. 131 Hartmann 1969. 132 Formaggio 1969. 133 Cacciari 1969. 134 Hartmann 1953. La prima stesura fu realizzata tra la primavera e l’estate del 1945, ma Hartmann, sia pur lavorando assiduamente, non riuscí
– segue –
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seconda edizione tedesca nel 1966135. In Italia, invece,
l’opera era rimasta sino a quel momento quasi scono-
sciuta.136 L’antologia fornisce un quadro delle linee
fondanti del pensiero estetico di Nicolai Hartmann: da
Möglichkeit und Wirklichkeit sono tradotti i primi sei
punti dell’introduzione, passi dal terzo e quattordi-
cesimo capitolo ed il succinto e compendioso (quanto a
tematiche estetologiche) capitolo trentacinquesimo;137
dall’Ästhetik la corposa introduzione e taluni para-
a completare l’opera. Solo la prima parte, equivalente ad un terzo del suo progetto (sino a p. 182 dell’edizione tedesca), era pronta per l’edizione nel 1950. L’opera è stata comunque pubblicata da Frida Hartmann e Heinz Heimsoeth sulla base dei manoscritti originali. 135 Hartmann 1966 b. Dello stesso anno ed editore è la terza edizione di Möglichkeit und Wirklichkeit (Hartmann 1966 a). Su queste edizioni sono state condotte le traduzioni di Cacciari. 136 Cosí Dino Formaggio: «Pur nella ripresa di ricerche sul pensiero di Hartmann sorte a partire dall’ultimo dopoguerra, l’estetica raramente appare sfiorata, tanto che si può dire che ancora oggi giaccia quasi sepolta nel silenzio» (Formaggio 1969, p. 2). L’opera è stata studiata da Francesco Barone (Barone 1953-54; 1957, pp. 178-208; 1963 a, pp. 34-5), ai cui preziosi saggi fecero eco solamente altre due recensioni: l’una, alquanto severa, di Friedrich Low (Low 1954) e l’al-tra piú distaccata di Alberto Caracciolo (Caracciolo 1956). Nel 1960 inter-viene anche Rosario Assunto (Assunto 1960 a), senza peraltro addentrarsi nell’impianto teoretico dell’opera. Successivamente Remo Cantoni compendia l’estetica hartmanniana nella sua bella monografia sul filosofo tedesco (Cantoni 1972, pp. 136-161), ma solo di recente Hartmann entra di diritto nella storia dell’estetica (Givone 1988, pp. 137-139). Altre pagine hartmanniane di interesse estetologico si trovano nella Grande Antologia Filosofica (Assunto-Stella 1978). 137 Secondo Formaggio in questo pagine – ove Hartmann propone lo scongelamento della dura effettività reale e l’apertura alla «pura» possibilità – è già risolto il momento cruciale dell’estetica hartmanniana: «Il rapporto di apparizione, secondo il quale Hartmann ritiene di fissare l’emergere dell’oggetto estetico od artistico nel suo venire a presenza sensibile ... rimane ancora del tutto misterioso se non viene immerso nella vera problematica di fondo che lo sostiene, vale a dire nel rapporto di pos-sibilità-realtà». (Formaggio 1969, p. 15). Formaggio spiega, cosí, la scelta dei passi nell’antologia.
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grafi che ne approfondiscono le principali intuizioni. I
brani antologici sono intercalati da brevi riassunti in
cui il traduttore svolge il restante contenuto delle due
opere.
Waldemar Conrad Qualche anno piú tardi la
stessa collana138 pubblica due saggi, di Waldemar
Conrad e Moritz Geiger, tra i primi in ordine cronolo-
gico a parlare di estetica fenomenologica.139 Del 1972 è
la traduzione condotta da Gabriele Scaramuzza di
una metà dello studio di Conrad sull’oggetto estetico.
L’originale, dal titolo Der ästhetische Gegenstand (eine
phänomenologische Studie), apparve in due blocchi,
nel 1908 e nel 1909140, sulla rivista d’estetica diretta
da Max Dessoir, la «Zeitschrift für Ästhetik und allge-
meine Kunstwissenschaft». Il testo è diviso in tre se-
zioni, precedute da un’introduzione metodologica,
tradotta da Scaramuzza assieme alla parte sulla poe-
sia (arte temporale) e alla conclusione sulle arti spa-
ziali.141 L’edizione italiana, dal titolo L’oggetto este-
tico. Estetica fenomenologica I, propone una presenta-
zione di Dino Formaggio142 e un’estesa introduzione di
Gabriele Scaramuzza143 in cui la figura di W. Conrad
viene collocata nell’ambito degli sviluppi della prima
138 Sembra utile segnalare, anche solo per l’influsso che esercitò sulle estetiche successive, la raccolta di saggi di Georg Simmel edita, sempre per Orientamenti d’estetica, nel 1970 (Simmel 1970). Le traduzioni, di Massimo Cacciari (per gli originali v. Cacciari 1970 b), sono precedute da un’estesa introduzione dello stesso (Cacciari 1970 a). 139 Sugli sviluppi dell’estetica fenomenologica ancora prima del saggio di Conrad v. Scaramuzza 1989, in particolare p. 6. 140 Conrad 1908; 1909. 141 Le pagine tradotte sono: Conrad 1908, pp. 71-80 e pp. 469-511; Conrad 1909, pp. 451-55. 142 Formaggio 1972. 143 Scaramuzza 1972 a.
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estetica fenomenologica e dove si riferisce ab-
bondantemente sulla sezione del saggio di Conrad non
tradotta. Troviamo infine una nota alla traduzione in
cui Scaramuzza segnala la difficoltà del linguaggio di
Conrad, constatandone la parentela con il lessico delle
Logische Untersuchungen di Husserl.
Moritz Geiger Del 1973 è invece l’integrale tradu-
zione, curata sempre da Scaramuzza, dei Beiträge zur
Phänomenologie des ästhetischen Genusses144 di
Moritz Geiger, apparsi originariamente nel 1913 sul
primo numero dello «Jahrbuch für Philosophie und
phänomenologische Forschung» diretto da Edmund
Husserl.145 Il volume che, collegandosi al precedente,
porta il titolo La fruizione estetica. Estetica fenomeno-
logica II, contiene però anche un corposo studio di
Scaramuzza – una monografia che unitamente alla
sezione su Geiger ne Le origini dell’estetica fenome-
nologica, resta ancora oggi, a quanto ci risulta, l’unica
in Italia sul pensiero di Moritz Geiger –146 ed una
preziosa nota terminologica resa necessaria dalla
differente terminologia relativa all’area semantica
144 Geiger 1913. 145 La traduzione è stata condotta sulla seconda edizione del 1922, uscita però senza modifiche rispetto alla prima. 146 Scaramuzza 1973. Sempre di Scaramuzza, su Geiger, v. anche Scaramuzza 1988a, 1988b, 1989, 1996b. Il pensiero di Geiger, almeno in Italia, non sembra esser stato studiato in tempo reale. Sicuramente il giudizio sbrigativo con cui lo studioso tedesco fu liquidato da Antonio Banfi contribuí all’assenza di interesse nei suoi confronti. Banfi, infatti, giudicò le ricerche di Geiger «una serie di determinazioni sconnesse e perciò astratte» (Banfi 1961, p. 68). Anche in Germania l’interesse per le opere di Geiger ha avuto nuovi impulsi nell’ultimo ventennio (si veda Geiger 1976). Continua è la fortuna dello studioso tedesco negli Stati Uniti, dove si trasferí gli ultimi anni della sua vita. Alcune opere sono state tradotte in America Latina. Su vita, opere e letteratura critica v. Scaramuzza 1988 b.
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dell’esperienza estetica nelle due lingue; per caratte-
rizzare l’accezione geigeriana di Genuß, spiega infatti
Scaramuzza, viene adottato il termine fruizione in
quanto capace di connotare quel distacco che, secondo
Geiger, è richiesto dal vissuto estetico147.
Bisogna attendere il 1988 per trovare, sempre ad
opera di Scaramuzza, un’altra traduzione di uno
scritto di Moritz Geiger; Lo spettatore dilettante è il ti-
tolo di una fascicolo di «Aesthetica pre-print» in cui
viene pubblicata la versione italiana di Vom Dilettan-
tismus im künstlerischen Erleben, un breve saggio
dello studioso monacense, pubblicato originariamente
nel 1928.148 Il fascicolo è però preceduto da un’utile
presentazione, in cui Scaramuzza dopo aver sottoli-
neato l’importanza di questo contributo geigeriano,
propone un confronto con Walter Benjamin, che ne fu,
egli ricorda, allievo a Monaco; chiude una fornita
appendice biobibliografica.149
L’interesse di Scaramuzza per Geiger è oggi
tutt’altro che spento; è di pochi giorni fa l’edizione di
un altro utile volume miscellaneo contenente ben
quattro scritti dell’estetologo monacense, unitamente
ad altri materiali di un altro allievo di Lipps, Aloys
Fischer, e a scritti di Husserl, nonché di Scaramuzza
stesso. Di Geiger si possono qui leggere in italiano
l’articolo Estetica del 1921, la relazione Estetica feno-
menologica del 1924, la prefazione a Zugänge zur
Ästhetik, datata 1927 e lo scritto sul metodo filosofico
147 Scopo non secondario del saggio è infatti, secondo Scaramuzza, distinguere Genuß da Genuß estetico e quindi fruizione ben si presta a connotare un godimento non edonistico. Spiegelberg, diversamente, preferisce tradurre con enjoyement, (Spiegelberg 1960, 213) e, analogamente, Zecchi propone godimento.. 148 Geiger 1988. 149 Scaramuzza 1988 a; 1988 b.
79
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di Alexander Pfänder.150 Sempre relativamente a
Geiger è da segnalare infine, in questo volume, anche
un nuovo contributo di Scaramuzza sull’interesse solo
apparentemente marginale dello studioso tedesco per
l’estetica musicale.151
Max Dessoir Per la sua vicinanza ai temi della
prima estetica fenomenologica, l’interesse per l’opera
di Max Dessoir Ästhetik und allgemeine Kunst-
wissenschaft152 può rientrare nell’ambito di questo
intervento; se ne segnala pertanto la traduzione, pub-
blicata nel 1986 a cura di Lucio Perucchi e Gabriele
Scaramuzza, nella collana Estetica contemporanea
diretta da Dino Formaggio per le Edizioni Unicopli di
Milano. La traduzione, condotta sulla seconda edi-
zione del 1923, è di Franco Farina. Il volume contiene,
oltre ad una presentazione di Formaggio, un’avver-
tenza e una corposa prefazione di Perucchi e
Scaramuzza in cui sono appunto evidenziati anche i
rapporti con l’estetica fenomenologica.153
Fenomenologia e arte L’attualità dell’interesse e-
sistente in Italia per le origini dell’estetica fenomeno-
logica è testimoniato infine dalla recente aggiunta al
catalogo delle traduzioni italiane di numerosi altri
nomi. Nel 1991 Gabriele Scaramuzza ha curato un
importante volume su La fenomenologia e le arti,154 in
cui compaiono diversi saggi volti ad ispezionare i
rapporti o le analogie fra la fenomenologia e il mondo
delle arti europeo del XX secolo. Si leggono i saggi di
150 Geiger 1996a; 1996b; 1996c; 1996d. 151 Scaramuzza 1996b, 131-144. 152 Dessoir 1986. 153 Perucchi-Scaramuzza 1986. 154 AAVV 1991.
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Walter Biemel su Picasso e sulla temporalità nel
romanzo, di Guy Habasque su cubismo e fenome-
nologica, di Manfred Smuda su un’interpretazione
fenomenologica di Joyce, di Ferdinand Fellmann sulla
riduzione fenomenologica come forma espressionistica
di pensiero, di Hans Reiner Sepp su Kandinsky e
Husserl,155 di Max Scheler su metafisica e arte, di Jan
Patocka sui rapporti fra arte e tempo, di Ingarden
sulla pittura astratta (già comparso sulla «Rivista di
estetica» nel 1961), a cui si aggiunge un’altra lettera
di Husserl sul proprio itinerario intellettuale.
Aloys Fischer Sul volume recentemente curato da
Scaramuzza sull’estetica monacense compaiono per la
prima volta in lingua italiana anche degli scritti
d’estetica di Aloys Fischer, autore che dovette giocare
un ruolo molto importante per i primi sviluppi del-
l’estetica fenomenologica.156 Viene tradotto lo scritto
su Estetica e scienza dell’arte157 e, soprattutto, viene
proposta in appendice un’esposizione analitica del-
l’importante lavoro per l’abilitazione Zur Bestimmung
des ästhetischen Gegenstandes, del quale vengono
considerate il capitolo edito nel 1907 ma anche la
stesura dattiloscritta e i rifacimenti dell’autore, non
senza ulteriori confronti con altri suoi scritti sugli
stessi argomenti.158 Si tratta di un documento molto
importante che può anche aiutare a mettere luce su
155 Di Hans Reiner Sepp compare anche un articolo su Il cubismo come problema fenomenologico sul n. 3, 1996 del semestrale milanese «Arte estetica»: Sepp 1996. 156 Fischer era attivo nell’ambiente di Monaco, dove collaborò lungo tempo con Lipps, occupandosi per diversi anni d’estetica (tenendo anche alcuni corsi universitari su di essa; divenne però successivamente piú noto come pedagogista). 157 Fischer 1996. 158 Scaramuzza 1996c.
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alcuni passaggi dell’unico manoscritto husserliano
sull’estetica, parte del quale, come si è visto, era stato
steso proprio dopo un colloquio con Aloys Fischer (e
Johannes Daubert). Ed è probabile che, a questo
punto, le ricerche sulle origini dell’estetica fenomeno-
logica possano procedere anche oltre i risultati
peraltro già interessanti a cui sono sino ad ora
pervenute e a cui i diversi studi italiani (di cui ora di-
remo) che hanno accompagnato questo importante la-
voro di traduzione hanno pure essenzialmente contri-
buito.
B. Le origini dell’estetica fenomenologica nella loro
fortuna italiana
Chi voglia fare il punto sulle origini dell’estetica
fenomenologica può trovare oggi in Italia diversi studi
utili al riguardo, pubblicati nell’ultimo ventennio. Il
punto di partenza potrà essere costituito da Le origini
dell’estetica fenomenologica, 1976 di Gabriele Scara-
muzza, a cui potrà fare seguito la lettura dei succes-
sivi contributi dell’autore, fra cui i successivi volumi
Oggetto e conoscenza, 1989 ed Estetica monacense (a
cura di), 1996. Diversi altri scritti sono comunque rin-
venibili nella ricca letteratura italiana sul tema (che
alleghiamo in bibliografia), ma in gran parte dipen-
denti dai citati lavori di Scaramuzza, che attinge
direttamente alle fonti. Senza alcuna pretesa di
sostituire la lettura diretta degli studi citati, a cui
comunque rinviamo, ne presenteremo ora un breve
sunto, finalizzato a mostrare quali siano stati gli au-
tori, le opere e i loro principali contenuti su cui è stata
portata l’attenzione in questo proficuo lavoro di risco-
perta delle origini dell’estetica fenomenologica; consi-
dereremo tuttavia anche altri interventi autonomi ri-
spetto agli studi di Scaramuzza, fra cui la critica di
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Ermanno Migliorini a Ingarden e il commento intro-
duttivo di Dino Formaggio ai passi tradotti dall’Ästhe-
tik e da Möglichkeit und Wirklichkeit di Nicolai
Hartmann.
La nascita dell’estetica fenomenologica viene
fatta risalire da Scaramuzza agli anni immediata-
mente successivi alla pubblicazione delle Logische
Untersuchungen159 opera della quale venne ripreso
soprattutto il metodo antipsicologistico – consistente
nella descrizione dei fenomeni allo stato puro, non ri-
dotti cioè ad eventi psichici o naturali –160 che si ten-
tava di trasporre negli studi d’estetica, nei quali si fa-
ceva a quei tempi valere altrettanto fortemente l’ege-
monia della psicologia naturalistica. Non è dunque
sul terreno dei rari accenni all’arte o ad altre temati-
che estetologiche presenti nell’opera che si possono
individuare i motivi dell’importanza delle Logische
Untersuchungen per l’estetica, ma su quello del me-
todo utilizzato per la fondazione dell’estetica; e questo
nonostante la pura idealità degli enti logici avrebbe
comunque posto dei problemi a chi avesse voluto inda-
159 Husserl 1900-01. «Preoccupazione di fondo di Husserl è certo qui [Ricerche Logiche] individuare e descrivere l’ambito specifico degli studi logici. Tuttavia, non solo non mancano occasionali accenni a tematiche estetiche ed esemplificazioni tratte dal mondo delle arti; ma soprattutto vi sono discussi problemi che riveleranno di fatto possedere una grande rilevanza anche per l’estetica – come in concreto mostreranno i seguaci di Husserl che si proveranno ad applicare il metodo fenomenologico agli studi estetici» Scaramuzza 1989, 31. 160 «Il significato estetico non può andar confuso con la fisicità di un complesso meramente fonetico, né con qualsivoglia evento psichico; tanto meno con riferimenti a realtà esterne o interiori a esso precostituite nell’esperienza dell’autore o del fruitore. Non ha nulla a che vedere con emozioni personali o sentimenti suscitati, né con ricordi o immagini evocate, fantasie collaterali, tonalità estrinseche quali l’esser-noto di qualcosa, intuizioni esemplificative» Scaramuzza 1989, 36.
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gare con le stesse premesse questi nuovi domini.161
Se è vero che, almeno agli inizi, non si fece riferi-
mento alle riflessioni husserliane sull’immaginazione
e sulla fantasia, che ben si sarebbero potute utilizzare
in estetica, ben presto anche altri momenti delle
Ricerche logiche furono però esplicitamente utilizzati
per l’interpretazione dei fenomeni estetico-artistici.
Waldemar Conrad, ad esempio, applicò all’universo
delle arti verbali, spaziali e della musica la distin-
zione fra espressione e significato proposta nella
Prima Ricerca: l’artisticità inerisce alla struttura se-
gnica dell’opera d’arte allo stesso modo in cui il signi-
ficato inerisce alle parole; l’opera acquisisce cosí
un’autonomia che esclude ogni interferenza psicolo-
gico-soggettiva.162 Secondo una tendenza presente ad
esempio anche nel movimento della allgemeine Kunst-
wissenschaft (e in altri esponenti dell’estetica fenome-
nologica), veniva cosí privilegiato il momento dell’og-
gettività estetico-artistica rispetto alle analisi delle
componenti soggettive,163 e sfruttando anche il mo-
dello della Terza e Quarta ricerche logiche husserlia-
ne, si affermava una linea di ricerca che portava ad
elaborare un’analisi formale dell’articolazione ogget-
tiva dei significati, concentrata cioè sui livelli di
161 Scaramuzza 1989, 34. 162 Con W. Conrad, nota Scaramuzza, viene affermata «una modalità dell’inerire dell’esteticità al segno, che in certo modo riproduce la modalità dell’annettersi, nell’espressione verbale, del significato alla parola. Il nucleo estetico dell’oggetto non può considerarglisi annesso sulla base di operazioni solo soggettive: appartiene all’oggettività dell’oggetto, gli è immanente in modo non accidentale né esposto a oscillazioni arbitrarie – non meno di quanto il significato inerisca alla sostanza oggettiva del mondo segnico-verbale» Scaramuzza 1989, 36. 163 In anni successivi, del resto, Donald Brinkmann interpreterà ancora il celebre «ritorno alle cose stesse» proprio come un ritorno all’oggetto estetico; cfr. Brinkmann 1937 e 1938.
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significatività individuabili in corrispondenza delle
stratificazioni dell’opera (letteraria, pittorica, teatra-
le, cinematografica, musicale, architettonica, ecc.).
Tale metodologia d’indagine, che portava W. Conrad a
parlare di una «posizione insolita» assunta in poesia
dai segni linguisitici, sarà poi ampiamente sviluppata
da Roman Ingarden, ma si ritroverà anche prima nel
formalismo russo,164 che parlerà a questo riguardo di
un «effetto di straniamento», e poi nello strutturali-
smo praghese.165
L’oggetto che interroga il fruitore: Waldemar Conrad
Il primo scritto che viene tradotto in italiano
sulla prima estetica fenomenologica è proprio il saggio
del giovane drammaturgo Waldemar Conrad pub-
blicato fra il 1908-09 sullo «Zeitschrift für Aesthetik
und allgemeine Kunstwissenschaft».166 Il riferimento
alla fenomenologia è fatto valere da W. Conrad
soprattutto a livello metodico, particolarmente in fun-
zione antipsicologistica; viene conseguentemente pri-
164 Victor Erlich afferma che l’antipsicologismo, la difesa dell’autonomia della struttura verbale e l’atteggiamento descrittivo acco-munano le ricerche di Ingarden a quelle dei formalisti russi, ai quali fu proprio il campo del linguaggio poetico a consentire l’applicazione di quel-l’«eresia» funzionalista; Erlich 1966, 65-66. Su ciò cfr. anche Zecchi 1978, II, 77-80 e 82-83. 165 «L’estetica fenomenologica, in questo suo aspetto, si può porre a buon diritto nel solco della tradizione del moderno formalismo di ascendenza herbartiana (e delle direzioni dell’arte contemporanea che […] paiono ad esso consone). Dove la difesa dell’irriducibile oggettività dell’estetico si fa rilievo concreto delle strutture dell’artisticità.» Scaramuzza 1989, 35. 166 Questo saggio avrebbe immediatamente influenzato Ingarden e poi il formalismo, passando però sotto silenzio per molti anni. Nel secondo dopoguerra faranno riferimento ad esso Mikel Dufrenne, poi Elisa Oberti e infine Gabriele Scaramuzza
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vilegiata l’indagine oggettuale,167 nonostante lo stesso
Conrad auspichi – senza però poi sviluppare – un
completamento «a parte subjecti» di quel tipo di ana-
lisi.168 Infatti, come fa notare Scaramuzza, quando
Conrad presenta l’opera d’arte come un sorta di com-
pito da eseguire da parte del fruitore,169 egli riconosce
certamente l’indispensabile apporto della soggettività
alla decodifica dei valori estetici, depositati (per
strati) nell’opera; e se si tratta, certo, di un’intuizione
che non è stata poi esplicitata dall’autore, l’emergere
di qualcosa come oggetto estetico sembrerebbe in tal
modo rinviare comunque all’incontro tra un’intersog-
gettività storica e la realtà che le si impone. L’evento
estetico, in altri termini, rinvierebbe all’incontro tra
una proposta oggettuale ben definita e un soggetto ca-
pace di assumere un determinato atteggiamento, co-
stituitosi entro un contesto storico-sociale.170
Un secondo aspetto che rende interessante
questo saggio di fenomenologia dell’arte è secondo
Scaramuzza la decisa rivalutazione della dimensione
sensibile dell’opera, cioè di quello «strato» che distin-
167 «Conrad […] nel suo ignorare la polarità soggettiva del discorso, crede di poter istituire l’oggetto nella sua esteticità rilevandone lo specifico carattere intenzionale, l’eidos che lo differenzia dall’oggetto naturale e dall’oggetto percepito, e senza scorgere quindi la specificità dell’oggetto estetico […] negli atti “personalistici” – diremmo quasi “dialogici” – in cui si verifica il “riempimento” estetico della cosa» Franzini 1985, 88. 168 Scaramuzza 1976, 35. Conrad, che morí nel 1915, si interessò di nuovo alla differenza fra atteggiamento estetico e scientifico (Conrad 1915 e 1916), ma abbandonò il piano fenomenologico descrittivo, recuperando un atteggiamento valutativo piú tradizionale, di limitata portata euristica; cfr. Scaramuzza 1972a, XLV. 169 Conrad sottolinea la cogenza dell’oggettività dell’opera nei con-fronti dell’atteggiamento estetico, per far fronte ai soggettivismi idealistici e romantici che legavano l’estetico ad una libera decisione del soggetto. 170 Scaramuzza 1976, 45 e 53-55.
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gue essenzialmente l’oggetto estetico dagli altri
oggetti ideali. Secondo Conrad, infatti, la dimensione
sensibile dell’opera d’arte richiama su di sé una spe-
ciale attenzione soggettiva che fa scattare una risigni-
ficazione di tutto l’evento percepito.171 Il suono, ad e-
sempio, pur essendo un fatto fisico, quando viene
strutturato all’interno di un’opera musicale, si risi-
gnifica, liberando valenze diverse e facendosi latore
dei peculiari valori che appartengono alla sinfonia
intesa come oggetto estetico. Lo strato sensibile non è
pertanto da considerare un mezzo indifferente, una
passiva materialità.
Ora, nota Scaramuzza, l’atto con cui il percepito
viene di volta in volta risignificato chiama necessaria-
mente in causa l’intenzionalità soggettiva. Infatti, se
per un verso le richieste oggettuali sembrano estrema-
mente rigide (vi è un limite oltre il quale il soggetto
non fruisce piú lo stesso oggetto), per altro verso le
stesse proposte (aventi come loro veicolo essenziale
proprio la dimensione sensibile), necessitano dei sog-
getti che le decodifichino. È la stessa struttura dell’o-
pera, in altri termini, a prevedere (sia pur implicita-
mente) l’intenzionalità dei soggetti, alle cui capacità
percettive si deve la validità (epocale) dei valori ogget-
tuali (che, comunque, non hanno nulla a che fare con
le fantasie psichiche). E proprio perché tale implica-
zione non è stata sufficientemente esplicitata da
Conrad, questi sarebbe stato come «tormentato»
dall’impossibilità di separare nettamente la sfera di
ciò che è gemeint da quella di ciò che è mitgemeint.
Invece, tale difficoltà, lungi dall’essere un limite, na-
sconde secondo Scaramuzza uno dei principali guada-
171 L’idealità dell’oggetto costituisce per Conrad un «compito» anche per la percezione: Dufrenne 1969, 305.
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gni dell’estetica fenomenologica:
non vi è […] una struttura invariabile definita una
volta per tutte, non v’è alcuna essenza metafisica
dell’arte. Limiti e strutture piuttosto variano […] al
variare dei condizionamenti storico-sociali.
Un’indagine fenomenologica deve dunque farsi
carico anche di tutti gli attributi a vario titolo predica-
bili al nucleo essenziale dell’opera, incluse le even-
tuali fantasie (da non scambiare, comunque, per va-
lori estetici anch’esse) che insorgono nella psiche del
fruitore; si tratta infatti di elementi pur sempre ri-
chiesti dall’opera, frutto del suo impatto con una de-
terminata cultura:172
i fattori psichici, come i dati ambientali e sociali in
qualche modo presenti nell’opera, non sono accadi-
menti empirici o sentimenti attualmente vissuti nel-
l’animo dell’artista o del fruitore; vengono piuttosto
rilevati in quanto invarianti intersoggettive: l’attesa
della tonica in un brano di musica tonale, come lo
smacco di uno schema ritmico bruscamente inter-
rotto […] sono costanti in nessun modo da confon-
dersi con reazioni del tutto mutevoli che si possono
provare di fronte ad un’opera d’arte, e che solo rara-
mente assumono rilevanza intersoggettiva. Certo
tutto questo riguarda in gran parte la psicologia (o la
sociologia), ma vi sono dei “correlati oggettivi” a esso
nell’opera.
Il mondo cointenzionato dal fruitore non sarebbe
dunque estraneo all’opera stessa; e se un tale oriz-
zonte di possibilizzazione fantastica potesse essere ri-
conosciuto come strato oggettuale, meglio si colloche-
172 Scaramuzza 1976, 41-2.
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rebbe l’oggetto estetico nel suo organico oscillare tra
richieste segniche e risposte fruitive. Tutto questo, se-
condo Scaramuzza, avrebbe forse evitato a Conrad di
rimettersi a quella vaga asserzione di idealità che
rende tutto sommato aporetico il suo discorso.173
Tuttavia, a differenza di Ingarden o di Geiger, Conrad
sarebbe riuscito ad evitare la «chiusura» della ricerca
sul piano ontologico,174 tenendo invece vivo il legame
tra lo strato ideale dell’oggetto, sede del valore este-
tico, e la sua concreta, sensibile presenza (presenza
per un soggetto):
L’oggetto estetico (ben lungi dall’esaurirsi in una
propria univoca essenza) si configura quindi come
una struttura ben definita di possibili relazioni, di ri-
ferimenti intenzionali definiti ed irreversibili. Un si-
stema latente nell’oggetto, di emergenze e di subor-
dinazioni, di molteplici rimandi, e che postula di es-
sere afferrato secondo il suo senso immanente. Una
proposta dunque, ma ben definita […] qualcosa […]
che non emerge se non in presenza di un soggetto
che interroga e di un certo atteggiamento, e che
quindi non può fare a meno di un proprio
completamento da parte (diremmo) di un’inter-
soggettività storica.175
L’oggetto non va dunque mai considerato come
struttura a sé stante; se anche si impone come una
proposta ben codificata, esso non si presenta comun-
que come un sistema segnico dato e definito una volta
173 «Proprio l’ineludibile presenza all’opera di una soggettività introduce in tutti i suoi strati controllabili mutamenti, che impediscono che essa si configuri come l’oggetto ideale di cui aveva parlato W. Conrad» Scaramuzza 1984a, 46; Scaramuzza 1981, 347. 174 Scaramuzza 1976, 36. 175 Scaramuzza 1976, 55.
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per tutte. D’altro canto nemmeno la soggettività
dev’essere ridotta ad un mondo asettico e chiuso che
possa assumere indiscriminatamente qualsiasi og-
getto come estetico:
In ogni epoca non è arbitrario, non dipende da una
“libera” decisione del soggetto l’emergere di qualcosa
come oggetto estetico, ma da un incontro tra un’in-
tersoggettività e la realtà che le si impone.
Pertanto, in linea di principio
l’idealità dell’oggetto estetico non è in contraddizione
con la sua temporalità; a meno di non presumere che
all’ideale spetti una purezza metempirica che lo sot-
trae a qualsiasi costituzione nel tempo, o di non rite-
nere, d’altro lato, che il fatto di sorgere e modificarsi
nella storia impedisca ad un oggetto che se ne rile-
vino le strutture ideali.176
Essenza e significato dell’arte. Estetica fenomenologica
in Walter Meckauer e Oskar Becker
Nel secondo decennio del secolo, soprattutto dopo
la pubblicazione di Ideen I, ulteriori ricerche, sempre
intitolate all’estetica fenomenologica, recuperano altri
fondamentali luoghi della produzione husserliana,
quali ad esempio l’epoché fenomenologica o la costitu-
zione trascendentale, trascurati dagli autori della
corrente oggettivistica. Geiger, ad esempio, dà ampio
spazio all’eco soggettiva dei fenomeni estetici, alla
loro portata esistenziale, e l’estetica fenomenologica
176 Scaramuzza 1976, 43-5. Sempre secondo Scaramuzza, altro limite di Conrad sarebbe l’aver trascurato la storia e l’aver pertanto riferito le proprie descrizioni non ad individui inseriti nel tempo ma a uomini generici e a valori universali ignari della propria storicità; Scaramuzza 1972a, XXI.
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cessa in tal modo di identificarsi con una teoria
dell’oggetto artistico, recuperando anche diverse e piú
ampie categorie antropologiche.177 Lo stesso accade
con Walter Meckauer, Oskar Becker e Fritz
Kaufmann,178 altri autori che iscrivono le proprie
ricerche nell’alveo dell’estetica fenomenologica (o della
fenomenologia dell’arte), volgendosi però anche a temi
di ampio respiro, toccando cioè questioni relative al
senso generale del fare arte, indagandone le radici
soggettive ed anche la portata metafisica. Si tenta in
questi studi una risignificazione globale dei fenomeni
artistici e dell’esteticità, ricercandone le connessioni
di senso con l’esistenza umana.179 Il mondo della sog-
gettività estetica risulta cosí piú direttamente coin-
volto, e l’orizzonte teorico risulta anche piú vicino al
trascendentalismo di Ideen I.
Fra i nomi a questo riguardo ricordati da Scara-
muzza e da Zecchi è certamente da segnalare Walter
Meckauer, autore di Ästhetische Idee und Kunst-
theorie. Anregung zur Begründung einer phänome-
nologischen Ästhetik, 1918, in cui viene ribadita l’ana-
logia husserliana tra arte e fenomenologia,180 basata,
177 Zecchi 1978, II, 85. 178 Su Fritz Kaufmann cfr. Zecchi 1978 II, 86-7. 179 Scaramuzza 1976, 74-82. 180 «L’arte fa uso di un metodo rappresentativo, non discorsivo-cono-scitivo; l’arte non analizza, non seziona, non descrive, ma “presenta” gli oggetti nella loro vissuta relazione con l’io; rende intuitivamente vivo l’oggetto, laddove la scienza ne limita la complessità, elaborando sistema-ticamente le leggi dei fenomeni. Inoltre, diverso è il ruolo svolto dalla coscienza: l’arte epochizza la coscienza teorizzante e ogni determinazione concettuale, “mantiene quanto di vissuto (erlebnishaft) v’è nell’atto di conoscere” e, della coscienza, il suo muovere intenzionale verso qualcosa. Non coglie, infine, le cose nelle loro correlazioni universali, entro il sistema di leggi in cui le pone la coscienza teorizzante: piuttosto le vive e le rappresenta nel loro “irrazionale” isolamento, in un’estrema
– segue –
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come s’è visto, sul fatto che entrambe neutralizzano il
mondo naturale volgendosi direttamente a strutture
eidetiche. Meckauer comincia anche ad applicare le
nuove idee estetiche all’arte contemporanea: l’espres-
sionismo pittorico (e, non meno, quello letterario),
tutto intenzionato ad abbandonare l’«esteriorità del-
l’esistente empirico» affinché l’intenzione coscienziale
si volga all’«interiorità dell’essenziale», opererebbe an-
ch’esso una sorta di «fenomenologica rivoluzione co-
pernicana»;181 arte e fenomenologia sarebbero
pertanto accomunate da «una concentrazione del sen-
sibile-materiale sull’essenziale» che fa dell’orizzonte
eidetico una possibilità sempre latente nel mondo sen-
sibile. L’opera d’arte, in altri termini, fornisce vesti
sensibili alle essenze, le quali a loro volta, grazie
appunto all’arte, trovano una via per manifestarsi
nella realtà.182
L’attualizzazione di questi possibili viene però da
Meckauer demandata ad una dimensione del reale di-
versa ed alternativa a quella data, e il motivo di ciò
sta nella peculiarità della rappresentazione artistica a
suo avviso incapace di esaurire il piano dell’essenza
(che l’arte dunque rivela, ma allo stesso tempo tradi-
sce): le possibilità essenziali che trovano spazio nel-
l’arte non sono ancora visibili all’uomo.183 Ora, ar-
gomenta a questo punto Scaramuzza, se proprio at-
traverso l’arte è data, sia pur in modo incompleto, la
possibilità di intuire quelle possibilità essenziali, que-
intensificazione della loro unicità significativa vissuta» Scaramuzza 1976, 90. 181 Meckauer 1918, 278-301; Meckauer 1920, 60; cfr. Scaramuzza 1976, 84-7. 182 Meckauer 1918, 278. 183 Scaramuzza 1976, 93.
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sto significa che l’arte si pone come un impegno di ri-
conciliazione, realizzabile solo in un mondo diverso:
l’essenza svelata si fa allora desiderio della propria re-
alizzazione,184 proiettando l’arte in una dimensione
utopica. E la concentrazione fantastica sull’essenziale
che ha luogo nell’arte dev’essere integrata dalla prassi
umana trasformatrice.185 Se dunque Meckauer, col suo
stesso porre una tragica frattura tra essenza ed esi-
stenza fattuale, fa dell’opera d’arte la proposta di un
compito utopico di riconciliazione, l’arte, pur essendo
per essenza votata allo scacco (per la sua insufficienza
a colmare la distanza tra la realtà e la visione
eidetica), si qualifica come un prezioso strumento di
risignificazione del reale, come una possibilità di
apertura rispetto all’angusta coscienza di un’epoca:
L’essenza svelata è desiderio della propria realizza-
zione e, in questo, proiezione in una futura presenza,
rimando a un impegno. Perciò l’originalità dell’opera
184 «Se dunque l’arte implica un attivo rendersi conto, una certa mo-dalità del prender coscienza, tutto questo ha a che vedere con un mondo di possibilità occultate: con qualcosa che può rivelarsi ad un adeguato atteg-giamento, e la cui rivelazione costituisce pertanto un compito; come un compito è la sua realizzazione in un mondo “diverso”». Scaramuzza 1976, 86. 185 La conoscenza estetica, dunque implicherebbe necessariamente un’attiva presenza della soggettività umana, un impegno, un progetto che non possono essere che «etico, pratico, politico». Tutto ciò – ammette Scaramuzza – va però oltre la lettera e lo spirito delle pagine meckaueriane, e tende semmai ad evidenziare connessioni tra la tematica estetico-fenomenologica e i problemi agitati, fra altri, dal giovane Lukács: «Nel rifiuto di assolutizzare l’autonomia strutturale dell’estetico (indice negativo di una assoluta, disperante alterità del dato rispetto al significato) e nel recupero (sia pur in luce utopica) di una funzione dell’arte, nella ri-significazione di essa in seno all’esistere operata dal giovane Lukács, è da vedere un aggancio alla problematica estetica ravvivata dalla lettura delle Ideen» (Scaramuzza 1976, 88-89). Sul rapporto fra il giovane Lukács e l’estetica fenomenologia cfr. Benassi 1977.
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d’arte non è novità a tutti i costi e l’immaginazione
non è gioco gratuito, ma scoperta di un possibile
obliato, la cui realizzazione è progettabile. E il
progetto ha le sue radici nell’autentica realtà, nella
pienezza delle sue dimensioni, che vanno oltre quelle
attualmente date.186
È chiaro a questo punto, conclude Scaramuzza, lo spo-
starsi del discorso dal piano estetico-oggettuale a
quello dei rapporti tra prodotto artistico finito e
soggettività, col correlativo riproporsi all’attenzione
del problema del senso del fare arte e di una sua risi-
gnificazione in seno all’esistere.187
Anche il fenomenologo Oskar Becker si interessò
occasionalmente di estetica in un saggio dal titolo Von
der Hinfälligkeit des Schönen und der Abenteuerlich-
keit des Künstlers, pubblicato nel 1929 sulla Fest-
schrift in onore del settantesimo compleanno di Hus-
serl. Becker prende partito per una fondazione dell’e-
stetica «a parte subjecti»188 in esplicita contrapposizio-
ne rispetto al privilegiamento dal lato oggettivo teo-
rizzato da Geiger (nonostante le sue analisi psico-
logiche) e Ingarden e contro una riduzione della
considerazione dei momenti costitutivi ad elemento
inessenziale per l’estetica. Rinviando all’idealismo
trascendentale di Husserl, Becker afferma che gli
oggetti estetici non devono essere considerati come
realtà a sé stanti, essendo piuttosto potenzialità che
diventano attuali solo nel vissuto. Sua preoccupazione
186 Scaramuzza 1976, 86-7. 187 Scaramuzza 1976, 87. 188 La caducità del bello annunciata nel titolo è «il segno del carattere misterioso dell’arte, legato a una soggettività che, sia dal lato costruttivo sia da quello ricettivo, rivela emozioni e passioni soggettive» Zecchi-Franzini 1995, 956.
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è pertanto quella di descrivere il tipo di atteggiamento
umano operante nel mondo estetico-artistico.
Si ritrovano pertanto in queste analisi di Becker
alcuni fra i principali guadagni della precedente ri-
flessione estetico-fenomenologica: riduzione dell’og-
getto alla sua apparenza ed immanenza ad essa di
senso ed artisticità. Sulla linea del ms A VI 1 di
Husserl, l’estetica viene inoltre posta come campo pri-
vilegiato di applicazione del metodo fenomenologico:
tanto l’epoché quanto la riduzione eidetica sono spon-
taneamente compiute di fronte all’oggetto estetico.189
Tuttavia, al di là dell’esplicito richiamo husserliano,
l’apparato teorico messo in campo da Becker attinge
molto anche da Sein und Zeit di Heidegger e dall’este-
tica romantica (Solger, in particolare)190. In un conte-
sto in cui si innalza una denuncia di una tragica se-
paratezza tra esistenza ed essenza (analoga a quella
riscontrata da Meckauer), Becker, senza alcuna pre-
tesa di riconciliazione della frattura, ribadisce infatti
la pura fenomenicità dell’estetico (che sarebbe velo di
un’altra realtà piú reale) e la fondamentale «dualità e
discordia delle “radici” dell’essere».191 La fragilità del
bello diviene cosí la denuncia del divario ontologico
tra la perfetta e conchiusa fenomenalità dell’estetico e
la vera e profonda realtà metafisica svelata.192 L’atto
produttivo dell’artista, tuttavia, non può comunque
189 Becker 1929, 36, n. 1; Scaramuzza 1976, 97. 190 L’idea di una «Hinfälligkeit des Schönen» è mutuata da Solger. 191 Becker 1929, 52. 192 «Nessuna romantica sopravvalutazione dell’arte, nessuna aura viene qui rispolverata; connotazioni romantiche vengono piuttosto riprese e al tempo stesso incenerite dallo sguardo acuto e doloroso dell’artista, che sembra in questo vivere piú la propria morte e la propria negazione che non una propria felice genialità: non resta che il gesto di una negazione in cui s’incarna un insanabile conflitto» Scaramuzza 1976, 109.
95
96
essere secondo Becker spiegato dalle sole categorie an-
tropologico-esistenziali, ma rinvia ad una dimensione
metastorica dell’essere che rende conto della sua biz-
zarria e allo stesso tempo della sua riuscita artistica:
la pesantezza del Dasein cessa dove ha inizio il
destino non storico, l’esistere «avventuroso» del
genio.193
Forse piú negli esiti che nelle dichiarate inten-
zioni teoriche, questo lavoro di Becker mostra dunque
un netto distacco dal pensiero husserliano, accentuato
dall’utilizzazione di Essere e tempo in connessione a
tematiche presenti nell’estetica romantica.194 Esso si
situa, dunque piú nel solco dello heideggerismo che
della fenomenologia; al limite, secondo Scaramuzza, si
potrebbe parlare di «una fenomenologia che tenta il
recupero dei propri temi (il trascendentalismo ad e-
sempio) attraverso la mediazione di Heidegger».195 Co-
munque, l’approdo di Becker ad una concezione meta-
fisica e sovrastorica196 della posizione dell’uomo nella
realtà costituirebbe un limite che impedisce, per
quanto concerne la soggettività estetica, di compiere
qualche passo avanti circa la tematica della costitu-
zione dell’oggetto estetico cosí come abbozzata da
Husserl.197
Soggettività e oggettività dei momenti estetici
Non è certo possibile procedere a questo punto
disegnando una mappa della circolazione di idee tra la
fenomenologia e l’esistenzialismo, cosa che evidente-
193 Becker 1929, 45; Scaramuzza, 1976, 105. 194 Zecchi 1978, II, 85. 195 Scaramuzza 1976, 243. 196 Scaramuzza 1976,102-6. 197 Scaramuzza 1976, 108.
96
97
mente richiederebbe uno studio a parte. Con questi
sconfinamenti si può d’altronde considerare cessata la
prima ondata di studi d’estetica fenomenologica, che
ricomparirà successivamente (soprattutto in Francia e
in Italia) in contesti culturali assai mutati rispetto
all’inizio del secolo. In ordine alle esigenze di questa
nostra ricognizione storiografica sembra pertanto
opportuno porre ora in risalto alcune delle ragioni che
hanno motivato la rimessa in circolazione delle fonti
dell’estetica fenomenologica.
Spesso, come si è visto, Scaramuzza si sofferma
sui rapporti tra fenomenologia ed estetica, esplici-
tando la duplice direzione di ricerca aperta da questi
tipi di studi, vale a dire, quella morfologico-
strutturale accanto a quella genetico-costitutiva (rela-
tiva non solo alla soggettività ma anche all’intersog-
gettività storica che si cela dietro ogni creazione o
fruizione artistica):
Separare l’aspetto genetico da quello morfologico, fis-
sare nella ricerca oggetti, modalità di apprensione
nella loro struttura separata (per quanto utile e indi-
spensabile possa essere nel corso della concreta ri-
cerca) può voler dire (e sicuramente vuol dire se va-
lori, significati, strutture vengono ontologizzati) per-
der di vista la carica significatrice (e riattivante dei
significati) delle operazioni soggettive, la viva
relazionalità dell’opera col tessuto intersoggettivo in
cui si situa.198
Il riferimento ad una tale soggettività «allargata»199
consentirebbe infatti di liberare il campo dalle teorie
incapaci di render adeguatamente conto di quella in-
198 Scaramuzza, 1989, 47. 199 Mutuo il termine da Formaggio 1959, 1.
97
98
tenzionalità conoscitiva che già emerge in ogni con-
creto operare dell’uomo e che a maggior ragione in-
forma ogni operazione artistica:
L’attività costitutrice […] opera a vari livelli, si di-
stende su molteplici piani, includendo ad esempio le
disposizioni soggettive o intersoggettive che rendono
possibile un intenzionamento estetico, i processi im-
maginativi, i processi sensibili-emotivi o i momenti
del piacere, gli abiti culturali come le operazioni
tecniche. […] Si tratta di un insieme di atti che – a
partire da un materiale sensibile dato, da un certo
mondo culturale e vissuto comune, da una situazione
linguistica e generalmente segnica, comunque stori-
camente determinata sempre; e operando una sorta
di preliminare sospensione di esso – istituiscono
(nella creazione come nella contemplazione) l’evento
estetico-artistico.
La comprensione dell’oggettività estetica non
può dunque prescindere dall’analisi degli atti che la
istituiscono; se infatti una considerazione meramente
psicologica dei vissuti estetici (che tanto ha segnato la
storia della disciplina) può essere superata solo inda-
gando la possibilità del costituirsi in tratti oggettuali
del valore estetico,
meno che mai comunque si può parlare di un privile-
giamento di principio del momento oggettuale – qua-
si l’esteticità potesse propriamente risiedere solo nel-
l’oggetto e non nella sua viva correlazione con gli atti
che ne costituiscono l’esteticità, quasi che un evento
potesse dirsi estetico di per sé, a prescindere dal suo
rapporto con la coscienza che lo intenziona.200
Da questi capisaldi deve muovere secondo Scaramuz-
200 Scaramuzza 1989, 38.
98
99
za un’estetica che non si voglia precludere la compren-
sione delle rivoluzioni accadute nel corso del XX secolo
nel mondo dell’arte:
Ripercorrere un simile cammino, che va dalla attri-
buzione costruttiva di un senso da parte dell’artista
alla riattivazione di senso inseguita dal fruitore, vuol
dire operare uno scavo alla riscoperta di un senso
originario del fare arte. E questo può rivelarsi di
estrema importanza in un momento storico in cui i
pesanti interrogativi sollevati […] intorno al senso e
al destino della dimensione estetico-artistica nella
nostra civiltà […] impongono che se ne reinterroghi
il significato, mediante un radicale esame delle
operazioni che lo fondano.201
La ricognizione di Scaramuzza intorno alle ori-
gini dell’estetica fenomenologica si inscrive dunque
nell’ambito di una ricerca di una metodologia filosofi-
ca che consenta di render conto dei profondi livelli di
significatività immanenti al fenomeno arte.202 E
201 Scaramuzza 1976, 80-81. 202 Diversi sono dunque i luoghi in cui Scaramuzza evidenzia l’utilità della fenomenologia per interpretare l’arte contemporanea (ma, non meno, anche dell’arte per comprendere alcuni passaggi della fenomenologia), poiché è solo da una verifica «delle radici soggettive (o meglio intersog-gettive) del fare arte, dei mondi di sensibilità e di immaginazione, delle tonalità esistenziali e sociali in esso implicate», da una «riattivazione del senso (o degli abissi di non senso) vissuto in esso latente» che sarà possibile prendere l’avvio «per una risposta agli urgenti interrogativi che l’arte d’oggi pone, e pone in relazione alla sua stessa sopravvivenza». Pertanto, conclude Scaramuzza, «se nell’ambito estetico-oggettuale […] la fenomenologia sopravvive oggi forse non molto piú che per alcune impor-tanti indicazioni di metodo, piú attuali contributi e incentivi essa offre […] a una teoria, appunto della costituzione dell’oggetto estetico-artistico. Depurare questi contributi da certe tonalità neoromantiche e metafisiche […] e riconnettendoli con alcune originali indicazioni husserliane (e anche per altro verso geigeriane) […] può essere oggi quanto ci si può aspettare
– segue –
99
100
questo in un momento in cui quei significati sono
sempre piú paradossalmente ostesi dagli artisti senza
che, tuttavia, questo li renda piú facilmente comuni-
cabili o decodificabili (si pensi, ad esempio, alla neces-
sità, per numerose poetiche di rottura, di riversarsi in
manifesti teorici che affiancano ed esplicitano l’enig-
matica proposta oggettuale). Non è allora un caso se
l’estetica fenomenologica prese il via in una città come
Monaco, allora attivissimo centro artistico, quasi
come se si fosse voluta fornire una prima sistemazione
teorica al concitato mondo delle avanguardie ar-
tistiche.203 Di recente, del resto, Ferdinand Fellmann
ha sostenuto una stretta affinità fra l’espressionismo
e la fenomenologia husserliana a partire dalla svolta,
fondamentalmente stilistica, delle Ideen, mentre
Hans Rainer Sepp ha evidenziato una fondamentale
analogia fra il cubismo e le operazioni relative alla ri-
duzione fenomenologica.204
da ulteriori sviluppi dell’estetica fenomenologica» Scaramuzza 1976, 243-244. 203 Scaramuzza individua diverse affinità teoriche fra la prima estetica fenomenologica e l’arte fra Otto-Novecento: a) alterità dell’opera rispetto alla natura (Cézanne, poi Picasso); b) rifiuto dell’imitazione (dal post-impressionismo all’astrattismo); c) carica significatrice autonoma di linee, forme e colori (Gaugin e Kandinsky); d) antipsicologismo in musica (Strawinsky), con accentuazione della soggettività (Schönberg); e) autono-mizzarsi del segno verbale (Kafka). La carica significatrice attribuita al gesto (Duchamp) e, piú in generale, lo spostamento dell’attenzione sull’atto conferitore di senso, sarebbero poi l’analogo della riconsiderazione degli atti costitutivi operata dai fenomenologi; Scaramuzza 1976, 16-18. Per una piú ampia trattazione di tali analogie si vedano Scaramuzza 1989, 61-81, Sepp 1988 e 1996 e i saggi contenuti in AAVV 1991a. 204 Sepp 1996. Fellmann 1982, VIII e 1991; cfr. anche Fellmann 1989.
100
101
Ontologia dell’arte, valore, costituzione in Roman
Ingarden
Molte delle intuizioni di W. Conrad, notevol-
mente ampliate e ripensate secondo preoccupazioni
anche di carattere puramente filosofico, si ritrovano
nella decennale ricerca di Roman Ingarden. È questi
forse il principale esponente dell’estetica fenomenolo-
gica, almeno per quanto riguarda la letteratura critica
che è certamente la piú fornita, anche se spesso
vengono evidenziati limiti o curvature non condivise
della sua fenomenologia. Indubbi sono comunque gli
influssi della riflessione ingardeniana riscontrabili
oggi in alcune correnti dell’estetica o della scienza
della letteratura: piú volte sono stati sottolineati i de-
biti nei confronti di Ingarden da parte della Rezep-
tionsästhetik della Scuola di Costanza, di Dufrenne, di
Wellek e di numerosi altri autori. In Polonia, dove
aveva cominciato gli studi universitari e dove torna a
insegnare dopo aver studiato e lavorato a Göttingen
con Husserl, Ingarden costituisce un punto di riferi-
mento imprescindibile tanto per gli sviluppi dell’este-
tica quanto per la diffusione della fenomenologia. Ma
non è questo il luogo per intervenire sul disegno com-
plessivo dell’estetica di Ingarden, cosa che sarebbe co-
munque opportuna e per la quale sto raccogliendo i
materiali; mi limiterò pertanto qui, in linea con lo
stile di queste note informative, a riferire circa la
valutazione critica dell’estetica fenomenologica di
Ingarden fornita in Italia da Gabriele Scaramuzza e
da Ermanno Migliorini; le riflessioni dedicate al filo-
sofo polacco da Elisa Oberti saranno invece riportate
nel capitolo quinto.
Schema e costituzione dell’opera letteraria Co-
minciamo dall’intervento di Scaramuzza contenuto in
Le origini dell’estetica fenomenologica, ove l’estetica di
101
102
Ingarden viene giudicata la «piú organica e complessa
tra quante, anche dopo di lui, si ispirarono alla feno-
menologia»;205 essa ha infatti sistematicamente gua-
dagnato un atteggiamento antipsicologistico simile a
quello husserliano, raggiungendo «la difesa di uno
studio “impersonale” delle strutture del mondo artisti-
co, inteso come qualcosa di irriducibile agli stati sog-
gettivi sia dell’artista sia del fruitore».206 Un tale og-
gettivismo non è comunque unilaterale, in quanto non
è estranea alle ricerche di Ingarden anche la tematica
costitutiva, peraltro subordinata all’analisi del modo
d’essere dell’opera d’arte. A quest’ultima viene del
resto attribuita un’eteronomia d’essere e la fenomeno-
logia viene cosí riassorbita in un’ontologia reali-
stica.207
La prima importante opera d’estetica di
Ingarden, Das literarische Kunstwerk, prevede in re-
altà quel completamento «a parte subjecti»208 rimasto
latente nel saggio di Conrad: l’opera d’arte letteraria
(ed il discorso verrà poi esteso all’opera musicale, pla-
stica, architettonica, filmica) si costituisce in oggetto
estetico solo in presenza di un soggetto che la concre-
205 Scaramuzza 1976, 58. 206 Scaramuzza 1989, 90. 207 Scaramuzza 1976, 71; cfr. anche Zecchi 1978, II, 87-9. Husserl ri-volse al suo ex-allievo ed amico ripetuti inviti affinché adottasse la fenome-nologia costitutiva; Ingarden, dal canto suo, non rifiutava aprioristicamente i consigli del «venerato maestro», sebbene riteneva non fosse possibile «condurre in porto l’esame della costituzione “senza una preliminare chiarificazione del senso proprio della natura del costituito”. Per questo “la considerazione ontologica dell’oggetto, la cui costituzione dev’essere indagata, deve precedere la vera e propria considerazione costitutiva, orientata in senso noetico”» Scaramuzza 1989, 87. 208 «L’opera letteraria si presenta […] come un sistema di potenzialità […] che rimandano per la propria realizzazione all’intervento di un sog-getto in grado di coglierle» Scaramuzza 1976, 66.
102
103
tizza; l’opera consiste infatti di una struttura seman-
tica potenziale che, per divenire attuale (oggetto este-
tico), rinvia agli atti soggettivi che intenzionano i si-
gnificati. Ora, nota Scaramuzza, Ingarden non con-
sidera quegli atti noetici come appartenenti alla re-
altà ontica dell’oggetto, tanto che l’opera conserva una
sua realtà anche se nessuno la legge (fruisce), essendo
in sé stessa costituita da un numero indeterminato e
di per sé infinito di aspetti schematizzati (come già
Conrad aveva intravisto), indagabili in modo formale
ed autonomo. Questo genera un’opposizione fra realtà
e intenzionalità soggettiva, opposizione che, del resto,
corrisponde a due ben distinti piani di ricerca, uno lo-
gico e l’altro estetico, riscontrabili in questo lavoro di
Ingarden.
La letterarietà è dunque immanente alla strut-
tura testuale potenziale, sebbene poi l’oggetto estetico
si costituisca solo grazie all’intervento degli atti sog-
gettivi concretizzanti i significati. Ingarden ha già a
questo punto generato un dualismo, destinato anche
ad accentuarsi quando, per spiegare l’attualizzazione
dell’oggetto grazie agli atti soggettivi, introduce un’al-
tra serie di riferimenti eteronomi: i concetti ideali, nei
quali risiede la possibilità di significare delle proposi-
zioni209 (a cui corrispondono le qualità ideali estetiche
alle quali risale invece la possibilità del costituirsi del
valore estetico dell’opera, nel corso appunto della con-
209 «Solo riferendosi ai contenuti di senso dei concetti ideali il lettore di un’opera letteraria può riattualizzare in modo identico il contenuto di senso di una proposizione datagli dall’autore. Se non ci fossero concetti ideali e nemmeno qualità (essenze) ideali e idee, non solo sarebbero allora impossibili le proposizioni, cioè le oggettività reali ed intenzionali, ma sarebbe altrettanto impossibile raggiungere un’autentica intesa nella conversazione tra due soggetti coscienti, che dai loro rispettivi colgono il contenuto identico di senso della proposizione». Ingarden 1968a, 182.
103
104
cretizzazione). Ora, è proprio l’introduzione da parte
di Ingarden di queste astratte e astoriche oggettività
ideali – che, del resto, motivano la stessa Seinshetero-
nomie dell’opera – ciò che secondo Scaramuzza impe-
disce all’estetologo polacco di sfruttare appieno il rife-
rimento all’intenzionalità soggettiva. Ingarden infatti,
al fine di determinare la modalità d’essere dell’opera
d’arte, aveva messo in campo la nozione di puro-in-
tenzionalità che pur implicava la dipendenza ontica
dell’opera dagli atti soggettivi e avrebbe semmai
consentito di recuperare il sistema di legami che rap-
porta gli oggetti al mondo dei soggetti;210 l’intro-
duzione delle qualità ideali, invece, fa smarrire se-
condo Scaramuzza l’orizzonte di autonomia dell’arti-
sticità che in qualche modo si cercava in precedenza
di guadagnare.211 Limite della posizione di Ingarden
sarebbe pertanto la chiusura dell’opera – ridotta a
struttura semantica potenziale – al mondo delle con-
crete, storiche, operazioni dei fruitori:
Abbiamo qui a che fare con una generica intersogget-
tività metatemporale, vista nei suoi tratti essenziali
astorici, mai mediata nella realtà sociale vissuta; per
cui la comunità di lettori che l’opera coinvolge risulta
una comunità astratta.212
210 Scaramuzza 1976, 62. 211 ««La trascendenza dell’oggetto rispetto agli atti in cui si costituisce non basta a garantirne l’autonomia nel caso dell’estetica» Scaramuzza, 1976, 67. 212 Scaramuzza 1976, 68. In Das literarische Kunstwerk, infatti, Ingarden ha accennato al rapporto fra oggettività ideale e comunità inter-soggettiva preposta alla sua decodifica; addirittura, ad un certo punto dell’opera, dichiara conclusa l’analisi dell’oggetto astratto da ogni «vivo rapporto con gli individui psichici, e perciò anche con l’atmosfera culturale e le diverse correnti di vita spirituale che si sviluppano nel corso della storia» Ingarden 1968a, 571). Il prosieguo della ricerca non fornisce però
– segue –
104
105
Le analisi di Ingarden, in altri termini, si con-
centrerebbero unilateralmente su una fenomenologia
(peraltro sui generis) dei significati, senza sviluppare
le originarie valenze sensibili e intuitive della corpo-
reità esperiente, autentica radice di ogni fenomeno
genetico-costitutivo. Eppure tutto questo non toglie
che nelle fitte analisi ingardeniane si aprano «una
quantità di problemi avvincenti, e da cui non è
possibile prescindere in una seria indagine sui
fenomeni estetici»,213 come sarebbe del resto confer-
mato dalla indagini sviluppate da Ingarden suc-
cessivamente al lavoro sull’opera letteraria. Il nucleo
invariante dell’opera (la sua identità) non sarà piú
analizzata a prescindere dalle determinazioni storico-
sociali che presiedono alla sua concreta esecuzione e
fruizione, come lo stesso Scaramuzza mette ben in
evidenza in relazione al saggio di Ingarden sull’opera
musicale.214 Lo stesso Ingarden avrebbe cioè succes-
sivamente ovviato a queste sue unilateralità riscon-
trabili nel lavoro, peraltro comunque apprezzato da
Scaramuzza, sull’opera d’arte letteraria.
secondo Scaramuzza quell’integrazione da Ingarden stesso auspicata. Nello studio sul riconoscimento dell’opera d’arte letteraria (Ingarden 1937) Ingarden tratta ampiamente il rapporto col soggetto, anche se l’indagine è sempre piú portata ad individuare le determinazioni nei confronti del lettore presenti a livello di struttura oggettuale. Viene costruito una sorta di modello ideale di lettura che si confaccia ad un tipo ideale di lettore; cfr. su ciò Scaramuzza 1984 a. 213 Scaramuzza 1976, 68. Nel già citato studio sul riconoscimento del-l’opera d’arte letteraria, Ingarden tratterà però del vissuto estetico (che scatta a motivo di un’emozione originaria che estrania dal vivere quotidia-no) dando maggiore importanza al momento sensibile-intuitivo come istitutivo dell’esteticità; «cosí Ingarden sottolinea la necessità che un auten-tico sapere implichi l’attraversamento di una piena concretizzazione estetica dell’opera sul piano del vissuto» Scaramuzza 1984, 50. 214 Scaramuzza 1991b.
105
106
Modificazione di neutralità ed emozione origina-
ria Un altro estetologo italiano si è occupato in alcuni
suoi lavori specificamente di Roman Ingarden: si
tratta di Ermanno Migliorini. Nel suo studio su
Critica, oggetto, logica, Migliorini interviene sullo
scritto di Ingarden O Poznawaniu Dziela Literackiego,
forse piú noto nella versione tedesca portante il titolo
Vom Erkennen des literarischen Kunstwerks.215
Migliorini discute la nozione di epoché che Ingarden
avrebbe posto alla base del riconoscimento dell’opera
d’arte letteraria come oggetto estetico216 e, pur giudi-
cando lo scritto molto interessante per una teoria fe-
nomenologica dell’oggetto estetico, sostiene che le in-
dagini qui avanzate dal filosofo polacco non riescono a
superare l’ostacolo della percezione naturalistica del-
l’oggetto, in quanto non viene operata la vera e
propria modificazione di neutralità della percezione
husserlianamente intesa, secondo cui le noesi pongono
come loro correlato un’oggettività qualitativamente
diversa rispetto a quella naturale.217
Ingarden comincia col porre una distinzione fra
la cosa reale fisica (reales Ding) e l’oggetto estetico, e
questo in funzione dell’atteggiamento intenzionale del
soggetto; su questa base afferma che l’atteggiamento
estetico (quello cioè che presiede alla costituzione del-
l’oggetto estetico) è un atteggiamento derivato, il quale
scatta solo dopo che le proprietà reali dell’oggetto per-
cepito vengono sottoposte ad epoché. Le qualità del-
215 Ingarden 1937; 1968. 216 Migliorini 1968, 9-26, 73 ss. 217 Le indagini di Ingarden sono state condotte ad avviso di Migliorini secondo prospettive parziali e strettamente legate al genere artistico pre-scelto, di modo che risulterebbe «laborioso e forse nemmeno del tutto utile e legittimo estrapolare da esse la trama di una dottrina generale della costituzione» Migliorini 1968, 9.
106
107
l’oggetto inizialmente assunte come sue proprietà fi-
siche vengono come sostituite o completate mental-
mente, di modo che sopra o al di là dell’oggetto prima-
rio – il pezzo di marmo, ad esempio – se ne costituisce
proprio un altro, di nuovo tipo: una Venere, una don-
na, una dea che ha movimento ed espressione, ma che
non è piú una donna reale. L’apparizione della «Vene-
re di Milo» come oggetto di esperienza estetica è dun-
que resa possibile da una neutralizzazione dell’atteg-
giamento tetico fatta scattare da un’«emozione preli-
minare (Ursprungsemotion)» a sua volta suscitata dal-
la percezione di determinate qualità dell’oggetto.218
Ora, secondo Migliorini, nonostante il rinvio e-
splicito ad Ideen I, l’epoché che Ingarden mette in
campo differisce da quella proposta da Husserl. In
primo luogo, essa non è gestita liberamente dal sog-
getto, ma accade necessariamente a seguito dell’emo-
zione originaria. In secondo luogo, l’atteggiamento
naturalistico mantiene un certo carattere di origina-
rietà, essendo quello grazie a cui il soggetto percepisce
le qualità oggettuali che stimoleranno la risposta
emotiva e il conseguente passaggio all’atteggiamento
estetico. Piú in dettaglio, è proprio l’emozione vissuta
di fronte a determinate qualità oggettive (desiderio di
possesso della cosa, volontà di aumentare il piacere
adombrato dal suo possesso intuitivo) a provocare se-
condo Ingarden quel brusco arresto del decorso percet-
tivo che recide di colpo i legami col mondo reale.
Attraverso una tale modificazione della percezione, la
qualità (che ha suscitato l’emozione) prima colta come
predicato di un oggetto reale, viene ora intenzionata
218 Secondo Zecchi il rinvio di Ingarden ad una «imprecisata» emozione originaria, introdotto per spiegare la costituzione dell’oggetto estetico, comporta un velato ricorso all’Einfühlung; Zecchi 1978, II, 89.
107
108
come qualità «pura», centro di cristallizzazione di un
nuovo oggetto, l’oggetto estetico. Sembra allora – com-
menta Migliorini – che Ingarden radicalizzi un po’
troppo la distinzione metodica fra oggetto reale ed og-
getto estetico:219 la cosa come l’abbiamo percepita pri-
ma dell’emozione preliminare non interessa piú, e
l’apparire diviene pienamente sufficiente per una
prensione intuitiva delle qualità estetiche.
È questa un’accezione psicologico-introspettiva
della riduzione fenomenologica, lontana da quella
«analitica» propria della riflessione husserliana. Non
è qui in gioco la struttura trascendentale della co-
scienza, ma solo un soggetto empirico (io o noi che
sia): la «tempesta emotiva» che fa scattare l’intenzio-
namento estetico non riduce (nel senso fenomenolo-
gico del termine) il piano naturale. L’epoché di
Ingarden corrisponderebbe, in altri termini, alla sola
modificazione di fantasia senza esser preceduta dalla
modificazione di neutralità della percezione.220 In tal
modo, commenta Migliorini
la funzione metodologica, gnoseologicamente rivela-
trice, della neutralizzazione si perde, sí che l’oggetto
“estetico” (come sarà manifesto in seguito) manterrà
comunque, anche simbolicamente certi attributi co-
sali, facendo sí che tutto il discorso si svolga all’in-
terno dell’atteggiamento naturale, essendo ancora –
almeno da certi punti di vista – una cosa alla mano,
219 Migliorini 1968, 13-4. 220 Secondo Husserl, infatti, l’oggetto estetico è il risultato di almeno due modificazioni: la prima che si può identificare con la neutralizzazione dell’atteggiamento naturale, la seconda relativa al carattere posizionale nella sfera della credenza.
108
109
in una posizione in fondo ambigua o polivalente.221
Dopo aver operato tale neutralizzazione sui gene-
ris, il discorso di Ingarden riprende però, sempre se-
condo Migliorini, un andamento accettabile e tor-
nando a procedere «fenomenologicamente»: una volta
che l’oggetto estetico è stato (in qualche modo) costi-
tuito, la «qualità primaria» appare sullo sfondo di
un’oggettività che è finalmente percepita (quale che
ne sia l’origine) in atteggiamento modificato. A questo
punto, infatti, la qualità estetica primaria che si sta-
glia ormai dall’oggetto non riempie piú le aspettative
del soggetto, appare indeterminata, insufficiente e
manchevole, sí da stimolare un decorso percettivo che
ne fornisca un completamento qualitativo. È qui che
le riflessioni di Ingarden diventano secondo Migliorini
pregevoli, e piú autenticamente fenomenologiche: il
soggetto entra infatti in attività, non aspetta che l’o-
pera imponga da sé le sue qualità, poiché integra –
sempre mediante Erlebnisse ora modificati, cioè in-
tenzionati alle qualità – la percezione dell’oggetto da
tutti i punti di vista possibili. Ed è a questo livello che
si situano le migliori indagini di Ingarden, che ha poi
occasione di esercitare le sua analisi sul completa-
mento qualitativo dell’oggetto anche su altri tipi di
opere (musicali, letterarie, ecc.) che ancor piú richie-
dono una percezione prolungata nel tempo.222
221 Migliorini 1968, 14-18. Ecco i passi cui fa riferimento Migliorini: Husserl 1965a, 243-5; Husserl 1968a, II, 431-5. La modificazione della percezione, in un celebre esempio husserliano, è detta «coscienza neutrale dell’immagine-oggetto» e corrisponde alla «coscienza delle piccole figure grigie [«il Cavaliere, la Morte ed il Diavolo»] in cui grazie alla noesi si rappresenta figuratamente un’altra cosa» (Husserl 1965a, 244-5). 222 E l’oggetto estetico diverrebbe pertanto «una struttura armonica di qualità, private da ogni riferimento oggettivo dalla neutralizzazione, che tendono a fondersi, a trascendere persino il reticolo delle loro connessioni
– segue –
109
110
Critica e assiologia Il discorso sviluppato da
Ingarden sulla fruizione estetica non si limita alla
dottrina della Wertantwort fatta scattare dal piacere
(ammirazione, rapimento) suscitato dalla percezione
dell’oggetto, poiché si prefigge di spiegare anche il tipo
di oggettività attorno a cui ruota il discorso della
critica. Sopra e al di là del vissuto emotivo, prosegue
infatti Ingarden, si costituisce una seconda espe-
rienza, quella della critica, che porterà finalmente a
conoscere cosa sia l’oggetto estetico, quali siano le sue
qualità, il suo valore: «la funzione della critica –
spiega Migliorini – appare dunque quella di ripercor-
rere la via già seguita nel primo rapporto emotiva-
mente tumultuoso e oscillante con l’oggetto allo scopo
di razionalizzarlo».223
Ma, allora, la descrizione fenomenologica del pro-
cesso fruitivo viene a coincidere con l’indicazione della
via da seguire per assumere un corretto compor-
tamento critico, con l’indicazione delle norme che
l’osservatore deve rispettare affinché possa cogliere il
senso armonico di un’opera d’arte:
L’analisi fenomenologica si trasforma dunque in me-
todologia critica: si suggerisce di cercare quello che si
deve trovare, anticipando cosí il risultato critico (o
almeno il suo senso) e lo stesso risultato teoretico (se
si cerca l’armonia di qualità evidentemente l’oggetto
artistico sarà un oggetto qualitativamente armo-
nico).224
Lo spunto pare a Migliorini certamente interes-
per dar vita, esse stesse, ad una qualità superiore, ad una qualità armonia» Migliorini, 1968, 23. 223 Migliorini 1968, 24. 224 Migliorini 1968, 21.
110
111
sante, nonostante Ingarden non sia riuscito a vincere
le difficoltà destate (nello studio sul riconoscimento
dell’opera d’arte letteraria) da quell’anomalo riferi-
mento all’epoché, di cui s’è detto sopra. Una volta ope-
rato quel tipo di neutralizzazione, infatti, si incontra-
no ancora degli oggetti naturali che ora, dopo la con-
versione della coscienza suscitata dall’emozione origi-
naria, si oppongono alle opere d’arte costituite come
latrici di valore. Queste vengono perciò percepite pa-
rallelamente alle precedenti (grazie ad atti percettivi
modificati, in cui la coscienza non pone piú l’esistenza
reale ma solo quella in immagine) di modo che l’og-
getto estetico viene a presentarsi come un «irreale»,
con un «errore» analogo a quello compiuto da Sartre;
invece, il fatto che a un certo punto l’oggetto venga
intenzionato in modo diverso (cioè nell’atteggiamento
estetico), non dovrebbe portare a porre due distinte
oggettività, l’una sovrapposta all’altra. Intendendo
dunque l’epoché in questo modo, l’oggetto natura-
listico continua ad essere intenzionato come base del-
l’oggetto estetico:
pur essendo in un atteggiamento non tetico e non piú
controllato dalla ragione tuttavia è dato, originaria-
mente, attraverso successive neutralizzazioni, in un
Erlebnis di percezione tetica, e quindi in un Erlebnis
di memoria in cui permane un nocciolo noetico-noe-
matico identico, nocciolo che, esso, non è modifi-
cato.225
Volendo invece individuare il vero e autonomo
fondamento del discorso della critica bisognerà allora
compiere un’autentica neutralizzazione dell’oggetto
naturale:
225 Migliorini, 1968, 96.
111
112
se vogliamo indagare, con qualche probabilità, sullo
strato dell’esperienza critica dovremo liberarci dal-
l’atteggiamento naturale in generale, che nasconde
alla coscienza, nella sua accettazione di un mondo e-
sistente, nel suo costante e puntiglioso riferirsi ad
esso, la sua donazione di senso, la sua operazione co-
stitutiva dell’universo della critica, e dell’oggettività
estetica in esso; dovremo dunque farne epoché. Ciò
non significa ovviamente che i nostri musei avranno
le pareti nude o che gli scaffali delle nostre
biblioteche saranno vuoti: ma semplicemente che
sospendiamo la certezza banale dell’esistenza di qua-
dri e di libri nel tempo e nello spazio, il loro essere
alla mano nello strato della critica, e solo questo.226
Se non si scandiscono tutti i necessari passaggi
fenomenologici, dunque, il critico d’arte avrà sempre
davanti a sé un compito infinito; oppure, come piú
spesso accade, sospinto da un’astorica pretesa d’ade-
quatio, tenterà una «mistica» e impossibile penetra-
zione dell’oggetto naturalistico. La prassi descrittiva
fenomenologica conduce invece all’evidenziazione di
un’autonoma oggettività di valore, che non si pone so-
pra o al di là di eventuali sostegni naturali, ma che si
dà nell’intenzionamento estetico con tutti i predicati
di valore in essa coglibili e solo con quelli. Solo se si
compie una neutralizzazione della percezione e poi
una modificazione di fantasia si può realizzare il pe-
culiare carattere tetico dell’intenzione estetica, che è
fondamentalmente un’intenzione di valore; solo cosí si
genera, in definitiva, l’autentica oggettività estetica,
quella oggettività che, come si è visto, Husserl consi-
dera «di grado piú alto»227:
226 Migliorini 1968, 81-2. 227 Faccio qui riferimento al primo capitolo di Ideen, II (§§. 1-11); fondamentalmente in linea con questa interpretazione mi sembra anche
– segue –
112
113
Perché è infatti solo in un Erlebnis valutativo che la
coscienza ridiventa coscienza posizionale, e il “va-
levole” è “dossicamente ponibile come dossicamente
esistente”, e il “valutato come tale è un nocciolo di
senso, circondato da nuovi caratteri tetici”.228
L’oggetto estetico può giungere dunque all’esi-
stenza dossica solo attraverso la valutazione; esso si
colloca cosí entro una nuova regione dell’essere:
la coscienza valutante costituisce l’oggettività “assio-
logica”, che è di una nuova specie rispetto al semplice
mondo di cose, un “esistente” di una regione nuova.229
La costituzione dell’oggetto estetico è dunque secondo
Migliorini una costituzione assiologica, un’investitura,
che ha il potere di rendere posizionali (di ricondurre
cioè all’esistenza estetica) i complessi noematici
riferiti all’oggetto valutato:
è quindi il valutare che è arbitro della scelta: sullo
strato assiologico si decide lo status delle formazioni
che compaiono sullo strato dell’immaginazione;
quante di esse passeranno all’esistenza riceveranno
di nuovo, in quanto poste come valori, una posiziona-
lità, e sia pure in una regione nuova. È insomma
dalla parte del valore che si dovranno ricercare le
leggi e le ragioni della costituzione dell’oggetto este-
tico: e principalmente nella “regione” degli oggetti
Francesco Piselli: «Da queste pagine husserliane risulta insomma che gli oggetti di valore, e inclusivamente quelli di cui si occupa l’estetica, sono a un ramo marcatamente divergente rispetto alle cose di cui si occupa la scienza naturale; […] che agli oggetti “di grado piú alto” si confanno piuttosto atti teoretici la cui scaturigine è uno strato valutante affettivo interteoretico abile ad afferrare preliminarmente ed emotivamente negli oggetti il valore “bello”» Piselli 1994, 42-3. 228 Migliorini 1968, 103, con riferimenti a Husserl 1965a 257-9. 229 Husserl 1965a, 263.
113
114
estetici e nella correlativa ontologia regionale.230
Moritz Geiger e la fenomenologia della fruizione
estetica
Geiger è un altro degli esponenti della prima
estetica fenomenologica riscoperto a partire dagli anni
Settanta. Formatosi in psicologia a München con
Lipps e a Leipzig con Wundt, egli si era poi avvicinato
alla fenomenologia, mantenendo però un orienta-
mento fondamentalmente realista, tanto che Husserl
ebbe a definirlo «fenomenologo solo per un quarto». Si
occupò per diversi anni di estetica, pubblicando nu-
merosi studi che rivestono una certa importanza nel
panorama dell’estetica del primo Novecento.231
Cercheremo qui di seguito di riassumere alcuni mo-
menti salienti del pensiero estetologico geigeriano,
cosí come emergono nella presentazione che ne ha
fatto in diversi luoghi Gabriele Scaramuzza.
Un primo obiettivo della riflessione di Geiger
sull’estetica è quello di difenderne l’autonomia contro
gli allora frequenti sconfinamenti della psicologia; a
questo scopo egli comincia col distinguere tre tipi di
scienze, fra loro eterogenee, che si è soliti definire
tutte indistintamente come estetica: «1) Estetica come
particolare scienza autonoma, 2) estetica come disci-
plina filosofica e 3) estetica come campo di applica-
zione di altre scienze».232 Se nel contesto dello psico-
logismo allora dominante prende evidentemente il so-
pravvento il significato 3), per Geiger si tratta invece
di tornare all’estetica come scienza autonoma, avente a
230 Migliorini 1968, 104. 231 Per una bibliografia sull’estetica geigeriana cfr. l’allegato all’edizione de Lo spettatore dilettante(Geiger 1988). 232 Geiger 1925, 30; tr. it. in Geiger 1996b, 78.
114
115
suo avviso per oggetto il valore estetico-artistico, cioè
quel valore che si riferisce esclusivamente alla confi-
gurazione fenomenica dell’oggetto: «solo mediante il
ritorno ai momenti che costituiscono l’opera d’arte
come fenomeno sono risolvibili le questioni dell’este-
tica come scienza particolare».233
Ora, anche se Geiger dichiara che l’estetica come
scienza autonoma deve prescindere dalle questioni
relative agli effetti psichici dell’arte, egli considerava
anche questo tipo di analisi della massima
importanza, sempre per ovviare, anche in questo am-
bito, alle unilateralità dello psicologismo; soprattutto
agli inizi della sua attività, egli del resto si dedicò pro-
prio a studi di taglio psicologico, fra cui spicca l’im-
portante contributo sul Genuß estetico apparso sul
primo numero dello «Jahrbuch» husserliano.
L’indagine sugli atti soggettivi, dunque, sebbene fosse
considerata mero preludio ad ogni ricerca ontologica o
assiologica, non comportava un’accettazione acritica
delle dottrine allora piú in voga; anzi, si esprimeva
senza mezzi termini contro l’estetica psicologica,
«contro quel principio del “nient’altro che”, in nome
del quale viene cancellata ogni differenza tra i diversi
ambiti di realtà».234
È in questo contesto antipsicologistico che Geiger
fece proprie diverse assunzioni metodiche tipiche del-
l’indagine fenomenologica husserliana: unilaterali
prese di posizione, presupposti acriticamente assunti
lasciano il posto ad un atteggiamento descrittivo im-
pegnato a individuare differenze sin dove è possibile e
legittimo. La fenomenologia si presenta infatti in
Geiger «come una pura descrizione che esclude da sé
233 Geiger 1996b, 80; cfr. Scaramuzza 1976, 158. 234 Scaramuzza 1989, 90.
115
116
ogni tesi circa la realtà del descritto: si interessa solo
del che cosa (Was) del fenomeno in quanto tale, nelle
modalità del suo puro manifestarsi, come Husserl ha
ben chiarito»,235 oltre che risultare indispensabile
anche per mettere a fuoco tre capisaldi indispensabili
per teorizzare l’estetica come scienza autonoma: 1- la
riduzione ai fenomeni; 2- il volgersi ad essenza; 3- il
coglimento delle essenze non deduttivo, né induttivo,
ma propriamente intuitivo. Eppure, nonostante que-
sta funzione metodica fondamentale, alla fenomeno-
logia viene attribuito da Geiger un ruolo solamente
introduttivo: tutte le scienze, estetica inclusa, non
possono infatti prescindere da una fondazione filo-
sofico-metafisica che esponga quella concezione
unitaria della realtà entro cui diviene possibile
sviluppare il proprio specifico discorso (che, nel nostro
caso, concerne i valori). La pura descrizione di vissuti
e delle essenza intuite nei dati particolari fornisce
dunque solo i dati di partenza, non essendo poi d’aiuto
nell’indagine sulla provenienza e sul significato dei
valori, nel principio della cui validità si cela secondo
Geiger il segreto di ogni fenomeno estetico, incluso
quell’«effetto profondo» che dei valori oggettuali costi-
tuisce il correlato soggettivo-esistenziale. L’estetica
fenomenologica, espletato il suo compito, deve perciò
lasciare il posto all’estetica come scienza filosofica (il
secondo significato dei tre sopra ricordati), che
«riflette sul valore estetico», considerato come «una
rappresentazione dell’infinito nel finito» e posto a con-
fronto con le altre categorie di valore:
l’estetica come disciplina filosofica si comporta con
l’estetica come scienza particolare piú o meno come
235 Scaramuzza 1976, 119-20.
116
117
la filosofia della natura si comporta con le scienze
naturali. Le scienze naturali presuppongono l’esi-
stenza della natura esterna e ne studiano le leggi.
Cosí l’estetica come scienza particolare presuppone il
fatto del valore estetico e cerca di studiarne i prin-
cipi.236
La Weltanschauung di Geiger è, come si è ap-
pena visto, fondamentalmente realistica e quindi l’in-
tentum trascende sempre l’intentio; si capisce pertanto
come mai egli non faccia riferimento alla husserliana
coscienza intenzionale, preferendo invece parlare di
una unmittelbare Einstellung, che si risolve in una di-
sposizione intuitiva verso la realtà (esterna o interna)
della quale si constata semplicemente il darsi,
astenendosi da ogni giudizio.237 Anche l’estetico, al-
lora, non potrà emergere che grazie all’assunzione di
un atteggiamento idoneo, l’atteggiamento immediato,
di fronte a cui le cose rivelano la loro pura oggettività:
«la riduzione apre alle cose cosí come sono, cioè nelle
loro differenze reciproche e nella loro alterità rispetto
al soggetto».238 Infatti secondo Geiger:
Per intuire l’essenza universale bisogna disporre
l’oggetto nella giusta luce, e prima si deve anche far
assumere al soggetto che indaga la posizione esatta,
236 Geiger 1996b, 87. 237 La realtà del mondo esterno non richiede secondo Geiger alcuna dimostrazione: «Lo stato d’animo malinconico sulla riva dell’oceano non è chiuso in sé; è stato d’animo di fronte all’oceano» Geiger 1921a, 72. Si tratta dunque, per la coscienza, di rispettare la complessità del reale disponendosi ad accoglierlo senza sopraffarlo idealisticamente. L’esistenza o la non esistenza di un determinato ambito di fatti viene in tal modo a dipendere «da una presa di posizione a livello ontologico» Scaramuzza 1976, 136-7. 238 Scaramuzza 1976, 235-6.
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118
che gli renda possibile un’intuizione adeguata.239
Fra le nozioni husserliane riprese da Geiger vi è
dunque anche l’intuizione eidetica: per intuire nel
caso singolo l’«essenza universale»240 non si tratta
infatti di astrarre e generalizzare, quanto piuttosto di
intuire, nel particolare, quegli aspetti universali che
riappariranno in tutti gli individui dello stesso ge-
nere;241 ma se il metodo di Geiger presenta diverse
analogie con le Logische Untersuchungen, non sembra
che egli abbia mutuato ulteriori indicazioni dai
successivi sviluppi della ricerca husserliana. L’epoché
a cui fa riferimento Geiger, ad esempio, non fa per
nulla emergere la costituzione soggettiva, limitandosi,
tutto all’opposto, a metterla tra parentesi affinché sia
possibile l’immediata intuizione oggettuale. La sog-
gettività è dunque presente, nota Scaramuzza, ma
solo negativamente, in funzione della sua capacità di
autoannullarsi per lasciar parlare le cose; e ciò trova
conferma, del resto, nel fatto che Geiger non usa il
verbo husserliano «aufbauen», intendendo invece
l’intenzione oggettuale dell’atteggiamento immediato
come un «herausfinden».242
239 Geiger 1925, 35; Scaramuzza 1976, 161; si veda ora la tr. it. 1996b, 82-3. 240 Geiger 1973, 7. 241 Scaramuzza 1976, 116-8. 242 Cfr. Scaramuzza 1976, 236. La coscienza, in definitiva, si limita in Geiger a scoprire, scorgere, ritrovare una realtà già data, e quindi il piano della ricerca rimane ad avviso di Scaramuzza troppo statico, finendo per relegare la soggettività estetica in un ambito ancora troppo soggettivistico, «quasi si trattasse di un mero correlato esterno, di una sorta di rispondenza soggettiva dell’oggettualità estetica, e non di un’essenziale componente dell’artisticità» Scaramuzza 1976, 79-80. Le essenze, private del loro nucleo storico, sembrerebbero perciò ipostatizzarsi in idee di tipo plato-nico, la cui concretizzazione rimane un fatto del tutto contingente. L’arte, ribatte invece Scaramuzza, «non può venir intesa come una categoria dello
– segue –
118
119
Anschauliche Fülle e fruizione estetica Fra le ri-
flessioni piú profonde e interessanti di Geiger sono in-
vece secondo Scaramuzza da annoverare quelle ri-
guardanti la risonanza soggettiva della fruizione este-
tica e la portata conoscitiva dell’arte. Geiger si sof-
ferma infatti molto finemente nel descrivere il tipo di
intuizione entro cui si danno i fenomeni estetici, ve-
nendo a parlare del vissuto suscitato dalla grande
arte come di un rapportarsi emotivo e fruitivo ai
valori propri dell’opera. Fra i due estremi dell’intellet-
tualismo scevro da sentimenti e del sentimentalismo
antiintellettualista si insinua a suo avviso una terza
possibilità: «il cogliere sensibilmente (das fühlende Er-
fassen) i valori estetici».243 Si tratta, in altri termini,
di un coglimento sentimentale del valore in cui ci si
immerge sensibilmente, ci si abbandona all’incanto e
alla vivezza dell’individuale, dominandolo però allo
stesso tempo mediante la sua essenza, mantenendo
cioè un occhio universale. E quest’essenza intuita
nella fruizione estetica non costituisce propriamente
un sapere, bensí un concreto vivere, capace altresí di
spirito, né l’esteticità come una oggettiva od eterna proprietà delle cose. Cosí la comprensione di un’opera d’arte, come di un fatto estetico in nessun caso può limitarsi a un puro afferramento di strutture oggettuali, ma deve includere la coscienza delle intenzionalità che hanno presieduto alla sua formazione e che regolano la riattivazione del suo senso, a livello storico-intersoggettivo. Nell’esperienza vissuta dell’arte non sono per nulla separabili i momenti soggettivi ed oggettivi (e sociali)» Scaramuzza 1976, 238. 243 Geiger 1988, 53. Secondo Geiger il pericolo del sentimentalismo è assimilabile a quello dello psicologismo. Perciò una vera e propria «immersione nell’opera» deve a suo avviso sostituire la concentrazione su proprie emozioni psichiche, credute estetiche poiché manifestatesi durante la fruizione dell’oggetto.
119
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generare un senso vissuto per il soggetto.244
Geiger parla a questo riguardo anche di una pre-
senza intuitiva, eidetico-sensibile, dell’oggetto, in
quanto all’origine di un tale rapporto fruitivo (che non
sia cioè mero godimento) sta infatti l’apparizione del-
l’oggetto secondo una «pienezza intuitiva (anschau-
liche Fülle)».245 Ora, la differenza fra oggetto e
244 Geiger 1928, 98-9; Scaramuzza 1976, 222. Geiger propone a questo riguardo l’esempio della Ronda di notte di Rembrandt: «Non è strano? sono uomini scarsamente interessanti – uomini quali si possono incontrare ogni giorno in Olanda; davanti alle loro anonime fisionomie passiamo disattenti. Rembrandt li ritrae in tutta la loro semplicità, e ora ci fermiamo commossi davanti alla tela della Ronda di notte, proprio davanti a quegli uomini la cui banalità nella vita ci fa inorridire. […] e sempre lo stesso gioco: colori e suoni, linee e pietre acquistano un potere inaudito su di noi. Come accade questo? Come si configura il processo spirituale che compie un simile miracolo, che produce effetti qualitativamente diversi da quelli che viviamo altrimenti, e cui sono paragonabili solo le emozioni del sentire religioso e del conoscere scientifico?» Geiger 1928, 67; cfr. Scara-muzza 1976, 216, Spiegelberg 1960, 206. 245 Geiger pone la differenza tra «oggetto (Gegenstand)» e «pienezza dell’oggetto (Gegenstandsfülle)» (differenza irriducibile a quella, teoretica, fra oggetto e apparenza d’oggetto): un oggetto può essere presente alla co-scienza (rappresentato o percepito) senza che alcuna sensazione corporea sia specificamente intenzionata. Si può invece parlare di piena presenza (Gegenstandsfülle) solo quando la percezione (o rappresentazione) è «piena di momenti “tangibili” (greifbar)». Geiger considera la possibilità che anche una rappresentazione (cioè anche quando l’oggetto non è attualmente percepito) possa essere data in «pienezza»: basta che anche in questo caso i momenti «tangibili» dell’oggetto rappresentato siano inten-zionati; (la fruizione, peraltro, raggiunge in tal caso un livello inferiore) allora l’oggetto raggiunge l’«evidenza intuitiva»: «Ciò che generalmente in estetica si designa come Anschaulichkeit dell’oggetto non vuol riferirsi a una qualunque origine dai sensi, né prender posizione intorno alla questione del riempimento di intenzioni; riguarda piuttosto la modalità del darsi degli oggetti. Oggetti dati intuitivamente (anschaulich) hanno in sé una determinata p ienezza (Fülle), un esser-pieni di momenti «tangibili (greifbar)» Geiger 1973, 42. La coscienza, dunque, allo stesso tempo vive le sensazioni e intenziona l’oggetto che origina quelle modificazioni degli organi di senso.
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pienezza dell’oggetto (Gegenstandsfülle) non è riduci-
bile a quella fra l’oggetto e la sua apparenza; si dà in-
fatti Gegenstandsfülle solo se l’intenzione oggettuale è
«piena di momenti “tangibili” (greifbar)», quando cioè
le sensazioni corporee che avvertono l’oggetto vengono
anch’esse specificamente intenzionate.246 Solo in tal
caso l’oggetto raggiunge una vera e propria «evidenza
intuitiva»:
Ciò che generalmente in estetica si designa come An-
schaulichkeit dell’oggetto non vuol riferirsi a una
qualunque origine dai sensi, né prender posizione in-
torno alla questione del riempimento di intenzioni;
riguarda piuttosto la modalità del darsi degli oggetti.
Oggetti dati intuitivamente (anschaulich) hanno in
sé una determinata pienezza (Fülle), un esser-
pieni di momenti «tangibili (greifbar).247
Si tratta dunque di una peculiare forma d’intui-
zione in cui il soggetto, immergendosi nel dato senso-
riale immanente, non perde per questo il rimando al-
l’oggetto trascendente. Le qualità dell’oggetto ap-
paiono cosí in tutta la loro concretezza:
Mentre prima attraverso i dati intuitivi guardavamo
immediatamente all’oggetto, ora la coscienza si arre-
sta ai dati sensibili e si interessa alla loro pienezza.
Prima vedevo l’uomo attraverso i suoi colori e le sue
forme, ora vedo i colori e le forme, ma sempre come
colori e forme di un uomo.248
246 Geiger ammette infatti la possibilità di raggiungere una «pienezza dell’oggetto» anche quando esso non è attualmente percepito: basta che i momenti «tangibili» dell’oggetto siano comunque intenzionati. La frui-zione, peraltro, raggiunge in tal caso un grado inferiore. 247 Geiger 1973, 42. 248 Geiger 1973, 93. «Non è affatto indifferente per la fruizione estetica che i colori e le forme vengano appresi come colori e forme di un uomo
– segue –
121
122
Ciò significa, in definitiva, che nell’atto di fruizione
estetica, convivono una contemplazione, una conside-
razione (Betrachtung) che tiene lontani da sé gli og-
getti e un’intuizione che ostende e addirittura vive
nella loro pienezza sensibile.249 Essenziale diviene
dunque il modo in cui l’oggetto appare: attraverso la
pienezza noi guardiamo all’oggetto che ci dà la pie-
nezza.250
Come Geiger mostra anche in Die psychische
Bedeutung der Kunst,251 una tale pienezza sensibile –
che, abbiamo visto, risulta indispensabile affinché si
dia autentica fruizione estetica – non impedisce co-
munque all’arte di rappresentare situazioni univer-
sali. L’essenza viene dunque intuita entro un’indivi-
dualità che viene a sua volta colta in pienezza intui-
tiva. E si profila in tal modo la specificità del mo-
mento conoscitivo dell’arte: Geiger oppone infatti al
conoscere teoretico, che si impadronisce concettual-
mente dell’oggetto, mantenendolo però a distanza
neutrale, un sapere esistenziale che investe di sé tutta
la vita, presentandosi già come senso vissuto dell’e-
[anziché meri dati dei sensi]. Colui cui il significato di ciò è estraneo, cui non riesce di eseguire di “dar forma umana” (Menschformung) a colori e forme, fruirà un dipinto magari come fosse uno sgorbio colorato, o una poesia come si ascoltano incomprensibili parole straniere» Geiger 1973, 92. 249 Secondo Geiger, essenziali al vissuto fruitivo (Genuß) sono: 1) l’at-teggiamento contemplativo, consistente nel tener lontani da sé gli oggetti; 2) il rapporto diretto e vissuto con l’oggetto, fondato sulle peculiari proprietà dell’opera d’arte: «Il contemplare richiede qualcosa di piú che una semplice posizione di lontananza dell’oggetto; implica anche che in questa posizione in certo modo io accolga l’oggetto, che io afferri intensamente l’oggetto malgrado la sua distanza» Geiger 1973, 77-92. 250 «L’essenza della contemplazione estetica sta nel fatto che essa accoglie l’oggetto nella sua pienezza, ma oggetto di fruizione non è tuttavia la pienezza, bensí l’oggetto stesso» Geiger 1973, 93. 251 Geiger 1976, 202-270.
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sperienza.252 Se nel conoscere intellettivo la singola-
rità perde valore, nella vita estetica ci si abbandona
invece all’incanto e alla vivezza dell’individuale, in-
sieme dominandolo però nella sua essenza. Accade
cioè qualcosa di simile al conoscere storico, anche se
alla storia basta il puro conoscere (il generale non è
reso intuitivamente presente, ma intellettualmente
consaputo), mentre nell’arte l’essenza è intuitiva-
mente presente in un’individualità data anch’essa in
pienezza intuitiva. L’arte, questa forma aconcettuale
di conoscenza, assume dunque in Geiger un profondo
significato esistenziale:
L’artista ha il compito di portare a significanza esi-
stenziale quanto “si sa” neutralmente. Spesso “i no-
stri occhi sono ciechi per l’essenza” e l’artista ci aiuta
a vedere; ogni artista cose diverse, aspetti diversi
delle essenze, con l’uso di diversi stili. Ognuno dei
quali – è il caso di aggiungere – non è soggettiva
interpretazione, mera espressione di emozioni pri-
vate e di originale genialità […]; ma ricerca e sco-
perta della realtà. L’essenza qui non è solo da con-
templare già fatta, o da discutere, fondare,
verificare, ma da vivere; e solo cosí è “vera”. La
verità dell’arte è “evidenza vissuta” (erlebnismässige
Evidenz).253
Sul rapporto arte-possibilità in Nicolai Hartmann
Rientra nel contesto di questa ricognizione sulla
fortuna italiana della prima estetica fenomenologica
252 «Esiste un’essenza intuitiva che svolge una funzione analoga a quella concettuale: sottrae il tutto alla sua pura casualità e fattualità, gli dà senso. E risolve il contrasto tra individuale ed essenziale» Scaramuzza 1976, 222. 253 Scaramuzza, 1976, 222-223.
123
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anche l’articolato intervento di Dino Formaggio che
accompagna l’edizione italiana dell’Ästhetik254 di
Nicolai Hartmann. Quest’opera, sia pur «segnata da
pericolose oscillazioni interne», tocca infatti secondo
Formaggio diverse tematiche vicine ad altre canoni-
che proposte di estetica fenomenologica, anche se, a
ben vedere, la vera problematica di fondo attorno a
cui ruota la riflessione estetologica hartmanniana è a
suo avviso il rapporto fra arte e possibilità (e questo
spiega, nell’edizione italiana, l’accostamento alla
Ästhetik di Möglichkeit und Wirklichkeit 255). È alla
luce della «mera possibilità»,256 infatti, che Formaggio
chiarisce il significato dell’Erscheinungsverhältnis
254 Hartmann 1953. L’opera, talvolta considerata epilogo aporetico di una filosofia «aporetica», è stata per lo piú studiata non tanto per il suo portato estetologico, quanto per il suo rimettere in discussione alcuni paradigmi dell’ontologia hartmanniana. Ed in verità l’autore piú che operare una ricognizione sullo stato a lui contemporaneo dell’estetica preferisce sollevare questioni di carattere teoretico. Hartmann, comunque, sembra voler iscrivere queste sue ricerche nell’abito di un’estetica fenomenologica sebbene ricordi il solo Moritz Geiger, rimproverandogli, fra l’altro, l’u-nilaterale analisi degli atti soggettivi (Hartmann 1969, 119). Per una valutazione teoretica dell’Ästhetik si vedano anche Barone 1953-54, Barone 1957, VIII, Cantoni 1972. 255 Hartmann 1938. 256 In Möglichkeit und Wirklichkeit Hartmann distingue possibilità «meramente tale» (disgiuntiva) da possibilità «indifferente». La prima è la semplice possibilità di A, che è al contempo possibilità di non-A. Essa dice di uno «stato dell’essere» in cui A e non-A sussistono assieme; proprio per questo è incompatibile con l’effettività: l’effettività di A esclude l’effettività di non-A; è invece «necessario» che la possibilità di A includa la possibilità di non-A. L’esistenza di un ente in questo stato è secondo Hartmann «misteriosamente affascinante». Al contrario, la possibilità indif-ferente non dice nulla sulla possibilità o impossibilità del proprio contrario; questa è secondo Hartmann la sola possibilità reale, poiché compatibile con lo stato dell’essere effettivo: l’esser effettivo di A dice ad un tempo del suo essere possibile, ma non si pronuncia sull’essere possibile o impos-sibile di non-A. Al mondo del bello si addice il primo tipo di possibilità, la possibilità disgiuntiva; Hartmann 1969, 57-62.
124
125
individuato da Hartmann tra primo piano e sfondo
dell’opera d’arte, rapporto che, per altri versi
sembrerebbe invece implicare un’aporetica scissione
fra due strati oggettuali.
Fenomenologia ed ontologia Il mondo dell’este-
tica, esordisce Formaggio, costituisce per Hartmann –
come altre volte è accaduto nella storia della filosofia
– il banco di prova della validità sistematica di tutto
un pensiero. L’oggetto estetico si mostra infatti atto a
saggiare l’effettiva consistenza di quella metafisica
ontologica, di quella «suprema oggettualità»257 cui
approdavano le precedenti ricerche di Hartmann.
Quest’ultimo – com’è noto – giudicava la fenomenolo-
gia semplice strumento gnoseologico e la riteneva co-
munque insufficiente a render conto della «durezza»
del reale; ne proponeva pertanto un’integrazione al-
l’insegna di una piú ampia aporetizzazione dell’espe-
rienza, inscritta entro un piú comprensivo disegno
257 Formaggio 1969, 4. Il realismo di Hartmann non è secondo Formag-gio esente però da alcune aperture: «si vedevano emergere, rompendo il privilegio di primarietà metodologica e di assolutezza teoretica della scienza e della conoscenza, altre sfere del reale di pari dignità e fondazione oggettivistica (pur variando la misura della loro attingibilità), quali quelle dell’Etica e dell’Estetica. Non solo, ma poiché la relazionalità (con privilegio soggettivistico) del rapporto soggetto-oggetto veniva a sua volta annegata nel gran mare dell’essere, essa si dissolveva in una suprema og-gettualità (per altro sempre da ricostituire fenomenologicamente), e la pro-blematizzazione aporetica rompeva anche qui il privilegio soggettivistico, avviando il pensiero verso una metafisica ontologica finale ben lontana dalle metafisiche deduttivistiche e tutta piena di moderni spiriti empiristici e descrittivistici; qualcosa come l’eredità di passi già wolfiani e illuministici, e, insieme, l’avanzare di un nuovo realismo che giunge fino a riflettere in sé le luci inquiete di un certo irrazionalismo esistenzialistico» Formaggio 1969, 4.
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ontologico.258 Ebbene, sarà secondo Formaggio proprio
questa «prova limite» costituita dall’analisi del-
l’oggetto estetico a far recuperare ad Hartmann ri-
flessioni di piú stretta marca fenomenologica.
Secondo Hartmann l’unità dell’opera d’arte – cosí
come di ogni altro oggetto cui si possa a buon diritto
predicare la bellezza – è garantita da un «rapporto di
apparizione (Erscheinungsverhältnis)», grazie a cui
uno sfondo, ovvero un contenuto spirituale, si cala
entro un primo piano percettivo. Ex parte subiecti ciò
corrisponderebbe ad un progressivo «trascendersi al-
l’indietro» della percezione, orientato verso un sentire
affettivo originario, di modo che il valore estetico
viene ad esser costituito (reso visibile) proprio grazie a
quel complesso di atti che presiedono dapprima
all’ostensione fenomenica dell’oggetto e poi al-
l’apprensione del contenuto spirituale.
L’analisi sviluppata da Hartmann è dunque du-
plice: strutturale dell’oggetto (suddiviso in strati) e fe-
nomenologica della percezione; ma quest’ultima, se-
condo l’Erscheinungsverhältnis, sarebbe il fondamento
della prima. Il problema è allora secondo Formaggio
quello di stabilire come tale fondazione possa essere
intesa; solo cosí si potrà valutare il ruolo svolto dalla
fenomenologia in questa analisi.
Formaggio comincia con l’apprezzare un punto
metodologico, ovvero la continua ristrutturazione del-
l’oggetto «attraverso molteplici esperienze fenomeno-
logiche, in una persistente e sempre possibile uni-
tà».259 Ed è proprio su questo piano che è possibile re-
258 Come è noto, Hartmann rimprovera ad Husserl un eccesso di soggettivismo e di logicismo. Ma Hartmann – precisa Formaggio – aveva davanti a sé solo il primo Husserl. 259 Formaggio 1969, 5-6.
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perire un filo conduttore che avvia a conciliazione la
problematica distinzione proposta da Hartmann di
due differenti livelli presenti nell’oggetto estetico
(piano reale o materiale vs contenuto ideale spiri-
tuale). L’intenzionamento estetico dell’oggetto, infatti,
opera una spontanea epoché fenomenologica260 capace
di far «arretrare sia la percezione conoscitiva sia la di-
mensione pratica del percepire stesso».261
Oltre a ciò, Formaggio apprezza l’impostazione
generale della ricerca, diretta in senso filosofico e ca-
ratterizzata da un corretto antidogmatismo, da una
posizione
non già critico-valutativa o esplicativa dell’opera
d’arte e tanto meno normativa per qualche fare arti-
stico, ma correttamente teorica a partire dal piano
fenomenologico-descrittivo.
Un’impostazione – dunque – grazie alla quale si può
respingere la riduzione dell’estetica a «gnoseologia in-
ferior», sbloccandola altresí «dalla sua lunga storia di
soggettivismi romantici e idealistici e di intuizionismi
mistici o spiritualisti». Un’adeguata analisi dell’obiet-
tivazione estetica, capace di sviluppare alcune indica-
260 Quella di Hartmann, tuttavia, non coincide con la neutralizzazione husserliana, poiché lo strato sensibile è irrimediabilmente trasceso a favore del contenuto spirituale di una visione piú alta; Formaggio 1969, 15. 261 «Nella percezione […] noi ritroviamo un rovesciarsi della presenza sensibile verso gli sfondi del piú lontano vissuto, ed i due strati, del sensibile e del vissuto, si compenetrano indissolubilmente […] La percezione risulta storicamente stratificata e sprofondata fin nella piú lontana ed inestirpabile sensibilità originaria. È proprio per questo ineliminabile sfondo originario che la percezione può essere ripercorsa anche, in un trascendimento all’indietro, fino al ritrovamento dei suoi sensi originari. È proprio e caratteristico della percezione estetica di operare questo autotrascendimento all’indietro della percezione comune» Formaggio 1969, 14-15.
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zioni contenute nella riflessione hartmanniana sul-
l’estetica, toglierebbe finalmente il primato all’atto
contemplativo o a quello creativo, troppo spesso, se-
condo Formaggio, identificati con l’essenza dei feno-
meni estetici. Hartmann, in altri termini, significhe-
rebbe per l’estetica – analogamente a quanto Scheler
ha significato per l’etica – un potente stimolo a supe-
rare «l’antitesi parzializzante (e paralizzante) di og-
gettivismo e soggettivismo», a compiere cioè quella fe-
nomenologica «dissoggetivizzazione» del campo che,
del resto, risulta indispensabile qualora si voglia re-
cuperare la scientificità dell’estetica.
Ma Formaggio sta con ciò andando consapevol-
mente oltre alla lettera di Hartmann, il cui privilegia-
mento della dimensione oggettuale finirebbe invece
per «polverizzare» gli stessi guadagni piú cari al mo-
vimento fenomenologico: la correlazione noetico-noe-
matica d’intenzionalità, cioè il piano della datità feno-
menologica.262
Ci si imbatte pertanto «nel vero mostro di tutta
la questione: la costituzione dell’oggetto artistico».
L’orizzonte del valore, il bello, viene collocato tutto sul
piano dell’irreale, al quale pur accade di presentarsi
attraverso una datità sensibile. Operando una sorta
di «fuga dall’effettivo mediante l’opera d’arte»,263 Hart-
mann prescinderebbe dunque dall’atto istituzionale
dell’indagine fenomenologica, la modificazione di
neutralità della percezione, che per Husserl consiste
nel metter fuori gioco l’atteggiamento quotidiano,
senza però abbandonare il fondamentale riferimento
262 Formaggio 1969, 22. 263 Formaggio 1969, 26.
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alla stessa percezione.264 Il ritorno husserliano alle
cose si tradurrebbe pertanto in Hartmann in una ri-
considerazione ontologica dell’oggettività: ciò che egli
fa passare per costituzione dell’oggettività estetica si
qualifica piuttosto come ricostituzione dell’oggetto in
un’altra dimensione del reale, in una dimensione sot-
tratta alla temporalità dell’esperienza.
Pertanto, conclude Formaggio, se è vero che po-
nendo la questione nei termini di un rapporto di appa-
rizione fra primo piano e sfondo Hartmann avrebbe
cercato di radicare la nozione di spirito in una feno-
menologia della percezione «stratificata e sprofondata
fin nella piú lontana e inestirpabile sensibilità origi-
naria»265, di fatto l’unità in tal modo intravista si pol-
verizza non appena egli comincia a trattare ontologi-
camente di due strati oggettuali: l’irrealtà di cui parla
Hartmann significa, in definitiva, un oggetto «tale da
non imporsi alla coscienza e al corpo», mentre – e qui
sta la radice dell’aporia – questo ibrido oggetto di
fantasia non rimane esente da un certo commercio con
la realtà, la quale, anzi, costituirebbe la condizione
per l’apparizione dell’oggetto fantastico:
È pure sua condizione [dell’oggetto], quando e dove
compare, di comparire sensibilmente e material-
mente, cioè di scattar dentro a una entità reale, ad
264 Secondo Husserl – pare utile ricordarlo – l’idealità rinvia al piano dell’esperienza: «L’esperienza è la fondazione primitiva dell’essere-per-noi di oggetti che hanno lo stesso senso oggettuale che le è proprio. Ciò evidentemente vale altresí per gli oggetti irreali sia che essi abbiano il ca-rattere della idealità propria dello specifico o quello della idealità di un giu-dizio, o quello di una sinfonia ecc. […] Nelle sintesi continue e discrete di molteplici esperienze si costruisce in modo essenziale e “visibilmente”, l’oggetto d’esperienza come tale, nel mutevole presentarsi di aspetti sempre nuovi che gli sono essenzialmente propri» Husserl 1966b, 204. 265 Formaggio 1969, 14.
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uno strato di materie reali, tolte le quali cessa a sua
volta di sussistere.266
Possibilità nella realtà dell’arte Hartmann, nota
Formaggio, aveva portato l’attenzione sull’oggettività
estetica anche prima di scrivere la sua estetica. Trat-
tando delle modalità dell’essere in Möglichkeit und
Wirklichkeit267 si era infatti soffermato anche sul libe-
ro e aereo mondo ideale del bello, per essenza sottrat-
to all’incombente necessitazione reale; e per Formag-
gio la vera problematica di fondo che anima la teoria
hartmanniana dell’oggetto estetico è costituita, come
si è detto, proprio dalla dialettica fra possibilità e
realtà, alla luce della quale lo stesso Hartmann
avrebbe potuto risolvere l’interna «aporetica» del
«rapporto di apparizione».268
La possibilità «meramente tale», di ascendenza
aristotelica, da cui Hartmann sembra inizialmente
prender congedo, viene di fatto riesumata per spie-
gare il mondo estetico; il puro possibile costituisce in-
fatti un nuovo stato dell’essere269 che si pone accanto
all’essere effettivo della cosa, pur rimanendo escluso
dalle condizioni della sua costituzione ontologica.270
Decisivo è dunque il fatto che la base interna di irreal-
tà dell’oggetto estetico non aspira affatto a mascherar-
si di realtà per garantire la propria consistenza, ma si
rovescia sui piani modali della possibilità, istituendo
266 Formaggio 1969, 7. 267 Hartmann 1938, passim; di particolare interesse per la nostra tematica è il cap. 35 Die Welt des Schönen und ihre Modalstruktur Hartmann 1969, 31-77. 268 Formaggio 1969, 15. 269 Hartmann 1969, 58. 270 Formaggio 1969, p.18.
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il «mondo della dis-effettuazione»271. In questo modo il
mondo dell’estetico si sottrae all’impossibilità della
«possibilità reale», che è tale solo quando le sue condi-
zioni «sono fino all’ultima soddisfatte», senza per
questo pretendere alcuna mistificazione del reale, dal
quale prende semplicemente congedo, si libera.
Hartmann, secondo Formaggio, pur avendo in-
tuito tale apertura, tale libertà relativa al mondo
autonomo dell’arte, sarebbe comunque rimasto affa-
scinato dall’inquietante costrizione dell’essere reale,
con le sue possibilità, effettività, necessità che si ri-
chiamano e implicano l’un l’altra; nonostante -
l’importante intuizione del nesso arte-possibilità, egli
avrebbe infatti deciso di raddoppiare la catena della
necessità reale nel regno ideale del bello, al fine di
garantire l’integrità ontica all’opera d’arte, una volta
recisa e abbandonata la sua base reale. Hartmann
parla infatti, sia di una «necessità artistica» (o «essen-
ziale», cosí come «essenziale» è detta la corrispondente
possibilità) sia di un’effettività sui generis, vigenti nel
mondo autonomo, separato, dis-effettualizzato del
bello. Il limite di questa posizione, conclude Formag-
gio, consiste nel fatto che il reale viene degradato a
puro mezzo, l’ancoraggio percettivo risulta ridotto ad
un’estrinseca fenomenizzazione. Hartmann, in altri
271 «La fuga dall’effettivo mediante l’opera d’arte non punta nella dire-zione del cosiddetto ideale, ma significa solamente una rottura di quel gra-voso equilibrio di possibilità e necessità che il reale possiede e sempre pre-tende, rottura che avviene non già a favore della necessità (come avviene nel cupo splendore del dovere morale), bensí a favore della possibilità». Infatti: «Il possibile reale soffre di una “angustia” insopprimibile per la trama completa delle condizioni reali in cui si muove. Il possibile artistico nasce come slancio oltre il sistema ferreo di tali condizioni e inaugura il volo di liberazione di un “meramente possibile”, librato fuori e sopra il reale effettivo, fuori e sopra la dura necessità e lo stesso rapporto di identità» Formaggio 1969, 26 e 20-21.
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termini, non coglie alcuna possibilità nella realtà, non
riesce a cogliere la possibilità nella realtà dell’arte.272
Realtà, prassi, progetto La stratificazione della
percezione di cui Hartmann parla nell’Ästhetik per
attestare l’integrità dell’oggetto estetico introduce
quella «imprescindibile relazionalità soggettiva» che
costituisce secondo Formaggio uno dei principali ac-
quisti dell’estetica fenomenologica. Sviluppando i
momenti genetici e costitutivi, Hartmann avrebbe po-
tuto superare il necessitarismo della sua ontologia e
recuperare il senso dell’esperienza e della prassi, an-
che nella loro relazione al futuro, collocate cioè nel-
l’insieme delle estasi temporali; cogliendo il fonda-
mentale legame dell’estetico con la categoria di possi-
bilità, quest’ultima avrebbe potuto essere utilizzata a
questi scopi.273 Ma Hartmann non si avvede di ciò,
272 «Ciò le cui condizioni sono fino all’ultima soddisfatte, è, al limite e solo al limite, il possibile reale. Il che può significare sia che il possibile tende a dissolversi nel reale effettuale, sia che il possibile tende ad agire e ad operare infinitamente nel reale ed è una dimensione del reale. L’arte ha a che fare con una possibilità irrealizzante o diseffettuata, solo per una concezione inadeguata dell’arte stessa che tende a identificarla con un’esteticità che è, infine, un’estaticità, o con un immaginario concepito come altro ontologico dal mondo» Formaggio 1973, 77. Come avrebbe messo in luce Bergson – prosegue Formaggio –, è il reale che si fa possibile, non quest’ultimo che si attua in quello: «[…] Ciò significa che cade la tesi platonica di un essere dato una volta per sempre e si rovescia la tesi che faceva nascere la libertà dalla indeterminazione competitiva dei possibili, mentre si convalida che è la libertà […] a creare il possibile. Questo significa l’incessante novità del reale, la sua artistica novità che si fa mentre si possibilizza, sotto i nostri occhi» Formaggio 1973, 75-76. Solo una riconsiderazione fenomenologica della realtà – dunque – permette di cogliere l’intenzionalità del nuovo che anima il fare artistico; il reale, nell’esperienza artistica, diventa possibilità progettuale: include in sé pas-sato, presente, futuro o, in una parola, la storia. 273 «Una estetica come scienza filosofica, nel momento in cui afferma il proprio fondamento unitario in una specifica logica del possibile e quivi riconosce la base, l’unica base comune possibile, sia per una teoria gene-
– segue –
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continuando a considerare la materia rimane un puro
mezzo, da cui l’essenza estetica si stacca senza possi-
bilità di ritorno.
Emerge chiaramente, dunque, la posizione di
Formaggio, secondo il quale, a differenza di
Hartmann, il possibile non è per nulla estraneo alla
dimensione della realtà; anzi, esso è in tutto e per
tutto una dimensione del reale, di una realtà, anzi,
che si fa possibile proprio grazie all’intenzionamento
estetico. E quindi, in forza di questi suoi essenziali le-
gami con l’estetico si deve porre proprio un nuovo tipo
di possibilità, la
possibilità artistica del reale, che anziché rompere
con la struttura di base della effettività, anziché
diseffettuarsi e srealizzarsi, operi dentro il reale, sia
pure su altre basi dalla durezza della sua necessità,
per trasformarlo in arte.274
Una volta trasformata in arte, la determinatezza
della realtà storica e sociale, viene proiettata verso
una possibilizzazione, verso una nuova riconcilia-
zione. Ed è questa una condizione che Formaggio defi-
nisce «piú reale del reale», una condizione supponibile
solo in un reale in perenne divenire. La netta cesura
hartmanniana, invece, comporta a suo avviso la
perdita della vastità e pienezza del reale storico, della
presenza «della società e della storia in una effettiva –
e non solo sognata – liberazione artistica».
rale della sensibilità (o Estetica generale) che, ed insieme, per una teoria generale dell’arte (o Estetica speciale), non può far a meno di verificare e denunciare i limiti del rapporto arte-possibilità nel pensiero di Nicolai Hartmann» Formaggio 1969, 27. Sulla distinzione Estetica speciale ed E-stetica generale v. Formaggio 1962a, 303-327. 274 Formaggio 1973, 75.
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L’arte come «possibilità progettuale» agisce dun-
que in mezzo alla realtà senza però ossificarsi in essa;
al contrario, il fare artistico risulta capace di aprire e
fluidificare il reale, di avviare nella e con la realtà
uno schema di «perfezionamento di cosa e senso».275 E
la «logica prassistica» dell’arte significa, in definitiva,
la liberazione dell’uomo, la liberazione della sua infi-
nita capacità comunicativa e fattiva:276
Interpretare e reinterpretare sempre e ogni volta
daccapo i segni che popolano il cielo e la terra è com-
pito dell’arte come possibilizzazione progettuale del
mondo ed è un modo di vincere, in progetto, s’in-
tende, non di fatto, la morte.277
275 Formaggio 1969, 29; Formaggio 1973, 77-84. 276 «Se la progettazione cade sotto controllo tecnologico, con la fine della sua libertà liberatrice si ha anche la fine della progettazione artistica del nuovo segno, della nuova parola, della funzionalità significativa e comunicativa (non solo informativa) del mondo». Formaggio 1973, 82. 277 Formaggio 1973, 79.
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Fenomenologia e «aggancio metafisico»
nell’estetica di Elisa Oberti
Obiettivo primario delle riflessioni di Elisa
Oberti278 è quello di evidenziare all’interno dei fe-
nomeni artistici (dei quali l’estetica fornirebbe un’in-
terpretazione essenziale) un’indicazione verso l’«ulte-
riorità metafisica», indicazione tutta radicata, però,
nella concretezza sensibile. L’opera d’arte, infatti, si
dà a suo avviso esclusivamente nella presenza sensibi-
le, ed è perciò estremamente scorretto interpretarla
muovendo da orizzonti di significatività esterni
allopera stessa (eteronomi).
Ma è solo dopo un lungo confronto con gli espo-
nenti dell’estetica fenomenologica (oltre che, ovvia-
mente, con quelli di una classica estetica metafisica «a
parte ante») che l’Oberti arriva a formulare tale dot-
trina di un «aggancio metafisico a posteriori». Fra gli
autori presi in considerazione, una maggiore affinità
viene riscontrata con la linea Conrad-Ingarden-
Dufrenne volta reperire il fondamento dell’artisticità
ex parte objecti, anche se non mancano riferimenti a
Geiger, Sartre, Hartmann; fondamentalmente, i fe-
nomenologi che si sono occupati di estetica interes-
sano all’Oberti in quanto avrebbero anch’essi posto
l’esigenza di un rilancio verso l’ulteriorità metafisica a
partire dalla concretezza dell’arte, sebbene sarebbero
278 Fu docente di estetica all’Università Cattolica di Milano fra gli anni Sessanta e Settanta; un ricordo nel ventennale della sua morte è in prepara-zione a cura di Francesco Solitario per il Bollettino dell’Associazione Italiana di Studi d’Estetica, autunno 1996. Seguirò in questo capitolo Oberti 1962, 1964 e1968.
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poi ricaduti in aporetici dualismi fra la dimensione
sensibile dell’opera e l’ulteriorità spirituale.
Estetica e metafisica
L’estetica intrattiene e deve intrattenere secondo
Elisa Oberti stretti rapporti con la filosofia, in quanto
una delle sue primarie funzioni è quella di esplicitare
il principio del carattere conoscitivo dell’arte; questo,
del resto, non intacca minimamente la specificità di-
sciplinare dellestetica, poiché la conoscenza veicolata
dalla «presenza evidenziata» di una datità sensibile
(cioè dall’arte), non presenta alcuna inferiorità rispet-
to all’orizzonte concettuale. Il riferimento ai referti
sensoriali – icasticamente detti i «documenti»279 di
ogni ricerca estetologica – svolge infatti una funzione
fondamentale proprio in funzione di quell’«evidenzia-
zione della presenza» che sta alla base dell’estetica di
Elisa Oberti, il cui principale intento è appunto quello
di mantenere aperto un rilancio metafisico ma che
muova dal concreto dell’opera d’arte, negando qualsia-
si «persistenza metafisica a parte ante»:
Una metafisica dell’arte è possibile ma dopo e non
prima dell’accertamento delle sue strutture in am-
bito fenomenologico, nel senso che l’arte e la defini-
zione dell’arte prendono posto tra le altre determina-
zioni metafisiche e sono con esse compatibili, ma non
da esse aprioristicamente deducibili, in un sistema
armonico di rapporti.
Una metafisica dell’arte incontra però due ordini
di difficoltà: in primo luogo, la metafisica, scienza
279 «Documento» è per la Oberti l’oggetto da cui deve aver origine ogni indagine fenomenologica.
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orientata verso gli aspetti piú universali della realtà,
non è per sua natura votata a comprendere quella pe-
culiarissimma manifestazione che è l’opera d’arte;
inoltre, volendo sottoscrivere l’assioma della fenome-
nologia che vieta la deduzione di princípi da teorie
precostituite (anche se raffinate e valide per altre re-
gioni dell’essere), l’estetica metafisica deve abbando-
nare la concezione del pulchrum quale predicato tra-
scendentale dell’essere, concezione che porta ad una
metafisica del bello solo nel senso (deteriore) di
«definizione aprioristica» e che non può che condurre,
pertanto, ad un’accezione depotenziata di bellezza. Si
tratterebbe infatti di un bello predicabile indistinta-
mente a tutti gli enti e perciò inadatto ad attestare
l’autonomia di campo dell’estetica. Quest’ultima deve
invece partire dall’opera d’arte nella sua immediata e
concreta presenza che, non dimentichiamolo è pur
sempre presenza per un soggetto, e dunque presenza
con significato. Se l’estetica mantiene pertanto dei
rapporti con la metafisica, questi non possono darsi
che a posteriori:280
L’aggancio […] deve di necessità proporsi come a
parte post: a partire dalla datità stessa sensibile che
sembrerebbe indurre in dimensioni immanentistiche
e che d’altra parte è offerta dalla inconfutabile atte-
280 Oberti 1962, 12-13. «Nel sostenere che la teoria dell’arte non può essere dedotta da un sistema filosofico e dalla metafisica in esso dichiaratamente enunciata o implicitamente contenuta, si intende solo asserire che tale riduzione non può essere operata totalmente a priori, cioè prima e fuori di ogni concreto rapporto con l’oggetto artistico» Oberti 1962, 13; ma: «[…] Non si esclude che le acquisizioni raggiunte in seguito all’atto di indagare e analizzare in sede fenomenologica tale oggetto non possano venir sussunte e collocate in un sistema metafisico riconosciuto come valido» Oberti 1962, 14.
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stazione fenomenologica.281
Notiamo subito come, al di là di un canonico ri-
chiamo metodologico ad un’indagine scevra da pre-
supposti mistificanti, il referente del termine fenome-
nologia sia qui peculiare. In primo luogo esso indica
un momento preliminare dell’indagine, il momento
dell’ostensione dei «documenti» che saranno in se-
condo momento ricompresi in un «sistema metafisico
riconosciuto come valido», nel quale i fenomeni rag-
giungano una definizione concettuale. In secondo
luogo, l’Oberti – come meglio vedremo tra breve –
identifica l’estetica con una fenomenologia dell’oggetto
d’arte,282 l’originaria evidenza del quale deve fungere
da punto di partenza per qualsiasi teorizzazione su di
esso; decisamente unilaterale è pertanto l’esame dei
fenomeni artistici messo in campo dalle estetiche che
considerano solo i momenti soggettivi o percettivi:
Invertire l’ordine della trattazione tra oggetto arti-
stico e attività percettiva […] significa fidare nell’o-
biettività dell’oggetto, e ritenere che nei suoi con-
fronti la percezione e l’immaginazione non siano
281 Oberti 1962, 293. L’Oberti invita piú volte a rispettare il dato feno-menologico; se non si può – come avrebbero fatto, fra altri, Kant e Heidegger – assumere l’oggetto estetico quale mero pretesto per affermare un’ulteriorità, nemmeno, all’opposto, si può semplicemente estetizzare una metafisica già formulata. Estetica e metafisica possiedono entrambe una loro autonomia o autosufficienza, e se l’arte comporta la necessità della metafisica, questo non significa che quest’ultima debba sovrapporsi alla prima; Oberti 1962, 344-8. 282 Oberti 1962, 21-48. «Ritengo che il problema estetico si determini e si precisi in funzione di un’originaria e fondamentale domanda sull’arte. Il problema estetico, cioè, come problema specifico, nasce e si precisa attra-verso una serie di interrogativi volti a indagare quel dato di fatto reale, se pure inquietante, che è l’opera d’arte concreta» Oberti 1962, 224.
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determinanti […] sia nel senso di un ingenua
invenzione iniziale dell’oggetto stesso, sia nel senso
di una sua invenzione attraverso l’annullamento, l’ir-
realizzazione del suo essere sensibile, come è in
Sartre o in Hartmann e per lo piú in tutti i fe-
nomenologi di derivazione husserliana.283
Ed ancora:
Bisogna vedere come, nel suo porsi originariamente
283 Oberti 1962, 31. Tre sono i punti grazie a cui la fenomenologia dell’oggetto d’arte può superare le metafisiche spiritualistiche: 1) «Far consistere l’oggetto estetico nella sua oggettività stessa»; 2) «Salvarne la fisicità, cioè la datità immediata una volta raggiunto il significato» (Oberti 1962, 52); 3) far piazza pulita di ogni forma di intuizionismo. Per dar conto di una componente soggettiva dell’estetico, si potrebbe tutt’al piú analizzare il correlato psicologico della conoscenza estetica, ma in questo caso bisognerebbe essere consapevoli di operare unicamente con metodo sperimentale. Una «fenomenologia dell’attività artistica» è dunque secondo l’Oberti auspicabile oltre che possibile, anche se ai tempi in cui scriveva sembrava ancora improbabile; comunque essa «non potrebbe venire che dall’artista stesso che si trovasse per particolari disposizioni disposto, sia pure in via di preliminare accertamento fenomenologico, alla dimensione della filosofia» (Oberti 1962, 323-4). Sulla base di simili presupposti si comprendono i giudizi formulati su quegli esponenti dell’estetica fenomenologica che si sarebbero troppo soffermati sulla soggettività: Geiger ha insistito troppo sui vissuti fruitivi, mentre Hartmann ha sostituito due modalità del «Schauen» ai corrispondenti strati oggettuali, trascendendo cosí l’«ambito di documentazione sensibile dell’opera»: «[…] procedere per la via dello Hintergrund lasciando alle spalle il Vor-dergrund, che è poi l’ambito di documentazione sensibile dell’opera, signi-fica abbandonare la zona di sicurezza della documentazione fenomenologica in cui l’opera si realizza e dà prova di sé come complesso di elementi sensibili. Spingere al di là in questa documentazione sensibile la ricerca del senso dell’opera significa cercare l’opera dove essa non è: fuori dei dati sensibili come infatti potremmo cercare di reperire l’opera?» Oberti 1964, 407; anche W. Conrad viene tacciato di soggettivismo (sebbene la Oberti apprezzi le sue indagini oggettuali), mentre il solo Mikel Dufrenne avrebbe correttamente sottolineato la coazione dell’opera d’arte nei confronti della percezione.
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per un soggetto, sussistano i caratteri per cui l’opera
viene ad essere anche in sé, talché se l’opera è per il
soggetto si possa inversamente stabilire che anche il
soggetto è in un certo senso per l’opera.284
L’Oberti critica dunque la metafisica spirituali-
stica dell’arte e rifiuta quelle posizioni che privile-
giano i momenti soggettivi dei fenomeni artistici; per
render conto dell’oggettività dell’arte bisogna invece
affidarsi esclusivamente alla concreta presenza delle
opere cosí come si danno coi loro colori, forme, suoni o
parole. A questo scopo ben si adatta l’analisi fenome-
nologica, anche se coloro che sino a quel momento si
erano impegnati nell’applicazione della fenomenologia
all’estetica avevano secondo l’Oberti indebitamente
trasceso il piano oggettivo di datità dell’opera d’arte,
arrivando a progettare l’autentico dell’opera fuori dal-
l’opera stessa, al di là della sua concreta e sensibile
presenza. Conrad, Ingarden, Geiger, Hartmann,
Sartre (a cui si deve aggiungere Dufrenne, con cui
però l’Oberti per molti aspetti consente) avrebbero
infatti abbandonato il fertile suolo per un aggancio
metafisico a posteriori, peraltro da essi piú o meno
esplicitamente intravisto.285
284 Oberti 1962, 29-30. 285 Elisa Oberti ritiene che i citati esponenti dell’estetica feno-menologica fossero comunque animati da un’esigenza di ulteriorità metafisica, intesa quale impulso all’autotrascendimento della datità sensibile: «L’estetica fenomenologica che parrebbe volersi serrare in una situazione di pura analisi del dato e anche in una assolutizzazione immanentistica di esso, si apre piú decisamente di ogni altra forma di estetica contemporanea non legata alla tradizionale teoria della metafisicità dell’arte come fatto precostituito all’arte stessa, verso prospettive di ulteriorità metafisica». Se per Hartmann, ad esempio, sono reali solo i dati percettivi, in essi, tuttavia, «l’autentico si spegne per documentarsi come un
– segue –
140
141
Venendo ad esporre le modalità dell’integrazione
metafisica richiesta dall’arte, l’Oberti comincia col
precisare che non si tratta dell’aspirazione ad una
non ben definita «assolutezza dell’opera», estranea
alla sua datità (come se esistesse un’opera inauten-
tica di contro ad una autentica), ma di un’indicazione
verso la «realtà e assoluto in quanto tali», quali ga-
ranti del senso di una determinata datità sensibile:
La datità sensibile non è solo involucro di un’essen-
za, ma è il concretarsi dell’essenza stessa dell’opera.
Il rilancio deve essere dunque a partire dall’opera,
senza che l’opera si proietti al di sopra di sé e fuori di
sé nell’ulteriorità metafisica. Il che vuol dire che l’o-
pera indica la necessità di una metafisica, senza ci-
mentarsi in proprio nei compiti che a una metafisica
competono.286
Solo intesa come rimando all’assoluto, ad un assoluto
qui solamente indicato e tutto ancora da scoprire ed
assaporare, l’apertura estetica all’universale può dun-
que rimaner tale, senza negare l’autonomia dell’ar-
te.287 È la stessa realtà dell’opera, infatti, ad istituire
al di là». Secondo Sartre – altro autore preso qui in considerazione – l’attività artistica è invece «annullamento […] dell’immaginario nei dati percettivi in cui l’immagine si spegne ma non si esaurisce, facendo sí che appunto lo spegnimento della datità sensibile e percettibile spinga verso oggetti ulteriori, e irreali»; l’ulteriorità si presenta però qui come un «indeterminabile nulla ulteriore» Oberti 1962, 294-8. 286 Oberti 1962, 341. 287 Esiste un rinvio tra arte e «metafisica in quanto tale», ma non fra arte e «metafisica dell’arte»; precisazione che «serve a stabilire l’autonomia e l’autosufficienza delle rispettive zone di attuazione. L’arte indica la neces-sità dell’ambito metafisico ma proprio come ambito ad essa ulteriore, e dunque non assume in esso funzioni e responsabilità di primo piano, atte a snaturare e sminuire la metafisica attraverso l’estetizzazione di essa, e a de-
– segue –
141
142
un essenziale rimando a qualcosa di altro rispetto al
piano della sua datità sensibile: il dato sensibile non
vale infatti per sé stesso ma assume un determinato
significato in quanto strutturato nella totalità di
un’opera d’arte; e questo significa che già a livello di
sensibilità si dà qualcosa di piú (la totalità dell’opera)
della sensibilità stessa, un elemento significante che
non attende però la propria esplicitazione in una di-
mensione concettuale, ma che richiede piuttosto
quella circolarità (sintesi) fra universale e particolare
che si dà pienamente solo nell’assoluto (e non certo
nell’astrazione concettuale scindente). E questo
perché i referti sensibili – o anche l’opera stessa –
sono realtà particolari che non valgono solo come
realtà particolari: sono particolari-universali, cioè
«universali concreti»; solo che l’indicazione conoscitiva
di cui sono latori non deve trapassare in nitore
concettuale, pur restando conoscitiva; ed è per questo,
lo ripetiamo, che una tale complessione sensibile in-
dica secondo l’Oberti in direzione dell’assoluto.288
Solo un’adeguata ricognizione fenomenologica è
dunque la via da seguire per giungere ad una defini-
zione dell’arte che non ne dissolva la consistenza nel-
l’astrazione di uno spiritualismo dualistico o che,
d’altro canto, non ne dissolva il fondamento (comun-
que trascendente) nella necessaria antidogmaticità
del metodo: l’opera d’arte è veicolo di conoscenza e,
potenziare l’arte ridotta a strumento e quasi a pretesto di una metafisica de-potenziata» Oberti 1962, 345. 288 Pertanto: «Nel rilancio l’opera deve restar se stessa, come del resto è indicato dal fatto di essere l’opera un circolo solido tra la sua esteriorità e la sua interiorità, tra la sua datità sensibile e il suo significato, tra l’apparentemente fenomenico, e l’autentico» Oberti 1962, 344.
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come tale, costituisce un’alternativa alla conoscenza
logico-concettuale, istituendo l’esigenza di ulteriorità
possibile.
Datità sensibile ed opera: la potentielle Offenbarung
di Ingarden
Fra gli autori della prima estetica fenomenolo-
gia, Ingarden è quello maggiormente apprezzato dal-
l’Oberti in quanto avrebbe intravisto quella pos-
sibilità estetica di un orizzonte ulteriore, richiesta,
come si è visto, dal fenomeno arte.289 Il filosofo polacco
non avrebbe però adeguatamente riconosciuto secon-
do l’Oberti l’immanente significatività dello strato
sensibile dell’oggetto estetico e sarebbe per questo
giunto ad affermare un’inaccettabile eteronomia
dell’opera d’arte quale oggetto puro-intenzionale;
parlare di purezza intenzionale significa invece
perdere di vista la vera realtà dell’oggetto estetico,
289 Tale «apertura» – termine con cui l’Oberti talvolta rende la Offenbarung di Ingarden – rinvia alla tipica modalità d’essere dell’oggetto estetico, la «pura intenzionalità», che si esplicita nella caratteristica indeter-minazione delle «schematizzazioni»: «Indeterminazione non implica in questo caso negatività, dissoluzione dell’oggetto nell’insignificanza, anzi sta ad indicare nell’oggetto stesso aperture non impedite e frustrate né da empiriche precludenti determinazioni, né da congelamenti e assolu-tizzazioni d’ordine ideale». Apertura significa pertanto potenzialità della struttura schematica dell’oggetto a rivelare i suoi piú autentici valori: «L’apertura deve essere intesa come potenzialità. L’intenzionalità dell’oggetto puramente intenzionale viene dunque a chiarirsi nel senso di una apertura o disvelamento potenziale che spezza lo schema dell’oggetto ideale e l’empiricità dell’oggetto reale e segna pertanto la vera e propria nota distintiva nei loro confronti. L’oggetto intenzionale è dunque disvelamento (Offenbarung) ma puramente potenziale». Oberti 1964, 404-5; corsivi nostri.
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significa recidere quel vitale legame che àncora l’in-
tenzione soggettiva (che attribuisce il valore all’ogget-
to estetico) alla concretezza della percezione.
Non per questo l’estetica fenomenologica di
Ingarden è secondo l’Oberti priva di preziosi spunti;
sebbene il piano di datità sensibile venga indebita-
mente trasceso, Ingarden individua nell’opera un ri-
mando all’ulteriorità inteso come apertura o disvela-
mento (estetico-metafisico) solamente potenziale che
risulta paragonabile alla dottrina dell’aggancio meta-
fisico a posteriori proposta dall’Oberti nella sua
Estetica: il valore dell’opera non si può realizzare com-
pletamente in essa, ma trova nella propria determi-
nata configurazione fenomenica (presenza evidenzia-
ta) una delle sue possibili concretizzazioni. Afferma
infatti Ingarden: «Die metaphysischen Qualitäten
können hier […] nicht realisiert werden […] sie werden
aber konkretisiert»;290 il valore dell’opera si dà inte-
290 Ingarden 1960a, 314. «Naturalmente le qualità metafisiche non pos-sono essere qui realizzate […] esse vengono però concretizzate» Ingarden 1968a, 509. Commenta l’Oberti: «È appunto la nozione di potenzialità quella che permette al suo pensiero di reggere piú a lungo la tensione verso l’ulteriore senza spezzare i collegamenti con l’impianto fenomenologico che si presenta come punto d’appoggio indispensabile per il rilancio […] Infatti l’essere il disvelamento potenziale implica che esso non è in atto, non si esaurisce cioè nel sensibile, è in potenza ad essere disvelamento, e dunque il suo essere consiste tutto nella pura apertura, apertura tuttavia da attuarsi in un al di là non ancora raggiunto e nel quale solo l’apertura stessa può diventare attuale». Dunque il valore estetico (metafisico) si fonda nel sensibile, ma è intenzionale: «L’opera letteraria tendenzialmente, come aprirsi intenzionale di qualità metafisiche, sfugge alla base delle parole, ma appunto perché la fuga è intenzionale vi permane e le valorizza. […] L’attuazione delle possibilità metafisiche annullerebbe infatti la dimensione della intenzionalità e […] l’attuazione tarperebbe lo slancio verso la metafisica, per la empiricità che all’attuazione reale sarebbe intimamente connessa» Oberti 1964, 409-10 e 424-5.
144
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ramente nel concreto, anche se delle sue qualità si
può parlare analogicamente per concetti.
Per quanto riguarda la pars destruens, l’Oberti fa
innanzi tutto notare come la concretezza che bilancia
l’irrealtà intenzionale (la «purezza intenzionale» né
ideale né reale, cioè quello che Ingarden considera
l’orizzonte di realtà dell’opera d’arte) sia fondata su
un’interpretazione troppo fisicalistica del dato sensi-
bile, che lo riduce a puro mezzo atto a render presente
una qualità che lo trascende. Questo spinge Ingarden
ad opporre in modo un po’ troppo forzato datità sensi-
bile ad autenticità dell’opera, concretezza a realtà del-
l’oggetto,291 arrivando altresí a ontologizzare un’a-
strazione e ad attribuire all’opera un’eteronomia d’es-
sere. In verità – ammette l’Oberti – il vizio di questa
posizione emerge esplicitamente negli scritti delle
Untersuchungen zur Ontologie der Kunst292, mentre ri-
maneva ancora latente in Das literarische Kunst-
werk.293 Questo per due ordini di motivi, il primo dei
quali è abbastanza scontato: l’opera letteraria è, tra le
opere d’arte, quella meno compromessa con la datità
sensibile, talché l’abbandono del primo strato esteriore
(dove esteriore è detto in analogia con il Vordergrund
hartmanniano, parimenti criticato) per raggiungere
l’autentico dell’opera risulta di fatto meno perentorio.
Il secondo motivo è meno banale ed appare denso di
implicazioni per l’estetica; conviene dunque esporlo
meno fugacemente; con esso veniamo tra l’altro anche
alla pars construens di questa critica all’estetica di
Ingarden.
291 Oberti 1964, 414-22 e Oberti 1962, 38. 292 Ingarden 1962. 293 Ingarden 1931.
145
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Come si è già anticipato, lo strato sensibile del-
l’opera d’arte è caratterizzato secondo Ingarden da
una potentielle Offenbarung delle qualità metafisiche:
al fine di garantire l’intenzionalità del valore ed evi-
tare di ridurlo ad evento empirico o a vuota idealità,
Ingarden rinvia l’attualizzazione delle qualità este-
tico-metafisiche ad un ambito esterno all’oggetto,
estraneo cioè alla sua fruizione, o, come egli dice, alla
sua «concretizzazione». Ora, secondo l’Oberti questa
proiezione non dovrebbe comportare di principio un
abbandono del concreto,294 poiché che il disvelamento
sia solamente potenziale non implica il rinvio ad una
nuova oggettività di valore separata dal suo fonda-
mento concreto; disvelamento potenziale significa
semplicemente che lo stesso materiale percettivo, in
quanto orchestrato in un certo modo (il bello), riesce
ad offrire anche un nuovo significato dell’oggettività
già presente:
Ciò che interessa nell’opera artistica è il fatto di ce-
lare un contenuto che trascende o trasforma in nuovi
significati la stessa datità sensibile nella quale l’o-
pera si manifesta: l’essere nel sensibile e il trascen-
dere in un certo modo il sensibile stesso. Ma è un
vero trascendere o piuttosto un trasformare, un
trasformare dall’interno, s’intende?295
È dunque la bellezza sensibile, senza altri riferimenti
estranei alla datità dell’opera, ad orientare gli oggetti
294 «Se il sensibile ha implicito il suo valore (sia pure in forma non assoluta perché, sempre in quanto potenziale nell’opera, uno slancio interiore sol-lecita il disvelamento ad attuarsi non in altro ma per sé) il sensibile stesso ne risulta potenziato ed illuminato» Oberti 1964, 411. 295 Oberti 1964, 410; sottolineature mie. 296 Oberti 1964, 410; sottolineature mie.
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estetici verso il vero, a portare alla luce, nell’immagi-
ne sensibile, un’anticipazione dell’Assoluto, cioè di
quella sintesi fra universale e particolare non viziata
dalla strutturale perdita di realtà dovuta all’astrazio-
ne. Ed è proprio questa luce immanente (bellezza) che
evidenzia il significato all’interno della realtà sensi-
bile che Ingarden non riesce a cogliere a motivo della
sua interpretazione naturalistica del dato sensibile.
Non resta allora all’Oberti che sottolineare
quella preziosa intuizione presente in Das literarische
Kunstwerk secondo cui l’«essere» della dimensione
ulteriore dell’opera d’arte letteraria consiste «tutto
nella pura apertura» («se pure in forma implicita»)297,
talché «l’opera in sé sussiste anche se il suo piú
profondo valore viene proiettato al di là di essa»; il
rimando metafisico non dovrebbe però destituire la
realtà sensibile dell’opera, visto che è istituito proprio
da un nuovo tipo di concetto, un concetto sensitivo
(potenziale):
La presenza è un quid di piú originario e di piú am-
pio della datità sensibile, e anche della organizza-
zione percettiva. La presenza è l’oggetto nella sua
concreta datità che non esclude dimensioni di uni-
versalità concettuale, anche se tali dimensioni re-
stano latenti nell’oggetto e solo lo rischiarano dall’in-
terno.298
Presenza evidenziata significa dunque, come si è vi-
sto, che «il tutto dell’opera è implicito nella datità sen-
297 Oberti 1964, 410. «Il valore dell’opera è tutto, se pure in forma implicita, intrinseco alla concretezza dell’opera stessa» Oberti 1964, 424. 298 Oberti 1968, 3.
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sibile nella quale in concreto essa consiste».299
Chi voglia sviluppare un’estetica dovrà pertanto
attenersi scrupolosamente ai dati, senza trascenderli
(quand’anche lo facesse solo per dar fondamento a
tutto il discorso): lo strato sensibile dell’oggetto
estetico «in funzione della sua dimensione in opera, e
cioè del gioco di prospettive, di rapporti, di implicanze
per cui nell’opera si concreta» produce una sorta di
illuminazione interna che costituisce un piano auto-
nomo di significati sensitivi che l’Oberti denomina
presenza sensibile evidenziata:300
Evidenziare la presenza […] significa far parlare,
rendere espressiva la presenza stessa e quindi, senza
alterarne le linee di contorno e di sostegno, immer-
gere la presenza in una atmosfera che dall’interno la
illumina trasformandola. […] ecco perché, in arte, si
deve attribuire tanta importanza al fatto sensibile:
proprio perché in esso si concreta l’istanza conosci-
tiva che abbiamo detto essere il fattore principale nel
compito di definire la peculiarità dell’arte stessa.
Non si deve perciò intendere che l’elemento sensibile
vada definito come il mezzo in cui si concreta l’idea.
Anzi esso con l’idea, l’idea artistica, beninteso, fa una
cosa sola.301
L’apertura metafisica dell’opera d’arte è dunque isti-
tuita dalla possibilità conoscitiva aperta dall’eviden-
ziazione della presenza sensibile dell’oggetto; ed è
un’apertura alla metafisica stessa e non ad un’inter-
media metafisica dell’arte.
299 Oberti 1968, 46. 300 Oberti 1964, 423. 301 Oberti 1962, 80-82.
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Si può a questo punto esplicitare ancora piú
chiaramente il ruolo che secondo l’Oberti bisogna
riservare negli studi d’estetica alla fenomenologia, la
quale offre un metodo di indagine che preserva da
prese di posizioni dogmatiche o aprioriche e consente
invece di evidenziare adeguatamente l’indicazione
intelligibile rilevabile sullo strato materico dell’opera
d’arte:
Non solo la fenomenologia ci ha fornito i lineamenti
generali eppure precisi nella loro sommarietà, del-
l’oggetto estetico, ma anche ne ha messo in luce uno
abbastanza particolarmente significativo dal quale
parimenti non possiamo prescindere: la significanza
dell’essere sensibile dell’opera. Vale a dire che ab-
biamo stabilito che l’opera è nella sua datità sensi-
bile, ma anche che l’elemento sensibile è in se stesso
significante.302
Solo l’atteggiamento fenomenologico consente dunque
di attestare la specifica conoscitività dell’opera d’arte,
il suo tendere all’universale a partire dalla concre-
tezza del particolare, o meglio da quella evidenzia-
zione della presenza303 per effetto della quale
assistiamo a una diversa disposizione e a una
diversa risplendenza delle stesse strutture denun-
cianti l’elemento della presenza dell’opera, e fissate
nella sensibilizzazione, e quindi a un riproporsi
302 Oberti 1962, 320. 303 Presenza è l’«oggetto nella sua concreta datità che non esclude dimensioni di universalità concettuale, anche se tali dimensioni restano la-tenti nell’oggetto e solo lo rischiarano dall’interno». Presenza per una coscienza – prosegue l’Oberti – è già presenza «con significato»; infatti «la sintesi non è privilegio dell’universale, e nemmeno della percezione: presenza sensibile è già presenza in unità» Oberti 1968, 1 e 11.
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dell’opera stessa dall’interno di sé con un in piú
capace di non intaccarne le strutture ma di conferire
ad esse nuove dimensioni di significato. […] Il dato
evidenziato non è il dato nella sua immediatezza, che
può essere talvolta vera e propria opacità, ma il dato
che pur senza uscire da sé si trasforma dall’interno e
si trasforma per cosí dire su se stesso senza tradirsi
o trasformarsi in altro, anzi rivelandosi nella stessa
sua piú autentica struttura di dato, di dato nel-
l’opera, s’intende.304
I segni estetici – prosegue l’Oberti –, a differenza
dei concetti, «ex-pongono» una totalità nell’immagine
sensibile e veicolano pertanto una conoscitività addi-
rittura superiore a quella essenzialistica, in quanto
raggiunge quella
totalità che l’universale, almeno per come esso si
realizza nell’umanità attraverso i concetti, non può
esaurire, dovendo poggiare sull’astrazione scindente
o separante che essa sia.305
304 Oberti 1962, 313-4. 305 Oberti 1962, 328. Può essere utile ricordare i nodi problematici che l’Oberti sta cercando di sciogliere in queste pagine. Una prima difficoltà si incontra nell’assicurare l’esigenza di ulteriorità emersa dalla ricognizione fenomenologica: «Pur senza togliere la legittimità dell’esigenza verso l’uni-versalità del concetto, sola possibilità per raggiungere le essenze, l’opera d’arte si può salvare dalla necessità di rinunciare al suo peculiare modo di porsi per tradursi e annullarsi nell’altro della conoscenza logico-concettuale» Oberti 1962, 326. V’è una conoscenza estetica che non astrae gli universali dai particolari, bensí coglie nella presenza sensibile un’immagine dell’universalità del concetto. Quello che, secondo una prospettiva intellettualistica, potrebbe sembrare un limite della conoscenza estetica si profila invece come un suo autentico valore: l’arte consiste nell’«ex-posizione» del «precario» (che è mera indicazione di ulteriorità) in quanto precario. E cosí, se l’arida conoscenza astrattiva, in realtà, non può esaurire la totalità, la conoscenza estetica può persino esser considerata
– segue –
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L’autonomia dell’estetico è cosí affermata in
modo radicale, anche se questo non porta l’Oberti a
preferire una metafisica estetica alla metafisica in
quanto tale (ed anzi una metafisica estetizzante quale
quella heideggeriana viene esplicitamente deprecata),
in quanto il rinvio all’assoluto (dovuto alla tendenza
all’universale della conoscitività estetica) presente
nell’opera d’arte non è per nulla costitutivo dell’asso-
luto stesso. Quanto alla trascendenza, l’estetica resta
infatti solo uno dei possibili luoghi in cui se ne intra-
vede la necessità.
Concetto sensibile e ulteriorità: l’universale senza in-
terpretazione
Un ultimo punto resta però da esplicitare, per
meglio chiarire il rapporto di svelamento solo poten-
ziale che l’Oberti stabilisce fra la datità sensibile –
che costituisce come s’è visto il riferimento base della
superiore, in quanto, sia pur nell’immagine sensibile, attinge ad una totalità. Tale soluzione non è però cosí lineare e la ricognizione dell’Oberti segue in tutti i loro rivoli le possibili obiezioni che si potrebbero presentare a questo riguardo; l’universale, infatti, non viene propriamente raggiunto dalla conoscenza estetica, rimanendo, in sostanza, una mera esigenza: «il rilancio, determinato sotto la spinta di un’esigenza conoscitiva, e per vero allo scopo di una piú ampia e sicura esplicitazione dell’universale stesso, cade anziché in una zona conoscitiva nella zona stessa della realtà». Qui, senza luce intellettuale, i significati rimangono del tutto oscuri: «L’universale implicito nella translucida documentazione per immagini sensibili evidenziate nell’opera, urge ad una esplicitazione che tenga soprattutto conto della concretezza e non potendo, a tale scopo, ba-stare il rilancio verso l’universale riflesso, si impone quello verso la realtà dove l’universale è nella concretezza del particolare. Ma la realtà non inter-preta se stessa, non è forma di conoscenza e dunque in questo rilancio se si salva l’esigenza di concretezza non si salva l’esigenza di esplicitazione» Oberti 1962, 333-4. Quest’ultima viene pertanto piú propriamente indentificata in un’esigenza verso l’ulteriorità metafisica.
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sua ricognizione fenomenologica – e l’orizzonte della
conoscenza concettuale entro il quale, del resto, si di-
spiega una piú adeguata comprensione dell’assoluto
(verso cui l’arte si limita ad indicare). Ricapitoliamo a
questo scopo quanto è emerso dal confronto con
Ingarden e dall’esposizione dei lineamenti dell’este-
tica obertiana.
Constatando che secondo il filosofo polacco l’at-
tualizzazione delle qualità estetico-metafisiche tenute
pronte nell’opera d’arte letteraria richiede inevitabil-
mente un’intenzione soggettiva e che una tale dipen-
denza del valore estetico dall’atto coscienziale rende
l’oggetto estetico eteronomo, Elisa Oberti ha voluto
proporre una nozione di oggettività estetica il cui es-
senziale rilancio metafisico non rinvii ad entità estra-
nee alla sua presenza sensibile e non si appoggi esclu-
sivamente sull’intenzionalità coscienziale. Il sensibile
esaurisce infatti la presenzialità dell’opera ed il rinvio
metafisico è attestato, semplicemente, da un’«aper-
tura» tutta immanente a quella datità empirica: una
certa evidenziazione della presenza, una particolare
orchestrazione di materia, operano una «trasformazio-
ne dall’interno» che istituisce «nuovi significati» e che
indica perciò in direzione dell’universale.306 Quest’ulti-
mo però resta in questo caso un «universale concreto»,
cioè profondamente radicato nella realtà individuale,
della quale mantiene tutta la pienezza, senza
impoverirla con l’astrazione: è la mera presenza
dell’oggetto estetico ad esser latrice di conoscenza, ov-
vero di un’esigenza d’ulteriorità metafisica (la quale
306 «L’esigenza verso l’ulteriore è in ragione dell’essere ogni forma di conoscenza calamitata verso quella suprema dimensione che è la conoscenza per universali» Oberti 1962, 328.
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dall’arte può però essere solo evocata, non compresa);
l’arte, dunque, dice di un’esigenza d’assoluto, ne pre-
para il disvelamento allo stato potenziale307: «l’arte è
nella sua totalità un assoluto implicito, che rimanda
alla esplicitazione»308. E questo poiché nell’arte quella
tensione all’universale conoscitivo che essa stessa
istituisce non può trovar appagamento su quel piano,
appunto, conoscitivo. Ma proprio qui sta la sua
essenza, in quanto l’arte rappresenta proprio questa
condizione di precarietà della condizione umana, ov-
vero l’impossibilità di una conoscenza universale
totale:
L’opera di fatto riscatta l’insoddisfazione della sua
impossibilità a tradursi sul piano concettuale logico,
per fare di questa insoddisfazione un tema della sua
espressività, della sua funzione evidenziante. L’in-
soddisfazione, che implicherebbe una sortita da sé
per fluire verso l’altro termine nei cui confronti, in
quanto irraggiunto, l’insoddisfazione ha appunto mo-
tivo di affermarsi, è riscattata nel piano dell’arte in
quanto diventa tema espressivo di una fondamentale
struttura dell’opera: la precarietà.
Se l’arte esprime, ma attraverso il circolo che
istituisce all’interno della sensibilità, la precarietà
stessa della condizione umana, l’estetica, che dell’arte
offre la spiegazione teoretica, non è piú formulabile
per semplice deduzione a partire da un sistema filo-
sofico precostituito, e si attesta invece come esplici-
tazione di un sapere legato esclusivamente alle ra-
307 Oberti 1962, in realtà, non parla di potenzialità del disvelamento; tale categoria è introdotta in Oberti 1964, ove l’autore commenta Ingarden, utilizzando la sua strumentazione teorica. 308 Oberti 1962, 329.
153
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gioni della sensibilità, non piú ridotta però a mero
supporto esteriore. Una sensibilità che piú si addice,
pare di capire, alla modalità secondo cui l’uomo si
rappresenta la totalità. E inoltre, se l’arte possiede
questa sua sfera autonoma di significati, questi non si
appoggiano per nulla all’ulteriorità concettualmente
concepibile, che risulta completamente estranea alla
dimensione dell’opera:
L’opera esiste con una esigenza interna di ulterio-
rità, ma in ogni caso tale ulteriorità non è indispen-
sabile all’esistenza dell’opera.
Ora, il fatto che l’opera esista autonomamente
rispetto all’ulteriorità verso cui indica e potenzial-
mente rivela, non significa però, come si è anticipato,
che anch’essa non rinvii ad un proprio fondamento
ontologico:
L’opera esiste ed ha in sé una sua autonomia ed una
autosufficienza […] Autosufficienza ed autonomia
dell’opera in quanto opera, che si radicano tuttavia
in una piú complessa realtà umana nei cui confronti
soltanto l’interna esigenza all’ulteriorità diventa fon-
damentale.309
L’opera d’arte possiede dunque un proprio statuto on-
tico (potenza, assoluto implicito; sensibile, ma sensi-
bile evidenziato) che è indipendente da ogni costitu-
zione di senso soggettiva e che non va disconosciuto;
eppure, la sua autonomia ontica rinvia comunque ad
un fondamento che trascende la sua sfera di sensibi-
lità «evidenziata». L’opera, in altri termini, accende
un’esigenza d’ulteriorità che non può però trovare
309 Oberti 1962, 338.
154
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appagamento nella totalità sensibile di cui essa stessa
consiste, e la sua indicazione, pertanto, non può
essere che quella di una radicale precarietà tipica
della condizione umana (una precarietà, però, che ri-
chiede un fondamento):
L’opera supera l’isolazionismo estetico, estetizzante
se si vuole, che le permetterebbe di chiudersi e di
bearsi nella sua autosufficienza, per la dimensione
conoscitiva. La dimensione conoscitiva fa essere l’o-
pera d’arte e la dimensione artistica in generale, do-
cumento di umanità. E appunto sul piano dell’uma-
nità in generale diventa efficiente la esigenza all’ul-
teriorità, mediata attraverso l’esigenza verso la pie-
na esplicazione dell’universale.310
L’universale cosí come evocato dall’arte è per-
tanto piú una vocazione che una realtà e dice
piuttosto dell’impossibilità della conoscenza umana di
raggiungere quella condizione a cui la conoscitività
estetica evidentemente tende: l’identità di particolare
e universale, di realtà e mediazione conoscitiva.
L’estetico, infatti, è un significato che si dà solo nei
rapporti interni alla materia che lo veicola, ed accende
perciò una tensione verso un universale che pretende
di esser tale, ma «senza interpretazione», lasciando
cioè che la propria disvelatezza resti muta, mera
potenzialità nella realtà.311 Una realtà però –
310 Oberti 1962, 339. 311 «L’universale implicito nella traslucida documentazione per immagini sensibili evidenziate nell’opera, urge ad una esplicitazione che tenga soprattutto conto della concretezza e non potendo, a tale scopo, bastare il rilancio verso l’universale riflesso, si impone quello verso la realtà dove l’universale è nella concretezza del particolare. Ma la realtà non interpreta sé stessa, non è forma di conoscenza e dunque in questo
– segue –
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potremmo dire con espressione husserliana – che si
presenta in «carne ed ossa».
rilancio se si salva l’esigenza di concretezza non si salva l’esigenza di esplicitazione, o almeno non si salva sul piano conoscitivo. L’universale si esplica nella realtà, senza l’interpretazione di tale esplicazione tuttavia» Oberti 1962, 333-4.
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Arte, estetica e possibilità secondo
Virgilio Melchiorre
Nel contesto delle indagini legate al metodo fe-
nomenologico che abbiamo sin qui seguito è stato piú
volte evidenziato il rilievo che può rivestire per il
pensiero estetico la nozione filosofica di possibilità;
ricerche sistematiche, come si è visto, sono state
svolte al riguardo da Nicolai Hartmann, sulla cui scia
Dino Formaggio si è voluto inserire, proponendone
tuttavia unintegrazione nella direzione della
fenomenologia costitutiva. Anche Ingarden ha parlato
di una rivelazione potenziale delle qualità metafisiche
inerente all’opera d’arte e a queste rifessioni si è
collegata Elisa Oberti per sviluppare la sua teoria
dell'aggancio metafisico a posteriori, capace di
mettere in relazione con lAssoluto.
Il tema del rapporto tra arte e possibilità sembra
dunque essere un punto teoretico di grande interesse
per la fondazione fenomenologica dellestetica. Non
sarà dunque inutile a questo punto soffermarsi su
alcuni saggi di Virgilio Melchiorre in cui, sulla base di
una ricognizione fenomenologica e con esplicito
riferimento al manoscritto A VI 1, la nozione di
possibilità viene ad essere il luogo teoretico a partire
da cui viene messo in luce lintrinseco portato estetico-
assiologico del concetto di arte. La ʺfortuna italianaʺ
dellestetica fenomenologica riceve così ulteriori
conferme e importanti germi di sviluppo.
157
158
Duplicità dell’arte: possibilità e immaginazione
Nel volume Eticità dell’arte e senso dell’essere312
la tematica estetologica del possibile viene esaminata
da Virgilio Melchiorre con diversi riferimenti hus-
serliani che interessano da vicino anche la nostra ri-
cognizione sulla ricezione dell’estetica fenomenolo-
gica. Si tratta di un’indagine di carattere storico e teo-
retico in cui si mette in luce l’apertura veritativa del-
l’estetico, dalla quale viene dedotta una intrinseca eti-
cità dell’arte. Se per i suoi esiti ultimativi (fondanti)
anche la posizione di Melchiorre si stacca da quella
dei fenomenologi piú sopra incontrati, l’apertura a
nuovi significati, a progetti di autenticità, che muove
dalla sporgenza della possibilizzazione estetica, sem-
bra poggiare su un comune referente fenomenologico:
il rinvio alla struttura intenzionale e storica della co-
scienza incarnata.313
Melchiorre comincia con l’interrogarsi sulle
condizioni che fondano il referto fenomenologico del-
l’universalità dell’arte. La riflessione sulle arti, egli
esordisce, è stata sempre minacciata da un’essenziale
duplicità, già presente ad esempio nel divieto pla-
tonico che bandiva il mondo delle arti dall’universo
ideale e veritativo ma che nascondeva anche la sof-
312 Melchiorre 1986b. 313 In Essere e parola Melchiorre afferma che «l’uomo è strutturato in una identità essenziale che non è una mera identità d’essere, ma un’identità aperta nell’essere e per l’essere. […] L’equazione fra identità essenziale ed apertura o richiesta d’essere […] va cercata nell’area della coscienza […] nella coscienza e nel divenire della coscienza: la coscienza appunto come apertura e come richiesta» Melchiorre 1984, 85; aperta è sottolineatura nostra). Identità storica equivale dunque ad essenza, purché non la si intenda aristotelicamente quale essere di ciò che era; Melchiorre 1984, 83.
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ferta consapevolezza di un incantamento;314 sin dai
tempi piú antichi, dunque, il poeta è stato collocato su
una terra di mezzo, in una «vicinanza e insieme
pericolosa distanza dagli dei». Ora, tale ambiguità
dell’arte, tale potenza di corruzione, è certamente da
collegare al fatto che l’arte non sta sul piano dell’es-
sere, bensí su quello del «poter essere»: essa viene
infatti condannata «perché tiene a distanza dalla
verità e la distanza nasce dal fatto che l’arte non vive
sul piano del reale, ma sul piano dell’immaginario.315
Ma, secondo Melchiorre, se il poeta può correttamente
essere collocato lontano dall’essere effettivo, discutibi-
le è invece la conseguente lontananza dalla verità, so-
prattutto se fondata sul rovesciamento nella dimen-
sione del possibile; si può infatti reperire un possibile
la cui «seduzione»316 non significhi tanto degradazione
e corruzione, quanto piuttosto analogia d’essere o
partecipazione ontologica.
Già il pronunciamento aristotelico sull’essenza
dell’arte liberava infatti l’imitazione dalla mistifica-
zione a cui l’aveva collegata Platone e la istituiva
come «manifestazione del possibile» – possibile essen-
ziale –317, proiettando l’arte verso «un piano della
314 Melchiorre 1986a, 48; 1986b, 7-13. 315 Melchiorre 1986a, 49. «È il carattere immaginario dell’arte che viene contestato. Ma si può parlare di una negatività dell’immaginario come tale? È l’immaginario come possibilità che viene rifiutato» Melchiorre 1986b, 14. La riflessione platonica – prosegue Melchiorre – cela dunque l’identificazione di «immagine» e «possibilità», equazione che emergerà piú chiaramente in Aristotele. 316 «La forza della seduzione sta, in fondo, proprio nella dissimulazione che riesce a splendere, che enfatizza un frammento di verità mentre sa ri-muovere l’ampiezza della contraddizione» Melchiorre 1986a, 61. 317 Melchiorre 1986a, 49. «Il verosimile esprime, infatti, una con-formità verso l’essenza: costituisce in definitiva, una determinazione piú o
– segue –
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possibilità che ricomprende l’accadibile, che vi si
fonda, ma ad un tempo lo trascende»; un possibile, in
altri termini, che istituisce una relazione di verità.318
Tuttavia, l’identificazione di mimesis, cioè immagina-
zione, e possibilizzazione non sarebbe stata interro-
gata da Aristotele nel suo nesso costitutivo, non es-
sendo ancora stata esplicitata la vera e propria condi-
zione di possibilità dello spostamento dal reale all’ac-
cadibile. La tensione all’universale dell’immagina-
zione poetica comporta infatti l’apertura anche alle
nuove possibilità di una stessa forma, e ciò conduce
decisamente oltre la definizione aristotelica di essenza
come mero essere di ciò che era.
Al fine di precisare la modalità e il fondamento
di quest’atto cognitivo intenzionato (esteticamente) al
novum dell’essenza,319 nel saggio Il possibile nel-
l’arte320 Melchiorre opera una serie di excursus fe-
nomenologici (in cui compare anche un esplicito rife-
rimento al manoscritto A VI 1 di Edmund Husserl),
meno esemplare […] dell’universalità che essenzialmente lo costituisce» Melchiorre 1986a, 55. «La verisimiglianza può essere considerata come l’immagine, come la simiglianza della necessità, cioè di quanto non è suscettibile di contraddizione, del vero. Ma tale è ultimamente solo l’universale» Melchiorre 1986b, 15. Del resto, anche il «credibile» sottende la relazione con l’universale: «[…] il possibile di cui si parla è quello che è svelato nella luce dell’universale, non nel senso della mera accadibilità. Questo possibile costituisce appunto l’intellegibilità, la credibilità dell’evento poetico» Melchiorre 1986b, 17. 318 Melchiorre 1986b, 15. «Il poeta dunque non è interessato all’univer-sale come tale, ma alla relazione con l’universale» Melchiorre 1986b, 16. 319 Limite della posizione aristotelica è secondo Melchiorre l’aver posto la questione «a partire dai vertici dell’opera poetica e per differenza dalla filosofia e dalla storia», anziché «dalle modalità piú elementari e radicali dell’espressione estetica» Melchiorre 1986b, 14. 320 Melchiorre 1986b, 7-56.
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visto che solo una riconsiderazione fenomenologica del
rapporto arte-possibilità consente infatti secondo
Melchiorre di «enucleare il fenomeno estetico nella sua
elementarità piú generale».321
Sappiamo, egli argomenta, che secondo Husserl
l’immaginazione libera la percezione dall’asservi-
mento al percepito presente (o passato), alla realtà «in
persona (als selbst gegeben)»322, aprendo lo spazio per
l’assente, spazio che, tuttavia, rimane tutto interno
all’attività presentificante della coscienza. L’immagi-
nazione, infatti, non è originariamente offerente, ed il
suo intentum non è di per sé comunicabile se non
viene tradotto in parole, suoni, figure, cioè in og-
gettività materiali, il cui valore risiede solo in ciò a
cui rinviano: «l’espressione estetica è solo un medio
comunicativo – andando a fondo si dovrebbe dire un
analogon – di qualcosa che è in realtà solo immagi-
nata: che è assente, che soltanto può essere».323 Ora, –
si chiede Melchiorre – se solo nella «percepibilità
dell’evento estetico si fa […] presente il senso inten-
zionale di ciò che chiamiamo estetico», che rapporto si
stabilisce fra percezione e immagine o, piú precisa-
mente, fra sintesi percettiva e coscienza di immagine?
E, ancora, che statuto possiede questo «assente»?324
321 Melchiorre 1986b, 20. 322 Cfr. Husserl 1981a, 78. 323 Melchiorre 1986b, 21. 324 «All’assente […] può corrispondere ciò che non è altrove e che nemmeno è stato: una pura possibilità che non corrisponde a qualcosa di adeguatamente percepito o di percepibile, anche se il disegno di questa possibilità può pur sempre costituirsi solo partendo da depositi di esperienze o di percezioni passate» Melchiorre 1986a, 14-15. Questo no-vum, in altri termini, «viene, sí, costituito sulla base di esperienze e di dati
– segue –
161
162
L’immagine non è mero residuo ritentivo di un
percepito oggettivo e neppure può secondo Melchiorre
essere intesa come un nulla d’essere nel senso sar-
triano. Il concreto referente percettivo su cui si basa
la possibilizzazione fantastica svolge infatti una fun-
zione propriamente simbolica325: direziona sí la co-
scienza verso un nuovo orizzonte derealizzato (modifi-
cato) e non direttamente verificabile, ma questo oriz-
zonte intenzionale è comunque latore di autentiche
possibilità umane, cioè di un «possibile con-essere
dell’uomo e del mondo».326 Le fantasie veicolate dal-
l’oggetto artistico,327 in altri termini, non sono delle
libere associazioni cointenzionate parallelamente al-
l’oggetto percepito, ma fanno capo ad intenzioni co-
scienziali che svelano un vero e proprio «novum», un
orizzonte di possibilità essenziali in cui l’uomo potrà
realizzare un diverso rapporto o una diversa adesione
all’essere. L’«analogon» immaginifico – se ne può
dunque concludere – senza abbandonare la propria ra-
dice corporea percettiva (e prospettica), investe
(scopre, rivela) nuove dimensioni dell’essere e, soprat-
tutto, dice di un’analogia fra l’uomo e la natura.
trascorsi o collaterali», ma, nella sua totalità «ancora non è dato all’esistenza» Melchiorre 1986b, 24. 325 Sul tema dell’immaginazione simbolica si veda Melchiorre 1972. 326 Melchiorre 1986b, 25. 327 Melchiorre 1986a, 50. Melchiorre distingue, comunque, l’estetico dall’artistico: «L’espressione estetica può indicare il futuro della percezione che ripeterà il già stato o che esplorerà il molteplice del presente o, ancora, che costituirà nuove varianti nell’ordine dell’esistente. L’espressione propriamente artistica si rivolge invece a quel possibile novum che la sorgente dell’essenza può ancora dischiudere» Melchiorre 1986b, 25.
162
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Piacere e perfezione ontologica
Lo stretto rapporto vigente fra arte e possibilità
introduce, come si è visto, ad una nuova modalità di
manifestazione delle essenze, aperta anche ad una
novità esistenziale, peraltro garantita nell’intimo co-
erire dell’essere e quindi da un’originaria comparte-
cipazione fra uomo e natura. Quest’ultima costituisce
secondo Melchiorre la condizione ultima dell’immagi-
nazione estetica, il fondamento della capacità
espressiva dell’analogon percettivo.
Il tema viene introdotto attraverso un altro
solido referente storico, la celebre definizione tomisti-
ca del bello:
[�…] Pulchra dicuntur quae visa placent. Unde pul-
chrum in debita proportione consistit: quia sensus
ratio qaedam est, et omnis virtus cognoscitiva. Et
quia cognitio fit per assimilationem, similitudo au-
tem respicit formam […].328
Due sono le glosse qui proposte da Melchiorre. In
primo luogo egli nota come, rispetto alla coeva rifles-
sione estetologica, Tommaso abbia spostato il discorso
su un piano antropologico: il proprium della contem-
plazione estetica viene identificato nella dimensione
del piacere, non piú inteso, semplicemente, «come se-
gno di riconoscibilità per un dato o per un valore squi-
sitamente oggettivo», bensí elevato a «movimento in-
tenzionale», ad una precisa «direzione conoscitiva»329.
Anche i sensi hanno infatti una «ratio», ed il piacere
328 Thomas Aquinas 1980, 191. Non meno efficace è la seguente variante: «Pulchrum in debita proportione consistit: quia sensus delectatur in rebus debite proportionatis» ivi. 329 Melchiorre 1986b, 26.
163
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può a buon diritto divenire fondamento della relazione
estetica:
[…] Lo sguardo che si volge alla bellezza coglie un or-
dine che è nelle cose, ma quest’ordine gli appare solo
quando comporta un piacere della visione, quando
cioè coinvolge una partecipazione del soggetto [�…].
In secondo luogo – e si passa cosí al piano fonda-
tivo – il rapporto rimanda ad una comunanza, ad una
«convenienza» tra uomo e natura «ove non v’è piú
senso nel separare il destino delle cose da quello del-
l’uomo»:
L’uomo si riconosce, cosí, in sibi similibus e avverte
che l’ordine e lo splendore della cosa dicono ad un
tempo di un suo possibile ordine, della sua
possibilità di esistere in una corrispondenza ontolo-
gica.330
Grazie a questo riferimento tomistico, Melchiorre
ha cosí guadagnato quel riferimento fondante che giu-
dicava necessario per render conto della mimesi ar-
tistica. Ma anche secondo Husserl, possiamo notare a
margine, il piacere funge da scintilla che fa scattare
330 Melchiorre 1986a, 51. «L’essere proporzionato della cosa è, ad un tempo, rivelativo dell’umana proporzione» Melchiorre 1986b, 27. Melchiorre sottolinea l’interna consequenzialità dell’«unde» nell’asserto tomistico citato; il simile conosce il simile, e l’estetica proportio non è solo ex parte objecti: «La definizione della bellezza come proporzione discende dal piacere della visione. Dunque non si tratta di una proportio che sta solo nella cosa, ma di una reciprocità proporzionale fra uomo e cosa: nel piacere l’uomo esperisce la propria convenienza, il proprio coerire col mondo […]». Tale reciprocità è, in sostanza, una «Condizione analogica, un’identità che pur riposa nella differenza tra l’uomo e l’altro dall’uomo», identità nella relazione che secondo Melchiorre costituisce la «condizione ontologica del conoscere» Melchiorre 1986b, 26.
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l’intenzionamento estetico, che pone tra parentesi il
mondo correlato dell’atteggiamento naturale, aprendo
l’orizzonte eidetico delle possibilità; parimenti in Tom-
maso – secondo l’interpretazione di Melchiorre che
stiamo seguendo – il piacere estetico rinvia ad un’im-
prescindibile relazionalità soggettiva, qualificandosi
come un vissuto che apre alla consapevolezza della
propria consonanza con l’universo.
Estetica e metafisica: la possibilità come simbolo dell’i-
dentico
Il possibile estetico si manifesta dunque come un
possibile specificamente «umano»: nell’opera d’arte
l’uomo esperisce la propria convenienza al mondo, al
di là di ogni aporetico dualismo.331 È in questo con-
testo che si colloca il rimando di Melchiorre al ms A
VI 1 di Husserl, che viene utilizzato per documentare
ulteriormente quel nesso fra percezione ed immagine
tale per cui la percezione neutralizzata comunica
l’immaginato non in forza di un rapporto estrinseco,
bensí in forza di una «parentela ontologica».332
Melchiorre fa leva soprattutto sul secondo blocco
di fogli del manoscritto333 in cui Husserl prende in
331 «Nei termini che ci sono propri, potremmo dunque dire, che l’imma-gine estetica della cosa, disvela la possibilità della cosa come, ad un tempo, possibilità dell’uomo» Melchiorre 1986b 30. 332 Melchiorre 1986b, 24. 333 Husserl ms A VI 1, in Zecchi 1972a, 92-5, Per quanto riguarda la prima sezione del manoscritto, Melchiorre sottolinea come la possibilizza-zione relativa all’espressione estetica (fondata sulla neutralizzazione della percezione) non possa essere ridotta a mera non contraddittorietà: essa dice nel senso piú profondo una «relazione di verità», di una visione d’essenza. La vicinanza aristotelica della filosofia alla poesia equivale dunque all’intima affinità «tra la visione estetica e quella filosofica», visioni acco-
– segue –
165
166
considerazione la dottrina dell’Einfühlung estetica,
ricondotta fondamentalmente ad un «sentirsi uno», ad
un convenire e partecipare con l’oggetto; ora, ar-
gomenta Melchiorre, parlare in questi termini
dell’«immedesimazione estetica» significa fare un
passo nella ricognizione sull’analogia al di là al-
l’empasse aristotelica, fondando, come in Tommaso, la
comunicazione estetica sulla consustanzialità del-
l’uomo con l’essere del mondo.334 Si ripresenta qui,
cioè, quella relazione estetica riscontrata nell’Aqui-
nate, secondo cui la proportio dell’oggetto suscita un
piacere che rinvia a sua volta ad un’analogia d’essere
col fondamento, inteso come totalità di relazioni.335
Il risultato che si può dedurre dagli excursus di
Melchiorre (che chiamano successivamente in causa
anche Kant, Kierkegaard, Croce) è dunque che l’e-
spressione estetica risulta capace di evocare quell’in-
tenzionalità analogica dell’essere che segna, piú in
generale, ogni atto coscienziale umano:
il carattere processuale della coscienza non potrebbe
spiegarsi senza il presupposto di un originario riferi-
mento alla pura positività dell’essere. La coscienza è
sempre coscienza in prospettiva, ma riflessivamente
anche sempre coscienza di prospettiva: coscienza
d’essere nel limite e quindi della negatività. Ma la
munate dalla ricerca – sono parole di Husserl – dell’«essenza immanente»: il fare dell’artista istituisce una possibilità dell’essenza, altra o forse alternativa a quella attualmente data. Dunque: «Il possibile di cui l’arte si fa espressione costituisce […] un nesso fra l’esistente e l’essenza, fra determinatezza storica ed universalità di condizioni, di valori, di riferimen-ti» Melchiorre 1986b, 16. 334 Melchiorre 1986b, 24; 335 «Ogni singola proporzione […] costituisce in definitiva una metafora di un totum di relazioni» Melchiorre 1986a, 58.
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coscienza della negatività è in sé stessa relazione
[…] Il processo conoscitivo è, dunque, alimentato da
questa originaria intuizione dell’essere, non
necessariamente tematica, ma necessariamente sem-
pre fungente e sempre sottesa al processo che via via
la va determinando.336
Un’intenzionalità, dunque, che può esser evidenziata
solo via negationis e che comunque può esser para-
digmaticamente sorpresa in quella modificazione di
neutralità della percezione che, secondo Husserl, at-
tuano tanto l’artista quanto il fenomenologo.
Il piacere estetico si qualifica pertanto come un
vero e proprio «rapporto intenzionale», come un atto
conoscitivo nel quale, lungi dal proiettare nell’oggetto
determinate qualità soggettive, si esperisce una con-
sustanzialità dell’uomo col mondo; e ciò fa dell’espe-
rienza estetica un’apertura progettuale verso una po-
sitiva realizzazione di sé e dei propri simili. Si profila
cosí secondo Melchiorre una duplice storicità dell’o-
pera d’arte:
Per un verso essa nasce nel cuore del proprio tempo,
per altro verso, e in forza della sua tensione univer-
sale, essa sviluppa una «storia ideale eterna»: la sua
è una risposta ai bisogni e alle contraddizioni del
presente, ma questa risposta individua possibilità
che non si esauriscono nella prossimità del presente
e che dal presente potranno essere adeguate solo in
parte. Rispetto alla propria età l’artista costituisce
cosí una coscienza profetica e i suoi possibili si iscri-
vono nell’ordine del paradigmatico delle figure utopi-
che o in quello uguale e contrario dei giudizi ultimi.
336 Melchiorre 1986b, 37.
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Ma proprio questa sporgenza fa dell’artista un’au-
tentica coscienza critica: egli sta nel cuore dell’attua-
lità con lo sguardo rivolto agli ultimi sensi e perciò
può anche levarsi sulle contraddizioni dell’esistente,
può disegnarne le impossibili possibilità e dischiu-
derne quindi la redenzione.337
Il possibile che, essendo diretto al futuro e non
all’esistente, è piú ricco dell’attuale338 va dunque la-
sciato sussistere «nella sua verità» cosí come, talvolta,
anche nella sua «impossibilità»;339 altrimenti si rischia
che la riflessione di un’epoca si abitualizzi e si
appiattisca sul presente perdendo tutta la carica
337 Melchiorre 1986b, 49. 338 «L’essenza costituisce l’orizzonte del futuro: la condizione univer-sale cui riferire la molteplicità esistita, esistente e ancora non esistente di una specie […] la non adeguazione fra esistenza ed essenza fa dell’essenza la sporgenza sempre aperta sul non ancora esistente di un ente: l’essenza […] come l’essere di ciò che era, ma anche e soprattutto come l’essere di ciò che ancora non è» Melchiorre 1986b, 24. 339 «I personaggi di Sofocle o quelli di Shakespeare vengono raggiunti nella loro piú segreta impossibilità, ma ad un tempo vengono pur ricompresi in un ordine di giustizia, che è ancora ordine di speranza. Che dire, invece, della tragedia contemporanea e ancor piú dell’esperienza raggiunta dalla musica atonale o dalla pittura astratta? Per questa via siamo portati, piú d’una volta, alla scomposizione delle stesse strutture trascendentali dell’e-sistenza: lo spazio e il tempo sono infine strappati ad ogni unità e ridotti a frammenti di un indecifrabile caos; le forme cedono alla giustapposizione o all’unilateralità di geometrie contorte ed irrelate […]; l’unità e la proten-sione della memoria viene infine precipitata nella fissità anarchica degli i-stanti divisi o nel divergere diabolico dei ritmi. Si direbbe che, sullo sfondo di uno stesso riferimento radicale, l’unità sempre cercata dall’intelligenza simbolica (sun - bavllein) giunge ormai a disfarsi della sua controfigura diabolica (dia -bavllein). E tuttavia non per questo parleremo di arte diabolica, giacché proprio con questo rovesciamento siamo giunti alla con-sapevolezza storica della impossibile impossibilità cercata dall’uomo con-temporaneo» Melchiorre 1986a, 62. È la tragedia, ad esempio, dei sei per-sonaggi pirandelliani che, rifiutati come possibilità, si rifugiano nell’im-possibile possibilità di essere scacciati dalla commedia e pur rappresentati.
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progettuale che aveva animato quella fissazione delle
forme che la caratterizza. Dal punto di vista artistico-
estetico bisogna dunque vigilare affinché l’esistenza
non si sovrapponga alla «vita del possibile», sebbene,
passando ad una prospettiva etica (immanente, se-
condo Melchiorre, a quella artistica)340, «il possibile
non va sostituito all’esistenza» (per non ricadere nelle
contraddizioni del kierkegaardiano estetismo)341. Si
tratta pertanto di porre il possibile come tale, senza
perdersi in esso, cogliendolo, cioè, come simbolo dell’i-
dentico, come luogo in cui traspare l’analogia dell’es-
sere:
340 La «ricchezza del possibile», afferma Melchiorre, «vale solo se è in grado di sollevare a se stessa la scelta etica»; e quindi «parlare di eticità dell’arte è dire non dall’esterno, ma dall’intimo stesso dell’arte. Se infatti l’arte dispone il mondo del possibile, dobbiamo anche dire che essa dispo-ne gli spazi della libertà: il suo stesso costituirsi è dunque una funzione del movimento etico dell’uomo e, in tal senso, l’asserto di una assoluta autonomia dell’arte risulta contraddittorio» (Melchiorre 1986b, 45-50).. L’estetico – precisa quindi Melchiorre – «costituisce l’apertura e l’esercizio del possibile», mentre l’artistico la sua «manifestazione assoluta», il momento in cui si giudica della sua «verità» o «menzogna»; l’artistico implica infatti il riferimento alla totalità delle relazioni, alla condizione di possibilità dell’apertura svelata nell’estetico Melchiorre 1986a, 54. 341 Secondo Kierkegaard, ricorda Melchiorre, la poesia è «sempre un di piú» rispetto alla realtà in quanto «apre al possibile e in questo chiama a ciò che non si è». Ma ciò non toglie che «dal punto di vista etico, «la realtà è piú alta delle possibilità», perché la decisione etica implica l’interesse per l’esistenza e «fa essere quel che non si era, quel che appunto era soltanto una possibilità». Ma, all’opposto, la ricchezza del possibile diviene un mero «abbaglio» solo al cospetto di una debolezza della decisione: «Occorre dunque una distanza o un distacco cui la visione estetica deve sottomettersi […] Solo nel distacco della visione creatrice il possibile può vivere in se stesso e giungere al compimento della sua figura, alla definitiva manifestazione della sua positività o della sua negatività» Melchiorre 1986a, 65-6.
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L’immaginazione resta comunque legata ad un che di
determinato e, se si sporge verso la relazione, lo fa
pur sempre a partire dal determinato: può farlo con-
notando il suo oggetto immediato nel tessuto delle
relazioni che diversamente lo costituiscono, può farlo
ancora portando piú a fondo l’universo della connota-
zione, lasciando cioè trasparire la totalità costi-
tuente, l’ “omnia in omnibus” appunto.
Ma anche l’«omnia» resta in ultima analisi indeter-
minato, in quanto non può che apparire sempre e solo
il suo simbolo: la totalità resta, in definitiva, «un si-
gnificato che può emergere solo simbolicamente, al-
l’interno di un significato primario, piú o meno de-
terminato; e che, nella sua prevalente indetermina-
zione, può darsi con maggiore o minore evidenza ma
mai assolutamente».342
Ed è proprio in questa intenzionalità simbolica
dell’essere, che la fenomenologia tanto contribuisce ad
evidenziare, che si ritaglia secondo Melchiorre l’o-
rizzonte dell’estetica.
342 Melchiorre 1986b, 39.
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Bibliografia
Questa bibliografia scioglie le sigle utilizzate nel testo per i rinvii biblio-grafici ed elenca anche altri materiali utilizzati sulla presenza in Italia dell’estetica fenomenologica. Le voci sono ordinate alfabeticamente e, in subordine, cronologicamente; quando nello stesso anno vi sono piú scritti di uno stesso autore, la data è seguita da lettere minuscole progressive. I volumi miscellanei compaiono come AAVV ed il curatore, se indicato, compare fra parentesi tonde dopo il titolo. La dizione «contiene» posta alla fine di alcune voci non ha lo scopo di informare su tutto il contenuto del volume ma indica le singole voci biblio-grafiche in esso contenute presenti in questa bibliografia. La dizione «traduce» indica la sigla dell’originale su cui è stata svolta una traduzione. T sta per traduttore, R per recensione di. AAVV
1927: Proceedings of the sixth International Congress of Philosophy, Harvard 13-17 sept. 1926, New York, 1927. Contiene: Geiger 1927a; 1927b.
1929: Festschrift Edmund Husserl zum 70. Geburstag gewidmet, Halle, 1929. Contiene: Becker 1929, Ingarden 1929.
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1921: Elemente einer phänomenologischen Aufklärung der Erkenntnis, Halle, Max Niemeyer, 1921.
1922: Logische Untersuchungen, I: Prolegomena zur reinen Logik, II: Untersuchungen zur Phänomenologie und Teorie der Erkenntnis, Halle, Max Niemeyer, 19223.
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1929: Formale und transzendentale Logik, in: «Jahrbuch für Philosophie und phänomenologische Forschung», IX, 1929, 1-298. Edito separatamente: Halle, Max Niemeyer, 1929.
1930: Nachwort zu meinen Ideen zu einer reinen Phänomenologie und phänomenologische Philosophie, in: «Jahrbuch für Philosophie und phänomenologische Forschung», XI, 1930, 549-570.
1936: Die Krisis der europäischen Wissenschaften und die transzendentale Phänomenologie, in «Philosophia», I, 1936, 77-176.
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1954: Die Krisis der europäischen Wissenschaften und die transzendentale Phänomenologie, (Walter Biemel), Den Haag, M. Nijhoff, 1954. Husserliana Bd. VI. Contiene: Biemel W. 1954.
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EDUCatt - Ente per il Diritto allo Studio Universitario dell’Università CattolicaLargo Gemelli 1, 20123 Milano | tel. 02.7234.22.35 | fax 02.80.53.215e-mail: [email protected] (produzione); [email protected] (distribuzione)web: www.educatt.it/libri
EUGENIO DE CARO
NOTE SULLAFENOMENOLOGIADELL’ESTETICO
R E P R I N TR E P R I N T