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In copertina: Noemi Bengala, Arenella, Siracusa Foto di Ugo Capozzi Editing grafico di Noemi Bengala

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SAFARI di

Noemi Bengala

A tutte le donne che intraprendono un’azione coraggiosa

nella direzione della loro felicità e, ad un unico uomo, mio marito,

senza il quale non avrei mai potuto fare questa esperienza

“Credo che noi rischiamo di perdere la nostra spontaneità, quando tendiamo

a problematicizzare troppo la vita, quindi impedendo alla vita uno sgorgo naturale.

Io credo che, finché cerchiamo la risoluzione del problema,

di ogni problema, non viviamo il problema ma cerchiamo una scusa per risolvere il problema.

Il mio lavoro è una specie di specchio, uno specchio che io metto davanti a me,

e davanti al quale è possibile un certo dialogo, ma è una specie di ricerca.

È una ricerca alla quale io non voglio trovare soluzioni perché una volta che ho trovato la soluzione,

poi cosa faccio? Spero che sia una ricerca che continui sempre, insomma,

perché infondo il senso della vita è proprio questo, questo cercare”

Federico Fellini1

                                                                                                               1  Tratto  da  “L’ultima  sequenza”,  documentario  di  Mario  Sesti  sul  finale  alternativo  di  “Otto  e  Mezzo”,  2003  2  Swahili:  lingua  dell’africa  orientale  3  Omamori  gohonzon:  il  Gohonzon  è  l’oggetto  di  culto  del  Buddismo  di  Nichiren  Daishonin.  L’omamori  Gohonzon  è  un  Gohonzon  in  miniatura  che  i  praticanti  buddisti  

…BUON VIAGGIO!

Tutto iniziò…. Ricordo bene quel giorno di metà Settembre. Ero appena tornata a casa, dopo aver accompagnato mia figlia a scuola. Era tipicamente un giorno di Settembre, con un leggero venticello che fa presagire l’arrivo dell’autunno. Sono andata diretta in camera di Sophie alla ricerca di qualcosa che, nel trasloco dalla camera allo studio, avevo messo da parte, non ricordavo bene dove. Eccola, era lì, nell’angolo, dietro la chitarra, anch’essa impolverata dagli anni di non utilizzo: la mia mappa della terra. Mi fiondo in salotto e la srotolo sul parquet, appoggiando su tre dei quattro lati i telecomandi di Tv, radio e decoder perché altrimenti non sarebbe rimasta piatta. Di getto con i miei pennini colorati segno i posti dove vorrei andare, senza pensieri, senza “non posso permettermelo”, senza “ho una bambina ormai, dove vado?”, senza “che dirà Ale?”. In una decina di secondi ho già il mio programma di viaggio. Parto dall’Africa, voglio tornare in Kenya ma, questa volta, entrare nel paese, partire da un Safari perché in swahili2 “Safari” significa viaggio e da qui parte il “mio” viaggio. Poi il Giappone, la terra del mio maestro, dei ciliegi in fiore, alla volta dell’Australia, le Hawaii, l’America on the road,

                                                                                                               2  Swahili:  lingua  dell’africa  orientale  

Cuba, l’Argentina e la Terra del fuoco, e infine in quella che sento la mia seconda casa, New York. Sono stanca di aspettare. Ho trentasette anni e aspetto ancora qualcosa che renda la mia vita più soddisfacente. Spesso penso che questo qualcosa non esista. Ne sono sempre stata alla ricerca, mai soddisfatta, guidata dalla paura delle morti improvvise. Adesso vorrei trasformare la paura in azione e fare subito delle cose per cui non aver mai rimpianti. Viaggiare. Non mi viene in mente altro. Sete di conoscere, voglia di vedere, sgranare gli occhi davanti al mondo che si rivela così come è. Voglio osservare e gustare tutto, saziarmi della vita stessa. Quando ero piccola sapevo dove sarei andata, cosa avrei fatto, certezze che oggi non ho più. Non so cosa sarà di me tra tre mesi, un anno. Se vivrò fino a centodieci anni o morirò domani o tra dieci o vent’anni. Non so se diventerò ancora madre e se sarò nonna. Ed è con questo non sapere che voglio partire. In fondo cosa mi serve? Un biglietto aereo. Passaporto. Visto. Adesso posso andare. Buon viaggio!

Ho deciso: si parte! Ho deciso. La decisione nella vita è tutto. È desiderio, è intenzione, è azione. Una volta deciso, tutto va nella direzione di quella decisione. Ogni centimetro del corpo, ogni cellula, ogni battito cardiaco. Sono pronta ad affrontare tutte le conseguenze. O forse non sono proprio pronta. Le eviterei molto volentieri ma so che ci saranno e che, in ogni caso, non mi impediranno di andare. Sto cercando i voli, controllando che i documenti siano a posto in vista del primo viaggio. Direzione Africa. Eviterò la profilassi antimalarica, come già nei precedenti due viaggi nel continente nero. Questa volta ho una protezione in più, quella contro la febbre gialla, obbligatoria nel viaggio per l’adozione. Porterò con me tutti i miei granuli omeopatici, fiori di bach e unguenti naturali con la fiducia che mi serviranno a poco. Cosa c’è di peggio della malaria? Affrontare i giudizi di chi ti sta intorno, persone vicine ma anche lontane che si arrògano il diritto di dare fiato alla bocca quando potrebbero tenere per sé i loro pensieri “profondi”. Adesso sono tutti preoccupati per me, dicono che è una cosa folle e che dovrei ripensarci. Ma dov’erano tutte queste persone negli anni passati? Dov’erano quando davvero avevo bisogno di un sostegno

o di un semplice confronto? Dov’erano quando mi sentivo triste e sola, senza via d’uscita? Quando mi sentivo come un’aquila dentro una gabbia stretta, un’aquila che si dimena e sbatte le sue ali tra le sbarre, ferendosi, perché non le può aprire come potrebbe, non può spiccare il volo, non respira più? Ahi, che male! La gabbia è troppo piccola e non c’è via d’uscita, non c’è porta, solo un muro, nessuna libertà. Oggi che sto facendo una cosa che mi rende felice, che mi entusiasma come la prima volta che mi sono comprata da sola la scatola grande dei Caran D’Ache, sono tutti lì, pronti a darmi dei “saggi” consigli. Beh, non li voglio più i vostri saggi consigli! Forse non li volevo neanche prima, ma avevo un tale bisogno di affetto e di attenzione che me ne sarebbe bastata un quarto di quella che mi date adesso. Quando una donna prende una decisione di libertà, dovrebbero tutti alzarsi in piedi e inchinarsi al suo cospetto. Ci riempiono di balle quando ci dicono che ci siamo liberate dal maschilismo, tutte cazzate! Siamo ancora noi donne a dover badare alla casa e ai figli, e se vogliamo lavorare, allora ci dobbiamo organizzare noi perché l’uomo ha la priorità sempre. È lui che sostiene la famiglia economicamente e tutto deve adeguarsi a questo. Ma sti grandissimi cazzi! Io parto. Sono egoista? L’ho già sentito dire, da quando ero bambina. “La pecora nera”, “quella strana”, “tutta al contrario”, “guarda come si veste”, “ma cosa dice”, “ma dove va”, “l’artista” (con tono ironico)…adesso cosa mi diranno: “ha abbandonato la famiglia”? “quel pover’uomo

tutto da solo”? E basta con questa storia che gli uomini sono “poverini” quando la moglie fa qualcosa per sé. Ma quando lo è la donna? Senza contare che spesso e volentieri sono le donne a dire “poverino”! Ci credo che rimaniamo cristallizzate in un sistema maschilista. Siamo noi donne a volerlo per prime. Pausa. Riprendo fiato. Ed io? Io, però, che ne penso? Che ne penso davvero, nel mio cuore, quando sono da sola con me stessa? Non posso dire che parto senza difficoltà. Odio dover lasciare mia figlia e mio marito per non so quanto tempo, mi dispiace dare a mio marito questa responsabilità, mi sento in colpa, del resto anch’io sono figlia di questo “sistema maschio”. Non parto serena ma negli ultimi anni per via di tutti questi limiti, ho sofferto tremendamente, non avevo più un posto mio nel mondo, ero lì a fare la moglie, la madre, ad incastrare gli impegni familiari con i pochi lavorativi, e non vivevo più. Io devo a me stessa questa cosa, voglio vivere ancora, voglio sentire che la vita mi scorre dentro e non che scorre via senza di me. Io parto.

Preparazione Le discussioni sono all’ordine del giorno. Di nuovo riecheggia la parola “EGOISTA”. Mi sento davvero un’egoista? Forse sì, ma non sono nata per fare solo la casalinga e la madre. C’è un mondo intero là fuori da conoscere ed io non voglio rimanere chiusa nelle quattro mura di questa casa nemmeno un giorno di più. Ieri ho chiesto a Sophie cosa ne pensasse della mia partenza e la sua risposta è stata: «Non puoi farlo. Chi mi accompagna e mi viene a prendere a scuola? Chi mi prepara i vestiti? Chi mi fa da mangiare?». Ma è davvero questo essere una madre? Solo questo? Fare delle cose? Io non ci credo. Per me la mamma è quella che ti insegna a vivere con coraggio, a realizzare i tuoi sogni, a non fermarti davanti alle apparenze e, soprattutto, ad essere una donna libera. Cos’è meglio? Avere il ricordo di una madre frustrata, triste, che si sente imprigionata in quel ruolo o vedere tua madre che lotta per se stessa, che vive, è felice, gioiosa perché realizzata? Io voglio essere questo tipo di madre. So che adesso non capisce e sicuramente soffrirà ma, quando sarà una donna, grazie a questo mio gesto che al contrario dell’opinione pubblica, io considero

coraggioso, sarà una donna forte e grintosa, perché così le ha insegnato ad essere sua madre. Ogni discussione fatta con Ale o con mia madre, mi fa sentire ovviamente in colpa. La mia famiglia si troverà in difficoltà senza di me ma è proprio questo che mi fa soffrire di più, sapere che saranno in difficoltà dal punto di vista “pratico” e che questa è l’unica cosa a cui riescano a pensare. Oh, sì, ti dicono con fare preoccupato: «Come farai? Una donna sola in giro per il mondo». Ma perché? Come mi sono sentita in questa casa per quasi dieci anni, alla ricerca di un lavoro che non arrivava mai, in un paese, il mio che ha fatto di tutto per allontanarmi da sé? Come mi sono sentita ad aspettare un marito che tornava tardi dal lavoro? Come? Tutte le mattine che quella porta si chiudeva alle sue spalle ed io iniziavo a piangere? Tremendamente, maledettamente, sola.

Ho prenotato il volo per Mombasa Zaino pronto. 2 pantaloni lunghi, 2 a pinocchietto, 4 t-shirt manica corta, 4 manica lunga, 3 canotte, 2 felpe, calzini vari, sneakers, scarponcini da trekking, 1 infradito, intimo per 7 giorni, giacca a vento, 2 costumi da bagno (ehm…mi serviranno a LA), saponetta di marsiglia. Farmacia: arsenicum album, ledum palustre, ignatia, rescue remedy, nux vomica, e per rinforzare il tutto, paracetamolo, antibiotico intestinale, disinfettante spray, cerotti, braccialetti e spray antizanzare. Pennarelli e qualche giochino per i bambini che incontrerò. Una torcia tascabile. Questo è l’occorrente per l’Africa, ma il mio viaggio si estenderà anche in luoghi molto freddi, perciò jeans, calzini lunghi, una giacca impermeabile, sciarpa, cappellino e guanti. E siccome non mi smentisco mai: abito cocktail, 2 abitini da giorno, 1 sandalo e 1 decolléte tacco 12. Non ci credevo neanche io ma sono riuscita a mettere tutto dentro lo zaino. Ho mandato un’email a una guida locale. Mi verrà a prendere all’aeroporto. Ho deciso di affidarmi a lui per il mio Safari, non voglio programmare nulla in questo viaggio…per la prima volta nella mia vita. Mi affido. È una sensazione strana. Non so cosà farò, cosa vedrò esattamente, cosa proverò, chi incontrerò,

ma è davvero una sensazione eccitante. Non so se è davvero egoismo e se è una cosa indecente quella che sto per fare, abbandonando tutti e tutto, ma per la prima volta dopo dieci anni la scintilla che sentivo sofferente spingere dentro di me si è accesa in una fiamma alta e scoppiettante. Sono felice e non mi succedeva da tempo, da troppo tempo. Intorno a me musi lunghi e critiche continue. Dentro di me una bambina che saltella e canta per la gioia. Trascuriamo completamente i bambini dentro di noi, presi come siamo dai doveri quotidiani, dagli orari assurdi di lavoro, tutti dentro quelle macchine agli stessi orari, i bambini dentro quelle prigioni che chiamiamo scuole, e gli adulti sempre di fretta, a fare lavori di cui mi chiedo spesso se il mondo abbia davvero bisogno. Qualche volta, mentre sono in coda in macchina, mi diverto ad immaginare degli extraterrestri che da una finestra nell’universo ci osservano e mi chiedo cosa si domanderebbero nel vederci tutti incolonnati solo perché tutti i bambini vanno a scuola alle 8,30, tutti gli adulti entrano in ufficio alle 9, tutte le sere usciamo dagli uffici alle 18,30. Questo non è un mondo sano, non è un mondo che rispetta l’infinita bellezza dell’essere umano. L’uomo è capace di genialità e tutta questa regolarità infinitamente noiosa lo assuefà e non gli permette più di essere creativo, né di entrare veramente a contatto con la sua magnificenza, di essere felice pienamente di quello che è e di quello che può realizzare. Povera umanità!

Gate Ma cosa sto facendo? Sono davvero sana di mente? Ho portato mia figlia a scuola stamattina perché dirsi addio all’aeroporto sarebbe stata una sofferenza che volevo risparmiarle. Ale? L’ho salutato con grande difficoltà. Mi lascia andare ma so che, in cuor suo, non è contento. Io lo amo tantissimo, non è un dubbio rispetto a questo sentimento che mi ha portato a prendere la decisione di partire. Non sono alla ricerca di emozioni sessuali o amorose (che termine antico!). Parto per sentirmi viva, per cancellare dal mio cuore quella sensazione di morte in vita che non mi faceva più sorridere. Ora sono davanti al gate, con il mio omamori gohonzon3 al collo, già fatto il check-in, passato il controllo passaporti e sto aspettando l’imbarco. Intorno a me famiglie e coppie felici che stanno per fare un viaggio di sette o quindici giorni in Kenya e programmano i loro giri con volti vacanzieri. Io invece, per la prima volta, non guardo nulla, nessuna guida. Voglio farmi guidare questa volta, proprio nel viaggio che intraprendo da sola, lascerò che sia la vita, le persone che incontrerò, i luoghi che vedrò, a guidarmi.                                                                                                                3  Omamori  gohonzon:  il  Gohonzon  è  l’oggetto  di  culto  del  Buddismo  di  Nichiren  Daishonin.  L’omamori  Gohonzon  è  un  Gohonzon  in  miniatura  che  i  praticanti  buddisti  utilizzano  in  assenza  del  Gohonzon.  Mamori  in  giapponese  vuol  dire  Protezione.  

Ecco, saliamo sul bus che ci porta sull’aereo. Salendo le scalette, mi guardo indietro, saluto l’Italia e tutto ciò che c’è in questa terra d’importante per me: all’orizzonte i volti di mio marito e mia figlia, dei miei genitori e di mia sorella, delle mie amiche e la mia gatta. Mi sento stringere il cuore. Ripensamenti? No. Mi volto, entro nell’aeromobile, cerco il mio posto, allaccio le cinture. La mia testa già guarda verso la terra rossa.                                              

Qui  finisce  l’estratto  gratuito  di  Safari.  Spero  tanto  ti  sia  piaciuto.    Se  ti  ha  messo  curiosità  e  vuoi  continuare  il  viaggio  insieme  a  Lisa,  scoprire  insieme  a  lei  luoghi  speciali,  incontri  non  casuali,  clicca  sul  link  che  vedi  qui  sotto.  Scorri  la  pagina  fino  in  fondo  e  troverai  il  link  diretto  per  l’acquisto  del  tuo  formato  preferito  (e-­‐book  e  cartaceo)  su  Amazon:    http://unadonnaalcontrario.com/2015/11/20/safari/    

 Un  piccolo  messaggio  da  parte  mia  

   Come  forse  avrai  capito,  SAFARI  non  è  supportato  da  nessuna  casa  editrice.  È  nato  per  uno  strano  caso  del  destino  e  poi  ha  fatto  un  percorso  tutto  suo  che  lo  ha  portato  tra  le  tue  mani.  Per  SAFARI  ho  rivestito  ruoli  che  non  mi  sono  mai  appartenuti:  sono  stata  scrittrice,  editor,  grafica,  e  imbranata  operatrice  di  html  ma  la  motivazione  era  così  forte  che  ho  fatto  tutte  queste  cose  da  sola.    Voglio  davvero  ringraziarti  per  aver  fatto  parte  di  questo  percorso.  Senza  te  che  leggi  le  mie  parole,  tutto  questo  non  avrebbe  avuto  senso.  Se  in  qualche  modo  ti  avrà  colpito,  trasmesso  qualcosa  o  semplicemente  strappato  un  sorriso,  mi  auguro  vorrai  aiutami  a  condividere  la  storia  di  Lisa  e  di  questo  piccolo  libro.  

Vorrei  arrivare  alle  persone  che  hanno  bisogno  di  una  piccola  scossa  per  fare  quel  cambiamento  che  rimandano  da  sempre.  Non  mi  sento  così  onnipotente  da  credere  che  saranno  le  mie  parole  a  farle  decidere  in  tal  senso,  ma  magari  può  essere  un  piccolo  aiuto  in  quella  direzione.  Mi  piace  l’idea  che  felicità  generi  altra  felicità.  GRAZIE,  INFINITAMENTE!