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Milanog•gGiuffrègEditore EUROPA E DIRITTO PRIVATO Fasc.g4g-g2017 ISSNg1720-4542 GiangabrielegAgrifoglio RISARCIMENTO E QUANTIFICAZIONE DEL DANNO DA LESIONE DELLA PRIVACY: DAL DANNO ALLA PERSONA AL DANNO ALLA PERSONALITÀ Estratto

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Milanog•gGiuffrègEditore

EUROPA E DIRITTO PRIVATOFasc.g4g-g2017

ISSNg1720-4542

GiangabrielegAgrifoglio

RISARCIMENTO E QUANTIFICAZIONE

DEL DANNO DA LESIONE DELLA PRIVACY: DAL DANNOALLA PERSONA AL DANNO

ALLA PERSONALITÀ

Estratto

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Giangabriele Agrifoglio

RISARCIMENTO E QUANTIFICAZIONE DEL DANNODA LESIONE DELLA PRIVACY: DAL DANNO

ALLA PERSONA AL DANNO ALLA PERSONALITÀ

SOMMARIO: 1. Considerazioni introduttive. - 2. Il diritto alla privacy comediritto della personalità. - 3. L’evoluzione del diritto alla privacy: tragiurisprudenza ’creativa’ e legislatore ‘remissivo’. - 4. La prova del dannonon patrimoniale da lesione della privacy: tra responsabilità oggettiva einversione dell’onere della prova. - 5. La quantificazione del danno nonpatrimoniale da lesione della privacy: dal caso Vieri a quello del risto-rante coinvolto, insieme al proprietario, in una “vicenda giudiziariapenale”. - 6. Il danno alla privacy quale nuovo danno ai diritti costituzio-nalmente protetti della persona fisica. - 7. La funzione punitiva al vagliodelle Sezioni Unite; l’esempio della lesione della privacy.

1. I codici civili ottocenteschi si sono tradizionalmentedisinteressati dei diritti della persona e dei diritti della perso-nalità (1), essendo stati tutti incentrati sulla tutela della pro-

Saggio sottoposto a referato.(1) Esula dal presente lavoro il problema, non soltanto giuridico, della

distinzione tra persona e personalità. Tradizionalmente si ritiene tuttavia che,mentre il risarcimento del danno alla persona riguardi il soggetto nei suoiattributi psicofisici quello del danno alla personalità riguardi l’immagineinteriore che l’individuo ha si sé (nella sua dimensione morale) e quella che èriuscito ad imporre agli altri consociati. Su tale distinzione, ad esempio, G.Pino, Teorie e dottrine dei diritti della personalità. Uno studio di meta-giuri-sprudenza analitica, Materiali per una storia della cultura giuridica, 2003,237, secondo il quale « occorre distinguere in particolare tra gli aspettiattinenti alla “persona” intesa come persona fisica, e gli aspetti attinenti alla“personalità” nella sua dimensione morale, ideale, spirituale, relazionale,sociale »; Cfr. inoltre, V. Zeno Zencovich, La quantificazione del danno allareputazione e ai dati personali: ricognizione degli orientamenti 2013 del Tribu-nale civile di Roma, Dir. inf. e inform., 2014, 03, 405 s., secondo il quale« risulta chiara la differenza tra i diritti della persona (intesa come la integrità

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prietà, intesa quasi come un’estensione della persona umananella convinzione dell’indissolubilità del binomio (una vera epropria endiadi) libertà-proprietà, nonché degli aspetti, percosì dire, economico-patrimoniali, o tutt’al più, familiari delsoggetto di diritto concepito come soggetto astratto ed immu-tabile; né il codice napoleonico del 1804 (2), né quello tedescodel 1900 (3) né quello italiano del 1865, infatti, pur essendoispirati ai valori liberali che si erano affermati con la Rivolu-zione francese che era stata rivolta a consacrare i diritti del-l’uomo, dedicavano attenzione alla protezione vuoi degli aspettifisici vuoi degli aspetti morali della persona (4).

Quasi paradossalmente mentre le Costituzioni liberali (inprimis, la dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e delcittadino del 1789) avevano costruito i diritti della personalitàdell’individuo come diritti innati ed inviolabili da far valerecontro le eventuali oppressioni dei poteri pubblici, secondo unmodello che vedeva l’idea di persona coincidere con un ben« definito significato garantista che poneva in evidenza unaconcezione individualistica, di natura formale, del rapporto tracittadino e Stato, persona e ordinamento, secondo la quale lasfera individuale è considerata come contrapposta a quella deipubblici poteri » (5), i codici civili, pur avendo concepito la

psicofisica del soggetto, che necessariamente è la persona umana) e i dirittidella personalità, che attengono alla sfera morale e immateriale del soggetto(reputazione, nome, identità, immagine, riservatezza) ».

(2) « Il Code Napoléon ignorava del tutto la categoria dei diritti dellapersonalità, occupandosi solamente, in materia di diritto delle persone, dellecondizioni di acquisto della capacità di esercitare i diritti civili ». Cfr. Pino,Teorie e dottrine dei diritti della personalità cit., 237.

(3) Che si limitava a prevedere la tutela del diritto al nome. Cfr. Pino,Teorie e dottrine dei diritti della personalità cit., 237, il quale però aggiunge che« occorre precisare che la cultura giuridica tedesca, più libera di quellafrancese dai vincoli dell’esegesi del testo del codice, e più portata all’astra-zione sistematica, già sul finire dell’Ottocento iniziava a delineare la costru-zione dei diritti della personalità quantomeno come categoria dogmatica, adopera principalmente di Otto von Gierke ».

(4) Faceva eccezione in Europa il codice civile austriaco che al par. 16proclamava che « ogni uomo ha diritti innati che si conoscono con la solaragione: perciò egli è da considerarsi persona ».

(5) D. Messinetti, Personalità (diritti della), Enc. dir., XXXIII (Milano1983), 358.

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persona come astratta titolare di diritti soggettivi, si limitavanopoi a proteggere soltanto i suoi beni materiali, suscettibili divalutazione economica, ponendo al centro della propria atten-zione, per rifarsi alla dicotomia di Fromm, la categoria del-l’avere e non già quella dell’essere (6).

Non a caso nonostante la previsione dell’art. 1151 del co-dice civile del 1865, che recitava che « qualunque fatto del-l’uomo che arreca danno ad altri, obbliga quello per colpa delquale e` avvenuto a risarcire il danno » e nonostante l’entrata invigore dell’art. 185 del codice penale secondo il quale « ognireato, che abbia cagionato un danno patrimoniale o non patri-moniale, obbliga al risarcimento il colpevole e le persone che, anorma delle leggi civili, debbono rispondere per il fatto di lui »avesse portato parte della dottrina (7) a ritenere che tale normaconsentisse anche il risarcimento di quei danni che non ave-vano alcuna ripercussione sul patrimonio (8), la dottrina mag-gioritaria e la costante giurisprudenza continuarono ad affer-

(6) In tal senso cfr. Pino, Teorie e dottrine dei diritti della personalità cit.,secondo il quale « l’elevazione del modello proprietario a schema fondamen-tale di regolazione dei rapporti interprivati può essere spiegata in base aragioni sia di carattere storico che di tecnica giuridica. Tra le prime, sipossono individuare l’influenza sui modelli di tutela della persona delle teoriegiusnaturaliste per un verso, che adottavano l’istituto della proprietà comepunto di riferimento più idoneo per affermare l’esigenza di garantire l’auto-nomia della volontà dell’individuo contro le interferenze del potere politico intutte le loro possibili espressioni e della c.d. “giurisprudenza degli interessi”(Interessenjurisprudenz) per un altro verso, la quale assumendo che l’interesseè l’elemento sostanziale del diritto, e identificando l’interesse tendenzialmentecon l’interesse economico, ha avuto l’effetto di estendere e generalizzare imodelli di tutela e le concettualizzazioni basate su rapporti patrimoniali. Trale seconde, si possono annoverare la tendenza a ricondurre tutte le categorieprivatistiche a quella dell’“avere”, e l’aderenza degli strumenti di tutela di tipoproprietario a talune finalità generali della garanzia dei rapporti privatistici,quale in primo luogo la reazione giuridica contro le invasioni della sferaindividuale ».

(7) Su tali “riflessi” del codice penale sull’illecito civile, v. E. Degni,Riflessi civilistici del nuovo codice penale, Riv. dir. comm., 1932, 1 s.

(8) B. Brugi, Risarcimento del danno morale, Riv. dir. comm., 1921, II,448 s.; A. Ascoli, Sulla risarcibilità dei danni morali, Riv. dir. civ., 1935, II, 18s.; F. Rovelli, La risarcibilità dei danni non patrimoniali, Riv. dir. priv., 1933,II, 258 s.; L. Coviello, L’art. 185 del codice penale e la risarcibilità dei dannimorali in materia civile, Riv. dir. civ., 1932, 313 s.

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mare che per danno si dovesse intendere soltanto quello patri-moniale dato che « nella tradizione storico-giuridica, per dannosi intese sempre il danno arrecato alle cose, cioè la diminuzionedel loro valore e del valore del patrimonio di cui esse fannoparte » (9).

Tale disinteresse del legislatore per la tutela dei diritti dellapersonalità nei rapporti privatistici era probabilmente dovutoai retaggi del diritto romano da una parte (liberum corpusnullam recipit aestimationem (10)) per il quale soltanto loschiavo, in quanto bene, poteva costituire oggetto di ripara-zione pecuniaria attraverso l’azione di damnum iniuria datum,e del pensiero cristiano dall’altra, al quale era estranea ogniconsiderazione del corpo e della personalità umana come benisuscettibili di valutazione economica.

Per quanto riguarda specificamente l’ordinamento giuri-dico italiano va considerata la circostanza che l’art. 1 delloStatuto Albertino statuiva che la Religione Cattolica, Apostolicae Romana è l’unica religione dello Stato, sicché la circostanzache la religione di Stato non dedicasse esplicitamente alcunaconcessione alla tutela dei diritti inviolabili della persona nonpoteva non ancorare, si potrebbe dire usando il linguaggiodell’oggi, l’operatore giuridico ad una interpretazione “statuta-riamente orientata” del diritto civile: questi quindi anche pertale vincolo statutario non avrebbe potuto ignorare i valori, ecorrelativamente i non valori (economici) che la religione cat-tolica attribuiva alla persona umana.

Né il corpo né tantomeno gli aspetti immateriali, a torto o

(9) G. Pacchioni, Del risarcimento dei danni morali, Riv. dir. comm.,1911, 241 s.; Id., Corso di diritto civile italiano, IV (Padova 1940), 85 s. In sensocontrario alla risarcibilità dei danni morali, si pronunciarono, tra gli altri, A.Gabba, Risarcibilità dei danni morali, Questioni di diritto civile, II (Torino1898), 225 s.; Id., Nuove questioni di diritto civile, I (Torino 1912), 240 s.; G.Chironi, La colpa nel diritto civile odierno (Torino 1903); Id., Colpa extracontrattuale (Torino 1906) II, 320 s.

(10) L. 7 D. 9, 3; ricorda A. De Cupis, I diritti della personalità (Milano1982), 53 che « gli stessi concetti si annebbiarono, invece, nell’ambito deldiritto germanico, nel quale il corpo dell’uomo libero ebbe una propriavalutazione economica, guidrigildo, variante secondo la classe sociale cui egliapparteneva ». Cfr., al riguardo, F. Calasso, Medioevo del diritto (Milano1954), 126, in particolare nota 34.

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a ragione identificati, o considerati appendici dell’anima delsoggetto di diritto, avrebbero dunque potuto formare oggetto diriparazione economica proprio perché essi non potevano essereconsiderati beni (11); dare un prezzo all’uomo sarebbe equi-valso a mercificarlo, ad equipararlo ad un bene, ad uno schiavo.

La possibilità di qualificare bene una qualità individuale,fisica o morale, della persona, pressoché unanimamente negatadalla dottrina prima del codice civile del 1942, continuò peral-tro ad essere negata anche con l’entrata in vigore del codicecivile vigente escludendosi dunque che si potesse parlare dibeni con riferimento ai c.d. attributi della personalità, sicchéCarnelutti ben riassunse il pensiero dominante allorché af-fermò che non si sarebbe mai potuto considerare come bene ciòche è un semplice modo di essere del bene (12).

Così secondo Satta « il termine beni è usato in senso pura-mente traslato per l’onore, l’integrità fisica, la libertà, ecc. » (13)mentre Santoro Passarelli, pur riconoscendo che gli attributiessenziali del soggetto potessero costituire beni in senso lato,escludeva che gli stessi potessero al contempo formare oggettodi diritti soggettivi: « l’ordinamento giuridico stabilisce gli at-tributi essenziali della personalità con norme che sono di di-ritto pubblico (costituzionale, amministrativo o penale) e nonconferiscono alla persona un potere di volontà in ordine allaspettanza degli attributi medesimi: essi costituiscono beni per ilsoggetto, ma non sono oggetto di altrettanti diritti soggettivi, eperciò non sono né trasferibili né rinunziabili » (14).

In sintesi i diritti della personalità non avrebbero potutoformare oggetto di diritto poiché in tal modo si sarebbe finitiper considerare la persona umana a un tempo come soggetto ecome oggetto del diritto; in altre parole, « il concetto di signoriache è proprio del diritto soggettivo sarebbe inscindibile dallaalienità o autonomia dell’ente che la subisce (oggetto) rispetto

(11) S. Rodotà, Il diritto di avere diritti (Bologna-Roma 2015), passim.(12) F. Carnelutti, Il danno e il reato (Padova 1926), 10; Id., Problemi

giuridici della trasfusione di sangue, Jus, 1954, 520 s.(13) S. Satta, Cose e beni nell’esecuzione forzata, Riv. dir. comm., 1964,

I, 351.(14) F. Santoro Passarelli, Dottrine generali del diritto civile, rist. (Napoli

1997), 50.

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al soggetto che la esercita » (15); sarebbe stato pertanto impos-sibile configurare un diritto soggettivo che avesse visto il me-desimo soggetto di diritto ad un tempo titolare e oggetto deldiritto stesso (16).

Non ci si accorgeva quasi che tali concezioni portavano averi e propri paradossi; basti pensare che Carnelutti arrivò asostenere che « il corpo dell’uomo è il bene, la cosa, che costi-tuisce l’oggetto del diritto dell’uomo stesso, considerato comesoggetto », sicché « il diritto dell’uomo su sé medesimo — valea dire sul proprio corpo —: integrità fisica, onore, ecc., nonsarebbero altro che relazioni di utilità tra lui e il suo corpo, enon potrebbero considerarsi come distinti oggetti di altrettantisuoi diritti della personalità » (17); con la conseguenza che, adesempio, « con il divieto penale della ingiuria e della diffama-zione l’ordine giuridico protegge l’uomo da questa menoma-zione e con ciò garantisce il godimento del suo corpo, ossia diquell’organismo psico-fisico che gli serve per svolgere le suepossibilità » (18).

Sennonché se in una logica, per così dire, biologico-natu-ralistica e/o religiosa-metafisica è effettivamente difficile se nonimpossibile attribuire un valore economico in sé sia alla per-sona (intesa come corpo) sia alla personalità (intesa comeanima), per contro, come è stato esattamente rilevato, « ildanno alla persona non ha come referente le scienze naturali(anche se si tratta di lesioni fisiche), ma la cultura giuridica nelsuo evolversi » (19).

Nel secolo scorso tuttavia parte della dottrina italiana, so-prattutto la sorgente dottrina giuslavoristica, sulla scia di quella

(15) Cfr. A. Candian, Il diritto d’autore nel sistema giuridico (Milano1953), passim, specialmente, 61.

(16) Su tali teorie, in senso critico, cfr., De Cupis, I diritti della perso-nalità cit., 37.

(17) F. Carnelutti, La persona umana e il delitto, Arch. Pen., 1945, I, 12.(18) F. Carnelutti, Diritto alla vita privata, Riv. trim. dir. pubbl., 1955, 8.(19) D. Messinetti, Pluralismo dei modelli risarcitori. Il criterio di ingiu-

stizia tradito, in Aa. Vv., La funzione deterrente della responsabilità civile allaluce delle riforme straniere e dei Principles of European Tort Law, a cura di P.Sirena (Milano 2007), 273.

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tedesca (20) e di quella francese (21), aveva iniziato a riconsi-derare l’importanza della persona e dei diritti della personalitàper il diritto civile (22), spinta anche dall’interesse sempre piùmarcato della scienza giuridica per la tutela non soltanto eco-nomica ma anche morale del lavoratore, considerato comeparte debole di un rapporto contrattuale nel quale, al di là dellefictio iuris, venivano ceduti dietro corrispettivo il proprio corpo,il proprio tempo e la stessa propria personalità (23).

La discussione relativa ai problemi posti dal contratto dilavoro e la circostanza che la normativa lavoristica avesse fattoil suo ingresso nel codice civile del 1942 (24) fecero sì che neldiritto privato si venisse configurando una concezione dellapersona intesa non più come “astratto soggetto di diritto”, macome individuo “unico ed irripetibile” che il diritto aveva ilcompito di proteggere in tutti i suoi aspetti, economici e non;non a caso si è rilevato come « la cultura lavoristica, per primaè stata capace di far germinare nell’ordinamento giuridicoun’idea dell’uomo non circoscritta all’avere, ma estesa all’esseredella persona » (25).

Vero è che « la dottrina moderna precisa poi che la valuta-zione pecuniaria verte sulle prestazioni » (26), sicché « il lavo-

(20) Cfr., in particolare, O. Gierke, Deutsches Privatrecht, I (Leipzig1895).

(21) R. Savatier, Le dommage a la personne, Les Métamorphoses éco-nomiques et sociales du droit privée d’aujourd’hui. Troisième série: Appro-fondissement d’un droit renouvelé (Paris 1959), 86.

(22) Cfr., al riguardo, F. Tozzi, La circolazione dei diritti della persona(Torino 2013), 4.

(23) Cfr., al riguardo, G. Resta, Diritti della personalità: problemi eprospettive, Dir. inf., 2007, 1043, il quale rileva che « non deve inoltre trascu-rarsi l’importanza assunta dalla discussione in tema di contratto di lavoro, ladove la considerazione dello stretto legame intercorrente tra la dimensionecorporea e quella spirituale della personalità valse ad incrinare il modello delsoggetto astratto e a fare emergere una “immagine dell’uomo” profondamentediversa rispetto a quella presupposta dai codici ottocenteschi ».

(24) Sulle influenze della legislazione lavoristica sul codice civile del1942, cfr., ad esempio, O. Mazzotta, Diritto del lavoro (Milano 2013), 7 s.

(25) R. Del Punta, Diritti della persona e contratto di lavoro, www.ai-dlass.it.

(26) C. Castronovo, La nuova responsabilità civile (Milano 2006), 58.

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ratore si obbliga a produrre utilità per il suo datore » (27);tuttavia la codificazione del rapporto di lavoro e l’ampliarsi delconcetto di bene, che per la prima volta veniva collegato anchea concetti immateriali purché suscettibili di utilizzazione eco-nomica (28), fece sì che non ripugnasse più alla coscienzagiuridica l’accostamento tra corpo umano e bene, tra persona-lità e beni, tanto che secondo un autorevole orientamentodottrinale il termine bene « è usato in senso direttamente ap-propriato per questi modi personali di essere, in cui sonoravvisabili i beni più preziosi del soggetto » (29).

La tutela dei valori della personalità, valori considerati benipoiché oggetto di diritti, con l’entrata in vigore del codice del1942 veniva dunque ancorata per la prima volta al dato norma-tivo ed alla protezione di veri e propri beni immateriali come ilnome (artt. 6, 7, 8 c.c.), lo pseudonimo (art. 9 c.c.) e l’immagine(art. 10 c.c.).

Tuttavia è soltanto con la c.d. costituzionalizzazione delcodice civile (30) e con la lettura della giurisprudenza di alcunecorti di merito e di legittimità dapprima e della Corte Costitu-zionale successivamente (31) degli articoli di codice alla luce diquelli della Costituzione (32) che la persona in quanto talediviene il centro dell’ordinamento giuridico dato che, come èstato osservato, « la Costituzione identifica un nuovo modellodi strutturazione dello Stato e dell’ordinamento giuridico...ed

(27) L. Mengoni, L’evoluzione del pensiero di L. Barassi dalla prima allaseconda edizione del contratto di lavoro, La nascita del diritto del lavoro, a curadi M. Napoli (Milano 2003), 19.

(28) A. Gambaro, I beni, Tratt. Cicu-Messineo-Mengoni (Milano 2002),191 s.

(29) De Cupis, I diritti della personalità cit., 12 s.; Tra i primi adoccuparsi dell’argomento, A. Ravà, I diritti sulla propria persona nella scienzae nella filosofia del diritto (Torino 1901), passim; B. Windsheid, Diritto dellePandette, trad. it. C. Fadda e P. E. Bensa (Torino 1930), passim; E. Degni, Lepersone fisiche e i diritti della personalità (Torino 1939), passim.

(30) Cfr., P. Perlingieri, Il diritto civile nella legalità costituzionale se-condo il sistema italo comunitario delle fonti (Napoli 2006), passim.

(31) Su tale evoluzione giurisprudenziale cfr., ad esempio, G. Alpa, Ildanno biologico: percorso di un’idea (Padova 1987), passim.

(32) Si pensi al riguardo alla lettura dell’art. 2043 c.c. “in combinatodisposto” con l’art. 32 cost. la quale segnò il lungo e tormentato cammino deldanno biologico.

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eleva anzitutto l’ideale personalistico dell’epoca ottocentesca aprincipio fondamentale del sistema » (33).

In altri termini « la storia della persona nel diritto privatomoderno del nostro Paese è una sorta di epopea, perché prendeavvio dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e delcittadino della Rivoluzione francese (1789) e i suoi epigoni inItalia, passa attraverso i Codici civili del primo Ottocento, ovela persona è vista nella prospettiva del “proprietario borghese”,a metà Ottocento registra le prime Costituzioni in cui si affer-mano i diritti di libertà fondamentali, alla fine dell’Ottocentovede affermarsi i diritti dei lavoratori, e, dopo le due guerre e laparentesi illiberale del fascismo, vede riaffermarsi i diritti dilibertà insieme con altri diritti fondamentali nella Costituzionerepubblicana » (34).

L’evolversi della società, di una società nella quale accantoall’avere si iniziava a prendere in considerazione l’essere, enell’ambito della quale iniziava pian piano ad acquisire sempremaggiore importanza, accanto all’avere (forse più esattamentenell’ambito della quale veniva ad acquistare valore patrimo-niale) anche l’apparire, ha fatto sì che tali attributi della perso-nalità umana, considerati come diritti non patrimoniali pereccellenza, iniziassero a sganciarsi dai caratteri che la dottrinaaveva sino ad allora loro attribuito, quali ad esempio l’indispo-

(33) Cfr., al riguardo, A. Scalisi, Il valore della persona nel sistema e inuovi diritti della personalità (Milano 1990), 34.

(34) G. Alpa, Le persone fisiche e i diritti della personalità, G. Alpa-G.Resta, Trattato di diritto civile, diretto da R. Sacco (Torino 2004) 4, il qualericorda che « quando nella primavera del 1956, venne pubblicata la primasentenza della Corte Costituzionale, con cui si riconosceva la natura vinco-lante di tutte le norme costituzionali — incluse quelle inizialmente definite“programmatiche” — anche nei confronti delle leggi anteriori, la culturaprivatistica, nella quasi totalità, era ancora legata ai postulati della separa-tezza tra diritto pubblico e diritto privato e della sostanziale impermeabilitàdi quest’ultimo ai principi espressi nella Carta fondamentale ». Più precisa-mente, si è aggiunto, « con l’attivazione del controllo di costituzionalità delleleggi ed il superamento della distinzione tra norme programmatiche eprecettive, furono poste le premesse per un ripensamento dell’intero im-pianto teorico dei diritti della personalità » con la conseguenza che « ilprincipio personalista iscritto nella trama delle disposizioni costituzionaliveniva a toccare le stesse fondamenta del sistema di tutela civile dellapersonalità » (507).

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nibilità, l’intrasmissibilità, il loro essere res extra commerciumed entrassero nel circuito del commercio giuridico.

Ciò che un tempo rappresentava un ambito del tutto slegatoda ogni valutazione economica iniziava così, nel secolo breve(per usare la fortunata espressione di Hobsbawm) a patrimo-nializzarsi sempre di più ed a divenire esso stesso oggetto disfruttamento economico e dunque di valutazione economica inquanto bene; si pensi al riguardo alle possibilità di utilizzazionedell’immagine già in epoca pre-internet, dalla radio alla cine-matografia.

A ciò si aggiunga che nel momento stesso in cui la Costitu-zione repubblicana abbandonava il concetto di religione diStato desacralizzava al contempo la persona umana e ne con-sentiva la valutazione economica.

Veniva pertanto ad emergere sempre di più la consapevo-lezza che la lesione di beni immateriali della persona avrebbedovuto essere risarcita, continuandosi però a ritenere che ilsoggetto che avesse dato luogo a tale lesione avrebbe dovutocompensare attraverso una somma di denaro il c.d. dannopatrimoniale indiretto (le conseguenze eventuali e indirettedella lesione sul patrimonio della vittima (35)); il danno nonpatrimoniale viceversa avrebbe dovuto essere risarcito soltantose il comportamento del danneggiante fosse stato talmentegrave e socialmente riprovevole da essere qualificato comereato.

Da qui l’indissolubile legame tra l’art. 2059 c.c. e l’art. 185c.p. in una visione “restrittiva” e prevalentemente “punitiva” delrisarcimento del danno non patrimoniale come emerge dailavori preparatori del codice civile nei quali si evidenziò che« soltanto nel caso di reato è più intensa l’offesa all’ordinegiuridico e maggiormente sentito il bisogno di una più energicarepressione con carattere anche preventivo » (36); e, per con-verso, uno speculare ed “innaturale” allargamento dell’area deidanni patrimoniali di cui all’art. 2043 c.c.

A ciò è da aggiungere che allorché si impose tra gli inter-preti la lettura costituzionalmente orientata (art. 2043 c.c. - art.

(35) Cfr. A. De Cupis, Il danno (Milano 1966), 55.(36) Relazione del Ministro Guardasigilli al codice civile del 1942 (Roma

2010), 180.

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32 cost.) della normativa civilistica, all’interno dei danni patri-moniali venne a ricomprendersi di necessità, si potrebbe dire,anche il danno biologico.

Il tema dei diritti della personalità, grazie all’opera dellagiurisprudenza e della dottrina, ha così subito con l’entrata invigore della Costituzione repubblicana una vera e propria rivo-luzione; rivoluzione dovuta tanto alla proliferazione delle varievoci di danno via via considerate risarcibili, dal danno biolo-gico a quello esistenziale, tanto alla lunga e tortuosa vicenda deldanno non patrimoniale. Quest’ultimo, da voce di danno coin-cidente con il solo “danno morale soggettivo” risarcibile, comesi diceva, nei soli casi in cui all’illecito civile si fosse accompa-gnato un illecito penale e coincidente con la c.d. pecunia doloriso Schmerzensgeld, è divenuto, dopo un lungo e travagliatocammino, passato dapprima dal danno biologico e successiva-mente dalla tanto criticata categoria del danno esisten-ziale (37), una autonoma ed amplissima voce di danno “allapersona”.

Una voce di danno risarcibile non soltanto “nei casi previstidalla legge” ma persino “al di fuori dei casi determinati dallalegge, in virtù del principio della tutela minima risarcitoriaspettante ai diritti costituzionali inviolabili” (38) e, si ripete, diuna lettura “costituzionalmente orientata dell’art. 2059c.c.” (39).

(37) Sul c.d. danno esistenziale, per tutti, P. Cendon-P. Ziviz, Il dannoesistenziale: una nuova categoria della responsabilità civile (Milano 2000)passim. Cfr., inoltre, le critiche mosse da G. Ponzanelli, Critica del dannoesistenziale (Padova 2003), passim.

(38) Cass. s.u. 11-11-2008, n. 26972, www.altalex.it.(39) Questo è l’orientamento da ultimo fornito dalle Sezioni Unite della

Suprema Corte con le ormai famose sentenze di “San Martino” dell’11novembre 2008 nn. 26972-26975. In particolare, secondo Cass. s.u. 11-11-2008 n. 29972, « per effetto di tale estensione, va ricondotto nell’ambitodell’art. 2059 c.c., il danno da lesione del diritto inviolabile alla salute (art. 32Cost.) denominato danno biologico, del quale è data, dagli artt. 138 e 139d.lgs. n. 209/2005, specifica definizione normativa (sent. n. 15022/2005; n.23918/2006). In precedenza, come è noto, la tutela del danno biologico erainvece apprestata grazie al collegamento tra l’art. 2043 c.c. e l’art. 32 Cost.(come ritenuto da Corte cost. n. 184/1986), per sottrarla al limite postodall’art. 2059 c.c., norma nella quale avrebbe ben potuto sin dall’originetrovare collocazione (come ritenuto dalla successiva sentenza della Corte n.

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La tutela non patrimoniale dei diritti della persona e dellapersonalità è stata così ricondotta dalla giurisprudenza (peral-tro in continuo dialogo con la dottrina) ad una lettura costitu-zionalmente orientata dell’art. 2059 c.c., che da fattispecie lacui tipicità era determinata dalla riserva di legge, è divenutauna norma “aperta” ed “atipica” nella quale il catalogo dei casidi danno non patrimoniale non costituisce un numero chiusoma una vera e propria lista aperta di danni alla persona: « latutela non è ristretta ai casi di diritti inviolabili della personaespressamente riconosciuti dalla Costituzione nel presente mo-mento storico, ma, in virtù dell’apertura dell’art. 2 cost. ad unprocesso evolutivo, deve ritenersi consentito all’interprete rin-venire nel complessivo sistema costituzionale indici che sianoidonei a valutare se nuovi interessi emersi nella realtà socialesiano, non genericamente rilevanti per l’ordinamento, ma dirango costituzionale attenendo a posizioni inviolabili della per-sona umana » (40).

In tale lungo cammino, come si diceva, un ruolo fondamen-tale veniva assunto dall’opera della giurisprudenza che, in os-sequio agli sviluppi novecenteschi del positivismo giuridico edin assenza di una legislazione che fosse intervenuta a regola-mentare la materia, diveniva essa stessa da bouche de la loi,creatrice di diritto (41).

372/1994 per il danno biologico fisico o psichico sofferto dal congiunto dellavittima primaria).Trova adeguata collocazione nella norma anche la tutelariconosciuta ai soggetti che abbiano visto lesi i diritti inviolabili della famiglia(artt. 2, 29 e 30 Cost.) (sent. n. 8827 e n. 8828/2003, concernenti la fattispeciedel danno da perdita o compromissione del rapporto parentale nel caso dimorte o di procurata grave invalidità del congiunto). Eguale sorte spetta aldanno conseguente alla violazione del diritto alla reputazione, all’immagine,al nome, alla riservatezza, diritti inviolabili della persona incisa nella suadignità, preservata dagli artt. 2 e 3 Costituzione (sent. n. 25157/2008) ».

(40) Cass. s.u. 11-11-2008 n. 26972 cit.(41) Cfr., al riguardo, M. Luciani, Interpretazione conforme a Costitu-

zione, Enc. Dir., Annali (Milano 2016), 393, il quale ricorda come « nellaricostruzione Kelseniana della nomopoiesi, legislazione e giurisdizione sidistinguevano solo perché la prima era attività di posizione della normagiuridica generale e la seconda attività di posizione della norma giuridicaindividuale, sicché si poteva concludere che anche il giudice produce dirittoe, quindi, è anch’egli relativamente libero nell’esercizio di questa funzione ».

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2. Dopo la fine del secolo scorso la storia del danno allapersona ha subito un’ulteriore accelerazione; il continuo li-quido fluire della società del consumo, secondo la fortunatadefinizione di Bauman (42), ha comportato un aumento espo-nenziale di casi nei quali il danno colpisce non tanto la persona,nei suoi aspetti fisici, quanto piuttosto la sua “personalità”, isuoi aspetti immateriali e soprattutto, essendo ormai l’indivi-duo sempre più immerso negli strumenti del comunicare (sipensi al panico che ha comportato il recente blocco di WhatsApp) nel suo essere sociale, nel suo essere immerso nelle rela-zioni sociali ex art. 2 cost..; la circolazione quasi frenetica delleinformazioni — dei dati personali — legata principalmente alprogresso ed alla sempre più facile reperibilità di strumentitecnologici un tempo a disposizione dei soli professionels del’indiscrétion (43), se da un lato ha notevolmente accresciuto lepossibilità di sfruttare (tanto per fini economici che per finiludico-esistenziali) la propria immagine (intesa non già come lamera effige di cui all’art. 10 c.c. ma come modo di essere e diapparire della personalità), dall’altro ha incrementato le occa-sioni di metterla a repentaglio; si pensi al riguardo non soltantoai danni arrecati dai c.d. titolari dei dati personali (44) a chioffre volontariamente la propria immagine alla comunità vir-tuale ma anche a quelli, purtroppo culminati a volte persino nelsuicidio della vittima, nei quali l’immagine dell’interessato (45)è stata utilizzata e diffusa in rete senza il suo consenso. Pertacere poi della circostanza che le sole e semplici informazionisu ogni singolo individuo hanno assunto valore economico là

(42) Secondo Z. Bauman, Vita liquida (Roma-Bari 2006) « una societàdi consumatori è una società liquida perché tutte le identità possono esserecome non essere, tutte le appartenenze ingenerano fedeltà o tradimentiarbitrari ».

(43) Cfr., al riguardo, M. Giorgianni, La tutela della riservatezza, Riv.trim. dir. proc. civ., 1970, 13 s.

(44) Ai sensi dell’art. 4 lett. f. del d. lgs. 30-6-2003 n. 196 (Codice inmateria di protezione dei dati personali) è « titolare, la persona fisica, lapersona giuridica, la pubblica amministrazione e qualsiasi altro ente, asso-ciazione od organismo cui competono, anche unitamente ad altro titolare, ledecisioni in ordine alle finalità, alle modalità del trattamento di dati personalie agli strumenti utilizzati, ivi compreso il profilo della sicurezza ».

(45) Ai sensi dell’art. 4, lett. i, d. lgs. 196/2003 cit., è « interessato, lapersona fisica cui si riferiscono i dati personali ».

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dove, ad esempio, vengano utilizzate al fine di valutare qualisiano le preferenze degli internauti per acquisti on line.

Mentre in passato infatti soltanto l’immagine di determinatipersonaggi famosi veniva messa a repentaglio da mezzi diinformazione più o meno leciti, con la conseguenza che dellesue eventuali lesioni venivano quasi sempre risarciti gli aspettipatrimoniali indiretti, attualmente, come si accennava, la mag-gior parte dei soggetti dell’ordinamento giuridico globale usaogni giorno strumenti attraverso i quali l’immagine viene con-tinuamente “fotografata” e messa a disposizione di un’infinitàdi utenti anonimi; con una quasi scontata moltiplicazione delleipotesi di lesione di tale immagine e di richieste risarcitorieneppure indirettamente ricollegabili al patrimonio da parte disoggetti “non famosi”.

In altri termini nell’epoca della proliferazione delle imma-gini delle persone vengono contestualmente a proliferare nuovevoci di danno (da quello alla vita di relazione a quello esisten-ziale) (46). La reputazione, sia nel mondo reale sia in quellovirtuale (47), è divenuta un bene della cui lesione viene semprepiù spesso chiesto il risarcimento, sia da parte di quei soggettiche ne abbiano fatto un mezzo di guadagno, sia, più semplice-mente da parte di coloro i quali si trovino costretti a diffonderei propri dati per il semplice fatto di far parte di un villaggiosempre più globale e virtuale; non più, dunque, privacy comediritto d’élite, di privilegiati che si trovano sotto gli occhi deiriflettori e reclamano un diritto a starsene per conto loro(attori, musicisti, politici, gente famosa), ma come diritto ditutti a che i propri dati personali siano trattati nel rispetto dideterminati requisiti previsti dalla legge e a che della propriaimmagine vengano diffusi soltanto gli aspetti che, volontaria-mente, vengono “pubblicizzati”.

Se da un lato dunque è ormai necessario mettere a dispo-sizione degli altri i propri dati personali per far parte della

(46) Proliferazione alla quale ha cercato di porre degli argini la Su-prema Corte con un ritorno alla figura omnicomprensiva del danno nonpatrimoniale. Cfr. Cass. s.u. 11-11-2008 n. 26972-78 cit.

(47) G. Smorto, Reputazione, fiducia mercati, in questa Rivista, 2016, I,202, secondo il quale « in rete ...l’efficacia della reputazione come sostituto deisistemi di attuazione dei diritti acquista una centralità nuova ».

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comunità civile (si potrebbe addirittura sostenere che l’uomoche non è “connesso” o è un dio o è un bruto), ed a volte indeterminati contesti è necessario persino fornire dati sensibili,dall’altro è oggi sempre più imperante l’esigenza di sottrarrespazi della propria intimità all’occhio scrutatore del modernoGrande Fratello, specie laddove gli “atti di disposizione” di taleintimità non siano avvenuti a titolo oneroso (identica tutelanon spettando certamente a chi, volontariamente, disponessedelle propria immagine mettendo in rete anche scene scabroseal fine di ottenere comunque una qualche utilità).

Non a caso se in passato le controversie concernenti ipotesidi violazione della privacy erano strettamente connesse, si ri-pete, alla lesione dell’immagine di personaggi noti al pubblico,ed il prezzo del risarcimento del danno, che quasi sempre sifaceva consistere in una lesione patrimoniale indiretta, venivaagganciato al c.d. prezzo del loro consenso (48) (ovvero alla« frustrata possibilità di trarre un utile economico dal consensoalla diffusione dell’immagine personale » (49)) attualmente « leipotesi di lesione del diritto alla riservatezza, al di là delle purnon rare ipotesi in cui esso abbia determinato un peggiora-mento della situazione patrimoniale della vittima » (50), riguar-dando soggetti che non hanno fatto della propria immagine unmezzo di arricchimento, vanno a ledere « valori umani che nonsi esauriscono nel guadagno » (51) e che comportano un dannonon patrimoniale.

Sicché, anche alla luce di tali trasformazioni, il concetto diprivacy si è andato allontanando da una concezione ristrettache lo vedeva coincidente con il solo diritto alla riservatezza(right to be let alone) e con la lesione dell’immagine di perso-naggi più o meno noti, tendendo esso sempre più ad essereidentificato con « quell’insieme di azioni, comportamenti, opi-

(48) Cfr., ad esempio, Corte di appello Milano 15-1-1989, www.dejure.com, secondo la quale per l’indebita utilizzazione dell’immagine di una attrice(E. Taylor) il ristoro che va determinato « non è quindi il corrispettivo diun’utilizzazione consentita, ma il danno per il consenso mancato, cioè il c.d.prezzo del consenso ».

(49) De Cupis, Il danno cit., 317.(50) A. Pierucci, Il diritto alla riservatezza, Trattato breve dei nuovi

danni, a cura di P. Cendon (Padova 2001), 647.(51) G. Gentile, Danno alla persona, Enc. dir. XI (Milano 1962), 634 s.

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nioni, preferenze, informazioni personali, su cui l’interessatointende mantenere un controllo esclusivo, non solo per garan-tire la riservatezza, ma per assicurarsi una piena libertà discelte » (52).

Si è avuto così un epocale passaggio, condizionato dagliinsegnamenti della dottrina nordamericana che, come si vedrà,ha dilatato i confini dell’originario diritto alla privacy intesocome diritto ad essere lasciati in pace, attraverso il quale nelsintagma privacy sono stati inglobati, in buona sostanza, tutti idiritti delle persone fisiche che si originano nelle relazionisociali; per dirla in breve dall’art. 1 del codice civile all’art. 2della Costituzione.

È dunque nella ricerca del bilanciamento di tali contrappo-sti interessi (diritto al controllo delle proprie informazioni —necessità di metterle a disposizione della società) che si pre-senta oggi il problema della tutela della privacy, diritto “diultima generazione” ormai considerato, si ripete, non più sol-tanto come un ormai irrealizzabile diritto alla riservatezzaassoluta bensì come interesse normativamente tutelabile a chei dati personali vengano utilizzati « nel rispetto dei diritti e dellelibertà fondamentali, nonché della dignità dell’interessato, conparticolare riferimento alla riservatezza, all’identità personale eal diritto alla protezione dei dati personali » (art. 1, d.lsg.30-6-2003, n. 196 cod. privacy); diritto nel quale, non a caso,vengono tradizionalmente racchiusi i rimedi che la materia deitorts concede ove siano violati i diritti della personalità (53).

Terminata pertanto la stagione nella quale il centro dell’at-tenzione della dottrina e della giurisprudenza che si occupa-vano di responsabilità era costituito dal danno biologico, especialmente (quanto meno dal punto di vista macroecono-mico) da quello dovuto alla circolazione di autoveicoli, la cuiquantificazione è oggi stata affidata dal legislatore (attraverso ilc.d. codice delle assicurazioni) alle stime fornite dalle assicu-razioni private, è attualmente iniziata la stagione della respon-sabilità (rectius, delle responsabilità) da circolazione immate-riale delle informazioni tramite internet, “macchina senza li-

(52) S. Rodotà, Tecnologia e diritti (Bologna 1995), 102 s.(53) Resta, Diritti della personalità cit.

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miti di velocità” la quale ha dato luogo ad un incessante incre-mento dei c.d. danni alla privacy.

Orbene, la determinazione di tale danno è oggi caratteriz-zata sotto svariate incertezze sia sotto il profilo dell’an debeaturche da quello del quantum; profili che, come si vedrà, tendonoperaltro a sovrapporsi quando si prenda ad oggetto il dannonon patrimoniale.

La circostanza, infatti, che il risarcimento del danno nonpatrimoniale avvenga di regola in via equitativa dimostra comeil più delle volte esso non possa oggi essere dimostrato nel suopreciso ammontare.

Da qui appunto la necessità di verificare, ed è questo loscopo del presente lavoro, se l’ammontare del danno non pa-trimoniale debba essere di volta in volta provato ovvero siidentifichi con la sua stessa esistenza quasi che la prova dell’anassorba quella del quantum (54), ovvero ancora se nell’ambitodella tutela della privacy siano state create delle presunzioni intal senso.

Altro problema da affrontare nasce dalla circostanza che lagiurisprudenza ha liquidato per lungo tempo i danni non pa-trimoniali soltanto nei casi di reato; da qui la necessità diverificare se vi sia stata una sovrapposizione tra funzione com-

(54) Non a caso è stato osservato da De Cupis, Il danno cit., che ilproblema della prova del quantum del danno si pone in maniera del tuttopeculiare ove esso colpisca beni immateriali e ove si tratti di danno nonpatrimoniale, dato che in tal caso una prova del quantum non può esserefornita dal danneggiato nel suo preciso ammontare e spetterà solamente algiudice quantificarlo « per mezzo della valutazione equitativa »; ed è stato poiaggiunto che « l’applicazione di tale misura avviene mercé l’equo arbitrio delgiudice (art. 1226 c.c.) il quale supera, per un fine superiore di giustizia,l’intrinseco ostacolo corrispondente alla natura dei beni non patrimoniali edei relativi interessi, onde fornire al soggetto danneggiato un’equa ripara-zione ». Sennonché se in passato tale difficoltà di quantificazione del risarci-mento dei diritti della personalità riguardava soltanto una minima parte deidanni alla persona, ovvero quelli che in conseguenza di un reato avesseroarrecato al soggetto un danno morale soggettivo ex art. 2059 c.c., essa ricorreoggi in un numero molto più ampio di casi, ovvero ogni qual volta si lamentila lesione di uno dei molteplici diritti della personalità rintracciabili nell’art.2 della Costituzione; sicché si è esattamente osservato che « il nuovo e piùesteso territorio del danno aquiliano ha reso più acuto il problema delladeterminazione del danno ....che appare oggi ... il vero problema della respon-sabilità civile ». Cfr. Zeno Zencovich, La quantificazione cit., 406.

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pensativa e funzione punitiva nel risarcimento o se ancora nonsia da preferire una terza ipotesi: quella se accanto ad unafunzione compensativa non vi possa essere anche una funzionesolidaristica nascente proprio dal fatto che il danno non èarrecato solo ad una persona fisica ma ad un soggetto immersonel sociale, e per di più in un sociale che si identifica ormai nelvillaggio virtuale-globale che lo vede sempre più esposto aigiudizi mi piace-non mi piace (55).

3. Come si è rilevato se è vero che « i diritti della perso-nalità, in quanto categoria dogmatica, hanno un’origine pret-tamente dottrinale » (56) è anche vero che « il sistema di tutelacivile della persona, inteso come complesso delle prerogativeconcretamente riconosciute a salvaguardia della sfera di auto-nomia del singolo, è invece in larga parte il frutto dell’attivitàdella giurisprudenza » (57). Rapporto dialettico, questo tra dot-trina e giurisprudenza, ancora oggi ben lontano dall’avere rag-giunto una sintesi.

Tali considerazioni valgono, così come per tutti gli altridiritti della personalità, da quello all’onore a quello all’identitàpersonale, anche con riferimento al diritto alla privacy checome si è detto rappresenta oggi un punto di osservazioneprivilegiato in materia di danno alla persona-danno alla perso-nalità.

In relazione a tale diritto di ultima generazione può infattirilevarsi come siano stati i casi giudiziari a far riconoscere divolta in volta al legislatore l’esistenza dei diritti sottostanti allalesione; non a caso il diritto alla privacy è stato importato daisistemi di common law, nei quali « il discorso sulla privacy esulla tutela degli altri interessi della persona non è stato con-dotto (come nella nostra esperienza) in un’ottica sostanziali-stica, enucleando tanti diritti soggettivi quanti sono i beni

(55) Non è senza significato che persino le più autorevoli testate gior-nalistiche nel pubblicare on line notizie di cronaca chiedano al lettore diesprimere un giudizio attraverso le c.d. emoticon, quasi che la notizia di undisastro ecologico o di un incidente stradale potesse piacere o non piacere.

(56) G. Resta, I diritti della personalità, Le Persone fisiche e i diritti dellapersonalità, Trattato di diritto civile, diretto da R. Sacco (Torino 2006), 368.

(57) Resta, I diritti della personalità cit., 368.

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costitutivi della personalità, bensì prevalentemente in chiaverimediale » (58); « sono poche le materie nelle quali la creativitàdei giudici ha inciso in maniera tanto profonda sullo sviluppodel diritto privato moderno, come quella dei diritti della perso-nalità » (59).

Se dunque è stata la dottrina a ricercare per prima i fonda-menti teorici dei diritti della personalità, cercando di volta involta ora di distinguere al loro interno tra un insieme di sotto-categorie (60), ora di ridurli ad unità avendo ritenuto nonnecessaria la « moltiplicazione degli oggetti » (61) in un sistemagiuridico normativamente lacunoso, è stata viceversa la giuri-sprudenza ad elaborare i mezzi di tutela laddove tali dirittifossero stati violati.

Ovviamente tale opera creativa della giurisprudenza hapotuto (e nel silenzio del legislatore dovuto) bypassare la gerar-chia delle fonti, in ciò agevolata dalla coscienza di agire in unsistema, come quello attuale, nel quale tale gerarchia vienesempre più messa in discussione (62); in altri termini anche inquesto campo si assiste ad un vero e proprio sconvolgimentodel disegno costituzionale democratico (quello che si esprimenel circuito virtuoso popolo-parlamento-legge) sostituito dauna vera e propria normazione di tipo aristocratico effettuatadal potere giurisdizionale sotto lo schermo della interpreta-zione creativa (63).

Non a caso verso la fine dell’ottocento furono proprio dueavvocati americani, Warren e Brandeis (quest’ultimo divenuto

(58) Resta, I diritti della personalità cit., 368.(59) Resta, I diritti della personalità cit., 368.(60) Basti considerare che De Cupis, I diritti della personalità cit.,

distingueva tra diritto alla vita, diritto all’integrità fisica, diritto sulle partistaccate del corpo umano, diritto sul cadavere umano, diritto alla libertà,diritto alla libertà sessuale, diritto all’onore, diritto alla riservatezza, dirittoall’identità personale, diritto al nome, e così via, secondo la c.d. concezionepluralistica dei diritti della personalità.

(61) Cfr. P. Vercellone, Personalità (diritti della), Noviss. dig. it. XII(Torino 1965), 1083. Sulla disputa tra sostenitori della teoria “monistica” esostenitori della teoria “pluralistica” cfr., tra gli altri, Alpa, I diritti dellapersonalità cit., 75 s.

(62) R. Bin, A discrezione del giudice (Milano 2013) passim.(63) Cfr. Luciani, Interpretazione conforme cit., 395, il quale definisce la

magistratura costituzionale come « istituto tipicamente aristocratico ».

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poi giudice) a dedicare alla privacy (64), considerata come unvero e proprio ius excludendi alios secondo lo schema dellaproprietà privata, uno degli scritti più famosi e citati, The rightto privacy (65). Impostazione questa che ebbe notevole suc-cesso dato che dopo tale scritto la giurisprudenza americanaancorò il diritto alla riservatezza dei cittadini al quarto emen-damento del Bill of right, il quale li protegge a fronte di perqui-sizioni e sequestri ingiustificati che impediscono loro di goderepienamente della sicurezza personale, della propria casa, delleproprie carte e dei propri effetti personali (66).

A ciò è da aggiungere che il diritto alla riservatezza sisviluppò negli Stati Uniti anche a causa della circostanza che« nell’esperienza nordamericana non è considerato disdicevoledare un valore economico alla persona, che questo valore èottenuto avendo riguardo a vari indici, atti di ordine statistico,e largamente attendibili perché scientificamente verifica-bili » (67).

Anche nel nuovo continente tuttavia il diritto ad esserelasciati in pace si andò affermando in maniera graduale e in viagiurisprudenziale a partire da alcune decisioni relative a casi diintercettazioni telefoniche avvenute senza una preventiva auto-rizzazione.

(64) In realtà, ricorda S. Rodotà, Privacy, libertà, dignità. Discorsoconclusivo della Conferenza internazionale sulla protezione dei dati, 2004,www.garanteprivacy.it, che « già a metà dell’Ottocento uno scrittore, RobertKerr, descriveva la società dell’Inghilterra vittoriana parlando di un “dirittoad essere lasciato solo”, quarant’anni prima del saggio famoso di Warren eBrandeis ».

(65) Si allude a S. Warren e L.D. Brandeis, The right to privacy, HarvardLaw Review, Vol IV, 1890, 193. In realtà non furono Brandeis e Warren iprimi a porsi il problema di una tutela della riservatezza dell’individuo. Dueanni prima, nel 1888, il giudice Thomas Cooley aveva scritto un saggio sugliilleciti extracontrattuali (T.C. Cooley, A Treatise on the Law of Torts or theWrongs which Arise Independent of Contract, Callaghan & Company (Chicago1888), 29 s.)

(66) Così recita il quarto emendamento: « the right of the people to besecure in their persons, houses, papers, and effects, against unreasonablesearches and seizures, shall not be violated, and no Warrants shall issue, butupon probable cause, supported by Oath or affirmation, and particularlydescribing the place to be searched, and the persons or things to be seized ».

(67) Alpa, Il danno biologico cit., 2.

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La inviolabilità del diritto alla riservatezza fu infatti inizial-mente negata nella causa Olmstead vs. United States del 1928,ove la Corte Suprema (con cinque voti favorevoli contro quattrocontrari) sostenne che non vi fosse stata invasione della privacynel caso di intercettazioni effettuate nei confronti di un notocontrabbandiere di alcool durante gli anni del proibizionismopoiché i cavi telefonici non appartenevano né all’ufficio investi-gativo né all’abitazione dell’imputato sicché, non essendo ingioco una violazione del diritto di proprietà, non vi sarebbestata alcuna invasione fisica che avesse violato il domicilio (68).

Soltanto nel 1965, nella causa Charles Katz vs. United Sta-tes (69), ove le intercettazioni di un noto biscazziere eranoavvenute all’interno di una cabina telefonica, la Corte mutòorientamento affermando che « nonostante il Governo abbiasostenuto che la cabina telefonica dal quale l’accusato effet-tuava le proprie conversazioni fosse di vetro, rendendolo visi-bile dopo che era entrato tanto quanto se fosse rimasto fuori,quello a cui egli cercava di sottrarsi non era di certo l’occhioindiscreto bensì l’orecchio senza invito » (70); in particolare,secondo una delle concurring opinion la circostanza che unsoggetto utilizzi a titolo oneroso una cabina telefonica pubblicafa sorgere una legittima aspettativa a che le parole che pronun-cia non siano intercettate (71).

Ben presto la nozione di right to be let alone si espanseulteriormente venendo a ricomprendere pian piano tutti queidiritti ricollegabili non soltanto all’inviolabilità della personama persino il diritto al perseguimento della sua ‘felicità’ indi-

(68) Cfr. Olmstead Vs. U.S., https://supreme.justia.com/cases/federal/us.

(69) Charles Katz Vs. United States, https://supreme.justia.com/cases/federal/us.

(70) « The Government stresses the fact that the telephone booth fromwhich the petitioner made his calls was constructed partly of glass, so that hewas as visible after he entered it as he would have been if he had remainedoutside. But what he sought to exclude when he entered the booth was not theintruding eye - it was the uninvited ear ».

(71) Secondo ili Giudice Stewart, « one who occupies [a telephonebooth], shuts the door behind him, and pays the toll that permits him to placea call is surely entitled to assume that the words he utters into the mouthpiecewill not be broadcast to the world ».

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viduale di cui alla Dichiarazione di indipendenza ameri-cana (72); la privacy viene pertanto oggi a indicare non soltantoil diritto alla riservatezza ma anche a segnare una serie di dirittiinerenti alla personalità dell’individuo, dall’identità personaleall’immagine.

Non a caso nonostante in un famoso scritto William Pros-ser (73) avesse sostenuto l’esistenza di quattro diverse forme diprivacy torts, (a) unreasonable intrusion upon the seclusion ofanother...; (b) appropriation of the other’s name or likeness...; (c)unreasonable publicity given to the other’s private life...; (d)publicity that unreasonably places the other in a false light beforethe public, in dottrina ed in giurisprudenza d’oltreoceano siaffermò ben presto una visione più ampia della privacy, intesacome “un aspetto della dignità umana” la cui lesione compor-tava una vera e propria « interferenza con l’individualità dellapersona, con il diritto dell’individuo di fare ciò che vuole » (74).

Verso la metà del novecento mentre il termine privacyveniva ampliandosi a dismisura oltreoceano, in Italia esso ini-ziava ad essere utilizzato quale sinonimo del diritto alla riser-vatezza, considerata quale « modo si essere della persona ilquale consiste nella esclusione dalla altrui conoscenza daquanto ha riferimento alla persona medesima » (75).

Più precisamente tale diritto alla riservatezza, che seguiva« nella gerarchia dei modi di essere morali della persona, ilbene dell’onore » (76) e che si esercitava attraverso varie « ma-nifestazioni positive, quali il diritto all’immagine, il diritto alsegreto, il diritto alle vicende, e così via » (77), si andava gra-dualmente imponendo grazie a tre famosi leading case: si alludein particolare al c.d. caso Caruso, al c.d. caso Petacci ed al casoriguardante Soraya Esfandiari (casi giurisprudenziali che, sia

(72) Cfr., al riguardo, F. Pizzetti, Privacy e il diritto europeo alla prote-zione dei dati personali. Dalla direttiva 95/46 al nuovo Regolamento comuni-tario (Torino 2016), 51 s.

(73) W.L. Prosser, Privacy, a legal analysis, California Law Review, n.48, 1960, 383 s.

(74) E.J. Bloustein, Privacy as an aspect of human dignity: an answer toDean Prosser, N.Y.U. L. Rev. 1964, vol n. 39, 962 s.

(75) De Cupis, I diritti della personalità cit., 284.(76) Ibidem.(77) In tal senso, De Cupis, I diritti della personalità cit., 284.

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detto per inciso, quasi paradossalmente proprio per ragioni diprivacy non potrebbero oggi essere citati con i nomi dei loroprotagonisti).

Il primo leading case riguardò Enrico Caruso: i discendentidel tenore lamentarono che in un film sulla sua vita si fosserodescritti episodi alquanto disdicevoli (ad esempio un pignora-mento subito dal padre del protagonista) e chiesero il risarci-mento del danno loro così arrecato.

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 4487 del 1956 (78),negò l’esistenza di un generale diritto alla riservatezza, avendoritenuto che nessuna disposizione di legge autorizzasse la ri-chiesta di un risarcimento per lesione delle riservatezza lad-dove non fossero ricorsi i presupposti di un fatto illecito di cuiall’art 2043 c.c.

Il secondo caso fu quello Claretta Petacci relativo alla pub-blicazione da parte di un periodico della vita dell’amante diBenito Mussolini.

La Suprema Corte, chiamata a pronunciarsi sulla eventualelesione della riservatezza della protagonista, ritenne questavolta che il fondamento di un diritto assoluto della personalitàpotesse ravvisarsi nell’art. 2 della Costituzione.

Più precisamente con sentenza 10-4-1963, n. 990 la Su-prema Corte affermò che « sebbene non sia ammissibile ildiritto tipico alla riservatezza viola il diritto assoluto di perso-nalità, inteso quale diritto erga omnes alla libertà di autodeter-minazione nello svolgimento della personalità dell’uomo comesingolo, la divulgazione di notizie relative alla vita privata, inassenza di un consenso almeno implicito, ed ove non sussista,per la natura dell’attività svolta dalla persona e del fatto divul-gato, un preminente interesse pubblico di conoscenza » (79).

Ma fu certamente il caso riguardante un altro personaggionoto, Soraya Esfandiari già imperatrice di Persia quello attra-verso il quale venne finalmente riconosciuta per la prima voltanel nostro ordinamento l’esistenza di un generale diritto allariservatezza.

In tale occasione la Corte di Cassazione, con sentenza27-5-1975, n. 2129 in relazione all’utilizzo abusivo di fotografie

(78) Cass. 22-12-1956, n. 4487, Giust. civ., 1957, I, 7 s.(79) Cass. 10-4-1963, n. 990, Giust. civ., 1963, I, 1280 s.

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che avevano ritratto l’imperatrice in atteggiamenti intimi conun uomo dentro le mura della sua abitazione, affermò che « ilnostro ordinamento riconosce il diritto alla riservatezza, checonsiste nella tutela di quelle situazioni e vicende strettamentepersonali e familiari le quali, anche se verificatesi fuori deldomicilio domestico, non hanno per i terzi un interesse social-mente apprezzabile, contro le ingerenze che, sia pure compiutecon mezzi leciti, per scopi non esclusivamente speculativi esenza offesa per l’onore, la reputazione o il decoro, non sonogiustificati da interessi pubblici preminenti » (80).

In tale cammino giurisprudenziale verso la tutela dellaprivacy uno spazio a sé si è disegnata la sentenza della Cassa-zione civile 15-3-1986 n. 1863 (81), per il suo porsi stranamentein bilico tra il passato ed il futuro.

Si tratta della sentenza che risolveva il famoso caso dellasigla della trasmissione Rai “90º Minuto” che ritraeva un ano-nimo spettatore che soffriva per la sua squadra di calcio e simordeva nervosamente un dito. La Suprema Corte da un latoinfatti riconobbe che il diritto al risarcimento per lesione del-l’immagine non era riservato ad una ristretta cerchia, per usareil linguaggio dell’oggi, di ricchi e famosi, avendolo tutelatoanche ad un pressoché sconosciuto quisque de populo, dall’altroperò ancorò la tutela dell’immagine di questi al diritto d’autore,riconducendo quindi l’immagine al diritto di proprietà (82)sulla scorta della più antica giurisprudenza statunitense.

Dall’altro ancora, quasi anticipando l’attuale diritto al-l’oblio, affermava che il « contesto permissivo che consentel’eccezione a tale regola pretende che continui, finché si ripetela riproduzione, l’interesse generale che legittima l’uso dell’im-magine, riespandendosi in caso contrario la tutelabilità di que-

(80) Cass. 27-5-1975, n. 2129, Giust. civ., 1975, I, 1695 s.(81) Cass. 15-3-1986, n. 1863, Nuova giur. civ. comm., 1986, 726 s.(82) Secondo la Corte « l’articolo 10 c.c. e l’articolo 96 della legge sul

diritto d’autore pongono il divieto di esposizione, pubblicazione e riprodu-zione dell’immagine senza il consenso del ritratto, proteggendo l’interesse diquesti alla non conoscenza altrui (in forma diffusa) o, se si preferisce, alla non— pubblicità o non — circolazione delle proprie fattezze fissate in un ritratto(espressione quest’ultima pacificamente comprensiva anche della ripresacinematografica e televisiva) ».

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st’ultima » (83); interesse generale che veniva escluso dalla cir-costanza che « l’uso dell’immagine si era protratto, con cadenzasettimanale, per sei anni » (84).

L’opera di creazione giurisprudenziale del diritto alla ri-servatezza, collegato alla diffusione dell’immagine (85) di per-sonaggi noti o sconosciuti (non a caso, l’art. 10 del codice civilee l’art. 96 l. 22-4-1941 n. 633 (Protezione del diritto d’autore e dialtri diritti connessi al suo esercizio) che tutelavano l’immagineintesa come riproduzione delle fattezze fisiche, avevano as-sunto nel tempo il ruolo ben più ampio di tutelare altri dirittidella personalità) per lungo tempo rimase tuttavia, come si èrilevato, quasi ignorato dal legislatore, il quale soltanto apartire da un recente passato ha provveduto a (cercare di)colmare normativamente le molteplici lacune di tale materia;basti pensare che soltanto negli ultimi anni si è fatto unimpiego sempre più frequente ed incisivo della nozione didiritti della personalità nella legislazione, come con l’art. 15 terl. 30-7-1990 n. 217 concernente il gratuito patrocinio per inon abbienti, con l’art. 24 l. 31-5-1995 n. 218 il quale dispo-ne al primo comma che l’esistenza ed il contenuto dei dirittidella personalità sono regolati dalla legge nazionale del sog-getto.

Tuttavia, com’è stato rilevato, « la pacifica rivoluzione dellaprivacy è cominciata l’8 maggio del 1997, con l’entrata in vigoredella legge n. 675 del 1996 (86) che ha finalmente attribuito aciascuno il potere di governo delle informazioni che lo riguar-dano » (87).

Si è discusso se con tale legge del 1996 si sia data attuazione

(83) Cass. 15-3-1986 n. 1863 cit.(84) Cass. 15-3-1986 n. 1863 cit.(85) In particolare, secondo De Cupis, I diritti delle personalità cit., 285,

il diritto all’immagine può essere concepito come « manifestazione del dirittoalla riservatezza ».

(86) Cfr. l. 31-12-1996 n. 675 (Tutela delle persone e di altri soggettirispetto al trattamento dei dati personali).

(87) Cfr. Discorso del Presidente dell’Autorità Garante per la protezionedei dati personali, Stefano Rodotà, per la presentazione della relazionesull’attività del Garante per l’anno 2004, www.garanteprivacy.it.

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all’art. 8 della CEDU o alla direttiva comunitaria 95/46 CE (88)o se non si sia trattato piuttosto di una iniziativa originale dellegislatore italiano (89); certo è comunque che con essa si èintrodotto nel nostro ordinamento il concetto di dato perso-nale, concetto che al tempo stesso ha frantumato quello diprivacy che è venuto a ricomprendere tutti i diritti della perso-nalità riconducibili alla tutela « dei diritti e delle libertà fonda-mentali, nonché della dignità dell’interessato » (art. 2 codicedella privacy).

Molteplici sono pertanto gli aspetti della personalità umanache oggi possono rientrare nell’ambito del nuovo concetto diprivacy e che, rispetto al passato, non si esauriscono in un unicomodo di essere del soggetto, ma si moltiplicano e si scindono aseconda del contesto all’interno del quale l’individuo decide diagire e di rapportarsi con gli altri. In altri termini non si dovràtutelare soltanto una identità personale quanto piuttosto tanteidentità personali quanti sono i ruoli che il soggetto assumeallorché mette a disposizione degli altri tutti o alcuni dei propridati personali.

Aspetti variegati della personalità, questi, che pur costi-tuendo facce di un unico prisma meritano, quantomeno ai finidella liquidazione del risarcimento in caso di danno, una spe-cifica attenzione potendo essi dar luogo, anche nella visionemonistica del danno non patrimoniale delineata dalla SupremaCorte, a diverse poste incidenti sul quantum del risarcimento.

Non a caso nel nuovo approccio monista adottato dalleSezioni Unite si « avvalora una reductio ad unum non certoispirata al dato letterale della rubrica dell’art. 2059 c.c., cioè aduna amorfa declinazione in negativo del concetto, ma finaliz-zata a ridistribuire le tradizionali e oramai consolidate voci di

(88) Dir. 24-10-1995 n. 46 del Parlamento europeo e del Consiglio,relativa alla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei datipersonali, nonché alla libera circolazione di tali dati.

(89) Cfr., al riguardo, Aa. Vv. Tutela della privacy, a cura di C.M. Bianca- F.D. Busnelli, Nuove Leggi civ. comm., 1999; E. Giannantonio - M. Losano- V. Zeno Zencovich, La tutela dei dati personali: commentario alla L. 675/1996(Padova 1999); V. Zeno Zencovich, I diritti della personalità dopo la legge sullatutela dei dati personali, Studium Juris, 1997, 466 s.

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danno non patrimoniale su fattispecie distinte sì da evitare laloro sovrapposizione e coesistenza » (90).

In tale ottica il danno biologico, il danno morale e il c.d.danno esistenziale hanno assunto un valore descrittivo inci-dente sulla determinazione del quantum e non già sulle regoledi risarcibilità e dunque sul terreno dell’an.

Da qui un sempre maggiore rilievo della normativa nazio-nale, comunitaria ed internazionale concernente la protezionedei dati personali e delle regole in materia di risarcimento deldanno da violazione della privacy; rilievo, come si vedrà oltre,testimoniato dall’aumento esponenziale delle sentenze in ma-teria di protezione dei dati personali e dovuto proprio allacircostanza che, si ripete, moltissimi aspetti della personalitàumana sono oggi confluiti all’interno del concetto di privacyvenendo così a trovare tutela nella normativa sopra citata.

4. Con riferimento al danno da lesione alla privacy l’art. 15del codice della privacy (danni cagionati per effetto del tratta-mento dei dati personali) (91) nel riprodurre gli artt. 18 e 29della l. 675 del 1996, stabilisce che « chiunque cagiona dannoad altri per effetto del trattamento di dati personali è tenuto alrisarcimento ai sensi dell’articolo 2050 del codice civile » eaggiunge al secondo comma che « il danno non patrimoniale èrisarcibile anche in caso di violazione dell’articolo 11 » (92).

(90) E. Navarretta, Contenuto del danno e problema della liquidazione,Aa. Vv., Il danno non patrimoniale. Principi regole e tabelle per la liquida-zione, a cura di E. Navarretta (Milano 2010), 78.

(91) Su tale norma v., tra gli altri, V. Colonna, Il sistema della respon-sabilità civile da trattamento dei dati personali, Diritto alla riservatezza ecircolazione dei dati personali, a cura di R. Pardolesi, II (Milano 2003), 53 s.;E. Pellecchia, La responsabilità civile per il trattamento dei dati personali, Resp.civ. e prev., 2006, 221 s.; A. Riccobene, Il danno cagionato per effetto deltrattamento ed i diversi modelli risarcitori, Libera circolazione e protezione deidati personali, a cura di R. Panetta (Milano 2006), 2017 s.; G. Comandè, Subart. 15, La protezione dei dati personali, a cura di C.M. Bianca, F.D. Busnelli(Padova 2007), 362 s.

(92) Secondo l’art. 11 (Modalità del trattamento e requisiti dei dati) « idati personali oggetto di trattamento sono: a) trattati in modo lecito esecondo correttezza; b) raccolti e registrati per scopi determinati, espliciti elegittimi, ed utilizzati in altre operazioni del trattamento in termini compa-tibili con tali scopi; c) esatti e, se necessario, aggiornati; d) pertinenti,

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Il primo comma dell’articolo in questione dispone dunqueda un lato che la responsabilità da illecito trattamento dei datipersonali incombe su “chiunque”, quindi anche al di fuori daogni relazione contrattuale (93), e dall’altro fa gravare sul dan-

completi e non eccedenti rispetto alle finalità per le quali sono raccolti osuccessivamente trattati; e) conservati in una forma che consenta l’identifi-cazione dell’interessato per un periodo di tempo non superiore a quellonecessario agli scopi per i quali essi sono stati raccolti o successivamentetrattati. 2. I dati personali trattati in violazione della disciplina rilevante inmateria di trattamento dei dati personali non possono essere utilizzati ».

(93) Esistono al riguardo in dottrina due opposte tesi che ravvisano ri-spettivamente nel consenso al trattamento un atto negoziale o no con ovviedifferenze in tema di responsabilità conseguente ad un illecito trattamento deidati personali. La prima tesi ravvisa nel consenso un atto di disposizione (cfr.,ad esempio, G. Oppo, Sul consenso dell’interessato, AA. VV., Trattamento deidati e tutela della persona (Milano 1998), 124 s.) mentre la seconda un atto diautorizzazione (D. Messinetti, Circolazione dei dati personali e dispositivi diregolazione dei poteri individuali, Riv. crit. dir. priv., 1998, 339 s.) La qualifi-cazione del consenso come atto di disposizione lo avvicina alla materia nego-ziale (disporre è fenomeno tipico dell’autonomia privata) in una visione pa-trimoniale della privacy secondo la quale i dati non sarebbero più solo elementicostitutivi del patrimonio personale individuale ma entità suscettibili di ne-goziazioni volte a attribuirne l’esclusiva in un autonomo mercato. Il dato per-sonale rappresenterebbe dunque un bene oggetto di diritti. La tesi della patri-monialità è stata tuttavia criticata sulla base della considerazione che i datiavrebbero una natura oggettivamente non patrimoniale. Si è rilevato ancora (S.Niger, Le nuove dimensioni della privacy: dal diritto alla riservatezza alla prote-zione dei dati personali (Padova 2006), 135) che « il trattamento dei dati per-sonali non può essere inquadrato in sé e per sé nella categoria degli atti negozialisoggetti alla disciplina del contratto, né può essere ritenuto un fatto dannosoin quanto tale, di cui valutarsi la liceità secondo le norme della responsabilitàcivile » anche se è stato aggiunto che non è da escludere che « l’una e l’altradisciplina concorrono a definire, almeno sul piano del diritto privato, ciò cheè illecito alla stregua dell’ordinamento giuridico ». Propende per la tesi dellaresponsabilità aquiliana, pur richiamando la “peculiarità” della posizione giu-ridica del danneggiante che in caso di violazione dell’art. 15 non esercita ilproprio potere secondo le regole della correttezza, A. Plaia, La responsabilità daillecito trattamento dei dati personali, AA. VV., Libera circolazione e protezionedei dati personali cit., 205 s., secondo il quale « quella della responsabilità datrattamento illecito dei dati personali è allora vicenda autenticamente aqui-liana, la cui peculiarità risiede tutta nella posizione giuridica del danneggiante,sicché, nella sistematica della responsabilità civile, il conflitto appare ricon-ducibile a quella tipologia in cui la condotta lesiva dell’agente concretizza unaposizione di potere e, tuttavia, tale potere non viene esercitato in concreto se-condo le regole della correttezza o le modalità prescritte ». In realtà, come si

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neggiante l’onere di provare di avere adottato tutte le misureidonee ad evitare il danno ai sensi dell’art. 2050 c.c. proprioperché la materia da lui trattata viene considerata di per sépericolosa.

Il secondo comma, viceversa, laddove aggiunge che « ildanno non patrimoniale è risarcibile anche in caso di viola-zione dell’articolo 11 » (94), e quindi sotto il profilo della viola-zione delle regole di “correttezza” (95) (e di protezione è da

evince dallo stesso dato normativo, è da ritenere che il danno da illegittimotrattamento possa derivare tanto dall’uso scorretto dei dati che il titolare deltrattamento abbia effettuato all’interno di una relazione contrattuale, sia dal-l’uso scorretto che “chiunque” possa aver fatto dei dati personali indipenden-temente da un pregresso rapporto obbligatorio. Non coglie nel segno al ri-guardo la considerazione che in materia di trattamento dei dati non si avrebbealcun contratto dato che il consenso non avrebbe ad oggetto interessi giuridicipatrimoniali; ed infatti, a parte la circostanza che spesso i dati vengono cedutiproprio per perseguire interessi giuridici patrimoniali (dalla stipulazione di uncontratto di fornitura telefonica a quella di un contratto di sponsorizzazione)e che il consenso al trattamento dei propri dati potrebbe in ogni caso « esseresuscettibile di valutazione economica potendo corrispondere ad un interessenon patrimoniale del creditore » (art. 1174 c.c.), è innegabile che attualmentei dati personali abbiano assunto un rilievo patrimoniale: basti pensare che,come osservato nel testo, esistono soggetti che hanno fatto del trattamento deidati una attività lavorativa. In altri termini la violazione dei dati personali puòavvenire tanto all’interno di un pregresso rapporto negoziale quanto al di fuoridi una preesistente relazione tra le parti. Tale differenza però, come si vedràoltre, non apporta alcuna distinzione per quanto riguarda il tema della provadel danno non patrimoniale da parte del danneggiato. Quest’ultimo infatti, afronte di una violazione che riguarda i sui diritti inviolabili, sarà pur sempredestinatario di un regime probatorio più vantaggioso fondato sull’inversionedell’onere della prova sia che il danno sia stato provocato dal titolare del trat-tamento sia che il danno sia stato provocato da “chiunque”.

(94) Ai sensi dell’art. 11 del codice della privacy i dati personali oggettodi trattamento sono: a) trattati in modo lecito e secondo correttezza; b)raccolti e registrati per scopi determinati, espliciti e legittimi, ed utilizzati inaltre operazioni del trattamento in termini compatibili con tali scopi; c) esattie, se necessario, aggiornati; d) pertinenti, completi e non eccedenti rispettoalle finalità per le quali sono raccolti o successivamente trattati; e) conservatiin una forma che consenta l’identificazione dell’interessato per un periodo ditempo non superiore a quello necessario agli scopi per i quali esse sono statiraccolti e successivamente trattati.

(95) La stessa circostanza che l’art. 11 citato richiami alla lettera a) ilcanone della correttezza dimostra come il legislatore abbia tenuto presente inprimis un rapporto sinallagmatico.

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aggiungere) equipara la violazione delle regole contrattuali daparte di chi raccoglie e custodisce i dati personali al fattoillecito; sotto questo profilo quindi tale secondo comma vale aspecificare che anche la violazione delle regole contrattuali daparte di chi ha ricevuto il consenso a raccogliere e a gestire idati personali (il c.d. titolare del trattamento) comporta ildovere di risarcire il danno non patrimoniale (96).

Certamente, anche ove tale norma non avesse previstoespressamente la risarcibilità del danno non patrimoniale de-rivante dalla violazione delle regole di correttezza nel tratta-mento dei dati personali, tale risarcimento non si sarebbepotuto escludere alla luce della circostanza che i rapporti fa-centi capo al codice della privacy, come si è rilevato, pongonosul soggetto titolare del trattamento obblighi di protezione nondella sola persona ma anche della personalità dell’interessato;sicché, come è stato esattamente affermato, includendo la pre-stazione o gli obblighi accessori la « serenità del creditore,l’eventuale regola di responsabilità non potrà che stendere lapropria ala anche sul patimento o sul disagio d’animo » (97).

È dunque evidente che l’art. 15 secondo comma introducecosì una vera e propria presunzione di danno non patrimonialeanche in caso di violazione di regole contrattuali ex art. 11 daparte del titolare del trattamento.

Mentre il primo comma della norma in questione disciplinadunque il danno da “chiunque” arrecato mediante l’illecitotrattamento degli altrui dati personali, il secondo comma ag-giunge una specifica ipotesi di risarcibilità “prevista dalla legge”del danno non patrimoniale (98), regolandone i limiti e lecondizioni di risarcibilità sia con riguardo al danno provocato

(96) Sotto tale profilo quindi tale disposizione si pone accanto ad altreipotesi di responsabilità non patrimoniale contrattuale, quali quelle previstedall’art. 1681 c.c. e 2087 c.c. Cfr., al riguardo, S. Mazzamuto, Il danno nonpatrimoniale contrattuale, in questa Rivista, 2012, 437, il quale ricorda che« l’accentuazione degli obblighi di protezione va certamente condivisa per-ché, senza alcun dubbio, riporta l’attenzione sul principale e imprescindibilepresupposto dell’allargamento della responsabilità contrattuale alla ripara-zione di forme di pregiudizio tradizionalmente nel fuoco della responsabilitàaquiliana ».

(97) Mazzamuto, Il danno non patrimoniale cit. 437.(98) Cass. 15-7-2014, n. 16133, Dir. fam. e pers. 2015, 830 s.

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da chiunque, sia (anche) con riguardo al danno provocato dachi aveva, in quanto titolare del trattamento, specifici obblighidi correttezza e di protezione nei confronti del soggetto inte-ressato.

Ne discende una disciplina normativa nella quale la viola-zione delle regole di liceità e di correttezza può portare aseconda da chi venga effettuata una responsabilità contrattualeovvero una responsabilità extracontrattuale, potendo un mede-simo comportamento rappresentare tanto un inadempimentodi specifici obblighi di protezione all’interno di una relazionecontrattuale di tipo asimmetrico, quanto la violazione del prin-cipio del neminem laedere.

Proprio per la complessità della sua lettura tale norma hafatto sorgere molteplici dubbi interpretativi: uno di essi, chenon a caso ha dato luogo ad evidenti difficoltà applicative daparte della giurisprudenza, è quello riguardante l’onere dellaprova del danno non patrimoniale.

Da un lato infatti il secondo comma dell’art. 15 del codicedella privacy sembrerebbe aver introdotto una presunzioneassoluta di danno non patrimoniale (anche in caso di violazionedell’art. 11) per qualsiasi trattamento effettuato contra legem;d’altro canto però una tale interpretazione, bypassando deltutto la valutazione da parte del giudice sulla ingiustizia e sulleconseguenze lesive del danno, verrebbe a cozzare contro latradizionale regola civilistica secondo la quale il danneggiatodeve sempre allegare e provare le conseguenze dannose delfatto illecito, essendo il risarcimento volto non già a punire ildanneggiante bensì a compensare le perdite subite dal danneg-giato.

In altri termini alla luce di tale disposizione si potrebberitenere che il danno non patrimoniale venga normativamenteconfigurato come danno in re ipsa, che sorge sol perché iltrattamento dei dati personali è stato effettuato in violazionedelle norme poste a protezione dell’interessato.

Sennonché, se così fosse, ogni trattamento effettuato inviolazione di legge comporterebbe un obbligo risarcitorio daparte del danneggiante indipendentemente da ogni conse-guenza lesiva; conclusione, questa, che venendo ad introdurreuna sorta di sanzione per ogni trattamento effettuato contralegem è del tutto inaccettabile ove si consideri che vi sono

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comportamenti che, pur essendo contrari alla normativa inesame, potrebbero non arrecare alcun danno all’interessatopotendo addirittura arrecargli un vantaggio (99).

La sola circostanza che i dati siano stati utilizzati daltitolare o da chiunque in modo illecito o scorretto ovvero chesiano stati utilizzati dati inesatti, incompleti, eccedenti rispettoalle finalità per le quali sono stati raccolti, non è idonea di persé a legittimare l’interessato a richiedere il risarcimento deldanno non patrimoniale; non a caso il codice prevede numerosistrumenti diversi dal risarcimento volti a tutelare l’interessatoed a ripristinare l’ordine violato (si pensi alle inibitorie positivee negative ed alle sanzioni che possono essere adottate dalGarante).

La previsione del secondo comma della norma in com-mento, dunque, pur sembrando a prima vista attribuire unavera e propria valenza punitiva al risarcimento del danno nonpatrimoniale, che prescinderebbe così da ogni prova delle con-seguenze dell’illecito sulla sfera esistenziale del danneggiato, inrealtà non fa altro che introdurre una (ulteriore) ipotesi nor-mativa di risarcibilità del danno non patrimoniale fondata su diuna presunzione che lungi dall’essere assoluta (e lungi quindidal rappresentare una sorta di sanzione) è invece iuris tantum.

In altri termini la fattispecie delineata dai due commidell’art. 15 pone due presunzioni: quella secondo la quale ildanno è da addebitare a chi ha trattato i dati personali o a chisi è avvalso di un altrui trattamento a meno che egli nondimostri di avere adottato tutte le misure idonee per evitarlo aisensi dell’art. 2050 c.c. e quella secondo la quale le conseguenzenon patrimoniali di tale danno — sia esso di natura contrat-tuale che extracontrattuale — sono da considerare in re ipsa ameno che il danneggiante non dimostri che esse non vi sonostate ovvero che si tratta di un danno irrilevante o bagatellare

(99) Si pensi al riguardo ad una notizia che, pur pubblicata in viola-zione della legge, comporti una buona pubblicità per l’attività economicadell’interessato ovvero per la sua immagine ovvero si pensi ad un comporta-mento del tutto irrilevante, come nel caso in cui venga reso noto un dato giànotorio. O si pensi ancora a tutte quelle ipotesi in cui, pur essendosi verificatoun danno, esso si riveli ‘bagatellare’ e dunque non risarcibile poiché non gravee ‘tollerabile’ alla luce del contemperamento dei contrapposti interessi ingioco.

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ovvero ancora che il danneggiato abbia tratto vantaggio dallapubblicazione dei dati.

Presunzioni, queste, che varranno sia nel caso in cui ildanneggiante sia il titolare del trattamento che nel caso in cuiegli sia un “chiunque”, dato che gli interessi lesi di volta in voltaattraverso un trattamento illecito, rappresentando diritti-inte-ressi inviolabili del danneggiato, assumono un rilievo talmenteevidente da comportare l’inversione dell’onere della prova; nona caso tale presunzione sull’an del danno non patrimonialelegata alla violazione delle regole di liceità correttezza è raffor-zata proprio dal richiamo da parte del legislatore al concetto diattività pericolosa. Ed infatti il danno maggiormente connatu-rato all’illecito trattamento è proprio quello non patrimonialesicché il non avere adottato le misure idonee ad evitarlo si rivelain sostanza come una violazione delle regole di correttezza e diliceità le quali sono finalizzate a bilanciare la libertà di chitratta i dati con la preservazione della sfera del danneggiato.

Ovviamente, spetterà pur sempre al giudice dunque valu-tare, sulla base vuoi delle allegazioni del danneggiato, vuoi disemplici presunzioni, e tenendo conto dell’eventuale prova con-traria fornita dal danneggiante, se il danno debba essere risar-cito in quanto lesivo di diritti la cui violazione non debba e nonpossa essere tollerata dal danneggiato.

Una volta ritenuto pertanto che il bene violato faccia partedi quei valori fondamentali (rectius, di quei diritti inviolabilidella persona) “non bagatellari” il giudice dovrà disporre che ildanno debba essere risarcito, quanto meno in via equitativa,salvo la prova contraria addotta dal danneggiante.

Tra le funzioni dell’art. 15 del codice della privacy vi èdunque pur sempre quella di compensare la vittima per unaperdita. Perdita che però dovrà essere dimostrata dal danneg-giato quale conseguenza immediata e diretta dell’inadempi-mento o del fatto illecito solo per il danno patrimoniale, ma chesarà da ritrovarsi, per così dire, in re ipsa per il danno nonpatrimoniale; in quest’ultimo caso, si ripete, essendo stati lesidiritti inviolabili della persona, dovrà essere il danneggiante afornire non soltanto la prova di avere adottato tutte le misureidonee ad evitare il danno ma anche quella che il danno non haprovocato alcuna perdita risarcibile per il danneggiato.

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Né la disciplina protettiva delineata dal legislatore italianopuò essere ormai considerata abrogata alla luce del nuovoRegolamento UE 2016/679 (100) dato che essa non soltanto haun ambito di applicazione più esteso, ma finisce per porremaggiori garanzie di tutela per l’interessato.

Sicché, nei due anni di tempo concessi agli Stati membriper adeguare le disposizioni interne al nuovo regola-mento (101) ed alla luce della circostanza che tale adeguamentoviene considerato soft dalla stessa normativa europea, secondola quale « per quanto riguarda il trattamento dei dati personaliper l’adempimento di un obbligo legale, per l’esecuzione di uncompito di interesse pubblico o connesso all’esercizio di pub-blici poteri di cui è investito il titolare del trattamento, gli Statimembri dovrebbero rimanere liberi di mantenere o introdurrenorme nazionali al fine di specificare ulteriormente l’applica-zione delle norme del presente regolamento » e che « il presenteregolamento prevede anche un margine di manovra degli Statimembri per precisarne le norme, anche con riguardo al tratta-mento di categorie particolari di dati personali » (102), è daritenere che l’art. 15 del codice della privacy non debba subiremodifiche; non a caso l’Autorità garante della privacy nell’adot-tare linee guida per l’applicazione del regolamento (103) non haipotizzato contrasto alcuno tra il regolamento e le regole det-tate dall’art. 15 del codice della privacy.

D’altronde se la norma nazionale si applica, come rilevato,all’illecito trattamento da “chiunque” effettuato e considera

(100) Reg. 27-4-2016 n. 679 del Parlamento Europeo e del Consigliorelativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento deidati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la dir.95/46 (regolamento generale sulla protezione dei dati. Il regolamento fa partedel c.d. pacchetto protezione dati nel quale è compresa anche la dir. 27-4-2016 n. 680 relativa alla protezione delle persone fisiche con riguardo altrattamento dei dati personali da parte delle autorità competenti a fini diprevenzione, indagine, accertamento e perseguimento di reati o esecuzione disanzioni penali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga ladecisione quadro 2008/977/GAI del Consiglio.

(101) Ai sensi dell’art. 99 reg. 679/2016 « 1. il presente regolamento entrain vigore il ventesimo giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta uf-ficiale dell’Unione europea. 2. Esso si applica a decorrere da 25 maggio 2018 ».

(102) Considerando n. 10, reg. 2016/18 cit.(103) www.garanteprivacy.it.

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“pericolosa” qualsiasi attività di trattamento di dati personali, ilregolamento europeo, già nelle premesse, riferendosi soltanto achi svolge in maniera professionale il trattamento dei dati,esclude espressamente dalla propria applicazione il « tratta-mento di dati personali effettuato da una persona fisica nel-l’ambito di attività a carattere esclusivamente personale o do-mestico e quindi senza una connessione con un’attività com-merciale o professionale » (104).

Il regolamento pertanto si limita a disciplinare il “diritto alrisarcimento e la responsabilità” soltanto in relazione ai danniprovocati dal titolare o dal responsabile del trattamento: piùprecisamente l’art. 82 stabilisce che « chiunque subisca undanno materiale o immateriale causato da una violazione delpresente regolamento ha il diritto di ottenere il risarcimento deldanno dal titolare del trattamento o dal responsabile del trat-tamento » (105).

Ancora è da rilevare che la normativa comunitaria, la qualenon si riferisce al danno patrimoniale ed a quello non patrimo-niale, bensì (con una locuzione che sembra più riferirsi al beneleso anziché al danno) a quello materiale o immateriale, pre-suppone che i dati personali siano stati illecitamente trattatinell’ambito di un rapporto commerciale o professionale. Essadunque non copre del tutto la fattispecie prevista dall’art. 15 delcodice della privacy sopra citato; da qui dunque la maggioreestensione della norma nazionale.

Per quanto riguarda poi la responsabilità del titolare o delresponsabile l’art. 82 del regolamento aggiunge che « il titolaredel trattamento o il responsabile del trattamento è esoneratodalla responsabilità, a norma del paragrafo 2 se dimostra chel’evento dannoso non gli è in alcun modo imputabile » (106).

(104) Considerando n. 18 reg. 2016/679 cit.(105) Il secondo comma, nel differenziare tali responsabilità, aggiunge

che « un titolare del trattamento coinvolto nel trattamento risponde per ildanno cagionato dal suo trattamento che violi il presente regolamento. Unresponsabile del trattamento risponde per il danno causato dal trattamentosolo se non ha adempiuto gli obblighi del presente regolamento specificata-mente diretti ai responsabili del trattamento o ha agito in modo difforme ocontrario rispetto alle legittime istruzioni del titolare del trattamento ».

(106) L’art. 56 dir. 680/2016 cit., afferma che « gli Stati membri dispon-gono che chiunque subisca un danno materiale o immateriale cagionato da

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Anche tale norma sembra tuttavia non influire sulla disci-plina interna.

Vero è che la norma europea, proprio in considerazione delrapporto obbligatorio che lega l’interessato con il professioni-sta, evoca il concetto di non “imputabilità” al fine di far sot-trarre quest’ultimo all’obbligo risarcitorio riconoscendo cosìespressamente, contrariamente al legislatore italiano, che l’ille-cito trattamento consiste in una “inesatta esecuzione dellaprestazione” (ricomprendendo dunque nella prestazione anchegli obblighi di protezione) la quale esonera il debitore da re-sponsabilità, appunto, ove egli dimostri l’impossibilità deri-vante da causa a lui non imputabile (art. 1218 c.c.).

Vero è ancora che il legislatore europeo non ha definitocome pericolosa l’attività di trattamento.

E tuttavia il nuovo regolamento ha finito per stabilire, cosìcome già aveva fatto il legislatore italiano, un regime di respon-sabilità aggravata (rectius, oggettiva) nel quale sui vari titolari osui vari responsabili (107) grava, così come avviene con l’art.2050 c.c., l’onere di dimostrare che il danno non è in alcunmodo a loro riconducibile poiché dovuto, in buona sostanza, alcaso fortuito (108).

un trattamento illecito o da qualsiasi altro atto che violi le disposizioniadottate a norma della presente direttiva abbia il diritto di ottenere il risar-cimento del danno dal titolare del trattamento o da altra autorità competentein base al diritto dello Stato membro ».

(107) Il regolamento prevede inoltre all’art. 82, 4 e 5 c. una responsa-bilità solidale nel caso in cui il danno sia stato cagionato da più professionisti:« qualora più titolari del trattamento o responsabili del trattamento oppureentrambi il titolare del trattamento e il responsabile del trattamento sianocoinvolti nello stesso trattamento e siano, ai sensi dei paragrafi 2 e 3,responsabili dell’eventuale danno causato dal trattamento, ogni titolare deltrattamento o responsabile del trattamento è responsabile in solido perl’intero ammontare del danno, al fine di garantire il risarcimento effettivodell’interessato. 5. Qualora un titolare del trattamento o un responsabile deltrattamento abbia pagato, conformemente al paragrafo 4, l’intero risarci-mento del danno, tale titolare del trattamento o responsabile del trattamentoha il diritto di reclamare dagli altri titolari del trattamento o responsabili deltrattamento coinvolti nello stesso trattamento la parte del risarcimento cor-rispondente alla loro parte di responsabilità per il danno conformemente allecondizioni di cui al paragrafo 2 ».

(108) Non a caso è stato rilevato con riferimento all’art. 2050 c.c. che« l’onere della prova può allora essere assolto solo dimostrando che il danno

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Pertanto, alla luce della circostanza che il codice dellaprivacy italiano, si ripete, protegge l’interessato proprio con unregime di inversione dell’onere della prova, considerando cosìpericolosa l’attività di chiunque tratti i dati e non soltantoquella dei professionisti, si può concludere nel senso dellamaggiore protezione accordata alla parte debole dalla disposi-zione di cui all’art. 15.

Se poi si considera che, così come è stato previsto dalregolamento (il quale considera interessato soltanto la personafisica) il codice della privacy aveva già subito una modifica inforza della quale il soggetto interessato può essere soltanto lapersona fisica e non più, come era previsto in precedenza,anche una persona giuridica (109), appare chiaro come il legi-slatore italiano, ancor più di quello comunitario, non ha avutodi mira la protezione dell’homo oeconomicus bensì quella dellapersona nelle sue relazioni sociali, la cui tutela da parte deldanneggiante (che non a caso può essere, esso si, anche persona

è dovuto ad un evento non prevedibile né superabile con l’adeguata diligenza,ossia che il danno è dovuto a un caso fortuito ». C. M. Bianca, Diritto civile(Milano 1994), 710. Così come sostanzialmente avviene con la responsabilitàda inadempimento nella quale l’oggetto della prova liberatoria richiesta aldebitore consiste nel fatto che l’impossibilità è stata cagionata da un eventostraordinario e imprevedibile sottratto alla sua sfera di controllo e di inter-vento perché riconducibile al caso fortuito o alla forza maggiore. Cfr., alriguardo, M. Franzoni, Il danno risarcibile, Trattato della responsabilità civile(Milano 2010), 481, secondo il quale « si tratta di norme che prevedono unainversione dell’onere probatorio dal cui esito dipende il perfezionarsi dellafattispecie, allo stesso modo di come si verifica con nell’art. 1218 ».

(109) Il d.l. 6-12-2011 n. 201 « Disposizioni urgenti per la crescita,l’equità e il consolidamento dei conti pubblici » (c.d. Decreto “salva Italia”),convertito in l. 214/2011, è intervenuto in materia di privacy attraversomodifiche sostanziali al d. lgs. 196/2003 (“Codice Privacy”), riformandonel’art. 4, co. 1, lett. b) in modo da escludere dalla definizione di « datopersonale » tutte le informazioni riferibili alle persone giuridiche, enti odassociazioni. In questo senso, la normativa italiana viene ad allinearsi a quellaeuropea recepita e adottata dalla quasi totalità dei paesi membri dell’Unione,sottoponendo alla normativa privacy solo i dati delle persone fisiche e circo-scrivendo l’oggetto della tutela in via esclusiva alle informazioni relative aqueste: se prima, perciò, la definizione di « soggetto interessato » (intesocome soggetto a cui i dati personali trattati si riferiscono) era applicabilealtresì alle persone giuridiche, enti o associazioni, con l’attuale modifical’« interessato » è unicamente la persona fisica.

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giuridica) deve essere ricondotta (anche) a doveri di solidarietàeconomica di cui all’art. 2 e, come si vedrà meglio, all’art. 3, co.2, cost.

Il regime di trattamento favorevole per l’interessato previ-sto dal legislatore italiano non sempre è stato tuttavia coltodalla giurisprudenza.

Ed infatti ove si prendano in considerazione alcune recentisentenze in materia di risarcimento del danno da lesione dellaprivacy si ha l’impressione di assistere ad un avvicendarsi didecisioni che si susseguono, per così dire, a macchia di leo-pardo ed in maniera del tutto discinetica; se in alcune sentenzela prova del danno è stata considerata in re ipsa, in altre, puressendosi riconosciuta la lesione di un interesse meritevole ditutela, non si è concesso alcun risarcimento in mancanza diuna rigorosa prova delle conseguenze dell’evento dannoso daparte del danneggiato.

In tali circostanze la giurisprudenza non ha tenuto contoche vi sono interessi, quegli stessi da essa altre volte esatta-mente ricondotti come si è visto all’art. 2 cost., la cui violazionedeve comportare di per sé un risarcimento indipendentementedall’adempimento di un onere di quantificazione ad opera deldanneggiato; interessi la cui violazione deve essere risarcita solperché il danneggiante, ledendo l’affidamento il lui riposto daldanneggiato, ha disprezzato e messo a repentaglio valori car-dine della società, poco importando che tale affidamento siariconducibile ad una tutela di tipo aquiliano ovvero possaricondursi ad obblighi di protezione.

Da qui la giustificazione dunque del ricorso da parte delgiudice all’art. 1226 c.c, disposizione che ha rappresentato unostrumento fondamentale per quella giurisprudenza, per cosìdire, “creativa” (110), grazie alla quale è stato possibile supe-rare « per un fine superiore di giustizia, l’intrinseco ostacolocorrispondente alla natura dei beni onde fornire una ripara-zione che, piuttosto che un reale equivalente del bene colpito,vuol essere un generico compenso della compromessa felicitàpersonale » (111).

(110) Di giurisprudenza “creativa” contrapposta ad una dottrina “re-missiva” parla C. Castronovo, Eclissi del diritto civile (Milano 2015), 87 s.

(111) De Cupis, I diritti della personalità cit., 55.

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5. Se è vero che il danno alla persona è un concetto cheprescinde dalle scienze naturali essendo un derivato della cul-tura giuridica, è altrettanto vero che « l’equivalenza, stabilitadal giudice, tra una determinata cifra pecuniaria e il verificatosidanno non patrimoniale, è squisitamente giuridica, e non cor-risponde ad una precisa equivalenza reale » (112).

A tal proposito è indispensabile analizzare brevemente al-cune decisioni più o meno “mediatiche” in materia di risarci-mento del danno non patrimoniale da lesione della privacy;ancora oggi infatti nonostante la lodevole opera di amplia-mento della risarcibilità del danno non patrimoniale (ricolle-gato alla lesione dei diritti inviolabili ex art. 2 cost.), la giuri-sprudenza, negando a priori l’esistenza di un danno in re ipsa, sidimostra poco compatta nell’opera di liquidazione di un mimi-mum standard risarcitorio, mostrando una serie di remore astabilire una somma che, essendo appunto legata alla lesionedei diritti uguali per ogni individuo, prescinda, quanto meno inprima battuta, dalle condizioni soggettive e del danneggiato edel danneggiante.

Unica eccezione è stata rappresentata dai criteri di liquida-zione del danno biologico in ordine ai quali dapprima la giuri-sprudenza “creativa” con le c.d. tabelle e successivamente illegislatore “remissivo” con il codice delle assicurazioni hannoprovveduto a quantificare i danni ricollegabili alle varie lesionidel corpo umano definendo di volta in volta un mimino darisarcire uguale per tutti e lasciando al giudice il compito dipersonalizzare successivamente il singolo danno; si è così con-ciliato il principio di uguaglianza formale laddove si è assicu-rato comunque un minimo risarcitorio ed il principio di ugua-glianza sostanziale laddove, attraverso la personalizzazione delrisarcimento, si è dato rilievo alla diversità tra ogni indivi-duo (113).

Stessa operazione, come si dirà oltre, avrebbe dovuto esseresvolta con riferimento al danno esistenziale e, per quanto quirileva, al danno da lesione della privacy; in altre parole se ilvalore di base di una parte del corpo umano è sempre ugualeindipendentemente dal suo “proprietario” (potendo poi tale

(112) De Cupis, Il danno cit., 535.(113) In tale senso Navarretta, Contenuto del danno cit., 82.

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valore essere aumentato o diminuito nelle singole fattispecie)non si vede perché debba essere diverso il valore di un datopersonale.

Tuttavia la giurisprudenza non ha tenuto conto di taliconsiderazioni; è cosi avvenuto che il sorgere di un quantumrisarcibile, e dunque dello stesso an del risarcimento, è stato ilpiù delle volte ricollegato alla posizione patrimoniale del dan-neggiato (beati possidentes), o meglio alla notorietà da lui rag-giunta, essendosi così compiuta una sorta di patrimonializza-zione del danno non patrimoniale (rectius, essendo stato cosìrisarcito soltanto il c.d. danno patrimoniale indiretto, ovveroquel danno patrimoniale derivante dalla lesione di valori nonpatrimoniali (114)).

Non a caso la difficoltà di sganciare la liquidazione deldanno non patrimoniale dal “valore economico” del danneg-giato ha fatto di recente parlare (115) di un ritorno al famoso“caso Gennarino” (116) nel quale, in relazione al danno subitodal figlio di un operaio si rilevò che « la sua prevedibile attivitàfutura, e l’ammontare del presumibile reddito futuro, vannodeterminati in base al lavoro svolto dal padre, dovendosi rite-nere che il bambino, nel futuro, svolgerà la stessa professionedel padre e raggiungerà un eguale grado di specializzazione »;considerazioni, queste, che non erano peraltro affatto isolatenella giurisprudenza dell’epoca la quale riteneva ancora che« possono esistere uomini senza alcun valore. Tale è il caso dicoloro che per vecchiaia o malattia o per altra causa, sianototalmente inetti a qualunque occupazione redditizia » (117).

Di un ritorno a tale risalente orientamento si è parlato adesempio con riferimento al c.d. caso Vieri, nel quale il Tribu-nale di Milano ha adottato una decisione che, sebbene poisostanzialmente (rectius, sostanziosamente) riformata in grado

(114) De Cupis, Il danno cit., 535.(115) Cfr., ad esempio, V. Lo Voi, Il danno non patrimoniale per viola-

zione della privacy richiede la verifica della “gravità della lesione” e della “serietàdel danno”, www.dirittocivilecontemporaneo.it.

(116) Trib. Milano 18-1-1971, Giur. di merito, 1971, 697 s.(117) Trib. Firenze 5-1-1967, Arch. resp. civ., 1969, 130 s.

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di appello, tanto ha fatto discutere proprio in relazione alquantum liquidato all’attore (118).

Era avvenuto che a seguito di intercettazioni telefonicheeffettuate da Telecom su incarico dell’Inter ai danni del calcia-tore, il Tribunale aveva condannato entrambe le società arisarcirgli, a titolo di danno non patrimoniale, la somma di unmilione di euro « tenuto conto della durata dell’attività illecitae dell’enorme effetto mediatico sortito dalla vicenda ».

L’importanza attribuita dal giudice di primo grado « alladurata dell’attività illecita ed all’enorme effetto mediatico sor-tito dalla vicenda » al fine di quantificare il danno subito dalcalciatore è stata tuttavia criticata dal giudice di appello, ilquale pertanto riformava la sentenza proprio sotto il profilo delquantum e condannava le convenute al pagamento della benminore somma di ottantamila euro.

Più precisamente la decisione di primo grado è stata rifor-mata proprio sulla base dell’assunto secondo il quale « l’equitànon può dirsi attuata se casi uguali non ricevono lo stessotrattamento, tanto più nel caso di danno non patrimoniale ecioè quando una somma di denaro è volta a riparare il pregiu-dizio arrecato a diritti del tutto diversi, quali la salute e l’inte-grità morale, che però si presentano uguali per tutti, sicché solol’uniformità pecuniaria di base può valere ad assicurare unatendenziale uguaglianza di trattamento, ad un tempo sintomo egaranzia dell’adeguatezza della regola equitativa applicata nelsingolo caso, salva la flessibilità imposta dalla considerazionedel particolare » (119).

Sennonché, nonostante tale condivisibile affermazione delgiudice di merito, la giurisprudenza della Suprema Corte hacontinuato ad operare in maniera del tutto discinetica, nonassicurando così affatto quella « uniformità pecuniaria dibase » volta « ad assicurare una tendenziale uguaglianza ditrattamento ... salva la flessibilità imposta dalla considerazionedel particolare » auspicata dalla Corte di appello di Mi-lano (120).

(118) Trib. Milano 3-9-2012, Dir. civ. cont.(119) Corte di appello Milano 22-7-2015 cit.(120) Corte di appello Milano 22-7-2015 cit.

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Basti pensare che con sentenza n. 10512 del 2016 la Su-prema Corte (121), a fronte dell’avvenuta pubblicazione di datisensibilissimi, di per sé fonte di grave disagio sociale (122), daparte del sito istituzionale della Corte dei Conti, ha ritenutoche, nonostante sia da ritenere « illecita la diffusione dellegeneralità del ricorrente con riferimento ad un provvedimentogiurisdizionale ove si indicava il suo stato di salute e le sueinvalidità »...« anche in materia di diritti fondamentali, nonpuò configurarsi un danno in re ipsa »; con la conseguenza che« il ricorrente deve fornire la prova di tutti i presupposti di cuiall’art. 2043 c.c. non solo il comportamento illegittimo, ma pureil danno occorso e il nesso di causalità tra comportamento edevento dannoso » (123).

In tal caso la Corte ha errato non soltanto laddove hapreteso la prova dei presupposti dell’art. 2043 c.c. e non giàdell’art. 2059 c.c. così come chiaramente previsto dall’art. 15 delcodice della privacy ma anche laddove ha dimenticato che era lastessa legge a considerare risarcibile, e per di più anche nei suoiaspetti non patrimoniali, il danno da lesione della privacy; ilgiudice di merito, dunque, una volta accertata la serietà tantodella lesione quanto dei valori violati avrebbe dovuto proce-dere, in mancanza di elementi che contribuissero ad una diffe-renziazione del quantum da assegnare ai singoli danneggiati,ed in mancanza di prova contraria sull’esistenza del danno daparte del danneggiante, alla liquidazione di una somma in viaequitativa.

In altri termini, una volta accertato che le condizioni disalute pubblicate dal sito della Corte dei Conti riguardavanosituazioni di « invalidità » dei ricorrenti, ed una volta verificatoche il comportamento della P.A. integrava una ingiustificatalesione dell’affidamento che gli utenti della giustizia avevanoriposto nel rispetto della loro intimità, si sarebbe dovuta rite-nere integrata la fattispecie risarcitoria prevista dall’art. 15 del

(121) Cass. 24-2-2016 n. 10512, www.altalex.it, con nota di A. Savoca.(122) Trattandosi di cause relative a pensioni di guerre di alcuni veniva

riferito che avevano perso la virilità, di altri che potevano defecare soltantoattraverso un ano artificiale, di altri ancora che erano divenuti schizofrenici ecosì via.

(123) Cass. 24-2-2016 n. 10512 cit.

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codice della privacy; avrebbe dovuto essere allora onere deldanneggiante dimostrare che nel caso concreto nessun danno siera verificato per tutti o per alcuni degli attori o che addiritturaqualcuno di essi avesse potuto trarre un vantaggio dall’avvenutapubblicazione; laddove viceversa i singoli danneggiati avreb-bero potuto allegare in giudizio ulteriori conseguenze negativeal fine di far personalizzare le singole poste di danno.

La violazione della norma posta a tutela di diritti fonda-mentali da parte di chi aveva il compito di custodire tali diritticomporta dunque, in assenza di prova contraria, l’esistenza diun danno, inteso quale danno nel quale la prova dell’an viene acoincidere con la prova del quantum; la semplice circostanzache i dati pubblicati dal sito della Corte dei Conti riguardasserocondizioni di salute dei ricorrenti avrebbe dovuto far ritenereintegrati non già “i presupposti dell’art. 2043 c.c.” richiesti dallaSuprema Corte, bensì quelli dell’art. 2059 c.c.

Al riguardo non appare condivisibile l’opinione di chi haritenuto inapplicabile la disciplina dell’art. 2050 c.c. al dannonon patrimoniale di cui al secondo comma dell’art. 15 delcodice della privacy (124) nel presupposto che « non si puòseguire una interpretazione della norma di tipo letterale dalmomento che il regime previsto dall’art. 2050 c.c. ovvero unaresponsabilità di tipo oggettivo con inversione dell’onere dellaprova, non è la regola nel nostro ordinamento, bensì un’ecce-zione...sicché l’aver specificato in un comma a parte tale formadi responsabilità induce a ritenere che il regime probatorio siadifferente da quello previsto dal primo comma e non possa che

(124) Secondo l’art. 15 del codice della privacy « 1. chiunque cagionadanno ad altri per effetto del trattamento di dati personali è tenuto alrisarcimento ai sensi dell’articolo 2050 del codice civile. 2. Il danno nonpatrimoniale è risarcibile anche in caso di violazione dell’articolo 11 ». Indottrina si è discusso se il legislatore abbia inteso qualificare ipso iure l’attivitàdi trattamento dei dati come attività pericolosa oppure se il richiamo operatodal primo comma dell’art. 15 sia stato concepito unicamente come rinvio alparticolare regime probatorio contemplato dall’art. 2050 c.c. Il dibattito — lecui tappe principali sono ripercorse da M. P. Suppa, La tutela risarcitoria,Privacy, a cura di A. Clemente (Padova 1999), 699 s.; P. Ziviz, Trattamento deidati personali e responsabilità civile: il regime previsto dalla L. 675/96, Resp. civ.e prev., 1997, 1296 s. — non sembra ancora aver trovato una soluzionedefinitiva.

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far riferimento alle regole ordinarie in materia di responsabilitàda fatto illecito » (125).

Ed infatti, a prescindere dal fatto che l’interpretazione let-terale non va affatto sottovalutata ma deve anzi costituire ilcriterio fondamentale al quale deve attenersi l’interprete cosìcome disposto dalle preleggi, è da rilevare che è assolutamentelogico che l’art. 2050 c.c. trovi la sua giustificazione nell’attivitàpericolosa in sé del trattamento dei dati personali; pericolositàche non cessa di essere tale né subisce variazione alcuna se chitratta tali dati violi norme di comportamento contrattuali onon.

Certamente l’attività di trattamento dei dati personali nonconfigura una attività pericolosa così come tradizionalmenteintesa (126) ma, a meno di rendere del tutto inutile tale ri-chiamo normativo, occorre rilevare, con la più attenta dottrina,come il legislatore abbia fornito una sorta di « interpretazioneautentica dell’art. 2050 c.c., nella quale viene detto che lanorma, sinora applicata soltanto alle attività di pericolositàmateriale, va estesa anche alle attività pericolose della realtàvirtuale » (127).

In altri termini il legislatore ha voluto ricordare ai soggettidi diritto che le immagini, i c.d. dati personali (si pensi aisoggetti che vivono raccogliendo su internet i dati degli utenti eche le rivendono agli operatori economici) non sono solo cose,beni, ma che dietro tali immagini e tali dati ci sono persone, cisono sentimenti, ci possono essere sofferenze, e che attual-mente tali informazioni vengono collocate volontariamente oinvolontariamente in un ambiente certamente pericoloso qual èquello del villaggio (rectius, della giungla) globale.

(125) M. Mezzanotte, Il diritto all’oblio. Contributo alla teoria dellaprivacy storica (Napoli 2009), 210.

(126) Sull’esclusione di tale lettura concorda la maggioranza degliinterpreti. V. al riguardo Pellecchia, La responsabilità civile per trattamento deidati personali cit., 221, secondo la quale il richiamo all’art. 2050 « denunciapiuttosto la scelta − da parte del legislatore − di un regime probatorio piùfavorevole al danneggiato e al contempo esplicita il significato che l’art. 2050c.c. pare sempre più avviato ad assumere nelle riflessioni sulla modernaresponsabilità civile ».

(127) C. Castronovo, La responsabilità civile in Italia al passaggio delmillennio, in questa Rivista, 2003, 163, secondo il quale l’interprete non puòche « prendere atto del risultato oggettivo del prodotto legislativo ».

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Il collegamento dell’attività di trattamento dei dati perso-nali con l’art. 2050 c.c. sembra dunque contenere un riferi-mento alla essenziale socialità del diritto e voler ricordare chel’ordinamento giuridico dà oggi un valore economico al sog-getto fisico tanto nei suoi aspetti materiali che immateriali nongià perché lo degradi a cosa, a bene, ma al contrario perchériconosce, per così dire, il suo diritto se non alla felicità quantomeno alla ricerca di questa: chi ha a che fare con le personetratta un materiale estremamente delicato, sicché deve adottareogni cautela per evitare il danno tanto nel caso in cui oggettodel trattamento sia il corpo “fisico” quanto nel caso in cui taleoggetto sia rappresentato dal corpo “virtuale” o “elettronico”,soggetto di un mondo sempre più dematerializzato.

Ove una determinata attività (ed è il caso del trattamentodei dati) comporti “per sua natura” l’alta probabilità di lesionidi beni (ancorché) immateriali essa sarà da considerare “peri-colosa”, con la conseguenza che una volta accertato che ildanno si è verificato spetterà al danneggiante dimostrare diaver adoperato tutte le misure idonee per evitarlo.

È dunque evidente che nel caso riguardante la diffusione didati sensibili da parte del sito della Corte dei Conti, contraria-mente a quanto ritenuto dalla Suprema Corte, avrebbe dovutoessere il danneggiante a fornire la prova che nessun danno eraseguito a tale pubblicazione e che peraltro non appare rispon-dente neppure ad equità che il danneggiato debba provare (contestimoni? Attraverso consulenze mediche?) la sofferenza deri-vante dalla pubblicazione on line di dati sensibilissimi: nonconcedere alcunché sulla base del presupposto che « l’illecitotrattamento di dati personali giustifica l’accoglimento dellapretesa risarcitoria azionata ai sensi dell’art. 15 del d.lgs. 30-6-2003, n. 196, solo a condizione che sia dimostrata dall’interes-sato l’esistenza di un pregiudizio di natura non patrimonialesofferto in sua conseguenza » (128) è affermazione incompati-bile con l’art. 15 del codice della privacy.

Ciò specialmente ove si consideri che in altri casi la giuri-sprudenza ha fatto ricorso alle presunzioni, ritenendo così in re

(128) Cass. 5-9-2014, n. 18812, www.deiure.it.

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ipsa il danno non patrimoniale, in casi in cui viceversa èaddirittura dubbia la violazione del diritto.

Si pensi alla recente sentenza n. 13161 del 2016 nella qualesi è richiamato il c.d. diritto all’oblio, il right to be forgotten oggiespressamente contemplato dal regolamento unitario in mate-ria di privacy n. 2016/179 (129), al fine di disporre non soltantola cancellazione della notizia ma anche il risarcimento deldanno non patrimoniale nel caso di « facile accessibilità, nelsito web di un quotidiano on line, di un articolo di cronacarelativo a vicenda giudiziaria di natura penale ancora in attesadi definizione, per un periodo di tempo protrattosi dal mo-mento dell’originaria pubblicazione a quello della diffida inti-mata dagli attori e, dunque, per due anni e mezzo ».

In tale decisione la Corte di Cassazione ha confermato lasentenza con la quale una testata giornalistica on line era statacondannata a risarcire un danno di euro cinquemila tanto alproprietario di un ristorante quanto al ristorante stesso peraver pubblicato la notizia, assolutamente vera, di un coinvolgi-mento del proprietario in un processo penale non ancora con-clusosi; i ricorrenti (il proprietario e il ristorante) sostenevanoinfatti che l’articolo contenente la notizia fosse lesivo della loro

(129) Regolamento 2016/179 del Parlamento europeo e del Consigliorelativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento deidati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga ladirettiva 95/46/CE (regolamento generale sulla protezione dei dati), art. 17(diritto alla cancellazione/diritto all’oblio) secondo il quale « l’interessato ha ildiritto di ottenere dal titolare del trattamento la cancellazione dei datipersonali che lo riguardano senza ingiustificato ritardo e il titolare deltrattamento ha l’obbligo di cancellare senza ingiustificato ritardo i datipersonali, se sussiste uno dei motivi seguenti: a) i dati personali non sono piùnecessari rispetto alle finalità per le quali sono stati raccolti o altrimentitrattati; b) l’interessato revoca il consenso su cui si basa il trattamentoconformemente all’articolo 6, paragrafo 1, lettera a), o all’articolo 9, para-grafo 2, lettera a), e se non sussiste altro fondamento giuridico per il tratta-mento; c) l’interessato si oppone al trattamento ai sensi dell’articolo 21,paragrafo 1, e non sussiste alcun motivo legittimo prevalente per procedere altrattamento, oppure si oppone al trattamento ai sensi dell’articolo 21, para-grafo 2; d) i dati personali sono stati trattati illecitamente; i dati personalidevono essere cancellati per adempiere un obbligo legale previsto dal dirittodell’Unione o dello Stato membro cui è soggetto il titolare del trattamento; e)i dati personali sono stati raccolti relativamente all’offerta di servizi dellasocietà dell’informazione di cui all’articolo 8, paragrafo 1 ».

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riservatezza e che avesse cagionato loro un danno non patri-moniale sotto il profilo, appunto, del diritto all’oblio. Bastavainfatti digitare il nominativo vuoi del proprietario vuoi delristorante su un motore di ricerca per essere ‘indirizzati’ sullapagina web che conteneva la notizia relativa al processo penale.

La Corte in particolare nel ritenere che l’illecito trattamentodei dati personali sarebbe stato da ravvisare non già nel conte-nuto e nelle originarie modalità di pubblicazione e diffusioneon line dell’articolo di cronaca sul fatto accaduto nel 2008, nénella conservazione e archiviazione informatica di esso, ma« nel mantenimento del diretto e agevole accesso a quel risa-lente servizio giornalistico pubblicato il 29 marzo 2008 e dellasua diffusione sul web, quanto meno a far tempo dal ricevi-mento della diffida in data 6 settembre 2010 per la rimozione diquesta pubblicazione dalla rete », ha affermato, per quanto quirileva, che « l’illecito protrarsi del trattamento di dati personaligiustificava l’accoglimento della pretesa risarcitoria espressa-mente assoggettata dal D.lgs. n. 196 del 2003, art. 15 alladisciplina di cui all’art. 2050 c.c., peraltro alla condizione chedagli interessati fosse stata allegata e dimostrata sia pure in viapresuntiva, come nel caso è avvenuto, l’esistenza di pregiudizidi natura non patrimoniale sofferti in sua conseguenza (Cass.n. 15240 e 18812 del 2014) la cui liquidazione andava necessa-riamente operata con criteri equitativi, il ricorso ai quali èinsito nella natura non economica del sofferto danno e nellafunzione compensativa dell’attribuito risarcimento pecuniario(cfr. Cass. nn. 25739, 20141, 25739 del 2007) ».

Non è questa la sede per una approfondita analisi del c.d.diritto all’oblio che, sebbene di risalente tradizione (nato nelladottrina e nella giurisprudenza francese ha avuto un camminoparallelo al diritto della privacy (130)) tanto ha fatto discuteredi recente specie a seguito del c.d. caso Google Spain decisodalla Corte di Giustizia con sentenza (causa C-131/12) del13-5-2014 (131), con la quale si è ritenuto che « la persona

(130) Su tale cammino cfr. Mezzanotte, Il diritto all’oblio cit., passim.(131) Cfr., al riguardo, Aa. Vv. Il diritto all’oblio su internet dopo la

sentenza Google Spain a cura di G. Resta-V. Zeno Zencovich (Roma 2015),passim. Il caso ha preso le mosse da un reclamo effettuato da un cittadinospagnolo all’Agencia Española de Protección de Datos (Agenzia spagnola di

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interessata possa opporsi all’indicizzazione dei propri dati per-sonali ad opera di un motore di ricerca, qualora la diffusione ditali dati tramite quest’ultimo le arrechi pregiudizio e i dirittifondamentali di questa persona alla protezione dei dati sud-detti e al rispetto della vita privata, comprendenti il dirittoall’oblio, prevalgano sui legittimi interessi del gestore del mo-tore di ricerca e sull’interesse generale alla libertà d’informa-zione ».

Certo è che nell’era di internet, nella quale le informazioninon hanno bisogno di essere ripubblicate, dato che una voltainserite possono rimanere in perpetuo nella rete sintantochénon vengano materialmente rimosse (anche se, di fatto, non èdetto che tale rimozione poi le cancelli del tutto potendo i c.d.file essere duplicati da soggetti diversi da quelli che li hannocreati e potendo dunque essere reinseriti in rete in qualsiasimomento) assume una nuova vitalità l’esigenza (rectius, il di-ritto) di essere, per così dire, dimenticati in relazione alleproprie cattive azioni dopo un determinato periodo di tempo.Un diritto, in altri termini, proprio di un uomo di passaggio, diun uomo che non vuole essere ricordato, o meglio che vuoleessere ricordato soltanto per un periodo di tempo limitato, unuomo “di facebook” laddove la concezione platonico cristianalo voleva proteso a rimanere nella storia.

Né questa è la sede per chiedersi se effettivamente nel casoesaminato dalla Corte di Cassazione fosse venuto effettiva-mente in rilievo il problema del diritto all’oblio, dato che inrealtà la vicenda che era stata pubblicata on line non era stataancora definita in sede penale, essendo più che legittimo pen-sare che di oblio possa parlarsi soltanto in relazione a vicendegià concluse, non potendosi certamente pretendere di cancel-

protezione dei dati, AEPD) contro La Vanguardia Ediciones SL (editore di unquotidiano largamente diffuso in Spagna, specialmente nella regione dellaCatalogna), nonché contro Google Spain e Google Inc. Il ricorrente esponevache, allorché il proprio nome veniva introdotto nel motore di ricerca delgruppo Google (« Google Search »), l’elenco di risultati mostrava dei linkverso due pagine del quotidiano di La Vanguardia, datate gennaio e marzo1998 nelle quali si annunciava una vendita all’asta di immobili organizzata aseguito di un pignoramento effettuato per la riscossione coattiva di creditiprevidenziali nei suoi confronti.

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lare dalla cronaca (tanto meno dalla memoria) una vicendaancora in fieri.

La sentenza della Corte di Cassazione appena citata, tutta-via, non a caso criticata specie laddove fissa, per così dire, untermine di scadenza di due anni al diritto di cronaca (132)assume rilievo, per quanto qui rileva, laddove liquida unasomma (cinquemila euro) a titolo di risarcimento del dannonon patrimoniale sulla base di semplici presunzioni « sull’esi-stenza di pregiudizi di natura non patrimoniale sofferti in suaconseguenza la cui liquidazione andava operata con criteriequitativi, il ricorso ai quali è insito nella natura non econo-mica del sofferto danno e nella funzione compensativa dell’at-tribuito risarcimento pecuniario » (133).

Mentre dunque nel caso di pubblicazione on line da partedella Corte dei Conti di dati riguardanti la salute di determinatisoggetti la Suprema Corte ha affermato il principio secondo ilquale i danneggiati avrebbero dovuto provare di avere subitoun danno non patrimoniale, nel caso di pubblicazione su inter-net di una vicenda giudiziaria di natura penale non ancoraconclusa da parte di una testata giornalistica ha ritenuto che sidebba far ricorso ad una “presunzione” della sofferenza per ilsolo fatto che tale articolo fosse rimasto on line per circa dueanni.

Verrebbe da chiedersi se nelle due decisioni la Corte anzi-ché creare principi che potessero contemperare opposti inte-ressi o più semplicemente interpretare in maniera equilibrata lenorme poste a tutela del danneggiato abbia finito in realtà pertutelare troppo il danneggiante nel primo caso ed il danneg-giato nel secondo ponendo forti limiti da un lato alla prova deldanno non patrimoniale e dall’altro al diritto di cronaca.

Più precisamente mentre nel caso della pubblicazione didati sensibili la Corte ha preteso una prova quasi diabolica daidanneggiati finendo così per tutelare il danneggiante, susci-tando il legittimo sospetto di voler creare per via giurispruden-ziale uno statuto speciale del danno per la P.A. o per gli organigiurisdizionali, in quello della pubblicazione di notizie relative

(132) R. Pardolesi, Diritto all’oblio, cronaca in libertà vigilata e memoriastorica a rischio di soppressione, Foro it., 2016, 2734.

(133) Cass. 24-6-2016 n. 13161 cit.

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ad una vicenda penale non ancora conclusa essa ha bypassatol’esame sulla violazione della norma di condotta (e dunque deldiritto) da parte di chi si era limitato a riportare ed a manteneresu un giornale telematico una notizia veritiera. Con la conse-guenza che non ha saputo (o voluto) riconoscere che nessundanno vi era stato proprio perché la vicenda era ancora attuale.

Per di più, nel c.d. caso Vieri e nel caso da ultimo citatorelativo alla lesione del diritto all’oblio di soggetti coinvolti inun procedimento penale (134) si è liquidato, seppur in misuranotevolmente difforme, non già il danno non patrimoniale dalesione della privacy, quanto piuttosto il danno patrimonialeindiretto collegato nel primo caso all’essere uno sportivo fa-moso che continuava ad utilizzare la propria immagine, nelsecondo all’essere uno dei ricorrenti un ristorante mentre nelcaso della Corte dei Conti si è invece negato il risarcimentoessendo stato richiesta ai danneggiati la prova del pregiudizioin concreto da loro sofferto.

Ed ancora, mentre nel caso Vieri sia il giudice di primogrado che quello di secondo grado hanno proceduto ad unminuzioso esame di tutti gli elementi dai quali si potessepresumere la misura del danno da risarcire al fine di persona-lizzarlo (la durata delle intercettazioni, il loro effetto media-tico), nel caso del ristorante Teatino si è proceduto ad unaliquidazione equitativa del danno, in uguale misura tanto per ilsoggetto coinvolto nel procedimento penale quanto per il risto-rante, quasi equiparando tale risarcimento ad una vera e pro-pria sanzione nei confronti della testata giornalistica.

Quello che viene fuori dalla giurisprudenza è dunque unsistema risarcitorio confuso e discinetico, nel quale il dannonon patrimoniale da lesione della privacy viene considerato inalcuni casi in re ipsa, da risarcire in via equitativa (135) (c.d.danno evento), in altri casi da dimostrare caso per caso (c.d.danno conseguenza).

(134) Cass. 24-6-2016 n. 13161 cit.(135) Così testualmente si esprimeva il Tribunale di Chieti, sez. dist. Di

Ortona — nella sentenza del 16-1-2013 confermata da Cass. 24-6-2016 n.13161 cit. « Trattandosi di danno non patrimoniale ed inerente a valori dellapersona di rango costituzionale la liquidazione deve avvenire necessaria-mente in via equitativa ».

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6. La circostanza che la giurisprudenza abbia a volte di-sposto il risarcimento di un danno non patrimoniale da lesionedella privacy sulla base di presunzioni, senza richiedere alcunaprova sul quantum, indurrebbe a credere che essa abbia consi-derato la lesione dei diritti tutelati dal codice della privacy comedanno evento: il danno da violazione della privacy, così comeaffermato nella storica sentenza c.d. Dell’Andro per il dannobiologico (136), non richiederebbe alcuna prova del pregiudiziosubito nella considerazione che « la lesione giuridica al benesalute si concreta, invece, nel momento stesso in cui si realizza,in interezza, il fatto costitutivo dell’illecito » (137).

Se in quel caso si era trattato del diritto alla salute del corpofisico oggi si tratterebbe del diritto alla salute anche di quello“virtuale”, alla cui lesione dovrebbe comunque corrispondere,sempre nell’ottica di tale sentenza, un minimum standard dirisarcimento in funzione deterrente e punitiva.

Non a caso proprio in quella famosa decisione si affermòche « è impossibile negare o ritenere irrazionale che la respon-sabilità civile da atto illecito sia in grado di provvedere nonsoltanto alla reintegrazione del patrimonio del danneggiato mafra l’altro, a volte, anche ed almeno in parte, ad ulteriormenteprevenire e sanzionare l’illecito, come avviene appunto per lariparazione dei danni non patrimoniali da reato. Accanto allaresponsabilità penale (anzi, forse meglio, insieme ed “ulterior-mente” alla pena pubblica) la responsabilità civile ben puòassumere compiti preventivi e sanzionatori. Né può esserevietato al legislatore ordinario, ai fini ora indicati, prescrivere,anche a parità di effetto dannoso (danno morale subiettivo) ilrisarcimento soltanto in relazione a fatti illeciti particolar-mente qualificati e, più di altri, da prevenire ed ulteriormentesanzionare » (138).

(136) Corte Cost. 30-6-1986 n. 184 cit.(137) « E non va provato, come la giurisprudenza insegna, che la

menomazione bio-psichica del soggetto offeso in concreto abbia impedito lemanifestazioni, le attività extralavorative non retribuite, ordinarie che, ac-canto alle attività lavorative retribuite, esprimono, realizzandola, la salute insenso fisio-psichico ». Corte Cost. 30-6-1986 n. 184 cit.).

(138) Corte Cost. 30-6-1986 n. 184 cit. Non a caso la sentenza era stataestesa da un professore di diritto e procedura penale.

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In tale ottica, l’art. 15 del codice della privacy che, come siè rilevato, ha posto regole speciali per la risarcibilità del dannonon patrimoniale da lesione della privacy nella considerazionedella particolare debolezza nella quale si trova non soltantol’interessato rispetto al titolare del trattamento ma rispetto a‘chiunque’, verrebbe ad ascriversi fra quelle norme attraverso lequali il legislatore ordinario ha previsto il risarcimento inrelazione a fatti illeciti “da prevenire ed ulteriormente sanzio-nare”.

Per di più la circostanza che tale norma si applichi in casodi danno da chiunque cagionato “ad altri per effetto del tratta-mento di dati personali”, la renderebbe applicabile agli innu-merevoli casi in cui l’illecito trattamento comporti il mancato« rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali, nonché delladignità dell’interessato, con particolare riferimento alla riser-vatezza, all’identità personale e al diritto alla protezione deidati personali » (art. 2, d. lgs. 30-6-2003 n. 196); in altri terminiogniqualvolta il trattamento dei dati si riveli illecito esso andràa ledere diritti fondamentali costituzionalmente protetti allacui violazione corrisponderà un risarcimento.

D’altronde, verrebbe da aggiungere, anche in altri settorinei quali l’ordinamento ha previsto la risarcibilità del dannonon patrimoniale nel caso di lesione di diritti fondamentali lagiurisprudenza ha disposto il risarcimento di tale danno senzarichiedere alcuna prova delle conseguenze dannose derivantidalla violazione della norma di legge.

Si pensi al riguardo alla c.d. Legge Pinto (139), la quale,anche se più volte riformata al fine di ridurne gli effetti deleteriper la casse dello Stato (140), prevede il risarcimento (rectius,

(139) L. 24-3-2001 n. 89 (Previsione di equa riparazione in caso diviolazione del termine ragionevole di durata del processo).

(140) Il legislatore ha cercato negli anni di arginare, per così dire,l’assalto alla diligenza al quale ha dato luogo la legge Pinto in un Paese noncerto famoso per la celerità dei suoi processi con una serie di riforme voltenon già ad accelerare il “servizio-giustizia” bensì a scoraggiare le richieste dirisarcimenti diminuendone il quantum in spregio alle indicazioni della Cedue gravando le parti processuali di oneri volti ad “accelerare” il processo. Conla legge c.d. di stabilità 2016 in particolare è stato ridotto il diritto all’inden-nizzo, che ora, in base al nuovo art. 2 bis, ammonta ad una somma noninferiore adE 400,00 e non superiore adE 800,00 per ciascun anno o frazione

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un’equa riparazione) per il danno non patrimoniale subito datutte le parti del processo a prescindere dalle conseguenzenegative loro derivate dalla sua ingiustificata durata ed indi-pendentemente dalla circostanza che esse siano risultate divolta in volta vincitrici o soccombenti (141).

Orbene, nonostante sia innegabile che la violazione deidiritti fondamentali (l’elenco sopra riportato richiama insostanza tutti i diritti della personalità) tutelati dal codice del-la privacy si configuri come un fatto da reprimere (e ciò ètestimoniato dalle molteplici fattispecie contemplate nellostesso codice nelle quali il trattamento scorretto può con-cretizzare ipotesi di reato (142) o di illecito amministrati-

superiore a sei mesi (mentre prima ammontava ad una somma non inferioread E 500,00 e non superiore ad E 1.500,00 per anno), ed inoltre sono statiintrodotti dei rimedi c.d. preventivi (art. 1 ter), che rendono la domanda diequa riparazione inammissibile se fatta valere da chi non abbia esperito dettirimedi. Si pensi, nel processo civile, all’introduzione della necessità di averfatto ricorso al procedimento sommario ex art. 702 bis c.p.c. o all’introdu-zione dell’art. 2-septies, secondo il quale « si presume parimenti insussistenteil danno quando la parte ha conseguito, per effetto della irragionevole duratadel processo, vantaggi patrimoniali eguali o maggiori rispetto alla misuradell’indennizzo altrimenti dovuto ». Cfr., al riguardo, G. Scarselli, Le modifi-che alla c.d. Legge Pinto posta in essere dalla Legge di stabilità 2016, foroita-liano.it. Si pensi ancora, con riferimento al processo amministrativo, all’art.54, co. 2, d.l. n. 112 del 2008, il quale nel riformare la Legge Pinto hacondizionato la proponibilità della domanda di equo indennizzo al depositoda parte di ciascuno dei richiedenti della c.d. istanza di prelievo. Cfr., però alriguardo Cedu, sez. I, 25-2-2016, ricorsi n. 17708, 17717, 17729, 22994/2012secondo la quale « anche in caso di mancata presentazione dell’istanza diprelievo, sussiste la violazione dell’art. 6 della Convenzione quando il pro-cesso amministrativo eccede la ragionevole durata ».

(141) Tra le tante, cfr., Corte Appello Palermo n. 150 del 2005, jurisdata,secondo la quale « la semplice pendenza di una controversia giudiziaria di persé rappresenta per le parti fonte di un continuo stato di disagio, connessoanche alla necessità di dover far fronte al periodico anticipo delle spese didifesa ».

(142) Cfr. d. lgs. 196/2003 cit, art. 167 (Trattamento illecito di dati) 1.Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, al fine di trarne per séo per altri profitto o di recare ad altri un danno, procede al trattamento di datipersonali in violazione di quanto disposto dagli articoli 18, 19, 23, 123, 126 e130, ovvero in applicazione dell’articolo 129, è punito, se dal fatto derivanocumento, con la reclusione da sei a diciotto mesi o, se il fatto consiste nellacomunicazione o diffusione, con la reclusione da sei a ventiquattro mesi. 2.

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vo (143)) l’attribuzione della sola funzione punitiva a talerisarcimento comporta quale conseguenza inaccettabile l’ado-zione di sentenze come quella di primo grado relativa al CasoVieri, nel quale senza aver richiesto alcuna prova del dannosono state condannate l’Inter e la Telecom, dotate certamentedi “deep pocket”, o quella nella quale si è risarcito in manieradel tutto identica la violazione del diritto all’oblio di un risto-rante e del suo proprietario.

D’altra parte, come si è visto nel caso della pubblicazione didati sensibilissimi ad opera del sito della Corte dei Conti, nonpossono accogliersi favorevolmente neppure le conseguenzeche derivano dalla considerazione del danno non patrimonialeda lesione della privacy come, ci si scusi per il gioco di parole,danno conseguenza, nel quale i pregiudizi risarcibili devonoessere di volta in volta dimostrati e quantificati dal danneggiatoquale conseguenza immediata e diretta dell’illecito; in taleottica erra certamente la Suprema Corte laddove continua ad

Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, al fine di trarne per séo per altri profitto o di recare ad altri un danno, procede al trattamento di datipersonali in violazione di quanto disposto dagli articoli 17, 20, 21, 22, commi8 e 11, 25, 26, 27 e 45, è punito, se dal fatto deriva nocumento, con lareclusione da uno a tre anni.

(143) Cfr. d.lgs. 196/2003 cit., art. 161. (Omessa o inidonea informativaall’interessato) 1. La violazione delle disposizioni di cui all’articolo 13 è punitacon la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da seimila euroa trentaseimila euro. Art. 162 (Altre fattispecie) 1. La cessione dei dati in vio-lazione di quanto previsto dall’articolo 16, comma 1, lettera b), o di altre di-sposizioni in materia di disciplina del trattamento dei dati personali è punitacon la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da diecimila euroa sessantamila euro. 2. La violazione della disposizione di cui all’articolo 84,comma 1, è punita con la sanzione amministrativa del pagamento di unasomma da mille euro a seimila euro. 2-bis. In caso di trattamento di dati per-sonali effettuato in violazione delle misure indicate nell’articolo 33 o delle di-sposizioni indicate nell’articolo 167 è altresì applicata in sede amministrativa,in ogni caso, la sanzione del pagamento di una somma da diecimila euro acentoventimila euro. Nei casi di cui all’articolo 33 è escluso il pagamento inmisura ridotta. 2-ter. In caso di inosservanza dei provvedimenti di prescrizionedi misure necessarie o di divieto di cui, rispettivamente, all’articolo 154, comma1, lettere c) e d), è altresì applicata in sede amministrativa, in ogni caso, lasanzione del pagamento di una somma da trentamila euro a centottantamilaeuro. 2-quater. La violazione del diritto di opposizione nelle forme previstedall’articolo 130, comma 3-bis, e dal relativo regolamento è sanzionata ai sensidel comma 2-bis del presente articolo.

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affermare che « il danno previsto dall’art. 15 del Codice dellaprivacy (d.lgs. 196/2003) non si risolve nel mero danno evento,ossia nel trattamento illecito dei dati personali, essendo neces-sario accertare un pregiudizio concreto della sfera non patri-moniale di interessi del danneggiato. Tale danno, quale danno-conseguenza, deve essere allegato dal danneggiato e, dunque,da lui provato » (144).

Ed infatti ove si assista ad un trattamento di dati personaliseriamente lesivo di un diritto inviolabile è corretto ritenereche, salva prova contraria, vi debba essere una presunzione didanno risarcibile.

La teorica del danno conseguenza finirebbe con l’attribuireall’art. 15 del codice della privacy soltanto una funzione dicompensazione di una perdita; funzione, questa, richiamatadalla storica sentenza c.d. “Mengoni” (145) in relazione aldanno da perdita dei congiunti (c.d. danno da rimbalzo), con laquale la Corte Costituzionale, nella considerazione che « l’og-getto del risarcimento non può consistere se non in una perditacagionata dalla lesione di una situazione giuridica soggettiva »ha ritenuto che anche laddove « la prova della lesione è, in reipsa, prova dell’esistenza del danno », tale prova non è suffi-ciente ai fini del risarcimento essendo « sempre necessaria laprova ulteriore dell’entità del danno » (146).

In realtà, a parte la considerazione secondo la quale « iconcetti di danno evento e di danno conseguenza sono destinatia scomparire dal linguaggio curiale » (147), è stato corretta-mente osservato che « sul piano applicativo le due impostazionidivergenti sembrano però conciliabili, dato che in pari tempo sipuò affermare, con la sentenza n. 184, che la prova della lesioneè sufficiente ai fini del risarcimento; e che l’accertamento deldanno da risarcire è necessario come pure correttamente af-ferma la sentenza n. 372/1994. Ciò perché la prova del danno èin re ipsa, non soltanto per ciò che riguarda l’esistenza di esso,ma anche per quanto riguarda la sua entità. Insomma il dannobiologico non si può provare senza che se ne provi contestual-

(144) Cass. 5-9-2014, n. 18812, www.altalex.it.(145) Corte Cost. 27-7-1994 n. 372 cit.(146) Corte Cost. 27-7-1994 n. 372 cit.(147) In tal senso Franzoni, Il danno risarcibile cit., 622.

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mente la consistenza; con il che, allora, della prova di questaseconda non v’è necessità perché essa fa tutt’uno con la provaconcernente l’esistenza del danno. Se infatti il danno alla saluteè costituito da una menomazione psico-fisica, la prova di que-sto è in pari tempo prova della misura nella quale la salute hasubito una diminuzione » (148).

Non è ovviamente questa la sede per ripercorrere la lunga etravagliata storia del danno biologico e delle influenze di talestoria su quella del danno alla persona.

Occorre però rilevare ancora una volta come siano cambiatigli attori dell’evento dannoso: alla persona fisica si è sostituitala personalità del danneggiato, arricchendola del suo essere nelsociale e sempre in tale ottica si è sostituita alla persona fisicala persona virtuale, sicché il danno biologico è divenuto sol-tanto uno degli aspetti, e non sempre il più importante, che ilgiudice deve tenere presente al fine di quantificare il risarci-mento (così come, come meglio si vedrà, l’attenzione del giu-dice sempre agli stessi fini si è in parte spostata dall’eventodannoso alla figura del danneggiante).

D’altronde « un dato costante nel percorso che ha portatoall’affermazione del danno biologico è che questo doveva essererisarcito in applicazione dell’art. 2043 e non dell’art. 2059 c.c. lacui riserva di legge era intesa in senso rigoroso » (149); ciòaveva comportato, come si è detto, una dilatazione del concettodi patrimonialità del danno oltre ogni ragionevole con-fine (150), facendo sì non soltanto che la salute divenisse unaspetto del patrimonio della persona, ma riconducendo all’in-terno del danno biologico tutti quegli aspetti della persona chenon potevano essere risarciti alla luce dell’interpretazione re-strittiva dell’art. 2059 c.c.

Il danno biologico diveniva così da un lato sinonimo didanno alla persona; danno alla persona che, con una vera epropria finzione, veniva considerato danno patrimoniale men-tre per contro, si ripete, veniva considerato danno non patri-moniale il solo danno morale soggettivo da reato, da risarcireattraverso la c.d. pecunia doloris.

(148) Castronovo, La nuova responsabilità civile cit., 66.(149) Franzoni, Il danno risarcibile cit., 411.(150) Ivi, 414.

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Ben presto ci si rese però conto, come rilevato, dell’artifi-ciosità di tale distinguo; più precisamente, dopo che già con lasentenza n. 372 del 1994 la Corte Costituzionale aveva recupe-rato l’art. 2059 c.c. come “luogo della tutela della persona”, conle ormai famose sentenze gemelle n. 8827 e 8828 del 2003 laCorte di Cassazione, ampliando ancor di più le maglie dell’art.2059 c.c., affermò che « il rinvio ai casi in cui la legge consentela riparazione del danno non patrimoniale ben può essereriferito dopo l’entrata in vigore della Costituzione, anche alleprevisioni della legge fondamentale, atteso che il riconosci-mento nella Costituzione dei diritti inviolabili della personanon aventi natura economica implicitamente, ma necessaria-mente, ne esige la tutela, ed in tal modo configura un casodeterminato dalla legge, al massimo livello, di riparazione deldanno non patrimoniale » (151).

Alla luce di tale interpretazione si andò così superandol’orientamento secondo il quale il risarcimento del danno bio-logico veniva ricondotto al collegamento tra l’art. 2043 c.c. el’art. 32 cost., con la conseguenza che alla luce di tale evolu-zione interpretativa il danno biologico ritornava nell’alveo del-l’art. 2059 c.c. « dopo che per quasi un trentennio, aveva trovatouna collocazione nell’art. 2043 » (152).

L’avere considerato il danno biologico (rectius, il danno allapersona) come danno non patrimoniale da risarcire ai sensidell’art. 2059 c. c. a prescindere dalla commissione di un fattodi reato, ha fatto sì che il danno non patrimoniale sia venuto acoincidere con il danno da lesione dei diritti costituzionalmentequalificati.

Mentre la considerazione del danno alla persona comedanno biologico in re ipsa ex art. 2043 c.c. da un lato e lavalutazione del danno morale soggettivo come danno da reatoex art. 2059 c.c. e 185 c.p. avevano comportato una visionepunitiva del risarcimento (che in tale ottica veniva accostatoall’illecito penale), la considerazione del danno non patrimo-niale (e dunque anche di quello biologico) come danno conse-

(151) Cass. 31-5-2003, n. 8827 e 8828, Corr. giur., 2003, 1017, con notadi M. Franzoni, Il danno non patrimoniale, il danno morale: una svolta neldanno alla persona.

(152) Franzoni, Il danno non patrimoniale cit.

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guenza è alla base di quella giurisprudenza che richiede nonsoltanto la prova del fatto lesivo ma anche quella delle conse-guenze da esso derivanti in una visione meramente compensa-tiva del risarcimento.

Da qui, l’imporsi di una visione dell’illecito civile (del tuttoslegata da quello penale) la cui funzione diviene quella dicompensare il danneggiato delle perdite subite con uno sposta-mento dell’accento dal fatto illecito al danno ingiusto.

Da tale punto di vista si è rilevato che « il diritto privato nonha bisogno di prendere a prestito da altre branche del dirittofunzioni non sue; al contrario esso è in grado di accogliere nellapropria compagine nuovi interessi, secondo che la società vadasciorinandoli nel suo continuo divenire, adattando a questi, oveoccorra, i propri istituti e modelli senza perdere la propriaidentità » (153).

Se poi si considera che « in un sistema come quello italiano,che non distingue più tra i diversi gradi della colpa, la pretesafunzione sanzionatoria della responsabilità civile ne risultaimplicitamente rifiutata » (154), si comprende come mai il ri-sarcimento del danno non patrimoniale continui ancora oggiad assolvere una funzione riparatoria.

Tale riparazione però è diversa da quella assolta dal risar-cimento del danno patrimoniale proprio perché è originaria-mente intraducibile in una somma di denaro, con la conse-guenza che per essa è certamente di difficile applicazione ilrichiamo alle voci di danno patrimoniale richiamate dall’art.1223 c.c. (155).

Ed infatti, « se il risarcimento del danno patrimoniale, nelripagare il danneggiato per la perdita inflittagli con il fattoillecito, svolge un’indubbia funzione riparatoria, così non puònon essere anche per il danno non patrimoniale, ove l’intradu-cibilità originaria in somma di denaro di ciò che è altro del

(153) C. Castronovo, Il danno non patrimoniale nel cuore del dirittocivile, in questa Rivista, 2016, 299.

(154) Ivi, 299.(155) Cfr., al riguardo, A. Di Majo, La responsabilità civile nella prospet-

tiva dei rimedi: la funzione deterrente, in questa Rivista, 2008, 296, secondo ilquale « regola di risarcimento è indubbiamente l’art. 2059 così come regole dirisarcimento per il danno patrimoniale sono gli artt., 1223 e seg. ».

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patrimonio significa soltanto che la funzione riparatoria vienesvolta in maniera diversa. Se ci chiediamo quale sia questamaniera diversa, essa coincide precisamente con l’inapplicabi-lità diretta dell’art. 1223 cod. civ. al risarcimento del danno nonpatrimoniale...Da un lato infatti l’intera disciplina del risarci-mento del danno oggi contenuta negli artt. 1223 e seguenti siriferisce direttamente al danno da inadempimento, il quale asua volta si identifica storicamente con il danno patrimoniale[...] dall’altro, la disciplina dei fatti illeciti, la quale pure inmateria di risarcimento all’art. 2056 cod. civ. fa rinvio agli artt.1223, 1226 e 1227, situa la norma riguardante il danno nonpatrimoniale all’art. 2059, fuori dal perimetro del danno patri-moniale nel quale è ricompreso l’art. 2056 » (156).

Tornando dunque alla lesione della privacy, non si tratteràsoltanto di compensare una perdita quanto piuttosto di ripa-rare ad un comportamento scorretto-illecito (contrattuale oextracontrattuale che sia) attraverso la corresponsione di unasomma volta tanto soddisfare il danneggiato (funzione satisfat-tiva), quanto a punire un torto che provenendo come si è vistoda soggetti dotati di un potere di gestione su valori fondamen-tali si configura come antigiuridico anche perché viene a violaregli obblighi di protezione ormai propri dei rapporti “asimme-trici” (157) (funzione deterrente e sanzionatoria), quanto an-cora a ristabilire un equilibrio tra danneggiato e danneggiante(funzione solidaristica).

Soltanto in tale ottica solidaristica si può infatti giustificareun sistema risarcitorio nel quale, ad esempio, il ricco debbapagare più del povero, e compensare appunto la genetica asim-metria del rapporto.

(156) Castronovo, Il danno non patrimoniale cit., 300; Id., La responsa-bilità civile in Italia nel passaggio del millennio, in questa Rivista, 2003, 997,nota 32 nella quale l’a. afferma: « anch’io avevo sostenuto l’applicabilitàdell’art. 1223 c.c. al danno non patrimoniale; ma una volta chiarito che l’art.2059 è, in materia di danno non patrimoniale il pendant dell’art. 1223 ...nonc’è più spazio per l’art. 1223 ».

(157) Categoria, questa, che va oggi ben al di là dei contratti traprofessionisti e consumatori. È emblematico il fatto che il soggetto che trattai dati personali sia chiamato dalla legge soggetto « titolare » del trattamento,mentre il vero titolare dei dati venga definito soggetto « interessato »; sembracosì che il legislatore abbia ritenuto che la « parte forte » che ha il potere ditrattare i dati altrui ne diventa il « titolare ».

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D’altronde una funzione meramente compensativa dellanormativa civilistica è concepibile soltanto in una visione pan-dettistica o veterocodicistica che presuppone un’astratta egua-glianza dei soggetti del diritto, e che anzi identifica tali soggetticon il bonus pater familias.

Una volta che, a partire dalla fine della seconda guerramondiale, la normativa civilistica ha preso atto di una serie dirapporti che di per sé sono asimmetrici (dalle locazioni abita-tive al rapporto di lavoro per arrivare oggi alla normativaconsumeristica (158)) è lo stesso legislatore che interviene perattuare quella funzione riequilibratrice della quale si è appenadetto anche attraverso la previsione di condanne a somme didenaro.

A ciò è da aggiungere che il tenere conto delle “condizionieconomiche delle parti” se da un lato non implica necessaria-mente una finalità punitiva, dall’altro non è operazione nuovaal sistema della responsabilità civile contemplato nel nostroordinamento.

Se per un verso infatti un sistema di responsabilità confunzioni punitive non dovrebbe tenere affatto conto delle con-dizioni economiche delle parti, dato che tutti dovrebbero esserepuniti in maniera uguale, per altro verso il codice civile, propriocon finalità riequilibratrici, contiene ad esempio una previsionecome quella dell’art. 2047 c.c., secondo la quale « nel caso in cuiil danneggiato non abbia potuto ottenere il risarcimento da chiè tenuto alla sorveglianza (dell’incapace) il giudice, in conside-razione delle condizioni economiche delle parti, può condan-nare l’autore del danno a un’equa indennità »; previsione, que-sta, « dettata dall’ordinamento al fine di soddisfare l’esigenza diriparazione della persona danneggiata, in base a principi disolidarietà sociale che coinvolgono lo stesso soggetto leso, sulquale il danno finisce sovente per gravare, almeno inparte » (159).

Tale funzione riequilibratrice non era dunque estranea alcodice civile del 1942; essa però in tutta evidenza è venuta atrovare nuova linfa con l’avvento della Costituzione: basti con-

(158) Al riguardo N. Irti, L’età della decodificazione, rist. (Milano 1999),passim.

(159) Trib. Macerata 20-5-1986, Dir. famiglia 1987, 209.

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siderare che l’art. 2, che a sua volta va letto in relazione sia alprimo che al secondo comma dell’art. 3 cost. segna un passag-gio nella centralità del mondo giuridico dal bonus pater familiasidentificato quale homo oeconomicus all’uomo “persona”, sog-getto giuridico che è tale nel suo correlarsi con la società interae nei gruppi sociali nei quali opera e per ciò stesso è ad untempo soggetto di diritti e di doveri sociali.

In altri termini nella Costituzione italiana i diritti inviolabilidell’individuo non vengono tutelati solo nei confronti delloStato ma anche nei confronti di tutti gli altri soggetti giuridiciai quali per contro solo per essere uomini-persona incombonodoveri inderogabili di “solidarietà politica, economica e so-ciale” (160).

Ed è proprio alla luce di tale trasformazione dei soggettigiuridici che oggi appare anacronistica la sentenza del caso“Gennarino”, sentenza che aveva una sua logica in una visionemeramente economica che il diritto civile aveva del soggettodanneggiato; soggetto danneggiato al quale veniva negato ov-viamente ogni diritto alla ricerca della felicità.

A ciò si aggiunga che anche l’ordinamento comunitario, nelpassaggio dall’Europa dei mercati all’Europa dei diritti (161),ha posto “la persona al centro della sua azione” non avendo piùavuto come « unico riferimento il market citizen ma un citta-dino pienamente inserito in un flusso di relazioni soli-dali » (162).

Orbene, in tale processo di riconoscimento della rilevanzadella persona ha assunto certamente rilievo la dimensionerelativa ai dati personali; come è stato affermato infatti « se ècertamente riduttivo, e pericoloso, affermare che noi siamo inostri dati, è pur vero che la nostra vita sta ormai diventandouno scambio continuo di informazioni, che viviamo in unflusso ininterrotto di dati, sì che costruzione, identità, ricono-scimento della persona dipendono in maniera sempre più ine-

(160) Si ha così il passaggio « da una situazione in cui la solidarietà eraparte dei doveri morali a una in cui è stata affidata all’artificio del diritto ». S.Rodotà, Solidarietà. Un’utopia necessaria (Bologna 2014), 41.

(161) Su tale “passaggio” cfr., per tutti, Rodotà, Solidarietà cit., passim.(162) Ivi, 33.

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stricabile dal modo in cui viene considerato l’insieme dei datiche la riguardano » (163).

Da qui l’esigenza di non affidare unicamente la costruzionedella nostra persona ad altri, che organizzano i nostri datisecondo i loro fini, espropriandoci del diritto di mantenere ilcontrollo su questo nuovo corpo (164).

A tale diritto di controllo sulla costruzione della persona,considerato come diritto fondamentale, corrisponde un doverenon soltanto di correttezza, ma anche di solidarietà da parte dichi si trova a disporre di quei dati, nel senso di rinuncia ad ognicalcolo utilitaristico laddove esso contrasti con la realizzazionedell’altrui diritto, se non alla felicità, quantomeno alla serenità.

Sicché in tali rapporti diviene indifferente la presenza omeno di un rapporto contrattuale dato che in ogni caso chi sitrova a trattare dati personali altrui (chiunque) dovrà assicu-rare, si ripete, la serenità del soggetto interessato quantomenosulla circostanza che la circolazione dei suoi dati non gli arre-cherà alcun pregiudizio.

A tale diritto corrisponde inoltre per quanto qui rileva, unaresponsabilità ogni qual volta l’operazione di trattamento, svol-gendosi in contrasto con la tutela dei diritti fondamentali (as-sicurata in questo caso anche dalle norme del codice dellaprivacy) leda la dignità dell’interessato (165), limite e mezzo perla costruzione della personalità e ostacoli il suo diritto allaserenità ed alla ricerca della felicità.

Tale responsabilità, come rilevato, viene non a caso acco-stata dalla legge a quella derivante da esercizio di attivitàpericolose, dato che il “materiale maneggiato” è per l’appuntoin sé fonte di potenziale pericolo; così come chi costruiscegiochi di fuoco sa che basta un niente perché tutto salti in aria,così alla stessa maniera chi è in possesso di dati personali sache tali dati, se utilizzati senza le dovute precauzioni, possonoarrecare gravissimi danni al soggetto interessato.

(163) Rodotà, Il diritto di avere diritti cit., 159.(164) Ibidem.(165) « Se la rivoluzione dell’uguaglianza era stato il connotato della

modernità, la rivoluzione della dignità segna un tempo nuovo, è figlia delNovecento tragico, apre l’età del rapporto tra persona, scienza tecnologia ».Rodotà, Il diritto di avere diritti cit., 184.

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Affermare dunque che una volta dimostrata la lesione divalori fondamentali spetti un risarcimento non vuol dire attri-buire a tale risarcimento una funzione punitiva, ma soltantoconstatare che « la responsabilità civile non può avere un’unicafunzione, ma una pluralità di funzioni (preventiva, compensa-tiva, sanzionatoria, punitiva) che possono tra loro coesi-stere » (166).

E non vuol dire neppure invocare direttamente le normecostituzionali per riempire di contenuto norme contrattuali oextracontrattuali (167) senza passare dai filtri costituiti per leprime dalla violazione della regole di correttezza/buona fede oper le seconde dalla ingiustizia del danno; ma soltanto leggerequei canoni codicistici alla luce dei valori contemplati dallaCarta fondamentale.

7. I “nuovi” danni alla persona hanno riacceso il dibattittosulle diverse funzioni della responsabilità civile; dibattito, que-sto, in realtà mai sopito (168) che, come si è sinora rilevato, viveda sempre in simbiosi con quello concernente la quantifica-zione del danno (169).

In altri termini, come si è rilevato all’inizio del presentelavoro, il problema dell’an del risarcimento del danno allapersona viene a coincidere con quello del quantum; il che, sipotrebbe dire, è quasi lapalissiano: dal processo per legis actiosacramenti (quanto scommettete? Chi scommette di più?) alprocesso formulare che sostituiva al bene oggetto della contro-versia una somma di denaro, è logico che il problema civilisticodel danno si risolve in un giudizio sul quantum, dato che se nonc’è danno non c’è risarcimento e se non c’è risarcimento èperché non c’è danno.

Per quanto però riguarda la responsabilità non patrimo-niale, la responsabilità collegata al “mestiere di vivere” ed al suo

(166) P. Perlingieri, Le funzioni della responsabilità civile, Aa. Vv., Lafunzione deterrente della responsabilità civile alla luce delle riforme stranieree dei Principles of European Tort Law, a cura di P. Sirena (Milano 2007), 273.

(167) Cfr. Mazzamuto, Il danno non patrimoniale cit.(168) Cfr. P. Sirena, Introduzione, La funzione deterrente cit., VII.(169) E. Navarretta, Funzioni del risarcimento e quantificazione dei

danni non patrimoniali, La funzione deterrente cit., 217.

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correlato “male di vivere”, il problema ha però le sue peculia-rità, dato che essendo tale danno non già collegato all’homooeconomicus, bensì all’uomo in quanto bipede implume sen-ziente, per quantificare il danno occorre risolvere un problemadi fondo che da sempre appassiona tanto i filosofi quanto igiuristi; quanto vale l’uomo? Esiste un valore dell’umanitàovvero occorre pesare l’uomo caso per caso? E in tale ipotesi,qual è la misura ponderale da adottare? Quella parametrata aGennarino o quella parametrata al famoso o ex famoso calcia-tore? E se il danno esistenziale è comunque da parametrare alsoggetto giuridico persona fisica (altro e differente è il pro-blema che si pone per le persone giuridiche) tale danno è a suavolta suscettibile di sfaccettature? Nel caso di sofferenza per laperdita di una persona cara o nel caso di sofferenza per vederedata in pasto al pubblico una propria segreta menomazione siè in presenza di un unico danno, unificato sub specie sofferenzao si è invece in presenza di due danni diversi, l’uno da perditadel congiunto, l’altro da perdita delle propria sfera di privacy?

In altri termini se è vero che il danno alla persona « non puòessere distinto in tanti autonomi danni, in quanto la persona èunità psicofisica indissolubile, un piccolo mondo non divisibilein tante parti quante sono le lesioni che può subire » (170), èanche vero che « nell’individuare il danno subìto, rilevanti sonole specificità e le peculiarità della persona, la sua identitàpersonale, poiché è indiscutibile che le persone hanno egualedignità, ma ciascuna è un mondo a sé e va considerata perquella che è, con prudenza e ragionevolezza, in termini dicompatibilità con il sistema » (171).

A questo punto è facile vedere come al fine di contemperarel’uguaglianza con la diversità, non si possa prescindere dalricercare appigli sistematici nella determinazione di tale quan-tum dato che « il punto centrale della responsabilità, oggi,infatti, è non tanto l’an (l’individuazione della meritevolezza ditutela dell’interesse — là dove ormai alcuni interessi di rile-vanza costituzionale non possono essere tenuti fuori dalla tu-tela anche risarcitoria —) ma il quantum damni in una prospet-

(170) Perlingieri, Le funzioni cit., 275.(171) Perlingieri, Le funzioni cit., 275.

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tiva di solidarietà sostenibile attenta al bilanciamento dei prin-cipi e valori coinvolti » (172).

È ancora da aggiungere che, proprio nell’ottica solidaristicaalla quale si accennava sopra, accanto al principio di ugua-glianza formale (tutti gli uomini sono uguali e tutti meritano lostesso risarcimento) entra in gioco il principio di uguaglianzasostanziale (per il quale non tutti i risarcimenti devono essereuguali potendo la sofferenza di chi non ha niente essere mag-giore rispetto a quella di chi ha tutto); per di più, proprio in taleottica viene in considerazione non soltanto la figura del dan-neggiato ma anche quella del danneggiante, un tempo del tuttoopaca e fuori luce nell’ambito della responsabilità civile, salvo icasi nei quali tale responsabilità fosse derivata dal compimentodi un reato (art. 2019 c.c. - art. 185 c.p.).

Ed infatti dottrina e giurisprudenza sono sempre più at-tente a correlare la misura del danno da risarcire non soltantoalla figura del danneggiato ma anche alla figura del danneg-giante.

Basti pensare da un lato che « non è infatti da escludere cherispetto ad un’offesa cagionata da chi, consapevole delle pro-prie possibilità economiche, agisca senza alcuna remora neiconfronti della vittima si possa inferire una maggiore rabbia esofferenza da parte del danneggiato » (173); dall’altro che, spe-cie nella liquidazione del danno morale conseguente alla le-sione dell’onore e della reputazione, allo stesso modo di quantoè previsto per ogni altro risarcimento del danno per fattoillecito i parametri comunemente utilizzati sono quelli dellagravità dell’addebito, della sua evidenza, della qualità del sog-getto offensore e di quello leso (174); con l’ulteriore conse-guenza che ad esempio l’estrema povertà del danneggiantepotrebbe portare a risarcimenti quasi simbolici.

Si ha così che nel rapporto danneggiante danneggiato l’ot-tica del giudice sembra spaziare da un estremo all’altro, nonchénell’ambito della stessa figura danneggiato e nella stessa figuradanneggiante.

(172) Perlingieri, Le funzioni cit., 272.(173) Navarretta, Funzioni del risarcimento cit., 225.(174) Cfr. Cass. 3-12-2007 n. 25171, jurisdata.

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Per quanto riguarda il danneggiato basterà pensare ancorauna volta alla emblematica dicotomia Gennarino-Vieri; perquanto riguarda il danneggiante per contro l’ottica risarcitoriaondivaga tra una logica punitiva, che fa crescere l’entità delrisarcimento in relazione al crescere dello status socio econo-mico del danneggiante alla logica solidaristica che riduce percontro l’entità del risarcimento col diminuire del suo statussocio economico.

In altri termini in tali tipi di giudizio non si tende piùsoltanto a reintegrare il patrimonio morale (circonlocuzioneperaltro del tutto ad effetto ed approssimativa), quanto piutto-sto a introdurre un principio di riequilibrio di dignità sociale;con la conseguenza che si presuppone che l’offesa fatta da chipuò tenere in poco calo l’entità economica del danno da risar-cire venga punita condannandolo ad un plus che viene corre-lato non tanto al soggetto danneggiato bensì alla sofferenza chela misura del danno può arrecare al danneggiante, con scopoappunto, per usare un linguaggio, caro alla giurisprudenzaCedu tanto punitivo che dissuasivo.

Non a caso per la Corte di Strasburgo continua ad essere deltutto indifferente la qualificazione (penale o amministrativa oaltro ancora) data alla pena afflittiva dai legislatori o dai varigiudici: laddove la misura afflittiva risponda agli Engels crite-ria (175) essa deve essere considerata comunque sanzione pe-nale.

Tale soluzione, nella sua concretezza lontana da ogni pre-supposto dogmatico, potrebbe essere ritenuta maggiormenteidonea a regolare un mercato dei risarcimenti ormai unico nelquale i singoli ordinamenti non possono certamente pretenderedi imporre le concezioni in essi impostesi in relazione allefunzioni dei singoli istituti giuridici, e potrebbe persino risul-tare applicabile alla responsabilità civile, nel senso di far accet-

(175) Cfr., al riguardo, Cedu 8-6-1976, C-5100/71, Engel v. Olanda, intema di sanzioni detentive disciplinari-militari, nella quale la Corte ha rile-vato che « al fine di stabilire la sussistenza di una accusa in materia penaleoccorre tenere presenti tre distinti criteri: la qualificazione giuridica dellamisura in causa nel diritto nazionale, la natura stessa di quest’ultima, e lanatura e il grado di severità della sanzione. Questi criteri sono peraltroalternativi e non cumulativi ».

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tare all’interprete che in determinate ipotesi una determinataprestazione patrimoniale imposta al danneggiante (dal risarci-mento alla riparazione) possa assolvere anche ad una funzionepunitiva, oltre che compensativa, solidaristica e satisfattiva; talifunzioni, così come le singole voci di danno (biologico, esisten-ziale, ecc.) potranno assumere valore descrittivo contribuendocosì a determinare il quantum del risarcimento; non si spieghe-rebbe altrimenti, se non in relazione ad una funzione solidari-stica, come mai in fattispecie identiche il ricco debba pagarepiù del povero; il disprezzo per l’altrui persona manifestato dachi si può permettere di arrecare un’offesa nel presupposto di“potersi permettere qualunque risarcimento” suscita certa-mente un senso di frustrazione nel danneggiato, oltre che unamaggiore riprovazione sociale tale da imporre l’adempimentodi quei doveri di solidarietà ai quali si riferisce l’art. 2 cost.

La funzione solidaristica, si ribadisce, altra faccia dellafunzione consolatoria, fa, per così dire, da collante tra le variefunzioni della responsabilità civile. La circostanza che la re-sponsabilità civile abbia la funzione di restaurare una lesione,di riparare un danno, non esclude che, specie ove volta ariparare la sfera non patrimoniale del danneggiato, essa possaassolvere anche a quella di sanzionare una grave violazione deivalori cardine dell’ordinamento; tale sanzione viene difatti ap-prontata dall’ordinamento non soltanto nei rapporti tra il dan-neggiante ed i pubblici poteri deputati a garantire il rispetto diquei valori (il che è compito della sanzione penale) ma anchenei rapporti tra danneggiante e danneggiato ristabilendo quellamicro serenità sociale violata tanto dall’inadempimento quantodal fatto illecito.

Da tale punto di vista non si può prescindere dall’ordinanzan. 9978/2016 con la quale la prima sezione della SupremaCorte, nel rimettere alle Sezioni Unite la questione relativa allariconoscibilità delle sentenze straniere comminatorie di dannipunitivi (176), ha in realtà allargato il thema decidendum alle

(176) Cass. ord. 16-5-2016, n. 9978, www.altalex.it. Si trattava nellaspecie di rendere esecutive nell’Ordinamento italiano tre sentenze pronun-ciate negli Stati Uniti d’America passate in giudicato con le quali una societàproduttrice di caschi per motociclette era stata condannata a manlevare lacasa venditrice per il risarcimento del danno subito da un motociclista

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funzioni della responsabilità civile e, per quanto qui rileva, deldanno non patrimoniale; ordinanza, questa, alla quale ha fattoseguito la recente sentenza delle Sezioni Unite n. 16601/2017 (177) la quale tuttavia non avendo, come si vedrà, dedi-cato spazio alcuno al problema del danno non patrimoniale, siè rivelata come una sorta di occasione mancata ai fini dellasoluzione ai problemi posti nel presente lavoro.

Più precisamente, nell’ordinanza di rimessione, la Cassa-zione aveva ritenuto di poter sottoporre a revisione la tesisecondo la quale è « incompatibile con l’ordinamento italianol’istituto dei danni punitivi che, per altro verso, non è neancheriferibile alla risarcibilità dei danni non patrimoniali o morali.Tale risarcibilità è sempre condizionata all’accertamento dellasofferenza o della lesione determinata dall’illecito e non puòconsiderarsi provata in re ipsa, dato che la progressiva autono-mia della disciplina della responsabilità civile da quella penaleha comportato l’obliterazione della funzione sanzionatoria e dideterrenza e l’affermarsi della funzione reintegratoria e ripara-toria (oltre che consolatoria) » (178).

La Corte non si limitava pertanto a richiedere che le SezioniUnite si pronunciassero sulla compatibilità con l’ordinamentoitaliano dei c.d. danni punitivi ma introduceva anche il pro-blema della prova del danno non patrimoniale.

Orbene, con sentenza n. 16601/2017 (179) le Sezioni Unite

durante una gara per difetti del bene. Nel giudizio promosso dal danneggiatosia nei confronti della casa rivenditrice (NOSA) che nei confronti della casaproduttrice italiana (AXO), la prima aveva accettato una proposta transattivadel motociclista liquidandogli la somma di un milione di euro. Il giudiceamericano, con le sentenze per le quali si era richiesta l’esecutorietà in Italia,aveva ritenuto che la casa produttrice italiana avesse dovuto manlevare larivenditrice per il ‘prezzo’ della transazione. La Corte di appello di Venezia,con sentenza del 3 gennaio 2014 aveva riconosciuto l’efficacia di tali pronuncea norma dell’art. 64 della legge 31 maggio 1995 n. 218, avendo a suo parere laAXO accettato la giurisdizione straniera. V. al riguardo, L. Nivarra, Breviconsiderazioni a margine dell’ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite sui« danni punitivi », Dir. civ. cont., 31-1-2017; A. Montanari, La resistibile ascesadel risarcimento punitivo nell’ordinamento italiano (a proposito dell’ordinanzan. 9978/2016 della Corte di Cassazione), Dir. civ. cont., 2 febbraio 2017.

(177) Cass. s.u. 5-7-2017, dirittocivilecontemporaneo.com.(178) Cass. ord. 16-5-2016 n. 9978 cit.(179) Cass. s.u. 5-7-2017 cit.

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della Suprema Corte, pur avendo ritenuto inammissibile ilricorso poiché fondato sull’insussistente presupposto che nellaspecie vi fosse stata “una liquidazione di danni punitivi infavore della vittima del sinistro” (180), ha ritenuto di poterenunciare, sulla base dell’art. 363, co. 3, c.p.c. il principio didiritto richiesto dalla prima sezione relativo all’ammissibilitànel nostro ordinamento dei c.d. danni punitivi.

Per quanto rileva ai fini del discorso sin qui condottoassumono però, si ripete, maggiore interesse le domande postedall’ordinanza di rimessione rispetto alla risposta fornita dalleSezioni Unite; ed infatti la sentenza 16601/2017, probabilmentenel tentativo di restringere nuovamente il thema decidendumche l’ordinanza di rimessione aveva allargato, non ha fattoalcun accenno né al danno alle persona né al problema dellasua prova. Essa si è infatti limitata a descrivere « il panoramanormativo che si è venuto componendo » (181) negli ultimianni a dimostrazione della circostanza che « nel vigente ordi-namento, alla responsabilità civile non è assegnato solo ilcompito di restaurare la sfera patrimoniale del soggetto che hasubito la lesione, poiché sono interne al sistema la funzione dideterrenza e quella sanzionatoria della responsabilità civile ».Tali funzioni però, ha aggiunto la Suprema Corte, possonoessere assolte soltanto nei casi in cui « qualche norma di leggechiaramente lo preveda » in ossequio agli artt. 23, 24 e 25, co. 2,cost.

Non è questa la sede per provare a formulare un giudizio sutale decisione, anche se non si può non rilevare la contraddi-zione insita nel parlare di funzioni proprie di un istituto ag-giungendo che tali funzioni possano essere assolte soltanto oveleggi speciali o eccezionali le contemplino.

Ciò che qui rileva è che, contrariamente alla sentenza delleSezioni Unite, l’ordinanza di rimessione, al fine di suffragare la

(180) Cass. s.u.. 5-7-2017 cit. « La Corte di appello ha chiaramenteconsiderato la circostanza che tra le parti si era discusso di danni punitivi. Haperò ritenuto che l’accordo non implicasse la liquidazione di danni punitivi eil loro recepimento ma solo che NOSA inc. chiese una rinuncia anche apretese per danni punitivi, in un’ottica di chiusura complessiva dei rapportitra le parti ».

(181) Cass. s.u. 5-7-2017 cit.

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tesi dell’esistenza nel nostro ordinamento di risarcimenti confinalità punitive, aveva portato come esempio, tra gli altri (182),

(182) Cass. ord. 16-5-2016 n. 9978 cit. « Tale evoluzione è testimoniatada numerosi indici normativi che segnalano la già avvenuta introduzione, nelnostro ordinamento, di rimedi risarcitori con funzione non riparatoria, masostanzialmente sanzionatoria. Si possono segnalare, a titolo solo esemplifi-cativo, i seguenti: — la L. 8-2-1948, n. 47, art. 12, che, in materia di diffama-zione a mezzo stampa, prevede il pagamento di una somma « in relazione allagravità dell’offesa ed alla diffusione dello stampato »; — l’art. 96 c.p.c.,comma 3 (aggiunto dalla L. 18-6-2009, n. 69, art. 45), che prevede la condannadella parte soccombente al pagamento di una somma equitativamente deter-minata”, in funzione sanzionatoria dell’abuso del processo (nel processoamministrativo vd. il D.Lgs. 2-6-2010, n. 104, art. 26, comma 2,); — l’art. 709ter c.p.c. (inserito dalla L. 8-2-2006, n. 54, art. 2), in base al quale, nellecontroversie tra i genitori circa l’esercizio della responsabilità genitoriale o lemodalità di affidamento della prole, il giudice ha il potere di emetterepronunce di condanna al risarcimento dei danni, la cui natura assumesembianze punitive; — la L. 22-4-1941, n. 633, art. 158 e, soprattutto, D.Lgs.10-2-2005, n. 30, art. 125 (proprietà industriale), che riconoscono al danneg-giato un risarcimento corrispondente ai profitti realizzati dall’autore del fatto,connotato da una funzione preventiva e deterrente, laddove l’agente abbialucrato un profitto di maggiore entità rispetto alla perdita subita dal danneg-giato, sebbene il cons. 26 della direttiva CE (cd. Enforcement) 29-4-2004, n.48 (sul rispetto dei diritti di proprietà intellettuale), attuata dal D.Lgs. 16-3-2006, n. 140 (v. art. 158), abbia precisato che “il fine non è quello di introdurreun obbligo di prevedere un risarcimento punitivo” (Cass. n. 8730 del 2011 neammette la “funzione parzialmente sanzionatoria, in quanto diretta anche adimpedire che l’autore dell’illecito possa farne propri i vantaggi”); — il D.Lgs.24-2-1998, n. 58, art. 187 undecies, comma 2 (in tema di intermediazionefinanziaria), che prevede, nei procedimenti penali per i reati di abuso diinformazioni privilegiate e di manipolazione del mercato, che la Consobpossa costituirsi parte civile e “richiedere, a titolo di riparazione dei dannicagionati dal reato all’integrità del mercato, una somma determinata dalgiudice, anche in via equitativa, tenendo comunque conto dell’offensività delfatto, delle qualità del colpevole e dell’entità del prodotto o del profittoconseguito dal reato”; — il D.Lgs. 15-1-2016, n. 7 (artt. 3-5), che ha abrogatovarie fattispecie di reato previste a tutela della fede pubblica, dell’onore e delpatrimonio e, se i fatti sono dolosi, ha affiancato al risarcimento del danno,irrogato in favore della parte lesa, lo strumento afflittivo di sanzioni pecunia-rie civili, con finalità sia preventiva che repressiva (il cui importo è determi-nato dal giudice sulla base dei seguenti criteri: gravità della violazione,reiterazione dell’illecito, arricchimento del soggetto responsabile, operasvolta dall’agente per l’eliminazione o attenuazione delle conseguenze dell’il-lecito, personalità dell’agente, condizioni economiche dell’agente) ».

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quello dell’illecito che incide sui beni della persona (183) edaveva citato una sentenza (184) che aveva riguardato proprio laviolazione del diritto alla privacy.

Più precisamente, nella sentenza ricordata dall’ordinanzadi rimessione, si era posto l’accento, al fine di determinare ilquantum del risarcimento (quantum che era stato più voltemodificato nei vari gradi di giudizio) sulla gravità dell’of-fesa (185) e si era affermato che « quando l’illecito incide sui

(183) La Corte allude a tutte quelle ipotesi nelle quali « l’illecito incidesui beni della persona, ove il confine tra compensazione e sanzione sbiadisce,in quanto la determinazione del quantum è rimessa a valori percentuali,indici tabellari e scelte giudiziali equitative, che non rispecchiano esatta-mente la lesione patita dal danneggiato ».

(184) Cass. 26-1-2015, n. 1126, www.altalex.it. Secondo l’ordinanza dirimessione « la recente Cass. n. 1126 del 2015 ha visto nella “gravità dell’of-fesa” un requisito di indubbia rilevanza ai fini della quantificazione del dannonon patrimoniale ».

(185) Più precisamente, era accaduto che nel corso della visita di levaun giovane aveva dichiarato di essere omosessuale, ed a seguito di taledichiarazione non soltanto era stato esonerato dal servizio ma, per di più,sulla base di una comunicazione fatta dall’ospedale militare alla motorizza-zione civile, gli era stato notificato un provvedimento di revisione dellapatente di guida e la predisposizione di un nuovo esame di idoneità psico-fisica. Alla luce di tali circostanze il giovane, lamentando nel comportamentodi entrambe le Amministrazioni statali una palese violazione della privacynonché una vera e propria discriminazione sessuale, chiedeva la condannadegli enti convenuti al risarcimento del grave danno morale patito, quantifi-candolo nella misura di 500.000 euro. Il giudice di primo grado accolse ladomanda, avendo condannato entrambi i Ministeri al pagamento dellasomma di 100.000 euro. La Corte di appello di Catania, pronunciandosull’impugnazione dei convenuti soccombenti, ne accolse in parte il gravamee ridusse ulteriormente l’entità del risarcimento a 20.000 euro, ritenendoesorbitante, oltre che del tutto priva di riscontro motivazionale, la sommariconosciuta dal giudice di primo grado. Secondo il giudice di appello, al finedi ridurre il quantum del risarcimento, appariva « decisiva la circostanza chela patente di guida non risultasse revocata e che la stessa visita avevacertificato la sussistenza delle condizioni di idoneità, pur se limitandole,senza specificazione di alcuna patologia, ad un anno », mentre « l’illegittimadiffusione dei dati afferenti alla identità sessuale » sarebbe rimasta « circo-scritta ad ambito assai ristretto », sicché « non vi era stato pubblico ludibrioe la vicenda si era dipanata per via affatto riservata ». La Suprema Corte, nelcassare con rinvio la sentenza di secondo grado rilevava viceversa che « lagravità dell’offesa, requisito la cui indubbia rilevanza ai fini della quantifica-zione del danno si desume, sia pur a contrario, dalle stesse sentenze delle

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diritti fondamentali della persona il confine tra compensazionee sanzione sbiadisce, proprio poiché la determinazione delquantum è rimessa a valori percentuali, indici tabellari e sceltegiudiziali equitative che non rispecchiano esattamente la le-sione patita dal danneggiato e che dunque non rappresentanouna compensazione a fronte di una perdita che deve esseredimostrata dal danneggiato nel suo esatto ammontare » (186).

Tralasciando ogni ulteriore commento sulla decisione delleSezioni Unite ed in relazione al problema posto dall’ordinanzadi rimessione sulla prova del danno non patrimoniale sarebbedunque bastato ammettere, senza scomodare funzioni propriedi altre branche del diritto, che laddove vengano violati dirittifondamentali della persona il danno è in re ipsa salvo provacontraria proprio in ossequio al principio di solidarietà; prin-cipio che impone di trovare parametri per risarcire un mini-mum standard anche a fronte della lesione dei diritti fondamen-tali richiamati dal codice della privacy.

Mentre infatti in caso di danno biologico il giudice può farericorso ad apposite tabelle non esistono analoghi riferimentiper le altre tipologie di danno alla persona derivante dallalesione di diritti non patrimoniali costituzionalmente tutelati; eper contro il ricorso all’equità ha dato luogo a sentenze estre-mamente divergenti tra di loro.

Interessante nella ricerca di un criterio “oggettivo” di taledanno non patrimoniale è una recente sentenza nella quale ilTribunale di Milano (187) al fine di liquidare il danno nonpatrimoniale ad una parte che era rimasta soccombente in un

sezioni unite di questa Corte dell’11 novembre 2008, appare pertanto predi-cabile, nella specie, con assoluta certezza ». La circostanza che nel caso dispecie la Corte di appello avesse considerato “circoscritto” il danno poiché lavicenda era stata conosciuta soltanto dall’interessato e dai soggetti pubbliciche, dapprima all’ospedale militare, poi in seno alla commissione per lamotorizzazione, si erano occupati del caso non aveva alcuna rilevanza se-condo la Suprema Corte dato che « la stessa instaurazione di un procedi-mento civile e la conseguente conoscenza e conoscibilità pubblica dellavicenda smentisce in radice tale assunto ».

(186) Cass. 26-1-2015, n. 1126, www.altalex.it.(187) Trib. Milano 10-7-2015, n. 8537, Riv. it. med. leg., 2015, con nota

di A. Principato, Il danno non patrimoniale non biologico e la funzione, (non)meramente riparatoria del risarcimento del danno.

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processo nel quale il giudice era stato condannato per corru-zione, ha assunto come criterio le somme previste dal legisla-tore per la liquidazione del danno derivante da ingiusta duratadel processo, avendo considerato “processo ingiusto” e pro-cesso “troppo lungo” casi simili o materie analoghe accomu-nate dal fatto di rappresentare due esempi di violazione deiprincipi a tutela del giusto processo (dall’art. 6 CEDU all’art.111 cost.).

Si trattava più precisamente della nota vicenda denominata“la guerra di Segrate” che aveva coinvolto la CIR S.p.A e laFininvest in relazione alla ristrutturazione della Mondadori,nella quale era stato appurato che la sentenza della Corte diAppello di Roma con la quale era stato annullato il c.d. lodoMondadori per contrarietà ai principi di ordine pubblico inmateria societaria era stata il frutto di dolo del giudice.

La CIR citava in giudizio la Fininvest dinanzi al Tribunaledi Milano, per sentirla condannare al risarcimento del dannonon patrimoniale subito e da essa quantificato in euro32.000.000,00.

Orbene, il giudice, nel decurtare notevolmente tale sommaavendola ridotta ad euro 246.000,00 ha affermato come « oggil’ordinamento preveda espressamente dei criteri risarcitori“base” per il processo che sia ingiusto, come lo e` quello viziatodal dolo del giudizio. Infatti, la lesione del diritto costituzional-mente garantito ad un giudizio reso da un giudice imparzialecostituisce una lesione del più ampio diritto al “giusto pro-cesso” che si sostanzia, per l’appunto, nel principio del giudiceimparziale. Si tratta, cioè, di una lesione dell’art. 6 della Con-venzione Europea dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fonda-mentali e dell’art. 111 Cost. Ebbene, in linea con la giurispru-denza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, la Legge n.89/2001, come risultante per effetto delle modifiche introdottedal D.L. n. 35/2013, n. 35, convertito con modificazioni nellaLegge n. 64/2013 e dal D.L. n. 83/2012, convertito con modifi-cazioni nella Legge n.134/2012, n. 134, prevede espressamenteun criterio di “ristoro” del danno da “processo ingiusto”. A taletitolo, infatti, il giudice può liquidare una somma di denaro noninferiore a 500 euro e non superiore a 1.500 euro annuale (art.2-bis, l. 89 del 2001) ».

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Partendo da tale minimum standard il giudice ha poi prov-veduto alla personalizzazione del danno avendo tenuto contodel « coefficiente di partecipazione soggettiva di ampia inten-sità quale il dolo » che avrebbe amplificato « la sofferenza deldanneggiato, il quale apprende che la lesione ai suoi diritti e`stata arrecata con il precipuo fine di danneggiarlo » (da qui unprimo adeguamento della somma base a E 15.000,00), nonché« l’ampia risonanza nazionale (e non solo) della vicenda » (daqui un secondo adeguamento ad euro 75.000,00) (188).

Orbene, a seguire tale ragionamento, al fine di determinareun minimo risarcitorio per il danno non patrimoniale derivantedalla lesione dei diritti inviolabili (e di quelli tutelati dal codicedella privacy in particolare) si dovrebbero applicare analogica-mente le somme previste dalle tabelle per il risarcimento deldanno biologico; se per salute infatti si intende uno stato dicompleto benessere psicofisico non si vede perché l’angosciache si potrebbe provare per il fatto di vedere la propria imma-gine deturpata agli occhi della società non dovrebbe essereconsiderata una diminuzione di tale benessere.

In altri termini se per il danno biologico sono previstetabelle che determinano un minimum di danno, che potrà poiessere personalizzato, non si vede perché nel caso di danno dalesione dei diritti contemplati dal codice della privacy nonché diogni diritto riconducibile all’art. 2 cost. non si possa procederead una traduzione economica assicurando un minimum stan-dard da personalizzare caso per caso.

È certamente difficile accettare che al fine di assicurarel’equità e la parità di trattamento i singoli aspetti della persona,da quelli fisici a quelli esistenziali, debbano essere “prezzati”alla luce di quelli che sono stati definiti veri e propri « mercu-riali da magazzini generali » (189), specie ove si consideri che,anche laddove il danno provocato sia soltanto fisico (biologico)l’offesa all’integrità fisica non si riduce a quest’ultima ma com-prende sempre una pena ed una sensazione di ammanco (190).

(188) Cfr. Trib Milano 10-7-2015 n. 8537 cit.(189) Castronovo, La nuova responsabilità civile cit., 95.(190) Ibidem.

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Ed è certamente ancor più difficile immaginare una lista didiritti della personalità, elencati secondo una scala assiologica,ai quali venga attribuito un valore economico; non a caso èstato rilevato che tale operazione di monetizzazione, possibileper il corpo fisico alla luce delle misurazioni effettuate dallascienza medica, non sarebbe praticabile per i valori incorporeidella persona in assenza di « altra scienza che abbia dimostratodi avere le competenze attendibili per una simile determina-zione » sicché « il risultato è che la suddetta stima verrebbe inogni caso affidata al giudice » (191).

È comunque evidente, in mancanza di dati normativi, l’esi-genza di affidarsi, con riferimento alla quantificazione deldanno non patrimoniale diverso da quello biologico, al valoredel precedente, al diritto vivente, inteso non già come fonte deldiritto bensì come processo interpretativo dotato, per così dire,di un’autorità istituzionale « che lo introduce nei processi diconcretizzazione del diritto come argomento ab auctoritate digrande peso ancorché non vincolante, essendo soggetto, comeogni altro argomento, al controllo critico di falsificabilità dellaregola di decisione proposta, la quale, quando si dimostri inaliquo vitiata...,perdit officium suum (D.50,17,1) » (192).

In mancanza di una normativa democratica è gioco forzarimettersi ad una “normativa aristocratica”.

La coesistenza tra uguaglianza formale ed uguaglianza so-stanziale si potrebbe dunque assicurare soltanto « affiancandoad indici probatori, che cercano di rispecchiare la peculiaritàdel vissuto pregresso della vittima, un nucleo probatorio fortecostituito da criteri costanti, oggettivamente affidabili e nonmanipolabili, quali il tipo di interesse leso e la gravità dell’of-

(191) In tale senso, Navarretta, Contenuto del danno cit., 90 secondo laquale « poiché il passaggio dalla singola e peculiare lesione alla sua incidenzasu una scala di misurazione oggettiva del benessere non può ad oggi essereattuata né dalla medicina legale — che opera tale difficile conversione solo peril danno biologico, cioè in presenza di una lesione psico-fisica misurataattraverso l’invalidità temporanea o permanente — né da altra scienza cheabbia dimostrato di avere le competenze attendibili per una simile determi-nazione, il risultato è che la suddetta stima verrebbe in ogni caso affidata algiudice ».

(192) L. Mengoni, Ermeneutica e dogmatica giuridica (Milano 1996),152.

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fesa nonché le condizioni oggettive del danneggiato su cuil’offesa ricade. La loro costante ricorrenza in certe tipologie dicasi consente, infatti, un confronto sul quantum ed una tenden-ziale equiparazione — nel rispetto del principio di uguaglianzaformale — della loro stima monetaria a parità di condi-zioni » (193).

Una volta accettata la fictio iuris di attribuire ad una partedel corpo un valore economico non si vede perché analogafinzione non possa essere accettata per valori non corporei; chetale traduzione sia poi frutto del concreto apprezzamento delgiudice o sia frutto di tabelle adottate dal legislatore sulla basedel diritto vivente (non a caso le tabelle sul danno biologicosono state il frutto di una stratificazione di tabelle giudiziali)rappresenta pur sempre un’operazione di traduzione in denarodi valori ontologicamente non monetizzabili.

Sennonché si ha l’impressione che l’applicazione del prin-cipio del precedente possa comportare, così come avvenuto peril danno biologico, la creazione di mercuriali “giudiziari” sparsia macchia di leopardo su tutto il territorio, tanto più spessoincongruenti tra di loro allorché viene soppresso, così comeavviene nel codice della privacy, il giudizio di appello.

Certamente, l’opera creatrice della giurisprudenza presen-terebbe maggiore elasticità, e maggiore aderenza al caso con-creto rispetto alle tabelle legislative; il rischio è che però nonvenga garantita quella parità di trattamento che il minimumstandard al quale si è accennato dovrebbe assicurare alla lucedel principio di uguaglianza formale.

In entrambi i casi però, così come avvenuto per la scienzamedica, gli unici parametri al fine di effettuare una quantifica-zione economica di valori incorporei sarebbero quelli forniti dasaperi che possono fornire al giudice un analogo contributo alfine di valutare aspetti umani non riducibili a quello corporeo(si pensi alla psicologia ed alla sociologia).

In conclusione è difficile sostenere l’esistenza di danni pu-nitivi, ovvero di poste risarcitorie la cui unica funzione siaquella di punire il danneggiante: il danno riconosciuto dalnostro ordinamento giuridico può essere infatti patrimoniale o

(193) Navarretta, Contenuto del danno cit., 91.

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non patrimoniale, potendo tutt’al più, come esattamente osser-vato dalla Suprema Corte, le altre categorie assumere un carat-tere puramente descrittivo.

La lesione della privacy (rectius, la violazione delle normeposte a tutela della privacy) rappresenta dunque soltanto ilpresupposto per il risarcimento di tali tipologie di danni; men-tre però il danno patrimoniale va dimostrato poiché il risarci-mento deve essere conseguenza immediata e diretta della vio-lazione, il danno non patrimoniale va risarcito indipendente-mente da ogni prova sulle conseguenze lesive derivanti dallaviolazione della norma salva sempre la possibilità per il dan-neggiante di fornire la prova contraria sull’essere tale danno obagatellare o addirittura inesistente; nessuna conseguenza im-mediata e diretta del danno dovrà essere infatti allegata ingiudizio ai sensi dell’art. 1223 c.c. alla luce della circostanzache, come già ricordato, « una volta chiarito che l’art. 2059 è, inmateria di danno non patrimoniale il pendant dell’art. 1223...non c’è più spazio per l’art. 1223 » (194).

Soltanto da tale punto di vista può sostenersi una funzioneanche sanzionatoria del danno non patrimoniale prescindendoesso dalla prova delle conseguenze immediate e dirette deri-vanti dal fatto illecito; non a caso, proprio nel commentarel’ordinanza di rimessione della Corte di Cassazione in materiadi danni punitivi, un’attenta dottrina ha rilevato che « l’art.2059 c.c. si presenta, almeno sotto il profilo funzionale, comequanto di più vicino ad un rimedio sanzionatorio generale offraattualmente l’ordinamento » (195).

Da ciò deriva che la funzione dissuasiva e al tempo stessocompensativa di squilibri socio-economici tra le parti deldanno non patrimoniale non si identifica totalmente con lanozione di danno punitivo, danno che ovviamente dovrebbeessere commisurato al grado di colpa del danneggiato e non

(194) Cfr., al riguardo, Castronovo, Il danno non patrimoniale cit., 300.Id., La responsabilità civile in Italia nel passaggio del millennio cit., 997, nota32, il quale sostiene « l’inapplicabilità diretta dell’art. 1223 c.c. al risarcimentodel danno non patrimoniale ».

(195) Nivarra, Brevi considerazioni a margine dell’ordinanza di rimes-sione cit.

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sarebbe certamente conciliabile con ipotesi di responsabilitàoggettiva.

ABSTRACT

Compensation and quantification of damages from violation of privacy:from the damage to the person to the damage to the personality

The present work investigates the developments of the Italiandoctrine and case law regarding the protection of the rights of theindividual and the rights relating to the personality through theexamination of the steps that led to the adoption of the Code ofprivacy.

The article explores the theme of compensation regarding non-material damage derived from the violation of privacy according toarticle 15 of the Code of privacy. In particular, it focuses on the proofof that specific damage.

The Author questions the majority case law opinion, which con-siders the non —material damage as a “consequence” to be provedeach time. By contrast, article 15 raises two presumptions: one thatwho processed the personal data is the subject to be charged for thedamage and has the burden of proof according to article 2050 of theCivil Code; the other one that the non-economic consequences of thatdamage are to be considered in re ipsa, except who commits thedamage proves its irrelevance.

It follows that the non-material damage requires no proofs of itsconsequences to be presented in court when the damage causes agreat harm to the person considered in her value. This value, indeed,cannot be intended in economic terms such as the actual loss and theloss of profits, but as a sum to be determined according to a minimumstandard (compensatory-punitive role) but at the same time that takesinto account the economic and social differences among the victims(solidarity role).

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