ESTRATTO...Jacques Philippe D’Orville, che visita Taormina nel 1727, nei suoi postumi scrive che...

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Teresa Alfieri Tonini, Stefano Struffolino (a cura di) DINAMICHE CULTURALI ED ETNICHE NELLA SICILIA ORIENTALE (PRIN 2009) ARISTONOTHOS Scritti per il Mediterraneo antico Quaderni, n. 4 (2014) ESTRATTO

Transcript of ESTRATTO...Jacques Philippe D’Orville, che visita Taormina nel 1727, nei suoi postumi scrive che...

  • Teresa Alfieri Tonini, Stefano Struffolino(a cura di)

    DINAMICHE CULTURALI ED ETNICHE NELLA SICILIA ORIENTALE

    (PRIN 2009)

    ARISTONOTHOSScritti per il Mediterraneo antico

    Quaderni, n. 4(2014)

    ESTRATTO

  • Dinamiche culturali ed etniche nella sicilia orientaleTeresa Alfieri Tonini, Stefano Struffolino (a cura di)Copyright © 2014 Tangram Edizioni ScientificheGruppo Editoriale Tangram Srl – Via Verdi, 9/A – 38122 Trentowww.edizioni-tangram.it – [email protected]

    Prima edizione: novembre 2014, Printed in ItalyISBN 978-88-6458-106-4

    Collana ARISTONOTHOS – Scritti per il Mediterraneo antico – Quaderni n. 04

    DirezioneFederica Cordano, Giovanna Bagnasco Gianni, Teresa Alfieri Tonini

    Comitato scientificoCarmine Ampolo, Pietrina Anello, Gilda Bartoloni, Maria Bonghi Jovino, Giovanni Colonna, Tim Cornell, Michel Gras, Pier Giovanni Guzzo, Jean-Luc Lamboley, Mario Lombardo, Nota Kourou, Annette Rathje, Henri Tréziny

    In copertina: Il nome di Aristonothos. Le “o” sono scritte come i cerchi puntati che compaiono sul cratere.Immagine di copertina: disegno di Paolo Orsi dall’Inventario del Museo Archeologico Regionale di Siracusa

    Stampa su carta ecologica proveniente da zone in silvicoltura, totalmente priva di cloro. Non contiene sbiancanti ottici, è acid free con riserva alcalina.

  • Questa serie vuole celebrare il mare Mediterraneo e contribuire a sviluppare temi, studi e immaginario che il cratere firmato dal greco Aristonothos ancora oggi evoca. Deposto nella tomba di un etrusco, racconta di storie e relazioni fra culture diverse che si svolgono in questo mare e sulle terre che unisce.

  • Sommario

    Premessa 9Teresa Alfieri ToniniStefano Struffolino

    Dinamiche culturali ed etniche nella Sicilia orientale dall’età classica all’epoca ellenistica

    Atti del Convegno di Studi – Milano, 19-20 settembre 2013Stefano Struffolino (a cura di)

    Siracusa e dintorni

    I Galeoti e Dodona: Filisto o Prosseno? 17Luisa Moscati Castelnuovo

    La discendenza di Polifemo e la politica di Dionigi di Siracusa 25Maria Paola Castiglioni

    Culti a Siracusa in età ellenistica: il contributo da un’area sacra prossima al complesso monumentale della Neapolis 35Concetta Ciurcina

    Divagazioni siracusano-alessandrine. Anforette iscritte e ceramiche cultuali ellenistiche da Siracusa 55Paola Pelagatti

    Sopravvivenze della religiosità indigena nei culti delle colonie greche: le divinità fluviali 69Teresa Alfieri Tonini

    Convivenza e integrazione nella mesogheia della Sicilia, a partire dal territorio di Grammichele (Echetla): vecchi e nuovi dati 81Angela Maria Manenti

    Noto, città ieroniana 93Alessandra Inglese

    Materiale vecchio e nuovo dalla Sicilia Orientale 105Federica Cordano

  • Akrai e Camarina

    Divinità femminili ad Akrai 115Antonietta Brugnone

    La Sibilla di Acre: Sicilia e Vicino Oriente nel II secolo a.C. (SEG XXXI, 1981, 821 e 822) 127Leone Porciani

    La città che scrive: i cittadini camarinesi e la scrittura 137Paola Schirripa

    Camarina. La necropoli di Passo Marinaro tra IV e III secolo a.C. Ceramica figurata siceliota dalla campagna di scavo 1972-1973 157Roberta Salibra

    Adolescenti, futuri cittadini e teatro nella Camarina ellenistica 187Giovanni Di Stefano

    Un esercizio di scrittura su una stele da Contrada Piombo (Camarina) 197Fabio Copani

    Alcuni piccoli reperti in osso da Camarina. Riconsiderando A. Bélis 203Francesca Berlinzani

    San Pancrazio e il falcone. Culti antichi e recenti da Taormina a Naxos

    Atti del Seminario di Studi – Milano, 20 marzo 2013Teresa Alfieri Tonini (a cura di)

    San Pancrazio e il falcone. Culti antichi e recenti da Taormina a Naxos 233F. Muscolino, F. Cordano, M.C. Lentini, S. Struffolino

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    SAN PANCRAZIO E IL FALCONE. CULTI ANTICHI E RECENTI DA TAORMINA A NAXOS

    Atti del Seminario di Studi – Milano, 20 marzo 2013

    Teresa Alfieri Tonini (a cura di)

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    San Pancrazio e il falcone. Culti antichi e recenti da Taormina a Naxos

    F. Muscolino, F. Cordano, M.C. Lentini, S. Struffolino

    La chiesa di San Pancrazio offre un interessante caso di integrale reimpiego di un edificio templare ellenistico, e la ricca decorazione pittorica settecentesca dell’interno contribuisce a sottolineare, in maniera insolita, la continuità/rottura tra paganesimo e cristianesimo.

    Jacques Philippe D’Orville, che visita Taormina nel 1727, nei suoi postumi Sicula scrive che “versus septentrionem Pancratio hodie dicatum templum antiquissimos parietes ostentat, ex lapidibus magnis & quadratis sine calcis ope constructos”1. Pur non potendo ancora conoscere la divinità tito-lare, D’Orville, sulla scorta di Cluverius2, corregge Tommaso Fazello che, circa due secoli prima, sembra identificare questo tempio con il santuario di Apollo Archegetes menzionato da Appiano3. L’antichità dell’edificio su cui si impianta la chiesa è più volte riconosciuta dagli studiosi; basti ci-tare, nella seconda metà del Settecento, Ignazio Cartella, erudito taorminese e regio custode delle antichità: “La Chiesa del Patrono S. Pancrazio a riserva del Cappellone4, e del tetto è fabbricata di grosse pietre non attaccate con calce, e mostra essere stato un magnifico edifizio, o di Tempio, o di altra gran fabbrica”5. Nel 1842 Domenico Lo Faso Pietrasanta duca di Serradifalco, presidente della Commissione di antichità e belle arti per la Sicilia, pubblica i primi rilievi dell’edificio (“un antico tempio … fabbricato con pietre squadrate alla maniera grecanica”), a cura di Francesco Saverio Cavallari6, e un’attenta descrizione, ipotizzando che si tratti di un tempio prostilo esastilo7.

    Circa un ventennio dopo, alcune casuali scoperte avvenute nel giro di pochi anni permettono di identificare le divinità titolari del tempio. Nel 1861 è ritrovata infatti un’iscrizione metrica greca, databile al III-II secolo a.C., oggi conservata nell’Antiquarium presso il Teatro antico, che ospita la maggior parte delle epigrafi rinvenute a Taormina ed è stato riallestito e riaperto al pubblico nel 2012 sotto la direzione scientifica di Maria Costanza Lentini. Il testo, pubblicato subito dopo la sua scoperta e oggetto di un certo dibattito tra gli studiosi8, è il seguente:

    Ἀμφὶ παραστάσι ταῖσδε Σαράπιδος Ἑστίαι ἁγνόνβωμὸν Βαρκαῖος Καρνεάδης ἔθετο,Εὐκρίτου υἱός, ξεῖνε, ὁ νεωκόρος, ἅ θ’ὁμόλεκτρος

    1 D’Orville 1764, p. 267.2 Cluverius 1619, p. 93: “Erravit igitur iam iterum Fazellus, Archegetae templum ad ipsam urbem Tauromenium fuisse, ex quibusdam veteris aedificii vestigiis coniiciens”.3 Fazello 1558, p. 53: “infra urbem vestigia templi Apollinis Archegeti (ut ex verbis Appiani alexandrini licet colligere)”; Appiano B.C. 5, 109, 454-455.4 Il presbiterio.5 Cartella 1777, p. 216. Su Cartella vd. Muscolino 2007, Id. 2009-2010, Id. 2011, Id. 2012. 6 Su Cavallari vd., con altra bibliografia, Cianciolo Cosentino 2007. 7 Serradifalco 1842, pp. 43-44, tav. 26. Su Serradifalco vd., con altra bibliografia, Cianciolo Cosentino 2004 e Muscolino c.s.8 Vd. almeno Camarda 1862; Cavedoni 1863; De Spuches 1863; Ritschl 1866, pp. 140-142, nr. 4; vd. anche Muscolino c.s.

  • 234 San Pancrazio e il falcone. Culti antichi e recenti da Taormina a Naxos

    Πυθιὰς ἁ κείνου καὶ θυγάτηρ Ἐρασώἀνθ’ὧν, ὦ κραίνουσα Διὸς μεγαλαυχέας οἴκουςθυμαρὴν βιοτᾶς ὄλβον ἔχοιεν ἀεί9.

    Presso queste ante di Serapide collocò ad Hestia un puro altare il custode del tempio Karneades di Barke, figlio di Eukritos, o straniero, e la sua sposa Pythias e la sua figlia Eraso; in cambio di ciò, o tu che governi le superbe dimore di Zeus, possano sempre avere soave prosperità di vita.

    Nel 1867 sono simultaneamente scoperti una statua di sacerdotessa isiaca, del II secolo d.C.10, e una base, non pertinente, del I-II secolo d.C., con la dedica:

    SERAPI · ISI · SACRVMC · ENNIVS · SECVNDVS

    VOTVM · A · P11

    Sia la statua sia l’iscrizione sono trasportate a Palermo, dove sono oggi conservate nel Museo arche-ologico regionale “A. Salinas”12.

    Il tempio, quindi, può essere attribuito alle divinità egizie Serapide e Iside, ed è, allo stato attuale delle ricerche, l’unico edificio templare taorminese di cui sia nota la dedicazione13. La chiesa di San Pancrazio si impianta, in un momento imprecisabile, sul tempio ellenistico, in antis o, meno pro-babilmente, prostilo tetrastilo, riutilizzandone i lati lunghi, che diventano i muri dell’unica navata, mentre per permettere la realizzazione del presbiterio è eliminato il muro di fondo del tempio. La trasformazione in chiesa ha completamente nascosto, all’interno, le pareti templari; all’esterno, invece, i muri, realizzati in accurata opera isodoma, sono perfettamente visibili per quasi tutta la loro estensione, sino alla lesena che decorava la parte finale del paramento. Il muro nord è visibile nel cortiletto che precede la sagrestia e nella sagrestia stessa, che si addossa alla chiesa; quest’ultimo tratto, che era stato ricoperto di intonaco, è stato riportato alla luce nel 1990, con il corrispondente tratto del crepidoma14. Il muro sud del tempio, invece, sembra essere sempre rimasto a vista. La consunzione degli spigoli dei blocchi, nel crepidoma e, progressivamente decrescente, nei primi cinque corsi del muro, è dovuta ad una curiosa usanza della quale il pittore Jean Houël offre una vivida descrizione:

    Le zèle que les habitans de ce pays ont pour Saint Pancrace, va jusqu’à la démence. Les jours de sa fête ces bonnes gens se rendent à l’Église, armés d’un ciseau & d’un marteau, & il creusent les joints de ces pierres dans toute leur longueur: ils emportent les fragmens qu’ils rompent; ils les pulvérisent, & dans toutes les maladies ou leurs indispositions, ils mêlent cette poudre à leurs boissons, & ils l’avalent, fortement persuadés qu’elle ne peut manquer de les guérir. À force de creuser les murs, ils renverseront & l’Église & l’ancien Tem-ple qui lui sert de fondement. Les Prêtres les regardent travailler avec plaisir à la destruction de cet édifice, bien sûrs que si elle s’écroule, le peuple ne la leur laissera pas rebâtir à leurs frais. Je ne pus m’empêcher de demander à l’un d’eux, pourquoi ils souffroient que ces bonnes gentes démolîssent les murs: laissez-les faire, me dit-il, toutes ces folies qu’ils font entr’eux les persuadent bien mieux que nos sermons15.

    9 Kaibel 1878, p. XVIII, nr. 824a; IG XIV, 433; Sfameni Gasparro 1973, pp. 223-224, nr. 192.10 Bonacasa 1964, p. 100, nr. 128, tavv. 58.3-4 e 92.4; Sfameni Gasparro 1973, pp. 225-226, nr. 195. 11 CIL X, 6989; Sfameni Gasparro 1973, pp. 224-225, nr. 193.12 Della scoperta dà immediata notizia Schöne 1867; vd. anche Muscolino c.s.13 Non è infatti nota la dedicazione del tempio accanto all’Odeon (Pelagatti 1976-1977) e del tempio presso la sum-ma cavea del Teatro antico (“NSA”, 1880, pp. 35-37).14 Bacci-Rizzo 1993-1994, pp. 949-950.15 Houël 1784, p. 49.

  • San Pancrazio e il falcone. Culti antichi e recenti da Taormina a Naxos 235

    Rimandando, per un’analisi dettagliata dell’edificio templare e della sua trasformazione in chiesa, al classico studio di Robert Koldewey e Otto Puchstein16, e ai recenti lavori di Leonardo Fuduli17, basti evidenziare, ai fini di questa breve nota, come la decorazione della chiesa sia concepita, nel XVIII secolo, come un’organica summa delle più venerabili tradizioni agiografiche taorminesi, attingendo soprattutto a due testi ampiamente noti alla storiografia locale: le postume Vitae San-ctorum Siculorum del Caietanus (il gesuita siracusano Ottavio Gaetani, 1566-1620)18 e le Homiliae in passato attribuite a Teofane Cerameo, arcivescovo di Taormina, edite con ampio commento nel 1644 dal gesuita palermitano Francesco Scorso19. Alla chiesa, che mantiene lo stesso orien-tamento verso est del tempio ellenistico, si accede attraverso un portale ornato con le statue dei Santi Pancrazio e Procopio che, secondo la tradizione, sono, rispettivamente, il primo vescovo ed evangelizzatore della città e l’ultimo vescovo, martire sotto il califfo Ibrahim nel 902. Le tele sugli altari laterali raffigurano la consacrazione di San Massimo, secondo vescovo di Taormina, da parte di San Pietro e San Pancrazio20; la decapitazione di San Nicone e dei suoi compagni21; il martirio di San Procopio alla presenza del califfo Ibrahim22. Tra gli altari sono invece rappresentati ad affresco quattro personaggi che nei loro scritti o in opere loro attribuite menzionano San Pancrazio: San Giuseppe Innografo23, Beda24, San Girolamo25, Teofane Cerameo26. I quadri appesi sulla cornice alla base della volta della navata raffigurano, anch’essi, personaggi dell’agiografia taorminese27.

    A differenza della navata, il presbiterio ha come unico protagonista San Pancrazio: ai lati dell’al-tare maggiore, che ospita una tela raffigurante il Santo, sono due grandi affreschi, entro una ricca cornice di stucco. L’affresco a sinistra dell’altare (fig. 1), su cui si soffermerà Federica Cordano, raffigura San Pancrazio che, sbarcato sul litorale di Naxos, appoggia la croce sul basamento della statua di Apollo, causando il crollo della statua stessa e del tempio pagano sullo sfondo. Nell’affre-sco simmetrico (fig. 2), a destra, è invece rappresentato il martirio del Santo durante un convito. Anche qui, un idolo raffigurante un giovane nudo (verisimilmente ancora Apollo), va in frantumi.

    Francesco Muscolino

    All’interno della chiesa di Taormina dedicata a San Pancrazio, a cui si riferiva Francesco Musco-lino, si trova l’affresco (fig. 1) che raffigura lo sbarco del Santo sulla spiaggia di Naxos, con tutti i particolari che si leggono nella Vita del medesimo, il quale fu, insieme a Marciano, fra i primi evangelizzatori della Sicilia. Questo affresco è a sinistra dell’altar maggiore, mentre a destra (fig. 2) ce n’è un altro che rappresenta il martirio del Santo, qui raffigurato in età avanzata, ma con la stessa veste che indossa nel primo, un particolare importante per l’identificazione.

    16 Koldewey-Puchstein 1899, pp. 185-186.17 Fuduli 2010; Id. 2012; Id. c.s.18 Caietanus 1657.19 Scorso 1644.20 Caietanus 1657, I, p. 17.21 Caietanus 1657, I, p. 44.22 Caietanus 1657, II, p. 60.23 “Omnem occide(n)tis regionem Pancrati e tenebris in lucem traduxisti”, nella traduzione latina di Caietanus 1657, I, p. 15 (Caietanus traduce, però, ad lumen invece di in lucem).24 “Apud Tauromenium Siciliae S(ancti) Pancratii”, dal Martyrologium a lui attribuito.25 “Apud Tauromenium in Sicilia natalis S(ancti) Pancrati”, dal Martyrologium a lui attribuito.26 “Imitemur pastor(em) hu(n)c verum et Domini imitatore(m) Pancrati(um)” e, sotto un’immagine della Madonna, “flecte viscera misericordiae tuae erga hanc civitat(em) in tuo nomine gloriantem”, citazioni tratte, rispettivamente, dall’o-melia 57 (In festo S. Pancratii) e dall’omelia 62 (De siccitate), nella traduzione latina di Scorso 1644.27 Santa Lucia e San Geminiano (Caietanus 1657, I, p. 103), San Corneliano (ibid., I, p. 123), San Luca (ibid., II, p. 41), Sant’Elia con il suo discepolo taorminese Daniele (ibid., II, p. 63) e, ancora, San Procopio e Teofane Cerameo.

  • 236 San Pancrazio e il falcone. Culti antichi e recenti da Taormina a Naxos

    Mi soffermo su quello dello sbarco di Pancrazio: siamo sulla riva, in mare c’è la nave con la quale il Santo è arrivato; in primo piano c’è una statua distrutta a metà, di dimensioni inferiori a quelle degli uomini che le stanno intorno, rappresentante un giovinetto, il dio Falcone, secondo la tradi-zione cristiana: “colebatur etiam veteri religione, non procul a litore, Deus Phalco”28; ma probabilmen-te Apollo, secondo la tradizione romana, se si tratta, come credo, della piccola statua dell’Archegetes di cui parla Appiano29. Ancora in primo piano c’è un uomo armato, forse l’hegemòn o il politárches, non sappiamo, però è importante che nella narrazione ci siano dei magistrati romani.

    In secondo piano si vedono un monumento in rovina, le colonne all’aria, gli uomini che fuggono, quindi è illustrato proprio il momento del crollo del tempio pagano, come leggiamo nel racconto agiografico: “Phalconis autem templo adhibito, crucis signo divina precum vi diruit Pancratius”30; cor-vi e avvoltoi, che sono uccelli benefici, fanno sparire il tempio; sullo sfondo si intravede il castello di Schisò. Mi pare del tutto evidente che la statua ricordata nella Vita e nel dipinto, che da quella ha tratto ispirazione, è idealmente – se non materialmente – la stessa nella quale ancora in età romana si riconosceva il dio Apollo e che è stata attribuita ad uno sfortunato giovinetto di nome Phalco, in una data che possiamo solo supporre.

    Nella Vita del Santo, Falcone e Pancrazio dialogano fra di loro: alla domanda di Pancrazio, Fal-cone risponde che da 260 anni egli è oggetto di culto e riceve in offerta annuale il sacrificio di tre giovinetti e settantatré vitelli, ma non è ancora soddisfatto31! Dal momento che Pancrazio distrugge tutto ciò che rappresentava il culto di Falcone, i 260 anni della durata di esso devono essere sottratti alla data dell’arrivo di Pancrazio, che non è certo il 40 d.C., scritto sulla base della statua32, ma può essere la metà del III secolo d.C., cioè l’epoca di Valeriano e Gallieno, come proposto dalla Cracco Ruggini33, età nella quale è ragionevole porre il martirio del Santo, come è pure ammissibile che egli sia stato il protovescovo di Taormina.

    Di conseguenza, se hanno un senso i 260 anni – ed un elemento così tecnico deve avere un senso – della durata del culto di Falcone, esso sarebbe iniziato in età augustea o tardo-repubblicana, e questa collocazione cronologica va d’accordo con la famiglia romana34 alla quale apparteneva il giovane, figlio di una tale Falconilla, di grande bellezza, come la sua antenata Menia, la moglie di Tauro, tramite la quale è assicurato il collegamento con la fondazione di Taormina.

    Ed il culto dell’Archegetes era praticato soprattutto a Tauromenion, fin dall’inizio, pur nella memoria di Naxos e dell’antico ruolo del dio35, come appunto leggiamo in Appiano. Oltre alle monete di Tauromenion, ricordo le phialai offerte dai Tauromenitani nel santuario di Delo negli anni 366-364 a.C.36, testimonianza, quest’ultima, di grande rilievo per l’identificazione di Apol-lo.

    La famiglia tauromenitana di Falcone ha poi sostituito il culto del giovane a quello di Apollo e si è, per così dire, “impossessata” della piccola statua di Apollo Archegetes, attribuendola, appunto, a Falcone. Falcone è nome latino ed è nome di una nota famiglia romana, oltre ad essere un cognome italiano ben noto; ma è anche il nome di un uccello importante: falcon è la traduzione latina di hierax, l’uccello sacro, collegato ad Apollo nella tradizione greca, da Omero (Il. XV, 237; Od. XV, 626), passando per Aristofane (Av. 516), fino ad Antonino Liberale (28, 3), o di gyps (avvoltoio)

    28 Caietanus 1657, I, p. 8.29 Appiano, B.C. 5, 109, 454-455; in Tucidide 6, 3, 1 c’è solo l’altare.30 Caietanus 1657, I, p. 7.31 Angiò 1998.32 Ferrara 2008, pp. 76-77. Vd. infra il contributo di S. Struffolino.33 Cracco Ruggini 1992.34 Patanè 2011.35 Brugnone 1980.36 I.Délos 103 e 104; Arena 2008.

  • San Pancrazio e il falcone. Culti antichi e recenti da Taormina a Naxos 237

    ed ha sostituito in tarda età il nome classico dell’avvoltoio37, che è vultur, ed è sinonimo di capys, come del resto suggeriscono le pur contraddittorie testimonianze antiche38; questo è soprattutto interessante se si ricorda che gli avvoltoi sono gli uccelli che indicano il luogo della fondazione di Roma nel racconto di Plutarco.

    Romolo e Remo “scelgono” di usare uccelli augurali per risolvere la loro contesa, ed i migliori sono gli avvoltoi (gypai) perché non si nutrono di uccelli né vivi né morti; inoltre sono uccelli che appaiono di rado, perciò si può immaginare che siano inviati dalla divinità39. Non a caso Plutarco cita un autore greco del 400 ca. a.C., Erodoro di Eraclea Pontica40, che attribuiva ad Eracle la pre-ferenza per l’avvoltoio. Perciò il Falcone che ha sostituito l’Apollo Archegetes non era un “abusivo”, bensì la materializzazione di una storia di fondazione nassia o tauromenitana, diversa da quella che noi conosciamo dalla tradizione greca e forse più recente, nella quale si parlava di un uccello prepo-sto alla scelta del luogo di fondazione, come nei noti casi di Cirene, Bisanzio o Zancle41.

    Anche Capys è un eroe, oltre che un uccello: non a caso è Virgilio (Aen. 10, 145: “et Capys: hinc nomen campanae ducitur urbi”) a fare il collegamento fra il nome dell’eroe troiano, il nonno di Enea nell’Iliade (20, 239)42 e quello della città; più tardi i suoi commentatori, conoscendo le ricorrenze del nome, hanno ampliato le combinazioni e moltiplicato le ipotesi. In particolare Servio quando dice: “Capua a falcone nominata”43 dipende da Verrio Flacco, che vuol dire età augustea, la stessa di Virgilio, quindi la versione capys-uccello non solo è alternativa a quella capys-eroe troiano, ma resiste anche in età augustea. In questo senso si può collegare il culto del giovane Falcone ad una famiglia romana con quel nome, utilizzato al meglio per appropriarsi delle antiche tradizioni locali fino all’avvento del Cristianesimo, quando il mito di Pancrazio si sostituisce a quello di Falcone che aveva sostituito quello di Apollo.

    Con queste considerazioni non si risolve però il problema dell’ubicazione dell’altare di Apollo Archegetes; ho ricordato all’inizio che Tucidide parla solo dell’altare:

    Tucidide 6, 3, 1: Primi fra i Greci, i Calcidesi venuti per mare dall’Eubea insieme all’ecista Tucle fonda-rono Nasso e innalzarono un altare di Apollo Archegetes, quello che ora è fuori della città, sul quale offrono sacrifici gli ambasciatori sacri quando si imbarcano dalla Sicilia44.

    Mentre Appiano conosce solo la statua ed oscuro rimane il rapporto fra la statua e l’altare:

    Appiano, B.C. 5, 109, 454-455: (Ottaviano) giunto fino a Tauromenio, mandò a dire che si arrendesse, ma non accogliendolo il presidio, proseguì per mare fino al fiume Onobala ed il santuario di Afrodite ed ormeggiò all’Archegetes, il dio dei Nassii, per accamparsi lì e combattere contro Tauromenio. L’Archegetes è una piccola statua di Apollo che posero come prima cosa quelli dei Nassii che emigrarono in Sicilia.

    Il passaggio di Appiano è certamente confuso, e proprio per questo va utilizzato con prudenza. Egli non conosce la topografia dei luoghi, le sue fonti associano il fiume Onobala con Afrodite, da un lato, e Naxos con l’Archegetes, dall’altro: Appiano ha messo in fila queste notizie, lungo l’itinerario

    37 Cristofani 1995, p. 102.38 Heurgon 1942, pp. 145-153 e Cristofani 1995, pp. 51 e 101-105.39 Briquel 2000.40 FGrHist 31 F 22b.41 Nelle prime due l’uccello è il corvo, a Zancle gli uccelli sono vari, alcuni dei quali con nomi persi nel testo callima-cheo (Aitia, fr. 43): Cordano 2012.42 Capys è figlio di Assaraco e padre di Anchise.43 Paul. ex Festo p. 38L e 78L, Serv. Dan. ad Aen. 10, 145, Serv. ad Aen. 10, 145: Cordano 2012.44 Questo significa che i Greci di altre città della Sicilia avevano libero accesso al medesimo, e che forse esso era sempre stato “fuori città”, proprio perché non doveva essere solo dei Nassii.

  • 238 San Pancrazio e il falcone. Culti antichi e recenti da Taormina a Naxos

    percorso da Ottaviano nel 36 a.C., da Taormina verso sud, ma non sa che l’Aphrodision di cui egli parla non esisteva più a quell’epoca e non ha la minima idea di dove fosse collocata la “piccola sta-tua di Apollo”. Se il fiume Onobala che nomina Appiano è l’Alcantara, il lato nord della sua foce, ancora in territorio nassio, poteva essere un luogo adatto per l’Archegetes.

    D’altra parte, la baia a nord di Capo Schisò sarebbe stata il luogo più ovvio per approdare, come del resto dimostrano le strutture portuali recentemente messe in luce45; e soprattutto, mi pare da non sottovalutare la collocazione della statua di San Pancrazio, che ha sostituito il protettore paga-no, anche se il luogo della statua non è certo definibile “fuori città”46, però Tucidide non parla della statua di Apollo, e, d’altra parte, Appiano non dice che è “fuori città”!

    Inoltre, la tradizione che ci racconta del porto di Tauromenion, a proposito dell’arrivo di Ti-moleonte (D.S. 16, 68, 4 ss.) o di Pirro (D.S. 22, 8, 3) sicuramente si riferisce alla baia di Schisò, chiarendo in questo modo la continuità di culto su quella spiaggia, la stessa alla quale approderà San Pancrazio.

    Concludo tornando ad Apollo: l’Archegetes come epiteto di fondatori47, divini ed umani, non è esclusivo dei Nassi, né dei Ioni48, però l’Apollo dei Nassii, egei e siciliani, è certamente quello di Delo. Insisto su questo perché c’è una bibliografia recente49 che persevera nell’attribuire a Delfi l’Apollo nassio, malgrado le offerte dei Tauromenitani a Delo e malgrado i fortissimi collegamenti fra le due Naxos, così ben rappresentati dal cippo di Enyó50!

    Maria Costanza Lentini ha organizzato degli incontri sulle “due Naxos”51, ma io concludo con le parole che Pugliese Carratelli disse a Taranto nel 1991:

    È inammissibile che nel secolo VIII, quando i Ioni dell’Eubea si sono risolutamente impegnati nell’impresa coloniale, il santuario (di Delo) sia rimasto estraneo ad un fatto di così grande portata; e, che non sia stato così, è indicato già dal nome della prima colonia in Sicilia, Naxos. Quando essa venne fondata, probabil-mente nella seconda metà del secolo VIII, Delo era nell’area d’influenza dell’isola di Naxos52.

    Federica Cordano

    Per l’importanza rivestita nella storia della colonia, e più in generale in quella della colonizzazione greca in Sicilia, per la funzione e il carattere “sovranazionale” del culto sviluppatosi attorno ad esso, e non ultimo per la sua lunghissima vita che lo fa sopravvivere alla distruzione di Naxos e giungere grazie a San Pancrazio sino al Cristianesimo, la mancata scoperta dell’altare di Apollo Archegetes è da considerare una perdita, se non un danno, per l’intera ricerca, un vulnus in quella di Naxos.

    L’altare gode di un rinnovato interesse da parte degli storici. O. Murray valorizzandone l’aspet-to pan-siceliota, avanza l’ipotesi che esso conservasse l’archivio delle colonie greche di Sicilia53. Molto scettici sono, invece, J. Hall e C. Antonaccio, i quali pongono, al contrario, in dubbio la stessa esistenza dell’altare poiché non confortata da alcuna evidenza archeologica54. Più di recente,

    45 Blackman-Lentini 2003.46 Si rimanda per altre considerazioni in proposito al contributo di S. Struffolino, infra.47 Brugnone 1980.48 Per esempio a Megara di Grecia si trovava anche una statua in ebano dell’Archegetes: Paus. 1, 42, 5.49 Donnellan 2012.50 Guarducci 1985.51 Lentini 2001 e 2004.52 Pugliese Carratelli 1995.53 Murray 1983, p. 127.54 Hall 2002, p. 122; Antonaccio 2007, pp. 272-273.

  • San Pancrazio e il falcone. Culti antichi e recenti da Taormina a Naxos 239

    I. Malkin, sottolineandone la posizione di snodo lungo una delle principali rotte marittime verso l’Occidente, ne esalta la funzione centrale all’interno della rete di rapporti tra le città greche di Sicilia e tra queste e Delfi55.

    La mancata scoperta è aggravata dalla difficile localizzazione. L’ipotesi più diffusa e più sensata è che l’altare fosse ubicato sulla spiaggia che contorna la baia56, in possibile coincidenza con il sito poi occupato dalla statua di San Pancrazio, che fu affiancata solo in tempi recenti da una chiesa57. Data l’assenza di evidenze lungo la baia, è stata avanzata l’ipotesi di una possibile collocazione dell’al-tare sul versante opposto nel territorio che si estende ad ovest della città, tra il corso del torrente Santa Venera e quello dell’Alcantara. Un’ubicazione presso le foci dell’Alcantara avrebbe infatti maggiormente garantito l’extraterritorialità del santuario58. Nessuna investigazione archeologica né geologica è stata, tuttavia, sinora mai condotta presso le foci dell’Alcantara, mentre nel territorio pianeggiante più prossimo alla città è stato scoperto un ampio complesso sacro, dal quale proviene il famoso cippo con dedica a Enyó, ma nessun indizio del culto di Apollo59.

    L’ipotesi tradizionale relativa all’ubicazione dell’altare lungo l’arco della baia sembra, viceversa, ricavare nuova forza dalle ultime scoperte conseguite all’interno della città, decisive per la configu-razione urbana. Le scoperte si concentrano nel settore settentrionale della città, quello che mag-giormente gravita sulla baia, e riguardano tutte, per la prima volta nella storia della ricerca a Naxos, strutture pubbliche di carattere civile. Si fa riferimento al ritrovamento del blocco dei neoria (o arsenale navale), cui si affianca a sud il blocco dell’agorà, e a ciò occorre aggiungere il rinvenimento (scavi 2005) di tratto del versante settentrionale delle fortificazioni. La scoperta è decisiva per la delimitazione del porto militare, ma anche per l’ubicazione di quello commerciale, forse anch’esso ricadente all’interno delle mura, nello specchio d’acqua sottostante l’agorà60.

    Il complesso dei neoria insiste al margine settentrionale della città, a 220-230 m dall’attuale linea di costa, e si estende sulle pendici della collina di Larunchi, la cui sommità doveva essere occupata dall’acropoli. Indagini regolari (campagne 2001, 2003-2006) definiscono dimensioni, funzionamento e cronologia del complesso, avente un impianto risalente alla fine del VI/inizi del V secolo a.C., rimodellato e ampliato dopo il 460 a.C. con il chiaro intento di accrescerne la mo-numentalità61.

    Nel 2006 la scoperta di un accurato muro di contenimento a sud della quarta e ultima corsia dei neoria permette di ubicare sulla terrazza soprastante l’agorà in contiguità con essi, ma su un livello notevolmente più alto62. La differenza altimetrica offriva un’eccellente linea di demarcazione tra due importanti zone pubbliche della città, quella civile e quella militare. I dati geomorfologici ricavati dall’indagine dei neoria concordano con detta ubicazione: i neoria mostrano che la linea di

    55 Malkin 2011, pp. 101-106, e soprattutto pp. 112-117.56 Malkin 2011, pp. 102-103 ritiene la spiaggia l’ambientazione ideale per un culto ad Apollo Ekbasios (dello sbarco da navi) o, in accordo con l’Inno Omerico, ad Apollo Delphinios, trasformato in Archegetes nel corso della prima gene-razione dei coloni. 57 Le raffigurazioni a stampa (soprattutto cfr. Smyth 1824, tav. 19; Gigault de la Salle 1835, tav. 19) riproducono la statua isolata e a cielo aperto. La costruzione dell’attuale chiesa fu iniziata nel 1956, ultimata e consacrata come parrocchia nel 1958. Solo nel 1962 fu trasferita la statua dal Baglio San Pancrazio ubicato ca. 500 m a nord, ove sareb-be stata affiancata da una cappella non attestata dalle raffigurazioni a stampa. Le due diverse collocazioni hanno influ-ito sulla ricerca archeologica, rendendola meno incisiva nel controllo. Limitati sondaggi condotti nel 1989 nel sito indicato come originario, presso il Baglio San Pancrazio, non hanno dato risultati. Vd. anche infra il contributo di S. Struffolino.58 Gras 2012, p. 22.59 Guarducci 1985.60 Lentini-Pakkanen 2012, p. 161, fig. 1. La scoperta nella prima corsia di quattro ostraka (Blackman-Lentini 2009, pp. 87-90, figg. 1-4) era già un buon indizio!61 Lentini-Blackman-Pakkanen 2008 e 2013.62 Lentini-Blackman-Pakkanen 2008, pp. 300-301, figg. 3-5.

  • 240 San Pancrazio e il falcone. Culti antichi e recenti da Taormina a Naxos

    costa nel V secolo era arretrata di 200 m rispetto all’attuale e che il livello del mare era di ca. 2 m più alto63. L’agora si sarebbe così estesa sull’estremo margine settentrionale della città in diretto rap-porto con il porto, occupando l’incrocio tra la plateia C e lo stenopos 6 e tre mezze insulae (C7, C8, C9) con le corrispondenti porzioni degli stenopoi, per una superficie di 12.500 mq64. Tale ipotesi è dal 2012 sottoposta a verifiche attraverso una campagna topografica con misurazione di tutti i resti archeologici messi in luce mediante stazione totale; campagna che, condotta da Jari Pakkanen, sarà quest’anno supportata da indagini geognostiche65. In attesa dei risultati finali, sulla base dei dati raccolti si può, tuttavia, già affermare che la su riportata proposta di localizzazione rimane la più probabile: con certezza l’agorà non ha mai occupato la zona centrale come ci si sarebbe aspettati in una città con piano a griglia ortogonale66.

    L’individuazione del polo pubblico, sia civile che militare, è cruciale per la conoscenza delle forma urbana, contribuendo alla restituzione del paesaggio antico. Riguardo al quale la posizione dell’agorà sull’estremo limite settentrionale della città e la prossimità tra agorà e neoria sono ele-menti decisivi. Essi rivolgono marcatamente la città all’esterno, proiettandola verso il porto e la baia, con un assetto cui la posizione dell’altare di Apollo Archegetes ha verosimilmente giocato un ruolo attivo.

    Maria Costanza Lentini

    Nelle pagine dei diari e nelle tavole paesaggistiche di alcuni viaggiatori europei che visitarono la Sicilia tra il XVIII e il XIX secolo si trova la menzione o la riproduzione grafica di una statua di San Pancrazio eretta sul litorale di Giardini, nel luogo in cui, secondo il racconto agiografico, sarebbe sbarcato il futuro patrono della città, mettendo immediatamente fine ai culti pagani e dando ini-zio alla predicazione evangelica67. Una delle opinioni tradizionali vorrebbe che nello stesso luogo sorgessero la statua e l’altare di Apollo Archegetes (poi Falcone) edificati dai primi coloni greci e menzionati da Tucidide e Appiano68. La statua del Santo vista dai viaggiatori è la medesima oggi collocata a lato dell’ingresso della moderna chiesa di Giardini Naxos, consacrata nel 1958 sul lun-gomare del rione Schisò-Pietragoliti (fig. 3).

    Il primo riferimento alla statua in ordine cronologico sembra essere quello che compare nel diario di Patrick Brydone del 1773. Scozzese (1741–1819), Brydone viaggiò sempre come accom-pagnatore o precettore di nobili britannici o di eminenti personalità diplomatiche; fu in Sicilia nella primavera del 1770 al seguito del giovanissimo lord William Fullarton. Il suo diario A Tour Through Sicily and Malta, scritto in forma epistolare, è unanimemente considerato come l’opera che più di tutte contribuì a far diventare di moda il viaggio in Sicilia e il tema letterario ad esso

    63 Lentini-Blackman-Pakkanen 2013, p. 396. 64 Lentini-Pakkanen 2012, p. 157, fig. 3.65 Per i risultati preliminari, vd. Lentini-Pakkanen, c.s.66 Mertens 2006, pp. 345-346, fig. 616, suggerisce di collocare, come a Napoli o Agrigento, l’agorà nella area centra-le della città, in coincidenza dell’incrocio 6 della plateia A.67 Vd. Caietanus 1657, I, 7-10, su cui Stelladoro 2006, p. 24, nt. 24, e p. 32. Rizzo 1928, pp. 193-203, trovando inconciliabile la data del 40 d.C., tramandata dalla tradizione agiografica, con una presenza cristiana in Sicilia, sposta-va di due secoli la vicenda di Pancrazio sovrapponendola a quella del giovane frigio martirizzato a Roma nei primissimi anni del IV secolo e a cui è dedicata la basilica omonima di Monteverde. L’opinione generale tende invece a distingue-re i due personaggi, cfr. Burragato-Palumbo 2004, passim e pp. 10-11, nt. 2. Sul problema vd. anche Cracco Rug-gini 1992, e supra il contributo di F. Cordano. Sui testimonia agiografici di S. Pancrazio vd. Rizzo 2006, vol. II*, pp. 26-27, 86-88, vol. II**, T28, pp. 86-88, 171, 185-186, 189, 191-192.68 Appiano, B.C. 5, 109, 454-455; Thuc. 6, 3, 1. Cfr. in proposito supra, i contributi di F. Cordano e M.C. Lentini.

  • San Pancrazio e il falcone. Culti antichi e recenti da Taormina a Naxos 241

    legato; fu tradotta in francese, tedesco e italiano e, con le sue concessioni al leggendario e al favo-listico, divenne per il pubblico la risposta alla pesantezza illuministica dei Sicula del D’Orville69.

    In realtà nel testo il nome di Pancrazio non viene mai fatto ma si parla appunto della statua di un santo vista dal viaggiatore quando alle cinque del mattino lascia Giardini, dove alloggiava, per affrontare la salita sull’Etna. Il vulcano ha un’importanza centrale nella costruzione di queste me-morie, tanto che Brydone sarà ricordato come il promotore dell’interesse letterario verso la monta-gna siciliana; il monumento sarebbe stato anzi dedicato proprio in riconoscenza per il compimento del miracolo di aver deviato la lava impedendole di invadere l’abitato e i campi coltivati.

    A Catania, il 24 maggio, Brydone annoterà:

    We left Giardini at five o’clock. About half a mile farther the first region of Mount Aetna begins, and here they have set up the statue of a saint, for having prevented the lava from running up the mountain of Tau-rominium, and destroying the adjacent country; which the people think it certainly must have done, had it been for this kind interposition; but he very wisely, as well as humanely, conducted it down the valley to the sea70.

    Al di là delle definizioni topografiche non particolarmente precise, tipiche peraltro dello stile di Brydone, la distanza di mezzo miglio (ca. 800 m) dall’abitato di Giardini non è incompatibile con l’ubicazione della statua sul litorale a nord di capo Schisò. In quanto poi alla miracolosa deviazione della colata lavica non sembrano esserci altri riscontri nella tradizione scritta.

    La fortuna dell’opera di Brydone risiede, come si accennava, nell’aver saputo precorrere i tempi superando l’approccio didattico, la precisione descrittiva, l’imperturbabile distacco e quell’idea-lizzazione tipica dell’età dei Lumi, lasciando spazio a un interesse sempre più vivo, partecipato e attento anche agli aspetti meno appariscenti, alle meraviglie della natura e alle tradizioni popolari71.

    Rimanendo nella zona di Taormina, le grandi opere di viaggio, illustrate e non, del XVIII se-colo si concentrano, infatti, sui resti del teatro, tralasciando pressoché del tutto, o tratteggiando di sfuggita con sdegnosa compassione, la realtà circostante fatta di miseria, accattonaggio, mancanza d’igiene e continui disagi. È così nei Sicula, pubblicati nel 1764: la monumentale opera dell’olan-dese D’Orville (1696-1751), che visitò l’isola nel 1726. La natura ostica e pretenziosa del testo in latino e le numerose tavole spesso consacrate a precise ricostruzioni dei monumenti, planimetrie e sezioni decretarono l’insuccesso editoriale72.

    Nel primo grande lavoro concepito come un insieme di illustrazioni commentate dalla funzione eminentemente didattico-esplicativa: il Voyage pittoresque ou description des Royaumes de Naples et de Sicile, edito in tre volumi e cinque tomi tra il 1781 e il 1786 con ben 542 tavole dall’abate Jean Claude Richard de Saint-Non (1727-1791), il ricorso all’operato di disegnatori che erano già stati indipendentemente e precedentemente sul posto diviene un sistema frequentemente utilizzato che permette di separare la gestione editoriale dal viaggio vero e proprio, finalizzato alla raccolta dei dati attraverso l’esperienza diretta. L’équipe che si fece carico del lavoro preparatorio per l’opera diretta dal Saint-Non fu prevalentemente composta da artisti dell’Accademia di Francia a Roma, coordinati da un altro celebre viaggiatore: Dominique Vivant Denon, che visitò l’isola nel 1778 e che sarà vent’anni più tardi al seguito di Napoleone in Egitto, ancora una volta alla testa di una nutrita schiera di eruditi, studiosi e artisti con il compito di rilevare, annotare e riprodurre ogni

    69 Su Brydone si vedano Tuzet 1955 [1988], pp. 41-53; Pine Coffin 1974, pp. 123-124; Farrell 1993, pp. 291-305; Ingamells 1997, s.v.; Di Matteo 1999-2000, I, pp. 192-196; Pitrè 2000, I/1, pp. 117-143; Quatriglio 2002, 49-54; su D’Orville vd. infra.70 Brydone 1773 [1848], p. 44.71 Sulla letteratura odeporica relativa all’Italia fra Grand Tour e viaggio sentimentale, illuminismo e romanticismo vd. Brilli 2006, passim e in part. sulla Sicilia pp. 199-203.72 D’Orville 1764, I, pp. 249-269.

  • 242 San Pancrazio e il falcone. Culti antichi e recenti da Taormina a Naxos

    aspetto della cultura materiale e della natura di quel paese; impresa che darà vita alla monumentale Description de l’Égypte e alla moderna egittologia.

    Anche il testo di Saint-Non è una rielaborazione dai diari di Vivant Denon, dal momento che l’abate francese non mise mai piede sull’isola. L’8 giugno del 1778 il futuro primo direttore del Louvre si reca a Taormina dove resta colpito dal complesso del teatro. Quattro tavole sono dedicate al principale monumento archeologico della città e, insieme a due panoramiche che le precedono, sono concepite con quel gusto arcadico e vedutistico, con concessioni fantasiose negli sfondi, già proiettato verso lo stile figurativo romantico. Una visione dall’alto della baia di Giardini comunica un senso di pacifica desolazione: poche casupole addossate al monte, la sagoma del castello di Schi-sò e qualche vela che solca le acque del golfo73.

    La statua di San Pancrazio non compare né nelle tavole né nel testo dell’opera di Saint-Non, e non se ne fa menzione nemmeno nell’altra grande edizione illustrata del XVIII secolo: il Voyage pittoresque des isles de Sicile, de Malte et de Lipari, stampato tra il 1782 e il 1785 a cura di Jean Houel (1735-1813), pittore, architetto e incisore che, a differenza del suo predecessore soggiornò addirittura quattro anni in Sicilia per osservare e descrivere nei dettagli monumenti e antichità dell’isola. Questa volta l’ampio apparato figurativo è stato realizzato o comunque supervisionato personalmente dal curatore; Houel si mostra anzi incredulo rispetto al fatto che Vivant Denon fosse rimasto a Taormina solo due giorni, non capacitandosi di come un tempo così breve possa es-sergli bastato per mettere a punto una descrizione esaustiva e attendibile dei monumenti. Le tavole e le descrizioni sono qui inserite in un vero e proprio racconto di viaggio e mostrano una notevole attenzione per le antichità, come le minuziose planimetrie e le sezioni del teatro non mancano di testimoniare74.

    Non si può non menzionare Goethe che si fermò a Taormina fra il 7 e l’8 maggio 1787 e che pur rimanendo a meditare sui suoi progetti letterari all’ombra delle fronde d’arancio nei pressi della spiaggia, mentre il suo compagno di viaggio – il pittore Christoph Heinrich Kniep conosciuto a Napoli – torna al teatro per realizzare due vedute, non menziona alcuna statua e neppure alcun particolare relativo ad altre costruzioni antiche o moderne nei dintorni di Giardini75.

    Dopo Saint-Non e Houel la fortuna dei “viaggi pittorici” prosegue nel secolo successivo con quella che si può senz’altro considerare come la più importante e probabilmente la più bella fra le opere ottocentesche che dedicano la maggior parte dello spazio all’apparato iconografico e alla necessità di mostrare e divulgare anche l’immagine dei luoghi, esigenza sicuramente dettata dalla curiosità di un pubblico che non si accontentava più della sola parola scritta. Si tratta del Voyage pittoresque en Sicile. Dédié à Son Altesse Royale Madame la duchesse de Berry, edito a Parigi tra il 1822 e il 182676. Il promotore questa volta fu un vero e proprio mecenate di quei tempi: Jean Frédéric D’Ostervald, uno svizzero di Neuchatel vissuto tra il 1773 e il 1850, che, proprio come il suo pre-decessore Saint-Non, non visitò mai la Sicilia, e come lui ebbe l’idea di cercare, raccogliere e selezio-

    73 De Saint-Non 1785, IV/1, pp. 31-54, tavv. 12-18. L’unica nota personale del testo, altrimenti consacrato esclusi-vamente all’esegesi delle tavole, è il forte profumo di fiori d’arancio che colpisce i viaggiatori al loro arrivo presso il convento dei Cappuccini di Taormina dove alloggeranno (p. 32). Su quest’opera si vedano: Tuzet 1947, pp. 428-436; Ead. 1955 [1988], pp. 75-85; Di Matteo 1999-2000, III, pp. 77-80; Quatriglio 2002, pp. 70-77. In particolare sul viaggio pittorico: Sciolla 1993; Mascoli Vallet 1993; per l’area di Taormina: Ballo Alagna 1989.74 Houel 1784, II, pp. 32-44, tavv. xc-xcvi. Discendendo dall’Etna passa da Giardini, menzionando solo di sfuggita il nome della località. Vd. ancora Tuzet 1955 [1988], pp. 86-98; Sciolla 1993; Mascoli Vallet 1993; Di Matteo 1999-2000, II, pp. 72-80 e Quatriglio 2002, pp. 65-70: “Houel fu il rappresentante più vivace, più curioso e più geniale del vedutismo itinerante di quegli anni che contrassegnavano il declinare del secolo dei Lumi”.75 Goethe 1816-1817 [1993], pp. 329-331. Sull’impatto dell’Italienische Reise nello sviluppo della letteratura di viag-gio la bibliografia è molto vasta, si rimanda alla recente analisi di Hofmann 2008. Per un’antologia breve di passi sui viaggiatori stranieri a Taormina vd. anche La Mesa 1961, pp. 161-168.76 La duchessa de Berry altri non era che Maria Carolina di Borbone, figlia del re delle Due Sicilie Francesco I e di Maria Clementina d’Austria.

  • San Pancrazio e il falcone. Culti antichi e recenti da Taormina a Naxos 243

    nare le più belle riproduzioni realizzate sul posto da pittori e disegnatori che, da soli o in compagnia di viaggiatori e letterati, si erano recati nel sud Italia negli anni o nei decenni precedenti.

    D’Ostervald girò l’Europa per raccogliere questo materiale e per poi consegnarlo dopo un’accu-rata selezione ai migliori incisori che realizzarono le lastre per la stampa. Così il Voyage pittoresque si configura come un’opera dalle molte anime che diviene emblema di quel vedutismo romantico pervaso della sensibilità dell’osservatore, e per questo probabilmente più realistico del manierismo artefatto e sublimato del secolo precedente77.

    In una delle tavole del D’Ostervald fa la sua apparizione una veduta da una posizione sopraele-vata della spiaggia di Giardini, con Taormina e i suoi monti sullo sfondo; lungo il litorale, prima dell’abitato, si scorge in ombra su un piedistallo la statua del Santo con le braccia alzate e con una grossa croce confitta nel terreno alla sua sinistra (fig. 5)78: è tratta da un disegno originale di Samuel Birmann, paesaggista di Basilea (1793-1847) che si perfezionò a Roma e visitò la Sicilia nel 182279. Lo schizzo fu poi affidato dal D’Ostervald all’incisore svizzero Sigismond Himely, uno dei tanti artisti che contribuirono a questo lavoro d’équipe80.

    Nell’ampio commento alla tavola in questione si legge che sulla via che conduce al piccolo vil-laggio di Giardini:

    …si alza la statua di un prelato che si crede essere San Pancrazio, discepolo di San Paolo e primo vescovo di Taormina. Leggende siciliane tramandano che San Pancrazio essendosi recato a Taormina per convertire gli abitanti alla fede cristiana, li aveva trovati dediti al culto del dio Lyssos, del quale fece tacere l’oracolo e gettare in mare il simulacro; la figura del dio era avvolta nelle spire di un serpente. [...] Le stesse biografie di San Pancrazio riferiscono che su questa spiaggia, sotto Taormina, si stendevano i giardini di una donna illustre, Falconilla. Nel mezzo si vedeva il tempio del dio Falcone, suo figlio, che per le virtù, la bellezza e la morte immatura avvenuta in quel luogo, dalle lacrime della madre e dal compianto dei cittadini era stato posto nel numero degli dei; il suo culto molto tempo dopo fu disperso dalla predicazione dell’apostolo di Taormina, San Pancrazio. Forse la statua eretta sul sito vuole richiamare questo trionfo religioso, come è possibile che il nome di Giardini vi fosse rimasto per tradizione anche quando il ricordo dei giardini di Falconilla fu del tutto cancellato81.

    Se uno dei fili conduttori di queste opere è il ricorrere spesso ai disegni di diversi artisti, andando a comporre un lavoro che si distacca dal diario di viaggio del singolo autore, un altro aspetto ri-corrente è il fatto che il testo, o meglio il più delle volte il commento alle tavole, venga affidato a una medesima persona, anch’essa non necessariamente legata a una specifica esperienza di viaggio ma scelta dall’editore per le sue qualità di scrittore o per le sue credenziali di erudito. Per il Voyage pittoresque D’Ostervald demanda questo compito ad Achille Etienne Gigault de La Salle (1772-1855), personaggio del quale – date le scarse notizie – è difficile ricostruire nei dettagli la biografia:

    77 Cfr. Di Matteo 1987, pp. 7-15; Id. 1999-2000, I, 338-341.78 D’Ostervald 1822-1926, tav. non numerata con didascalia: “vue de Taormine prise de Jardini”. Impressione da acquatinta, mm 292x213. Vd. anche Ballo Alagna 1989, pp. 66-67.79 Cfr. Di Matteo 1999-2000, I, p. 144 s.v.80 Nella maggior parte dei casi le tavole di quest’opera (in totale 92) sono state realizzate su disegni del conte di Forbin (1779-1841): pittore e cultore di antichità, allievo di Jaques Louis David, conservatore al Louvre dopo Vivant Denon, giunse in Sicilia nel 1820 e anch’egli fu autore di un diario di viaggio: menziona Giardini che “n’est habité que par des pêcheurs” e sulla terrazza di una locanda presso il mare mangia del pesce fresco ma non nota o non menziona la statua (cfr. Forbin 1823, p. 186; Pitrè 2000, I/2, pp. 229-235). Di norma le incisioni furono realizzate con la tecnica dell’acquatinta che, a differenza dell’acquaforte, prevede l’adesione a caldo sulla lastra metallica di polvere bituminosa che permette all’acido di penetrare più diffusamente fra i granuli conferendo, con l’inchiostratura e l’impressione, un aspetto dei tratti più sfumato, in linea con quell’esigenza di indefinitezza propria dell’estetica romantica.81 Il testo qui riportato è tratto dall’edizione e traduzione italiana dell’opera del D’Ostervald in Di Matteo 1987, pp. 334-337.

  • 244 San Pancrazio e il falcone. Culti antichi e recenti da Taormina a Naxos

    nacque a Parigi il 25 febbraio del 1772, ebbe in gioventù delle travagliate vicende giudiziarie e fu più volte incarcerato; si dedicò poi agli studi letterari finché non divenne attachè del ministero degli affari esteri e collaboratore della Gazzette de France. Nel 1807 è consigliere referendario della corte dei conti e poi Censeur de la Librairie. Nel 1814, con l’esilio di Napoleone all’Elba, passò dalla parte dei Borbone e restò fedele alla restaurazione anche durante i “cento giorni”, propagandando molta stampa realista. Nel 1815 fu prefetto dell’Alta Marna. L’esperienza in Sicilia si risolse in un soggior-no assai breve nel 1820 e per questo si dice che i commenti alle tavole vengano più dal suo bagaglio culturale (che gli era valso anche la nomina a membro dell’Institut de France) e dall’ispirazione che traeva dall’osservazione dei disegni che non dall’esperienza diretta. La scelta di D’Ostervald proba-bilmente aveva offeso il conte di Forbin che, forte di una maggiore conoscenza dei luoghi, avrebbe voluto occuparsi anche del testo e, infatti, nella presentazione che farà all’edizione del Voyage non citerà mai Gigault de la Salle, elogiando invece a lungo i vari artisti e incisori82.

    Il testo di de la Salle fu riutilizzato e riadattato in tutte le successive riedizioni e traduzioni dell’opera promossa dal D’Ostervald, la più importante delle quali è sicuramente quella inserita nel progetto enciclopedico del 1835 dell’editore Firmin Didot intitolato: L’Universe, Histoire et description de tous les peuples, de leurs religions, moeurs, coutumes, etc. In linea con l’intento didattico la sezione Sicile si arricchisce di un’introduzione storica ma i commenti alle tavole divengono più impersonali e documentaristici83. Anche le incisioni sono una brutta copia di quelle del Voyage o una seconda scelta, come sembra essere il caso di quella con la statua di San Pancrazio che appa-re infatti in un’inquadratura più ravvicinata, sempre con le braccia alzate, circondato da devoti inginocchiati in preghiera ma nell’ambito di una grafica assai meno suggestiva rispetto a quella dell’edizione originale (fig. 6)84.

    La stessa raffigurazione si trova nelle edizioni italiane uscite a Venezia nel 1837 e nel 1840 presso la tipografia Antonelli con la traduzione di Antonio Francesco Falconetti, professore di letteratura universale, storico e critico, e coi titoli rispettivamente di: L’Italia del cav. Artaud e la Sicilia di M. della Salle. Tradotte ed accresciute da A. Francesco Falconetti con note ed illustrazioni e adorne di due-centodue incisioni e La Sicilia pittoresca antica e moderna di De la Salle, in volume unico. Il testo, anche nell’impaginazione, è preso e tradotto esattamente da L’Universe del 1835, così come le 24 incisioni in rame, reincise a imitazione delle precedenti ma di fattura ancor meno pregiata. Nel caso dell’immagine con la statua di San Pancrazio l’incisore è il veneto Andrea Tiozzo. La descrizione della tavola è assente nell’edizione del ’37 mentre è una traduzione compendiata dal testo di de la Salle in quella del ’4085.

    La menzione e la raffigurazione della statua compaiono anche nell’opera di un altro viaggiatore: il capitano della marina britannica William Henry Smyth (1788-1865). Discendente del fondatore della prima colonia inglese in Virginia e quindi d’origine americana, Smyth fu cartografo e fon-datore con altri della Royal Geographical Society; si occupò per lo più di ricognizioni idrografiche e molte mappe costiere usate almeno fino alla metà del XX secolo furono realizzate da lui; viaggiò sempre per mare e frequentò spesso la Sicilia dove coltivò anche la passione per l’astronomia e la numismatica86. Nel suo resoconto del 1824: Memoir descriptive of the resources, inhabitants, and hydrography of Sicily and its islands, interspersed with antiquarian and other notices, descrivendo la

    82 Vd. Tuzet 1945, pp. 105-122, 205-210; Di Matteo 1999-2000, I, pp. 462-464; DBF 1982, s.v. Gigault de la Salle. 83 Gigault de la Salle 1835, in part. su Taormina pp. 67-68. 84 Gigault de la Salle 1835, tav. 19 (sez. Sicile).85 Artaud de Montor-Gigault de la Salle-Falconetti 1837, tav. 19; Gigault de la Salle-Falconetti 1840, pp. 71-72, tav. 19. Alexis-François Artaud de Montor (1772-1849) fu il curatore del testo relativo all’Italia ne L’Uni-verse di Didot; famoso soprattutto per una traduzione francese in prosa della Divina Commedia, edita nel 1811 e am-piamente rivista nel 1829.86 Cfr. Di Matteo 1999-2000, III, pp. 159-164.

  • San Pancrazio e il falcone. Culti antichi e recenti da Taormina a Naxos 245

    discesa da Taormina a Giardini si sofferma sulla bellezza del paesaggio naturale, ma poi trova il vil-laggio afflitto dalla “mal’aria”. Sulla spiaggia, procedendo verso capo Schisò, passa accanto a quella che definisce la “statua di un vescovo”:

    Naxos. – Passing by the statue of a Bishop, on the beach of Giardini…87

    Alla tavola 19 dell’atlante, edito un anno prima col titolo The hydrography of Sicily, Malta and the adjacent islands, surveyed in 1814, 1815 and 1816, under directions from The Right Honorable the Lords Commissioners of the Admiralty, si trovano due vedute della baia di Giardini (figg. 7-8) rea-lizzate dall’incisore John Walker su disegni dell’autore: nella prima (view of the city of Taormina) la statua è in primo piano sulla sinistra, di spalle, mentre nella seconda, presa da nord (view of the Schisò Point), il monumento appare sulla destra visto di fronte88. Quello che salta subito all’occhio è che la foggia della statua appare in questi casi esattamente corrispondente all’originale oggi situa-to sul sagrato della chiesa, diversamente da quanto si può vedere nelle incisioni tratte dalle opere editoriali D’Ostervald-Didot, in cui il particolare delle braccia alzate è quindi da considerarsi del tutto di fantasia. Un’altra incongruenza è data dalla posizione della statua rispetto al punto d’os-servazione: se in Smyth è chiaro che il Santo guarda verso Taormina, nelle raffigurazioni precedenti (o quantomeno in quelle delle varie edizioni de L’Universe89) è invece rivolto verso capo Schisò. Sicuramente un escamotage per fare in modo che il soggetto principale di queste tavole – non tanto la statua bensì il fondale dei monti tauromenitani che incorniciano l’abitato – potesse essere im-mortalato senza dover rinunciare a una visione frontale del monumento.

    Infine, nelle tavole riportate da Smyth (e si vede bene soprattutto nella prima), anche il pie-distallo ricorda molto quello del monumento come oggi lo vediamo90, mentre al fianco sinistro è appoggiato il pastorale, ora perduto.

    Menzione della statua si ritrova pochi anni dopo – sempre di sfuggita – nel diario di viaggio del 1827 di un anonimo ufficiale della marina Britannica (Travels through Sicily and the Lipari islands, in the month of december, 1824):

    …after passing the bishop’s statue to our left, we arrived, at four, in Giardini…

    L’autore è in realtà Edward Boid, una delle tante personalità politico-militari che in quegli anni frequentano la Sicilia; il suo resoconto è molto dettagliato e attento anche alla realtà sociale dell’i-sola91.

    Lo stesso anno il Cavalier Gabriele Quattromani, ufficiale borbonico di Cosenza, dà alle stam-pe a Napoli il suo Itinerario delle Due Sicilie in cui, nel descrivere la discesa da Taormina verso il “paesetto” Giardini e la spiaggia di Naxos, menziona “la statua di S. Pancrazio primo vescovo di Ta-ormina” che “era quella d’Apollo”92.

    Passando ora ad un’analisi diretta del monumento si può innanzitutto notare che sul lato destro della base è scolpita un’iscrizione in cui si legge (fig. 9):

    87 Smyth 1824, p. 130. 88 Smyth 1823, tav. 19. Nell’edizione italiana Mazzarella 1989 sono riprodotte le tavole di entrambe le opere di Smyth.89 Infatti la posizione lontana e molto in ombra del monumento nell’incisione del Voyage pittoresque del 1822 non permette di distinguere bene. La grande croce a fianco del vescovo è sempre raffigurata verso il mare indipendentemen-te dall’orientamento in cui il simulacro viene rappresentato. 90 Vd. infra.91 Naval officer [Boid] 1827, p. 259. Cfr. Pine Coffin 1974, p. 193; Giardina 1983, pp. 343-415; Di Matteo 1999-2000, I, pp. 156-158.92 Quattromani 1827, p. 217. Vd. anche Clerici 1999, nrs. 399, 473 e p. 364.

  • 246 San Pancrazio e il falcone. Culti antichi e recenti da Taormina a Naxos

    ANTONIVS D[E] AMATO · SCVLPSIT

    Il messinese Antonio Amato fu un artista attivo nella Sicilia orientale della fine del XVII secolo: dopo il terremoto del 1693 si trasferì a Catania – duramente colpita – in cerca di committenze93; a lui si devono la ricostruzione della Collegiata e le facciate barocche del monastero benedettino si San Nicolò (oggi Università degli Studi), oltre a vari interventi artistici ad Acireale. La statua fu innalzata nel 1691 lungo la baia nel luogo isolato dove le raffigurazioni del XIX secolo l’hanno immortalata; con lo svilupparsi dell’abitato il sito dove era collocata, insieme a quella parte del litorale, vennero inglobati nella compagine urbanistica e, a dispetto dell’assenza di prove archeolo-giche, il punto deve essere venuto a corrispondere con l’attuale slargo del Baglio San Pancrazio – a poche centinaia di metri più a nord rispetto al sito della chiesa moderna – dove doveva essere stata edificata una cappella poi distrutta nel bombardamento del 9 luglio 1943 durante il secondo con-flitto mondiale94. Una delle opinioni tradizionali, come si diceva, propende per una coincidenza fra il luogo in cui fu eretto il simulacro del Santo e quello dove doveva sorgere nell’antichità la statua di Apollo Archegetes; promotore di questa teoria si fece per primo l’abate Francesco Ferrara all’ini-zio del XIX secolo95, seguito dallo Holm96. Pietro Rizzo precisava che il monumento a Pancrazio fu innalzato in commemorazione del settimo centenario del martirio ma si mostrava scettico nel ritenere quello il punto del primo sbarco del futuro patrono, propendendo per una localizzazione più a sud, verso capo Schisò e in prossimità dell’antico abitato, dove sorgeva una chiesa dedicata a San Pantaleone poi inglobata nel castello97.

    Lo zoccolo sottostante la statua – sicuramente l’originale seicentesco – reca scolpite su tutti i lati delle raffigurazioni (fig. 10 a-d): quella frontale mostra lo stemma del casato del tribuno del presidio militare di Taormina Giovanni Romano Denti, promotore della costruzione del monu-mento nel 169198; quella di sinistra la nave con la quale Pancrazio approdò sulle coste di Naxos; quella di destra la nuova chiesa cristiana in costruzione attorniata da due angioletti in volo; quella posteriore la statua pagana del dio Falcone che crolla dal suo piedistallo mentre un altro angelo svolazza intorno99.

    Il testo delle iscrizioni latine scolpite sui lati anteriore, destro e sinistro del basamento più gran-de, aggiunte verosimilmente in un momento successivo100, ricorda ancora – quasi a esplicazione dei

    93 Cfr. Di Bella 2001, p. 441.94 Salimbene-Vinciguerra-Talio 1973, pp. 53, 186.95 Ferrara 1805, pp. 213-215 e nt. b. L’abate francescano fu grecista, archeologo e naturalista, condusse personal-mente delle ricerche sul sito il 2 giugno 1796 insieme a Joseph Allen Smith, primo americano che si dedicò al Grand Tour nel Mediterraneo. Sulle osservazioni precedenti del Cluverius (citato dal Ferrara) e di Tommaso Fazello relative all’ubicazione delle rovine del tempio di Apollo vd. supra il contributo di F. Muscolino.96 Holm 1870, I, p. 119: “Es muss deshalb dahingestellt bleiben, ob die Vermuthung Ferrara’s richtig sein kann, das dieses uralte Heiligthum an dem Punkte zwischen der Stätte von Naxos und Tauromenion gestanden habe, wo sich jetzt am Ufer die Bildsäule des heiligen Pancratius erhebt”. Cfr. anche Pelagatti 1980, pp. 620-621; Pelagatti 1993, p. 268; Ferrara 2008, p. 72, e supra il contributo di M.C. Lentini, nt. 56. 97 Cfr. Rizzo 1894, pp. 73, 107-111, seguito da Di Bernardo 1985, pp. 31-34. Ipotesi che va rivista alla luce delle nuove scoperte archeologiche nella baia, vd. supra i contributi di F. Cordano, nt. 45, e di M.C. Lentini, passim.98 Su questo personaggio, che si distinse nel tentativo di difendere Taormina dai Francesi in nome di Carlo II d’Asbur-go, vd. Salimbene-Vinciguerra-Talio 1973, pp. 61-63, dove si riportano anche le parole del monaco agostiniano Emilio Strazzeri che nella sua opera del 1880 Uomini illustri di Taormina (non vidi) scrisse: “ebbe una tenera devozione per il nostro San Pancrazio al quale fece rizzare una statua di marmo alla riva del mare, (a Giardini), nel 1691, precisa-mente presso il luogo del di lui sbarco”. 99 Cfr. Rizzo 1894, p. 108, e Ferrara 2008, pp. 79-80. Secondo un’altra interpretazione (Guarducci 1985, p. 32) non si tratterebbe di angeli bensì degli spiriti dei numi pagani che fuggon via.100 In mancanza di precise informazioni in merito è questa una congettura derivata dal fatto che nelle raffigurazioni ottocentesche dello Smyth – le più fedeli – il basamento appare come un cubo di pietra (o mattoni) liscio, senza rive-stimenti marmorei né epigrafi di alcun tipo (fig. 8).

  • San Pancrazio e il falcone. Culti antichi e recenti da Taormina a Naxos 247

    rilievi sovrastanti – l’approdo di Pancrazio, il suo apostolato e il merito di aver distrutto gli idoli pagani, e aggiunge anche i particolari sulle circostanze in cui il monumento venne innalzato101.

    Frontale:

    D.O.M. / Siste paulum viator defigenda dirige erecto / huic simulacro lumina, statua cernis industri / expressam scalpro · Venerando Divi Pancratii / nomini sacratum ediscas: illumque primum / huius urbis, totiusque Trinacriae episcopum / ab Apostolorum Principe consecratum anno / salutis XL primas siculae fidei ianuas, apostolicis / usum clavibus aperisse: urbemque istam, / ne dum fide dignis collustrasse porten-tis; / sed etiam cruenta martirii laureâ / purpurasse scias

    A Dio Ottimo Massimo. Trattieniti un poco o viandante, volgi fisso lo sguardo a questo simulacro eretto, riconosci la statua foggiata con laborioso cesello. Apprendi che è consacrato al venerando nome di San Pancrazio e che egli, ordinato dal Principe degli Apostoli primo vescovo di questa città e di tutta la Trinacria nell’anno 40 della salvezza, servendosi delle chiavi apostoliche aprì le prime porte della Sicilia alla fede; e sappi che non solo illuminò questa città con presagi degni di fede, ma anche la imporporò col cruento alloro del martirio.

    Lato destro:

    D.O.M. / Qui dignum spectas D. Pancratii simulacrum / prodigia soli vetustati circumspecta, rece/ntiora memorabis hiĉ Christi assecla in / primum catholicae fidei trophaeum sanctae / crucis vexillum locavit: quo ad idolorum / ruinam erecto. Daemones contremiscentes aeternam / ab urbe carpsere fugam. Falconi numini dicatum a fun/damentis ruit delubrum: loquax Sisonis simu/lacrum verecundo conticuit horrore. Scamandri / superstitio manifesta periit fidei veritate: centu/pliciaque idolatriae capita sub eadem mar/tiiris bipenne recisa ingemuit Avernus.

    A Dio Ottimo Massimo. Tu che guardi il degno simulacro di San Pancrazio, considerati i prodigi pertinenti la sola antichità, ricorderai i più recenti. Qui il seguace di Cristo per primo collocò il vessillo della Santa Croce come trofeo della fede cattolica: eretto per la rovina degli idoli. I demoni terrorizzati intrapresero un’eterna fuga dalla città. Crollò dalle fondamenta il tempio dedicato al nume Falcone, il simulacro parlante di Lissos ammutolì con verecondo terrore. La falsa religione di Scamandro perì per la manifesta verità della fede e, recise le cento teste dell’idolatria dalla stessa scure del Martire, gemette l’Averno.

    Lato sinistro:

    D.O.M. / Ne temporum varietate vetustatis memoria / posteritati deficeret, veneranda tanti herois / monu-menta, marmoream hanc tauromeniensi / patrono effigiem, nomenque statuens Ill: D: / Ioannes Romano, et Dente militaris praesidii / huius urbis tribunus aeternitati tradenda / curavit, quosque cultus urbs hoec per plura / debuerat secula, unus plurium annorum, ac / urbium obsequii fervorem complectens, hac / die perpetuo duraturos devovit, debitatm totius / orbis terrarum venerationem assecturus. / anno domini 1691.

    A Dio Ottimo Massimo. Affinché per la molteplicità delle circostanze non venisse meno ai posteri la memoria del tempo andato, l’illustrissimo Don Giovanni Romano Denti tribuno del presidio militare di questa città collocando questa marmorea effigie al patrono di Taormina curò che fossero

    101 Cfr. anche Salimbene-Vinciguerra-Talio 1973, pp. 324-327, e Ferrara 2008, pp. 76-78. Sui problemi relativi alla vera cronologia dell’apostolato di Pancrazio si veda quanto già esposto sopra. Per quanto riguarda il testo latino è da segnalare nella prima parte una mancata concordanza tra il sostantivo statua e il participio expressam, oltre al dativo industri derivato da un aggettivo di seconda classe non testimoniato in epoca classica (cfr. GMIL IV, s.v. industris). Ringrazio il prof. Massimo Gioseffi per alcuni suggerimenti in proposito.

  • 248 San Pancrazio e il falcone. Culti antichi e recenti da Taormina a Naxos

    tramandati all’eternità i venerandi ricordi e il nome di un tanto grande eroe, e quei culti che questa città per svariati secoli aveva tributato, egli solo accogliendo il fervore di molti anni e della dedizione delle città, in questo giorno fece voto che si perpetuassero, affinché facesse seguito la doverosa vene-razione di tutto il mondo. Nell’anno del Signore 1691.

    Ritornano qui i riferimenti ai culti pagani preesistenti: oltre Falcone vengono menzionati anche Lissos (Siso nel testo) e Scamandro102. Il primo viene sempre investito di prerogative oracolari e nel commento di de la Salle alla tavola del D’Ostervald si dice essere un soprannome di Bacco o di Gio-ve e viene accomunato a Lyssa, definita “la quarta furia”. Qualora non si volesse seguire l’idea più semplice e pensare a un’ipostasi di Dioniso, una prima possibilità di identificazione potrebbe infatti poggiare su una sovrapposizione – o forse confusione – di Lissos con Lyssa, personificazione ap-punto del furore e della follia103, rappresentata da Euripide come figlia della Notte, con le sembian-ze di una Gorgone dallo sguardo pietrificante e con serpi dalle cento teste al posto dei capelli104, che in Eschilo trova comunque delle connessioni con la sfera dionisiaca105, mentre non si conoscono collegamenti con la figura di Zeus. Un simile culto a Naxos potrebbe essersi prodotto per analogia da quello di Enyó, divinità guerriera, anch’essa talvolta associata alle Erinni106 e testimoniata nella colonia siciliana da una dedica del VII sec. a.C.107. Pietro Rizzo, sulla scorta del testo del Caietanus, che definiva Lissos un draco, ne individuava una possibile testimonianza figurata in un bassorilievo in terracotta di cui resta il frammento di una gamba avvolta nelle spire di un serpente108.

    Un’altra possibilità, che si allontana però dalle testimonianze che lo accostano a un serpente, potrebbe essere quella di identificare Lissos con una divinità fluviale. Un fiume con questo nome è noto dalle fonti nel territorio di Leontini e una sua possibile personificazione è forse rintracciabile su alcune monete di questa città109. Gli abitanti di Naxos potrebbero aver mutuato un simile culto durante il periodo in cui Gerone di Siracusa, nel 476 a.C., li sradicò dal loro territorio per trasfe-rirli, insieme ai Catanesi, proprio a Leontini110. Quest’ipotesi, fra l’altro, ben si accorderebbe con la contestuale menzione di Scamandro, altra divinità fluviale111 che, insieme ad Assinos – perso-

    102 Sulla tradizione dei culti pagani preesistenti e sulla loro distruzione vd. Di Giovanni-Grima 1870, pp. 9 ss., che amplia con altre notizie e digressioni l’opera di Mons. Di Giovanni di oltre una ventina d’anni precedente. In part. pp. 9-10 sugli “altri tre Numi” venerati dai Taorminesi oltre “l’Arcageta”, cioè “Falcone, Lissone, e Scamandro”. Su Falco-ne vd. supra il contributo di F. Cordano.103 Vd. Kossatz Deissmann 1992, pp. 322-329.104 Eur. Her. 822-823, 883-884, 899.105 TrGF III, F 169. In Eur. Bacc. 851, sebbene non personificata, λύσσα è la follia ispirata da Dioniso che fa uscire di senno Penteo.106 Vd. Gais 1986, pp. 746-747.107 Guarducci 1985, che alle pp. 32-33 ricorda anche la statua di San Pancrazio eretta “sulla riva del mare, là dove si sarebbe trovata, secondo la tradizione, la statua di Apollo Archegetes”. 108 Caietanus 1657, I, p. 8: “Colebatur tunc Tauromenij in primis Lysonis simulacrum, quod Dracone circumdatum”; sempre da qui deriva l’incertezza sull’accostamento con Giove o con Bacco che, insieme al collegamento col serpente, si riflette nel commento alla tavola del D’Ostervald. Per il bassorilievo cfr. Rizzo 1894, pp. 144-145, e Kekulè 1884, pp. 39-40, fig. 81, che lo aveva visto a Taormina presso il “piccolo museo vicino al teatro” nel febbraio del 1875 e, informandosi sulla provenienza, viene a sapere che era stato rinvenuto a Naxos insieme ad altri reperti simili. Lo stu-dioso propendeva per un’attribuzione ad una scena di gigantomachia o alla raffigurazione di un Laocoonte. Nei ma-gazzini del teatro di Taormina esiste un’altra testimonianza simile: una piccola scultura acefala su serpente marino, proveniente da Valverde e con numero d’inventario 70. 109 Vd. Ziegler-Fluss-Oberhummer 1926, coll. 731-737, in part. col. 731. Caccamo Caltabiano 1992, p. 291, invita alla prudenza e non nasconde un certo scetticismo anche per la facilità di far confusione con l’iconografia di Apollo. Polyb. 7, 6, 5: “παραρρεῖ ποταμός, ὃν καλοῦσι Λίσσον”. Sull’identificazione del fiume cfr. Rizza 1949. Sulle di-vinità fluviali nella Sicilia orientale si veda anche il contributo di T. Alfieri Tonini in questo volume.110 D.S. 11, 49.111 Vd. Höfer 1909-1915 [1977], coll. 976-987.

  • San Pancrazio e il falcone. Culti antichi e recenti da Taormina a Naxos 249

    nificazione dell’odierno Alcantara e noto dai tipi monetali112 – andrebbe a costituire uno specifico pantheon locale.

    Dal 1962 la statua di San Pancrazio troneggia sul sagrato della moderna chiesa a lui dedicata (fig. 4) che, come si specificava all’inizio, fu costruita nel 1957 e consacrata nel 1958113.

    Anche l’articolata vicenda editoriale che si è voluta qui tratteggiare almeno nei suoi punti salien-ti e che vede protagonista il simulacro seicentesco del Santo Martire e Patrono si intreccia dunque con la multiforme storia dei culti di Taormina e Naxos, con le loro trasformazioni, sovrapposizioni e sostituzioni tra paganesimo e cristianesimo, e con l’interessante recupero anche di figure minori e talvolta evanescenti della religiosità e della mitologia classica.

    Stefano Struffolino

    112 Vd. Cahn 1984, p. 902, e Alfieri Tonini in questo volume.113 Vd. per le circostanze Salimbene-Vinciguerra-Talio 1973, pp. 321, 324, e Ferrara 2008, pp. 72-74.

  • 250 San Pancrazio e il falcone. Culti antichi e recenti da Taormina a Naxos

    Abbreviazioni bibliografiche

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