Espansione nella penisola dal manuale di...

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Espansione nella penisola dal manuale di GeoStoria Rizzo Parisi, Nuovo viaggio nella Geostoria, vol. 1 pp. 262-268

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Espansione nella penisola dal manuale di GeoStoria

Rizzo –Parisi, Nuovo viaggio nella Geostoria, vol. 1

pp. 262-268

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Muzio Scevola

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Matthias Stomer, 1615–1649, museo regionale di Messina

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APPRONDIMENTO p. 262

Furio Camillo

• Furio Camillo fece la sua comparsa nella storia quando venne eletto dittatore per risolvere la guerra contro Veio; riuscì infatti a sterminare i nemici cogliendoli nel sonno una volta penetrato col suo esercito nella rocca attraverso un cunicolo sotterraneo.

• Come fu per Troia, l'assedio a Veio durò un decennio (fino al 396 a.c.), per questo i due eventi furono paragonati.

• Presto però Camillo fu accusato di aver speculato nella distribuzione dell'immenso bottino di guerra, così con il suo carattere piuttosto orgoglioso e sprezzante scelse volontariamente l'esilio ad Ardea; nonostante ciò i soldati gli conservavano una grande gratitudine, mentre invece i suoi detrattori lo consideravano un patrizio arrogante ed egoista.

• Nell'allontanarsi dalla città andava dicendo con toni di malaugurio e con le mani tese al cielo: "Romani, mi auguro che su di voi si abbattano molte sciagure, e che abbiate bisogno di me per salvarvi!".

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Furio Camillo • E proprio nel 390 i Galli di Brenno stavano

ormai per riversarsi nell'Urbe in preda al panico; la facilità con cui arrivarono alle porte di Roma mise in allarme Brenno, timoroso di qualche trappola.

• All'interno della città i Galli non trovarono nessuno a respingerli, solamente i senatori (tra cui anche Marco Papirio) erano rimasti al loro posto nella Curia convinti che il loro sacrificio avrebbe portato sciagure al nemico.

• Trucidatili, Brenno diede il via ad un saccheggio di proporzioni leggendarie, mettendo a ferro e a fuoco l'Urbe; i Romani ebbero la forza solamente di difendere il Campidoglio.

• Allora Brenno con alcune schiere pose l'assedio alla rocca.

• I romani richiamarono Camillo da Ardea, e lo nominarono dittatore.

• Ma prima ancora che egli assumesse il comando dell'esercito in preparazione, i romani avrebbero sicuramente perso il Campidoglio se non fosse stato per Marco Manlio e le oche capitoline.

Versione Tantucci 1, p. 157, n. 12

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Versione Tantucci 1, p. 157, n. 12

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Furio Camillo • Allora Brenno, nel rendersi conto che non si sarebbe mai usciti da

quella situazione, annunciò che avrebbe tolto l'assedio in cambio di un riscatto di 1000 libbre d'oro; i Romani accettarono ma al momento del pagamento si trovarono di fronte a bilance truccate dai Galli per ottenere maggiore oro.

• Il loro tentativo di opposizione non fece altro che peggiorare la situazione: Brenno gettò insolentemente la propria spada nel piatto dei pesi, a pretendere ancora altro oro e gridando in un rozzo latino "Vae victis!", guai ai vinti. Ribadì inoltre il suo convincimento che i Romani non erano meno spietati nelle conquiste, insinuazione che offese molto i Romani fieri della loro politica.

• Agli dèi parve che i romani avessero sofferto abbastanza per le loro colpe, perciò la ruota del destino poteva ricominciare a girare in loro favore. Ma il fato talvolta era più forte degli dèi, e i romani dovettero affrontare ancora una prova. Difatti con la spada di Brenno gettata sul piatto dei pesi, non bastava più l'oro racimolato. Allora chiesero del tempo per cercarne altro presso le nobili matrone che si mostravano pronte a offrirlo. Fu in quei pochi giorni che il fato consentì a Camillo di arrivare a Roma.

• Raggiunto Brenno, gli agitò sotto gli occhi un corto gladio mentre gli parlava con grande calma e pari fermezza: «Non auro, sed ferro, recuperanda est patria!», non con l'oro, ma col ferro si redime la patria! Brenno, che sapeva poco di latino, capì tuttavia l'antifona. Ma non fece in tempo ad accorgersi che cominciavano tempi oscuri per lui, che già Camillo gli scatenava contro il nuovo esercito romano.

• Al dittatore non mancarono la vittoria e la rivincita. Dopo aver inseguito il nemico sulla via Gabinia, tornò a Roma dove, accolto in trionfo, fu solennemente chiamato «padre della patria» e nuovo Romolo.

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• La ricostruzione della città avvenne caoticamente, dopo che i romani avevano rinunciato all'idea di abbandonarla e di raggiungere i concittadini e le schiere che già erano emigrati nella ricca Veio, a Cere e in altri luoghi. Era stato lo stesso Camillo che, con un grande discorso pregno di spiritualità e di amore per Roma, li aveva convinti a riprendere la strada della loro città.

• «O quiriti, perché abbiamo vinto, se ora non torniamo a Roma? Volete che le rovine della nostra città imputridiscano? Perché abbiamo difeso il Campidoglio, dove sono raccolti i nostri dèi, per poi abbandonarlo? La nostra migrazione sarebbe vergognosa per noi, e ragione di vanto per i galli. Apparirà che noi lasciamo la città non come vincitori, ma come vinti. Si dirà che i galli hanno saputo distruggere Roma, e che i romani non sono stati capaci di ricostruirla. Migrare! Ma non è preferibile che Roma sia un vostro deserto piuttosto che una città del nemico? Se i vostri antichi nemici occupando queste rovine diventassero romani, vi adattereste voi a diventare veienti? Non è preferibile, o quiriti, abitare in una capanna di Roma, anziché vivere in perpetuo esilio? Gli dèi ci sono stati vicini, e ora noi vogliamo portarli altrove! La città fu fondata con auspici favorevoli, né è la stessa cosa adorare i nostri dèi a Veio che a Roma. Solo a Roma gli dèi vi saranno propizi come lo furono al momento della sua nascita».

• Soltanto dopo questo discorso i romani avviarono una seconda fondazione della città, e Camillo continuò a difendere la patria con la propria abilità militare.

APPRONDIMENTO p. 262 (CONTINUA)

Furio Camillo

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Domenico Ghirlandaio, Bruto, Muzio Scevola e Furio Camillo, affresco nella Sala dei Gigli, Palazzo della Signoria, Firenze, 1470

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Forche caudine p. 263 • Importante avvenimento della seconda guerra sannitica, la battaglia delle Forche Caudine vide

scontrarsi i Romani e i Sanniti guidati da Gaio Ponzio, questi ultimi imposero ai soldati dell’Urbe l’umiliazione di passare sotto i gioghi. La società romana ne fu talmente scossa che nei decenni successivi la paragonò addirittura alla disfatta di Canne per opera di Annibale. I Romani vennero sconfitti anche se però sarebbe più giusto parlare di una resa incondizionata, visto che alle Forche Caudine non ci fu nessuno scontro in quanto i legionari vista la completa impossibilità di vittoria deposero autonomamente le armi.

Per raccontare quei momenti ci affidiamo ancora una volta alle parole scritte da Tito Livio: • ” Furono fatti uscire dal terrapieno inermi, vestiti della sola tunica: consegnati in primo luogo e

condotti via sotto custodia gli ostaggi. Si comandò poi ai littori di allontanarsi dai consoli; i consoli stessi furono spogliati del mantello del comando […] Furono fatti passare sotto il giogo innanzi a tutti i consoli, seminudi; poi subirono la stessa sorte ignominiosa tutti quelli che rivestivano un grado; infine le singole legioni. I nemici li circondavano, armati; li ricoprivano di insulti e di scherni e anche drizzavano contro molti le spade; alquanti vennero feriti ed uccisi, sol che il loro atteggiamento troppo inasprito da quegli oltraggi sembrasse offensivo al vincitore”.

• L’esercito romano dopo l’umiliazione subita, si recò a Capua dove non ebbe neppure il coraggio di entrare in città, al contrario gli abitanti uscirono per portare cibo, vestiti, armi e perfino i simboli del potere per i consoli, ma i Romani sembravano sconvolti e concentrati nel loro dolore e nella vergogna. A Roma, la notizia del disastro provocò l’ abbandonò di una nuova leva e si ebbero addirittura spontanee manifestazioni di lutto: vennero chiuse botteghe e sospese le attività del Foro. I senatori tolsero il laticlavio e gli anelli d’oro, e ci furono proposte di non accogliere gli sconfitti in città. Questo non accadde ma i soldati, gli ufficiali e i consoli si chiusero nelle proprie abitazioni, tanto che il Senato dovette nominare un dittatore per l’esercizio delle attività politiche.

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