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Enzo Pace: Achille e la tartaruga. La religione cattolica e lealtre in ItaliaVincenzo Pace | 10 febbraio 2014 | Comments (1)

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Pubblichiamo da “Inchiesta” ottobredicembre 2013 questo testo del sociologo EnzoPace, Direttore del dipartimento di sociologia dell’Università di Padova che analizza comela società italiana, a monopolio cattolico, si comporta davanti all’inatteso pluralismoreligioso

Achille, simbolo di rapidità, deve raggiungere la tartaruga, simbolo di lentezza. Achillecorre dieci volte più svelto della tartaruga e le concede dieci metri di vantaggio. Achillecorre quei dieci metri e la tartaruga percorre un metro; Achille percorre quel metro, latartaruga percorre un decimetro; Achille percorre quel decimetro, la tartaruga percorre uncentimetro; Achille percorre quel centimetro, la tartaruga percorre un millimetro; Achillepercorre quel millimetro, la tartaruga percorre un decimo di millimetro, e così viaall’infinito; di modo che Achille può correre per sempre senza raggiungerla (Jorge LuisBorges, La metamorfosi della tartaruga)

Introduzione

Utilizzando il celebre paradosso di Achille e la tartaruga, attribuito al filosofo presocraticoZenone di Elea (V secolo a.C.), mi propongo di analizzare il processo di cambiamentosociale che avviene in Italia, da un particolare angolo visuale: il passaggio da una societàa monopolio cattolico ad un’altra caratterizzata da un inedito e inatteso pluralismoreligioso. Le mappe relative alla presenza di una pluralità di religioni differenti rispetto aquella di nascita (il cattolicesimo) mostrano come stia cambiando la geografia socioreligiosa in Italia e come tale cambiamento costituisca una novità rilevante in una Paeseche, per ragioni storiche di lunga durata e per motivi culturali ben temperati e a tutt’oggivitali, continua a rappresentarsi come se fosse un Paese tout court cattolico.

La Chiesa cattolica continua, infatti, nonostante la diversità religiosa cominci a rendersisocialmente palese, a ricoprire un ruolo centrale nello spazio pubblico. Tuttavia, essa –Achille nella metafora – inizia a rendersi conto che la società italiana si muove – latartaruga, sempre nella metafora – non solo perché altre religioni premono per esserevisibili e pubblicamente riconosciute, ma anche perché, in alcuni casi, essecontribuiscono a rendere plurale il campo religioso.

Per delimitare ancor meglio l’oggetto dell’analisi, alla domanda “chi rappresenta Achille”nel discorso metaforico che ho appena introdotto, posso rispondere così: secondo il mitogreco Achille sarebbe stato immerso, bambino, dalla madre Teti nelle acque del fiumeStige così da diventare invulnerabile. Per immergere Achille, però, la madre dovettetenerlo per il tallone, che rimase così l’unica parte del suo corpo a rischio. L’eroe omericosimboleggia la religionedichiesacattolica in Italia: un sistema ancora ben organizzato dicredenza, diffuso nelle pieghe della società, custode della memoria e dell’identitàcollettive del popolo italiano, detentore di una complessa potestas indirecta nella sferadelle decisioni politiche. Un sistema di credenza religiosa di maggioranza o di religione dinascita, che, continua a reggere, anche se con crescente fatica, i progressivi urti dellasecolarizzazione, come, con approcci molto diversi fra loro, una recente indagine sucampione rappresentativo della popolazione (Garelli, 2011) e una ricerca di tipoetnografico (Marzano, 2012), hanno confermato. Almeno in comparazione con altre realtàeuropee (PerezAgote, 2012), l’Italia, grazie alla tenuta organizzativa, appare

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secolarizzata, ma ancora fedele all’immagine – a livello di rappresentazioni collettive – diun Paese cattolico. Non è più così nella prassi di tante persone, ma il mito collettivodell’identità degli italiani sembra funzionare ancora (Pace, 2012). Chiarito chi è Achille,vediamo ora “cosa rappresenta la tartaruga”. Chiamo tartaruga il movimento checaratterizza la società italiana, dal punto di vista socioreligioso: dalla monoculturareligiosa a forme inedite di diversità religiosa; un movimento lento, che continua adessere in gran parte non visibile, senza particolari tensioni e conflitti (salvo per il caso deiluoghi di culto musulmani) e che, infine, produce un cambiamento della geografia socioreligiosa italiana. Non si nasce più naturaliter cattolici.

Ciò che mi propongo di fare, allora nelle pagine che seguono, è di mostrare e descriveretale cambiamento, ricorrendo ai dati raccolti in una ricerca terminata nel 2012 (Pace,2013), dati che hanno consentito di passare da generiche stime circa la presenza direligioni diverse da quella cattolica a una cartografia dei luoghi di culto, per regioni e perconfessioni religiose. Le stime, che ogni anno la Caritas/Migrantes nel suo rapportosull’immigrazione fornisce, pesano la diversità religiosa in base ad un semplice (tropposemplice, a volte) processo induttivo: se cento persone sono immigrate, ad esempio, dalMarocco, esse saranno per il 99,9% musulmani, dal momento che in quella società è taleproporzione di perosne naturaliter di fede musulmana. L’organizzazione di volontariatocattolica, la Caritas, meritoriamente in tutti questi anni ha cercato di colmare una vistosalacuna d’informazioni attendibili sulla presenza degli immigrati in Italia, che hannoraggiunto nel 2011, i cinque milioni (pari al 7% della popolazione). Sinora né gli ufficidell’Istituto centrale di statistica (ISTAT) né il Ministero degli Interni sono riusciti a forniredati circostanziati sulla realtà delle diverse presenze religiose. Fa eccezione la contabilitàdei centri di culto musulmani che, per ragioni di ordine pubblico, sono monitorati dalleforze di polizia e di intelligence per conto del Ministero degli Interni. Tale fonte costituisceuna buona base di partenza da verificare e approfondire, così come è stato fatto direcente (Allievi, 2011; Bombardieri, 2012).

Le 189 diverse nazionalità degli immigrati in Italia costituiscono un indizio comunquecerto, che la differenza di religione abita la porta accanto, il mercato di quartiere, unacorsia di ospedale, un istituto penitenziario, le aule scolastiche, i servizi sociali comunali ecosì via. Le stime sono un punto di partenza, ma non sono più sufficienti per dare unarappresentazione della geografia socioreligiosa italiana, che possa approssimarsi allarealtà, al vissuto e ai modi di appartenere ad una religione. Le stime, in altre parole, nonpossono fornirci una risposta alla domanda in che cosa credono quelli che formalmenteclassifichiamo, di volta in volta come musulmani, buddisti, hindu, sikh, pentecostali e cosìvia.

Cominciamo approssimativamente a capire, dove si addensano nel territorio le presenzedelle diverse religioni degli immigrati, ma una cartografia dei luoghi di culto è ben lungidall’essere completa e precisa. A occhio nudo tali luoghi non si vedono ancora. Almeno ilnostro occhio, pigramente abituato a riconoscere con un battere di ciglia una chiesacattolica, non è abituato, altrettanto a colpo sicuro, a mettere a fuoco edifici cheidentificano la presenza di altre religioni, diverse da quella di maggioranza. Anchel’occhio vuole la sua parte nelle religioni. L’occhio riflette e registra un mondo ordinatoesterno a noi, dove si situano cose a noi familiari. Se un domani accanto alla parrocchiadi quartiere sorgesse una moschea o un tempio sikh, il nuovo edificio potrebbe apparirecome un’intrusione, una dissolvenza che non si risolve nello sguardo, ma che potrebbeanzi, lì per lì, disturbarlo. Qualcosa deve pure insegnarci il recente referendum,celebratosi nell’autunno del 2009 in Svizzera, per impedire la costruzione di minareti (si

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badi, non di moschee), perché ritenuti dai suoi promotori simboli ingombranti in unpaesaggio religioso segnato e occupato prevalentemente da campanili.

Cominciare a vedere come la geografia socioreligiosa dell’Italia sia cambiata significa,innanzitutto, fare un passo avanti rispetto alle stime relative alle diverse realtà religiosa,ormai radicate nel nostro Paese. Ci sono comunità religiose che presentano un grado diomogeneità maggiore, altre, invece, sono differenziate al loro interno (come nel caso siadell’islam sia delle chiese ortodosse che fanno riferimento a diversi patriarcati o chiesenazionali). Per le prime è più facile reperire i dati, per altre realtà è molto più complesso(come nel caso delle comunità musulmane, divise fra diverse associazioni cherappresentano, a volte universalmente il mondo dei credenti, altre volte solo in baseall’origine geografica), per altre ancora, pur esistendo un certo grado di differenziazione,si riesce a far fronte al problema di una rappresentazione credibile dei luoghi di culto,affidandosi ad una rete – che abbiamo costruito pazientemente – di testimoni privilegiati,che ci hanno fornito indirizzi e altre preziose indicazioni.

Le mappe servono per viaggiare; assieme alle bussole è più facile orientarsi, quando sidesidera comprendere la nuova cartina delle religioni in Italia. Se un viaggiatorepercorresse dal Nord al Sud e dall’Ovest all’Est il Bel Paese, non scorgerebbecertamente a prima vista né templi sikh, né moschee, così come non saprebbericonoscere chiese ortodosse (fatte poche eccezioni, se capitasse a Trieste o Veneziaoppure, al Sud, a Bari o a Reggio Calabria, dove esistono chiese che costituiscono ilsegno e la testimonianza di una storica presenza di fiorenti comunità ortodosse, greche oalbanesi) e tanto meno mandir hindu, templi buddisti, meno ancora avvertirebbe lapresenza di chiese neopentecostali africane, latinoamericane o cinesi. Mentre le chieseneopentecostali africane sono state fatto oggetto di specifica indagine (Pace, Butticci,2010), le altre due realtà, quella latinoamericana e quella cinese rimangono sullo sfondo.Il problema, del resto, con queste nuove chiese è che è molto difficile localizzarle,essendo spesso nate e vivendo in condizioni molto precarie dal punto di vista logistico eoperativo. In ogni caso è bene sapere che alcune megachiese latino americane sonopresenti, in particolare la Igreja Universal do Reino de Deus, nata in Brasile nel 1977 ediffuso in molti Paesi. Questa chiesa ha dieci sedi in Italia (Roma, Milano, Torino,Genova, Mantova, Verona, Udine, Napoli, Firenze, Siracusa). Poco o nulla si sa dellareligiosità dei cinesi, fatta eccezione per uno studio condotto a Torino (Berzano et al.,2010).

L’articolo si divide in due parti. In una prima, sintetizzerò i principali risultati della ricerca

sul pluralismo religioso in Italia1, mentre nella seconda mostrerò quali siano gli scenaripossibili che si aprono nelle relazioni fra le nuove diverse religioni, da un alto, e lareligione storicamente dominante, il cattolicesimo, dall’altro.

1. Lento pede. Il movimento della tartaruga

Il fermo immagine sulla mappa delle religioni in Italia ci rivela la seguente situazione perquanto riguarda il luoghi di culto (tab.n. 1).

Tabella n. 1 I luoghi di culto delle nuove presenze religiose in Italia al 2012

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Denominazione Luoghi diculto

Popolazione perappartenenza religiosa(stime Caritas)

Islam 655 1.645.000

Chiese ortodosse 355 1.405.000

Chiese

neopentecostali africane

658 150.000

Sikh 36 120.000

Buddisti 126 80.000

Hindu 2 1.500

totale 1.832 3.265.000

Come si può notare, mancano le chiese evangeliche cinesi e quelle latinoamericane. Leprime sono di difficile rilevazione, le seconde iniziano a diffondersi, ma la loro rilevanzanon è paragonabile a quella delle altre denominazioni così come sono risultano nellatabella poco sopra riportata.

I luoghi di culto dell’islam sono sparsi in tutto il territorio italiano, con una densitàmaggiore laddove lo sviluppo delle piccole e medie aziende, dei tanti distretti industrialidel Nord e Centro Italia, ha drenato dai Paesi a maggioranza musulmana molti immigrati.Non solo il Maghreb (con in testa il Marocco, con i suoi mezzo milione di donne e uominiormai stabilmente presenti in Italia da almeno ventiventicinque anni), ma anche l’Egitto, ilPakistan e il Bangladesh (risalgono a tempi più lontani le relativamente estese comunitàiraniane e siriane, costituitesi in concomitanza con le vicende politiche dei due Paesi, conl’avvento del regime khomeinista nel primo caso e la repressione delle opposizionipolitiche da parte di Afez Assad negli Ottanta, nel secondo).

La mappa qui di seguito riportata dà conto a occhio nudo della diseguale diffusione deiluoghi di culto (prevalentemente sale di preghiere – musallayat – a volte ospitate in luoghiprecari e poco confortevoli, dal momento che moschee in senso proprio se ne contano suun palmo della mano – sono esattamente tre, la più importante è quella di Roma apertanel 1995, capace di ospitare 12.000 fedeli) (mappa n. 1)

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Mappa n. 1 I 655 centri di preghiera dei musulmani in Italia

(dati aggiornati al 2012 per Regioni)

L’addensamento dei centri di preghiera lo si registra, come si vede, lungo l’asse OvestEst, con picchi elevati soprattutto rispettivamente in Lombardia, Veneto e EmiliaRomagna. La distribuzione così ottenuta riflette, inoltre, le diverse componenti del mondomusulmano, che si riconosce in alcune associazioni nazionali più rilevanti, non fosse altroperché a ciascuna di esse fanno capo, dal punto di vista organizzativo, quasi tutti i luoghicensiti. Da un lato, l’Unione delle comunità islamiche d’Italia (UCOII), vicina storicamente(ma in via di trasformazione interna oggi) ai Fratelli musulmani, una delle associazioni piùorganizzate, gestisce il 31% (205) delle sale di preghiera censite, mentre, dall’altro, unaltro 32% (209) si riconosce nella nuova confederazione islamica italiana (CII), cheaggrega prevalentemente immigrati (con le loro famiglie) d’origine marocchina. Le altre240 musallayat sono distribuite fra altre associazioni di minore consistenza, anche se,almeno in un caso, quello del COREIS (Comunità religiosa islamica), fondato da unitaliano convertitosi all’islam (per il tramite della tradizione esoterica che rimonta allafigura e al pensiero di René Guénon), si tratta, come si intuisce, di un islam italiano insenso stretto. In tal caso, pur essendo un piccolo gruppo, esso ha una rilevanza pubblicache non ha eguali con nessuna delle altre associazioni appena ricordate.

La presenza degli ortodossi, in confronto con quella a tutt’oggi precaria (anche dal puntodi vista degli spazi urbani e dei siti destinati al culto, spesso poveri e di risulta) delle variecomunità musulmane, che attendono ancora un inquadramento giuridico (un’intesa,secondo le norme costituzionali italiane, fra esse e lo Stato) appare molto più stabile edefinita. Non solo perché una delle chiese ha ottenuto da poco (nel dicembre 2012) ilriconoscimento da parte dello Stato italiano, ma anche perché il loro inserimento neltessuto socioreligioso italiano è stato facilitato, almeno per le chiese rumena, moldava eucraina, dai vescovi della chiesa cattolica. In molte diocesi, dove la domanda di luoghiculto o parrocchie, era visibile e pressante, i vescovi hanno autorizzato il riutilizzo dipiccole chiese ormai prive di parroci o cappelle, anch’esse da tempo in disuso, collocatein aree marginali rispetto al tessuto urbano, offrendole alla gestione di preti ortodossi. Ilquadro complessivo, come ricostruito con precisione nella ricerca, da parte di GiuseppeGiordan, risulta essere il seguente (tab n. 2)

Tabella n. 2 La presenza delle nuove parrocchie ortodosse d ripartite per la diversaappartenenza istituzionale (dati aggiornati al 2012)

Giurisdizione Parrocchie

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emonasteri

Chiesa Ortodossa Romena (Patriarcato di Romania), Diocesid’Italia

166

Sacra Arcidiocesi Ortodossa di Italia e di Malta (Patriarcatoecumenico di Costantinopoli)

84

Chiesa Ortodossa Russa (Patriarcato di Mosca), Amministrazionedelle chiese in Italia

44

Chiesa copta ortodossa 21

Chiesa ortodossa greca del Calendario dei Padri – Sinodo deiresistenti

9

Arcivescovado per le chiese ortodosse russe in Europaoccidentale (Esarcato del Patriarcato Ecumenico), Decanatod’Italia

7

Chiesa etiopica ortodossa Tewahedo 5

Chiesa Ortodossa Serba (Patriarcato di Serbia) 4

Chiesa ortodossa romena del Vecchio Calendario 3

Chiesa ortodossa autonoma dell’Europa Occidentale e delleAmeriche – Metropolia di Milano e Aquileia

3

Chiesa Ortodossa Bulgara (Patriarcato di Bulgaria) 2

Chiesa ortodossa eritrea 2

Chiesa ortodossa macedone 2

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Chiesa apostolica armena 1

Chiesa ortodossa russa di rito antico (Metropolia di Belokrinitsa) 1

Chiesa ortodossa in Italia 1

Totale 355

(fonte Giordan, 2013)

La grande maggioranza delle parrocchie è stata istituita dopo il 2000 e quasi otto su diecisono ospitate in chiese concesse dai vescovi cattolici. L’81% dei pope è sposato e nel69% dei casi ha un’età compresa fra i 29 e i 45 anni. Rispetto alle comunità musulmane,le parrocchie ortodosse sono presenti in modo più omogeneo su tutto il territorionazionale, come si può vedere dalla mappa che segue.

Mappa n. 2

Le parrocchie ortodosse in Italia (dato aggiornato al 2012)

Se passiamo ai 36 templi sikh (Gurudwara), la loro irregolare distribuzione sul territoriodipende dai segmenti di mercato del lavoro che gli immigrati provenienti dal Panjab sonoandati gradualmente ad occupare. Una percentuale consistente ha colmato il vuotolasciato in tutta l’area centrale del NordOvest e NordEst, comprendendo anche partedell’Emilia, dagli allevatori di mucche delle grandi aziende lattierocasearie o di prodottiderivati dai suini: ai tradizionali bergamini (così sono chiamati in tutta la Valle padana) sisono sostituiti lavoratori con il turbante, i sikh. Per contratto questi migranti hanno potutoavere non solo un buon salario, ma anche l’abitazione, solitamente annessa alla stalla,per consentire la cura del bestiame in modo continuativo. Ciò ha loro consentito diottenere rapidamente il ricongiungimento familiare – cosa non frequente per altrecomunità di migranti che non potevano vantare certamente un’abitazione stabile – e, diconseguenza, si è formata ben presto una generazione di italosikh (o perché arrivata intenera età o perché nata in Italia).

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I sikh sono circa 80.000 sui 120.000 provenienti dall’India. Il periodo di massimo afflussoin Italia risale al 1984, quando nella regione del Panjab si verificano per il combinarsi diuna pluralità di fattori, una grave crisi sociale, che possono essere così riassunti: bloccodei permessi di ingresso in Gran Bretagna, dove storicamente si era diretto il flussomigratorio; la crisi agraria; i conflitti politici fra il movimento indipendentista panjabi e ilgoverno di New Delhi (Denti, Ferrari, Perocco, 2005; Bertolani, 2005; Bertolani, Ferraris,Perocco, 2011).

La mappatura dei gurudwara, che è stata curata da Barbara Bertolani (2013), rivela,inoltre, da un lato un progressivo processo di istituzionalizzazione delle comunità, chenon solo sono in grado di trovare le risorse finanziarie per ristrutturare excapannoniindustriali trasformandoli in edifici di culto, ma anche di negoziare, senza particolaridifficoltà amministrative e ostacoli di natura politica (come, invece, accade, sovente alivello locale con le comunità musulmane che chiedono di poter aprire una sala dipreghiera o una moschea), e dall’altro una iniziale differenziazione al loro interno.Esistono, infatti, due associazioni diverse (l’Associazione Sikhismo Religione Italia el’Italy Sikh Council), cui fanno capo i vari templi; inoltre, è presente una corrente religiosaminoritaria ritenuta eterodossa dal sikhismo mainstream: è quella dei Ravidasi. Si tratta diun gruppo di seguaci di un maestro spirituale che sarebbe vissuto tra il XIV e il XV secolonel Panjab, di nome Ravidas Darbar, che per la sua sapienza e autorevolezza è statoriconosciuto come un nuovo guru oltre ai dieci che tutto il mondo sikh venera. A dispettodel fatto che alcuni inni, attribuiti a Ravidas, siano stati introdotti nel testo sacro dei sikh (ilGranth Sahib), la maggioranza dei sikh nega lo statuto di guru come quelli ufficialmentericonosciuti per tradizione; inoltre, Ravidas sembra che provenisse da una casta di dalit,dedita al mestiere di conciatura delle pelli, ritenuta dai bramini hindu attività sommamenteimpura: è vero che, in principio, la via dei sikh (che letteralmente traduce l’espressionesikhpanth) ha predicato l’abolizione dei sistema delle caste, ma la resistenza neiconfronti dei dalit sembra dura a morire anche fra i sikh contemporanei.

Mappa n. 3

I 36 templi sikh (gurudwara) in Italia (dati aggiornati al 2012)

Ho scelto sinora solo alcune mappe fra le altre che potevano essere mostrate (da quellarelativa alle densità della presenza delle chiese africane neopentecostali ai centribuddisti), per documentare il lento movimento della società italiana verso unaconfigurazione socioreligiosa inedita, inattesa e, per alcuni aspetti, ignota a moltepersone. I sikh, ad esempio, laddove sono più presenti, sono stati a lungo scambiati perarabi con il turbante o degli ortodossi sono in pochi a cogliere le differenze che esistonofra loro, a seconda delle diverse appartenenze alla diverse chiesa nazionali.

Per completare il quadro, vale la pena dare un’occhiata ad altre mappe. Esse riflettono ilcambiamento interno alla società italiana; non sono dovuto a di fenomeni esogeni, come

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le migrazioni di donne e uomini da diversi Paesi nel mondo. Anche in tal caso, scelgo duemappe: riguardano entrambe la crescita, negli ultimi dieci anni, rispettivamente deiTestimoni di Geova e delle diverse congregazioni di matrice pentecostale (le piùimportanti sono le Assemblee di Dio e la Federazione delle Chiese Pentecostali).Entrambe reclutano nuovi membri fra persone, nate cattolica in Italia, che hanno deciso diaderire ad un’altra forma di cristianesimo.

I Testimoni di Geova si insediano a partire dal 1891 e da allora hanno conosciuto unacostante crescita. Oggi essi sono diffusi su tutto il territorio nazionale (vedi mappa n. 4),grazie a più di tremila congregazioni, alle mille e cinquecento sale del Regno, ai 250.000evangelizzatori e altrettanti simpatizzanti, più un numero non trascurabile di nuoveadesioni raccolte fra le fila di immigrati albanesi, rumeni, cinesi così come fra africanifrancofoni e di lingua portoghese (Naso, 2012).

Ancor più significativa è la diffusione delle chiese di matrice pentecostale. Lamaggioranza di esse fa capo alle Assemblee di Dio, con 1.181 comunità sparse in tutte leregioni italiane, ma con una densità maggiore in alcune importanti aree del Sud delPaese (Sicilia, Campania e Calabria, come si vede dalla mappa n. 5), aree chenell’immaginario collettivo italiano sarebbero regioni con forti tradizioni cattoliche. L’altrasigla, la Federazione delle chiese pentecostali conta quattrocento congregazioni e circa50.000 membri.

Mappa n. 4

I Testimoni di Geova in Italia (congregazioni e sale del regno nel 2012)

(fonte: Naso, in Pace, 2013)

Mappa n. 5 Le Assemblee di Dio in Italia (2012)

Se alla presenza di comunità e chiese pentecostali di matrice protestante, aggiungiamo,

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da un lato, l’insediamento di chiese neopentecostali africane, latinoamericane e cinesi,e, dall’altro, la formazione in seno alla Chiesa cattolica di un movimento come ilRinnovamento nello Spirito (RnS), che oggi aggrega in Italia circa 250.000 persone ed èramificato con le sue 1842 comunità in quasi tutte le regioni (si veda la tab. n. 3), sicomprende come il modello di religionedichiesa che il cattolicesimo ha costruito nelcorso dei secoli, attraverso la civilizzazione parrocchiale, è sfidata da un modelloalternativo, dove conta maggiormente l’esperienza (tramite il rito comunitario) dei carismie molto meno un apparato di dogmi e, soprattutto, una forma organizzativa che nonpreserva più la tradizionale separazione fra clero e laici. Se lo Spirito soffia dove vuole, ilpentecostalismo in tutte le sue espressioni, prendendo piede, in una societàtradizionalmente cattolica, potrebbe diventare un elemento di ulteriore differenziazionedelle scelte degli italiani in campo religioso.

Tabella n. 3

Le comunità del Rinnovamento nello Spirito (RnS) (19782005) nelle Regioni

Regioni 1978 2005

Abruzzo

9 51

Basilicata

1 27

Calabria

10 97

Campania

13 193

EmiliaRom. 12 77

Friuli V.G.

0 23

Lazio

26 100

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Liguria

17 46

Lombardia

30 174

Marche

9 83

Molise

6 17

Piemonte

41 176

Puglia

8 114

Sardegna

9 82

Sicilia

22 292

Toscana

9 75

Trentino

0 15

Umbria

4 26

Veneto

42 90

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6/3/2015 Enzo Pace: Achille e la tartaruga. La religione cattolica e le altre in Italia Inchiesta : Inchiesta

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Totale 1037 1842

(fonte: Contiero, 2012)

2. Achille a due velocità

La geografia socioreligiosa italiana, dunque, sta cambiando. Lentamente, macostantemente e in modo irreversibile; le mappe e i dati sin qui ricordati registranofedelmente anche la nuova transizione demografica che interessa la società italiana tutta,in verità, da almeno cinquanta anni a questa parte.

Si può affermare, infatti, che l’invecchiamento della popolazione italiana continua amantenersi elevato (il 20% della popolazione si colloca già oggi nella fascia oltre i 65 annidi età). La popolazione, nel frattempo, non diminuisce grazie all’aumento del tasso dinatalità (da 1.19 del 2002 al 1,25 del 2012) per donna, dovuto alla maggiore propensionedelle famiglie di immigrati a fare figli e in numero mediamente più alto rispetto alle coppiedi italiani. Su questo sfondo, non stupisce che il tasso di invecchiamento del clerocattolico sia in costante aumento. Se nel 1972 c’erano in Italia 42.000 sacerdoti, siprevede che tale cifra scenda a 25.000 nel 2023. Il 48% del clero italiano, infatti, ha oggiun’età superiore ai 65 anni e l’età media di tutto il clero è di 62 anni. Le vocazioniristagnano e le politiche di reclutamento di giovani preti asiatici e africani non sembranoin grado di colmare il vuoto che già si intravvede fra le fila del clero italiano (Castegnaro,2012). A confronto i nuovi pope delle 355 parrocchie ortodosse sono mediamente moltopiù giovani (il 60% ha un’età compresa fra i 30 e i 45 anni, mentre il 6% al di sotto dei 30),così come i seicento imam delle comunità musulmana non superano mediamente lasoglia dei 35 anni o i trecento pastori delle chiese pentecostali africane si attestanoattorno ad una media di 2835 anni..

Per la Chiesa cattolica italiana il mutamento del panorama religioso costituisce, perciò,una novità storica assoluta. Abituata a sentirsi, a buon diritto, un’organizzazione disalvezza ben organizzata, diffusa omogeneamente su tutto il territorio nazionale (con lesue 28.000 parrocchie, più un numero consistente di monasteri, santuari, centri diaccoglienza per ritiri spirituali e così via), autorevole attore nello spazio pubblico, laChiesa cattolica, qui intesa in tutte le sue articolazioni (dalla gerarchia al clero di base,dalle associazioni di laici ai semplici fedeli credenti e praticanti), comincia a misurarsi conle trasformazioni in corso, con l’inedita diversità religiosa, nei cui confronti, per un lungotratto della breve storia nazionale italiana, essa aveva mantenuto sino al Conciliovaticano II una forma di disattenzione civile, per poi passare, negli anni del dialogoecumenico e interreligioso, alla pratica delle aperture nei confronti sia delle comunitàebraiche sia delle chiese di matrice protestante. Essa aveva saputo e potuto considerarele altre presenze religiose, che comunque, ci sono state in Italia come interlocutorieventuali di un dialogo fra fedi diverse, che essa stessa promuoveva, con l’intento dimostrarsi tollerante, aperta, e, allo stesso tempo, di dimostrare, dall’altro, che nel camporeligioso in Italia essa restava il dominus della scena pubblica, il primus inter pares nellaregolazione della comunicazione pubblica in tema di religione. Parallelamente alleiniziative ufficiali prese dai papi e dai vescovi che si sono succediti dal Vaticano II in poi,la stagione del dialogo era proseguito vedendo fiorire un pulviscolo di inziative spontanee(associazioni ebraicocristiane; tavoli permamenti di dialogo fra cristiani musulmani eebrei e così via). Si trattava, sociologicamente parlando, di un riconoscimento

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dell’esistenza di altri soggetti a vocazione religiosa, che si vedevano, spesso per la primavolta, attribuire il diritto di parola in campo religioso che era stato interamente occupatoda un solo soggetto, la Chiesa cattolica (Pace, 2011b). L’arrivo massiccio degli immigratida diverse parti del mondo ha cambiato completamente lo scenario religioso. Alladiversità di fede fra italiani, si sono aggiunte altre diversità: di lingua, di cultura, dinazionalità e di costumi. Ciò che era lontano è diventato vicino e l’esotico familiare. Nonsi trattava più di dialogare con il vicino, ma di prendere coscienza del mutamentoprofondo della composizione socioreligiosa della popolazione italiana.

La Chiesa cattolica, in tutte le sue espressioni, da un lato, non è rimasta indifferente almovimento della società, dall’altro, procede con prudenza. Essa, infatti, ha cercato diinterpretare il fenomeno, facendo appello a tutte le proprie interne risorse, materiali esimboliche. Ha agito, in tal modo, come un sistema organizzato ed esperto di credenzareligiosa (Pace, 2011a), abituato ad agire in un ambiente sociale in condizioni dimonopolio simbolico, che cerca, in quanto sistema, di trasferire l’inedita complessitàesterna in differenziazione interna. Il sistemachiesa si sforza di inquadrare il nuovo chefuori di esso prende forma e senso, secondo proprie categorie larghe e strette allo stessotempo, secondo codici aperti e chiusi. Se si prende in considerazione l’aspetto che puòessere definito del welfare cattolico gestito direttamente dalla Chiesa e dalle sue piùimportanti associazioni di supporto (dalla Caritas alle ACLI), lo sforzo è imponente, comesi può vedere dalla mappa relativa ai centri di accoglienza e assistenza (religiosa)specificamente creati per dare una risposta ai bisogni materiali e spirituali di tantiimmigrati.

Mappa n. 6 Centri pastorali cattolici per gli immigrati per Regioni (dati al 2012)

Tale sforzo capillare di assistenza e accoglienza è stato bilanciato da unadifferenziazione della disponibilità al dialogo ravvicinato con le altre fedi religiose chehanno cominciato ad organizzarsi nel territorio italiano. Perciò, si può affermare, pertornare alla metafora iniziale, che Achille ha cercato di inseguire la tartaruga, muovendosia due velocità.

Fuor di metafora, infatti, in primo luogo, la Chiesa cattolica, soprattutto grazie alleassociazioni di welfare religioso, ha affinato il tradizionale intervento caritativo,impegnandosi anche in un’azione di critica sociale nei confronti delle condizioni diingiustizia e di stigmatizzazione negativa di cui sono stati fatto oggetto, soprattuttoall’epoca dei governi di centrodestra, gli immigrati in genere. In secondo luogo, la Chiesacattolica italiana ha cercato di ribadire la propria centralità nello spazio pubblico,riconoscendo l’esistenza di un pluralismo religioso, ma al tempo stesso difendendo le

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posizioni di rendita che storicamente essa ha conquistato nel corso del tempo. Sono due,a tal proposito, gli indicatori, fra altri meno rilevanti nell’economia del discorso che stiamofacendo, di questa seconda tendenza. Il primo è la difesa dell’insegnamento dellareligione cattolica in tutte le scuole pubbliche di ogni ordine e grado (dalla scuolad’infanzia alle superiori, un’ora per settimana); il secondo è la differenziazione delprocesso di comunicazione con le nuove presenze religiose.

Per quanto riguarda l’insegnamento della religione cattolica, infatti, la strategia dellaChiesa è stata sinora la seguente: dal punto di vista istituzionale, ottenere dallo Statol’inquadramento degli insegnanti di tale materia (che sono formati e reclutati dalla Chiesastessa presso gli istituti di scienze religiose diocesane) nei ruoli pubblici, equiparati,dunque, a tutti gli altri insegnanti, e di far passare l’idea che si tratti di un’ora di culturareligiosa non strettamente confessionale ma attenta a presentare anche le altre fedireligiose.

Per quanto attiene, invece, la differenziazione dell’offerta di dialogo, la Chiesa cattolica, alivello ufficiale, ha un occhio di riguardo per le chiese ortodosse (alle quali spessoconcede, come abbiamo visto, chiese e cappelle ormai rimaste prive di fedeli e parroci),mentre è più cauta con le altre presenze religiose, in particolare con il variegato mondomusulmano. Nei confronti di esso, infatti, se sino al 2001, parroci e associazioni cattolichea livello locale erano ben disposti al confronto e a concedere spazi di preghiera inambienti annessi alle parrocchie, dopo l’attentato delle Torri Gemelle e il gradualesentimento di timore e sospetto che divide ancor oggi i cattolici praticanti, l’apertura dicredito nei confronti dei musulmani si è ridotta.

Conclusione

Il caso italiano, dal punto di vista religioso, è un buon esempio di come e inquale misuraun sistema di monopolio simbolico subisce delle trasformazioni per via esogena. Ladiversità religiosa, inedita e inattesa, che comincia a prendere forma nel territorio,costringe, infatti, a riscrivere le mappe della religiosità e della secolarizzazione che pertanti anni i sociologi della religione in Italia hanno continuato a osservare perinterpretarne i cambiamenti. Spesso interni al cattolicesimo stesso (Garelli, 2011;Cartocci, 2011); sovente registrando piccoli scostamenti percentuali in un quadro diapparente sostanziale immobilità, guardando soprattutto al livello di autorappresentazione collettiva che sino ad oggi gli italiani manifestano: si dichiarano cattolici(per più dell’85%), pur rivelando un’elevata differenziazione (con livelli altrettantodiversificati di secolarizzazione) sia negli atteggiamenti del credere sia nei comportamenti(dalla pratica religiosa alle scelte morali, a volte molto individualizzate e del tuttoautonome rispetto alla dottrina ufficiale della Chiesa cattolica).

Per la prima volta, dopo anni di ricerca, le mappe (alcune delle quali qui riportate) cimostrano che dobbiamo dotarci di altre bussole per interpretare una realtà socioreligiosain rapida trasformazione. Lo stesso cattolicesimo subirà alla lunga un certo cambiamentointerno. Non basterà dire “arrivano i nostri” per derubricare dal tema del pluralismointerno alla Chiesa cattolica il fatto che fra gli immigrati almeno un cinque per cento è difede cattolica, ma proveniente da mondi che si stanno allentando dalla teologia e dallaliturgia romana: cattolici africani, latinoamericani, filippini, cinesi e coreani apporterannoun punto di vista sul modo di essere cattolico non necessariamente coerente con latradizione italiana mainstream.

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Si apre, dunque, un nuovo campo d’indagine, che richiederà non solo nuove energieintellettuali per indagare la realtà del vissuto religioso di tante persone appartenenti adaltre religioni, superando l’etnocentrismo (o il cattolicocentrismo che inevitabilmente hacaratterizzato gli studi e le ricerche su una società a dominanza cattolica), ma anche unariflessione critica sui concetti e gli apparati teorici di riferimento che siano all’altezzadell’inedito pluralismo religioso che caratterizza e caratterizzerà sempre più la realtàitaliana.

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Enzo Pace è Ordinario di Sociologia e Sociologia delle religioni all’Università di Padova.

Indirizzo: Dipartimento di Filosofia, Sociologia, Pedagogia, Psicologia Applicata, sede diSociologia, via Cesarotti 12, 35123 Padova (I). mail: [email protected]

1 La ricerca è stata finanziata dal Ministero dell’Istruzione e dell’Università (MIUR) . Il gruppo diricerca, coordinato da Enzo Pace, era composto, rispettivamente, dalle unità di Padova (StefanoAllievi, Barbara Bertolani, Annalisa Butticci, Monica Chilese, Annalisa Frisina, GiuseppeGiordan, Khalid Rhazzali, Valentina Schiavinato), Bologna (Massimiliana Equizi, Cristiana Natali,Pino Lucà Trombetta, Azeb Trombetta), Torino (Giulia Becchis, Luigi Berzano, Carlo Genova),Roma (Enrico Gandolfi, Domenico Di Sanzo, Maria Immacolata Macioti, Antonietta Maggio,Paolo Naso), Palermo (Annamaria Amitrano, Giuseppe Burgio, Igor Cardella, Elisabetta DiGiovanni).

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Category: Culture e Religioni

About Vincenzo Pace: Laureato in Giurisprudenza e Filosofia, è professore di Sociologia generale presso la Facoltà di Scienze Politiche all’Universitàdi Padova, dove insegna anche Sociologia delle Religioni e Religion e Società. Inolte è titolare del modulo “Islam and Human Rights” all’EuropeanMaster on Human Rights and Democratization. E’ stato Direttore del Dipartimento di Sociologia. E' direttore del Centro interdipartimentale di ricerca eservizi per gli studi interculturali. Pubblicazioni: Un singolare pluralismo, Bologna, Il Mulino 2003 (con F. Garelli e G. Guizzardi); Perché le religioniscendono in guerra, Bari, Laterza 2004; Sociologia dell’islam, Roma, Carocci 2005; Introduzione alla sociologia delle religioni, Carocci, Roma 2007; Globalization and the Conflict of Values in the Middle Eastern Societies, in P. Beyer, L. Beaman (eds.), Religion, Culture and Globalization, Leiden,Brill 2007; Raccontare Dio. La religione come comunicazione, Bologna, Il Mulino 2008; Le religioni pentecostali, Roma, Carocci, 2010; Religion asCommunication, Farnham, Ashgate, 2011;Vecchi e nuovi dei: la geografia religiosa dell'Italia che cambia, Milano, Paoline, 2012.

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