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1 © Enzo Barillà, maggio 2019. All rights reserved. Riproduzione vietata. www.enzobarilla.eu Enzo Barillà LA BILANCIA DELL’ANGELO Luca Signorelli, Cappella di S. Brizio, Duomo di Orvieto. L’arcangelo indossa il caratteristico copricapo alato di Ermes. Certamente a tutti è capitato di vedere la rappresentazione di S. Michele arcangelo che tiene una stadera nei cui piatti appaiono piccole figure umane, generalmente ignude: si tratta della psicostasi o pesatura delle anime, che trova la sua origine nelle religioni dell’Egitto, dell’India e della Persia, per infine trasmigrare, tramite la civiltà greco-romana, nella religione cristiana. Un resoconto dettagliato e di grande interesse è documentato nel Libro dei morti egizio, databile approssimativamente verso il XVI o XVII secolo a.C. L’egittologo italiano Ippolito Rosellini (1800-1843), rifacendosi a un papiro riportato nella colossale Description de l’Égypte (compilata da studiosi francesi al seguito di Napoleone durante la campagna d’Egitto e pubblicata in Francia dal 1809 al 1829), così descrive la scena della psicostasi: «Rappresentasi nella nostra figura una vasta sala, alla estremità della quale sono indicate le due aperte imposte della porta. Due colonne del più grave e severo stile egiziano sorreggono il grande architrave e frontone, sul quale sta per ornamento un ordine di simbolici segni convenienti al luogo. Poiché nel mezzo una figura umana stende le braccia sopra i due mistici occhi, quasi adombrar voglia quell’Essere eterno che tutto vede e provvede delle cose di questa terra. Ai lati si figurano ripetutamente tre simboli: la piuma di verità, emblema dell’Amenti 1 ; il carattere che significa e determina il fuoco; e l’ureo emblema della deità specialmente femminile, del regio potere, e di altre idee. Qual fosse il cero significamento di questi tre caratteri così riuniti non potrebbesi che per varie congetture determinare. Alle due estremità del fregio si figura la bilancia, cui sta appresso il cinocefalo uno dei simboli di Thoth, deità che presiedeva a questo istrumento. Dalla parte destra del quadro, per dove entrasi alla gran sala, si presenta l’immagine del defunto, l’osiriano PETAMON, al quale appartiene il papiro; e fa atto di supplicante alla donna che gli va incontro, nella quale, per la piuma che porta in testa, ravvisasi la dea TME, la Temi egiziana, la 1 l’oltretomba.

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1 © Enzo Barillà, maggio 2019. All rights reserved. Riproduzione vietata. www.enzobarilla.eu

Enzo Barillà

LA BILANCIA DELL’ANGELO

Luca Signorelli, Cappella di S. Brizio, Duomo di Orvieto.

L’arcangelo indossa il caratteristico copricapo alato di Ermes.

Certamente a tutti è capitato di vedere la rappresentazione di S. Michele arcangelo che tiene una

stadera nei cui piatti appaiono piccole figure umane, generalmente ignude: si tratta della psicostasi o pesatura delle anime, che trova la sua origine nelle religioni dell’Egitto, dell’India e della Persia, per infine trasmigrare, tramite la civiltà greco-romana, nella religione cristiana.

Un resoconto dettagliato e di grande interesse è documentato nel Libro dei morti egizio, databile approssimativamente verso il XVI o XVII secolo a.C.

L’egittologo italiano Ippolito Rosellini (1800-1843), rifacendosi a un papiro riportato nella colossale Description de l’Égypte (compilata da studiosi francesi al seguito di Napoleone durante la campagna d’Egitto e pubblicata in Francia dal 1809 al 1829), così descrive la scena della psicostasi:

«Rappresentasi nella nostra figura una vasta sala, alla estremità della quale sono indicate le due

aperte imposte della porta. Due colonne del più grave e severo stile egiziano sorreggono il grande architrave e frontone, sul quale sta per ornamento un ordine di simbolici segni convenienti al luogo. Poiché nel mezzo una figura umana stende le braccia sopra i due mistici occhi, quasi adombrar voglia quell’Essere eterno che tutto vede e provvede delle cose di questa terra. Ai lati si figurano ripetutamente tre simboli: la piuma di verità, emblema dell’Amenti1; il carattere che significa e determina il fuoco; e l’ureo emblema della deità specialmente femminile, del regio potere, e di altre idee. Qual fosse il cero significamento di questi tre caratteri così riuniti non potrebbesi che per varie congetture determinare. Alle due estremità del fregio si figura la bilancia, cui sta appresso il cinocefalo uno dei simboli di Thoth, deità che presiedeva a questo istrumento.

Dalla parte destra del quadro, per dove entrasi alla gran sala, si presenta l’immagine del defunto, l’osiriano PETAMON, al quale appartiene il papiro; e fa atto di supplicante alla donna che gli va incontro, nella quale, per la piuma che porta in testa, ravvisasi la dea TME, la Temi egiziana, la

1 l’oltretomba.

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Verità e la Giustizia in una sola e medesima persona riunite. Era questa dea, nelle dottrine teologiche egizie, quella che introduceva le anime al tribunale del supremo giudice Osiride. A lei appartengono le tre colonnette di geroglifici poste dietro al suo capo, ed esprimono: Tme dea che appartiene all’Amenti, concede che siagli aperto (che sia dato accesso al defunto) nell’abitazione di lui, cioè, di Osiride.

Segue la tremenda bilancia ove le azioni del defunto a rigore di peso si stimano. Posa in cima al fusto della bilancia il cinocefalo di Thoth che era riputato inventore dei pesi e

delle misure. Sopra una delle coppe sta quella a forma di vasetto, che è l’emblema del cuore, ed insieme dell’equità; poiché è destinato a fare egual contrappeso alla simbolica piuma collocata sull’altra coppa, e che rappresenta la giustizia. Altre volte invece della piuma vi si vede l’immaginetta stessa della dea Tme. In tutte queste scene figurasi, com’è naturale, un risultato favorevole al defunto: le due coppe si rappresentano sempre in equilibrio; e già dicemmo che questo termine di misura contemplava specialmente in quei giudizi, come massima di morale. Due deità, Horus e Anubi, figli entrambi di Osiride, assistono al pesamento, l’uno e l’altro caratterizzati per le loro teste simboliche, e per il nome soprascritto. Davanti alla bilancia, e rivolto verso il supremo giudice, sta il dio Thoth ibiocefalo, l’inventor delle lettere, dei pesi e delle misure, la Sapienza divina comunicata agli uomini. Egli è in atto di scrivere con uno stilo sopra la tavoletta il prodotto del pesamento, onde recarlo al giudice.2»

Rosellini prosegue con la descrizione della bestia mostruosa, un misto di leonessa e ippopotamo

(altrove ad essa partecipa inoltre il coccodrillo) che sta a presidio del regno dei morti, la grande dea dell’Amenti. “Siede finalmente sopra il trono il giudice supremo Osiride effigiato nelle sue consuete forme, ed avente sopra la testa il disco alato emblema del gran Thoth, l’Ermete trismegisto, ossia la Sapienza divina, che presiede e regola questo giusto ed inappellabile giudizio.3”

2 Rosellini, Ippolito, I monumenti dell’Egitto e della Nubia, Capurro, Pisa, 1836, p. 491, 492, 493, 494. 3 idem, p. 497.

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Tralasciando per il momento qualsiasi altra considerazione in merito ai vari significati della

cerimonia, emerge subito il dato incontrovertibile dell’abbinamento tra lo strumento della bilancia e il senso di giustizia divina. Ne troviamo traccia in alcuni passaggi della Bibbia che vedremo più avanti.

Diverso è il caso della pesatura presso i Greci. Ne troviamo traccia nell’Iliade,opera di incerta datazione, ma apparentemente riconducibile al VII secolo a.C. Recita il poema omerico:

«allora Zeus agganciò la bilancia d’oro, le due Chere di morte lunghi strazi vi pose, quella d’Achille e quella d’Ettore domatore di cavalli, la tenne sospesa pel mezzo: d’Ettore precipitò il giorno fatale e finì giù nell’Ade; l’abbandonò allora Apollo.» (vv. 209-213, trad. Rosa Calzecchi Onesti) Nella pittura vascolare sottostante Ermes – contraddistinto dal suo caratteristico copricapo –, e

non Zeus, pesa le anime di due guerrieri, verosimilmente quelle di Achille e Memnone.

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Un’altra immagine che ancora una volta raffigura Ermes intento a esercitare questa funzione.

Winckelmann spiega così, il cambiamento da Zeus a Ermes quale pesatore dell’anima (si

possono notare le figurine munite di ali in entrambe le immagini): «La ragione di questo cambiamento sarà infra le altre la custodia e la tutela che questo nume

aveva delle bilance, come aveva Ercole quella de’ pesi; sicché la funzione fusse più adattata a questa Deità che a Giove: oltre di che Mercurio trovasi in molte gemme con la bilancia alla mano.4»

4 Winckelmann, Giovanni [Johann Joachim], Monumenti antichi inediti, “a spese dell’autore”, Roma, 1767, p. 174.

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È evidente il diverso significato della pesatura presso i greci, che serve a determinare il destino di persone in vita, e non a giudicarne le azioni post mortem ai fini della somministrazione della giustizia divina.

Nello stesso senso, i romani prendono a loro volta a prestito la psicostasi dai greci, come è

evidente da questo passo dell’Eneide, in cui Giove determina l’esito del duello tra Turno ed Enea. «Giove in persona dopo aver bilanciato i due piatti li tiene sospesi, e pone su ciascuno il destino dei due contendenti, quale sia condannato dalla battaglia e quale piatto la morte faccia inclinare col suo peso.» (vv. 725-727) In epoca romana imperiale il retro di alcune monete riportava la figura della dea Aequitas

munita di bilancia e cornucopia.

La raffigurazione della donna con bilancia e cornucopia migra presso le tre Parche

nell’immagine che venne così commentata dallo studioso tedesco Aloys Ludwig Hirt nei primi anni del XIX secolo:

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«Produciamo la rappresentazione del bassorilievo capitolino in cui una fila, l’altra apre un papiro e la terza, nel mezzo, con la cornucopia nella mano sinistra e la bilancia in equilibrio nella destra. Quest’ultima attribuisce quindi i destini non secondo il corso delle stelle, bensì pesa – in quanto giusta provvidenza– a ciascuno il suo, secondo i propri meriti.5»

La presenza della cornucopia dell’abbondanza rimanda all’idea di Fortuna, mentre è più difficile dare ragione della spiegazione di Hirt nel secondo periodo della frase, apparentemente in contrasto con l’idea di un fato già predisposto, inalterabile e irrevocabile.

Nella Bibbia dei cristiani l’espressione “bilancia” appare 13 volte. La più citata è l’invocazione

di Giobbe (31,6): «mi pesi pure sulla bilancia della giustizia e Dio riconoscerà la mia integrità.» mentre assume particolare rilievo, in relazione al presente studio, Apocalisse (6,5): «Quando l'Agnello aprì il terzo sigillo, udii il terzo essere vivente che gridava: “Vieni”. Ed ecco, mi apparve un cavallo nero e colui che lo cavalcava aveva una bilancia in mano.»

5 Hirt, Aloys Ludwig, Bilderbuch für Mythologie, Archäologie und Kunst, Berlin, 1805, p. 200, 201. Traduzione dal

tedesco mia, sottolineatura mia. Ignoro se il bassorilievo sia tuttora conservato nei Musei Capitolini a Roma.

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Torniamo ora alla pesatura delle anime, secondo l’ottica proposta già a metà XIX secolo dall’erudito francese Alfred Maury in una serie di articoli apparsi nel 1844 sulla Revue archéologique Quest’ultimo sostiene con dovizia di argomenti che le rappresentazioni medievali della pesatura delle anime in Europa derivano dai riti funebri egiziani. Secondo la tradizione cristiana, è un angelo a eseguire questa operazione, creature spirituali che appaiono già nella Genesi, e un po’ in tutta la Bibbia, Antico e Nuovo Testamento. Gli angeli (dal greco ἄγγελος) sono messaggeri di Dio di cui si conosce per certo il nome unicamente di tre di loro: Raffaele, Michele e Gabriele. Raffaele è l’angelo guardiano, Gabriele il messaggero di grandi notizie e Michele il guerriero. Nel pensiero ebraico a questi tre si aggiunge Uriele, formando così un perfetto quaternio6.

«Per Alfred Maury, Michele adempie la stessa funzione di Thoth, poi di Ermes o Mercurio; possiedono tutti le funzioni di psicopompo, sono protettori e conducono le anime. … Tale trasmissione fu resa possibile, sempre secondo il signor Maury, dal vettore gnostico che permise l’inserimento di alcune idee pagane in ambiente cristiano, già trasformate e rese accettabili dei fedeli della nuova fede.7»

Ribadisce quindi il Maury che l’arcangelo Michele abbia in qualche modo anche ereditato le funzioni di Ermes come psicopompo, e a tale scopo cita tutta una serie di episodi e raffigurazioni, tra cui mi piace riportare la poetica descrizione della morte del paladino conte Orlando a Roncisvalle, tramandataci nella Canzone di Orlando.

«E ciò dicendo a Dio protende il guanto e Gabriel da la sua man lo accoglie. Sul braccio allor piega la testa Orlando; giunte le mani in atto di preghiera, sen muore il prode. In contro a l’esultante spirto scendon dal cielo il Cherubino, san Michel del Periglio e Gabriele che lo recano a gloria innanzi Dio.» Il catechismo della Chiesa cattolica (artt. 1021, 1022), richiamandosi alle Sacre Scritture, tratta

la questione del “giudizio particolare”, momento in cui verrà somministrata “l'immediata retribuzione che, dopo la morte, sarà data a ciascuno in rapporto alle sue opere e alla sua fede.” E accanto al giudizio particolare la Chiesa afferma l’esistenza di un “giudizio universale” (art. 1038). Come noto, di entrambi i giudizi si riscontra una ricca iconografia a cui ricorrerò per cercare di enucleare il filo rosso che in senso lato collega l’originaria pesatura egizia con quella cristiana, pur non nascondendomi tutte le differenze derivanti dalle diverse culture. La grande maggioranza delle immagini che rappresentano S. Michele “pesatore” di anime tuttavia riguarda il “giudizio particolare”.

«All’alba del XIII secolo la bilancia diventa un attributo classico di Michele nell’ambito o fuori

dal contesto del giudizio universale. … Se raffrontiamo la formazione dell’iconografia di S. Michele col drago e quella con la bilancia in rapporto alle Sacre Scritture, notiamo che si sono realizzate in modo opposto. L’immagine di Michele col drago – pur se si ricollega chiaramente alle citazioni bibliche – fu in un primo momento un’immagine simbolica scollegata da un preciso contesto narrativo, per successivamente svilupparsi nel quadro dei cicli apocalittici. La pesatura delle anime o degli uomini si ricollega solo lontanamente con citazioni bibliche, tuttavia è descritta con precisione sin dalle prime rappresentazioni del Giudizio universale, per poi distaccarsene e rendersene autonoma, per fare della bilancia un attributo della figura di Michele come tale.8»

6 Sul quaternio mi permetto rimandare il lettore a un apposito capitolo del mio Il punto dell’astrologia. 7 Denèle, Clémentine, L’iconographie de saint Michel archange dans les peintures murales et les panneaux peints

en Italie (1200 – 1518), tesi di dottorato del presso l’Università di Bourgogne, dicembre 2014, p. 248. Traduzione mia. 8 Denèle, Clémentine, op. cit., p. 255.

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Le rappresentazioni di San Michele con la bilancia tendono a intensificarsi a partire dal XIII secolo per raggiungere la massima frequenza nel primo ventennio del XVI secolo9. Spesso la scena è movimentata da una contesa tra il diavolo e l’arcangelo per aggiudicarsi l’anima del defunto.

In realtà la pesatura è relativa alle azioni, buone o malvagie, del singolo defunto, per determinarne il destino post mortem; tuttavia in alcuni casi la pesatura riguarda due persone diverse, l’una retta e l’altra malvagia, con il giusto che si libra verso l’alto, quasi a significare il moto ascensionale verso il paradiso, mentre quella malvagia sprofonda verso il basso.

Va chiarito subito che l’arcangelo non è un giudice che decide del destino dell’anima, ma un esecutore della giustizia divina e accompagnatore delle anime stesse dopo la morte. Molte raffigurazioni di Michele si trovano infatti presso tombe e cappelle funerarie.

Alla bilancia viene spesso associata la spada, e in tal modo Michele assume tutte le sembianze della giustizia imparziale, a tutt’oggi presente sotto forma di donna bendata nelle aule di tribunale.

Troviamo la spada come simbolo di separazione e potenza del Verbo nel versetto dell’Apocalisse riferito a Cristo che recita: “Dalla bocca usciva una spada affilata, a doppio taglio” 1, 16).

Vediamo ora alcune immagini della partecipazione di Michele al Giudizio universale.

Rogier van der Weyden, Polittico del Giudizio universale, Hôtel-Dieu, Beaune

9 idem, p. 462. Il grafico prodotto mostra una frequenza che va dal 20% fino al 75%.

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Chiesa di S. Michele, Giudizio universale Riva Valdobbia (Novara)

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Hans Memling, Trittico di Danzica, Museo nazionale, Danzica

Biagio d’Antonio Tucci, Museo del Petit Palais, Avignone

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Seguono ora immagini riferite al giudizio particolare, e relativa pesatura delle anime (o delle buone e cattive azioni del defunto).

Maestro di Soriguerola. In basso a destra, un angelo più piccolo consegna un’anima a San

Pietro, che l’accoglie.

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Due dipinti di Guariento di Arpo, allievo di Giotto, museo degli Eremitani, Padova.

Capitello romanico della Chiesa di Saint-Pierre a Chauvigny (XII sec. circa). Un piccolo diavolo

si attacca con tutto il suo peso al piatto del bilancia per farla pendere a suo favore.

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Alcune considerazioni conclusive. Esaminando le questione della psicostasi unicamente dal punto di vista psicologico (e lasciando

a ciascuno la propria libertà di culto, come è ovvio), desidero ancora una volta richiamare il pensiero di C. G. Jung, riportando alcuni brani del suo pensiero riguardanti la religione.

«Il mio atteggiamento nei confronti di tutte le religioni è perciò positivo. Nel loro insegnamento

riconosco le figure che ho incontrato nei sogni e nelle fantasie dei miei pazienti. Nella loro morale vedo gli stessi o analoghi tentativi di quelli compiuti dai miei pazienti … al fine di trovare la giusta strada per affrontare le potenze della psiche. L’atto sacro, il rituale, le iniziazioni e l’ascesi sono per me estremamente interessanti come tecniche ricche di variazioni e di forme per trovare la via giusta.10»

Riferendosi alle idee religiose, il Maestro svizzero così scrive: «Dal punto di vista della psicologia, l’idea è vera, in quanto esiste. L’esistenza psicologica è

soggettiva, in quanto un’idea si trova in un solo individuo. Ma è oggettiva, in quanto è condivisa, in quanto gode di un consensus gentium, del consenso d’un numero rilevante di persone.11»

«Ci si è soffermati troppo sulla domanda, in fondo sterile, se le affermazioni della fede siano o

non siano vere. Prescindendo completamente dalla circostanza che la verità di un’affermazione metafisica non può mai esser dimostrata o confutata, l’esistenza dell’affermazione è un fatto evidente in sé, che non ha bisogno di altre dimostrazioni, e qualora a ciò si accompagni un consensus gentium, la validità dell’enunciazione entro questi limiti è dimostrata. Di essa possiamo afferrare soltanto il fenomeno psichico, rispetto al quale la categoria dell’esattezza o della verità oggettiva non ha misura comune. Un fenomeno non si “liquida” mai con un giudizio razionale, e nella vita religiosa si tratta di fenomeni e di fatti, non certo di ipotesi discutibili.12»

«L’uomo dovrebbe poter dire di aver fatto del suo meglio per formarsi una concezione della vita

dopo la morte, o per farsene un’immagine – anche se poi deve confessare la sua impotenza. Non averlo fatto è una perdita vitale.13»

Il consensus gentium, rappresentato dai fedeli delle religioni di ogni tempo e luogo, è concorde

nell’affermare che, dopo l’abbandono delle spoglie mortali, le azioni commesse durante la vita terrena verranno soppesate: è l’idea universale di giustizia. L’essere umano è libero, e perciò responsabile delle proprie azioni, i cui risvolti non sono indifferenti a seconda degli effetti da quelle prodotti. L’equilibrio, di cui vediamo in ogni momento la manifestazione macrocosmica nella stupefacente armonia dei moti celesti, qualora venga turbato, necessariamente deve in qualche modo essere ristabilito. Il “come” è questione che da millenni occupa la mente dei sapienti, e che ciascuno a mio parere dovrebbe affrontare, se non altro come elementare forma di igiene psichica.

5° Gemelli 2019 (26 maggio 2019)

10

Il contrasto tra Freud e Jung, Opere, Vol. 4, Boringhieri, Torino, 1973, p. 360. 11 Psicologia e religione, Opere, Vol. 11, Boringhieri, Torino, 1979, p. 16. 12 Psicologia e alchimia, Boringhieri, Torino, 1981, p. 32. 13

Ricordi, sogni, riflessioni di C. G. Jung, Rizzoli, Milano, 1978, p. 357.