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ARTURO PAOLI ENRIQUE ANGELELLI IL PASTORE MARTIRE GLI SCOIATTOLI N.05 NOVEMBRE 2018 I.R.

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ARTUROPAOLI

ENRIQUEANGELELLIIL PASTORE MARTIRE

GLI SCOIATTOLI N.05 NOVEMBRE 2018 I.R.

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ENRIQUE ANGELELLIIL PASTORE MARTIRE

A R T U R O P A O L I

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Indice

PRESENTAZIONE 7

ARTURO PAOLI 8

DOVE MUORE L’ASFALTO 10

IL BACIO DELLO SPOSO 12

ARTISTI, CONTEMPLATIVI, EROI 14

L’ALLEANZA TRA SPADA E CROCE 16

L’ANIMA NEGLI OCCHI 18

DENTRO DI SÉ TREMAVA 21

SOTTO GLI OCCHI DI TUTTI 23

LA CROCE SCOLPITA NELLA ROCCIA 25

I PROFETI DISARMATI 28

ASSOCIAZIONE ORE UNDICI 30

ENRIQUE ANGELELLI IL PASTORE MARTIRE 5

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Presentazione

Pochi giorni fa, il 24 ottobre scorso, è stata diffusa lanotizia della prossima beatificazione del vescovo En-rique Angelelli. Notizia inaspettata e insperata primadi papa Francesco, poiché la storia pastorale e spiri-tuale di mons. Angelelli era stata cancellata dalla vi-cenda giudiziaria che aveva archiviato la sua mortetra gli incidenti stradali. Non tutti, ovviamente, credet-tero a questa versione. Qualcuno, fin da subito, rac-contò una storia diversa contribuendo a riaprire ilprocesso e recuperare la verità.Fratel Arturo Paoli visse gli ultimi anni della sua per-manenza in Argentina (dal 1969 al 1973) a Su-rijaco, nella diocesi di mons. Angelelli, accoltodall’amicizia del vescovo. Lì avviò il primo noviziatosudamericano dei piccoli fratelli del vangelo, grazieall’aiuto e alla guida di Angelelli.Quello che riportiamo è il memoriale scritto da fratelArturo per il vescovo pochi giorni dopo il suo assassi-nio, che fu perpetrato il 4 agosto 1976.

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Arturo Paoli

Arturo Paoli (Lucca 1912 - 2015) è stato ordinato pre-sbitero nel 1940 ed è entrato nella congregazionedei piccoli fratelli del vangelo nel 1954. Negli anni della seconda guerra mondiale, insiemead altri sacerdoti della diocesi di Lucca, collaborò conla rete toscana di protezione degli ebrei, al rischiodella vita. Per questo impegno gli fu riconosciuto il ti-tolo di Giusto tra le nazioni.Dopo la guerra, fu incaricato dalla Segreteria di Statovaticana della Gioventù di Azione Cattolica, di cui di-venne viceassistente nazionale. A seguito di diver-genze sulla formazione alla vita spirituale eall’impegno politico, fu allontanato da Roma e incari-cato di svolgere il ruolo di cappellano delle navi deimigranti italiani verso l’Argentina.Nel 1954 entrò a far parte dei piccoli fratelli del van-gelo, allora guidati dal padre René Voillaume che,dopo il noviziato nel deserto algerino, lo destinòprima ad Orano (città portuale dell’Algeria, 1955-57)poi in Sardegna dove fondò la prima fraternità ita-liana.

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La presenza di Arturo in Italia risultò ancora scomodain Vaticano, e nel 1960 dovette lasciare definitiva-mente l’Italia per iniziare la sua vita latinoamericana:in Argentina, poi in Venezuela e infine in Brasile doverimase fino al 2005 quando, l’età e le condizioni disalute, lo indussero a ritornare in Italia, a Lucca dovevisse fino alla fine della sua esistenza in terra.Ha lasciato innumerevoli scritti, libri, articoli, lettereche sono conservate nel Fondo documentazione a luidedicato. Ma soprattutto ha lasciato, nelle personeche lo hanno conosciuto o che lo hanno letto, la testi-monianza di una vita vissuta per gli altri, con losguardo fisso verso l’Amico da cui ha lasciato guidarei suoi passi.

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Il martirio del vescovo Angelelli

Dove muore l’asfalto

La strada di asfalto che esce da Cordoba, la cittàpiù importante dell'Argentina, per il suo sviluppoindustriale e per la sua tradizione culturale, im-

provvisamente si restringe, si fa povera, aspra, acci-dentata. Una miserabile cappa di asfalto impedisceappena che le pietre, appuntite come i cardi che co-steggiano la strada, buchino i pneumatici. Le macchinedevono passare in una sola fila e continuamente spo-starsi sulla banchina pietrosa per il sorpasso. Punta de los llanos, ‘estremo della pianura’, è il nomedi questa zona di confine: dopo aver superato la pitto-resca ‘sierra’ di Cordoba – evidentemente curata perl'accoglienza dei turisti, e occupata in tutte le sue on-dulazioni da ville e da casinos di cui si celebrano o sivituperano le lussuosissime attrezzature –, si entra in unapianura fuggita dall'uomo. Le capre spettrali che bru-cano non si sa che, trasmettono il loro gemito, raccon-

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tando che lì dentro, in questa macchia irsuta, vivonodegli uomini.Chi resiste allo strazio di questa traversata, attraversauna porta vigilata come dovevano essere quelle dellecittà-castello nel medioevo, passa la fascia dei misera-bili tuguri di fango, e sbocca in una piazza aristocra-tica, ingentilita dagli alberi e dall'umile, squisita cortesiadella gente che, a turno, vi soggiorna come nel salotto.Oltre questa piazza, si snodano strade che immedia-tamente risalgono valli e si sventagliano su paesaggiimponenti, di altro pianeta. Preparato dalla coraggiosatraversata del piano, il turista che continua il suo viag-gio verso nord o est, ricorda come un remoto passatoborghese il passaggio per la sierra di Cordoba. Tuttoquello che gli appare è grandioso, austero, virile. Nellasierra di Cordoba l'uomo ha accettato il dono della na-tura, e, riducendola alla sua misura, l'ha imbastardita.L'uomo riojano ha lasciato che Dio sia Dio, che la bel-lezza non perda la funzione di sfidare l'uomo, di sgo-mentarlo per sradicare da lui la meschinità e lagrettezza che contraddistinguono le sue relazioni e tuttoquello che lui chiama creazione.Agli amici, Lui, l'Uomo il cui ricordo mi tormenta e miriposa allo stesso tempo, raccontava spesso che là

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dove moriva l'asfalto ricco e cominciava la strada po-vera, il giorno in cui iniziava la traversata non come tu-rista ma come vescovo, era sceso dalla macchina, siera inginocchiato e aveva baciato questa frontiera. Glivennero in mente le parole che sono il preludio obbli-gato di una vita che si fa scelta: «Lascia il tuo paese,quelli della tua razza, e la famiglia di tuo padre, e vaalla terra che ti mostrerò».

Il bacio dello sposo

Proprio lì dove comincia la strada dei poveri, otto annidopo, il Vescovo è caduto. Lo hanno lasciato sei oreabbandonato sulla strada, quelli che volevano far spa-rire gli indizi dell’assassinio. Il suo sangue è entrato len-tamente in quella terra che veramente era sua. Il veicoloche infaticabilmente lo trasportava per la sua immensadiocesi disabitata (un abitante per chilometro quadrato)fu prelevato immediatamente perché non documentassel'assassinio. E il corpo restò come segno – gli assassininon lo pensarono – di quella simbiosi che era avvenutafra il cittadino dell'aristocratica Cordoba e la terrariojana.

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Ho ripensato spesso al bacio del Vescovo Angelellicome al bacio di san Francesco sul volto del lebbroso.Il gesto può apparire teatrale, e lo è quando il bacionon è segno di impegno, non assume niente e nessuno,ma il suo fu il bacio dello sposo. Mi raccontava chetutte le sue fibre gli gridavano di voltarsi indietro, versola strada ricca, che non andava solamente incontro aicasinos, e alle ville degli ozi, ma agli amici, agli operaidei ‘barrios’ di Cordoba. A quelle comunità che visi-tava continuamente con la sua moto, animandole a di-fendere il diritto al lavoro, alla casa, alla vita. Ma sentìche lì, dove muore l'asfalto, lo aspettava il lebbroso chenon può oltrepassare il confine. E il bacio era il segnodel patto che negli otto anni non ha tradito mai. In quelpreciso momento, quello che restava alle sue spalle nongli apparteneva più, e quello verso cui andava diven-tava la sua nuova patria. Cominciava in lui una ma-niera di appartenere alla terra riojana, che eraoriginalissimo. Non era lo stile insolente, di quelli chehanno potere e parlano della città di cui sono ammini-stratori come della ‘loro città’, come se parlassero diuna proprietà giunta loro per diritto di eredità. Il suotemperamento tellurico, capace di assimilare per tutti ipori, lo aveva aiutato a interiorizzare in poco tempo

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questa terra affascinante, la sua storia, la gente soffertacome nessun altro argentino. Egli seppe ridare dignitàalla sua gente, che si faceva sempre più scarsa per l'im-poverimento della terra. Aveva familiarizzato con la sto-ria della eroica resistenza al progetto accentratore dellametropoli portuaria che aveva unificato tutte le province,distruggendo la loro identità e centralizzando tutte le ri-sorse economiche.

Artisti, contemplativi, eroi

Uno dei capi della resistenza, uno di quei popolani ca-rismatici che catalizzano la ribellione della plebe, fudecapitato in una piazza di questa provincia. Il Ve-scovo, dagli avversari e dagli ammiratori, venne spessoidentificato con il nome del generale dai sandali dicorda: Chacho Angelelli veniva chiamato con riferi-mento al Chacho Peñaloza. Si sapeva che il Vescovonon perdeva alcuna occasione per esaltare una razzache aveva preferito la libertà alla prosperità econo-mica. Quello che era per i cittadini un popolo di strac-cioni e di idealisti, si trasformò ai suoi occhi in unpopolo di artisti, di contemplativi, di eroi. Quando si

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rendeva conto che nella sua apologia, l'amore e lacommozione lo staccavano da quella realtà umana incui viveva immerso, concludeva con sano umorismoche la Rioja è come tutte le cose umane, come noi,cielo e fango. E quando il gruppo degli ascoltatori sifaceva più intimo, la comparazione si faceva più gra-fica e terminava in quel riso che gli inumidiva gli occhi,che era forse l'apologia più bella e più realistica.La sua identificazione col popolo spiega la coerenzadel suo programma pastorale, spesso ostacolato ancheda quelli che voleva riscattare da secoli di oppressionee dall’inerzia fatalistica di chi sa di essere escluso datutti i piani di progresso politico ed economico. Nella cattedrale troneggia un san Nicola in legno neroaustero e minacciante nei suoi ricchi paludamenti ve-scovili. Tanto minacciante che il popolo lo venera consuperstiziosa paura. «San Nicola è cattivo» – dice ilpopolo – e, scavando nel senso di questo attributo ab-bastanza incompatibile con la sanità, il popolo vuoldire che san Nicola esige dai suoi fedeli fedeltà asso-luta alla promessa; altrimenti si vendica. In un altro tem-pio che è un gioiello artistico, che testimonia l'origineantica e la storia non volgare della città, è venerato ilNiño Alcalde, una curiosa statua che rappresenta un

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bambino candidissimo, vestito da guerriero con laspada e l'elmo piumato. Le sue guance rosee e il suosorriso di bambola rassicurano il popolo che non sce-glierà i fulmini e i castighi del burbero san Nicola.L'elmo piumato, la spada e il manto di velluto rossosono il costume del gioco: come a tutti bambini, alNiño della chiesa dei frati piace giocare al guerriero.Le due statue rappresentano una leggenda abbastanzaimportante per la storia e la visione antropologica delpopolo riojano.

L’alleanza tra spada e croce

Nel tempo della conquista, gli indios decisero di pren-dere d'assalto la città occupata dai bianchi e arriva-rono alle porte della città in un luogo che si chiama ‘laspadercitas’. Come arbitro di pace, mosse loro incontrosan Francesco Solano, un francescano che convincevaalla fede con la parola, i miracoli e soprattutto con ilviolino che suonava angelicamente. Gli indios non vo-levano saperne di obbedire a un alcalde che avevafama di essere tirannico. E il santo li avrebbe convintidicendo che il vero podestà non era un bianco, ma il

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bambino Gesù a cui tutti dovevano obbedienza. In ricordo di questa vittoria dei bianchi sugli indigeni,ogni anno, il primo di gennaio a mezzogiorno, nel mo-mento in cui il sole infierisce implacabile sulle povereteste scoperte, san Nicola scende dal suo trono altis-simo, il Niño alcalde esce dal suo aristocratico tempio,e il Vescovo nero si inginocchia tre volte davanti alNiño guerriero nel silenzio generale di tutta la Rioja am-massata nella piazza. Dio alleato con il bianco, costi-tuisce il potere che bisogna riconoscere e accettare peri secoli dei secoli. Non c'è nessun dubbio che l'Al-leanza della spada e della croce, che fu la forza dellaconquista, abbia dato i suoi frutti. In altri luoghi di Ame-rica latina, il bianco ha nascosto la sua feroce cupidi-gia e il suo proposito di rapina dietro l'immaginecandida di un Dio bambino o della Vergine: le leg-gende continuano a raccontarlo. Sotto queste espres-sioni di religiosità popolare si incarna la formula sacra:«re o capo o alcalde per decreto e grazia di Dio». Itempi cambiano, ma questa volontà divina suggellatada apparizioni o da visite di santi che non si sono maisognati di passare di lì, fissano per sempre il diritto delconquistatore.Questa tradizione divide ancora la gente della Rioja

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in due parti: i bianchi seguaci del Niño alcalde, gli in-dios e gli schiavi dalla parte di san Nicola. Il vescovopresiede la processione di san Nicola e si genuflettecon san Nicola tre volte davanti al Niño alcalde. Per ilVescovo Angelelli questa tradizione si storicizzò: egliprese la parte del popolo, si identificò con gli indigeni.Fece suo il gesto di sudditanza al Cristo in cui credevaprofondamente, ma pretese di svuotarlo del velenodella conquista. Riconoscere il Niño alcalde era rico-noscere che nessuno ha il diritto di dominare e di met-tere i piedi sui suoi fratelli. Il gesto di umiliazione e divassallaggio poteva anche significare: «non avrai altroDio fuori di me».

L’anima negli occhi

I discendenti dei bianchi avvertirono subito che questoVescovo non restava impigliato nelle maglie sottilissimedel culto, non si beava allo spettacolo di tutto il popolorappacificato, unito in una devozione comune. Il gestodi fede si riscatta di tutta la malizia e si fa gesto di li-bertà.Nonostante la sua intenzione pacifica gli ‘aristocratici’

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sentono subito che il Vescovo non è dalla loro parte, siasserragliano nel loro tempio facendolo l'alcazar dellaresistenza antipopolare. Usano tutti i mezzi per abbat-tere il risorgere del rifiuto degli indios. Ricorrono a unmezzo stupidamente umoristico per diffamare la figuradel Vescovo: beffeggiando il suo nome lo chiamanoSatanelli. Tutti quelli che lo hanno avvicinato, anchepoco, sanno di avere incontrato poche persone cheavessero l'anima negli occhi, nel viso come lui. Accantoa lui ho pensato molte volte a quello che diceva RaissaMaritain di Leon Bloy: che era simile alle antiche catte-drali, annerite in superficie dal tempo, ma che alla mi-nima incisione dello scalpello mostrano il bianco dellapietra. Nessuna traccia di ipocrisia in lui che vivevasotto gli occhi del popolo.Bastò la sua fedeltà al popolo per mettere in evidenzache esiste una religione oppio, sostegno dei potenti ecopertura di manovre interessate ed oppressive. Eglismascherò la cospirazione non con l'ateismo, ma conla fedeltà al vero culto. Profeticamente ancora una voltaproclamò che il vero culto a Dio consiste nel non emar-ginare e calpestare nessuno. L'oligarchia non esitò ausare la fragilità dello schieramento religioso e il gang-sterismo politico ed economico per difendere posizioni

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che conservava da almeno tre secoli. Ma il vescovomite, apparentemente semplice come un adolescente,non disarmò un momento, difese coerentemente il suopopolo contro tutti e contro tutto.Non era un temperamento politico, e posso affermarecon sicurezza che non dette mai il suo nome a un par-tito o a un movimento politico, fu coerentemente profe-tico e si levò contro tutti i poteri. Nella città piùconservatrice dell'Argentina resterà memorabile il suogesto di abbandonare il pane e il vino sull'altare, al co-minciare il canone della messa, attraversare la folla chestipava la cattedrale nel silenzio dei grandi drammi, edirigersi alle autorità da lui convocate, per denunziarel'ingiusta detenzione di suoi fratelli, fra cui un sacerdote.La sua scelta impose una decisione: o con lui dallaparte del negro Nicola, con i poveri, col popolo, ocontro di lui dalla parte degli oppressori, dei bianchi.Tutti ricorderanno quando sul sagrato della cattedraleassistette al ricevimento di un Generale-presidente,ostentando la delusa impassibilità del popolo, che inlui suonava condanna. Aveva cortesemente aderito al-l'invito del governatore quando si era trattato di orga-nizzare la visita illustre. E dopo aver ascoltatoattentamente i dettagli della faticosa giornata: alle 9 at-

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terraggio all'aeroporto, alle 9,05 incontro con il Ve-scovo nel salone d'onore, alle 12,25 colazione con ilVescovo, alle 13 breve visita alla cattedrale per confi-dare all'Altissimo quanto impegno richiedeva l'ammini-strazione di quella piccola porzione della suafamiglia... il Vescovo non interruppe mai. Alla fine sor-rise: «Mi permetta signor governatore di aggiungere undettaglio ed è che il Vescovo non andrà a ricevere ilPresidente. Il Vescovo non può stringere la mano cheopprime il suo popolo».

Dentro di sé tremava

Non sono scomparsi del tutto quei vescovi di cuisant'Ambrogio diceva che erano d'oro e consacravanoil vino in calici di legno. Ci sono ancora, ma sono oc-cultati da una storia diplomatica che si proclamavafurba e prudente e ricopriva della sua miserabile medio-crità persino i gesti profetici del Papa come il suo nonlicet al potentissimo Franco, e l'affermazione del dirittodell'Angola alla sua libertà. La profezia si fa passareper una chiassata che i bravi direttori della scuola pri-maria sanno opportunamente zittire. Così questi bagliori

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della chiesa profetica sono inghiottiti nel grigiore dellastoria di una istituzione posta da Dio a gridare libertà. Io che sono stato vicino a questo vescovo più con l'a-more che col tempo, posso affermare che gli era com-pletamente aliena la passione del bel gesto, la ricercadell'occasione per l'atto eroico. So che dentro tremava:il dubbio e la sofferenza di essere solo ad assumere laresponsabilità di una decisione, erano così dolorosa-mente in contrasto col suo carattere ottimista, portato anon dispiacere a nessuno, e nell'intimità la sua indoletraboccava e si scopriva quella fragilità di adolescenteche era il segreto del suo fascino. Ho pensato tantevolte a Geremia, alla sua protesta perché lui, il pacificocontadino di Anathot, lui nato per cantare serenatenelle notti di luna alla bella del suo villaggio, dovevavivere in un litigio permanente contro i sanguinari e idetentori del potere.La sua denunzia non era dottrinaria, ma nasceva dallapermanente solidarietà col suo popolo. Una giornatadi sfida contro un generale si chiudeva nell'incontro se-reno, spensierato a una povera mensa di gente povera,che compartiva con la sua contagiosa giovialità. Misentivo pieno di ammirazione nel vedere come passavada una situazione sommamente tesa a questi momenti

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di gioia senza residui. Mai ho colto in lui la buffoneriacosì rivoltante, abbastanza diffusa nelle sacrestie: lasua gioia rumorosa era l'espressione del gusto di starecon la gente. Sì, la vita era dura, e l'essere uomo disangue e di crucci non era piacevole, ma ci sono gliamici, esistono doña Nicolasa e don Martin e tuttiquelli che ti fanno sedere su un tronco, perché sedienon esistono, ma ti ricevono con il cuore in mano, etutti i solchi scavati dalle privazioni si fanno solchi diluce, quando viene il Vescovo, con una bottiglia delbuon vino riojano e un pane e una scatola di sardine.

Sotto gli occhi di tutti

La sua costante posizione di prima linea non gli ha im-pedito la gioia di vivere, che è la gioia di sentirsi ac-colti. «Il vostro maestro mangia con i peccatori», ... Luiritrovava la gioia di vivere fuori della “25 di maggio”,come chiamava lo spazio che contiene la cattedrale etutti i palazzi del potere, e che si estendeva ad acco-gliere le famiglie della vecchia aristocrazia: quei bianchiche si fanno rappresentare dal Niño Alcalde e hanno illoro club, il loro tempio, e fremono di non avere il loro

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vescovo. Mentre loro, nel club, commentano la scanda-losa non-conformità del Vescovo Angelelli, egli gode inun tugurio di fango il miracoloso radicamento alla vitadi vecchi che non conoscono i lussuosi convegni, le fe-stose iniziative dei ‘bianchi’, e sono circondati dalloschiamazzo allegro di bambini dai pantaloni sbrindellatie dal corpo in permanente deficit di alimenti. Veramentequella era la sua casa e la sua gente. Dalla sua famiglia di emigrati italiani passati dalla po-vertà ad una agiatezza di cui temeva gli sconfinamentinella ricchezza, aveva ereditato la capacità di non la-sciarsi sfuggire la gioia del presente povero, per l'a-spettativa del domani opulento. «Il poco è molto a chinon ha che il poco» si faceva in lui vitale, e si espri-meva nella totalità con cui accoglieva gli sprazzi digioia concessigli dalla vita. L'avere assunto con coe-renza l'emarginazione dei poveri, e l'averne fatto il con-tenuto dialettico della sua evangelizzazione, la suaaccettazione costante di vivere lottando, gli dava il di-ritto di proclamare «Beati i poveri... beati quelli chepiangono... beati gli affamati e gli assetati di giusti-zia...». La felicità del Vangelo, se non proclamata dauna situazione di lotta contro l'ingiustizia, suona comeuna beffa e brucia la persona che la pronunzia dalla

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sponda di quelli che fanno piangere, che affamano,che incatenano la libertà.La vita fra il popolo, l’identificazione con i poveri ave-vano liberato la sua fede da forme idealistiche; la suafede era, come quella del popolo, maniera di vederela vita, di goderla come dono, di sperarla dalla croceper la bontà del Padre e la solidarietà con i fratelli. Nonsi avvertiva in lui la presenza di quei ripostigli oscuri,che nascondono motivazioni, e in molte persone reli-giose sono come la riserva misteriosa del loro prestigioe della loro superiorità. Come chi parlasse di ricchezzefavolose che possiede in un paese irraggiungibile, inAngelelli tutto era alla vista, anche la fede: quello chepensava, che credeva si faceva visibile nel suo corpocosì ampio, eppure non volgare. Era evidente che lasua corpulenza non era fatta per accumulare egoistica-mente delle riserve, era la costituzione del lottatore, nondel borghese in ritiro.

La croce scolpita sulla roccia

Di lui conserverò sempre un’immagine, quella cheformò la luce sull'altura rocciosa di Surijaco. Eravamo

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tre, in quel deserto di pietra, in uno spazio che, comepochi altri, lascia che Dio sia Dio; incontrammo suun'altura una croce. L'aveva conficcata nella roccia unospagnolo, che aveva costruito lì vicino una casa e unmolino. Il complesso, in rovina, portava i segni di unagenialità e di uno spirito eccezionali. Quest'uomo, cheil ricordo della gente descrive scarso di statura e dicorpo, aveva scavato canali nella pietra per l'acqua,aveva prodotto energia elettrica, aveva trasportato nonsi sa come delle mole di pietra, che molte persone in-sieme avrebbero smosso con grandissimo sforzo.Aveva fatto tutto accompagnato da una donna fragilis-sima – che poi conobbi – che, fra l'altro, gli dava unfiglio all'anno. La sua solitudine, le incredibili creazionidelle sue mani, il suo stile brusco e taciturno, la stranamescolanza di misticismo cristiano e di poteri che su-peravano la misura dell'uomo, gli avevano procuratouna fama di saggio e di mago. La sua fine è da raccontare come la vita: la moglie le-gittima contava la sua età dal suo esilio dalla Spagna;era rimasta priva di qualunque relazione epistolare.Quando le parve che l'età significasse vicinanza dellamorte, arrivò dalla Spagna in tempo per «salvargli l'a-nima». Pacificamente allontanò la donna che l'aveva

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sostituita per molti anni, e pare senza diverbi perchénon era suo interesse impadronirsi del frutto di anni dilavoro, e lo raccolse riconciliato con Dio il giorno checadde fulminato sulla porta del mulino. Tornò in Spagnaa missione compiuta, per chiudere anch'essa i suoiocchi. La croce da lui piantata resiste a tutte le rovine perchéscavata come i canali nella pietra. Lì ci inginoc-chiammo tutti e tre. Improvvisamente il Vescovo si alzò,si guardò intorno. Aveva davanti a sé la pianura cheraggiunge la base del Famatina alto più di seimilametri: la pianura ardente comunica il suo desiderio per-manente di acqua e di fresco alla massa di neve per-manentemente accumulata sulla inaccessibile cima. Lìil Vescovo visse il suo Tabor: lui così alieno ai rapimentimistici, si illuminò e predisse che da quella pietra e daquel momento sarebbe cominciato un fatto molto im-portante per l'Argentina e per tutta l'America Latina. Il molino restaurato appena per permettere di dimorarvidivenne il centro di incontri caldi e fecondi, fu oggettodi sospetti polizieschi e di perquisizioni, trasmise la tra-dizione di saggezza e di magia, diffuse nella valle spe-ranza e timore, apparve invitante e pauroso nello stessotempo, luogo di macchinazioni sovversive, di incontri

27ENRIQUE ANGELELLI IL PASTORE MARTIRE

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diabolici e di dialoghi con il mondo di Dio. Ora piangedi nuovo il suo lento disfacimento, invidiando l'immorta-lità di ciò che lo spagnolo ha scavato nella pietra.

I profeti disarmati

La profezia del Vescovo pare dispersa dal vento riojanoche avanza furioso e maestoso, vestito di terra marrone,dalla pianura fino alle Ande, al famoso passo per ilCile. In questo tempo di lotta fratricida, la profezia parenon aver superato questo limite, e nessuna voce di spe-ranza può consolare il popolo perché è l'ora del san-gue. Eppure la storia deve cedere: tutto è travolto, mala storia non può distruggere la profezia. «Le mie parolenon passeranno» ha detto Gesù: quelle parole che iprofeti hanno il mandato di storicizzare e di trasmettere. Era necessario che questo vescovo se ne andasse, chela sua immensa umanità, la sua carica di fede e di spe-ranza fossero deposte nella terra. Un uomo come lui èveramente creativo dopo la morte e per la morte. Que-sto non lo sapranno mai i detentori del potere. È lagrande furbizia della storia – come direbbe Hegel –quella di nascondere la vera forza rivoluzionaria, lasovversione veramente sovvertitrice dei profeti disarmati.

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Che siano pericolosi è abbastanza evidente, e per que-sto vengono uccisi. Ma quanto la persecuzione e l'as-sassinio li facciano pericolosi, non è abbastanzaevidente e per questo i dittatori di tutte le epoche nonhanno trovato altro rimedio al di fuori dell'assassinio. Il martirio e la croce sono l'occultamento della vitalitàpermanente della storia. La storia della terra argentina,dove è sepolto questo chicco di grano e con lui tantiche sono scesi nella terra carichi di profezia, è la storiadella liberazione del continente, che qui si fa segno epunto di condensazione. La storia della indipendenzache caratterizzò i primi trent'anni del diciannovesimosecolo, ebbe i suoi luoghi privilegiati e i suoi martiri piùimportanti e celebrati come Bolivar. Ora il luogo è l'Ar-gentina.

Il testo riproduce l’articolo Percuoterò il pastore di ArturoPaoli, pubblicato sulla Rivista mensile di cultura Humanitas,diretta da Stefano Minnelli, Anno XXXI, Numero 10, Ottobre1976. Nel 2012 è stato pubblicato nel libro Cent’anni di fraternità,di Arturo Paoli, edizioni Chiarelettere.

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Ore undiciL’associazione è nata a Frascati una trentina di anni fa,su iniziativa di un gruppo di persone che si incontravanoper la messa delle ore 11 celebrata da don Mario DeMaio. Oggi siamo una rete di amici, sparsi in tutta Ita-lia, accomunati dalla passione di coniugare la ric-chezza del Vangelo con il difficile vivere quotidiano.Desideriamo alimentare e assecondare i processidella vita in tutte le sue espressioni. Ci interessano inparticolare tre ambiti tematici: il semplicemente vivere,il difficile amore,l’esperienza di Dio.

In Brasile lavoriamo con i ragazzi svantaggiati dellefavelas: abbiamo realizzato un’azienda agricola bio-logica e solidale, un agriturismo responsabile, unascuola di falegnameria.In Italia organizziamo convegni, incontri, esercizi spiri-tuali, laboratori esperienziali, e realizziamo i quadernimensili. La domenica a Civitella San Paolo manteniamola tradizione di incontrarci e celebrare la Messa alle 11.

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I Quaderni di Ore undici – Inserto 05 2018Direttore editoriale: Mario De MaioProgetto grafico: Enzo MeroniImpaginazione: Silvia Pettiti

Associazione Ore undici onlusVia Civitellese km 9,6 - 00060 Civitella San Paolo (RM)

[email protected] - www.oreundici.org

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Lui, l'Uomo il cui ricordo mi tormenta e mi ri-posa allo stesso tempo, raccontava spesso chelà dove moriva l'asfalto ricco e cominciava lastrada povera, il giorno in cui iniziava la tra-versata non come turista ma come vescovo, erasceso dalla macchina, si era inginocchiato eaveva baciato quella frontiera.

GLI SCOIATTOLI

Enrique AngelelliIl Pastore Martire

ARTURO PAOLI

Allegato a Ore undici n. XI – novembre 2018 Reg. Trib. Roma 585 – 21/1/89 I.R.

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