Emotions Magazine Marzo

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Il nostro numero di marzo

Transcript of Emotions Magazine Marzo

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3Sommario

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SANTILLANA DEL MARtesto di Marco De Rossi

Mondrian & De Stijl al Gemeentemuseum De l’Ajatesto di Luisa Chiumenti

Firenzelo scoppio del carro tra leggenda e realtàtesto di Giuseppe Garbarino

PANI-SCULTURA nella Pasqua Sicilianatesto di Teresa Carrubba

L’international Italian Dragon Cup Paul & Shark Trophytesto di Anna Rita Arborio

Intervista al Cavaliere del Lavoro Bernabò Boccatesto di Teresa Carrubba

Un italiano a Nassautesto di Pamela McCourt Francescone

Mari esotici con the Straits to Luxury experience di YTL Hotelstesto di Josée Gontier

Sensazioni inebriantitesto di Pamela McCourt Francescone

Kaleidoscope

Libri

MANADO nel profondo blu

testo di Pamela McCourt Francescone

North Sulawesi

pag. 6

Boliviadalla Foresta Amazzonicaalle Vette delle Ande

Popoli e Montagne

dell’ASIA CENTRALE

SCOZIAtra Castelli e Brughiere

testo di Romeo Bolognesi

testo di Anna Maria Arnesanoe Giulio Badini

testo di Anna Maria Arnesanoe Giulio Badini

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BOLOGNAlungo i portici

testo di Luisa Chiumenti

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55Forse l’inverno è passato. Ma che differenza può fare per il viaggia-tore che per definizione travalica i confini geografici anche se que-sto comporta passare dall’inverno alla torrida estate, o dal giorno alla notte, in una dozzina di ore di volo? Lasciare il gelo della monta-gna per raggiungere il North Su-lawesi e la sua capitale Manado, vuol dire spogliarsi del grigiore invernale per immergersi in un paradiso subacqueo memorabile.

Ma viaggiare vuol dire anche sconfinare in mondi diversi con popolazioni figlie di civiltà intriganti, come la Bolivia e la sua leggendaria Foresta Amazzonica o i Paesi dell’Asia Centra-le, fuori dalle rotte turistiche tradizionali, paesi per viaggiatori, appunto. Che dire poi dell’at-mosfera rarefatta e languida dei castelli della Scozia e della memoria medievale di Santilla-na del Mar, in Cantabria, che traspira tra i vi-coli stretti dai conventi e dai fascinosi palazzi nobiliari. Ma la vera fine dell’inverno è decre-tata dalla Pasqua, che apre le porte al folklore e subito dopo al turismo della bella stagione. Lo scoppio del carro di Firenze, per esempio, la mattina santa, con fuochi d’artificio e riti propiziatori affidati al volo di una colombina che parte dall’altare del celeberrimo Duomo. E poi la Sicilia con i suoi pani votivi impastati di fede e di simbologia.•

Editoriale

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North Sulawesi

ManadoNel profondo blu

North Sulawesi/Manado. Nel profondo blu - Manado’s depths of blue

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Ci sono luoghi al mondo che, per motivi vo-luti dall’uomo o dalla natura, celano con discrezione le loro bellezze. Basti pensare a Petra che si rivela in tutto il suo splendore in fondo ad un tortuoso sik, o a Machu Picchu,

inerpicato su una impenetrabile catena montuosa, o ai ghiacciai perenni, per ammirare i quali bisogna affron-tare faticose arrampicate attraverso scoscese estese di neve e ghiaccio. Così è con Manado, la capitale provinciale del North Sulawesi, che si affaccia sul Mare delle Celebe, quella parte dell’Oceano Pacifico che lambisce anche il Borneo, le Molucche e le Filippine. Una città che non manca di vivacità, ma che non può competere con quei livel-li di sofisticazione tipici delle grandi metropoli asiati-che. Spesso capita che arrivando in una città, le prime impressioni ci lasciano delusi. Quanto traffico, quanta confusione, quanti rumori, quanta fretta. Ma poi, av-vicinandoci scopriamo vestigia di memorie storiche, e

There are places in the world which, thanks to the handiwork of man or of nature, discreetly hide their beauty. One such is Petra, the splendour of which is revealed only at the end of a tortuous sik, then there is Machu Picchu which is perched on top of an

impenetrable mountain range, and perennial glaciers which can only be admired after crossing fearsome expanses of ice and snow. That’s how it is with Manado, the capital of the province of North Sulawesi, which overlooks the Sea of the Celebes, that part of the Pacific Ocean that also surrounds Borneo, the Moluccas and the Philippines. Although it can not compete with the levels of sophistication typical of the great Asian metropolises it is a lively city. It often happens arriving in a city that the first impressions leave us feeling disappoin-

Manado’s depths of blue

Testo di - Words by Pamela McCourt FrancesconeFoto di - Photos by Archivio

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ted. The traffic, the confusion, the noise, the helter-skelter. But then, peeling away the layers, we discover its interesting past and unexpected contemporary angles. That’s how it is with Manado, where you realize that what makes the dif-ference are the spontaneous smiles, cordiality and warmth of the people, as well as the pleasurable feeling of finding yourself off the beaten tourist track. The most striking city monument is the enormous statue of Christ – 50% of North Sulawesi’s population is protestant, a heritage left by the Dutch, and attested to by the striking number of churches of all dominations. The statue, which is 30 metres high, is the tallest statue of Christ in Asia and only 9.6 metres shorter than the famous Cristo Redentor in Rio de Janeiro. A grandiose work of art which acquires dramatic dynamism from its position on a hilltop, from which it seems poised to launch into flight. And those hidden treasures? Thanks to its tropical climate and abundant rainfall North Sulawesi is covered with lush tropical forests and, along the coasts which are protected by barrier reefs, the shimmering waters and golden beaches are natural paradises that con-ceal a magical underwater world. For those who prefer to remain above water there is the Tangkoko Nature Reserve the only place in the world where the Tarsier lives: this tiny primate is an insectivore with eyes as large as teacups. Wei-ghing a mere 100 grams, it is only 35 centimetres long with the tail taking up two-thirds of this length. In the jungle the-re is trekking and river rafting, and you can set out to disco-

realtà contemporanee inaspettate. Così è con Manado, dove ti accorgi che quello che fa la differenza sono i sorrisi spontanei, la disponibilità e il calore della gente, e il piacere di trovarsi in un luogo fuori delle rotte del turismo di massa.Il monumento urbano più imponente è la gigantesca statua del Cristo -nel North Sulawesi il 50% della popo-lazione è protestante, un retaggio lasciato dagli olande-si e testimoniato dal numero impressionante di chiese di diverse denominazioni. Alta 30 metri, è la statua di Cristo più alta dell’Asia, e solo 9.6 metri più bassa del Cristo Redentore a Rio de Janeiro. Un’opera grandiosa che acquista ulteriore drammatica dinamicità grazie alla sua posizione, quasi volesse spiccare il volo dalla cima di una collina. E quei tesori nascosti? Grazie al clima tropi-cale, e alle abbondanti piogge, il Nord Sulawesi è coper-to da lussureggianti foreste tropicali e, lungo le coste protette dalla barriera corallina, le acque limpide e le spiagge bianche sono paradisi naturali che nascondono un magico mondo sommerso. Per chi preferisce rimanere con i piedi per terra c’è la Tangkoko Nature Reserve l’unico posto al mondo dove vive il Tarsio Spettro, il più piccolo primate, un insetti-voro con due occhi grandi come sottopiatti, che pesa 100 grammi e misura solo 35 centimetri di lunghezza, di cui due terzi sono la lunghissima coda. Poi si può fare trekking, rafting sui fiumi, partire alla scoperta di casca-

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North Sulawesi/Manado. Nel profondo blu - Manado’s depths of blue

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11te celate dal fitto manto della foresta pluviale, e avven-turarsi lungo sentieri per arrivare a crateri di poderosi vulcani spenti. Ma il tesoro più pregiato, quello che conferisce al North Sulawesi la sua unicità, è la straordinaria biodiversità del suo ecosistema marino, il più ricco di tutta l’Indonesia. Proprio di fronte a Manado inizia la barriera corallina e, poco distante, ci sono le splendide acque e i fondali del Bunaken National Marine Park e di piccole isole come Gangga e Siladen. Qui la fauna e la flora marina sono di una ricchezza incommensurabile, e niente è più fa-cile che imbattersi in squali e razze, tartarughe giganti, piccoli cavallucci marini, branchi di pesciolini dai colori sgargianti, una straordinaria abbondanza di coralli va-riopinti, e specie marine rare come il celacanto, consi-

ver waterfalls hidden deep in the rainforest, and walk trails that lead to craters of extinct, but once mighty, volcanoes. But North Sulawesi’s most precious treasure, and that which makes it quite unique, is the extraordinary biodiversity of its marine eco-system, which is the most opulent in all of Indonesia. The barrier reef starts right in front of Manado, and a short boat ride away there are the stunning waters of Bunaken National Marine Park and of small islands like Gangga and Siladen. Here the marine fauna and flora are of unmatched abundance and diversity, and there is nothing easier than to find oneself swimming with sharks and manta rays, giant tortoises, tiny seahorses, shoals of brightly-co-loured fish, a dazzling array of multi-coloured corals and rare marine species like the Coelacanthiformes lobefin fish, which are considered living fossils.

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derato un fossile vivente. Luoghi per intenditori e amanti della natura,

che sanno apprezzare un ambiente incontami-nato, fondali tra i più strepitosi e spettacolari al mondo, e piccole isole tropicali dove il tempo viene scandito dal baluginio dell’alba e dalle sfu-

mature dorate del tramonto. Scusate se è poco!•

These are places for connoisseurs and lovers of natu-re who cherish uncontaminated environments, oce-

an depths that are among the most breath-taking and spectacular in the world, and palm-fringed tropical islan-

ds where the passing of time is marked by the glimmer of dawn and the golden hues of sunset. Difficult to beat, we think you’ll agree!•

www.north-sulawesi.orgwww.atfindonesia.comwww.ganggaisland.comwww.siladen.comwww.bunaken.nl

North Sulawesi/Manado. Nel profondo blu - Manado’s depths of blue

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Tra Oriente e Occidente, terre che non cessano di regalare emozioni intense ed incancellabili: ARIAViaggi ha pensato a strutture selezionate, ad aff ascinanti Tours, escursioni e Crociere per ammirare al meglio alcuni degli scorci più belli dal Mar Mediterraneo ai Caraibi, all’Oceano Indiano, per una vacanza indelebile negli occhi e nel cuore.

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dalla Foresta Amazzonica alle Vette delle Ande

Testo di Romeo BolognesiFoto di Romeo Bolognesi e di Archivio

Quel poco che in ge-nere si conosce della Bolivia riguarda le sue caratteristiche peg-giori: tra i maggiori

produttori di cocaina, eserciti privati al soldo dei commercianti di dro-ga, guerriglia e colpi di stato a iosa, un’inflazione arrivata in passato alla stratosferica percentuale del 35.000 % annuo, il 70 % della popolazione costretta a vivere sotto la soglia di povertà nonostante ingenti risorse minerali come stagno, argento e gas. Per scoprire invece i numerosi aspetti positivi di questa nazione, tra le più sconosciute e isolate del Sud America, incuneata senza sbocchi al mare nel centro-ovest del conti-nente sudamericano tra Cile, Perù, Brasile, Paraguay e Argentina, bi-sognerebbe visitarla di persona, scoprendo come si tratti in realtà di uno dei paesi più pacifici, sicuri e accoglienti del conti-

nente, oltre a quello più autentico e genuino, con una popolazione au-toctona india ancora oggi superiore alle metà dei suoi 9 milioni di abitan-ti. La prima cosa a colpire è la gran-de variabilità ambientale e climatica, capace di spaziare dalle cime della Cordigliera delle Ande ad oltre 6.000 metri di altezza, fino alle giungle tropicali, agli acquitrini e alle savane della regione amazzonica e del Pan-tanal, con ben un quinto del territo-rio protetto sotto forma di parchi e riserve naturali e una delle maggiori biodiversità del pianeta, con 25 mila specie diverse di piante e animali inconsueti come orso dagli occhia-li, giaguaro, v igogna,

lama, alpaca, tapiro, capibara, alli-gatore e condor. La popolazione di questo Tibet americano è tra le più pure e incontaminate del continente e nelle vene dei due gruppi autoc-toni scorre ancora sangue amerindo, così come all’epoca incaica risalgo-no molti usi e tradizioni degli indios tuttora in voga, compresi i coloratis-simi abiti e copricapi di lana, i tessuti dai brillanti colori naturali realizzati con tecniche tradizionali oppure il genuino folklore indigeno riscontra-bile nelle fiestas. Nonostante il ter-ritorio montuoso occidentale, che qui concentra alcune delle maggiori vette delle Ande, occupi soltanto un

terzo del paese, essendo il resto costituito dal va-

stissimo bassopiano orientale, si tratta comunque di una nazione tipica-mente andina per popolazione, cul-

tura ed economia, e sulle montagne ad ovest

si concentrano tutte le principali città. Alteterre andine e pianure

amazzoniche rappresentano due realtà

BOLIVIA dalla Foresta Amazzonica alle Vette delle Ande

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BOLIVIA dalla Foresta Amazzonica alle Vette delle Ande

territoriali e umane assai diverse, a volte contrapposte. Un paio di se-coli fa la superficie della Bolivia era oltre il triplo dell’attuale, ma una se-rie sciagurata di guerre con i vicini ne ha ridotto di parecchio i confini, facendole perdere anche lo sbocco sul Pacifico. Un paese decisamente autentico e genuino, a causa del suo isolamento geografico, e non ancora contamina-to dal turismo di massa. La popola-zione india, come si può riscontrare nei villaggi e nei coloratissimi e af-follati mercati, mantiene ancora oggi uno stile di vita che non è molto cam-biato dall’epoca coloniale. Ad attirare i pochi turisti sono gli estremi habitat geografici e naturalistici, i siti arche-

ologici incas e preincaici, le eleganti architetture coloniali e barocche di alcune città, le belle missioni gesuite che rimandano al film The Mission, i colorati mercati, le genuine feste po-polari e le lagune d’alta quota abitate da colonie di fenicotteri rosa. La Bo-livia vanta poi alcuni primati: la città più alta del mondo, Potosì a 4.100 m, la capitale più alta, La Paz a 3.627, lo skilift più alto a Chacaltaya, il condor andino come maggior rapace, la più estesa foresta tropicale secca del pia-neta, il Titicaca al confine con il Perù come lago navigabile più alto della terra e infine il Salar di Uyuni come la maggior distesa di sale esistente. Quest’ultimo, residuo di un enorme lago salato che in una lontana epoca

geologica copriva la maggior par-te della regione sudoccidentale del paese, si estende oggi per 12 mila chilometri quadrati ad un’altezza di 3.650 metri; si calcola che contenga ventimila miliardi di tonnellate di sale fossile e la metà delle riserve di litio del pianeta. Al centro di questa im-mensa distesa bianca, che più bianca non si può, sorge un’isoletta intera-mente ricoperta da possenti e cente-nari cactus, i quali in quest’ambiente ostile si accrescono di pochi millime-tri all’anno. Quanti scelgono la Bo-livia per un viaggio possono sentirsi un po’ dei pionieri, anche per la pe-nuria di strade e di strutture ricettive, ma non tornano certo delusi.

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Il viaggioUn originale itinerario di 16 giorni si sviluppa dalle foreste tropicali del sud-est fino ai deserti salati e ai la-ghi andini. Il viaggio parte da Santa Cruz, raggiunta in volo dall’Italia, im-portante centro agricolo e maggior città della Bolivia, situata al punto di contatto tra la foresta pluviale amazzonica, gli altipiani centrali e le aride pianure del Chaco. Meritevo-li di visita nei dintorni San Javez, la più antica delle missioni gesuite, la cui chiesa offre bellissimi affreschi e

altari decorati d’oro, e la cattedrale di Conception interamente di legno e protetta dall’Unesco. In volo ci si trasferisce a Sucre, negli altipiani centrali, elegante città coloniale con splendidi palazzi e chiese baroc-che anch’essa protetta dall’Unesco. Si parte quindi per Tarabuco, sede del più bel mercato indio, per rag-giungere poi Potosì, la più alta città della terra a 4.100 m, che nel 1700 fu anche la maggiore e la più ricca del sudamerica grazie alla presenza delle miniere d’argento, ricchezza

che si riflette ancora oggi nei suoi edifici coloniali dal peculiare stile mestizo (o barocco andino). Gli ul-timi giorni trascorrono in pieno ha-bitat andino tra laghi salati, lagune, cactus centenari e branchi di lama e vigogne a 4-4.500 m di quota in una delle regioni più remote e isolate del paese, visitando la stupenda Lagu-na Colorada color rosso vivo con i suoi fenicotteri rosa, altri laghi con fenicotteri, i monumenti funerari di una misteriosa civiltà preincaica, la maggior miniera d’argento del con-

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tinente a San Cristobal e infi-ne il Salar di Uyuni, il maggior

deserto di sale al mondo, che si rivela in tutta la sua maestosa

bellezza e in un clima surreale. Infine si raggiunge La Paz, la più alta capi-

tale della terra, bella città domina-ta dalla possente mole del vulca-

no Illimani, per visitare il centro cerimoniale di Tiahnuaco,

sito archeologico tra i più importanti del sudameri-

ca risalente al 700 a.C.•

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POPOLI E MONTAGNEDELL’ ASIA CENTRALE

Per lungo tempo l’Asia centrale, composta oggi dalle repubbliche autonome del Kazaki-stan, del Kirghizistan, del Tagikistan, del Tur-kmenistan e dell’Uzbekistan, ha rappresenta-to uno spazio vuoto sulle carte geografiche e

ancora attualmente costituisce per molti un luogo sco-nosciuto, fuori dalle rotte commerciali e turistiche, una

regione enorme e sperduta situata chissà dove. Eppure queste terre, comprese tra il Mar Caspio ad occidente e la Cina ad oriente, la Russia a nord, l’Iran, l’Afgani-stan e il Pakistan a sud ed estese quanto tredici volte l’Italia (ma con appena 59 milioni di abitanti), hanno assistito nel tempo al sorgere di imperi potenti quan-to effimeri quali quelli di Alessandro Magno, Gengis

Testo di Anna Maria Arnesano e Giulio Badini Foto di Giulio Badini

POPOLI E MONTAGNE DELL’ ASIA CENTRALE

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Khan, Tamerlano e poi dell’Unione Sovietica, al fiorire di città opulen-te maestre di cultura e di arte quali le splendide Samarcanda, Bukhara e Khiva, nonché al passaggio mil-lenario dei mercanti e delle caro-vane in transito lungo la Via della Seta per collegare l’Estremo Orien-te al Mediterraneo, in una sorta di globalizzazione ante litteram per merci e conoscenze. E nonostan-

te l’apparente povertà ha sempre suscitato la cupidigia di parecchi popoli vicini e lontani, che l’hanno invasa e dominata: mongoli, tur-chi e cinesi da est, greci, persiani e arabi da ovest, solo per citare i più famosi, e ciascuno vi ha portato e lasciato qualcosa: zoroastrismo, islam, buddismo, manicheismo e cristianesimo nestoriano. E’ stata anche oggetto in un recente passa-

to di interesse da parte dell’impe-ro britannico, presente a sud, e di quello zarista da nord, che si sono misurati in una delle prime guerre diplomatiche della storia, sostitui-ti oggi da Usa e Russia per le loro consistenti ricchezze minerarie. Questa regione lontana dal mare, dal clima continentale torrido d’e-state e gelido in inverno, ad ovest si presenta con enormi steppe se-

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midesertiche, dove la principale risorsa è rappresentata dall’erba e quindi dall’allevamento (cavalli, pe-core, capre e cammelli), mentre a sud-est si eleva nelle più alte mon-tagne della terra – Pamir, Hindu Kush, Tian Shan e Himalaya – con cime di oltre 7.000 m di altitudine e

passi ad oltre 4.000. I pascoli d’alta quota, disseminati di laghi smeral-dini, consentono la vita soltanto ad animali particolarmente resistenti, come la pecora di Marco Polo dalle enormi corna a tortiglione, lo yak e il mitico yeti, l’abominevole uomo delle nevi, mentre l’agricoltura ri-

mane relegata alle vallate sedimen-tarie dei grandi fiumi. Una costante dell’Asia Centrale è sempre stato il perenne conflitto tra popolazioni nomadi, pastori poveri spesso co-stretti per sopravvivere a compiere razzie a scapito dei sedentari, ob-bligati invece a vivere entro centri

POPOLI E MONTAGNE DELL’ ASIA CENTRALE

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fortificati, dai quali nacquero poi città imponenti e im-peri potenti. Quando, due secoli fa, l’impero russo co-minciò ad espandersi a sud, la regione era come oggi popolata da un vero caleidoscopio di gruppi etnici: kazaki, kirghizi, tagiki, uzbeki e turkmeni, ognuno con caratteristiche proprie ma che avevano in comune le lingue – tutte di ceppo turco – tanto da potersi inten-dere tra di loro, la religione musulmana e la scrittura

araba. E in qualche modo si integravano anche nell’e-conomia: i kirghisi pastori, gli uzbeki agricoltori, i tagiki artigiani e commercianti. Il retaggio sovietico, soprav-vissuto al crollo dell’Urss e all’indipendenza ottenuta nel 1991, oltre a lasciare povertà, tensioni e incertezze, ha contribuito non poco a mischiare le carte, mesco-lando etnie ed economie, con l’aggiunta di una nuova etnia egemone, quella russa.

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POPOLI E MONTAGNE DELL’ ASIA CENTRALE

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Al viaggiatore colto e curioso che sceglie come meta l’Asia centrale nonostante le carenze ricettive, convie-ne suggerire di abbinare la visita di tre diverse repub-bliche – Uzbekistan, Kirghizistan e Tagikistan – per in-cludere sapientemente in un unico viaggio paesaggi e natura, storia, arte ed etnie diverse. L’Uzbekistan, paese di steppe e deserti ad ovest verso il lago d’Aral e montuoso ad est con le propaggini delle catene del

Tian Shan, dell’Altaj e del Pamir, con le sue importan-ti città carovaniere sulla Via della Seta è stato la culla delle civiltà centrasiatiche, tuttora famose, splendide e agognate, tutte protette dall’Unesco. Samarcanda, uno dei centri più antichi della regione, capitale di Ales-sandro Magno e Tamerlano, affascina ancora oggi nel nome e nei monumenti; Bukhara, città sacra e città mu-seo con magnifici capolavori dell’architettura islamica,

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Khiva, antico mercato degli schiavi, con un centro storico integro. La fertile valle di Fergana, seconda produttrice al mondo di cotone, giustifica la prevalenza degli agri-coltori stanziali sui pastori nomadi. Il Kirghizistan, è una nazione total-mente montuosa situata per oltre la metà sopra i 3.000 m e occupata per tre quarti da neve e ghiacci al centro di un groviglio di catene che si spingono oltre i 7.000 m, abitata da pastori nomadi che vivono nelle yurte sugli alti pascoli con le loro mandrie di pecore e yak. Non pos-siede testimonianze artistiche di ri-lievo, ma offre paesaggi incantevoli sulle più belle montagne dell’Asia centrale e una natura incontamina-ta con piante e animali autoctoni,

caratterizzata da enormi prati pieni di fiori selvatici e branchi di antilo-pi, marmotte e lepri prede di aquile e gipeti, leopardi delle nevi a caccia di stambecchi, mentre le foreste di larici, ginepri e abeti offrono ripa-ro a linci, lupi, cinghiali e orsi bruni e la cannabis cresce spontanea sui cigli delle strade. La sua posizione geografica ne ha fatto da sempre un incrocio di culture, etnie, religio-ni e tradizioni differenti. Il Tagiki-stan infine, mosaico etnico di clan, lingue e identità diverse, è uno sta-to montagnoso di pastori nomadi, dominato dall’imponente mole del Pamir, non a caso chiamato il tetto del mondo, con due cime superiori ai 7.000 m; esso costituisce infat-ti il fulcro da cui si irradiano tutte

le maggiori catene montuose del mondo, Karakorum, Himalaya, Hin-du Kush e Tian Shan, con in mezzo ampie vallate d’alta quota che non consentono la presenza di insedia-menti umani. La Pamir Highway, lunga 700 km, costituisce uno dei più spettacolari tracciati stradali del continente. Offre pascoli d’alta quota con stupendi laghi glaciali, antiche fortezze e monumenti bud-disti, con nutrite sacche di religione ismailita, seguaci dell’Aga Khan. La presenza di solo il 7 % di terreno coltivabile ne fa un paese assai po-vero e dalla forte emigrazione.•

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POPOLI E MONTAGNE DELL’ ASIA CENTRALE

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La Scozia è famosa per una serie di peculiarità, divenute con il tempo dei veri stereotipi ma con un fondo di verità: la tirchieria e l’ingegnosi-tà tecnologica dei suoi abitanti, la manifesta antipatia per i vicini ingle-

si – legati da tre secoli in un matri-monio forzoso di convenienza reci-proca – il suono delle cornamuse e il kilt, il buffo gonnellino di lanoso tartan colorato (verrebbe da scrive-re scozzese) indossato dagli uomini

rigorosamente senza biancheria in-tima sottostante, il miglior whisky in assoluto prodotto con orzo maltato, acqua purissima e fumo di torba, la musica e le danze tradizionali gaeli-che. l’invenzione del golf, le verdi e

tra castelli e brughiereSCOZIA

Testo di Anna Maria Arnesano e Giulio Badini Foto di Giulio Badini e Archivio

SCOZIA tra castelli e brughiere

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infinite brughiere costellate di laghi e di castelli, il mostro di Loch Ness, il forte spirito di clan, e altro anco-ra. A contribuire a questa fama nel mondo almeno 20 milioni di scoz-zesi, il quadruplo dei residenti in

patria, emigrati in ogni continente portandosi dietro le proprie caratte-ristiche personali e collettive, dovu-te ad una solidissima identità e ad un forte senso di appartenenza. La Scozia, l’antica Caledonia, assieme

a Galles, Irlanda del Nord e Inghil-terra è una delle quattro nazioni che costituiscono il Regno Unito di Gran Bretagna, occupando la parte set-tentrionale della maggior isola eu-ropea, circondata ad ovest e a nord

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dall’oceano Atlantico e ad est dal Mare del Nord, abitati da balene, foche e delfini. Un insieme di ondulate colline ideali per il pascolo e la selvaggina, punteggiate da fiori selvatici come cardi, erica, ginestre, rododendri e azalee, dove spiccano specie endemiche come il cervo rosso, la pecora selvatica e la gallina di palude e nei fiumi trote e salmoni, circondate da coste alte e frastagliate incise da profondi fiordi – regno di una nutrita avifauna – e al cui largo si contano ben 790 isole tra grandi e piccole, alcu-ne riunite in arcipelaghi come Ebridi, Orcadi e Steland. Unite dal 1707 per modo di dire, perché la Scozia pos-siede un proprio parlamento, un ordinamento scolastico e giudiziario diverso da quello inglese, una moneta lo-cale, una chiesa autonoma (anzi tre, cattolica, anglicana e presbiteriana) come tre sono anche le lingue parlate: l’inglese classico, l’inglese di Scozia (di origine germa-nica) e l’antico gaelico autoctono, tanto per rimarcare autonomie e differenze. Questa tenace e orgogliosa po-polazione di origine celtica, presente fin dalla preistoria

con imponenti fortezze, se diedero filo da torcere ai Ro-mani (costretti per difendersi dalle frequenti incursioni ad erigere il famoso Vallo di Adriano, una delle maggio-ri fortificazioni dell’antichità), non se la sono mai filata troppo neppure con i più forti vicini d’Inghilterra, tanto che tutta la storia risulta costellata da guerre, scontri e sopraffazioni, fino a che una memorabile vittoria nel 1314 garantì sei secoli di relativa autonomia e un regno indipendente. L’innato spirito combattivo degli scozzesi fu utilizzato dall’esercito britannico nelle innumerevoli guerre per la conquista dell’impero: meglio fare danni altrove che non a casa propria. Come la presenza di tan-te chiese testimonia i tempi bui degli scontri di religione, quella di innumerevoli castelli – oltre 3.000 tra abitazioni reali e nobiliari, avamposti militari o fattorie fortificate – ci racconta di un’eccessiva passata frantumazione terri-toriale, legata ad instabilità politica e insicurezza sociale. Nonostante simili difficoltà, nel 1700 la Scozia assistette ad una forte rinascita intellettuale, il cosiddetto illumi-

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nismo scozzese, ed Edimburgo divenne un faro culturale a livello europeo, men-tre durante la rivoluzione industriale del 1800 Glasgow divenne un capoluogo di tecnologia, come attestano ancora oggi i numerosi siti di archeologia industria-le. Agli scozzesi è universalmente rico-nosciuta una forte inventiva scientifica e tecnologica e una notevole creativi-tà: ad essi va attribuita la scoperta dei logaritmi e di diverse leggi della fisica e dell’anatomia, come l’anestesia e la penicillina, la macchina a vapore e la bicicletta, il bitume, il cherosene e i pro-cessi di impermeabilizzazione, fino al telefono, alla televisione e al radar. Una gran fatica a vivere in una terra avara, dal clima eccessivamente mutevole, che gli scozzesi hanno imparato da subito a superare con un provvidenziale sorso di ottimo whishy. Qualsiasi percorso in Scozia finisce sem-pre per assomigliare ad una strada dei castelli, trattandosi di un elemento im-prescindibile del paesaggio. Glasgow, importante città portuale, industriale e cantieristica e una delle capitali dell’Art Nouveau, presenta diversi volti: dalla cattedrale medievale alle facciate clas-siche georgiane, dai palazzi barocchi

di età vittoriana ai gioielli modernisti. Il castello reale di Stirling costituiva un’i-nespugnabile fortezza, quello neogoti-co di Inverary presenta torri coniche e quello di Inverlochy ospita un elegante albergo dove si alloggia. Sull’isola di Skye, la maggiore delle Ebridi interne, il castello di Eilean Donan sorge in splen-dida posizione con vista su tre laghi. Ad Inverewe niente castelli, ma un esube-rante giardino botanico con piante rare e specie subtropicali. Altro castello a Cawdor, con splendido giardino, dove Shakespeare ambientò il Macbeth, poi una storica distilleria di wiskhy, quindi il Crathes castle, ottimo esempio di archi-

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tettura tradizionale cinquecentesca, le suggestive rovine del Dunnottar, il maggior maniero medievale scoz-zese, e infine il tetro Glamis Castle, simbolo per eccellenza dei castelli scozzesi e anch’esso scena del Mac-

beth. Nel capoluogo Edimburgo da non perdere la fortezza reale, che ospita i gioielli della corona, la città nuova, capolavoro dell’architettura georgiana e sito Unesco, e il seicen-tesco Royal Botanic Garden, tra i più

importanti al mondo per le sue es-senze rare.

“Adenium – Soluzioni di viaggio” tel. 02 69 97 351, www.adeniumtravel.it

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La Barcellona di GaudìSANTILLANA DEL MAR

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E’ una sorta di bomboniera incastonata fra le valli a due passi dal mare, Santillana del mar. E, da sola, vale il prezzo del viaggio. Santander, la capitale della Cantabria, dista solo 30 km, ed è collegata con voli diretti dall’Italia, da Roma,

Milano e Pisa. Provvede Ryanair. Viene definita la città delle tre bugie, perché non è santa (Santi), non è in pia-nura (ilana), e non c’è il mare, che peraltro è a due passi. Se le tre bugie sono contenute nel nome, la verità, inve-ce, mostra tutta la sua essenza appena il sole è spunta da dietro la collina, ed illumina questo borgo medioe-vale, perfettamente conservato, colorando d’oro la pie-tra delle sue costruzioni, che reggono perfettamente i segni del tempo. Santillana è una sorta di macchina del tempo contemporanea, dove la vita sembra essersi fer-

Santillana del Mar is as pretty as a chocolate box and is set among valleys, close to the sea. Even on its own it is worth a trip. Santander, the capital of Cantabria, is just thirty kilome-tres away and there are direct flights from

Rome, Milan and Pisa. Courtesy of Ryanair. It is called the city of the three lies, because it is not holy (santi), it is not on a plain (ilana), and it is not on the sea, although it is close. If the three lies are in its name, the truth is that it reveals all its charms once the sun comes up behind the hill, lighting up this perfectly-conserved Medieval town and leaving golden brushstrokes on its old stone

SANTILLANA DEL MARTesto e Foto di / Words and Photo byMarco De Rossi

SANTILLANA DEL MAR

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SANTILLANA DEL MAR

mata secoli addietro. Di fatto, l’idea è quella di trovarsi in un set cinematografico. Intanto, le automobili sono off-limits, non si guarda in faccia a nessuno. L’arredo ur-bano è discreto e scevro dalle cafonerie della moderni-tà. Ci si aspetterebbe di veder spuntare da un momento all’altro una compagnia di Templari diretti a Santiago de Compostela. E basta dare un’occhiata all’inquietan-te Museo degli strumenti di tortura della santa inquisi-zione spagnola, che si trova sulla strada principale del borgo, per rendersi conto di quanto il potere religioso (e la sua folle stupidità) fosse dominante in questa zona. Non a caso il borgo si è sviluppato intorno ad un eremo edificato dai monaci benedettini nel VII secolo, nel qua-le custodire le reliquie di santa Giuliana di Nicomedia, da loro possedute. Intorno alla piccola chiesa sorse un monastero (l’attuale Colegiata de Santa Iuliana) e poi un centro urbano, che pian piano si ingrandì e visse perio-di di grande splendore, sempre caratterizzati dal potere monastico, che ha avuto una parte preponderante nella storia della città. Il borgo medioevale, che adesso conta 4000 abitanti, è normalmente infestato da torme di turi-sti, che giungono a frotte, soprattutto nell’alta stagione, anche per ammirare le vicine grotte di Altamira, uno dei più importanti siti preistorici d’Europa. Basta una mezza giornata per visitare a fondo Santillana, per districarsi nelle sue viuzze lastricate con l’acciottolato e piene di negozi che espongono souvenir e cianfrusaglie desti-nate al turismo di massa, ma anche deliziosi prodotti dell’artigianato locale, soprattutto ceramiche e lavora-zioni in cuoio. Uno degli aspetti della città che salta su-

buildings which have withstood the test of time. Santil-lana is a kind of contemporary time-machine where life seems to have stopped many centuries ago. The feeling is that you are on a film set. In fact cars are off limits. Nice move! The street furniture is discreet and without any cheap modern trappings. You almost feel that at any moment a party of Knights Templar on their way to San-tiago de Compostela could come around a corner. And it is sufficient to have a peep into the ominous museum of torture instruments used during the Spanish Inquisi-tion, which is on the main street, to realize how religious power (and its foolish stupidity) had dominated in this area. The town, not surprisingly, developed around a hermitage built by Benedictine monks in the 8th century to enshrine the relics of Saint Juliana of Nicomedus. A monastery (now the Santa Juliana Collegiate) and then a small town developed around the little church and gra-dually spread, enjoying periods of true splendour, linked to monastic power which has a preponderant part in the city’s history. The Medieval town, which now has 4,000 inhabitants, is normally overrun by swarms of tourists, especially in the high season, who come to admire the nearby Altamira Grottos, one of Europe’s most impor-tant prehistoric sites. Half a day is enough to get around Santillana, strolling along its cobblestone alleyways with their little shops full of touristy souvenirs and knick-knacks, but also delightful local crafts products, chiefly ceramics and leatherwork. One thing about this town which immediately catches the eye is how beautifully it is kept, which goes much deeper than the care given to

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bito agli occhi, per forza di cose, è la cura dell’estetica, che non si esaurisce solo nella manutenzione dei mo-numenti e degli edifici in genere. Santillana è il trionfo dell’arredamento floreale, così ben inserito nell’architet-tura da diventarne parte integrante. Un vero e proprio orto botanico a cielo aperto. Fiori ovunque ci sia il posto per farli sbocciare, con il favore, non secondario, dell’u-midità atlantica, che ne favorisce la rigogliosità. Fanno spettacolo a sé delle palle verdi appese ai balconi, che non necessitano di terra per crescere. Basta l’umidità ed una rete sferica per contenerle. I fiori sono la ciliegina su una torta già di per sé assai succulenta. Abbelliscono palazzi nobiliari, taverne, sidrerie, antiche fontane, con-venti, piazze, tutti conservati con cura certosina, segno di un rispetto per l’arte ed una maestria del restauro che dovrebbero fare scuola. Inutile segnalare un sito piuttosto che un altro. Solo la Colegiata, il complesso monumentale romanico che si trova alla fine della stra-da principale, merita una citazione privilegiata. Risale al XII secolo, ed è l’edificio romanico più importante della Cantabria. Chiesa splendida, e chiostro all’altezza. Per il resto, basta guardarsi intorno. Dopo aver gusta-to dell’ottimo polpo alla gallega, imperdibile specialità della Spagna atlantica, da affiancare con del sidro, tipica bevanda del posto dal gusto assai particolare, chi ha la vocazione del pellegrino-viandante può proseguire alla

maintaining its monuments and buildings in general. Santillana is a floral triumph and flowers are an integral part of its architecture. It is a veritable open-air botanic garden. There are flowers everywhere they can possibly blossom and, of course, the humid air from the Atlantic lends a hand in the luxuriance. One spectacular element are the green balls hanging on balconies which do not need earth to grow. All it takes is the humidity and round net to contain them. Flowers are the cherry on what is already a very luscious cake. They enhance and embel-lish aristocratic buildings, inns, shops selling cider, old fountains, convents and squares, all of which are meticu-lously conserved, thanks to a deep respect for the art and skill of restoration, and indeed many towns could take a leaf out of Santillana’s book! There is no point in talking about any particular thing worth seeing, with the excep-tion of the Collegiate, the monumental Romanic com-plex at the end of the main street, which does deserve a special mention. It dates back to the 12th century and is Cantabria’s most important Romanic building with a splendid church and a cloister which is just as handsome. The best way is just to take a good look around, after having tried the excellent local octopus, one of the great dishes of Atlantic Spain, together with a glass of cider, which is the local speciality and has quite a particular taste. Those with pilgrims’ leanings can head on towards

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SANTILLANA DEL MAR

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volta di Santiago de Compostela. Altrimenti, dall’altro lato, c’è Santander che offre un bel po’ di attrazioni turi-stico-gastronomiche, assai più prosaiche. •

Collegamenti: Ryanar volo diretto per Santander da Pisa, Roma e MilanoUfficio del turismo: Calle de escultor Jesus Otero 20 tel. 942-818812www.turismosantillanadelmar.comSito web: www.santillanadelmar.com

Santiago de Compostela. Otherwise, on the other side, there is Santander which has an interesting, albeit fairly prosaic, range of tourist and gastronomic attractions.•

Flights: Ryanair has direct flights to Santander from Pisa, Rome and MilanTourist Office: Calle de escultor Jesus Otero 20 tel. 942-818812www.turismosantillanadelmar.comWebsite: www.santillanadelmar.com

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Mondrian & De Stijl al Gemeentemuseum de L’Aja

Mondrian & De StijlAl Gemeentemuseum de L’Aja

Il Gemeentemuseum di Den Haag a L’Aja accoglierà, fino al 1 gennaio 2014, in una sua ala di ben 750m², una nuova esposizione dedicata a Mondrian & De Stijl. Si tratta in realtà di un complesso di quasi 300 opere costituenti la collezione di Mondrian al Ge-

meentemuseum, davvero unica al mondo e contenente -opere di ogni fase della impressionante carriera di que-sto maestro dell’arte moderna-: dal realismo all’astrat-tismo, in una strabiliante varietà di opere. Particolare

é ad esempio l’esposizione del suo ultimo capolavoro rimasto incompiuto, il “Victory Boogie Woogie” (1942-1944), tributo alla città di New York, nella esuberanza della sua vitalità e ritmo dirompente. L’artista Krijn de Koning e l’architetto Anne Holtrop hanno progettato lo spazio della mostra creando una serie di stanze per le varie parti della collezione Mondrian & De Stijl. All’in-terno dell’esposizione diverse installazioni geometriche portano il visitatore a penetrare nel mondo del design e

Testo di Luisa Chiumenti

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De Koning mostra come i principi di design del De Stijl possano in effetti essere considerati “contemporanei”. Il Gemeentemuseum Den Haag ha scelto di incentrare l’innovativa esposizione permanente di Mondrian & De Stijl su questo approccio positivo, presentando anche opere di Theo van Doesburg, Vilmos Huszàr, Bart van der Leck, J.J.P. Oud, Gerrit Rietvedl e Georges Vanton-gerloo, che insieme a Mondrian, furono i più importanti rappresentanti di De Stijl. L’esposizione, realizzata anche particolarmente intorno al concetto “The House – The Street – The City” (da un articolo di Piet Mondrian del 1925) identifica, nel movimento che ha giocato un ruolo così fondamentale nell’ Avant-Garde europea, il conflui-re di arte, design e architettura nel lavoro degli artisti del De Stijl, che utilizzavano i colori primari per creare opere d’arte vivaci, brillanti e senza limitazioni. La mostra parte

dalla intimità degli interni, per passare poi, come in uno zoom, prima alla strada e poi alla città, che ingloba in se stessa, anche argomenti come la pubblicità, fotografia, moda e società. Una mostra senza dubbio innovativa nel suo articolarsi spontaneo ed equilibrato tra questi due livelli : “micro” e “macro”. Ricordando anche la vasta mostra monografica, dal titolo significativo, “L’Armo-nia Perfetta” , che é stata allestita recentemente nelle sale del Complesso del Vittoriano a Roma, il taglio della esposizione olandese arricchisce notevolmente la narra-zione, ivi presentata dello sviluppo di quello che fu l’ar-monioso, costante sviluppo della poetica di Mondrian pur sulla base di quella che é stata definita la “osses-sione per l’idea di progresso” dell’artista olandese. L’ar-tista Krijn de Koning e l’architetto Anne Holtrop hanno progettato lo spazio della mostra creando una serie di

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stanze per le varie parti della collezione Mondrian & De Stijl. Nel cuore dell’esibizione, il design porta dentro in-stallazioni geometriche nelle quali lo spazio si restringe via via, mutandosi da una scala umana alla scala dell’o-pera d’arte stessa. De Koning mostra come i principi di design di De Stijl siano contemporanei. La mostra é ac-compagnata dalla pubblicazione The Story of De Stijl / Mondrian to Van Doesburg contenente saggi di Hans Janssen e Michael White, edito da Ludion.

Per meglio comprendere la forza evolutiva della carrie-ra artistica di Mondrian vogliamo sottolineare come, a cavallo tra il XIX e il XX anche Mondrian, come del resto tutti gli altri artisti d’avanguardia, si adoperava per cer-care di superare l’aspetto esteriore della realtà volgen-dosi alla ricerca di “una verità più profonda”. Ma se nei Paesi Bassi del primo Novecento, Piet Mondrian (Amer-sfoort, 7 marzo 1872 – New York, 31 gennaio 1944) era un paesaggista di successo, egli era anche molto curio-so, ossessionato dall’idea di progresso e ne riteneva una missione il suo raggiungimento. Ne derivò una delle fasi più affascinanti della storia dell’arte moderna: il gioco di Mondrian con le linee orizzontali e verticali e la ricerca della composizione ideale. Forte fu il suo interesse per la corrente cubista, ma da qui l’artista si sarebbe poi mosso alla ricerca di una possibile -strutturazione per riduzio-ne-, già contenuta in quella corrente, fino a raggiunge-re la pittura astratta e a dar vita, pochi anni più tardi, a quella corrente che fu poi definita “Neoplasticismo”. Come Kandinskij, Mondrian avrebbe poi cercato di an-dare oltre agli elementi espressivi della pittura, dati da: “linea, colore e forma o superficie, cui veniva attribuito un valore proprio, che non rimandava a qualcos’altro”, “riducendo tali elementi all’essenziale: soltanto linee ret-te, verticali e orizzontali, mai diagonali; soltanto colori primari; nessun colore composto, come in natura e i

non-colori nero, bianco e grigio. Ne sarebbe derivata quel fantasioso suo viaggio tra linee orizzontali e ver-ticali nella ricerca della composizione ideale”. E’ il 1911 quando Toorop e Mondrian organizzano una mostra d’arte moderna ad Amsterdam, e le loro opere vengono esposte tra quelle di Cézanne, Picasso e Braque e sarà la prima volta che Piet Mondrian vede quadri cubisti. E’ la circostanza che lo sollecita ad andare a Parigi, avviando la fase decisiva della sua evoluzione e dopo una bre-ve parentesi cubista, già nel 1914, Mondrian compone i suoi primi quadri astratti. E fu soltanto al suo ritorno in Olanda prima dello scoppio della grande Guerra che, continuando la sua ricerca, Mondrian dette vita al movi-mento “De Stijl” : uno stile nuovo per un nuovo futuro. Tornato a Parigi alla fine della guerra, il suo atelier, in Rue du Départ 26, era veramente all’avanguardia: vi appari-vano, dipinti sui muri, i suoi tipici quadrati, mentre vi si trovavano, appesi, quadri e molti specchi che moltipli-cavano illusoriamente, le viste e gli spazi. Lasciata l’Eu-ropa nel periodo nazista, Mondrian si stabilì a New York dando anche sfogo alla sua passione per il jazz.•

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La grande attrazione di Amsterdam è il divertimento e la vita mondana, quale può essere la motivazione di un viaggio a L’Aja?Anzitutto L’Aja è un brillante centro cul-turale, con oltre 20 musei, tra cui i più rinomati dei Paesi Bassi, il Mauritshuis, che vanta alcune opere di notevole pre-gio come “la ragazza con l’orecchino di perla” di Vermeer e l’ultimo autoritratto di Rembrandt, e il Gemeentemuseum, in cui si possono ammirare dipinti di alcu-ni illustri membri della “Scuola de L’Aja” che ha contribuito a farla conoscere come Città delle Arti. Inoltre, il Gemeentemu-seum conserva la collezione di Mon-drian più consistente al mondo. Poi c’è la mostra di sculture open air “Den Haag Sculptuur” che ogni anno spinge molti amanti dell’arte a visitare la nostra città. L’interesse culturale è stimolato anche dal Nederlands Dans Theater, internazional-mente famoso per la danza moderna.

Ma L’Aja è anche mare.Scheveningen è con-

siderata una del-le più rinomate località balne-ari dell’Olanda, molto frequen-tata dal turismo

olandese ed este-ro. Costituisce la

zona mondana de L’Aja con i suoi lussuosi alberghi e i locali di divertimento come il Kurhaus, una volta struttura termale oggi è un Casinò annesso ad un hotel esclusi-vo. Scheveningen è un motivo in più per un viaggio a L’Aja.

Quest’anno L’Aja ha un’occasione in più per distinguersi Sì, in tutto il 2012 L’Aja sarà la “Capitale internazionale della pace e della giusti-zia”. Un ruolo ben motivato se consideria-mo che la nostra città è sede di 130 istituti tra tribunali, organizzazioni ONU ed Enti di diritto internazionale come il Tribunale Internazionale per i crimini nell’ex-Jugo-slavia e la Corte Penale Internazionale.

Raggiungere L’Aja è facileL’aeroporto di Rotterdam è vicinissimo a L’Aja, ed è previsto un aumento dei colle-gamenti tra i vari aeroporti italiani come Roma, Milano, Treviso, Pisa, e Napoli. Vettori come Transavia, ma anche L’Ente del Turismo Olandese promuovono cit-tà come L’Aja e Rotterdam in alternativa ad Amsterdam facilitandone il raggiun-gimento e le città stesse si evolvono con strutture sempre più adeguate ad un tu-rismo moderno ed esigente. I risultati di questo sforzo congiunto sono alla portata di tutti: nel 2011 il numero dei visitatori a L’Aja è aumentato del 12%, a Rotterdam del 19%, a Utrecht addirittura del 30%.•

Intervista a Jozias van Aartsen, sindaco de L’Aja, città a cui Piet Mondrian era fortemente legato

Testo diTeresa Carrubba

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Firenze lo Scoppio del Carro tra leggenda e realtà

Piazza del Duomo, Firenze, ore 11,00. I piccioni che affollano i monumenti cit-tadini scappano disturbati dal fragore chiassoso di

cento “botti”, la nebbia artificiale dei fumogeni avvolge tutto e tutti mentre i primi colorati fuochi d’ar-tificio iniziano a illuminare lo spa-zio tra la facciata di Santa Maria del

Fiore e il Bel San Giovanni, il batti-stero della città. Dal fumo, come se arrivasse dal passato, emerge l’alta mole di un manufatto in legno, ar-ricchito da sculture, fregi, stemmi: è

Testo e Foto di Giuseppe Garbarino

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il Carro. Da secoli quello che i fiorentini chiamano “brindellone”, per la sua mole, è al centro della celebrazio-ne pasquale, un tempo utilizzato il sabato Santo e oggi, dopo una va-riazione della liturgia, utilizzato per i riti della mattina di Pasqua. Tut-to cominciò all’alba delle crociate, quando il leggendario Pazzino de’

Pazzi riuscì per primo a salire sulle mura di Gerusalemme nel 1099 e per questo venne ricompensato da Goffredo da Buglione con delle pie-tre sacre, provenienti dal Sepolcro del Cristo.Mentre gli storici continuano a discutere sull’esistenza di questo mitico personaggio immortalato a scalare le mura della Città Santa, lo

Scoppio del Carro attira oggi come ieri migliaia di persone, tutte con il naso all’insù per veder passare il simulacro della Colombina, un pic-colo missile a forma di uccello che partendo dall’altare maggiore del Duomo percorre velocemente, lun-go un filo metallico, il tratto che lo separa dal Carro che è stato posi-zionato davanti all’ingresso princi-

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Firenzelo Scoppio del Carro tra leggenda e realta'

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pale della chiesa; qui incendia una miccia e torna indie-tro nuovamente all’altare maggiore. Se tutto procede bene e non ci sono intoppi lungo il percorso, ci saranno ricchi raccolti per la prossima stagione e soprattutto nessuna sventura colpirà Firenze. Ma mentre tutti sono a godersi lo spettacolo pirotecnico che dura circa ven-ti minuti, torniamo a parlare della tradizione. Pazzino, capostipite di una importante famiglia fiorentina di banchieri, una volta tornato in patria e acclamato con

solenni onori da tutti i cittadini, volle che le pietre ve-nissero usate per accendere il fuoco benedetto, simbo-lo di resurrezione pasquale, come era tradizione presso crociati di Terra Santa. A tutte le famiglie cittadine ve-niva quindi consegnata la fiammella del fuoco santo ma il rituale negli anni cambiò diventando sempre più spettacolare, fino alla costruzione di un primo carro che portava i carboni infuocati e poi un macchinario più imponente sul quale vennero posizionati i primi

Firenze lo Scoppio del Carro tra leggenda e realtà

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fuochi d’artificio. L’attuale Carro venne realizzato dalla famiglia Pazzi nel 1765, dopo che quello precedente era stato danneggiato dai fuochi e non era più il caso di restaurarlo. Venne quindi costruito un carro “trionfa-le” più resistente e a tre ripiani che potrebbe ricordare le macchine da guerra che venivano usate per assalire le mura nel medioevo, forse un ricordo dell’impresa di Pazzino alla conquista di Gerusalemme. Se guardiamo la parte superiore del carro di nota chiaramente una

corona, una merlatura che dovrebbe ricordare la cinta muraria di Gerusalemme sostenuta da quattro delfini rovesciati che sono il simbolo dello stemma dei Paz-zi. Altri stemmi o armi si trovano su un livello inferiore del Carro, sono le due armi dei Pazzi, quella antica con le mezzelune, per indicare l’origine dalla vicina città di Fiesole e quelle moderne, attribuite alla famiglia dopo il 1200.Ritorniamo in piazza, anzi riavvolgiamo il tempo fino al

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momento in cui il Carro, trainato da dei magnifici buoi che sembrano dipinti in un quadro del Fattori, esce dal suo alloggio sul Prato, vicino alla cerchia dei viali dove un tempo si ergevano le mura di epoca dantesca. Da li, lentamente, scortato dal Corteo della Repubblica Fio-rentina, raggiunge il centro della città dove è atteso dai Bandierai degli Uffizi, i quali, dopo aver fatto un pri-mo spettacolo di astiludio lo scortano finalmente fino a piazza del Duomo, sotto gli sguardi incuriositi della folla ondeggiante. E’ un tripudio di uniformi, colori, armi antiche, bandie-re. La Firenze del XV secolo rivive in tutta la sua gioia, unendo il sacro e il profano, la Santa Pasqua con i suoi ritmi eterni accanto al lento passare di un esercito, or-mai di pace, che vive in simbiosi con questa grande

città d’arte.L’attesa viene punteggiata da tutta una serie di piccole e grandi cose, il tirare e l’agganciare il cavo metallico al Carro, la messa in sicurezza dei fuochi, il posiziona-mento del Corteo Storico, l’esibizione dei Bandierai al ritmo dei tamburi e annunciati dallo squillo delle chia-rine, l’estrazione delle squadre che si dovranno sfidare alle partite del Calcio Storico a giugno, i riti religiosi che vedono il corteo con l’Arcivescovo passare dal Bat-tistero al Duomo, la benedizione della folla ed infine, finalmente, all’intonazione del Gloria il veloce passag-gio della Colombina che, con un guizzo quasi indistin-guibile, raggiunge il Carro per far iniziare lo spettacolo pirotecnico. Gli occhi sono tutti puntati sul filo, appena distinguibile, quando finalmente eccola, la Colombina

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ROMA - tra antichità e contemporaneo / ROME Ancient and contemporary

passa con un sibilo sparendo subito allo sguardo. Si concede poco que-sta ambasciatrice di pace e prospe-rità.Siamo all’apoteosi della manife-stazione. Il fumo, gli scoppi, le mi-gliaia di scintille che avvolgono il Carro e tutto intorno le centinaia di flash delle macchine fotografiche che azionati a ripetizione fanno da luminosa e moderna aureola alla piazza.Dall’interno del Duomo si scorge il grande Carro come avvolto nelle nuvole, la funzione religiosa stenta

a proseguire tanto è il fracasso che rimbomba dentro le antiche nava-te. Siamo ormai all’epilogo di que-sto rito unico al mondo, una messa con i fuochi d’artificio, una funzione religiosa della quale si perde il pro-fondo significato storico a vantag-gio di un’esposizione mediatica e mondana per i turisti che assediano la piazza. Anche questa volta la Colombina ha fatto il suo dovere, tutti si incam-minano verso il meritato pranzo pa-squale, la grande piazza è tutto uno stringersi di mani, di abbracci, salu-

ti. Al prossimo anno, Dio volendo.•

http://www.calciostoricofiorenti-no.it/h t t p : / / w w w. c o m u n e . f i . i t /opencms/export/sites/retecivi-ca/citta/turismo/non_solo_arte/feste_e_tradizioni.htmhttp://www.comune.fi.it/mese/palagiopguelfa.htmhttp://www.duomofirenze.it/fe-ste/pasqua.htmhttp://www.firenzeturismo.it/http://www.conventionbureau.it/

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Bologna lungo i portici

Bolognalu ngo i portici

Città

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Quanti registi hanno sentito il fascino di Bologna ed hanno girato, fra le sue strade, film di successo: da Michelangelo Antonioni a Dino Risi, Bertolucci, Monicelli, Pupi Avati, Ermanno Olmi. E da ognuno di quei film scaturivano volta a volta le caratteristiche di una città che da sempre si identifica con alcuni simboli, mantenendo saldo l’attaccamento alle radici e alle tradizioni, pur continuando ad aprirsi a temati-che innovative proposte dalla cultura e dalla tecno-logia contemporanee. E’ infatti “la città delle torri”, due delle quali ne hanno costituito l’emblematica icona, la Garisenda e gli Asinelli, sorte nel punto più strategico di ingresso in città dall’antica via Emilia, all’incrocio tra le vie che portavano alle cinque porte dell’antica cerchia di mura. Ma é anche “Bologna la Dotta” per l’Università che dibatte con Parigi il pri-

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Testo di Luisa ChiumentiFoto di Archivio

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mato di più antica d’Europa. E come non ricordarne anche i prelibati “sa-pori” della cucina che la individuano come “Bologna la Grassa”? Viaggia-tori e letterati, poeti e pittori vi hanno soggiornato, serbandone un ricordo indelebile di città viva e consapevo-le delle sue doti vissute attraverso i luoghi che li hanno accolti, come lo studio di Giorgio Morandi, davanti al quale egli appare in una foto, fra pennelli, colori, dozzine di bottiglie, recipienti d’ogni tipo, dai quali traeva ispirazione per le sue nature morte. Ed ecco anche la casa di Carducci posta a ridosso delle superstiti mura fra porta Maggiore e porta Santo Stefano. Sen-za contare altri personaggi come il commediografo Testoni o lo scrittore Raimondi che amavano dissertare di dolci e tortellini con Paolo Atti, ante-signano dell’imprenditoria gastrono-mica bolognese dal 1880, nell’antica bottega di via Caprarie, che conserva intatti la tradizione e gli ambienti tra Ottocento e Liberty. Arrivare al mat-tino presto in una città offre sempre impressioni di grande efficacia, di grande purezza, quando é ancora avvolta nel silenzio, con i pochi bar aperti per gli abitanti più mattinieri, caldi e accoglienti specie d’inverno, e con le sole chiese aperte, mentre i pa-lazzi del centro con le ampie facciate dai finestroni alti con i timpani clas-sicheggianti sembrano voler tener chiuse gelosamente le tante storie secolari che si sono sovrapposte nel tempo. A tutto ciò Bologna aggiunge il fascino dei suoi tanti portici. Essi ap-paiono infatti come splendido rifugio, in cui si sbuca dal dedalo delle stradi-ne circostanti non solo finalmente al riparo dalla pioggia o dalla neve, ma anche come in una sorta di “appro-do” che permette ai cittadini, ma an-che agli ospiti, di sentirsi liberi di dare sfogo ai propri pensieri, camminando tranquilli tra vetrine ben allestite di negozi a volte storici, a volte un po’ rinnovati, ma per lo più tradizionali. E se pure Montaigne elogia Bologna per essere una -città tutta adorna di belli e larghi portici e di un grande numero di sontuosi palazzi-, sap-piamo dal suo “Giornale di viaggio in Italia” quanto fosse importante all’epoca, per promuovere una visita

a Bologna, anche la presenza di una importante scuola di equitazione e quella di scherma portata a grande fama da Achille Marozzi, maestro ge-nerale dell’arte delle armi. E il viaggia-tore non può ancora oggi fare a meno

di camminare per le strade porticate di Bologna come faceva Montaigne, che “amava sostare lunghe ore sotto i portici o ai margini di essi per os-servare i palazzi, le piazze e le chiese, meravigliato del loro grande numero

Bologna lungo i portici

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e della loro bellezza. Poi passava nel lato opposto e scopriva altri palazzi, altre chiese, quasi come se improv-visamente fosse stato trasportato in un’altra città”. Infatti i portici di Bo-logna, costituiscono la più fastosa

prospettiva scenografica, invitando a camminare lentamente, magari con-versando, oppure prendendo appunti grafici o fotografici e di là “traguar-dare i palazzi che scorrono fra quel-le quinte arcuate. Suggestivi i portici

del Pavaglione, un po’ “salotto” delle signore per le vetrine molto eleganti un tempo e forse oggi più sobrie, ma sempre aderenti a quel buon gusto innato che le signore bolognesi an-cora denunciano nel loro incedere o

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fermarsi a conversare. E apprezzando proprio lo straordinario reticolo di strade porticate, é interessante ricor-dare una espressione di J. Burckard, storico del Rinascimento, che fa nota-re in alcune sue righe come Bologna fosse e rimanesse “la più bella città d’Italia” proprio “ per l’insieme delle strade”. E sempre da sotto i portici ci si può anche allontanare dal centro come i devoti che amano raggiun-gere quel suggestivo polo religioso che è visibile già da lontano, come un faro, sulla collina, a mano a mano che ci si avvicina alla città: il santua-

rio di San Luca. Bologna fa apprezzare il suo paesaggio soprattutto nel suo tessuto, che trova in effetti un idea-le riscontro nelle concezioni di molte città utopiche del Rinascimento, dove i portici sono elementi del tutto indi-spensabili come per il Filarete, per lo Zuccolo, per l’Alberti e per il Palladio, il quale scriveva “mi piacerà che le strade siano così divise, che dall’una e dall’altra parte vi siano fatti i portici, per i quali al coperto possano i citta-dini andare a fare i loro negozi senza essere offesi dal sole, dalla pioggia, e dalle neve”. Ma suggestivi sono an-

che i grandi spazi della città come le due piazze adiacenti, La piazza Mag-giore con l’imponente chiesa di San Petronio e i grandiosi palazzi che la racchiudono e la piazza con la fon-tana del Nettuno. Ed é qui che si può essere accolti da una importante Bi-blioteca e polo culturale, la Ex-Borsa, all’interno di Palazzo d’Accursio, sede storica del Comune di Bologna. Essa si offre con il cortile, ma anche con la bellissima sala liberty, il suo spazio privilegiato per importanti incontri culturali. Tra questi ricordiamo quello che, in concomitanza con “Arte Fiera”,

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ha ospitato un affollatissimo scambio fra storia e critica lungo la carriera di Luigi Ontani, alla presenza dell’artista, dalle sue performances degli anni ‘70 fino ai lavori recenti. E sotto la pavimentazione trasparente dell’attuale piazza coperta ecco i reperti archeologici dovuti alla sedimenta-zione di varie civiltà: quella villanoviana del VII secolo a.C., quella della Felsina etrusca, e quella della Bononia roma-na fondata nel 189 a.C.. In particolare si trovano tracce di edifici pubblici e religiosi, tutto ciò che appare splendida-mente illustrato nel nuovo allestimento del Museo della Città appena inaugurato nel restaurato Palazzo Pepoli. E tale nuovo Museo evidenzia anche, in una sua sezione, come al di sotto di quelle strade e di quei portici esiste anche un’altra Bologna, legata alla terra e all’acqua, in un itinerario di grande interesse, che mostra Bologna come “città d’acqua”, ricca di canali, imbarcazioni e popolata da marinai, sia pure “d’acqua dolce”, con un suo porto da cui transitavano ben 2.500 imbarcazioni anche grandi, che trasportavano merci in abbondanza. Se ne conserva il ri-cordo in alcune strade, come in “via del Porto” o in “via Val d’Aposa”, dal nome dell’antico fiume che insieme con il Reno lambiva la città. Il viaggio “storico” a Bologna si fa-ceva per amore dello studio e di altro ancora e la città era famosa fin dal sec. XII e frequentata da studenti che pro-venivano da ogni parte d’Europa, ma anche da intellettua-li e viaggiatori. E tale fascino non cessò mai di esercitarsi ed é significativa al riguardo la famosa novella “Cornelia” che Miguel Cervantes ambientò interamente a Bologna, decantando addirittura le virtù terapeutiche del suo clima, che aveva sperimentato soggiornandovi.•

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Bologna lungo i portici

Antica dimora di una delle famiglie più importanti della Bolo-gna medievale, palazzo Pepoli, appare oggi come il risultato di un accorpamento di alcune porzioni di fabbricati più anti-chi che nella prima metà del secolo XVIII vennero definitiva-mente organizzati in un’austera dimora nobiliare.Negli ultimi decenni il palazzo, dopo un periodo in cui fu pri-vo della debita manutenzione, andò degradandosi, finché, nel 2003, la Fondazione Cassa di Risparmio di Bologna non deci-se di acquistare il complesso e provvedere ad un suo consoli-damento e recupero ai fini di una nuova destinazione, non più abitativa , ma museale. Fu quindi bandito un concorso di progettazione che venne vinto dallo Studio dell’architetto Mario Bellini, che si occupò del restauro e dell’allestimento museografico, con la grafica di Italo Lupi.Il fulcro dell’intervento é senza dubbio la bella scala in vetro e acciaio che é andata ad occupare il grande cortile interno.Tre i percorsi che portano il visitatore a “scoprire la città, in un viaggio inconsueto che vale a sottolineare i momenti più significativi della storia di Bologna, presentati con tecnologie d’avanguardia e suggestive ricostruzioni scenografiche.L’originalità dell’intervento consiste senza dubbio in quello che lo stesso arch. Bellini descrive come “una torre-ombrello di vetro e acciaio” che “recupera e reinventa la corte che così riacquista dignità e funzione. Come una lanterna magica inondata dall’alto di bianca luce naturale che via via scende e smaterializza in pura trasparenza. Quasi un’epifania che fa riflettere sull’imprevedibile scorrere del tempo. Ma anche una scelta strategica che rende possibile e fluido l’intero percorso di visita, di cui proprio la torre e la corte diventano l’epicentro”.E il progetto grafico, curato dall’architetto Italo Lupi, ha reso ancora più articolata e affascinante per il visitatore l’ espe-rienza di un vero e proprio “viaggio nel tempo”, alla scoperta di Bologna. Ne scaturiscono i momenti più significativi delle varie trasformazioni della città, attraverso i più salienti even-ti storici, dalla Felsina etrusca fino ai nostri giorni, in modo innovativo e dinamico, con tecniche espositive scenografiche ed interattive suggestive e per molti versi inedite nel nostro Paese.•

Si apre a Bologna il Museo della Storia

nel rinnovato Palazzo Pepoli

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PANI-SCULTURA NELLA PASQUA SICILIANA

In un suggestivo amalgama di folklore, atto votivo e rievoca-zione dei riti pagani propiziatori per l’agri-

coltura, in molti paesi della Sicilia, nel periodo pasquale, vengono preparati pani fantasmagorici e dolci variopinti. Decorativi e fortemente intrisi di sim-bolismo, questi pani, vere e proprie sculture, assumono significati impor-tanti, rifacendosi a tradizioni di genu-ino spirito popolare. La panificazione, nell’isola, è da sempre un gesto di devozione, un’arte figurativa popola-re espressa attraverso una consumata manualità, perpetuata e perfeziona-ta di generazione in generazione. E il “pane festivo” ha una particolare con-notazione comunicativa. Fin dal giorno di San Giuseppe, festa che precede ma è sempre molto vicina alla Pasqua, in molti centri siciliani i panificatori si impegnano in una gara esaltante e il loro pane si ispira ad antiche usanze che richiamano la fertilità della terra e la speranza del buon raccolto. Sca-vi archeologici hanno portato alla luce

attrezzi rudimentali sul genere di quelli che si usano ancora oggi per questo tipo di panificazione: ciotole per il lie-vito, coltelli, forbici, ditali e rotelle, per scolpire e decorare piccoli capolavori che vengono poi infilati in forni di pie-tra intonando canti rituali. In passato, in questi gesti riviveva il mito di De-metra-Cerere, protettrice della fertilità della terra, che Cicerone riconosceva come padrona della Sicilia. E quello di sua figlia Persefone, tenuta nascosta negli inferi, che salva gli uomini dalla fame col suo benefico ritorno. Ed ecco nascere dalle mani riconoscenti degli avi siciliani pani votivi impastati di sim-bologia e di fede popolare. E la festa pagana, di ringraziamento agli dei nel periodo del tripudio della terra, la pri-mavera, si trasforma in festa pasquale con l’avvento del cristianesimo. In mol-te case siciliane vengono allestiti degli altari con sculture di pane dal com-plesso simbolismo che trasformano il ricordo atavico dei riti agresti pagani in espressioni religiose di dono per grazia ricevuta. Gli altari pasquali, per queste comunità, diventano un modo di con-

servare la propria identità culturale. I pani-scultura sono esclusivo appan-naggio femminile. Ancora oggi le don-ne, infatti, sono le maggiori tributarie della gestione privata del sacro. La loro tecnica di panificazione è assai vicina a quella dello scolpire, del decorare, del cesellare. Elementari gli strumenti: pettine, ditale, forbice... Niente stampi o forme preordinate! All’uomo, invece, la costruzione degli altari con archi di canne, alloro e mor-tella e il “montaggio” dei pani devo-zionali, intercalati da tralci di agrumi e datteri, in una sorta di quadro sacro. Alcune settimane prima di Pasqua, pa-esi e quartieri cittadini in Sicilia si tra-sformano in grandi cantieri di progetti creativi e di minuziose preparazioni. In molti centri, come Salemi, San Biagio Platani, Canicattini Bagni, Modica e Alcamo, ci sono ancora molte perso-ne esperte in quest’arte di panificare, di decorare i carretti siciliani con i pani cerimoniali e d’innalzare altari e archi sontuosi dal gusto finemente baroc-cheggiante, che compiacciono lo sco-po di un inevitabile “effetto-sorpresa”.

Testo di Teresa Carrubba

nella Pasqua SicilianaPani-SculturaProcessioni sacre, feste popolari, forme di pane cariche di simbologia

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PANI-SCULTURA NELLA PASQUA SICILIANA

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A Salemi gli altari, spettacolari e ridon-danti di elementi decorativi, vengono addob-bati quasi esclusivamente con i pani. Sono il frutto del lavoro di una trentina di donne che per almeno una settimana continuano a scambiarsi il criscenti (lievito) a testimonianza di so-lidarietà. Con lo stesso criterio, i pani, a fine festa, vengono distribuiti a parenti e visitatori per diffondere e prolungare la protezione divina.I pani-scultura di Alcamo sono partico-larmente carichi di significati simbolici. Sistemati su sette livelli, che rappresen-tano i gradini della Deposizione, qui i pani rappresentano il SS. Sacramento, l’aquila, i datteri, gli alberi fioriti, i pavo-ni e gli episodi della vita di S. Francesco di Paola. A Gibellina, poi, i fedeli hanno uno straordinario gusto nell’allestire le “Cene di San G i u -

seppe”. In tutta la Sicilia, le forme dei pani sono floreali, di animali o antro-pomorfe o desumono spunti dagli elementi pagani agresti e dalla sim-bologia cristiana. Il “pane di Pasqua” di Buscemi ha forma rotonda con una croce rilevata al centro raffigurante l’eucarestia; a Canicattini Bagni, a Gan-gi e a Borghetto si preparano i pani degli apostoli, a Modica, la domenica delle Palme si confezionano pani che ricordano la crocifissione, a forma di corona di spine, di scala o di tenaglia; a

Favara, il sabato Santo, le ragazze re-galano al futuro suocero un pane raffi-gurante la testa di Gesù. Un discorso a parte meritano i celebri archi di Pasqua di San Biagio Platani, realizzati fin dal Settecento, in cui le confraternite di devoti si esibiscono, per le strade, in costruzioni di straordinarie architettu-re vegetali che sorreggono pani ceri-moniali.A confine tra pane e dolci si colloca-no i cosiddetti pupi cu l’ova, con for-me umane, di animali o di oggetti, incastonate di uova sode col guscio colorato o decorato. In genere i pupi cu l’ova si confezionano tra il giove-dì e il venerdì santo e si regalano ai bambini o tra fidanzati. Spesso il pane con le uova ha forma di panie-re, come a Canicattini Bagni, Melilli, Lentini, Adrano, Paternò e viene do-

nato con preferenza alle b a m -

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bine, insieme alla pupidda, la bambolina. Per i ma-schietti c’è il cavalluccio e il porcospino. Paniere e porcospino sono figure canoniche nella Pasqua di Buccheri, Giarre, Noto e Licata, attestati persino dallo studioso Pitrè che li espose nella mostra etnografica di Palermo del 1891. Tra le forme tradizionali dei pani con le uova, specie a Sciacca e a Licata, ci sono an-che i cannilieri (candelieri), sorta di ciambelline su cui vengono fissate le uova decorate da uccellini o fiori. A Messina si fa a cuddura i Pasqua, una ciambella di biscotto di mandorla, su cui sono fissate uova di pasta reale con una stella a sei punte di stagnola co-lorata. I simboli pasquali non potevano trascurare la colomba. I palummedi di pastaforte, vengono con-fezionati a mano, senza formelle. Una volta specia-lità delle monache del Monastero della Concezione di Palermo, oggi la colombella pasquale si prepara dappertutto in Sicilia e niente ha a che vedere con quella industriale, più nota agli italiani. A Ferla viene abbellita con pallini di zucchero colorato, a Siracusa si decora con carta velina, a Piazza Armerina si fa con pasta di biscotto ricoperta di candida glassa di zucchero. Accanto all’uovo e alla colomba, il simbolo pasquale per eccellenza è l’agnus paschalis, la peco-rella, realizzata in “pasta reale”(marzapane) e model-lata con antichi stampi di gesso. E’ sempre sdraiata su un prato verde e reca sul dorso la bandiera della Resurrezione.•

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Foto di Raffaele Di RaimondoParticolare lampadario Confraternita Madunnara, anno 2006

PANI-SCULTURA NELLA PASQUA SICILIANA

Foto di Raffaele Di RaimondoFacciata Confraternita Madunnara, anno 2006

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67Foto di Liana Sabella - Acquasantiera in paneConfraternita Madunnara, anno 2009

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Tornano i Dragoni a San-remo, torna la classe che tutto il mondo riconosce come la “classe dei Re”, per un appuntamento che è

ormai noto a livello internazionale e che ogni anno registra un nume-ro sempre più alto di concorrenti e bandiere rappresentate. L’Interna-tional Italian Dragon Cup – Paul & Shark Trophy si svolgerà dal 20 al 25 marzo nella città dei fiori, nota per il famoso Festival della Canzone Ita-liana, ma dove in realtà ogni mese è in calendario una manifestazione di alto profilo. Qui, dal 2007, si dan-

no appuntamento tutti i più forti equipaggi della classe dei Dragoni, un’imbarcazione che è stata dise-gnata nel 1929 da Johan Anker, per le acque norvegesi e che ha avuto immediatamente un rapido succes-so in tutt’Europa, tant’è che già nel 1937 era la protagonista delle più importanti regate internazionali. Nel 1948 il Dragone è entrato nell’empi-reo olimpico, rimanendo una delle classi di riferimento sino al 1972. Le modifiche dei progetti originali e lo sviluppo tecnologico dell’im-barcazione sono stati concepiti con la precisa volontà di mantenere la

competitività fra quelle storiche e quelle di nuova concezione, con-sentendo regate realmente compe-titive anche fra Dragoni costruiti in materiali e periodi diversi.Nota nel mondo della vela come la classe dei Re, perché tra i suoi rappresentanti vi sono molte teste coronate, tra cui Costantino di Grecia – attuale pre-sidente internazionale della classe – e il principe Henrik di Danimarca, – che ne è vicepresidente, questa manifestazione è un connubio tra eleganza, emozione e competizione. L’International Italian Dragon Cup - Paul & Shark Trophy si aprirà il 20 68

L’International Italian Dragon CupPaul & Shark Trophydal 20 al 25 marzo

Testo di Anna Rita Arborio

Foto di Matteo Littardi [email protected]

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marzo, con il perfezionamento delle iscrizioni e con le operazioni di varo delle imbarcazioni in regata, che devono essere ottimizzate prima di poter regatare. Poi dal 22 marzo ini-zieranno le regate, che per quattro giornate impegneranno armatori ed equipaggi nell’incantevole baia di Sanremo. La premiazione si svolgerà allo Yacht Club Sanremo domenica 25 marzo e, oltre al Trofeo Paul & Shark, sarà anche conferito il titolo di classe ita-liano.Questa manifestazione sporti-va è caratterizzata da molti momenti glamour e di prestigio, come il coc-

ktail al Royal Hotel di Sanremo, che è un irrinunciabile appuntamento per tutti i velisti o come la giornata dedicata alla “Signore” che saranno coinvolte in una visita alla scoperta della Riviera. Allo Yacht Club Sanre-mo invece saranno organizzati dei cocktail dopo regata, che permet-teranno agli equipaggi di ritrovarsi nell’ambiente della Club House. Qui sarà possibile vedere tutte le imbar-cazioni ormeggiate nei pontili nel porto Vecchio della città, dove sarà costruito un vero villaggio della vela, centro nevralgico della manifesta-zione. A conferma della vocazione

internazionale di questo evento è l’inserimento dell’International Ita-lian Dragon Cup - Paul & Shark Tro-phy, ne “L’hiver des Dragons 2011-2012”, circuito di regate organizzato da “Cannes Dragon International” e che coinvolge le più belle città del-la Riviera e della Costa Azzurra, tra cui Monaco, Cannes, Juan les Pins e Alassio.

www.yachtclubsanremo.ith t t p : / / w w w. f a ce b o o k . co m /yachtclubsanremo

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Foto di Matteo Littardi [email protected]

Foto di Matteo Littardi [email protected]

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La crisi economica degli ultimi tempi ha avuto ripercussioni sul turismo italiano?Nel 2011 c’è stato un dato positivo per quanto riguarda le presenze, con una crescita importante del turismo straniero e una stagnazione sul mercato italiano. La media tra le due componenti ha dato un risultato soddisfacente in termini di presenze. Va detto però che non sempre le presenze significano maggior fatturato perché a volte gli alberghi abbassano i prezzi e quindi si va in pari. C’è stato un ottimo incremento da parte di alcuni mercati la cui economia sta tirando, mi

riferisco alla Russia, al Brasile, al Bric insomma, e anche un buon incremento dagli Stati Uniti dovuto a un dollaro forte nei confronti dell’euro, il che rende più competitiva la destinazione Italia. Per quanto riguarda il mercato europeo, ha tenuto bene l’Inghilterra e la Germania mentre è andata giù la Spagna ed altri Paesi coinvolti nella crisi economica. Gli italiani non vanno più in vacanza?L’incidenza degli italiani che vanno in vacanza in Italia è superiore rispetto agli anni precedenti, quindi è in continua cre-scita. Ciò soprattutto come conseguenza dei movimenti del Nord Africa per cui chi

Centurion Palace - Venezia

Intervista al Cavaliere del Lavoro

Presidente di Sina Fine Italian Hotels e di Federalberghi Nazionale

Bernabò Bocca

Testo di Teresa Carrubba

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era solito andare in Egitto, in Tunisia o in Marocco, è rimasto in Italia. Questo è il dato positivo; invece scende il nu-mero assoluto delle giornate di vacan-za degli italiani. In definitiva continua-no ad andare in vacanza ma accorciano il periodo e trovano soluzioni meno dispendiose, come agriturismi, casa di amici o parenti, meno ristoranti. E’ possibile azzardare una previsione per il futuro?Io non sono pessimista. Secondo me il 2012 sarà la cartina di tornasole del 2011 considerando però che i primi mesi sono complicati perché non c’è ancora il turismo straniero e per quanto riguarda gli italiani ci si limita alla settimana bianca o ai congressi. Quando comincerà la stagione turi-stica, da aprile in poi, se la situazione sarà ancora come oggi, soprattutto nelle città d’arte, non vedo motivi di preoccupazione.La tassa di soggiorno, invece, crea qualche perplessitàIn Italia è stata introdotta una tassa di soggiorno con un importo che non

ha pari nel mondo. Una coppia in un albergo a 5 stelle oggi paga 10 euro al giorno quando a Parigi ne paga 1,20 euro. Oltretutto, essendo la tassa variabile fino ad un certo tetto a discrezione dei singoli comuni, si crea inevitabilmente una disparità enorme da città a città. Senza contare che l’introito di questa tassa, che dovrebbe essere utilizzato per rendere le nostre destinazioni maggiormente appetibili dal punto di vista turistico, vicever-sa nella maggioranza dei casi viene utilizzato per diminuire il deficit del bilancio comunale. Cosa potrebbe fare il Governo per aiutare il turismo, visto che è una delle nostre maggiori risorse?Innanzitutto mettere in moto una forte azione di promozione della desti-nazione Italia diretta a quei mercati che hanno un grosso potenziale e un ritorno immediato. Per esempio finanziando maggiormente L’Enit che attualmente ha pochissime risorse per la promozione. Inoltre, ogni intervento volto alla flessibilità del mercato del lavoro per noi è importante. Noi siamo un settore che non può delocalizza-re o meccanizzare, quindi la rigidità del mercato del lavoro ci penalizza fortemente. Mediamente gli alberghi italiani vengono considerati costosi. E’ vero?Non è esattamente così perché ogni volta che viene pubblicata una classi-fica di organismi internazionali, nelle prime dieci città più care del mondo, non compare mai una città italiana. Al-tro discorso è il rapporto prezzo/qua-lità. Non ci si riferisce solo alla qualità dell’albergo ma anche al servizio. Su questo punto possiamo migliorare.•

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Gli alberghi del gruppo presieduto da Bernabò Bocca, SINA Fine Ita-lian Hotels, sono situati nelle più importanti città italiane e sono il Grand Hotel Villa Medici a Firenze, il Bernini Bristol a Roma, il Centu-rion Palace e Palazzo Sant’Ange-lo sul Canal Grande a Venezia, il Brufani Palace a Perugia, l’Hotel de La Ville e il The Gray a Milano, il Palace Maria Luigia a Parma, l’Hotel Astor a Viareggio e il Re-lais Villa Matilde nella campagna torinese.

Foto di Fabrizio Cestari/Primopianocinetv

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“Era la mia prima visita, e c’e-ra un magnetismo che non scorderò mai; come un amore a prima vista, quella casa mi attirava a sé”, racconta Enrico

Garzaroli “Era il 1973, e mi trovavo a Nassau per un viaggio di lavoro. Un pomeriggio sono stato invitato, insieme a un amico, a prendere il

tè da Lady Dudley nella sua storica casa nella capitale bahamaniana, costruita nel 1727 dal pirata Capi-tano Graysmith. “A un certo punto, gesticolando con le mani, perché allora non parlavo l’inglese, credevo di aver fatto capire che non ero in-tenzionato a comprare una casa alle Bahamas, ma qualche giorno più

tardi l’amico, che ovviamente aveva frainteso quei miei gesti, mi chiamò per dirmi che Lady Dudley era d’ac-cordo, e che quella casa era mia”. Il resto è storia. Una storia fatta di eccellenze, di determinazione e del-lo straordinario senso del business e del bello di Enrico Garzaroli e del-la moglie Anna Maria, che aveva-

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Un italianoa Nassau

Testo di Pamela McCourt Francescone Foto di Pamela McCourt Francescone e Archivo Graycliff

Pré Saint Didier le terme immerse nel ghiaccio

Graycliff Hotel a Nassau alle Bahamas e il suo fondatore Enrico Garzaroli: un mitico albergo creato da un mito dell’hôtellerie

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Un italiano a Nassau

no alle spalle studi a Lausanne ed esperienze professionali nell’hôtel-lerie in Italia, e hanno deciso di fare i bagagli e lasciare il Bel Paese per la ridente isola caraibica. Garzaroli si è trovato non solo con una grande casa ma anche con uno staff di 17 persone. “Capii subito che dovevo fare di Graycliff qualcosa di più di un buon albergo, ma all’inizio non è stato facile, c’erano altri alberghi e altri ristoranti di livello a Nassau”. Oggi basta salire le antiche scale che portano alla hall per capire che il Cavaliere Garzaroli, quel suo sogno

di eccellenza l’ha realizzato in pieno. Graycliff non è solo l’hotel simbolo, la grande dame delle Bahamas, è una storica dimora di squisita ele-ganza dove la ricercatezza degli ar-redi e l’arredamento d’epoca, la cura nei dettagli, la raffinatezza del servi-zio e il sorriso del personale creano un ambience di grande pregio. Ma Garzaroli non ha creato solo un ho-tel gioiello, perché Graycliff è stato anche il primo ristorante a 5 stelle ai Caraibi. Un tributo all’haute cuisine in una cornice caraibica, dove le tra-dizioni della migliore cucina france-

se e italiana si fondono alla perfezio-ne con sapori, gusti e brio locali. Con qualche inchino anche alla grande cucina italiana “Con la complicità del nostro chef quasi sempre i nostri piatti nascondono inconfondibili ac-centi italiani”, racconta Garzaroli nel suo forte accento comasco. Poi la cantina, dove una volta il Ca-pitano Graysmith nascondeva il suo tesoro, che l’augusto Wine Specta-tor americano giudica la terza colle-zione di grandi vini al mondo. Oltre 275.000 bottiglie, 3.000 vini diversi, e una lista dei vini che cambia ogni

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mese, la cantina offre eccellenze come l’iconico Chateau Lafitte 1965, il Screaming Eagle 2001, un Romanée-Conti del 1875, e la bottiglia più vecchia e cara al mondo un Rudesheimer Apostelwein del 1727 che costa $200.000. “La nostra cantina è senz’altro tra le più pregiate al mon-do”, confida Garzaroli, aggiungendo con un sorriso, “ma nessuno può uguagliare la mia Coqnacotheque dove tengo tutti i migliori cognac, armagnac, porti e whisky, con al posto d’onore, un Cognac Clos du Coffret del 1788”. Venti le camere nell’antica magione in stile colo-niale celata dietro un alto muro di pietra calcare su una tranquilla strada nel centro storico. Quelle deluxe ubica-te nell’edificio principale, e le altre nei cottage, tutte cli-matizzate e la maggior parte con bagni dotati di vasche Jacuzzi. Ogni camera è unica, tutte arredate con pezzi di antiquariato e il loro nome richiama un elemento di-stintivo o un ospite illustre che vi ha soggiornato. Quella più curiosa è senz’altro la Windsor, dove il Duca di Win-dsor, allora Governatore delle Bahamas, e che più tardi avrebbe rinunciato al trono d’Inghilterra, dimorò per 325 giorni. Due le piscine nei giardini tropicali, quella prin-cipale con mosaici mozzafiato in colori che richiamano le sfumature del mare che lambisce le 700 isole delle Bahamas. Non lontano dalle piscine si trova il secondo ristorante di Graycliff, l’Humidor Churrascaria dove viene servita la tipica cucina brasiliana con specialità di carne. Instancabile Garzaroli che negli ultimi anni ha guidato il suo concetto del lusso verso nuove vette, coadiuvato dai figli Paolo e Roberta, la nuova generazione Garzaroli. Come poteva un uomo raffinato, grande connoisseur e

bon vivant non sognare “accessori” di lusso con il suo famoso marchio? Ed ecco i sigari, il caffè, il cioccolato e il comfort degli ospiti anche quando hanno lasciato l’albergo. Tutti griffati Graycliff. Ha iniziato nel 1997 con il Graycliff Cigar, sigari cubani prodotti in casa, in una grande sala che dà sui giardini, dove esperte torcedo-ras cubane, sedute davanti a bassi tavoli, arrotolano le foglie di tabacco e dove gli ospiti possono fare corsi di arrotolamento sigari. Il caffè Graycliff proviene dalle alte montagne del Guatemala per essere tostato nelle cucine di Nassau, e il cioccolato, insieme ad altri prodotti come orologi con lo stemma Graycliff, sarà presto messo in vendita in piccole boutique lungo la West Hill Street e altre strade intorno al nucleo ricettivo dove la famiglia Garzaroli sta creando il Graycliff Heritage Village. Men-tre per il comfort degli ospiti all’aeroporto di Nassau, e in altri scali nelle Americhe, ci sono le Graycliff Lounge, sale VIP che riflettono lo stile e l’atmosfera della grande casa bahamiana. Un’idea, quella di Garzaroli diventata una passione, per tutto ciò che di meglio la cultura ba-hamaiana può offrire, condito con un estro tutto italiano e rigorosamente ai massimi livelli di eccellenza che sono gli unici ammessi a Graycliff. Chiediamo a Garzaroli qua-le à la sua più grande soddisfazione. “Puoi avere anche 64 stelle” dice, e i suoi occhi brillano proprio come stel-le, “ma la soddisfazione più grande è sapere che noi a Graycliff siamo the best”!•

www.graycliff.com

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La Tenuta San Giovanni, ele-gante ed accogliente Azienda Agrituristica e vitivinicola,

sorge sulle colline che guardano il fiume Platani, tra i territori di Sant’Angelo Muxaro e San Biagio Platani. La magia della Valle del Platani, teatro dell’antico popolo dei Sicani e del suo mitico re Kokalos, ci introduce in una Sicilia incontami-nata, lontana dal turismo di massa, capace di svelare al visitatore il suo cuore antico di millenni. L’Azienda propone ai propri ospiti escursioni,

degustazioni dei prodotti tipici locali e aziendali, animazione a bordo piscina, passeggiate a cavallo.Come arrivare: percorrendo da Agrigento la SS118 in direzione Raffadali, proseguire sulla SP17 per Santa Elisabetta Sant’Angelo Muxaro. La Tenuta San Giovanni, è ubicata in C.da San Giovanni nel Comune di San Biagio Platani, contatto telefonico 3356610765, sito www.tenutasangiovanni.it, dove si può visionare dettagliatamente tutta la struttura.

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Mari esotici con The Straits To Luxury Experience di YTL Hotels

Testo di/Tex byJosée Gontier

Representing the finest in luxury hospitality, the YTL Hotels’ collection of-fers experiences that are unique yet consistent in

quality, luxury, authenticity and service. Discover the The Straits to Luxury Experience, the latest five-day, four-night programme in this prestigious collection, available from November to March only. Set sail onboard a Princess yacht on a voyage of boutique-luxury from the private island of Pangkor Laut, on the Straits of Malacca, to the diver-se attractions of Phuket, set in the Andaman Sea. On this one-of-a-kind journey for discerning guests luxuriate in overnight excursions, exotic cuisine and award-winning resorts nestled amidst locations of outstanding natural beauty. At the

Esperienze uniche, lussuose, autentiche dove la qualità e il servizio superano ogni aspet-tativa. The Straits to Luxury Experience è una proposta

YTL Hotels’ Collection. Una crociera di cinque giorni e quattro notti, nel pe-riodo che va da novembre a marzo, a bordo di una yacht Princess, partendo dall’isola privata di Pangkor Laut nello Stretto di Malacca, alla scoperta delle innumerevoli attrazioni di un’altra iso-la da sogno Phuket, nel limpido mare delle Andamane. Per gli ospiti la pos-sibilità di soggiornare per una notte a The Estates a Pangkor Laut, in ville progettate per catturare lo spirito in-timo e affascinante dell’oriente. Nella privacy più assoluta ogni Estate è ser-vita da un maggiordomo personale e da uno chef che prepara i pasti te-

THE STRAITS TO LUXURY EXPERIENCE BY YTL HOTELS

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The Straits To Luxury Experience di YTL HotelsMari esotici con

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Mari esotici con The Straits To Luxury Experience di YTL Hotels

nendo conto dei gusti e delle eventuali necessità dietetiche degli ospiti. Si può scegliere di trascorre giornate in sim-biosi con la natura nella foresta pluvia-le o semplicemente rilassandosi nelle acque color smeraldo e sulla spiaggia privata incontaminata, e la sera tornare al YTL Lady II e salpare per Langkawi. A bordo gli ospiti possono godere di un ambiente confortevole ed elegante o prendere il sole sul ponte. Questo lus-suoso yacht, lungo 85 piedi, può ospi-tare fino a sei persone in due cabine matrimoniali con bagni ensuite, e due cabine twin con bagni ensuire. Un equi-paggio professionale e uno chef perso-nale sono a disposizione per soddisfare ogni esigenza durante il viaggio. La mi-stica isola di Langkawi offre agli ospiti la possibilità di esplorare mangrovie, una caverna di pipistrelli, villaggi di pe-scatori, e formazioni rocciose calcaree insieme a molte altre attività, e poi se-dersi per gustare un pranzo a base di pesce. Si può scegliere di fare una gita in bicicletta intorno ai villaggi, o scopri-re le leggende e le attrazioni girando l’isola prima di partire in serata per Ko Rok Nok. La mattina seguente si giunge alla bella spiaggia di sabbia bianca e ai

world-renowned island of Pangkor Laut guests will enjoy a one-night stay at The Estates at Pangkor Laut, individually crafted enclaves offe-ring absolute and total privacy, each serviced by a personal butler and a chef who caters for individual tastes and dietary requirements. They can choose to spend the day in the two-million-year-old rainforest or sim-ply relax by the emerald waters on the private beach the next day and in the evening return to the 85-foot YTL Lady II to head for Langkawi. On board the YTL Lady II guests can enjoy the comfortable and stylish interior, or bask in the sun on the spacious flybridge and secluded fo-redeck. The luxurious yacht accom-modates up to six people with two double ensuite rooms and two twin ensuite rooms, while a professional crew and a personal chef cater to the whim of each and every guest throughout the journey. The mysti-cal island of Langkawi affords the opportunity to explore exotic man-groves, a bat cave, local fishing villages and limestone rock forma-tions, take a leisurely cycling tour

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colorati giardini di corallo di Ko Rok Nok, un’isola disabi-tata al largo della costa occidentale della Thailandia. Dopo aver trascorso una giornata nuotando, facendo snorkeling o rilassandosi sulla spiaggia, lo chef propone un gustoso picnic sulla spiaggia. In serata, gli ospiti possono ammi-rare il tramonto mentre viene servito una romantica cena barbecue sulla spiaggia con l’offerta di pesce fresco e carni prelibate. La mattina dopo agli ospiti aspetta Ko Kai un’isola spettacolare dove ripide scogliere formano una estremità, mentre sull’altro versante ci sono belle spiag-ge. Si può dedicare la mattinata allo snorkeling e, dopo pranzo gli ospiti visteranno le sei isole di Ko Phi Phi, rese famose dal film The Beach con Leonardo Di Caprio, un vero paradiso con lunghe spiagge di sabbia bianca, rocce calcaree e giungla verdeggiante. La mattina seguente gli ospiti arriveranno al Po Ao Grand Marina, dove possono scegliere di concludere questa magnifica crociera con un soggiorno nella a The Surin, l’intimo Villa Tassana, o in un altro resort della zona.•

around villages or discover legends and attractions on an island tour before departing for Ko Rok Nok in the evening. The following morning holds nothing but promise with the beautiful white-sand beach and colourful coral gardens of Ko Rok Nok, an uninhabi-ted island off the west coast of Thailand, and a de-lightful picnic lunch on the beach, prepared by the chef. And in the evening enjoy a delectable offering of fresh seafood and mouthwatering meats. The YTL Lady II sails on to spectacular Ko Kai island with steep cliffs at end other end and beautiful beaches at the other ,where they can enjoy a morning of snorkelling, lunch, and then the six islands of Ko Phi Phi, made famous by The Beach featuring Leonardo DiCaprio. The following morning, guests will be transported to the Ao Po Grand Marina where they can choose to conclude this magnificent cruise with a stay in the exquisite accommodation of The Surin, the intimate Villa Tassana, or another resort of preferen.•

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Sensazioni Inebrianti

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Serenità. Sogno. Amore. Gioia. Sentimenti e sensazioni che si liberano dalle consuete trame per svelarsi sotto nuove fog-ge, più intensamente morbi-

de, avvolgenti, inebrianti. Questi i nomi accattivanti di alcune delle cure propo-ste nella spa del One&Only Ocean Club Bahamas. Qui antiche filosofie olistiche si fondono con l’ospitalità tipicamente bahamaiana in una cornice splendida dove i colori profondi dell’oceano con-trastano con il candore della villa neo-

classica e il verde smeraldo del prato all’inglese. E viene spontanea la domanda, come resistere alla tentazione di ingannare le ore in questo buen retiro del benes-sere, coccolati da mani esperte nelle otto villette private della spa in stile Ba-linese, celate dietro un cortile dove la vegetazione frondosa e il dolce suono dell’acqua inducono all’ozio più com-pleto? Facile la risposta. Non si resiste! E poi la scoperta di graziosi giardini dotati di Jacuzzi, fontane e daybed ma-

trimoniali, perché il wellness all’Ocean Club si coniuga soprattutto al plurale, con letti twin per i massaggi, e vasche idromassaggio per coppie. Forti le in-fluenze asiatiche nella spa -gestita da Mandara, un nome che è una garanzia di eccellenza- con richiami alle tradi-zioni che portano al benessere com-pleto dello spirito e del corpo. Prima di iniziare i trattamenti, agli ospiti viene offerto un pediluvio con fiori e profu-mati olii essenziali, un rituale balinese per lenire gli stress e le tensioni prima

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Testo di Pamela McCourt FrancesconeFoto di One&Only Resorts

Filosofie olistiche orientali e ospitalità caraibica si fondono con le tradizioni balinesi nella Spa Mandara al One&Only Ocean Club Bahamas

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di iniziare il viaggio verso il relax più to-tale. Le grandi tradizioni asiatiche sono un tema ricorrente, e si riflettono sia nei trattamenti che nei prodotti utiliz-zati, come nei materiali di costruzione: pregiato tek di Giava per i lettini, cusci-ni di pura seta thailandese, e bacinelle di noce di cocco contenente fiori e can-dele galleggianti. Costruito negli anni ’60 dall’eccentrico miliardario americano Huntington Har-tford come il suo rifugio nei Caraibi, l’albergo, che fa parte della collezione One&Only ed è uno dei Leading Hotels of the World, sorge davanti a una lun-ga spiaggia bianca su Paradise Island alle Bahamas. Alla villa, che nulla ha perso del suo rigore neoclassico, è sta-ta affiancata la nuova Hartford Wing che rievoca lo stesso stile dell’ edificio originale. Sono 105 tra camere e sui-te, tutte con vista oceano o spiaggia e solo tre le ville, due con tre camere da letto e una con quattro, interni di un impareggiabile lusso contemporaneo, con grandi piscine a sfioro e le cure di un maggiordomo e di una governante dedicati. Superlativa la cucina fantasio-sa di Jean-Georges Vangerichten, ce-lebrity chef newyorkese, nel ristorante Dune con vista sulla spiaggia, come il bar dove non sempre è facile trovare un posto per sedersi al tramonto. Ma poi, chi si siede fuori non solo può go-dersi la stessa splendida vista, ma an-che i profumi che dalla fitta vegetazio-ne tropicale vengono trasportati dalla dolce brezza marina. One&Only, unico davvero. pmf

oceanclub.oneandonlyresorts.com

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ORO nella Spa del Four Seasons Resort delle Seychelles

Kaleidoscope

La Spa del Four Seasons si trova sul punto più alto del Resort. Questa collocazione non signi-fica soltanto che vi si gode la migliore vista del-le bianche sabbie della spettacolare spiaggia di Petit Anse, ma dimostra anche l’importanza che

il Four Seasons Resort delle Seychelles assegna alla Spa e alla sua esperienza. Con uno stile più contemporaneo nel suo interior design, rispetto al mix di stili creolo e coloniale francese del resto del Resort, la Spa costitu-isce un rifugio per il relax e la meditazione sulla cima della collina. Composta da 5 padiglioni per trattamenti, una spettacolare zona reception e un padiglione per la ginnastica Yoga all’aperto, la Spa offre vista sull’oceano da tutti i suoi spazi. Storicamente rinomato per le sue proprietà benefiche sulla bellezza e la sua capacità di sfidare il naturale processo dell’ invecchiamento, l’oro è sempre stato un ingrediente molto ricercato nei tratta-menti di bellezza. Quest’anno, gli ospiti del Four Seasons Resort Seychelles possono sperimentare il bagliore lu-minoso del nuovo trattamento del viso UMO 24 Karat Gold. Combinando una nuova tecnologia brevettata con ingredienti che favoriscono la stabilizzazione della pelle, il trattamento per il viso UMO 24 Karat Gold sfrutta le proprietà naturali di ringiovanimento dell’oro e forni-

sce idratazione e pulizia per gli strati più profondi della pelle, fornendo inoltre una ricca fonte di vitamine alle cellule rivitalizzando l’aspetto della pelle. Derivato da un’antica ricetta salutare giapponese a base di semi di soia, l’ingrediente Gamma PGA, utilizzato nel trattamen-to facciale UMO, è dieci volte più idratante degli acidi naturali propri della pelle, garantendo un’elasticità assai maggiore di un collagene. Il PGA Gamma assorbe l’oro e quando questa miscela viene applicata sul viso utiliz-zando la tecnica ad ultrasuoni UMO – con una nebuliz-zazione parecchie volte più piccola di goccioline d’acqua – essa è in grado di passare attraverso la superficie della pelle per ripristinarne negli strati profondi le caratteristi-che di elasticità e tonicità tipiche della gioventù. Questo nuovo trattamento del Four Seasons Spa utilizza ingre-dienti completamente naturali, generando una pelle lu-minosa subito dopo il trattamento.Ma come per ogni esperienza, non c’è niente di meglio che scoprire personalmente gli effetti di questa tecnica abbinandola ad un soggiorno in pieno relax in un ango-lo di paradiso. jg.•

www.fourseasons.com/seychelles

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GanggaIsland

Resort

Kaleidoscope

L’isola di Gangga porta il nome di un principe che, nella notte dei tempi, scel-se questo luogo per il suo regno. Un’isola esotica nel

Mare delle Celebes, poco lontano dalla costa del Nord Sulawesi a ca-vallo dell’Equatore. Un mare famoso per avere la più ricca varietà di flo-ra e fauna marina sul pianeta. Sui fondali incontaminati, che superano ogni immaginazione, ci sono colora-tissimi giardini di coralli brulicanti di pesci tropicali, barracuda, tartarughe e squali. Un vero paradiso per gli ap-passionati delle immersioni, ma an-che per chi ama la natura inconta-minata, spiagge bianche deserte e il trovarsi in dolce simbiosi con il cielo, il mare e il silenzio. Ad aspettarli, il

Gangga Island Resort, a 15 minu-ti di barca dalla città di Manado. Una perla al confine di due oceani, il Pacifico e l’Oceano Indiano, il re-sort si affaccia su una lunga spiag-gia bianca, protetto alle spalle da un’altura ricoperta di lussureggiante vegetazione tropicale, e circonda-to da giardini curati. Le 30 camere sono ubicate in 15 bungalow, alcune all’ombra delle palme che orlano la spiaggia, altre nei giardini e intorno alla grade piscina ad acqua salata. Ognuna ha un terrazzo privato con vista sul mare e sulle isole circostan-ti, un bagno spazioso con doccia e acqua calda, aria condizionata e ventilatori, TV satellitare, mini bar e un kit per preparare il caffè e il tè in camera. Nella spa i trattamenti sono

ispirati a quelle delle antiche fami-glie Minahasa con prodotti basati su estratti naturali che infondono il be-nessere fisico e spirituale e alleviano la stanchezza muscolare. Si parte per escursioni sulla terraferma verso villaggi di pescatori, e per mare per fare snorkeling e immersioni vicino a Gangga e nel Parco Nazionale Mari-no di Bunaken, dove si trovano molti dei fondali più strepitosi. Sorridente e cordiale il personale, e di ottimo livello la cucina con specialità di pe-sce, insalate, frutta e verdure e, visto che il proprietario è italiano, ottimi piatti di pasta! pmf

www.ganggaisland.com 88

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LANZAROTEL’isola di Cesar Manrique e Saramago

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È merito di un esploratore italiano, all’alba del 1300, la scoperta di Lanzarote, splendida isola delle Cana-rie caratterizzata da un clima sempre mite, vento e sabbia nera vulcanica. Il ligure Lanzerotto Malocello, imbarcatosi sulla rotta per le Indie, sbarcò invece a

Lanzarote e se ne innamorò, tanto da dargli il nome e fer-marcisi per venti anni. Tentazione comprensibilissima anche oggi, approfittando dell’impeccabile ospitalità dell’Hotel He-speria Lanzarote, ottima location per esplorare e conoscere l’isola ricchissima di arte e letteratura.Qui, infatti, è nato, ha vissuto ed ha lavorato quello che forse è il suo figlio più illustre: l’artista e architetto Cesar Manrique (1919-1992), che con la sua opera ha contribuito a dare all’i-sola l’aspetto attuale, creando siti artistici nel pieno rispetto del territorio. Fra le varie opere, sono sorprendenti la sua casa scavata nella roccia vulcanica e il Jameos del Agua, un giardino progettato all’interno di una serie di grotte sotter-ranee. Merita una visita anche la Fondazione Manrique, posi-zionata fra le colate laviche, uno splendido connubio fra na-tura e arte, dove sono esposte sculture in ferro battezzate col nome di Wind Toys, grandi “giocattoli” che ruotano, girano, oscillano spinti dal vento.E a Lanzarote visse un altro illustre rappresentante della cultura contemporanea: il premio No-bel José Saramago che si stabilì in volontario esilio sull’isola dal 1992 fino alla sua morte, avvenuta nel 2010. Nella sua casa scrisse i “Quaderni di Lanzarote”, cinque quaderni fitti, oltre mille pagine di vita vissuta. Il 5 stelle Hotel Hesperia Lanzarote è situato nella splendida zona di Puerto Calero, che vanta alcuni tra i migliori negozi e ristoranti di Lanza-rote. Dall’Hotel, che dispone di quattro piscine, si accede direttamente ad una spiaggia di sabbia vulcanica dotata di un’area terrazzata e di un bar, ideali per godersi il tramonto

sorseggiando un drink. Di notte la stessa terrazza ospita un fantastico Chill Out Bar: il Lanz Beach Club. L’ampia scelta di ristoranti dell’Hesperia Lanzarote permette di cambiare loca-le tutti i giorni della settimana con possibilità di mangiare al coperto o all’aperto senza muoversi dall’albergo. C’è il “Bota-vara”, un ristorante a buffet con piatti cucinati sul momento e un diverso menu per ogni giorno della settimana; c’è la trattoria italiana “El Risco”, il bar della piscina, quello della spiaggia, quello della terrazza e un piano bar che servono tutti un’infinita varietà di cibi leggeri. Naturalmente il servi-zio in camera è disponibile 24 ore al giorno. L’Hesperia Lanzarote offre anche di una Spa che gode di luce naturale ed è dotata di piscina interna e di Sport Club con solarium, due vasche idromassaggio, sauna, bagno turco. La Spa offre un’ampia scelta di massaggi eseguiti con tecniche manuali benefiche, oltre ad una vasta gamma di trattamen-ti: ciotole tibetane, cristalloterapia e pietre calde laviche che sapranno infondere nuova energia. mtHesperia Lanzarote fa parte di NH Resorts (www.nh-resorts.com) la divisione di NH Hotels a vocazione vacanziera. NH è il terzo gruppo europeo di operatori alberghieri con 394 hotel e 58.844 camere in 22 paesi tra Europa, America e Afri-ca. Attualmente la società sta costruendo 54 nuovi hotel che forniranno complessivamente più di 8.000 camere.•

HOTEL HESPERIA LANZAROTE - 5 STELLEUrb. Cortijo Viejo (Puerto Calero) Lanzarote (Canarie) SpagnaTel. +34 828080800 | Fax: +34 828080810 Email: hotel@hesperia-lanzarote.comwww.hesperia-lanzarote.comwww.nh-hotels.it

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L’isola di Cesar Manrique e Saramago

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Il Baan Taling Naamnell'isola di Koh Samui

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Il nome dice tutto: Baan Taling Naam, la casa sulla bel-la scogliera. E se non bastasse, il nuovo resort dell’In-terContinental Hotels Groups, inaugurato il 1°febbra-io di quest’anno, è dotato di ben sette piscine – delle quali due a sfioro - e una splendida spa che, come un

nido d’aquila, sovrasta a 120 metri di altezza i nove ettari di giardini tropicali del resort che si inerpica su un rilievo verdeggiante affacciato sul Mare delle Andamane sulla co-sta occidentale dell’isola di Koh Samui. Se aggiungiamo che l’Intercontinental Samui Baan Taling Ngam Resort dispone di 49 lussuose camere e 30 ville – di cui 12 affacciate sulla lunga spiaggia bianca - e di quattro punti di ristoro tra ri-storanti e bar, c’è da sottoscrivere lo slogan “alcune leggen-de non fanno altro che migliorare”, che riflette la filosofia del grande gruppo alberghiero mirata al raggiungimento di vette di eccellenza sempre più sofisticate. Splendida la vista sulle Cinque Isole e sul parco Ang Thon dalla terrazza dell’Air Bar che si protrae verso il mare, e dalla quale si possono am-mirare tramonti emozionanti. Il Baan Taling Ngam è l’unica struttura ricettiva a Koh Samui che offre trasferte gratuite dirette tra l’aeroporto internazionale e il molo privato del resort. Per i più piccoli c’è il Planet Trekker Kid’s Club, e tra i passatempi sportivi, oltre alle tante attività aquatiche, tennis, mountain bike e yoga. La Baan Thai Spa, che si estende su 600 metri quadrati, è un santuario di tranquillità e benessere dove farsi coccolare con massaggi e trattamenti tradizionali thailandesi e Ayurvedici, e ha l’esclusiva per Koh Samui per la linea Sun Spa Esthederm, prodotta dalla nota casa pari-gina omonima. Due i ristoranti che propongono una gam-ma fenomenale di specialità culinarie internazionali e locali. Flames, ubicato nei pressi della spiaggia con un ricchissimo menu di leccornie europee rivisitate in stile contemporaneo. E Amber, dove chef prodigiosi deliziano la clientela con il meglio della gastronomia thailandese e specialità prove-nienti da altre regioni asiatiche. pmf

L’InterContinental Samui Baan Taling Ngam Resort si trova a 45 minuti dall’aeroporto internazionale di Koh Samui. Con un volo di 50 minuti si raggiunge ‘l’isola di Koh Samui da Bangkok con voli Thai Airways in coincidenza con le fre-quenze che il vettore di bandiera thailandese opera da Roma e MIlano su Bangkok.

www.intercontinental.com/samui www.thaiairways.co.it

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Diciamolo subito: l’autore, Alessan-dro Montedoro, è uno chef che odia le medicine e che lavora in un ristorante stellato di Pechino, convinto che il buon cibo e le erbe possano garantirci la sa-lute. Il principio é chiaro: qualsiasi cosa che introduciamo nel nostro organismo produce una reazione. E allora perché, in caso di bisogno, anziché assumere un farmaco con principi attivi - che comun-que in origine sono derivati da piante medicinali - non creiamo da noi la nostra “medicina” per curarci e insieme appa-gare i nostri sensi? In pratica, portare la medicina a tavola è la mission di questo executive chef che con passione gastro-nomico-salutista cura i clienti deliziando i loro palati. Nello scrivere questo libro ha certamente pensato a chi non crede affatto alle sue teorie perché ci tiene a precisare che all’inizio era così anche per lui. “Dopo un anno di lavoro in Cina

-spiega- ero stufo di sentire amici e col-leghi che avevano sempre un rimedio naturale per tutto, una tisana o un’erba, ma poi dopo mesi di ricerca e consulen-ze mediche sono riuscito a creare com-binazioni alimentari in grado di curare piccoli e grandi disagi”. Se le proprietà curative degli alimenti sono davvero tante, basta combinarli nel giusto equili-brio, caso per caso. Guerra alla chimica, dunque, e al bando i manipolatori della “fabbrica dei sapori” che con carbonio, zolfo, idrogeno, strani aromi naturali o artificiali governano il nostro gusto. Alle vitamine Montedoro dà un ruolo fonda-mentale: non a caso il termine deriva da “vita” e “anima”. L’autore le elenca tutte con i dosaggi corretti, ammonendo sui rischi degli eccessi. C’è tutto su verdura e frutta -anche quelle di terre lontane, regalo della globalizzazione, con note anche inedite e sorprendenti sul loro

consumo. Sapevate che gli anacardi aiutano l’assorbimento del colesterolo e che la banana è una mano santa per gli ipertesi? La guava ha un contenuto di vitamina C superiore 8 volte all’a-rancia, ananas, lamponi e i mirtilli sono potenti antinfiammatori, la papaya è un miracoloso aiuto all’apparato digerente e il ribes è un cortisonico naturale. In più questi frutti -e non è poco -hanno la caratteristica comune di essere buoni. Anche di verdure, cereali, legumi, alghe, funghi e spezie questo testo riferisce ca-lorie e proprietà benefiche. Non manca-no i condimenti: il nostro olio extravergi-ne è al top, ma perché trascurare quelli di noce, di lino, di jojoba, di cartamo, di riso, di vinaccioli, di argan o di macada-mia? A carni e pesci sono dedicati due interessanti capitoli. L’approccio è rigo-roso e scientifico, i dati scrupolosamente indicati. Il pesce, lo sapevamo, fa bene, ma l’autore raccomanda di cuocerlo poco e se congelato, ci dice il trucco per non disperderne le proprietà. Il meno calorico? Il polpo (57 cal. per 100 gr.) e il più grasso l’anguilla, a quota 300. Tutto può essere cibo salutare: la foca e la ba-lena sono ricche di Omega 3 e la stella marina cura la depressione. C’è tutto sul thè e sulle tisane di erbe e di fiori con tutte le proprietà, depurative, diuretiche, digestive o lassative. Non ne manca nes-suna, in circa 40 pagine, e non vengono trascurati neppure sali, aceti, zuccheri, alcolici. Ma non aspettiamoci miraco-li. Lo dice saggiamente anche l’autore: “Nei casi in cui è inevitabile l’aiuto di un medico e l’assunzione di medicine, mol-te delle mie ricette possono essere pre-parate e usate in combinazione con una cura farmaceutica”. •

LA CUCINA CURATIVAdi Alessandro Montedoro

358 pagine 17,00 euro

Phasar Edizioni

Testo di Mariella Morosi

da leggere

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La bella “Guida” nasce da una stimolante iniziativa dell’autore, Claudio Bacilie-ri, che ha voluto percorrere il Mediterraneo, con il suo

taccuino d’appunti, come facevano i Grantouristi, dedicando una intera estate (53 giorni), alla scoperta dei Borghi più belli del Mediterraneo, spesso dimenticati dal turismo con-sueto. Lo ha accompagnato la figlia Ginevra (laureanda in Ingegneria Edile-Architettura), che ha scattato quasi tutte le fotografie.Cinquantatre i borghi selezionati,

dalla Croazia alla Liguria, alla Fran-cia del sud e poi dalla Spagna nuo-vamente in Italia, risalendo l’Adriati-co fino alla Romagna, con l’intento di fare uscire dall’ombra quei piccoli borghi che, pur lontani dalle mete turistiche tradizionali, meritano in-vece uno sguardo attento da parte del viaggiatore che desideri accre-scere la propria conoscenza del pa-esaggio Mediterraneo.Perché ognuno di quei borghi si manifesterà subito come culla di un insieme di ricordi e scrigno prezioso di una memoria storica che é giu-

sto salvaguardare e che per lo più é affidata alle semplici, appassionate parole degli abitanti, spesso in età avanzata. E’ interessante ricordare il forte ap-porto dato all’iniziativa editoriale dalla Fondazione Roma-Mediterra-neo, nata per impulso del Presiden-te Emanuele nel 2008 e attiva nelle aree dello Sviluppo Economico e Sociale della Formazione, dell’Arte e del dialogo interculturale tra i Pa-esi del Mediterraneo con lo scopo di riscoprire i valori condivisi per la “formazione di un’unica identità mediterranea”.Oltre ai 53 borghi selezionati (9 in Croazia, 17 in Francia, 6 in Spagna e 21 in Italia), per un maggiore approfondimento e conoscenza capillare anche dei dintorni, sono anche segnalati particolari itinerari, in Calabria, in Spagna, in Francia e in Istria.Di agile lettura, il bel volumetto sarà destinato a divenire un pre-zioso compagno di viaggio, per i grandtouristi del terzo millennio.•

I Borghi più belli del Mediterraneodi Claudio Bacilieri

Ed. SER Società Editrice Romana

Testo di Luisa Chiumenti

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I LUOGHI DELLA MIA ANIMA

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“I luoghi della mia anima”, il primo libro di Angelo D’Amelio, pubblicato da Albatros, ci ricorda che anche in un mondo come il nostro, dominato dal caos e dai ritmi frenetici di una società che ha fretta di autoinfliggersi colpi mortali contrab-bandandoli per conquiste della modernità, sarebbe opportu-no, ogni tanto, riscoprire il gusto per le piccole cose, a partire dalle vicende di popoli e genti che hanno impresse nella pelle le rughe della storia. Il libro ha i tratti della cronaca di un viag-gio nel tempo attraverso i territori sconfinati del sud del mon-do, che per l’autore si identificano con la Puglia, terra di fuoco e di meraviglia. che la violenta corsa verso un modernismo artificiale e ideologico rischia di far scomparire per sempre. E così in 130 pagine sono raccolti i ricordi di questo viaggio attraverso cui i lettori possono ricostruire luoghi e sensazioni apparentemente lontani da noi ma che assomigliano in modo straordinario agli altri luoghi del mondo, tutti accomunati da una sorta di destino ineluttabile, ma permeati sottilmente da una leggerezza e da ritmi senza tempo che ne accrescono il fascino. Lungo questo itinerario, lo scrittore pugliese riempie le pagine del proprio resoconto con ricordi che non sono altro che possibilità per fissare nella mente e nel cuore l’essenza dei luoghi visitati e vissuti, esempi di pura poesia, necessari per evadere dalla realtà grigia della contemporaneità, senza per questo fingere che non esista: ”Quando leggiamo e scriviamo- afferma- mettiamo in atto una fuga, la più pura e legittima delle evasioni, e ne usciamo più forti, rinnovati, forse migliori”. Non è una fuga fuori dal mondo, ma verso la sua parte più intima, alla scoperta dell’anima delle cose e degli esseri umani. L’anima è quel “locus sacer”, ove serbiamo quanto di più pre-zioso arricchisce la nostra identità.

biografiaAngelo D’Amelio nasce in una famiglia medio-borghese del sud in cui emerge la figura straordinaria della madre,“donna di fer-ro foderata di sorriso”, da cui riceve una educazione di stretta osservanza cattolica che lo sostiene nelle tormentate vicende familiari in seguito alla prematura separazione dei suoi genitori. Compie studi classici e sulla sua formazione influisce profonda-mente Lucio Anneo Seneca e Giacomo Leopardi che non solo stimolano in lui la vocazione alla letteratura ma gli trasmettono anche l’interesse per il problema del rapporto tra fede religiosa e progresso scientifico, tema che diventerà centrale nella ideolo-gia del futuro scrittore.Sugli interessi letterari nonché sulla intima sensibilità, influiran-no anche gli scrittori e i poeti del secondo romanticismo, assie-

me ad alcuni fra i più noti scrittori stranieri, tra i quali Victor Hugo. Dopo un lungo periodo di giovinezza trascorso a Bari, dove consegue la laurea in Legge, pratica la professione di avvo-cato. Successivamente si trasferisce a Roma dove si specializza presso la Luiss Business School in materie giuridico-istituzionali diventando un esperto in public affairs e drafting legislativo. Ma nel frattempo la propria vocazione letteraria trova una decisi-va maturazione che lo induce a dedicarsi quasi completamente all’attività di scrittore.

da leggere

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Direttore ResponsabileTeresa Carrubba

[email protected]

Progetto Grafico, impaginazionee creazione logo Emotions

Ilenia [email protected]

CollaboratoriAnna Rita Arborio, Anna Maria Arnesano,

Giulio Badini, Romeo BolognesiLuisa Chiumenti, Marco De Rossi, Giuseppe Garbarino

Josée Gontier, Pamela McCourt Francescone, Mariella Morosi

FotoGiulio Badini, Romeo Bolognesi,

Fabrizio Cestari/Primopianocinetv,Marco De Rossi, Raffaele Di Raimondo, Giuseppe Garbarino, Archivio Graycliff,

Matteo Littardi, Pamela McCourt Francescone, One&Only Resorts, Liana Sabella

Responsabile Marketing e ComunicazioneMirella Sborgia

[email protected]

CollaboratoreMarianne Dorsch

[email protected]

TraduzionePamela McCourt Francescone

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TipografiaSograf Srl - Litorama Group

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Pubblicazione mensile registrata presso il Tribunale di Roma il27.10.2011 - N° 310/2011

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Uovo bocciolo di rosa di Fabergé, 1895

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