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Università degli Studi di Bologna Facoltà di Medicina e Chirurgia Corso di Diploma per Infermiere Emodialisi: La sostituzione della funzionalità di un organo. Implicazione infermiereristiche per fronteggiare l'impotenza funzionale causata da insufficienza renale cronica Tesi di diploma in: Infermieristica clinica Relatore: Prof.ssa Adriana Pecci Presentata da: Francesca Stasi Sessione II - Anno Accademico 1999-2000 Ringraziamenti I miei ringraziamenti vanno a coloro che mi hanno fornito informazioni, testi e opuscoli circa l’argomento: dott. Stefano Bini; infermieri: Heikkinen Tuula, Morri Giovanni, Saccagno Roberto dell’Unità Operativa di Nefrologia e Dialisi Indice INTRODUZIONE INDICI STATISTICI Capitolo 1 - CENNI SU ANATOMIA, FISIOLOGIA E INSUFFICIENZA RENALE CRONICA 1.1.1 Anatomia macroscopica 1.1.2 Anatomia microscopica: il nefrone e il sistema tubulare 1.2.1 Generalità sulla fisiologia renale 1.2.2 Filtrazione, riassorbimento e secrezione 1.2.3 Regolazione del volume d’urina e sua composizione 1.2.4 Funzione endocrina 1.2.5 Equilibrio acido-base 1.3.1 Generalità sull’insufficienza renale cronica 1.3.2 Decorso clinico-metabolico nell’IRC 1.3.3 Alterazioni idrico-elettrolitiche e dei cataboliti azotati 1.3.4 Uremia e coinvolgimento sistemico Capitolo 2 - PERCORSO ASSISTENZIALE, DIAGNOSTICO, TERAPEUTICO IN PREPARAZIONE ALL’INGRESSO IN TERAPIA SOSTITUTIVA 2.1.1 Il ricovero in nefrologia 2.1.2 Pianificazione dell’assistenza infermieristica al paziente con insufficienza renale cronica 2.1.3 Cenni sul protocollo diagnostico-terapeutico dell’Unità Operativa di Nefrologia e Dialisi dell’Ospedale "Infermi" di Rimini 2.1.4 Cenni sulla metodologia dell’ambulatorio predialisi presso il Policlinico "S. Orsola" di Bologna 2.1.5 Cenni sul protocollo riguardo la scelta della metodica dialitica presso la Nefrologia e Dialisi del Policlinico "S. Orsola" di Bologna 2.2.1 Semeiotica nefrologica 2.2.2 Segni e sintomi clinici 2.2.3 Indagini diagnostiche 2.2.4 Assistenza infermieristica al paziente sottoposto a indagini, per valutare la funzionalità renale 2.3.1 Accessi vascolari in emodialisi 2.3.2 Educazione sanitaria da infermiere a paziente, da infermiere a infermiere 2.3.3 Puntura dello shunt 2.4.1 Alimentazione nel paziente dializzato 2.4.2 Fabbisogno idrico, energetico e proteico 2.4.3 Importanza dei vari alimenti nella dieta del paziente dializzato 2.5 Cenni sui provvedimenti terapeutici all’avvento dell’uremia 2.6.1 L’inizio della dialisi 2.6.2 Quale dialisi oggi? 2.6.3 Quando iniziare la dialisi

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Università degli Studi di Bologna Facoltà di Medicina e Chirurgia Corso di Diploma per Infermiere

Emodialisi: La sostituzione della funzionalità di un organo. Implicazione infermiereristiche per fronteggiare l'impotenza funzionale causata da insufficienza renale cronica

Tesi di diploma in: Infermieristica clinica Relatore: Prof.ssa Adriana Pecci

Presentata da: Francesca Stasi Sessione II - Anno Accademico 1999-2000

Ringraziamenti I miei ringraziamenti vanno a coloro che mi hanno fornito informazioni, testi e opuscoli circa l’argomento:

dott. Stefano Bini; infermieri: Heikkinen Tuula, Morri Giovanni, Saccagno Roberto

dell’Unità Operativa di Nefrologia e Dialisi

Indice

INTRODUZIONE INDICI STATISTICI Capitolo 1 - CENNI SU ANATOMIA, FISIOLOGIA E INSUFFICIENZA RENALE CRONICA 1.1.1 Anatomia macroscopica 1.1.2 Anatomia microscopica: il nefrone e il sistema tubulare 1.2.1 Generalità sulla fisiologia renale 1.2.2 Filtrazione, riassorbimento e secrezione 1.2.3 Regolazione del volume d’urina e sua composizione 1.2.4 Funzione endocrina 1.2.5 Equilibrio acido-base 1.3.1 Generalità sull’insufficienza renale cronica 1.3.2 Decorso clinico-metabolico nell’IRC 1.3.3 Alterazioni idrico-elettrolitiche e dei cataboliti azotati 1.3.4 Uremia e coinvolgimento sistemico

Capitolo 2 - PERCORSO ASSISTENZIALE, DIAGNOSTICO, TERAPEUTICO IN PREPARAZIONE ALL’INGRESSO IN TERAPIA SOSTITUTIVA 2.1.1 Il ricovero in nefrologia 2.1.2 Pianificazione dell’assistenza infermieristica al paziente con insufficienza renale cronica 2.1.3 Cenni sul protocollo diagnostico-terapeutico dell’Unità Operativa di Nefrologia e Dialisi dell’Ospedale "Infermi" di Rimini 2.1.4 Cenni sulla metodologia dell’ambulatorio predialisi presso il Policlinico "S. Orsola" di Bologna 2.1.5 Cenni sul protocollo riguardo la scelta della metodica dialitica presso la Nefrologia e Dialisi del Policlinico "S. Orsola" di Bologna 2.2.1 Semeiotica nefrologica 2.2.2 Segni e sintomi clinici 2.2.3 Indagini diagnostiche 2.2.4 Assistenza infermieristica al paziente sottoposto a indagini, per valutare la funzionalità renale 2.3.1 Accessi vascolari in emodialisi 2.3.2 Educazione sanitaria da infermiere a paziente, da infermiere a infermiere 2.3.3 Puntura dello shunt 2.4.1 Alimentazione nel paziente dializzato 2.4.2 Fabbisogno idrico, energetico e proteico 2.4.3 Importanza dei vari alimenti nella dieta del paziente dializzato 2.5 Cenni sui provvedimenti terapeutici all’avvento dell’uremia 2.6.1 L’inizio della dialisi 2.6.2 Quale dialisi oggi? 2.6.3 Quando iniziare la dialisi

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Capitolo 3 - EMODIALISI 3.1 Generalità 3.2 Costituenti del rene artificiale 3.3 Tecniche emodialitiche 3.4 Il monitoraggio della seduta dialitica dato dalla macchina emodializzante 3.5 Principali indicazioni sull’assistenza infermieristica pre-dialisi e intra-dialisi 3.6 Inizio della seduta dialitica 3.7 Assistenza al paziente durante il trattamento dialitico 3.8 Complicanze intradialitiche e risoluzioni prescritte 3.9 Conclusione della seduta dialitica 3.10 Gestione del paziente dializzato in altre unità operative 3.11 Aspetti psicosociali e qualità di vita del paziente sottoposto a dialisi periodica 3.12 Teoriche sull’assistenza infermieristica: Orem, Cantarelli

Capitolo 4 - CENNI SULLE ALTRE TERAPIE SOSTITUTIVE 4.1.1 Dialisi Peritoneale 4.1.2 Complicanze della Dialisi Peritoneale 4.1.3 Vantaggi e svantaggi della Dialisi Peritoneale rispetto all’Emodialisi 4.2.1 Il Trapianto Renale: aspetti legislativi, organizzativi e immunologici 4.2.2 La selezione del paziente: donatore e il ricevente 4.2.3Procedure per l’inserimento in lista d’attesa 4.2.4 Il futuro del trapianto d’organo CONCLUSIONI BIBLIOGRAFIA

Introduzione Ogni momento della vita dell’uomo è stato un’accanita lotta per la sopravvivenza, un tentativo di imporsi e di vivere, contro ogni manifestazione della natura che tende a dar vita, ma anche a selezionare, non per distruggere le proprie creature, ma nel tentativo di migliorarle?. (da ?Preistoria in Valle Camonica? di Ausilio Priuli) L’infermiere collabora con tutte le altre figure professionali, per il proseguimento dell’obiettivo “salute per il paziente”. Come citato, nel D.M 14.09.1994 n. 739, l’infermiere è responsabile dell’assistenza infermieristica globale, personalizzata che è di natura tecnica, relazionale, educativa, curativa, riabilitativa, palliativa. Inoltre assicura (in collaborazione con gli altri operatori), interventi di prevenzione, assistenza, educazione e informazione sanitaria al singolo paziente ed al suo nucleo familiare. L’infermiere organizza e gestisce l’accoglienza infermieristica personalizzata di tutti i nuovi pazienti, identifica i bisogni di salute della persona, pianifica, gestisce e valuta l’assistenza infermieristica rivolta all’utente garantendo la corretta applicazione delle prestazioni diagnostiche terapeutiche; contribuisce alla formazione del personale infermieristico; partecipa a programmi di ricerca intra e interdisciplinare; garantisce un permanente aggiornamento del personale infermieristico. Ho voluto, così delineare la figura dell’infermiere nell’ambito della propria autonomia, competenza e responsabilità riguardo la realtà da me osservata, e mi sembra importante sottolineare che la qualificazione degli infermieri nei reparti di Dialisi, si gioca meno sul terreno tecnico (e questo è un paradosso proprio in un reparto dove ci sono macchinari apparentemente complessi) e più sul terreno umano del rapporto col paziente. L’autonomia e la qualificazione dell’infermiere in Dialisi riesce a raggiungere livelli altissimi, poichè l’infermiere si trova di fronte una gamma di pazienti che segue giorno dopo giorno, imparando a conoscere ogni atteggiamento e cercando di educare il paziente e la famiglia sui migliori atteggiamenti e comportamenti da tenere. Quindi le qualità da possedere sono oltre alla professionalità, il saper ascoltare, il saper informare, la competenza e l’affidabilità poichè l’esigenza più sentita dai pazienti dializzati é di ottenere una maggior informazione su tutto ciò che li riguarda. Il motivo che mi ha spinto a scegliere l’emodialisi, come argomento della mia tesi, risale al periodo di tirocinio trascorso in Nefrologia, dove ho avuto modo di visitare il reparto di Dialisi. L’emodialisi, come trattamento dell’uremia

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terminale era da me già conosciuto, ma durante quella visita un’infermiere mi ha spiegato i meccanismi fisici e il rapporto con il paziente dializzato. Quello che più mi ha affascinato è il “rene artificiale”, il metodo di come un organo può essere sostituito e come la vita non si concluda a causa di una malattia renale, che altrimenti porterebbe all’exitus. E’ proprio il meccanismo depurativo rappresenta un bel traguardo per la medicina, ma oggi la terapia dialitica non è più vista come un mezzo di sopravvivenza ma piuttosto un bio-supporto (poichè la funzionalità renale non è solo depurativa) in grado di assicurare al paziente una soddisfacente qualità di vita. Per conoscere ancor meglio la realtà, come tirocinio preferenziale ho naturalmente scelto il reparto di Dialisi ed oltre alle capacità tecniche ho osservato, il rapporto infermiere-paziente. Considerando il tipo di paziente, l’infermiere è esposto a problemi sociali e psicologici “cronici”, propri come la malattia uremica, e da ciò l’importante ruolo dell’infermiere citato nel decreto ministeriale n. 739. Nella stesura della tesi ho voluto comprendere conoscienze teoriche, oltre che puramente tecniche, ponendo l’attenzione sul percorso diagnostico-terapeutico e intradialitico che il paziente uremico affronta.

Indici Statistici Prima di inziare ad esporre il contenuto della mia tesi, ho ritenuto importante illustrare gli indici statistici nazionali, aggiungendovi quelli della Regione Emilia-Romagna, riguardo la casistica dei pazienti dializzati e trapiantati, in quanto e da questi che si evidenzia l’aumento crescente dei pazienti in terapia sostitutiva, correlato anche all’aumento dell’età media di tali pazienti. Come noterete dalle date, quelli regionali vengono redatti biennalmente, mentre quelli nazionali sono redatti a cadenza annuale. Gli indici statistici nazionali sono stati tratti dal “registro italiano di Dialisi e Trapianti” redatto dalla Società Italiana Nefrologi. Al Dicembre 1998 vi erano:

• 39.044 pazienti registrati; • 31.321 pazienti in trattamento dialitico (sia emodialisi che dialisi peritoneale); • 7.317 pazienti con trapianto renale funzionante; • 5.983 nuovi pazienti nell’anno 1998.

Modalità di trattamento nei pazienti Totale dei pazienti in terapia sostitutiva divisa per età Gli indici statistici regionali sono stati tratti dal “Registro regionale emiliano-romagnolo dei pazienti uremici in trattamento sostitutivo” redatto dall’azienda ospedaliera “S. Orsola-Malpighi” di Bologna.Non vi sono grosse differenze in età media per quel che riguarda la popolazione in dialisi peritoneale ed extracorporea. Entrambe le popolazioni sono nell’età geriatrica con un minimo maggior indice di vecchiaia nella popolazione in peritoneale. Tra le due tecniche di sostituzione renale la extracorporea è quella utilizzata in percentuale maggiore (89,1%), mentre solo il 10,9% dei pazienti in trattamento cronico esegue la dialisi peritoneale. Anno 1997 Variazione dela popolazione in trattamento dialitico espressa in numero assoluto di pazienti in terapia sostitutiva e come prevalenza (numero di paziente per milioni di abitanti) nel quiquennio 1993-1997

- Anno 1992 Anno 1994 Anno 1995 Anno 1996 Anno 1997

Numero Pazienti 1870 1900 2081 2204 2215

Prevalenza 487 505 533 563 564

Anno 1997 Idoneità al trapianto nella popolazione dei pazienti in dialisi extracorporea ed in dialisi peritoneale

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Pazienti in terapia sostitutiva n. 2215 Percentuale di pazienti idonei al trapianto 19,5 % Iscritti in listatrapianto n. 394

La percentuale di pazienti idonei al trapianto è estremamente bassa in dialisi (ECC). La motivazione della non idoneità della maggior parte dei pazienti è da ascrivere all'alevato grado di comorbolità presente sia nella popolazione prevalente che nella popolazione incidente

Capitolo 1 - CENNI SU ANATOMIA, FISIOLOGIA E INSUFFICIENZA RENALE CRONICA 1.1.1 Anatomia macroscopica 1.1.2 Anatomia microscopica: il nefrone e il sistema tubulare 1.2.1 Generalità sulla fisiologia renale 1.2.2 Filtrazione, riassorbimento e secrezione 1.2.3 Regolazione del volume d’urina e sua composizione 1.2.4 Funzione endocrina 1.2.5 Equilibrio acido-base 1.3.1 Generalità sull’insufficienza renale cronica 1.3.2 Decorso clinico-metabolico nell’IRC 1.3.3 Alterazioni idrico-elettrolitiche e dei cataboliti azotati 1.3.4 Uremia e coinvolgimento sistemico (...continua)

Capitolo 1 - CENNI SU ANATOMIA, FISIOLOGIA E INSUFFICIENZA RENALE CRONICA

1.1.1 Anatomia macroscopica I reni hanno la forma di due fagioli con il lato esterno convesso e quello interno concavo, presenta una fessura allungata detta ilo che immette in una cavità detta seno renale, attraverso cui passano l’arteria, la vena renale, la pelvi, i linfatici e i nervi provenienti dal plesso renale. Il rene di un soggetto adulto é lungo 11 cm circa; 2,5 cm di spessore; 5 cm di larghezza e pesa in media 150 gr. Questi organi sono situati ai lati della colonna vertebrale,nella regione retroperitoneale però il rene destro spesso è 1-2 cm più in basso, presumibilmente perché lo spazio sovrastante e’ occupato dal fegato. Sono avvolti da un cuscinetto adiposo e più esternamente dalla fascia perirenale di Gerota, che separa il cuscinetto adiposo dal grasso retroperitoneale inoltre ha una vera capsula fibrosa aderente in corrispondenza dei vasi penetranti che racchiude il parenchima renale. Sulla parte supero-mediale di ciascun rene, entro uno strato di connettivo si trovano le ghiandole surrenali. La sezione coronale ha un colorito rosso-brunastro, si distinguono due strati separati dal decorso delle arterie arcuate:corticale e midollare. Nella corticale con spessore di mezzo centimetro circa vi sono fini striature parallele dette raggi midollari, dirette verso la base delle papille.La midollare e’ costituita dalle piramidi, il cui numero e’ variabile, in media dodici per rene; tra le piramidi si interpongono strati di sostanza corticale dette colonne interpiramidali di Bertin. I margini delle piramidi in corrispondenza delle colonne renali sono ben definiti, mentre le basi delle piramidi si infiltrano nella sostanza corticale tramite lunghi e delicati processi chiamati raggi midollari di Ferrin. Ogni raggio midollare rappresenta un lobulo e circa 20.000 di questi lobuli sono presenti in ogni rene. Le strie radiali, visibili in ogni piramide e specialmente ben marcate in vicinanza della papilla renale, rappresentano i condotti collettori.Questi si aprono, come condotti papillari di Bellini, attraverso 20 o più piccoli forellini sulla superficie della papilla renale tale da formare l’area cibrosa, attraverso questi forellini l’urina cola nei calici minori. I calici sono considerati l’inizio del "sistema idraulico" dell’apparato urinario, l’insieme delle vie per cui l’urina, che esce dalle papille renali viene trasportata all’esterno del corpo. I calici minori si uniscono insieme per formare i calici maggiori che a loro volta si uniscono in una piccola ampolla chiamata pelvi renale e questa si restringe, all’uscita dell’ilo, per continuarsi con l’uretere.

1.1.2 Anatomia microscopica: il nefrone e il sistema tubulare L’unita’ anatomo-funzionale dei reni e’ il nefrone, ogni rene ne possiede circa un milione. Il nefrone inizia con un corpuscolo renale o di Malpigli che è una formazione anatomica sferoidale dal diametro di duecento micron, formato da un gomitolo di piccoli vasi detto glomerulo, che si trova invaginato nella capsula glomerulare o di Bowman che rappresenta l’estremità cieca è dilatata del tubulo nefrosico, in cui c'è invaginata la matassa capillare, essa risulta composta da due foglietti o lamine: quella viscerale adesa alle anse glomerulari e quella parietale, costituita da uno strato di cellule appiattite, poggianti su una membrana basale. Nel corpuscolo renale si riconoscono due poli: quello vascolare, ove penetra l’arteriola afferente e ne esce l’efferente, nel lato diametralmente opposto si trova il polo urinifero, dove la parete della capsula si continua con quella del tubulo prossimale attraverso un breve colletto. I nefroni, pur essenzialmente simili fra loro, differiscono in lunghezza, i più corti hanno i loro corpuscoli renali nella zona più superficiale della zona corticale e le loro anse di Henle si estendono solo nella zona più esterna della sostanza midollare. I nefroni più lunghi iniziano in vicinanza della sostanza midollare coi glomeruli juxtra midollari e con le loro

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anse si estendono fino in profondità nella sostanza midollare e possono quasi raggiungere la papilla renale. Nel corpuscolo renale si impegna l’arteria afferente formata da fibrocellule muscolari lisce, che si trasformano in cellule secretici prima che l’arteriola raggiunga il corpuscolo renale, queste cellule contengono granuli che presentano una struttura interna cristallina, che sono precursori di prodotti di secrezione dell’angiotensina e dell’eritropoietina.Una volta dentro il corpuscolo renale, l’arteriola afferente perde le sue cellule juxtraglomerulari e da origine a branche di capillari che poi formano l’arteriola efferente. La funzione della parete del capillare o come viene spesso definita membrana glomerulare filtrante, è di permettere l’ultrafiltrazione del sangue, separando gli elementi costitutivi del sangue e le macromolecole proteiche dal resto del plasma, essa lascia filtrare il plasma sotto forma di urina primaria nello spazio urinario della capsula di Bowman. Le anse capillari glomerulari, che globalmente realizzano una superficie filtrante di 1mq circa, sono formate da: uno strato di cellule endoteliali con presenza di orifizi nel citoplasma per cui si dice che l’endotelio e’ fenestrato, inoltre lo strato di cellule endoteliali è chiuso da un sottile diaframma; lo strato intermedio è costituito dalla membrana basale glomerulare, formata da microfibrille di protocollageno e glicoproteine intrecciate con funzione di filtro semipermeabile; lo strato esterno che corrisponde al foglietto viscerale della capsula di Bowman è formato da cellule dette podociti, il cui citoplasma si estende in lunghe trebeccole da cui partono numerosi processi detti pedicelli che unendosi con altri pedicelli delle cellule limitrofe formano una sottile menbranella detta membrana delle fessure filtranti. La superficie dei podociti é rivestita da una pellicola mucinica ricca di acido sialico che con la menbranella che unisce i podociti costituiscono il glicocalice. Dall’ilo glomerulare si insinua tra le anse capillari il mesangio, che occupa la regione centrale dei glomeruli, costituendo l’asse di sostegno delle anse capillari. Inoltre, il mesangio ha proprietà fagocitarie nei confronti di materiali depositati in esso, convogliati attraverso canali contenuti nella sostanza intercellulare e smaltiti nella regione juxtraglomerulare(interstizio e linfatici).Il mesangio ha anche un ruolo nella regolazione del flusso ematico intraglomerulare, attraverso variazioni di grado di idratazione della matrice e capacità contrattili delle cellule e anche perché dotati di recettori per l’angiotensina.

Il sistema tubulare. I tubuli costituiscono la maggior parte del parenchima renale, sono la componente nefrosica che unisce i glomeruli al sistema collettore.Vi si distinguono vari segmenti: il tratto iniziale e’ disposto tortuosamente attorno al corrispettivo corpuscolo renale (tubulo contorto prossimale) ad esso fa seguito un segmento rettilineo che si porta in profondità (tubulo discendente prossimale) che si continua in una branca sottile,e che dopo un certo percorso, risale formando un gomitolo (ansa di Henle) per ritornare verso il glomerulo, però prima di giungervi si trasforma in un segmento più spesso (tubulo distale ascendente) che in prossimità del polo vascolare glomerulare assume un andamento convoluto (tubulo contorto distale) che si unisce alle diramazioni dei dotti collettori con un breve tratto detto tubulo collettore arcuato o segmento di connessione. Più nefroni, sfociano cosi in un tubulo collettore rettilineo, che si trovano nei raggi midollari della corticale, che unendosi ad altri va a costituire successivi canali escretori di calibro sempre maggiore, fino ad arrivare ai dotti papillari di Bellini che si aprono sulla superficie delle papille renali. I vari segmenti tubulari possiedono caratteristiche strutturali differenti: nei tubuli contorti prossimali il margine luminale e’ rivestito da un orletto di filamenti citoplasmatici detto bordo a spazzola, che consente un ampliamento della superficie, essi provvedono al rifornimento energetico di queste cellule e specialmente della pompa sodica. Esiste, inoltre uno sviluppato apparato digestivo, implicato nel riassorbimento delle proteine filtrate: per invaginazione della membrana plasmatica apicale e successivo distacco sotto forma di vescicole, le proteine captate dal lume vengono convogliate all’interno del corpo cellulare per endocitosi, quindi per la fusione dei lisosomi, sottoposte a demolizione. Nella porzione rettilinea prossimale vi sono cellule con funzione di secrezione attiva di acidi organici. Le anse di Henle mancano del tutto nei nefroni corticali esterni mentre sono molto sviluppate in quelli juxtra-midollari, sono costituite da cellule piatte di piccole dimensioni, si distingue una branca sottile discendente e una branca sottile ascendente, spesso assente nei nefroni medio-corticali. Nei tubuli distali il segmento ascendente dell’ansa di Henle ha un diametro e lume maggiore del segmento prossimale, in questo tratto risiede la pompa del cloro. La porzione contorta distale e’ più lunga, ha un lume più ampio, questo tratto e’ responsabile della secrezione di una glicoproteina, inoltre avviene il trasporto attivo degli ioni sodio dal liquido endoluminale, avvengono le reazioni correlate con la produzione di ammoniaca è l’acidificazione dell’urina. I dotti collettori vanno aumentando di calibro fino alle porzioni terminali:i dotti di Bellini; alle sue cellule e’ stato attribuito un ruolo nell’escrezione attiva degli idrogeni e quindi dell’acidificazione urinaria. Tutto il sistema tubulare, dal polo urinifero glomerulare fino all’estremità dei collettori e’ rivestito da una membrana basale continua che termina fondendosi con la membrana delle cellule epiteliali della pelvi renale.

1.2.1 Generalità sulla fisiologia renale I reni sono organi che possiedono una ricca vascolarizzazione e costituiscono una parte integrante della circolazione sistemica, infatti ricevono una quantità considerevole della gittata sistolica. La loro attività è connessa con la regolazione del volume, la composizione dei liquidi extracellulari e con l’eliminazione dei prodotti di rifiuto del metabolismo, concorrendo a mantenere l’equilibrio idro-elettrolitico e l’equilibrio acido-base. Il nefrone produce un filtrato aproteico a livello del glomerulo, tale filtrato, attraverso processi di riassorbimentoselettivo e di secrezione,che si verificano nelle diverse parti del tubolo, viene modificato fino alla formazione dell’urina definitiva. Mentre l’attività di filtrazione glomerulare comprende l’intervento di forze di natura fisica, i processi di riassorbimento tubulare e di secrezione coinvolgono anche sistemi di trasporto attivati dal metabolismo cellulare. Nell’individuo adulto, la superficie

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totale delle membrane dei capillari glomerulari è di circa un metro quadrato e può essere attraversata da proteine con un alto peso molecolare. La funzione del tubulo è complessa e differisce nei vari segmenti: nel tubulo contorto prossimale viene riassorbito il 65% del filtrato glomerulare, nel tratto ascendente dell’ansa di Henle prevale un attivo riassorbimento del soluto (soprattutto sodio). Questo processo è indispensabile per mantenere un elevata concentrazione del soluto nel liquido interstiziale della sostanza midollare del rene, perché permette di azionare il processo di riassorbimento dell’acqua nei tubuli collettori. Nel tubulo contorto distale ha luogo un ulteriore processo di riassorbimento ed inizia il processo di secrezione, cosi in presenza dell’ormone antidiuretico, l’acqua può diffondere al di fuori del tubulo e nei dotti collettori. La conservazione dell’acqua è dovuta a quest’ormone che facilita la diffusione nel liquido interstiziale dalla sostanza midollare, reso ipotonico da un attivo riassorbimento del sodio a livello del tratto ascendente dell’ansa di Henle. Al contrario in assenza dell’ormone antidiuretico, la diffusione dell’acqua sarebbe limitata e si avrebbe la formazione di urina diluita con conseguente eliminazione di eccessiva quantità di acqua.Inoltre la funzione del tubulo è connessa con l’equilibrio acido-base poiché la secrezione degli ioni idrogeno, la formazione di ammoniaca e il riassorbimento di bicarbonato sono attività integrate che assicurano la stabilità del liquido extracellulare, e nello stesso tempo l’acidificazione dell’urina. Inoltre, i reni partecipano a meccanismi di regolazione extrarenale, attraverso l’attivazione e la produzione di sostanze che partecipano a meccanismi di controllo tipo feedback. Con la funzione endocrina contribuiscono alla regolazione di vari sistemi biologici, producendo renina e eritropoietina, e influenzando la quantità della secrezione degli ormoni ADH (antidiuretico) e aldosterone e infine nei reni avviene la bioattivazione della vitamina D.

1.2.2 Filtrazione, riassorbimento e secrezione Il nefrone forma l’urina attraverso tre processi:

1. filtrazione: attraverso un movimento di acqua e di soluti a livello del glomerulo, dal sangue nel lume della capsula di Bowman;

2. riassorbimento: attraverso un movimento di molecole dal lume dei tubuli verso il Sangue dei vasi peritubulari; 3. secrezione:attraverso un movimento di molecole dal sangue peritubulare nei tubuli per l’escrezione.

Filtrazione. E’ il primo passo del processo di depurazione e si svolge nei corpuscoli renali: dal sangue dei capillari glomerulari, l’acqua e i suoi soluti filtrano nel lume della capsula di Bowman attraverso la membrana glomerulo-capsulare. La filtrazione è dovuta a un gradiente pressorio, essa si svolge attraverso i capillari per l’aumentato numero delle fenestrature. La pressione idrostatica glomerulare e la filtrazione sono direttamente correlate alla pressione sanguigna sistemica, cioè se si abbassa la pressione sistemica tendono ad abbassarsi sia la pressione glomerulare che la quantità di filtrato glomerulare prodotto. Invece un aumento della pressione sistemica provoca solo un piccolo aumento della pressione glomerulare per la costrizione dell’arteriola afferente, così da far fluire meno sangue nei glomeruli. Questo è un meccanismo preventivo per evitare una marcata elevazione della pressione intraglomerulare.

Riassorbimento nel tubulo prossimale. Qui viene recuperata molta acqua e soluti dal sangue, lasciando solo un piccolo volume di liquido tubulare che fluisce verso l’ansa di Henle.Nel tubulo prossimale, il sodio è trasportato attivamente fuori dal tubulo prossimale nel sangue; il glucosio e gli amminoacidi si "muovono a cavallo del sodio", uscendo passivamente dal liquido tubulare per mezzo del meccanismo di cotrasporto del sodio; gli ioni cloro passano passivamente nel sangue per uno squilibrio delle cariche elettriche (poiché gli ioni sodio quando passano rendono positivo il plasma e negativo il fluido tubulare); l’acqua è obbligata per il principio dell’osmosi a muoversi passivamente verso il sangue poiché si realizza uno squilibrio osmotico per il movimento del sodio e del cloro; circa metà dell’urea presente nel fluido del tubulo si muove passivamente uscendo dal tubulo stesso e lasciando metà dell’urea che fluisce nell’ansa di Henle; Così il contenuto totale del filtrato si è grandemente ridotto al momento in cui sta per lasciare il tubulo prossimale, molta dell’acqua e dei soluti sono stati recuperati nel sangue, resta solo un piccolo volume di liquido che procede verso la porzione successiva del tubulo, l’ansa di Henle.

Riassorbimento nell’ansa di Henle. Nel braccio discendente dell’ansa viene riassorbita l’acqua dal lume del tubulo e l’urea viene catturata nel liquido interstiziale mentre nel braccio ascendente vengono riassorbiti sodio e cloro.

Riassorbimento nei tubuli distali e nei dotti collettori. I tubuli distali riassorbono sodio per trasporto attivo, ma in quantità molto piccola rispetto ai tubuli prossimali. L’ADH secreto dall’ipotalamo attraverso la neuroipofisi ha per bersaglio le cellule dei tubuli distali e dei dotti collettori per renderle più permeabili all’acqua. Col riassorbimento dell’acqua nei dotti collettori aumenta la concentrazione dell’urea nel liquido tubulare, che la fa diffondere fuori dai dotti collettori nel liquido interstiziale della midollare. Secrezione tubulare.

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Permette il movimento di sostanze dal sangue nel liquido tubulare. Il braccio discendente delle anse di Henle secerne urea per diffusione. I tubuli distali e i dotti collettori secernono ioni potassio, idrogeno e ammonio. Inoltre l’aldosterone è un ormone che ha come cellule bersaglio i tubuli collettiri e i tubuli distali, esso aumenta l’attività delle pompe sodio-potassio.

1.2.3 Regolazione del volume d’urina e sua composizione

Regolazione. L’ADH influenza il riassorbimento di acqua: quando l’acqua viene riassorbita il volume totale dell’urina è ridotto della quantità di acqua riassorbita dai tubuli. L’aldosterone secreto dalla corteccia surrenale aumenta il riassorbimento tubulare del sodio, elevando la concentrazione del sodio ematico, quindi promovendo riassorbimento di acqua. L’ormone natriuretico atriale (ANH) escreto da fibre muscolari specializzate degli atri del cuore, promuove l’eliminazione di sodio con le urine; contrasta l’aldosterone, portando i reni a riassorbire meno acqua e a produrre, quindi, più urina. Il volume d’urina è correlato anche alla quantità di soluti diversi dal sodio ed escreti con l’urina, maggiore e la quantità di soluti, maggiore è la quantità di urina prodotta.

Composizione. Per il 95% è formata da acqua, il resto sono sostanze disciolte in essa, che sono: scorie azotate del metabolismo proteico, come l’urea, l’acido urico, l’ammoniaca e la creatinina; gli elettroliti, principalmente sodio, potassio, ammonio, cloro, bicarbonato,fosfato e solfato; le tossine, infatti durante le malattie le tossine batteriche lasciano l’organismo attraverso l’urina (una delle ragioni per cui si forza la somministrazione di liquidi, nei pazienti di malattie infettive, è quella di diluire al massimo le tossine che, se venissero eliminate in forma concentrata, potrebbero danneggiare i reni); i pigmenti, specialmente urocromi, che derivano dalla degradazione che subiscono le emazie invecchiate nel fegato (diversi alimenti e droghe possono essere convertiti, o contenere pigmenti che, vengono eliminati dal plasma per mezzo dei reni); gli ormoni, sono eliminati quando vi sono elevati livelli ormonali nel plasma; i costituenti anomali sono rappresentati dal sangue, glucosio, albumina, cilindri, calcoli, muco e cellule desquamate.

1.2.4 Funzione endocrina Il rene è anche un organo endocrino, in quanto secerne sostanze dotato di azioni biologiche a distanza e che quindi si comportano come ormoni. Infatti: l’apparato juxtra- glomerulare è la sede principale di produzione della renina. E’ questo un enzima glicoproteico capace di scindere un substrato polipeptidico circolante (costituito da quattordici amminoacidi) sintetizzato dal fegato e denominato angitensinogeno o substrato reninico. Si forma cosi un l’angiotensina I che è scarsamente attivo, ma dal quale viene successivamente liberata l’angiotensina II, per l’azione di un enzima di conversione presente negli endoteli basali di molti organi,soprattutto polmoni ma anche reni e cervello. L’angiotensina II costituisce il più potente agente vasocostrittore naturale, ed è capace di stimolare la sintesi dell’aldosterone nella corteccia surrenale, inoltre l’angiotensina II viene ulteriormente scissa da altre amminopeptidasi presenti nelle pareti dei vasi che porta alla formazione dell’angiotensina III ancor più efficace nello stimolare la sintesi dell’aldosterone. La renina viene sintetizzata e immagazzinata (come precursore inattivo) nelle cellule juxtra- glomerulari delle arteriole afferenti (elementi di origine muscolare liscia specializzati in senso endocrino) sotto forma granulare ed è secreta in risposta a vari stimoli. L’abbassamento della pressione nell’arteria renale, diminuendo la tensione esercitata sulle pareti arteriolari afferenti, eccita le cellule epiteloidi, e tendono a difendere il volume del sangue circolante. Invece le cellule della macula densa sono sensibili alle variazioni della concentrazione sodica nell’urina tubulare. Pare che esse vengano stimolate dalla diminuzione del carico di sodio, avendo la funzione di difendere il patrimonio salino corporeo. La formazione della renina sottostà a una regolazione omeostatica e viene frenata dall’angiotensina II e dall’incremento pressorio derivante dalla sua secrezione. Gli effetti dell’angiotensina II sono volti al controllo del bilancio sodico e della pressione arteriosa. La ritenzione di sale da essa prodotta si compie sia attraverso la secrezione di aldosterone (che esalta il riassorbimento tubulare distale del sodio) sia attraverso la costrizione delle arteriole afferenti, che riduce il filtrato glomerulare e la pressione idrostatica nei capillari peritubulari (con conseguente maggior riassorbimento del sodio filtrato). L’effetto ipertensivante, però, più che dalla ritenzione sodica, dipende dall’intensa costrizione indotta sulla muscolatura liscia delle arteriole dei vari distretti (splancnico, renale e cutaneo) per azione diretta su specifici recettori. Le cellule interstiziali della midollare e della corticale renale sintetizzano prostaglandine (E2 e F2), per mezzo di un complesso enzimatico microsomiale, denominato prostaglandin-sintetasi, che utilizza come substrati iniziali i fosfolipidi delle membrane cellulari. Le prostaglandine influenzano: la regolazione del flusso renale ematico e della filtrazione glomerulare, la produzione di renina, l’escrezione tubulare di acqua e sodio. La funzione renale gioca un ruolo importante nella regolazione del metabolismo dell’osso sia attraverso la funzione escretoria (regolazione del bilancio calcio-fosforo), sia attraverso la funzione endocrina di produzione del metabolita attivo della vitamina D. La vitamina D3 o colecalciferolo introdotta con la dieta o sintetizzata dalla cute sotto l’azione della luce solare, è trasformata dal fegato in 25-OH-D3 o idrossicolecalciferolo. Quest’ultima viene successivamente trasformato nel rene in 1,25-(OH)2-D3 ad opera di un enzima l’alfa idrossilasi localizzato nelle cellule del tubulo

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contorto prossimale. Le principali funzioni del metabolica attivo della vitamina D sono: inibizione della sintesi di paratormone,**aumento del riassorbimento intestinale di calcio, mobilizzazione del calcio dall’osso. La formazione della vitamina D è stimolata dalla ipofosforemia e dal paratormone , in condizioni normali paratormone e vitamina D agiscono sinergicamente per mantenere costante la concentrazione plasmatici di calcio. Esiste inoltre nel rene il sistema callicreine-chinine che sono delle proteasi, che inducono la formazione di chinine da un substrato plasmatici, il chiminogeno. Queste sostanze sono presenti nel plasma dove intervengono nell’attivazione del sistema della coagulazione, sono inoltre presenti in alcuni tessuti come nel rene, pancreas, intestino e ghiandole salivari. Le chinine hanno molteplici azioni quali: vasodilatazione, contrazione della muscolatura liscia, aumento della permeabilità capillare, produzione di metaboliti dell’acido arachidonico attraverso le attivazioni delle fosfolipasi precursori delle prostaglandine.La produzione renale di chinine è stimolata dagli ormoni mineralcorticoidi invece le chinine renali, stimolano la produzione di renina e prostaglandine. L’infusione di chinine nell’arteria renale provoca un aumento del flusso renale ematico, della diuresi e dell’escrezione di sodio. Le chinine prodotte nel tubulo distale hanno un effetto natriuretico e contrastano l’azione dell’ADH sul riassorbimento dell’acqua. L’eritropoietina è un ormone prodotto nel rene che stimola la produzione midollare dei globuli rossi formata da una sostanza di natura polipeptidica, l’alfa2globulina. Il rene produce un fattore di natura enzimatica, il fattore eritropoietico renale detto eritrogenina, il quale agisce su di un precursore plasmatico detto eritropoietinogeno, trasformandolo in eritropoietina. Nonostante sia nota da tempo la prevalente origine renale dell’eritropoietina, non è tutt’oggi nota l’esatta sede di produzione, certo è che l’anemia è uno dei più tipici segni dell’insufficienza renale cronica, mentre una poliglobulia può essere presente in alcune malattie renali. Queste condizioni sono legate ad una ridotta o aumentata produzione renale di eritropoietina. L’eritropeiesi viene stimolata dall’eritropietina attraverso vari meccanismi: stimolazione alla maturazione e differenziazione delle cellule midollari in eritrociti, stimolazione della sintesi di emoglobina e stimolazione alla liberazione midollare di reticolociti. La produzione renale di eritropoietina è influenzata dal contenuto renale di ossigeno, infatti, una riduzione del flusso renale ematico che porti a ipossia e anemia, sono tutti fattori che stimolano la produzione dell’ormone. Fattori ormonali extrarenali stimolanti la produzione di eritropoietina comprendono l’ormone dell’accrescimento, l’ACTH che è l’ormone adrenocorticotropo, corticosteroidi, ormoni tiroidei, testosterone; il paratormone, al contrario è un inibitore dell’eritropoiesi.

1.2.5 Equilibrio acido-base L’equilibrio acido-base è uno dei più importanti meccanismi omeostatici del corpo. La terminologia fa riferimento alla regolazione della concentrazione dello ione idrogeno nei liquidi del corpo. Affinché venga assicurata la sopravvivenza è necessaria una regolazione molto precisa del pH a livello cellulare. Anche una modesta deviazione del pH dalla norma potrà avere per risultato una pronunciata e potenzialmente fatale modificazioni delle attività metaboliche. Il pH è un simbolo per indicare la concentrazione di una soluzione, esso indica il grado di acidità o di alcalinità di una soluzione. Quando aumenta la concentrazione degli ioni idrogeno il pH si abbassa perché la soluzione è divenuta più acida, invece una diminuzione della concentrazione degli ioni idrogeno rende la soluzione più alcalina e il pH diviene più alto. Un pH di 7 indica neutralità, inferiore a 7 indica acidità e un pH inferiore di 7 indica alcalinità. Acidi e basi che provengono dal metabolismo delle sostanze nutritizie a livello cellulare, entrano continuamente nel sangue, perciò, se il pH deve restare costante, e’ necessario un qualche meccanismo atto a neutralizzare o eliminare queste sostanze. Sebbene le componenti acide e basiche siano entrambe importanti l’omeostasi del pH del corpo dipende largamente dal controllo della concentrazione degli ioni idrogeno nel liquido extracellulare. Gli ioni idrogeno che entrano continuamente nei liquidi dell’organismo derivano dagli acidi carbonico,lattico, solforico, fosforico e dai corpi chetonici acidi. Gli acidi carbonico e lattico vengono prodotti dal metabolismo aerobico e, rispettivamente, anaerobico del glucosio. L’acido solforico deriva dall’ossidazione di amminoacidi contenenti solfo e l’acido fosforico si accumula quando vengono degradate alcune fosfoproteine e nucleoproteine a scopi energici. I corpi chetonici che comprendono acetene, acido acetacetico e acido betaidrossibutirrico si accumulano per metabolizzazione incompleta dei grassi. Ciascuno di questi acidi fornisce ioni idrogeno in variabili quantità ai liquidi extra cellulari e influisce sull’equilibrio acido-base. Gli elementi minerali che rappresentano residui del metabolismo degli alimenti sono elementi che formano sia acidi, sia basi. Quelli formanti acidi comprendono cloro, solfo e fosforo;tutti abbondanti nei cibi ad alto contenuto proteico come la carne, il pesce, il pollame e le uova. Gli elementi che sono alcalini, cioè basici comprendono potassio, calcio, sodio, magnesio che si trovano nella frutta e nei vegetali. Per mantenere un pH nel sangue compreso tra 7.36 e 7.41 esistono dei sistemi detti tampone, che reagiscono con un acido o una base relativamente forte sostituendo ad esso un acido o una base relativamente debole. Che è come dire che un acido fortemente dissociabile, che può fornire molti ioni idrogeno, viene sostituito con uno che si dissocia di meno e fornisce meno ioni idrogeno, così per la reazione tampone, invece di avere in soluzione un acido forte che contribuirebbe con molti ioni idrogeno, ad abbassare drasticamente il pH, si ha al suo posto un acido debole il quale, liberando meno ioni idrogeno nella soluzione, ne abbassa il pH solo di poco. L’attività di diversi e specifici meccanismi tampone provvede a mantenere una stabile concentrazione di ioni idrogeno nei compartimenti liquidi del corpo, Senza di essi i liquidi nel corpo diverrebbero sempre più acidi a causa della continua formazione di acidi forti, particolarmente acido fosforico, e acido solforico, formati durante il metabolismo dei fosfolipidi e delle proteine. Tre sono i meccanismi che operano a salvaguardia del mantenimento di un opportuno pH nei liquidi corporei. Il primo ad intervenire in seguito a variazioni dell’equilibrio acido-base è un sistema tampone di tipo chimico presente nei liquidi e nei tessuti, questo sistema neutralizza gli acido o le basi di origine endogena o

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esogena, attraverso lo scambio di ioni tra il compartimento cellulare ed extracellulare che sono sodio, potassio e idrogeno. Una seconda linea di difesa è rappresentata dal sistema respiratorio, i polmoni rappresentano la principale via di eliminazione dell’anidride carbonica, un acido che è tra i più importanti prodotti finali del metabolismo; il controllo della pCO2 attraverso la respirazione e inoltre di primaria importanza nel determinare il rapporto tra bicarbonato e acido carbonico, uno dei fattori decisivi nello stabilire il pH extracellulare. L’eliminazione renale di acidi non volatili e di basi è il terzo meccanismo di difesa, il più tardivo ma non per questo il meno importante nel contesto dei meccanismi di mantenimento del pH normale; il rene è responsabile dell’escrezione di quei acidi e di quelle basi che sono in eccesso, così come del mantenimento di un opportuno livello di ioni bicarbonato; provvede inoltre, in notevole misura alla conservazione delle riserve di sostanze tampone ed al mantenimento della capacità dei liquidi corporei di reagire in maniera ottimale.

Meccanismi che controllano il pH dell’urina: una diminuzione del pH del sangue accelera i meccanismi di scambio ionico dei tubuli renali che acidificano l’urina e conservano le basi del sangue; tendendo, quindi, a elevare il valore del pH del sangue e lo riportano alla norma. I tubuli distali e i dotti collettori secernono ioni idrogeno dell’urina scambiandoli con ioni basici che vengono invece riassorbiti. L’escrezione di idrogeno e ammoniaca dai tubuli renali è controllata, almeno in parte, dal livello del pH nel sangue. La diminuzione dal pH del sangue accelera l’escrezione tubulare sia dell’idrogeno, sia dell’ammoniaca invece l’aumento del pH del sangue ha effetti opposti.

1.3.1 Generalità sull’Insufficienza Renale Cronica L’unsufficenza renale cronica (IRC) è quella complessa condizione clinico-metabolica che consegue alla progressiva perdita dei nefroni. Il termine IRC fa quindi riferimento al progressivo deficit quantitativo della massa nefrosica funzionante, indipendentemente dalle cause che lo hanno indotto. Bisogna pertanto distinguere fra IRC e lesioni renali croniche, nell’IRC, l’entità delle lesioni croniche, cioè irreversibili, e tale da indurre una riduzione del volume del filtrato glomerulare (VFG), invece le lesioni renali croniche possono essere documentate in pazienti con VFG ancora normale. Invece la differenza tra IRC e insufficienza renale acuta è che questa può essere dovuta a cause sia extrarenali che renali. Lo stesso tipo di alterazione funzionale può essere dovuto a diverse malattie del rene. Le conseguenze di così diverse entità, come l’ischemia, l’aumentata pressione intrapelvica, l’infezione da parte di alcuni microrganismi o la deplezione di complessi antigene-anticorpo leganti il complemento, possono essere simili per quanto riguarda il risultato finale. Comunque, nell’uomo, le cause più comuni sono rappresentate dalle forme progressive bilaterali di glomerulonefrite o altre nefriti. A seconda dell’entità della compromissione funzionale renale possono schematicamente distinguersi tre fasi dell’IRC: 1 - IRC in compenso funzionale, quando la riduzione della funzione renale non è superiore al 50- 60%. Questa fase è caratterizzata dall’assenza di alterazioni biochimiche e cliniche importanti, essendo i nefroni residui in relativa ipertrofia compensatoria dei fluidi organici. Già in questa fase, tuttavia, possono essere presenti alcuni segni clinici, quali poliuria, nicturia, talora anemia e ipertensione arteriosa. 2 - IRC in compenso funzionale, quando la funzione renale residua è del 40-10%. Compaiono e progressivamente si accentuano in questa fase alterazioni biochimiche (iperazotemia, iperuricemia, alterazioni idrico-elettrolitiche) e sintomi clinici a carico di vari organi e sistemi (anemia, ipertensione, sintomi gastro-intestinali, neurologici). 3 - IRC in fase uremica (o terminale) quando la funzione renale residua è inferiore al 10%. In questa fase si aggravano tutte le alterazioni biochimiche e sono presenti segni e sintomi che possono interessare tutti gli organi e apparati (cardio-circolatorio, respiratorio, emopoietico, osteoarticolare, nervoso, cutaneo, endocrino). Il termine "uremia" (urina nel sangue) era utilizzato per definire la condizione clinico-metabolica conseguente all’abolita funzione escretoria renale. Occorre per altro sottolineare che la perdita della sola funzione escretoria non spiega la complessità dei sintomi clinici e delle alterazioni biochimiche presenti nell’uremia. Alla loro insorgenza concorre anche la perdita delle funzioni renali endocrine (produzione di eritropoietina e regolazione nella produzione della vitamina D) che si verifica nelle fasi avanzate delle nefropatie croniche.

Eziologia Tutte le nefropatie croniche, acquisite o congenite, possono esitare in insufficienza renale cronica. Le varie nefropatie non hanno tuttavia la stessa velocità di evoluzione. Certe nefropatie vascolari o glomerulari, quali ad esempio la necrosi corticale, l’ipertensione maligna, la glomerulonefrite rapidamente evolutiva, possono raggiungere la fase terminale entro pochi mesi dall’insorgenza. Le nefropatie interstiziali hanno generalmente un decorso più subdolo ed un evoluzione più lenta, raggiungendo la fase terminale anche dopo 15-20 anni. Man mano che la funzionalità progressivamente diminuisce, si rende manifesto uno stato di grave insufficienza renale. Comunque, una compromissione renale progressiva non dovrebbe essere vista come un susseguirsi di stadi chiaramente definiti, ma come una continua diminuzione delle funzioni omeostatiche esercitate dal rene stesso. Generalmente, un insufficienza renale è considerata come una fase moderatamente grave di compromissione renale ed è principalmente caratterizzata da una marcata perdita di adattamento della funzione omeostatica renale, nonostante l’assenza di importanti alterazioni nella composizione dei liquidi organici. A volte però, una dieta insolita o uno stress metabolico possono aggravare tali alterazioni. Un’ ulteriore perdita della funzionalità sfocia in una insufficienza renale totale, termine che di solito

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significa comparsa di alterazioni nella composizione dei liquidi del corpo; le capacità omeostatiche dei reni sono compromesse oltre il limite in cui i reni possono adattare la propria risposta in modo appropriato alle ordinarie richieste metaboliche dell’organismo.

Aspetti fisiopatalogici La riduzione progressiva della filtrazione glomerulare comporta una modificazione della concentrazione plasmatici delle sostanze il cui bilancio è prevalentemente regolato attraverso il rene. Le modificazioni della filtrazione glomerulare, peraltro, non influiscono contemporaneamente e nella stessa misura sulla concentrazione delle varie sostanze. Per alcune, infatti, quali la creatinina e l’urea, eliminate pressoché completamente per filtrazione glomerulare, la concentrazione plasmatica aumenta in proporzione alla riduzione del volume del filtrato glomerulare (VFG); per altre sostanze come l’acido urico, fosforo, calcio, ioni idrogeno al bilancio concorrono la filtrazione glomerulare e le funzioni tubulari. La concentrazione può mantenersi normale fino a quando il VFG si riduce al di sotto di 30-40ml/min; per altre sostanze, infine che sono acqua, sodio, potassio, la concentrazione si mantiene normale fino a livelli di VFG intorno 10-15ml/min. Nelle nefropatie croniche, quando il numero dei nefroni funzionanti si riduce, nei nefroni residui si verifica un aumento del diametro glomerulare e un aumento della ampiezza e della lunghezza dei tubuli prossimali (ipertrofia compensatoria). Il VFG per singolo nefrone aumenta;si riduce il riassorbimento tubulare di alcune sostanze quali sodio e fosforo, mentre aumenta la secrezione tubulare di atre quali acido urico, potassio e ammonio. Questi meccanismi compensatori consentono di mantenere entro limiti "fisiologici" la composizione dei fluidi organici e la funzione dei vari organi e tessuti fino a quando non si verifica una severa riduzione della massa nefronica funzionante e compaiono i segni e sintomi clinici caratteristici della fase terminale del insufficienza renale cronica. La perdita progressiva di parenchima renale funzionante comporta anche la riduzione della funzione renale endocrina, soprattutto evidente e clinicamente importante per quanto concerne la produzione di eritropoietina e del metabolita attivo della vitamina D.

1.3.2 Decorso clinico-matabolico nella IRC Nelle fasi iniziali dell’IRC possono persistere segni e sintomi clinici variabili a seconda della nefropatia di base: proteinuria, ematuria o ipertensione arteria sono più frequenti rispettivamente nelle nefropatie glomerulari e nelle nefropatie vascolari; poliuria, alterazioni elettrolitiche, talora anemia, sono più precoci nelle nefropatie tubulo-interstiziali. Queste possibili differenze si attenuano con l’evoluzione della compromissione renale; quando la funzione renale residua diviene inferiore al 20-30%. Le manifestazioni cliniche e le alterazioni biochimiche divengono similari, indipendentemente dalla diversa natura delle lesioni renali iniziali. Poiché l’urea proviene prevalentemente dal catabolismo delle proteine introdotte con la dieta, le sue variazioni, nelle fasi non avanzate di IRC, sono influenzate dall’entità dell’apporto proteico. Riduzioni anche notevoli del filtrato possono non accompagnarsi ad aumenti significativi dell’urea plasmatica se l’apporto esogeno di proteine è proporzionalmente ridotto. Quando la funzione residua divieni inferiore al 30% circa della norma, l’aumento dell’urea plasmatica diviene relativamente indipendente dall’apporto esogeno; ogni ulteriore decremento della funzione renale, inoltre si accompagna ad aumenti importanti della concentrazione plasmatici di urea. Nella fase di IRC in compenso funzionale (VFG residuo superiore al 50-60% della norma) mancano spesso segni e sintomi riferibili all’insufficienza renale. Possono essere presenti ipertensione arteriosa o anemia modesta mentre la presenza di nicturia, talora associata a poliuria è nella maggior parte dei casi l’unico sintomo di un’alterazione funzionale renale. Gli esami di laboratorio non dimostrano abitualmente modificazioni importanti: urea plasmatici, uricemia, bilancio elettrolitico, bilancio calcio-fosforo sono generalmente normali. E’ presente soltanto un aumento della creatinina plasmatica che risulta, anche nelle fasi iniziali dell’IRC. Nella fase di IRC in scompenso funzionale (VFG residuo variabile dal 40 al 10%) compaiono e progressivamente si aggravano le alterazioni biochimiche e cliniche legate al deficit delle funzioni renali escretoria ed endocrina. La creatinina plasmatica è superiore a 5-6 mg/dl. Le urine sono isostenuriche, di colore chiaro. E’ presente poliuria (2000-3000 cc/die), l’anemia si accentua, sono presenti alterazioni del bilancio calcio-fosforo e idrico-eletrolitico. In questa fase condizioni di stress quali infezioni, traumi chirurgici, disidratazioni, insufficienza cardiaca, insufficiente controllo della pressione arteriosa. Comportano un ulteriore, spesso, irreversibile riduzione della funzione renale residua, con aggravamento talora drammatico dei segni e sintomi clinici. Nella IRC in fase uremica o terminale (VFG inferiore al 15-10%) tutti i segni e sintomi si aggravano ulteriormente e tutti gli apparati possono essere interessati. In questa fase se non viene iniziata la terapia sostitutiva (dialisi extracorporea, peritoneale o trapianto) esita nel coma uremico.

1.3.3 Alterazioni idro-elettrolitiche e dei cataboliti azotati Escrezione dell’acqua. In condizione normali i meccanismi di concentrazione e diluizione dell’urina contribuiscono all’omeostasi dell’acqua totale dell’organismo. Nell’IRC le capacità di concentrazione e diluizione si riducono con la riduzione della filtrazione glomerulare. L’adattamento del rene a un ipofunzione dei nefroni dà ipertrofia e iperplasia dei nefroni funzionanti, cioè i nefroni residui funzionanti lavorano al di sopra delle loro normali capacità, per cui si ottiene un eliminazione totale di soluti uguale a quella di un rene normofunzionante. Tuttavia questo si realizza con un diminuito riassorbimento di acqua, che si manifesta con una diminuzione della capacità di concentrazione o ipostenuria e poliuria. E’ in un secondo tempo che compare l’incapacità del rene a diluire l’urina, incapacità che si rende manifesta con l’escrezione di urina con osmolarità relativamente costante o isotenuria. Il bilancio idrico dell’organismo, tuttavia può essere mantenuto normale fino a valori di VFG residuo di 10-15 ml/min.

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Bilancio del sodio. Negli stadi più avanzati dell’IRC vi è una limitata capacità ad aumentare l’escrezione di sodio, infatti un aumento della quantità di sodio nella dieta può essere sufficiente a determinare un insufficienza cardiaca o un sovraccarico idrico.

Bilancio del potassio. Con l’eccezione della piccola frazione che viene perduta con le secrezioni gastro-intestinali il rene rimane l’organo principale per l’eliminazione dell’eccesso di potassio. L’escrezione di potassio è di solito normale fino agli stadi tardivi dall’IRC, a meno che non vi sia un aumento del carico di potassio dipendenti dalla risposta catabolica allo stress, a necrosi o a ferite, a episodi di emolisi e di acidosi. Nella deplezione salina, minori quantità di sodio raggiungono il tubulo distale, cosi la velocità del flusso nel tubulo distale è diminuita, provocando iperpotassemia

Disturbi dell’equilibrio acido-base. La perdita di nefroni funzionanti, in un primo tempo, non produce variazioni del pH del sangue poiché i nefroni residui aumentano il loro volume di escrezione di acidi, man mano che va riducendosi l’escrezione di acidi si rende manifesta un’acidosi metabolica. Il riassorbimento del bicarbonato e la secrezione di idrogeni nel tubulo distale sono di solito conservati e le principali cause di diminuita escrezione acida sono rappresentate dalle diminuita disponibilità dei tamponi urinari e dell’ammoniaca.

Alterazioni del calcio e del fosforo. Il più potente regolatore del tasso sierico del calcio è rappresentato dal livello sierico dell’ormone parotideo (PTH). I minerali calcio-fosforo sono in equilibrio in base solida (localizzati prevalentemente nelle ossa). Normalmente il PTH fa diminuire l’assorbimento tubulare del fosforo con un azione diretta sul tubulo, aumentando cosi l’escrezione urinaria del fosforo ed abbassando il fosforo sierico. L’iperparatiroidismo provoca un aumento della concentrazione sierica del calcio mediante l’azione del PTH. Nello stesso momento il riassorbimento tubulare del fosforo è diminuito, con la conseguente caduta dei livelli sierici del fosforo. L’effetto finale è un aumento del prodotto calcio-fosforo nel sangue che può portare alla deposizione di sali di calcio nel rene: nefrocalcinosi. Le azioni del PTH richiedono adeguati livelli sierici di vitamina D così l’insufficienza di vitamina D provoca ipocalcemia, evidentemente per un diminuito assorbimento intestinale del calcio, provocando alterazioni ossee. Nell’IRC i livelli del calcio sierico ionizzato si abbassano a causa dell’iperfosfatemia e della resistenza alla vitamina D. L’iperfosfatemia è secondaria alla ritenzione di fosfati, causata dalla diminuita filtrazione, invece la causa della resistenza alla vitamina D può essere spiegata dall’incapacità del rene a trasformare la vitamina D nella sua forma attiva.

Alterazioni dei cataboliti azotati: La creatinina proviene prevalentemente da metabolismo delle proteine endogene (soprattutto dei muscoli scheletrici), mentre l’urea è il prodotto terminale del metabolismo epatico delle proteine esogene (introdotte con la dieta).Tuttavia una filtrazione glomerulare ipofunzionanteche, come nell’IRC, la concentrazione di creatinina e di urea sarà nettamente superiore. Valori di creatinina intorno a 2 mg /dl indicano una perdita della massa nefrosica del 70-80%.

1.3.4 Uremia e coinvolgimento sistemico L’uremia è una costellazione di reperti clinici associata ad una grave insufficienza renale. Di tali reperti molti o tutti possono essere presenti in vari gradi. Le varie manifestazioni cliniche presenti nello stato uremico sono recentemente attribuite alle variazioni di volume e di composizione del sangue, secondarie alle alterazioni della funzione omeostatiche, che dipende di volta in volta da ciò che il rene ammalato può fare e da quello che non è più in grado di fare.

Le manifestazioni gastro-intestinali dell’uremia anche se non molte né varie, possono causare al paziente uremico gravi disturbi e minacciare di compromettere, a causa della disidratazione, un sia pur minimo flusso ematico renale. Anoressia, nausea e vomito sono estremamente frequenti e permettono di determinare malnutrizione e alterazioni idrico-elettrolitiche.

La stomatite uremica contribuisce a determinare l’alito urinoso attribuito alla degradazione ammoniacale dell’urea salivare da parte di batteri ureasi-produttori presenti nel cavo orale. Inoltre nella fase uremica terminale vi è un alterazione del gusto dovuto sia all’alitosi che al deficit di zinco. Ulcerazioni, spesso multiple, possono insorgere in qualunque parte del tubo gastro-intestinale. Un erosione di vasi sanguiferi nelle ulcerazioni può portare a melena, a shock emorragico o ad ogni grado intermedio di anemia. Altre manifestazioni gastrointestinali comprendono la comparsa di colite, pancreatine, singhiozzo, e talora ascite.

I sintomi neurologici. Le alterazioni neurologiche dell’uremia comprendono manifestazioni sia a carico del sistema nervoso centrale (encefalopatia uremica) che del sistema nervoso periferico (neuropatia uremica). L’encefalopatia uremica è dovuta a

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alterazioni metaboliche proprie dell’uremia; le prime manifestazioni consistono in alterazioni della personalità con sintomi di depressione,irritabilità, sindrome ansiosa, difficoltà all’attenzione, perdita di memoria. Sono presenti turbe del sonno, con sonnolenza durante il giorno e insonnia notturna. Possono comparire segni di irritabilità neuromuscolare con movimenti involontari quali tremori, singhiozzo e incoordinazione. In fase avanzata, in assenza di trattamento sostitutivo, compaiono convulsioni, movimenti mioclonali multifocali, stato comatoso. Il coma uremico si differisce da stati di coma secondari a danni celebrali organici per l’assenza di danni neurologici di lateralizzazione e la presenza di normale reattività pupillare. La Neuropatia periferica compare clinicamente nelle fasi più avanzate dell’IRC, si tratta di una neuropatia distale, generalmente simmetrica, di tipo mista, motoria e sensitiva. Gli arti inferiori sono generalmente più interessati rispetto agli arti superiori. Le manifestazioni cliniche della neuropatia uremica sono più frequentemente rappresentate dalla cosiddetta "sindrome delle gambe senza riposo", dalla presenza cioè di sensazioni di dolore puntorio, formicolii, intorpidimento agli arti inferiori, che insorgono a riposo, prevalentemente di notte, e vengono in parte alleviate dal movimento. Possono essere presenti sensazioni di bruciore, dolore al tocco e alla palpazione alla pianta e al dorso de piede, affaticabilità muscolare e crampi. L’esame obbiettivo dimostra riduzione o mancanza dei riflessi tendinei profondi, perdita del senso di vibrazione, anestesia localizzata, perdita del senso di posizione soprattutto a carico della parte inferiore della gamba. Sono talora presenti alterazioni a carico del sistema nervoso autonomo, quali riduzione o assenza di sudorazione, alterazione della regolazione della pressione arteriosa, impotenza nell’uomo. L’esatta patogenesi della neuropatia in corso di uremia è sconosciuta. E’ stato suggerito un effetto neurotossico di sostanze ritenute dal sangue (urea, creatinina, derivati guanidici, PTH, medie molecole, mioinositolo) la cui presenza inibirebbe l’azione enzimatica necessaria alla sintesi energetica delle fibre nervose. La neuropatia uremica migliora parzialmente con la terapia dialitica e può anche regredire dopo trapianto renale.

Le manifestazioni cardio-vascolari. Ipertensione arteriosa, scompenso cardiaco congestizio e pericardite sono le principali complicanze cardio-vascolari dell’IRC nella fase scompensata e soprattutto uremica. Tutti quadri completamente risolvibili con una dialisi intensiva. L’ipertensione arteriosa è presente in circa l’80% dei pazienti con IRC avanzata. La presenza di ipertensione, inoltre, rappresenta a sua volta un fattore di aggravamento della nefropatia, accelerandone l’evoluzione verso lo stadio terminale. Il controllo dei valori pressori, infatti, può talora stabilizzare la funzione renale residua o, comunque, rallentarne la progressiva riduzione. I due principali meccanismi responsabili di ipertensione nell’uremia cronica sono

1. l’espansione del volume extracellulare per ritenzione di sodio. 2. ipersecrezione di renina da parte dei nefroni residui.

L’insufficienza cardiaca congestizia è una complicanza che può verificarsi soprattutto nella fase terminale (uremica) dell’ insufficienza renale. E’ oggi di meno frequente documentazione clinica, in seguito al più largo è più precoce impiego della dialisi. I fattori responsabili di questa complicanza sono:

1. ritenzione idrosalina con espansione del volume extracellulare; 2. presenza di ipertensione; 3. alterazioni miocardie eterosclerotiche, più frequenti nel paziente uremico rispetto a soggetto di pari età,

verosimilmente in rapporto alle alterazioni metaboliche (iperlipidemia, iperuricemia) proprie dell’uremia cronica. Le manifestazioni cliniche sono quelle tipiche dello scompenso congestizie (dispnea, ortopnea, tosse). Si manifesta in alcuni casi in maniera drammatica con edema polmonare acuto.

L’esame obbiettivo e le indagini strumentali dimostrano un aumento dell’aria cardiaca e un galoppo diastolico. La terapia consiste nella rimozione dell’eccesso di fluidi e nella somministrazione di ipotensivi. Tipica manifestazione dell’uremia terminale é la pericardite uremica, dopo l’impiego della dialisi periodica, è diventata una complicanza clinica rara. Ruolo importante nella insorgenza della pericardite è attribuito alla presenza di sali di calcio o di cristalli di acido urica nei foglietti pericarditi. I sintomi clinici sono rappresentati da dolore e sfregamento pericardio; aumento dell’ipertensione arteriosa, ipertensione venosa giugulare, toni cardiaci ovattati e lontani nella forma essudativa. Nei casi più gravi, quando vi sia un abbondante versamento, soprattutto emorragico è possibile l’insorgenza di tamponamento cardiaco. Non esiste una terapia specifica della pericardite uremica, oltre alla terapia dialitica per correggere le alterazioni metaboliche dell’uremia. In presenza di versamento pericardio evidente, la pericardiocentesi con drenaggio del versamento e il mezzo terapeutico d’elezione. L’anemia, presente nell’uremia, può ulteriormente compromettere una gia ridotta riserva miocardica. Almeno nello stadio cronica, l’emolisi non è una caratteristica dell’anemia uremica, che è causata da una produzione di eritrociti e da una loro ridotta sopravvivenza.

Alterazioni ematologiche. L’anemia è ti tipo ipoproliferativo, normocitica, normocromica In fase uremica l’ematocrito si riduce fino a valori

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inferiori al 20% con diminuzione dell’emoglobina e dei globuli rossi, che talora possono apparire deformati (cellule ad "elmetto"). Clinicamente l’anemia si manifesta con pallore, astenia, dispnea da sforzo, tachicardia, dolori anginosi. L’eritropoietina, un polipeptide prodotto normalmente nel rene, è ridotta o assente e sebbene essa possa essere prodotta in sedi extrarenali che possono andare incontro ad ipertrofia compensatoria, l’attività di queste non è mai in grado di correggere l’anemia. Oltre alle usuali manifestazioni fisiologiche dell’anemia vi è un ulteriore minaccia per il paziente sottoposto a emodialisi cronica, in preparazione o in attesa di un trapianto. Tali pazienti di solito hanno bisogno in media di due unità di sangue al mese e, nonostante la cura meticolosa nel lavaggio dei globuli rossi del donatore, vi è la possibilità che antigeni leucocitari raggiungano la circolazione del paziente. Questi potrebbero stimolare la formazione di anticorpi che potrebbero far così diminuire il numero dei donatori istocompatibili. Altri fattori che contribuiscono all’anemia sono la ridotta sopravvivenza dei globuli rossi, l’inibizione dell’eritropoiesi da parte dei metabolici tossici, la osteite fibrosa associata al’iperparatiroidismo, il deficit di ferro e di folati. La ridotta sopravvivenza eritrocitaria (inferiore a 50 giorni nell’uremia, 120 giorni in condizioni normali) sembra in rapporto ad una emolisi subclinica indotta dalla presenza di sostanze tossiche contenute nel plasma uremico, e non da alterazioni intrinseche dei globuli rossi. I globuli rossi dell’uremico, infatti, hanno una emivita normale se trasfusi in un soggetto normale; e viceversa, globuli rossi normali hanno un emivita ridotta se trasfusi in un soggetto uremico. L’inibizione della eritropoiesi da parte di metabolici tossici sembra confermata dal fatto che la depurazione con emodialisi o dialisi peritoneale si associa talora ad un miglioramento dell’anemia. L’osteite fibrosa può indurre una riduzione dello spazio midollare e, quindi, una riduzione della massa eritroide. Deficit di ferro e di folati possono verificarsi soprattutto in conseguenza di un non adeguato apporto con la dieta. Le alterazioni della coagulazione compaiono in genere nella fase uremica, quando la funzione renale residua e inferiore al 10%. Consistono in prolungamento del tempo di emorragia e aumentata facilità al sanguinamento, indotti da alterata funzionalità piastrinica. Il numero delle piastrine, infatti, e generalmente normale. Il deficit funzionale piastrinico è caratterizzato da:

a. riduzione dell’adesività piastrinica dell’endotelio vascolare; b. riduzione dall’aggregazione piastrinica; c. ridotta attivazione del fattore III piastrinico.

Queste alterazioni sembrano in rapporto alla presenza di tossine uremiche, in particolare l’acido uanidinsuccinico e l’urea. La rimozione di tali sostanze con la dialisi, infatti, si associa a normalizzazione o miglioramento della funzionalità piastrinica. Le alterazioni dei globuli bianchi possono essere a carico sia delle cellule linfoidi che dei granulociti. I granulociti neutrofili sono talora ipersegmentati; è presente una riduzione della chemiotassi e dell’attività fagocitarla. Le alterazioni linfocitarie sono caratterizzate da linfopenia, ridotta risposta blastogenica, riduzione delle reazioni cutanee di ipersensibilità ritardata. Anche la risposta anticorpale primaria nei confronti di antigeni nuovi risulta depressa, risulta inoltre, ridotta la funzione reticolo-endoteliale. Queste alterazioni, clinicamente, possono manifestarsi con un aumentato rischio di infezioni. Sono in parte corrette dalla dialisi, suggerendo il possibile ruolo di fattori tossici presenti nel plasma uremico.

Le alterazioni urinarie nell’uremia sono essenzialmente quelle della malattia che ne è alla base. Cilindri corti, scuri e larghi (cilindri da IRC) e cilindri simili a cera sono in genere indice di un insufficienza renale di vecchia data piuttosto che da una nefropatia senza insufficienza. Quando la sindrome nefrosica fa parte del quadro clinico non è raro che la proteinuria diminuisca non appena sopraggiunge l’insufficienza. Questa variazione della proteinuria e da attribuire alla fibrosi e alla cicatrizzazione di glomeruli e ad una diminuita VFG. Per la stessa ragione, il sedimento di solito migliora non appena si entra in questa fase della malattia.

La retinopatia nell’uremia è identica a quella che si riscontra nell’ipertensione arteriosa, può essere anche presente un arteriolosclerosi associata con una ipertensione di modesta gravità e durata. Queste alterazioni dovute all’ipertensione sono del tutto reversibili, se la pressione arteriosa viene tenuta sotto controllo.

Le manifestazioni dermatologiche. La pelle del paziente uremico spesso ha un peculiare colorito giallo pallido, che deriva dalla combinazione dell’anemia con l’accumulo di pigmenti urocromici. Uno dei più fastidiosi sintomi presenti nell’uremia è rappresentato dal prurito intrattabile che spesso pone difficili problemi terapeutici. Il prurito continuo costringe a grattarsi con le conseguenti lesioni da grattamento e infezione. Di recente si è notata la scomparsa del prurito dopo paratiroidectomia per iperparetiroidismo secondario. Le altre manifestazioni comprendono le ecchimosi, la forfora e alcune reazioni esantematiche indotte da farmaci.

Le manifestazioni a carico dell’apparato respiratorio Nell’uremia sono variabili come l’acidosi che può portare all’iperpnea, conosciuta come respiro di Kussmaul. La

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polmonite uremica viene di solito descritta come una radiopacita ilare che si estende verso l’esterno come una nube con l’aspetto di "farfalla" o di "ala di pipistrello". Tuttavia questi reperti sono ancora oggetto di discussione poiché molte delle caratteristiche radiologiche scompaiono dopo digitalizzazione o ricambio dei liquidi con dialisi. Altre scompaiono dopo un adeguata terapia antibiotica.

Alterazioni ossee: osteodistrofia renale è un alterazione ossea associata all’IRC, soprattutto in conseguenza della ridotta produzione dell’attivatore della produzione della vitamina D e della presenza di iperparatiroidismo. Le alterazioni ossee della osteodistrofia renale comprendono: osteite fibrosa, osteomalacia, osteosclerosi, osteoporosi.

Alterazioni del metabolismo: metabolismo glucidico. In oltre il 50% dei pazienti con uremia è presente un’ intolleranza ai carboidrati caratterizzata da:

a. normoglicemia o modesta iperglicemia a digiuno; b. ridotta differenza artero-venosa in glucosio; c. ridotta e ritardata risposta al carico orale o endovenoso di glucosio; d. iperinsulinemia; e. iperglucagonemia.

Metabolismo protidico. Nell’IR vi è un alterazione del metabolismo proteico con bilancio azotato negativo e perdita di massa magra corporea (soprattutto muscolare). Sia la malnutrizione, che l’uremia di per se, interferiscono sul bilancio azotato, occorre comunque sottolineare che il deficit proteico rappresenta uno dei principali fattori causa di mortalità nell’uremia. Possibili meccanismi di deficit proteico nell’uremia includono:

a. inadeguato apporto; b. deficit di meccanismi compensatori che regolano il meccanismo proteico; c. stimolazione dei processi catabolici con conseguente degradazione proteica che si associa analogamente agli

altri stati catabolici, quali gli aumenti della gluconeogenesi e dell’ureogenesi.

Metabolismo lipidico. In oltre il 70% dei pazienti con IRC è presente ipertrigliceridemia che deriva da una ridotta rimozione dei trigliceridi, conseguente o a un deficit degli enzimi attivatori, o alla presenza di fattori inibenti l’attività enzimatica specifica. Funzione sessuale e riproduttiva. Nell’uomo un ipogonadismo primitivo con oligospermia o azospermia è riscontrabile in oltre il 50% dei casi. I livelli circolanti di testosterone sono ridotti per ridotta attività delle cellule di Leydig. La concentrazione delle gonadotropine ipofisarie LH (ormone luteinizzante) e FSH (ormone follicolo-stimolante) è normale o aumenta, dimostrando una funzione ipofisaria entro valori normali anche se talora inadeguati ai livelli circolanti di testosterone. E’ generalmente presente un aumento della prolattina, verosimilmente per la ridotta clearance metabolica renale. E’ stato suggerito un rapporto fra iperprolattinemia e alterazioni sessuali (ipogonadismo, impotenza) e fra iperprolattinemia e ginecomastia, documentabile in circa il 30% dei pazienti con uremia terminale o in trattamento emodialitico. Nella donna, alterazioni mestruali ed infertilità sono le principali manifestazioni. L'amenorrea compare generalmente quando il VFG si riduce al di sotto di 10mg / min. A causa delle ampie variabilità mensili e in rapporto all’età delle pazienti, è difficile precisare le alterazioni della secrezione degli ormoni sessuali. Nella IRC avanzata, peraltro, sembra instaurarsi un deficit sia ovario (bassi livelli di estrogeni), sia ipofisario (non adeguati livelli di FSH e LH in rapporto al tasso di estrogeni circolanti). Distale o la complicanza trombotica irreversibile inducono all’allestimento di un secondo accesso vascolare, questa volta prossimale, a livello della piega del gomito creando un anastomosi tra arteria omerale e vena mediana (oppure con la vene cefalica o la vena basilica). Come ultima risorsa si utilizza la regione inguinale con interposizione tra arteria e vena di materiale protesico. L’intervento si svolge in anestesia locale, si procede all’incisione longitudinale o trasversale, della cute ed al reperimento e isolamento di arteria e vena. Generalmente si esegue un anastomosi latero-terminale: la vena viene legata il più distalmente possibile. Il sangue si riverserà dall’arteria alla vena e nel giro di pochi secondi la palpazione del vaso consentirà di avvertire un fremito sia sul tratto esposto della vena sia prossimamente. Di più semplice esecuzione, dal punto di vista tecnico e la FAV latero laterale che si può praticare quando arteria e vena decorrono vicine Una terza variante, che si pratica raramente, è l’anastomosi termino-terminale, in cui le estremità prossimali dell’arteria e della vena vengono collegate fra di loro. La maturazione della fistola è dovuta alla bassa resistenza tipica del settore venoso fa si che gran parte del sangue arterioso passi attraverso l’anastomosi nella vena anziché progredire distalmente lungo l’arteria. Pertanto la vena, sottoposta a i flussi e alle pressioni del letto arterioso, da prima si dilata ed in seguito va incontro ad ispessimento delle pareti per proliferazione dell’intima e della media (arterializzazione della vena). Contemporaneamente l’arteria si dilata e si assottiglia. Queste modificazioni dell’arteria e

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della vena vanno sotto il nome di maturazione della fistola ed il completamento di tale processo richiede in media un periodo di tempo di circa 15-20 giorni. Prima che sia trascorso tale termine si deve evitare in modo assoluto la puntura della fistola: la puntura di una vena non ancora arterializzata, quando è sottoposta a pressioni elevate da infatti frequentemente luogo ad ematomi, spesso estesi, con conseguente compressione sul vaso stesso. E’ intuibile come questa complicanza precluda l’ulteriore utilizzo della fistola, almeno fino a riassorbimento completo dello stravaso ematico.

Capitolo 2 - PERCORSO ASSISTENZIALE, DIAGNOSTICO, TERAPEUTICO IN PREPARAZIONE ALL’INGRESSO IN TERAPIA SOSTITUTIVA 2.1.1 Il ricovero in nefrologia 2.1.2 Pianificazione dell’assistenza infermieristica al paziente con insufficienza renale cronica 2.1.3 Cenni sul protocollo diagnostico-terapeutico dell’Unità Operativa di Nefrologia e Dialisi dell’Ospedale "Infermi" di Rimini 2.1.4 Cenni sulla metodologia dell’ambulatorio predialisi presso il Policlinico "S. Orsola" di Bologna 2.1.5 Cenni sul protocollo riguardo la scelta della metodica dialitica presso la Nefrologia e Dialisi del Policlinico "S. Orsola" di Bologna 2.2.1 Semeiotica nefrologica 2.2.2 Segni e sintomi clinici 2.2.3 Indagini diagnostiche 2.2.4 Assistenza infermieristica al paziente sottoposto a indagini, per valutare la funzionalità renale 2.3.1 Accessi vascolari in emodialisi 2.3.2 Educazione sanitaria da infermiere a paziente, da infermiere a infermiere 2.3.3 Puntura dello shunt 2.4.1 Alimentazione nel paziente dializzato 2.4.2 Fabbisogno idrico, energetico e proteico 2.4.3 Importanza dei vari alimenti nella dieta del paziente dializzato 2.5 Cenni sui provvedimenti terapeutici all’avvento dell’uremia 2.6.1 L’inizio della dialisi 2.6.2 Quale dialisi oggi? 2.6.3 Quando iniziare la dialisi (...continua)

Capitolo 2 - PERCORSO ASSISTENZIALE, DIAGNOSTICO, TERAPEUTICO IN PREPARAZIONE ALL’INGRESSO IN TERAPIA SOSTITUTIVA

2.1.1 Il ricovero in nefrologia

La Nefrologia è un reparto di degenza che fa parte dell’unità operativa di Nefrologia e Dialisi. Si occupa della diagnosi e cura delle malattie renali primitive e secondarie e dell’ipertensione arteriosa. Durante la degenza, i pazienti tutte le mattine, a digiuno e possibilmente con lo stesso tipo di indumenti vengono pesati. Inoltre, viene controllata e misurata tutta l’urina prodotta nelle 24 ore; vengono effettuati i prelievi ematici, di norma eseguiti prima di colazione, dall’infermiere che ha svolto il turno di notte; i controlli della pressione vengono effettuati di prassi tre volte al giorno, salvo cause di forza maggiore; la terapia, come la misurazione della temperatura, viene effettuata ad orari predefiniti. Le principali indagini strumentali eseguite in Nefrologia: elettro-cardio-gramma, radiografia del torace, stratigrafia delle ombre renali, ecografia renale, biopsia renale, scintigrafia renale, arteriografia, cistografia, fondo dell’occhio che permette di valutare le arterie e le vene della retina e ci permette di avere delle informazioni sulla circolazione generale, A.B.P.M. (monitoraggio ambulatoriale della pressione arteriosa), che si esegue con un apparecchio automatico che misura periodicamente la pressione durante la giornata. Altre importanti notizie sono la distribuzione del vitto, che per questo tipo di pazienti, si atterrà a norme dietetiche, non dettate dal buon senso ma da professionisti competenti.

2.1.2 Pianificazione dell’assistenza infermieristica al paziente con insufficienza renale cronica

PROBLEMA EZIOLOGIA "CORRELATO

A …"

SEGNI E SINTOMI

OBIETTIVI INTERV. VALUTAZ.

Coping inefficace

Cronicità della condizione e

Depressione e sconforto

Accettazione della nuova

Comunicare autenticità,

Il paziente esprime le

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cambiamento improvviso del modello di vita

condizione empatia ed incoraggiare la persona ad esprimere i propri sentimenti, fornire adeguate conoscenze al paziente sul percorso diagnostico-terapeutico

sue paure ed accetta la nuova condizione gradualmente, e recupera l’integrità psico-sociale

PROBLEM

A EZIOLOGIA

CORRELATO A …"

SEGNI E SINTOMI

OBIETTIVI INTERV. VALUTAZ.

Disturbo dell’autostima

Perdita della funzionalità organica

Espressioni negative nei propri confronti; eludere il cambiamento e aggrapparsi alle abitudini

Far accettare mentalmente la perdita; far riadattare alla nuova situazione

Stabilire una relazione basata sulla fiducia: incoraggiare la persona a far domande circa i suoi problemi di salute e il trattamento; educare sul modo di affrontare la nuova situazione riguardo l’alimentazione, la terapia e la cura dell’accesso vascolare

Il paziente accetta il nuovo stile di vita, chiede informazioni e chiarimenti

PROBLEMA

EZIOLOGIA "CORRELAT

O A …"

SEGNI E SINTOMI

OBIETTIVI INTERV. VALUTAZ.

Alterazione della funzionalità cardiaca

Eccessiva assunzione alimentare di cibi ad alto contenuto di potassio con ridotta eliminazione renale

Aumento della frequenza cardiaca con alterazioni del ritmo, eccitabilità muscolare, parestesie

Non avere disturbi causati dell’iperpotassemia

Informare i pazienti sui rischi legati all’ipperpotassemia, educare a riconoscere i cibi ad alto contenuto di potassio

Il paziente raggiunge una potassemia asintomatica, riesce a correggere il regime alimentare

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PROBLEMA EZIOLOGIA

"CORRELATO A …"

SEGNI E SINTOMI

OBIETTIVI INTERV. VALUTAZ.

Nutrizione alterata

Apporto deficitario di aminoacidi, calorie e vitamine che provoca un catabolismo endogeno; insufficiente eliminazione di cataboliti tossici che determinano squilibri gastroenterici

Anoressia, nausea e vomito

Favorire l’assunzione di cibo che stimoli l’appetito ed aumenti l’introito di proteine

Favorire un regime alimentare adeguato, fornendo opuscoli sui cibi consentiti e sulle modalità di cottura più adeguate alla patologia renale

Aumento dell’appetito con funzionalità gastro-enterica normale

PROBLEMA EZIOLOGIA "CORRELATO

A …"

SEGNI E SINTOMI

OBIETTIVI INTERV. VALUTAZ.

Eccessivo volume di liquidi

Compromissione dei meccanismi regolatori secondaria a IRC

Aumento del peso, edemi periferici, dispnea

Ridurre l’introito di liquidi

Educare il paziente a meglio gestire l’introito di liquidi, anche sotto forma di frutta, bevande e minestre, suggerire l’igiene orale alla fine di ogni pasto con l’utilizzo di colluttori, rilevare periodicamente peso, pressione arteriosa, frequenza respiratoria e cardiaca e informare il medico se i parametri non sono nella norma

Il paziente non aumenta eccessivamente di peso, si riducono gli edemi periferici ed ha un respiro normale

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PROBLEMA EZIOLOGIA "CORRELATO

A …"

SEGNI E SINTOMI

OBIETTIVI INTERV. VALUTAZ.

Alterazione del confort manifesto con prurito

Alterazione dell’equilibrio calcio-fosforo con comparsa di cristalli di urea

Prurito; lesioni da grattamento

Lenire il prurito

Suggerire l’assunzione di cibo a basso contenuto di fosforo; far seguire la terapia chelante del fosforo prescritta, suggerire docce o bagni rinfrescanti, effettuare un’accurata igiene delle unghie per evitare lesioni cutanee da grattamento

A medio termine, il paziente trova sollievo dal prurito grazie alla dieta e alla terapia

PROBLEMA EZIOLOGIA "CORR. …"

SEGNI E SINTOMI

OBIETTIVI INTERV. VALUTAZ.

Alterata eliminazione intestinale

Insufficiente assunzione di fibre e liquidi

Dolore addominale; costipazione; senso di pienezza; crampi addominali

Favorire l’eliminazione intestinale

Suggerire l’assunzione di verdure ma cotte con il metodo della doppia cottura; attività fisica; massaggiare l’addome per lenire il dolore; interventi farmacologici dopo prescrizione medica (lassativi, clisteri); non consigliare l’assunzione di liquidi poiché provocherebbe

A medio termine, con i vari interventi si riesce a ridurre l’alterazione

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un aumento del carico idrico

PROBLEMA EZIOLOGIA "CORR. …"

SEGNI E SINTOMI

OBIETTIVI INTERV. VALUTAZ.

Rischio di lesione

Vertigini secondarie a ipotensione ortostatica post-dialitica

Vertigini; sudorazione profusa (diaforesi); cute fredda; ipotensione

Evitare l’ipotensione ortostatica

Monitorare la pressione arteriosa; nel periodo post-dialitico effettuare una graduale alzata dal letto: prima far porre il paziente seduto, facendogli muovere le gambe, per facilitare la circolazione, e dopo pochi minuti si può procedere all’alzata, standogli sempre vicino

Il paziente non corre più il rischio di lesioni secondarie a ipotensione ortostatica, grazie agli interventi attuati per prevenirla.

2.1.3 Cenni sul protocollo diagnostico-terapeuticico dell’Unità Operativa di Nefrologia e Dialisi dell’ospedale "Infermi" di Rimini

Dal primario sono stati stilati dei protocolli diagnostico-terapeutici, per patologie seguite in regime di day-hospital presso la divisione di Nefrologia e Dialisi dell’ospedale "Infermi" di Rimini, in questa sede cito i protocolli riguardanti

1. lo studio delle nefropatie primitive e secondarie; 2. monitoraggio e terapia dell’IRC in trattamento medico conservativo; 3. follow-up dei pazienti in trattamento dialitico cronico.

1 - Studio delle nefropatie primitive e secondarie INQUADRAMENTO DIAGNOSTICO DI BASE

• esame clinico-fisico del paziente; • diagnostica di laboratorio;

routine emato chimica ed urinaria di base: emocromo, VES, PT, aPTT, fibrinogeno, glicemia, azotemia, creatinina, NA/K/C1, calcio, fosforo. magnesio, uricemia, colesterolo, trigliceridi, protidemia totale, sideremia, bilirubina totale, GOT/GPT, gamma-GT, fosfatasi alcalina, elettroforesi proteica, immunoglobuline, PCR, reumatest, TAS, C3/C4, Waaler-Rose, TPHA/VDRL, esame completo urina e urinocultura.

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Esami emochimici ed urinari da aggiungere in casi selezionati: lupus-anticoag., immunocomplessi, crioglobuline, profilo ANA, DNA, ENA, anticardiolipina, ANCA, ciclosporina, FT3, FT4, TSH, ferritina, HbsAg, fruttosamina, Hb glicosilata, C-peptide, curva glicemica spontanea, marcatori dell’epatite B e C, HIV, immunofissazione sierica, proteinuria totale e frazionata, Bence-Jones, creatininuria, clerance creat., NA/K/C1 urine, calcio urine, uricuria, test di gravidanza, proteinuria a riposo e dopo sforzo. Diagnostica strumentale: elettro-cardio-gramrna, Ecografia addominale e pelvica, radiografia del torace, radiografia addome a vuoto, eventuale scintigrafia delle ombre renali e urografia perfusionale endovena. EFFETTUAZIONE E MONITORAGGIO DELLA TERAPIA La prima fase della terapia, in particolare se si tratta di farmaci da infondere ad alti dosaggi endovena, il primo monitoraggio va solitamente effettuato in regime di ricovero ordinario. Le fasi successive prevedono in genere controlli mensili per i primi tre/sei mesi di terapia e quindi controlli ogni due/tre mesi, tenendo conto che la frequenza e la tipologia dei controlli sono variabili e dipendono dal tipo di nefropatia di base, dal tipo di terapia instaurata e dalla risposta alla terapia. Ogni controllo richiede: l’esame clinico-fisico del paziente, la diagnostica di laboratorio (routine emato-chimica ed urinaria di base, più eventuali esami selezionati). MONITORAGGIO CLINICO DELLA MALATTIA Una volta stabilizzata, la malattia richiede di norma un controllo ogni tre/sei mesi. Esame chimico-fisico del paziente. Diagnostica di laboratorio (routine emato-chimica ed urinaria di base, più eventuali esami selezionati). Diagnostica strumentale (ecografia renale). 2 - Monitoraggio e terapia dell’IRC in trattamento medico conservativo. La frequenza del monitoraggio dipende dall’entità dell’IRC: fino ad una creatininemia di 2 mg/dl sarà sufficiente un controllo ogni sei mesi, con una creatininemia compresa tra i 2 mg/dl ed i 4 mg/dl sarà necessario un controllo ogni quattro mesi, mentre con una creatininemia superiore ai 4 mg/dl sarà necessario un controllo ogni tre mesi. Nelle fasi terminali predialitiche, invece, bisognerà effettuare controlli mensili.

• Esame clinico-fisico del paziente; • Diagnostica di laboratorio.

Routine emato-chimica ed urinaria di base: emocromo, VES, PT, aPTT, fibrinogeno, glicemia, azotemia, creatinina, Na/K/C1, calcio, fosforo, magnesio, uricemia, colesterolo, trigliceridi, protidemia totale, sideremia, bilirubina totale, GOT/GPT, gamma-GT, fosfatasi alcalina, elettroforesi proteica, esame completo urine, urinocultura. Esami emato-chimici ed urinari da aggiungere in casi selezionati: FT3, FT4, TSH, ferritina, transferrina, PTH. marcatori epatite B e C, gruppo sanguigno, creatininuria, clearence creat., Na/K/C1 urine, calcio urine, fosforo urine, uricuria, Bence-Jones, test di gravidanza, proteinuria totale e frazionate, EGA. Diagnostica strumentale: elettro-cardio-gramma, ecografia addominale pelvica, radiografia del torace, più eventuale radiografia addome a vuoto, più eventuale stratigrafia delle ombre renali, eventuale studio dell’iperparatiroidismo (ecografia paratiroidea, scintigrafia paratiroidea). TERAPIA. Prevede la somministrazione di farmaci chelanti del fosforo (carbonato di calcio) e in casi molto selezionati la somministrazione di eritropoietina. 3 - Follow-up dei pazienti in trattamento dialitico cronico. Questi pazienti vengono seguiti di regola in via ambulatoriale. Il day-hospital, viene utilizzato solo in casi selezionati in cui sia necessario una diagnostica speciale (studio dell’iperparatiroidismo) o procedimenti terapeutici eseguibili in regime di day-hospital (posizionamento di cateteri venosi centrali). Studio dell’iperparatiroidismo: studio radiologico delle ossa, ecografia e scintigrafia delle paratiroidi. Posizionamento di cateteri venosi centrali: elettro-cardio-gramma, localizzazione ecografia dei vasi, incannulamento dei vasi più eventuale tunnellizzazione sottocutanea dei cateteri, radiografia del torace per controllo posizionamento dei cateteri.

2.1.4 Cenni sulla metodogia dell’ambulatorio predialisi presso il policlinico "S. Orsola" di Bologna

L’obiettivo dell’attività di predialisi è quello di ottimizzare la terapia dell’uremia terminale, informare il paziente e quindi ottimizzare la scelta della metodica in modo da ridurre la mortalità dei pazienti, migliorare la loro qualità di vita, ridurre i costi socio-sanitari. Un programma informativo ha un notevole impatto psicologico sul paziente, riducendo lo stress ed aumentando la compliance alla successiva terapia. Un corso formativo di predialisi è utile, in quanto aumenta le conoscenze in merito all’IRC, al trattamento sostitutivo e migliora l’approccio psicologico alla scelta del trattamento dialitico. Per attuare un programma soddisfacente il primo requisito fondamentale è l’integrazione fra l’emodialisi, la dialisi peritoneale e il trapianto, sia per offrire al paziente la migliore terapia disponibile sia per consentire un facile

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cambio di metodica. Il programma ha un approccio multidisciplinare che prevede l’intervento del neurologo, della dietista, dello psicologo, del personale infermieristico e del medico di base. Il nefrologo in primo luogo, ha il compito di monitorizzare l’andamento clinico dell’IRC, con controlli mensili (laboratoristici e visita medica) e di ottimizzare la terapia farmacologia e la dieta (in collaborazione con la dietista). Durante il periodo di predialisi viene iniziato il trattamento ormonale sostitutivo con eritrrpoietina, in modo da raggiungere un valore di ematocrito di 30-35% ( protocollo dell’anemia). Viene fatta una valutazione della funzione renale residua (VFG) parametro guida per poi decidere il timing di inizio del trattamento dialitico. Inoltre il nefrologo, seguendo un protocollo di scelta della metodica, informa il paziente sulle varie tecniche dialitiche (dialisi domiciliare, ospedaliera). Nei pazienti in cui non esistono controindicazioni mediche assolute il successivo percorso di preparazione al trattamento dialitico è guidato dalla preferenza del paziente, i fattori che condizionano maggiormente la scelta sono quelli legati allo stile di vita (indipendenza, dieta libera), più che le complicanze mediche legate ad una specifica metodica.

2.1.5 Cenni sul protocollo riguardo la scelta della metodica dialitica presso la Nefrologia-Dialisi "S. Orsola" di Bologna

Il protocollo di scelta della metodica è articolato in tre incontri fondamentali. Il primo incontro viene svolto in ambulatorio, per ridurre il carico emotivo/stress del paziente e dei suoi familiari. Durante questo primo contatto il nefrologo informa il paziente sulle varie tecniche dialitiche (emodialisi e dialisi peritoneale) e sull’eventuale possibilità di un programma di trapianto (da cadavere e/o da vivente).Viene consegnato del materiale video e dei manuali di semplice consultazione sull’IRC e sulle varie tecniche dialitiche, materiale che il paziente porta al domicilio per approfondire, puntualizzare le informazioni ricevute e discuterne con i famigliari. Il secondo incontro viene solitamente svolto in reparto, il paziente ha una visione diretta delle due metodiche, viene fatta una prova con un simulatore per la dialisi peritoneale; viene mostrato il reparto emodialisi. Durante il terzo incontro viene quindi compilata la scheda di scelta della metodica in cui sono raccolti tutti i dati anagrafici, attitudinali, la logistica, la preferenza del paziente e la scelta definitiva concordata con l’équipe medico-infermieristica. Qualora il paziente scelga il trattamento con dialisi peritoneale (DP) viene fatto firmare un consenso all’inizio della tecnica e all’addestramento, come stabilito dalle vigenti normative. E’ da qui inizia un percorso valutando i criteri di fattibilità (capacità psico-attitudinali, condizioni socio-familiari, logistica ambientale) e una valutazione medica per escludere possibili controindicazioni e correggere quelle condizioni che possono limitare la riuscita o causare delle limitazioni durante il trattamento, come una severa malnutrizione e ernie addominali. Nel caso che la malnutrizione non sia migliorabile con il supporto della dietista e un aumentato introito alimentare il paziente può essere indirizzato all’emodialisi in quanto la perdita di proteine è praticamente irrilevante. Nel caso di ernie addominali si deve optare per una correzione chirurgica o si può proporre un trattamento peritoneale con piccoli volumi, valutando l’efficienza dialitica nel tempo per verificare che il paziente sia veramente adatto a tale metodica. La valutazione deve caratterizzare la cinetica del singolo paziente in modo da ottimizzare il trattamento dialitico (schema dialitico, dose dialitica) in modo da permettere un aggiustamento terapeutico ed eventualmente un precoce cambio di metodica, prima della comparsa dei segni clinici di sottodialisi. Conclusioni Il programma di predialisi si pone alcuni obiettivi fondamentali che sono: ottimizzare la terapia dell’uremia terminale per rallentare ove possibile una rapida evoluzione e consentire al paziente di iniziare il trattamento dialitico in condizioni cliniche non scadute (malnutrito, scompenso metabolico e/o cardiovascolare). Informare il paziente: essere informato è un diritto del paziente e un paziente correttamente informato è più motivato e quindi più "compliante" alla successiva terapia. Ottimizzare la scelta, perché è necessario che la preferenza del paziente sia concordata con il personale specializzato. Un servizio meno professionale e più approssimativo che una struttura nefrologica può offrire, è utilizzare in maniera indiscriminata, senza seguire delle linee guida uniformi e le varie tecniche dialitiche a disposizione. Incentivare un programma dialitico diversificato, quindi di emodialisi e di dialisi peritoneale, in modo da avvicinarsi ad un rapporto ritenuto ideale. Ultimo obiettivo, ultimo nella presentazione ma non ultimo per importanza, anzi estremamente rilevante nell’organizzazione ospedaliera-sanitaria è la riduzione dei costi, in quanto la DP è una tecnica più economica rispetto all’emodialisi.

2.2.1 Semeiotica nefrologica

Una razionale valutazione del malato renale deve di necessità essere clinico-laboratoristica. La sola indagine clinica (sintomi soggettivi ed esame obbiettivo) è infatti inadeguata nella maggioranza dei casi. Nelle grandi sindromi renali l’esame clinico può talora essere diagnostico. Ma la diagnosi eziologia, le caratteristiche morfologiche del danno renale, la prognosi e l’indirizzo terapeutico anche in tali eclatanti condizioni risultano impossibili senza l’associato impiego di indagini laboratoristiche e strumentali. In un elevata percentuale di nefropazienti possono documentarsi solo reperti urinari (es. microematuria, lieve proteinuria). Talora possono essere presenti segni clinici extrarenali, isolati o in associazione, senza dati anamnestici e obbiettivi di compromissione dell’apparato urinario. Segni clinici caratteristici

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(dolore a tipo colica, disturbi menzionali) sono più frequenti nelle forme prevalentemente chirurgiche di malattie dell’apparato urinario. Nelle nefropatie segni e sintomi riferibili all’apparato urinario possono mancare; la possibile molteplicità e aspecificità di eventuali sintomi extrarenali (nausea, vomito, disturbi cardiocircolatori, neurologici, osteoarticolari) può non far pensare ad una malattia renale, se non è opportunamente ricordato che una nefropatia, specie in fase di avanzata insufficienza funzionale può compromettere tutti gli organi ed apparati. Nelle fasi iniziali la compromissione renale è talora evidenziata occasionalmente in seguito ad accertamenti laboratoristici per motivi vari (check up). Per una corretta interpretazione clinica il neurologo dovrebbe porsi e cercare di risolvere i seguenti problemi:

1. presenza o meno di nefropatia; 2. eziologia e natura delle lesioni renali; 3. entità della compromissione funzionale renale; 4. reversibilità o irreversibilità delle lesioni renali.

Questi problemi non possono essere risolti soltanto in via clinica, ma richiedono l’impiego di indagini laboratoristiche e, talora, strumentali. Questo non limita peraltro il valore dell’indagine clinica che è indispensabile per l’indirizzo laboratoristico, per la scelta cioè delle indagini da farsi. La loro routinaria e indiscriminata applicazione, infatti, comporta perdita di tempo, spreco di danaro e, talora, possibili errori dannosi per il paziente.

2.2.2 Segni e sintomi clinici

Dati anamnestici. Un indagine anamnestica accurata può essere di notevole importanza clinica nella valutazione del malato renale; se ben condotta può fornire elementi utili per suggerire il tipo di nefropatia presente, le modalità di inizio, la fase evolutiva, e, talora, l’eziologia; se non correttamente condotta può causare errori nella scelta delle indagini successive e nell’indirizzo diagnostico. Vari aspetti possono essere considerati nel tentativo di ottenere il maggior numero di informazioni utili. Fra questi i più importanti risultano:

1. anamnesi famigliare (nefropatie, malattie metaboliche, ipertensione arteriosa, malattie sistemiche); 2. anamnesi fisiologica (quantità, ritmo e frequenza della diuresi; funzioni digestive; abitudini alimentari; nella

donna numero ed evoluzione di eventuali gravidanze); 3. anamnesi patologica pregressa (malattie renali ed extrarenali, con particolare attenzione ad episodi infettivi,

malattie a carico dell’apparato cardiovascolare e respiratorio, malattie metaboliche e sistemiche); 4. anamnesi lavorativa (esposizione a sostanze potenzialmente nefrotossiche cercando di precisarne il tipo,

l’intensità e la durata dell’esposizione; fattori ambientali quali temperatura, grado di umidità, condizioni igieniche);

5. uso o abuso di farmaci (analgesici, antibiotici, sulfamidici, antinfiammatori, diuresi).

Sintomi soggettivi. I più frequenti sono quelli in corso di compromissione flogistica o litiasica dell’apparato urinario: disturbi minzionali, dolore, febbre. Il dolore renale può essere localizzato nella regione lombare, continuo o intermittente, oppure a tipo colica renale che si associa abitualmente a disturbi della minzione: pollachiuria (necessità di urinare frequentemente), stranguria (minzione dolorosa con emissione di poche gocce di urina, prodotta dalla contrazione spasmodica della muscolatura vescicale e uretrale), disuria (difficoltà e bruciore alla minzione). Il dolore a tipo colica renale è causato da spasmi della muscolatura ureterale attorno ad un corpo estraneo (calcoli, coaguli). Il dolore è abitualmente occasionale, si irradia tipicamente dalla regione lombare in avanti, lungo il decorso degli ureteri, verso i genitali esterni e la faccia interna della coscia. Può scomparire spontaneamente dopo alcune ore, ma abitualmente cessa soltanto dopo somministrazione di antisparsici e sedativi. Nella grave IR, sono presenti numerosi sintomi extrarenali (gastrointestinali, neurologici, respiratori). Esame obiettivo. L’esame obiettivo, generale e locale può fornire importanti indicazioni diagnostiche. Il riscontro di edemi, ad esempio, suggerisce la presenza di sindrome nefrosica; l’asultazione di un soffio sistolico in regione paraombellicale o in regione lombare al di sotto della settima costa può, in soggetti ipertesi, far sospettare una ipertensione renovascolare. Segni e sintomi "uremici", a carico di vari organi e apparati, si rendono evidenti nell’IR, quando la compromissione funzionale interessa oltre il 70% della massa nefronica. I più frequenti sono anemia, ipertensione arteriosa, alterazioni gastrointestinali, cutanee, morfologiche. Talora sono presenti segni indicativi di malattia sistemica (pleuropericardite, splenomegalia nelle collagenopatie; alterazioni distrofiche agli arti inferiori nel diabete mellito), in cui la compromissione renale risulta secondaria. L’esame del fondo dell’occhio deve essere sempre effettuato in pazienti ipertesi: può fornire elementi utili per precisare lo stato della microcircolazione. L’esame obbiettivo locale comprende

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la palpazione dei reni e la pressione ai punti ureterali. Normalmente il rene non si palpa; in soggetti magri e talora apprezzabile il polo inferiore del rene destro. Il rene si rende apprezzabile o per ptosi, o per ingrandimenti patologici (rene policistico tumori, idronefrosi). La pressione ai punti ureterali superiori (sulla linea ombelicale traversa a tre cm circa dall’ombellico), medio (tra il terzo mediale e il terzo laterale della linea bispinoiliaca) e inferiore (esplorabile per via rettale o vaginale) e al punto renale posteriore o costovertebrale (angolo fra la settima costa e la colonna vertebrale) provoca viva dolorabilità in certe condizioni patologiche (calcoli, idronefrosi, infezioni). Alterazioni del ritmo e della quantità urinaria. Si tratta di un complesso di segni e sintomi clinici in parte obbiettivi, e in parte soggettivi, la cui esatta comprensione può essere di utilità diagnostica in molti casi. Alterazioni del ritmo urinario: comprendono pollachiuria, stranguria e nicturia già precedentemente citati. La nicturia primitivamente renale è presente quando oltre il 70% della funzionalità renale è compromessa e, si verifica per progressiva diminuzione della capacità di concentrazione e iperdiuresi osmotica per nefrone funzionante residuo. In queste condizioni durante le ore notturne il paziente continua regolarmente a svuotare la vescica ogni 3-4 ore come le ore diurne. Le alterazioni della quantità urinaria comprendono l’oliguria e la poliuria. Per oliguria si intende una diuresi delle 24h inferiore a 500ml. A parte rarissimi casi di oliguria essenziale per alterazioni del ricambio idrico di origine diencefalo-postipofisaria, una netta riduzione della diuresi è caratteristica dell’IR funzionale o organica. Per oliguria si intende una diuresi superiore a 2000 ml/die che può verificarsi per varie cause:

1. insufficiente produzione di ADH come avviene nel diabete insipido e dopo carico idrico in cui l’iperdiuresi consegue alla diluizione del plasma che inibisce la produzione di ADH;

2. l’incapacità dei tubuli a rispondere all’ADH può essere di natura congenita (diabete insipido nefrogeno) o acquisita (IRC ,stati di deficit di potassio).

3. eccessivo carico tubulare di soluti osmoticamente attivi (diuresi osmotica) originata da IRC o da diabete insipido conseguente all’aumentato carico tubulare di sostanze osmoticamente attive (urea e glucosio), presenti nel sangue in quantità elevata la cui escrezione urinaria comporta una simultanea eliminazione di acqua in quantità sufficiente a contenerle in soluzione.

Nell’IRC il fattore "diuresi osmotica" ha notevole significato nella genesi della poliuria. La grave perdita di nefroni provoca il progressivo accumulo di cataboliti azotati ed il loro conseguente aumento nei nefroni residui: ne deriva un "iperdiuresi osmotica" per nefrone. In via clinica, pertanto, può sospettarsi il passaggio della fase compensata (normoazotemica) alla fase scompensata (iperazotemia) dell’IRC anche in base ad una corretta interpretazione dell’aumento della diuresi. E’ da ricordare che la poliuria nell’IRC non supera i 3 l/die e l’urina è generalmente isotonica rispetto al plasma (ps 1010), mentre nel diabete insipido e’ superiore a 5 l/die e l’urina è ipotonoca (ps 1000)

2.2.3 Indagini diagnostiche

Analisi dell’urina. Un esame semplice dell’urina può talora essere diagnostico. L’esame chimico dovrebbe essere effettuato su campioni di urina del mattino, cioè dopo la fisiologica disidratazione notturna. Questo sia per una valutazione indicativa della capacità renale di concentrazione, sia per uno studio più preciso del sedimento urinario e della proteinuria. In condizioni normali le urine sono di colore "giallo oro", dovuto alla presenza di urocromo e di altri pigmenti, il pH può variare da 4.5 a 6.5, il peso specifico può variare in condizioni fisiologiche da 1010 a oltre 1030, l’osmolarità può variare da 290 a 1300 mOsm/l. Le urine non contengono normalmente proteine, glucosio e sangue. Nel sedimento possono trovarsi rari globuli bianchi e alcune cellule di sfaldamento, occasionali globuli rossi e molto raramente cilindr i ialini. La presenza isolata o contemporanea di elementi normalmente assenti è indicativa di malattia renale. Proteinuria. Presenza nelle urine di proteine superiore ai livelli massimi normali (tra 40-80 ma mai superiore a 150mg/die); oltre il 70% è rappresentato da proteine provenienti dal plasma attraverso la filtrazione glomerulare, il rimanente proviene dai tubuli o dal tratto urinario inferiore. La proteinuria patologica è dovuta alla presenza nel plasma di una quantità anomala di proteine a basso peso molecolare che vengono filtrate attraverso la normale parete capillare e saturano la normale capacità tubulare di riassorbimento. Le più note sono la proteinuria di Bence-Jonse, la mioglobinuria e l’emoglobinuria. Ematuria. Un aumento dell’escrezioni dei globuli rossi nelle urine costituisce un reperto frequente e aspecifico, causato da numerose alterazioni. Può essere macroscopica (visibile ad occhio nudo) o microscopica (documentabile mediante esame microscopico del sedimento urinario o con metodi chimici), inoltre può prevenire dal tratto urinario inferiore o essere di origine renale. E’ovvia la necessità di un contemporaneo studio funzionale renale per stabilire il significato delle variazioni di una microematuria.. A seconda della modalità di comparsa con il gettito menzionale può essere: totale (perdurante per tutta la durata della minzione), generalmente di origine renale; iniziale (presente solo all’inizio della minzione), più frequentemente di provenienza dall’uretra e dalla prostata; terminale (presente solo alla fine della minzione), generalmente di origine vescicale.

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Piuria. Si intende l’emissione di pus con l’urina, le urine sono torbide se la piuria è molto abbondante, essa è espressione di flogosi delle vie urinarie, quella microscopica è espressione di pielonefriti. Sedimento urinario. Un attento studio del sedimento urinario spesso fornisce elementi utili per la diagnosi e per la valutazione del decorso delle malattie renali e delle vie urinarie. L’esame del sedimento dovrebbe essere fatto sulle urine fresche del mattino, dopo centrifugazione di un campione di 15ml e osservazione al microscopio. In condizioni normali solo occasionalmente si osservano pochi leucociti, eritrociti e, raramente, cilindri ialini. Una quantità più elevata di questi elementi può osservarsi in soggetti normali dopo sforzo fisico; al di fuori di questa condizione la loro presenza è indicativa di malattia dell’apparato urinario. Analisi quantitativa de sedimento urinario. La valutazione quantitativa degli elementi del sedimento urinario può essere fatta mediante la conta di Addis, basata sul conteggio frazionato di globuli rossi, bianchi e cilindri. Indagini funzionali L’esplorazione funzionale renale consente oggi in termini relativamente precisi una valutazione semiquantitativa dell’emodinamica renale (flusso ematico, filtrazione glomerulare) e della funzione tubulare (tubulo prossimale e distale).Vengono valutati mediante impiego di sostanze che non siano metabolizzate ne depositate nei reni e non vengano drenate da altre vie, in particolare dai linfatici. La clerance di queste sostanze, pertanto, esprime la quantità di plasma e di sangue, che nell’unità di tempo circola a livello renale. La clerance renale di una sostanza è data dal rapporto tra la sua escrezione urinaria e la sua concentrazione plasmatica. Regolazione del ricambio idrico. La capacità di regolazione del ricambio idrico da parte del rene viene valutata in base allo studio della capacità di concentrazione e di diluizione dell’urina. La capacità di concentrazione può essere valutata o con la prova della concentrazione o con il test dell’adiuretina. La prova della concentrazione consiste nel misurare le variazioni della densità urinaria tenendo il paziente a dieta priva di acqua per 12 o 24h. L’urina viene raccolta ogni 4h, e su ogni campione si determina, con un densimetro, il peso specifico. Il test dell’adiuretina si pratica somministrando 5-10 unità di ADH sottocute, dopo aver fatto vuotare la vescica. I campioni di urina vanno raccolti ogni ora, per almeno 4h. Normalmente, in entrambe le prove il peso specifico aumenta fino a 1030-1035, in caso di nefropatia la capacità concentrante dei tubuli può presentarsi parzialmente ridotta (ipostenuria), ed allora il peso specifico non supera 1020; o totalmente abolita fino a 1010 (isostenuria cioè peso specifico uguale a quello del plasma). In via clinica, la valutazione del peso specifico urinario quale misura delle capacità concentranti renali può ritenersi sufficiente. Certe riserve fisiologiche vanno pertanto tenuto presenti poiché il peso specifico indica il peso delle particelle in soluzione e non la loro effettiva concentrazione (o osmolarità). La capacità di diluizione del rene viene valutata misurando le modificazioni del volume e del peso specifico dell’urina dopo somministrazione di un litro di acqua per os, previo svuotamento della vescica. I campioni di urina vanno raccolti ogni ora per 4 ore. Normalmente la quantità totale dell’urina emessa nelle 4 ore è di almeno 800 ml ed il peso specifico è inferiore a 1010. Regolazione renale della composizione dei liquidi organici Equilibrio elettrolitico. L’efficienza dei tubuli renali al controllo dell’equilibrio elettrolitico, soprattutto sodio e potassio, può essere valutata in base a studi di tipo bilancio (quantità eliminata con le urine rispetto alla quantità introdotta) in condizioni basali o dopo restrizione dietetica. Lo studio del bilancio dopo carico per os, talora attuato, può non essere privo di pericoli (specie per il potassio). A dieta normale, circa il 15% della quantità di sodio introdotta con gli alimenti è eliminato con le urine mentre il potassio viene eliminato nella percentuale del 10-20%. Equilibrio acido-base. L’insufficienza del controllo renale nella regolazione dell’equilibrio acido-base può essere studiata valutando: - la concentrazione dei bicarbonato plasmatico; - la quantità di bicarbonato escreti con le urine; - l’acidità titolabile delle urine; - i sali ammonici urinari; - il pH urinario. Tali parametri vanno studiati in condizioni basali e, in certi casi, dopo carico di cloruro di ammonio per os (100mg/kg). In quest’ultimo caso le urine vengono raccolte ogni ora per otto ore; nell’organismo il cloruro di ammonio viene metabolizzata in urea e HCL (acido cloritico). L’aggiunta di ioni idrogeno al plasma fa tendere all’acidosi; per compensazione il rene elimina una maggiore quantità di ioni idrogeno, sia liberi che sotto forma di sali ammonici, con conseguente riduzione del pH urinario anche fino a 4,5. La riduzione del risparmio tubulare di basi (acidi liberi +sali ammonici, valori normali 80 mEq/die) ed un insufficiente acidificazione dell’urina dopo carico di cloruro di ammonio si osservano nell’IRC. La compromissione tubulare è relativamente più precoce nelle pielonefriti rispetto alle altre nefropatie. Anche nell’ipercalciuria, nell’acidosi renale e in molti casi di deplezione potassica si osserva abitualmente un alterata capacità tubulare di scambio idrogenioni-bicarbonato ioni con conseguente pH urinario alcalino. Capacità depuratrici. Normalmente le scorie metaboliche, soprattutto azotate, vengono eliminate con le urine in quantità anche notevole; un insufficiente capacità escretoria renale si associa pertanto al loro aumento nel plasma. L’iperazotemia, aumento dell’azoto non proteico nel sangue (comprendente urea, acido urico, creatinina, amminoacidi) è l’espressione più classica dell’IRC. L’ iperazotemia si istaura quando il filtrato glomerulare è inferiore a 50 ml/min. Pertanto azotemia normale non significa obbligatoriamente funzione renale normale; iperazotemia, viceversa, significa costantemente

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insufficienza renale. Le capacità escretrici del rene possono essere valutate dalla clerance dell’urea (costituente principale dell’azoto non proteico). Normalmente, con flussi urinari superiori a 2ml/min, la clerance dell’urea è 75ml/min (clerance massima); con flusso urinario inferiore a 2ml/min, la clerance dell’urea è 54ml/min (clerance standard). Tali valori si riducono con l’estendersi progressivo della compromissione renale. Il valore clinico della clerance dell’urea si è notevolmente ridotto dopo l’introduzione nella pratica clinica della valutazione della clerance della creatinina quale misura della filtrazione glomerulare. Indagini radiologiche Vari procedimenti di semiologia radiologica possono essere utilizzate nella valutazione clinica del malato renale. Esame radiologico diretto all’addome. Questa semplice indagine può dare notevoli informazioni ed ovviare talora alla necessità di ulteriori indagini. Le più utili informazioni riguardano volume, forma e posizione dei reni. Urografia endovenosa. Quest’indagine viene effettuata con l’iniezione endovenosa di mezzi di contrasto iodati radiopachi. L’eliminazione renale di tali sostanze avviene sia per filtrazione glomerulare sia per secrezione tubulare prossimale. Dopo la somministrazione del mezzo di contrasto i vari radiogrammi vengono scattati a opportuni intervalli di tempo. Quest’indagine consente informazioni morfologiche (dimensione, forma dei reni, dei calici, della pelvi, ureteri, vescica) e funzionali renali. Pielografia ascendente. Consiste nell’iniezione di mezzo di contrasto radiopaco direttamente nella pelvi renale tramite un catetere ureterale. Questa tecnica consente informazioni sulla morfologia del tratto urinario inferiore: può essere pertanto indicata per valide precisazioni sulla morfologia degli ureteri, della pelvi e dei calici. Essa presenta il rischio di infezioni ascendenti e deve quindi essere praticata solo su precisa indicazione clinica. Cistouretrografia. Consente nell’iniettare mezzo di contrasto in vescica tramite un catetere uretrale che viene rimosso prima della minzione. Consente di diagnosticare la presenza di reflussi vescica-ureterali, che rappresentano la causa più frequente di infezione urinaria e pielonefrite cronica soprattutto nell’infanzia. Con questa tecnica, inoltre, si possono evidenziare alterazioni vescicali (diverticoli, tumori) e nella fase minzionale, uretrali (valvole uretrali, stenosi). Arteriografia renale. La sostanza radiopaca viene immessa direttamente nella aorta addominale, al di sopra dell’origine della arterie renali, mediante cateterismo dell’arteria femorale. Attraverso successivi radiogrammi è possibile ottenere la visualizzazione di tutti i vasi renali. Ecotomografia. Questa tecnica utilizza la proprietà degli ultrasuoni di riflettersi nell’organismo in rapporto alla densità dei vari tessuti. La registrazione su uno schermo delle onde riflesse sotto forma di punti luminosi forma un disegno degli organi analizzati. L’ecotomografia consente soprattutto di differenziare le strutture a contenuto liquido dagli elementi solidi, si tratta di una metodica relativamente semplice in mani esperte, non invasiva, i cui risultati sono indipendenti dal grado di funzione renale. Indagini radioisotopiche Renografia. Consiste nella registrazioni sulle regioni lombari delle variazioni della radioattività, in funzione del tempo, dopo somministrazione endovenosa di un tracciante ad elettiva eliminazione renale: rilevatori esterni posti nelle regioni lombari consentono di registrare le curve di eliminazione dei due reni. Scintigrafia. Consente di ottenere una "mappa" dei due reni dopo iniezione endovenosa di Tecnezio radioattivo che si fissa selettivamente nelle cellule tubulari, prevalentemente corticali, le mappe vengono disegnate elettronicamente mediante rilevatori mobili. Normalmente il tracciante viene fissato in ugual misura nei reni, le aree fredde indicano mancanza di captazione per anomalie. Indagini batteriologice L’esame batteriologico dell’urina può dare utili informazioni cliniche. In condizioni normali, l’urina appena emessa è sterile. Solo un numero esiguo di cellule batteriche, generalmente micrococchi, di origine uretrale, può essere documentato. In presenza di flogosi il numero delle colonie batteriche può risultare molto elevato; i germi più frequentemente riconoscibili sono: E. coli, Proteus, Enterococco e Stafilococco. Oltre che qualitativo, lo studio deve essere quantitativo, per stabilire il carattere reale o fittizio della positività di un urinocultura. E’ considerata patologica una concentrazione batterica superiore a 100000 batteri per ml.. Lo studio culturale dell’urina in opportuni terreni, oltre che per l’identificazione del germe, è utile per l’indirizzo terapeutico, potendosi stabilire mediante l’antibiogramma la sensibilità specifica degli agenti eziologici responsabili dell’infezione urinaria ai vari medicamenti (antibiotici, sulfamidici). Biopsia renale E’ l’indagine di semeiotica nefrologica di maggior valore clinico e senza una corretta interpretazione del quadro nefrobioptico, la diagnosi, prognosi ed indirizzo terapeutico della maggioranza delle nefropatie risultano inadeguate. Esistono due alternativa tecniche per effettuare una biopsia renale: chirurgica e transcutanea. Quella chirurgica è effettuata in anestesia generale; consente prelievi di tessuto renale di dimensioni anche notevoli; non può essere fatta

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routinariamente; non può essere ripetuta (quindi non consente studi seriati clinico-morfologici). La biopsia transcutanea è fatta in anestesia locale con ago apposito; consente il prelievo di frustoli di tessuto di 10-15ml di lunghezza e di 2 ml circa di diametro, può essere ripetuta più volte nello stesso caso, ed è il mezzo di scelta per studi seriati clinico-morfologici; di decisiva importanza per un esatta comprensione del decorso clinico delle lesioni renali. La biopsia renale transcutanea viene effettuata al polo inferiore previa localizzazione radiologica del rene mediante urografia o esame radiologico diretto dell’addome o sotto controllo ecografico. Le complicanze post-biopsia sono assai rare se l’indagine è fatta da mani esperte. Le più frequenti consistono in macroematuria, dolore, ematoma retroperitoneale. Le controindicazioni all’esecuzione dell’esame sono: rene unico, diatesi emorragica, neoplasie, uremia terminale, rene policistico, ipertensione severa e non collaborazione del paziente. Generalmente il materiale bioptico è ritenuto sufficiente per una corretta interpretazione istologica se almeno cinque glomeruli risultano presenti. Tuttavia le alterazioni glomerulari, possono, essere cosi caratteristiche da consentire la diagnosi anche in presenza di un solo glomerulo (amiloidosi renale). Il tessuto renale deve essere esaminato nei suoi quattro principali costituenti: glomeruli, tubuli, interstizio e vasi.

2.2.4 Assistenza al paziente sottoposto a indagini per valutare la funzionalità renale

Tutti i pazienti, a prescindere dal tipo o gravità della disfunzione, vengono sottoposti a test per determinarne il funzionamento. Anche coloro che hanno esperienza ripetuta di questi test, sono in ansia e temono sia il procedimento che il risultato. Risoluzione dei problemi:

1. insufficienti conoscenze per procedimenti e esami diagnostici; 2. indolenzimento e dolore causato da infezioni, edema, ostruzioni o sanguinamento secondari a tecniche

diagnostiche invasive; 3. precauzioni per potenziali cambiamenti nel funzionamento renale e imbarazzo nel discutere funzioni urinarie.

1 - Insufficienti conoscenze per procedimenti e esami diagnostici. Obiettivi: il paziente acquisisce informazioni e conoscenza delle procedure, degli esami e del comportamento da tenere durante tali procedimenti.

Interventi infermieristici Principi scientifici

Valutazione della comprensione degli esami prescritti e delle procedure alle quali dovrà essere sottoposto.

Questo approccio costituisce le basi per ulteriori spiegazioni e istruzioni, dà al paziente indicazioni sulle sensazioni che avvertirà nel corso dell’esame.

Fornire una descrizione dei test in termini comprensibili al paziente.

La comprensione di ciò che ci si aspetta aumenta la collaborazione e il consenso.

Valutare la comprensione del paziente sui risultati degli esami e sui trattamenti che ne conseguono.

L’ansia può interferire con la capacità del paziente di capire le informazioni e i risultati dati dal medico e dal personale infermieristico.

Confermare l’informazione sui risultati degli esami e i trattamenti che ne conseguono.

Questo passaggio fornisce al paziente l’occasione di chiarire eventuali aspetti a lui oscuri e capire i trattamenti successivi.

2 - Indolenzimento e dolore causato da infezioni, edema, ostruzioni o sanguinamento secondari a tecniche diagnostiche invasive. Obiettivi: dare sollievo al dolore e malessere

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Interventi infermieristici Principi scientifici

Determinare il grado di difficoltà e di bruciore alla minzione,del dolore addominale e ai fianchi e gli spasmi vescicali.

E’ una rivelazione aggiuntiva a quella constatata dal medico che consente la costruzione dei criteri per valutare il successo degli interventi e il progredire della malattia.

Incoraggiare l’ingestione di liquidi (se non controindicata).

Una maggior assunzione dei liquidi aumenta la diluizione dell’urina e il lavaggio del tratto urinario.

Consigliare bagni caldi. Il bagno caldo riduce l’indolenzimento locale e aiuta il rilassamento.

Informare il medico se si nota un peggioramento del dolore.

Questo sintomo può segnalare il progredire della malattia e la comparsa di complicazioni.

Somministrare analgesici e antispastici come prescritto.

Possono essere prescritti per dolori e per spasmi.

Valutare il comportamento della minzione e le norme igieniche, dare istruzioni al loro riguardo.

Uno svuotamento della vescica ritardato e una scarsa igiene contribuiscono al malessere e al dolore causati da disfunzioni renali e urinarie.

3 - Precauzioni per potenziali cambiamenti nel funzionamento renale e imbarazzo nel discutere funzioni urinarie. Obiettivi: ridurre il timore e l’incertezza.

Valutare lo stato di paura e apprensione. Persistenti preoccupazioni e un eccessivo stato ansioso possono interferire con l’apprendimento e la cooperazione.

Spiegare i procedimenti e gli esami al paziente.

Conoscere ciò che ci si può aspettare riduce l’ansietà e paure.

Assicurare la privacy e rispettare l’intimità del paziente, chiudendo le porte e permettendo che resti coperto e vestito.

Dimostrare comprensione per il bisogno di privacy e l’intimità del paziente facilita la relazione.

Usare la corretta terminologia in modo naturale quando si interroga il paziente su i suoi disturbi urinari.

Valutare i timori del paziente per i test e gli altri procedimenti ai quali deve essere sottoposto.

Questo permette di rilevare paure infondate o malintesi che possono essere risolti con una corretta comprensione.

Insegnare al paziente esercizi per rilassarsi. Rilassare il paziente e aiutarlo a far fronte all’incertezza dei risultati.

2.3.1 Accessi vascolari in emodialisi

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La necessità di usufruire di un adeguato flusso ematico da 250-300ml/min nella dialisi standard fino a 400-500ml/min in emofiltrazione ed in emodiafiltrazione, comporta una funzionalità ottimale dell’accesso vascolare che pertanto riveste un importanza fondamentale nella conduzione della seduta dialitica. I requisiti ai quali un accesso vascolare dovrebbe rispondere sono:

1. adeguato flusso sanguigno; 2. facile incannulazione ad ogni dialisi con il minor disagio possibile per il paziente; 3. lunga durata.

Negli anni 40 kolff e koll, introdussero una metodologia dialitica efficace ed utilizzabile sul piano clinico; la prassi consisteva nell’incannulare, ad ogni seduta, un arteria ed una vena. Se emodinamicamente questa poteva rappresentare una buona soluzione ciò portava ad un rapido esaurimento dei siti vascolari. Nel 1960 Quinton e Schribner utilizzarono l’omonimo shunt esterno. La tecnica consisteva nell’incannulare un’arteria ed una vena mediante cateteri che, collegati tra di loro, tra una dialisi e l’altra, venivano disconnessi al momento della seduta dialitica: se ciò permetteva un più facile reperimento dell’accesso vascolare, le frequentissime complicazioni quali la trombosi, le infezioni, le emorragie e le ulcerazioni comportavano una ridotta sopravvivenza dell’accesso stesso. Dal 1966 a tutt’oggi, grazie alla tecnica suggerita da Cimino e Brescia, è pratica clinica allestire la fistola artero-venosa interna che ha preso il nome de suddetti autori. La tecnica consiste nell’allestimento in anestesia locale - per lo più agli arti superiori — di una anastomosi- latero- terminale, o latero-laterale o termino-terminale (vedi fig. 9) tra un arteria e una vena allo scopo di arterializzare la vena. La FAV di Cimino Brescia permette un adeguato flusso ematico, e facilmente reperibile, non comporta particolari disagi per il paziente e consente una facile e più sicura emostasi in sede di puntura alla fine della seduta dialitica. Generalmente, nei pazienti in cui ci si appresta a creare la prima fistola è sufficiente l’esame clinico dell’apparato vascolare. L’obiettività del sistema arterioso comprende la palpazione dei polsi arteriosi e la misurazione della pressione arteriosa su entrambi gli arti per escludere l’eventuale presenza di stenosi dell’arteria succlavia. L’ispezione tenderà a verificare che non esista un circolo superficiale troppo sviluppato e tortuoso, indice di un probabile pregresso processo flebitico a carico di una vene profonda. La palpazione delle vene serve a valutare la loro pervietà o a constatare la presenza di tratti indur iti e sclerotici, quali esiti di processi flebitici superficiali frequenti nei pazienti sottoposti a ripetuti prelievi o a fleboclisi. Il ricorso alle indagini strumentali (flebografia, ecodoppler, arteriografia) consentirà infine una valutazione più precisa del sistema vasale e permetterà la localizzazione anatomica più idonea all’allestimento della FAV. Per la creazione di un accesso vascolare possono essere utilizzati sia gli arti superiori sia quelli inferiori. Generalmente la prima FAV viene allestita sull’arto superiore non dominante, in sede distale creando un anastomosi tra arteria radiale e vena cefalica a livello del polso. Tutto ciò allo scopo di poter disporre di un maggior tratto vascolare e per lasciare libero il braccio dominante durante la seduta dialitica. L’arto superiore non dominante è inoltre preferito per l’allestimento del primp accesso vascolare in quanto sono prevedibili meno traumatismi che potrebbero compromettere il regolare funzionamento della FAV. Il deficit funzionale della FAV distale o la complicanza trombotica irreversibile inducono all’allestimento di un secondo accesso vascolare, questa volta prossimale, a livello della piega del gomito creando un anastomosi tra arteria omerale e vena mediana (oppure con la vene cefalica o la vena basilica). Come ultima risorsa si utilizza la regione inguinale con interposizione tra arteria e vena di materiale protesico. L’intervento si svolge in anestesia locale, si procede all’incisione longitudinale o trasversale, della cute ed al reperimento e isolamento di arteria e vena. Generalmente si esegue un anastomosi latero-terminale: la vena viene legata il più distalmente possibile. Il sangue si riverserà dall’arteria alla vena e nel giro di pochi secondi la palpazione del vaso consentirà di avvertire un fremito sia sul tratto esposto della vena sia prossimamente. Di più semplice esecuzione, dal punto di vista tecnico e la FAV latero laterale che si può praticare quando arteria e vena decorrono vicine Una terza variante, che si pratica raramente, è l’anastomosi termino-terminale, in cui le estremità prossimali dell’arteria e della vena vengono collegate fra di loro. La maturazione della fistola è dovuta alla bassa resistenza tipica del settore venoso fa si che gran parte del sangue arterioso passi attraverso l’anastomosi nella vena anziché progredire distalmente lungo l’arteria. Pertanto la vena, sottoposta a i flussi e alle pressioni del letto arterioso, da prima si dilata ed in seguito va incontro ad ispessimento delle pareti per proliferazione dell’intima e della media (arterializzazione della vena). Contemporaneamente l’arteria si dilata e si assottiglia. Queste modificazioni dell’arteria e della vena vanno sotto il nome di maturazione della fistola ed il completamento di tale processo richiede in media un periodo di tempo di circa 15-20 giorni. Prima che sia trascorso tale termine si deve evitare in modo assoluto la puntura della fistola: la puntura di una vena non ancora arterializzata, quando è sottoposta a pressioni elevate da infatti frequentemente luogo ad ematomi, spesso estesi, con conseguente compressione sul vaso stesso. E’ intuibile come questa complicanza precluda l’ulteriore utilizzo della fistola, almeno fino a riassorbimento completo dello stravaso ematico.

2.3.2 Educazione sanitaria da infermiere a paziente, da infermiere a infermiere

Poiché lo shunt dei pazienti in dialisi è, nel senso più vero della parola, la "vena della vita", bisogna sempre porre la massima attenzione al momento della sua puntura; d’altra parte allo shunt deve essere riservata un’ estrema cura già

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immediatamente dopo la sua realizzazione. Per la realizzazione o la revisione dello shunt bisogna prendere le seguenti precauzioni:

• non utilizzare fasciature eccessivamente compressive; • mantenere sollevato l’arto operato; • immobilizzare adeguatamente l’estremità; • medicare adeguatamente la ferita; • somministrare la copertura antibiotica prescritta; • somministrare, se eventualmente prescritti, anticoagulanti e trombolitici; • somministrare gli analgesici prescritti in caso di dolore; • controllare periodicamente la pressione (non nel braccio portatore di fistola) per segnalare l’ipotensione

arteriosa conseguente all’ipovolemia per vasocostrizione; • controllare il flusso dello shunt con la palpazione; • assistere alla rimozione dei punti effettuata non prima di 12 giorni; • prima puntura della fistola da due a quattro settimane dall’intervento e comunque quando prescritto.

Il paziente può usare il braccio con lo shunt per svolgere le normali attività giornaliere, mentre le attività che comportino il pericolo di ferite (emorragie della FAV) devono assolutamente essere vietate. Lo shunt deve essere regolarmente controllato dal paziente che deve far attenzione ai rilievi riscontrabili con la palpazione ("sibilo"), e l’auscultazione ("fruscio") ed alla comparsa di alterazioni a carico della regione dello shunt (iperemia della cute, tumefazione, ematomi, dolore). In presenza di anomalie il paziente deve mettersi in contatto con il proprio centro dialisi e tutto ciò deve essere spiegato dal personale sanitario. L’arto su cui è stata eseguita la fistola non può essere utilizzato per la misurazione della pressione arteriosa, né può essere punto a scopo diagnostico o terapeutico se non in casi eccezionali. Esso deve essere deterso dal paziente con acqua e sapone, quotidianamente, e in particolare prima della dialisi. Generalmente non viene vietata al paziente la possibilità di fare docce, bagni, nuotate. Particolari "misure di cura" per lo shunt non sono in genere necessarie; molti pazienti, tuttavia, usano pomate contenente sostanze idratanti o emollienti.

2.3.3 Puntura dello shunt

Ogni volta che si punge per la prima volta uno shunt si deve rilevare innanzitutto un "anamnesi della puntura": in particolare bisogna chiedere al paziente se i vasi presentano un decorso particolare, se si sono verificate in precedenza delle complicanze a seguito delle punture, definire in numero ed il tipo di aghi, la direzione del flusso di sangue, il posizionamento degli aghi e se attualmente vi sono anomalie dello shunt. Il paziente potrà in tal modo mettere a frutto la propria esperienza. Dopo l’anamnesi della puntura e prima della disinfezione ha luogo un accurato controllo della fistola. Mediante l’ispezione e una palpazione minuziosa, colui che esegue la puntura deve stabilire in particolare: che la funzione dello FAV sia regolare, il suo decorso e la presenza di eventuali caratteristiche particolari. Colui che effettua la puntura, prima di pungere lo shunt e quindi prima di collegare il paziente alla macchina, deve inoltre accertarsi dello stato di salute attuale del paziente e dell’esistenza di condizioni particolari che consigliano un più approfondito esame da parte del medico. Prima di eseguire la puntura bisogna assicurarsi che il paziente è stato pesato, ci si accerti che siano disponibili tutti i mezzi necessari alla puntura. Si controlli se la macchina è pronta per essere avviata, bisogna accertarsi che la fase di preparazione sia terminata, che la disinfezione sia stata effettuata e che il disinfettante sia stato allontanato. Si controlli se si dispone degli aghi giusti per la puntura. Per la disinfezione della cute si devono raccogliere notizie su eventuali allergie e pregresse malattie cutanee. Si effettua prima la detersione e poi la disinfezione su un’ampia superficie cutanea, e non solo con uno spruzzo di disinfettante sul punto che si decide di pungere. Si lascia trascorrere un periodo sufficiente affinché il disinfettante agisca, e si faccia sempre attenzione a lavorare in condizione ad avere la più bassa carica microbica possibile. La disinfezione della cute in corrispondenza dello shunt deve avvenire in una sola direzione e utilizzando tamponi sterili. Per assicurarsi che il disinfettante abbia agito per un tempo sufficiente, dopo la prima disinfezione si misuri e si annoti la pressione arteriosa, si controlli la macchina e quindi si proceda alla seconda disinfezione. Si deve, inoltre pensare per tutto il tempo all’assistenza psicologica del paziente, cercando di ridurre paure e tensioni, manifestando un atteggiamento amichevole e determinato. Poi si posiziona il braccio portatore di FAV in modo da mettere il paziente a suo agio prima della puntura e si rifletta a fondo sul modo migliore di effettuarla. In casi particolari si utilizza il laccio emostatico, il quale non è necessario nel caso di uno shunt ben evidente oppure di una protesi vascolare. Se si conosce lo shunt, e si possiedono sicurezza ed esperienza, si dovrebbe praticare una puntura veloce e decisa poiché solo così è possibile una penetrazione quasi indolore dell’ago. I principianti, invece, dovrebbero pungere lo shunt "lentamente e con delicatezza", questo procedimento dovrebbe essere adottato anche per gli shunt particolarmente difficili da pungere. Gli aghi per la dialisi hanno una forma particolare: solamente la punta è aguzza, mentre la parte superiore dell’apertura dell’ago è smussata. In questo modo l’ago che penetra nel vaso non lacera i tessuti circostanti ma si limita, a spostarli, esercitando una leggera pressione. Grazie a questa caratteristica costruttiva al termine della dialisi è possibile estrarre l’ago in modo che i tessuti si riaccostino tra

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loro e non residuino soluzioni di continuità. Il modo più idoneo con il quale posizionare gli aghi, in genere, viene indicato dal paziente stesso, comunque, non ha alcuna ripercussione sulla durata dello shunt, ma è importante, che l’ago venoso sia posto sempre in posizione prossimale rispetto a quello arterioso.(vedi fig10). Il miglior metodo per pungere lo shunt è quello scalare in cui viene sfruttata l’intera lunghezza dei vasi dello shunt per effettuare la puntura: ad ogni dialisi si punge un punto posto alcuni millimetri al di sotto di quello di dove è stato infisso l’ago nella seduta precedente. Utilizzata l’intera lunghezza dei vasi dello shunt si ricomincia a pungere dal punto più a monte. In questo modo la traumatizzazione e la cicatrizzazione si distribuiscono, riducendo la possibilità della formazione di aneurismi e quindi il pericolo di occlusioni. Punto lo shunt si deve procedere alla posizione ottimale, gli aghi devono essere fissati in modo stabile al fine di impedire che gli inevitabili leggeri movimenti rotatori del braccio del paziente, durante la seduta dialitica, ne causino lo spostamento. L’ago dovrebbe essere coperto con un tampone sterile. A fine dialisi, dopo l’estrazione dell’ago, si applica un tampone sterile sulla sede della puntura e bisogna applicare una pressione tale da non occludere completamente il vaso e non deve essere prolungata per evitare la formazione di ematomi sottocutanei. Le principali complicanze che possono insorgere secondariamente all’allestimento della FAV sono: il mancato sviluppo delle vene superficiali arterializzate; formazioni di aneurismi; infezioni; trombosi; emorragia; iperafflusso venoso. Una particolare complicanza è la "sindrome da furto" cioè l’irrorazione del territorio dell’arto situato distalmente allo shunt può essere tanto ridotta da causare dolori, parestesie ipotrofia muscolare durante la dialisi o anche nel periodo interdialitico, tanto importanti da richiedere una revisione dello shunt.

2.4.1 Alimentazione del paziente dializzato

Nonostante tutti gli attuali successi della dialisi non vi è dubbio, che i risultati a lungo termine del trattamento dialitico cronico dipendono essenzialmente da un’alimentazione adeguata. L’alimentazione errata è uno dei principali fattori condizionanti la progressione dell’IRC e l’aspettativa di vita del paziente uremico. Possibili conseguenze di un alimentazione errata sono:

• influenza negativa sulla riabilitazione, per riduzione dell’efficienza generale e diminuzione della forza muscolare;

• alterazioni delle difese contro le infezioni, conseguenti alla riduzione dei fattori del complemento, della transferrina sierica e delle proteine;

• rallentamento dei processi di guarigione delle ferite; • incremento dell’anemizzazione conseguente all’IRC (il deficit di proteine determina una riduzione della sintesi

di emoglobina); • stabilizzazione dell’acidosi metabolica; • aumentato rischio di complicanze gastro-intestinali; • peggioramento dell’osteopatia uremica.

Le cause fondamentali di un’errata alimentazione nel paziente in dialisi sono le seguenti:

• insufficiente approvvigionamento energetico; • insufficiente approvvigionamento proteico conseguente ad un inadeguata valutazione da parte del paziente

della valenza delle proteine; • perdita di amminoacidi e proteine attraverso l’emodialisi; • insufficiente reintegrazione di minerali, ferro, oligoelementi e vitamine che vengono persi nel corso della

dialisi; • ipercatabolismo conseguente all’inadeguata biocompatibilità; • intossicazione uremica; • ipercatabolismo secondario a malattie intercorrenti; • disturbi endocrini legati all’uremia.

2.4.2 Fabbisogno idrico, energetico e proteico

Prima dell’inizio del trattamento dialitico molti pazienti osservano una dieta ipoproteica e ricca di liquidi; con l’inizio della dialisi subentrano dei mutamenti fondamentali. In primo luogo, infatti, il paziente dializzato necessita di un adeguato introito proteico, dato che i metabolici tossici, prodotti dal catabolismo proteico, vengono eliminati attraverso la dialisi. In linea generale l’introito proteico dei pazienti dializzati adulti, dovrebbe essere pari a 1.2-1.5 gr di proteine per kg di peso corporeo. Poiché nel processo dialitico vengono eliminate sostanze importanti per la sintesi proteica, il paziente dovrebbe assumere almeno una volta al giorno proteine ad alto valore nutrizionale sotto forma di carne, pesce, selvaggina, pollame, uova o latticini. Un’importante causa dell’insufficiente introito di proteine è rappresentata dalla perdita di amminoacidi che si verifica nel corso della dialisi e che è pari a circa 2 gr/h di trattamento. Nell’uremia vi è

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anche un alterazione del metabolismo energetico, per cui, oltre, ad un adeguato apporto proteico, è necessario fornire al paziente dializzato, anche un sufficiente apporto di calorie. Altre importanti cause dello scarso introito proteico e, in generale, dell’insufficiente alimentazione del paziente uremico, sono il trattamento dialitico insufficiente, la depressione e l’assunzione di grandi quantità di farmaci, fattori che determinano una riduzione dell’appetito. D’altra parte, un’insufficiente introito proteico è spesso la conseguenza di abitudini alimentari errate. In questo contesto il dosaggio della transferrinemia, che è un sensibile indicatore del deficit proteico, riveste un importanza particolare. Terapia sostitutiva con amminoacidi. Si rende necessaria solo se non è possibile un adeguato apporto proteico ed energetico (se l’approvvigionamento proteico si riduce a meno di 1 gr/kg di peso corporeo) o se si sviluppa un ipercatabolismo a seguito di complicanze uremiche. E’ di eccezionale importanza, nella fase introduttiva al programma dialitico, una consulenza dietetica, poiché in questa fase (circa di 6 mesi) hanno luogo cambiamenti importanti per il destino del paziente. Il ruolo del personale della dialisi è particolarmente importante in questo momento così delicato per la vita dei paziente, caratterizzato dalla nuova, costante dipendenza della dialisi e dai drastici mutamenti delle abitudini alimentari, caratterizzati dal passaggio da un’alimentazione povera di proteine e ricca di liquidi ad una ricca di proteine e povera di liquidi.

2.4.3 Importanza dei vari elementi nella dieta del dializzato

Assunzione di liquidi Poiché l’escrezione urinaria nei pazienti uremici terminali diminuisce costantemente dopo l’inizio della terapia dialitica è evidente che essi sono tenuti ad osservare un bilancio idrico rigoroso. L’opera di convincimento dei pazienti dializzati circa la necessità di un approvvigionamento idrico controllato fa parte dei problemi di routine della dialisi, di più difficile soluzione. Poiché le perdite idriche attraverso la cute, la respirazione e la defecazione sono difficilmente calcolabili, e dipendenti da molti fattori, e poiché l’entità della diuresi residua è di conseguenza variabile, non c’è una regola fissa riguardo all’approvvigionamento di liquidi; tuttavia, in generale l’assunzione di liquidi permessa ai pazienti dializzati dovrebbe non far aumentare il peso di 500-1000 gr.. Ritenzioni idriche di tale entità possono di solito essere eliminata facilmente con la dialisi, e solo raramente sono fonte di problemi clinici nell’intervallo fra due dialisi. Un importante suggerimento per il paziente consiste nel porre sempre attenzione al contenuto di acqua nei cibi, per esempio: minestre, salse, budini, yogurt, frutta e verdura devono essere incluse nel calcolo dei liquidi. In generale si può dire, che circa il 60% della nostra dieta media è costituito da acqua. Approvvigionamento energetico. Oltre ad un sufficiente apporto di proteine è necessario anche un adeguato approvvigionamento energetico, per evitare il catabolismo proteico. Per il paziente in dialisi è necessario che l’approvvigionamento energetico non sia inferiore a 35 kcal/kg di peso corporeo al giorno. Il mantenimento del suddetto apporto energetico è particolarmente necessario in "situazioni cataboliche da stress" quali infezioni, altre malattie intercorrenti o interventi chirurgici. Se necessario, in tali situazioni deve essere presa in considerazione la possibilità di un integrazione con substrati energetici, somministrati endovena, o all’uso di soluzioni dialitiche contenenti glucosio. Nella dieta del dializzato la percentuale di grassi come fonte di energia dovrebbe ammontare a circa il 35%, quella dei carboidrati a circa il 50%, e quella delle proteine a circa il 10-15%. Introito di sodio o di cloruro di sodio. L’accumulo di sodio nell’intervallo tra due dialisi può determinare un aumento del senso della sete e di conseguenza una maggior assunzione di liquidi. Un aumento dei sodio e dell’acqua nell’organismo, conseguenti ad una ridotta eliminazione o ad un aumentato introito, provocano un aumento della pressione arteriosa e un eccesso di liquidi negli organi, per esempio, nei polmoni. Perciò nei pazienti in dialisi può essere necessaria una dieta iposodica. Ciò, tuttavia non è in nessun caso una regola generale, piuttosto, nella prescrizione di una dieta iposodica deve essere considerata anche la perdita del sodio nel dializzato. Pertanto, se si ottiene un’adeguata sottrazione di sodio per mezzo del liquido di dialisi, che è a bassa concentrazione di tale elemento nell’ultrafiltrato, non sarà necessario consigliare una dieta rigorosamente iposodica. Queste considerazioni non devono portare all’errata conclusione di poter utilizzare una dieta ipersodica in quanto essa causa sete e rende più difficile il controllo del bilancio idrico. Poi, il rischio di una sindrome da squilibrio e di crampi muscolari, si riduce notevolmente e la tollerabilità della dialisi migliora se l’eventuale riduzione del volume viene realizzata attraverso l’utilizzazione di soluzioni di dialisi isotoniche, cioè con una concentrazione di sodio pari alla sodiemia normale. Introito di potassio. Per la maggior parte dei pazienti dializzati è necessaria la stretta osservanza di una dieta a basso contenuto di potassio. L’iperpotassemia può mettere in pericolo la vita del paziente e per salvaguardare la propria salute, i pazienti in dialisi, dovrebbero rinunciare a cibi con contenuto di potassio particolarmente elevato come frutta secca, noci, frutta e ortaggi. A questo proposito va espressamente richiamato l’attenzione sulla necessità di evitare i sali dietetici, poiché essi contengono quantità elevatissime di potassio. Patate e ortaggi devono essere sminuzzati prima della preparazione e poi devono essere ben lavati; l’acqua per la cottura deve essere sostituita più volte in modo da "dializzare la verdura prima del consumo". Introito di fosforo. L’approvvigionamento proteico di circa 1.2-1.5 gr/kg di peso corporeo al giorno, raccomandato al paziente in dialisi, si

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accompagna automaticamente ad un maggiore approvvigionamento di fosforo; una dieta povera di fosforo è pressoché impossibile per il paziente in dialisi. L’eliminazione del fosforo con il rene artificiale è limitata, essa è realizzabile al meglio utilizzando filtri dotati di superficie estese e di una buona clerance dell’elemento e attraverso una durata della dialisi sufficientemente lunga. Pur tenendo conto di un possibile accumulo di alluminio è spesso necessaria l’assunzione di farmaci che legano il fosforo a livello intestinale. Un’alternativa è rappresentata da un incremento farmacologico del calcio; ciò è raccomandabile, soprattutto, nel caso di una contemporanea ipocalcemia, dopo che è stata ottenuta la normalizzazione del livello di fosforo attraverso l’uso di chelanti contenenti alluminio e carbonato di calcio o citrato di calcio; tale associazione aiuta a ridurre la dose di chelante. Vitamine. Le vitamine idrosolubili vengono perse nel corso della dialisi; per evitare maggiori deficit la maggior parte dei pazienti, assume regolarmente queste vitamine. Secondo le ricerche condotte fino ad oggi, nei pazienti dializzati è necessaria un integrazione supplementare della vitamine B1, B2, B6. Un integrazione ottimale si ottiene con un dosaggio giornaliero di 8 mg di vit. B1; 8 mg di vit. B2 e l0 mg di vit. B6. Il dosaggio raccomandato per la vit. C è di 100 mg nei pazienti in emodialisi e non deve essere somministrata per via endovenosa, poiché ciò può provocare un aumento del livello di acido assalico nel sangue con conseguente formazione di depositi di ossalati. Introito di fibre, alcool e spezie. Le fibre alimentari sono per lo più contenute negli alimenti vegetali non digeribili o parzialmente digeribili dagli enzimi digestivi. Un importante effetto collaterale del trattamento con chelanti del fosforo e altri farmaci che riducono l’assorbimento del potassio, nonché come conseguenza della necessità di limitare l’introito di liquidi, è la stipsi, la quale, richiede frequentemente l’uso di lassativi. Un abbondante introito di fibre alimentari, pur auspicabile ai fini di un miglioramento dei processi digestivi, nei pazienti dializzati è di fatto impossibile a causa della necessità di osservare una dieta rigorosamente povera di potassio. Infatti, gli alimenti ricchi di fibre sono: verdure, frutta, frumento e cereali, che però contengono molto potassio. Alcool. Pur tenendo conto della necessità di un adeguato bilancio idrico e di eventuali malattie concomitanti, come steatosi e pancreatine, non vi è sicuramente nulla da obiettare nell’occasionale consumo di alcool. Spezie. Erbe e spezie sono per il paziente in dialisi "il sale nella minestra", esse possono bilanciare la perdita di sapore dei pasti causata dalla necessaria limitazione dell’assunzione del sale. Poiché erbe e spezie sono usate in minima quantità, non vi sono timori riguardo ad un eccessivo apporto di potassio. Ferro e zinco. Una manifesta carenza di ferro nei pazienti dializzati è, in generale, un evenienza più rara rispetto al passato. La valutazione più attendibile sul contenuto di ferro dell’organismo è data dalla determinazione della ferritina sierica: valori inferiori a 15mg/l indicano sempre carenza di ferro. Nel caso di una carenza marziale provata deve essere presa in considerazione l’eventualità di un integrazione per via orale; la somministrazione per via parenterale viene riservata a casi di intollerabilità gastrica, inoltre la somministrazione endovenosa comporta sempre il pericolo di emosiderosi. Zinco. Alla presenza di una carenza di zinco si deve pensare quando si manifestano sintomi come prurito. cute secca e desquamata, disturbi della sensibilità gustativa, rallentata guarigione delle ferite e disturbi sessuali. Il contenuto di zinco nell’organismo è difficilmente dosabile e attualmente la miglior prova della carenza consiste ancora nell’eliminazione o nel miglioramento dei sintomi in seguito alla somministrazione di tale elemento. Questa deve essere effettuata tramite aggiunta nel dializzato, poiché l’assunzione di sali di zinco può spesso causare dolori gastro-intestinali. Riassumendo. Gli scopi della dieta nel paziente dializzato cronico sono:

• evitare l’ipervolemia; • evitare il catabolismo proteico; • evitare l’ipercalcemia; • evitare l’iperfosforemia; • assicurare un sufficiente introito o una sufficiente integrazione di vitamine e minerali.

La compilazione di un piano dietetico personalizzato è una componente fondamentale della terapia individuale. Attraverso una dieta adeguata, migliora la qualità di vita e si riduce l’incidenza delle complicanze, infatti le errate abitudini alimentari costituiscono un fattore di rischio. In caso di peggioramento delle condizioni di salute bisogna effettuare non solo il controllo del regime di dialisi (generalmente si rende necessaria un intensificazione della terapia dialitica) ma anche della situazione metabolica o nutritiva. Una spiegazione comprensibile è una corretta preparazione del paziente da parte del medico di dialisi, degli infermieri di dialisi e del dietista hanno un’importanza decisiva. Lo scopo da perseguire è di raggiungere un compromesso accettabile, per una variazione dietetica ammissibile per il paziente. Infatti, perché la dieta sia accettata sono necessarie:

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• alternative alimentari possibili, facilmente gestibili; • informazioni utili per quanto riguarda i condimenti, l’uso di aromi, metodi di cottura; • schemi alimentari tali da poter consumare la dieta anche fuori casa, saltuariamente o per motivi di lavoro (vedi

schede alimentari).

Indicazioni dietetiche per emodializzati - Da 50 a 70 kg di peso corporeo ideale

KCALORIE 1620-2428 35 cal/kg/die

PROTEINE 60,2-86,1 gr L2-1,5 gr/kg di peso ideale

SODIO ALIMENTI 1244-1790 mg pari a 73-105 meq

FOSFORO 787-973 ing pari a 43 3 -53 3 incq

POTASSIO 1694-2042 ing pari a 43-52 nìeq

ACQUA ALIMENTI 498-646 gr

2.5. Provvedimenti terapeutici all’avvento dell’uremia

Oltre alla terapia della nefropatia di base, qualora possibile, è necessaria la correzione di tutti i fattori presenti in contemporanea nel quadro clinico. In caso di nefropatia secondaria a malattia sistemica (diabete, collagenopatie, vasculopatie) si impone la terapia concomitante della patologia di base. Alla luce di ciò, resta necessario la correzione dei fattori identificati come favorenti la progressione dell’IRC; occorre pertanto:

• impostare una corretta, pronta efficacia terapia antipertensiva, • non sottovalutare l’importanza della proteinuria anche dal punto di vista di fattore prognostico negativo,

quanto alla progressione del danno renale.

Nei casi in cui condizioni cliniche non la controindichino (stenosi documentate delle arterie renali) è particolarmente indicata una attenta terapia con ACE-inibitore dato il loro documentato effetto antiproteinurico agente sulla permeoselettività glomerulare. All’inizio della terapia dialitica viene effettuata la vaccinazione predialisi antiepatite B con dosi 0 — 1 — 2 - 6 mesi e controllo del titolo anticorpale dopo 6 mesi. Se il titolo è insufficiente si fa un secondo ciclo con una dose bouster (dose doppia), inoltre, si consiglia in tutti i soggetti a rischio, la vaccinazione antinfluenzale Terapia del l’iperparatiroidismo secondario L’iperparatiroidismo secondario in pazienti affetti da insufficienza renale cronica è dovuto alla ritenzione di fosfati, all’ipocalcemia e quindi a livelli ridotti di attivatore della vitamina D (1,25-D). La terapia dell’iperparatiroidismo secondario si articola in tre direzioni volte ad ottenere livelli target di PTH intorno ai 100-200 pg/ml: controllo dell’iperfosforemia. Si utilizzano i cosiddetti chelanti del fosforo che svolgono la loro azione impedendo l’assorbimento di fosfato mediante formazione di sali di fosfato insolubili nell’intestino. A tale scopo è necessario che vengano assunti immediatamente prima dei pasti o durante la consumazione di essi per permettere un’adeguata miscelazione con i cibi introdotti. Attualmente si utilizza di calcio carbonato che svolge efficacemente la sua azione legando il fosfato nell’intestino e nel contempo stabilendo un bilancio positivo di calcio aumentando il calcio sierico e correggendo l’acidosi metabolica. Il carbonato di calcio è risultato efficace come agente chelante del fosforo nel 60-70% dei pazienti con un dosaggio che va dai 2 ai 12 gr/die a seconda dei valori di calcemia e fosforemia. In casi di resistenza si può associare temporaneamente l’idrossido di alluminio. Obiettivo della terapia è di mantenere un rapporto calcio-fosforo costantemente sotto il valore di 70 mg/dl. Terapia con vitamina D. La terapia può essere iniziata con una bassa dose di calcitriolo (0,25-0.5 mcg/die) per poi aumentare progressivamente il dosaggio. Occorre monitorare attentamente l’ipercalcemia, comune complicanza del calcitriolo per os specie se in terapia vi è associato del carbonato di calcio. Non è raro che la vitamina D aggravi l’iperfosforemia del paziente, per monitorare la terapia si raccomandano anche regolari misurazioni della fosfatasi alcalina o dell’osteocalcina. Non va dimenticato che l’inibizione eccessiva del PTH soprattutto nei pazienti anziani, può favorire l’insorgenza di malattia adinamica dell’osso. Procedure chirurgiche. La paratiroidectomia dovrebbe essere presa in considerazione come ultima misura nel trattamento di pazienti con

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iperparatiroidismo secondario grave. Prima però bisogna escludere la presenza di intossicazione di alluminio con biopsia ossea, infatti, con un carico di alluminio elevato il rischio postoperatorio di osteopatia da alluminio è elevato. Comunque l’ipocalcemia e l’ipoparatiroidismo rimangono il rischio principale. Terapia dell’anemia L’anemia del paziente uremico è conseguenza di diversi fattori: i reni producono meno eritropoietina, che stimola la produzione midollare dei globuli rossi, la vita media delle emazie è ridotta, in modo anche marcato, l’assorbimento intestinale del ferro è spesso ridotto, la malnutrizione proteica riduce la quantità di transferrina sierica, cui consegue una minore quantità di ferro trasportato nel sangue. Gli interventi di correzione dell’anemia devono quindi essere preceduti da una corretta valutazione con la ricerca di eventuali perdite ematiche, malnutrizione e carenza di ferro. Un utile indirizzo diagnostico può essere fornito dalla conta dei reticolociti: una riduzione del loro numero suggerisce un problema di produzione, mentre un loro numero normale o elevato indica la possibilità di una perdita di globuli rossi. Andrà sempre valutato il bilancio ferrico, comprendente la sideremia. transferrinemia, la ferritinemia e la saturazione transferrinica, e se possibile anche la conta dei reticolociti ipocromici. Ferro. Il ferro contenuto nel cibo viene assorbito a livello intestinale, con un meccanismo di controllo basato soprattutto sulla quantità di transferrina disponibile per trasportarlo. Normalmente la quantità di ferro presente nella dieta eccede largamente le necessità dovute alle perdite fisiologiche. In presenza di iposideremia nel paziente in terapia conservativa, si dovrà ricercare una perdita di ferro (emorragie occulte, abbondanti cicli mestruali) oppure si dovrà considerare la possibilità di un suo inadeguato assorbimento intestinale. Trattamento dell’anemia nell’uremico. Il trattamento dell’anemia deve prevedere prima di tutto la correzione di iposideremia, malnutrizione, eventuali perdite ematiche, o infezioni. La somministrazione del ferro per os e ev consta di vantaggi e svantaggi. Per os: costo commerciale relativamente basso, non rimborsato da SSN; frequente intolleranza gastrica; assorbimento spesso ridotto; compliance limitata. Mentre per il ferro ev: rimborsato dal SSN; difficile chi esegue l’endovena; rischi di allergia (con il ferro destano) o di effetti collaterali con tutti i preparati; necessità di infusione lenta; efficacia di somministrazioni con cadenza settimanale o addirittura più rare; assorbimento garantito. Eritropoietina (Epo). Solo nel caso in cui tutti questi provvedimenti siano già stati presi, dovrà essere iniziata la terapia con eritropoietina se il paziente continuerà ad avere anemia significativa. Si può ritenere giustificato l’uso di eritropoietina per ematocriti inferiori al 28-30%. mantenendo come obiettivo quello di raggiungere valori tra 32-35%. Vengono consigliati valori più alti nei pazienti con problemi cardiaci o arteriosi periferici. Dal punto di vista economico, pochi punti di ematocrito costituiscono un importante aggravio di spesa, ma ematocriti inadeguati rischiano di non ottenere i previsti benefici in termini di ricoveri, morbilità, capacità lavorativa e prognosi, e quindi rischiano che per una riduzione della spesa per l’eritropoietina abbia come contropartita un ancor più elevato costo sociosanitario di altro tipo. Generalmente si inizia il trattamento con dosi bisettimanali di circa 70-80 unità di Epo per kg di peso corporeo. L’ematocrito sale di solito entro 2-4 settimane. Nel caso non si raggiunga il valore di ematocrito desiderato, si può aumentare la dose fino a un massimo di 200-300 U/kg/sett. Qualora non si raggiungano adeguati valori di ematocrito, dovrà essere approfondita la ricerca di fattori inibenti l’efficacia dell’Epo. Tra le cause di resistenza totale o marziale all’Epo, alcune sono note da tempo, quali: - la malnutrizione; - la carenza di ferro o di altre sostanze necessarie all’emopoiesi; - la presenza di iperalluminemia o iperparatiroidismo; - la presenza di infezioni acute o croniche; - evidenza di perdite ematiche di qualsivoglia origine. Il consumo di ferro aumenta con l’aumentare dei globuli rossi, per cui nei pazienti in trattamento eritropoietinico il ferro utilizzabile dovrebbe essere mantenuto a livelli superiori a quelli considerati opportuni nel soggetto normale. Tra le possibili vie di somministrazione, quella sottocutanea sembra essere quella che ottiene il migliore rapporto costo-beneficio. Terapia dell’ipertensione Il corretto trattamento dell’ipertensione rimane tuttora uno dei cardini per ritardare l’evoluzione dell’insufficienza renale. Un corretto trattamento del l’ipertensione implica che i valori di pressione sistolica e diastolica rimangono nel range di soggetti normali dell’età e del sesso del paziente in quell’ora del giorno. Il controllo della pressione arteriosa deve essere fatto dal paziente stesso che deve essere addestrato a farlo, anche per evitare le puntate pressorie "da ambulatorio", in orari diversi durante la giornata. Il paziente, inoltre, terrà un diario degli avvenimenti della giornata e delle ore di assunzione dei farmaci, confrontandone i risultati non con valori arbitrari ma con curve ottenute con persone di uguale età e sesso. Questi dati permettono di variare gli orari di somministrazione, modulare i dosaggi ed eventualmente utilizzare farmaci con diversa durata d’azione. Per quanto la terapia non farmacologia dell’ipertensione, bisogna tener conto che il trattamento comincia con l’informazione del paziente sui rischi che questa malattia comporta. Le seguenti misure non devono essere considerate come "consigli generali", bensì devono essere di volta in volta scelte per il singolo paziente, e sono:

• riduzione del peso corporeo nei soggetti obesi, • esclusione degli altri fattori di rischio (fumo, dislipidemie; • riduzione dell’assunzione del sale da cucina fino ad un valore compreso tra 3 e 6 gr al giorno; • limitazione del consumo di alcool;

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• vita sana (sport, riposo ...).

La terapia farmacologia antiipertensiva, in teoria dovrebbe essere poco gravosa per il paziente, priva di effetti collaterali ed altamente efficace. Possibili effetti collaterali degli antiipertensivi sono: astenia, depressione, ipotensione ortostatica, disfunzioni sessuali, variazioni del quadro ematico. Nella maggior parte dei pazienti dializzati l’ipertensione si può normalizzare o ridurre con la dialisi attraverso la correzione delle alterazioni dell’equilibrio idro-elettrolitico. Ciò si ottiene sottraendo mediante la dialisi l’acqua e il sodio in eccesso e, contemporaneamente, limitando l’apporto dietetico di acqua e sale. Terapia di supporto negli interventi chirurgici Uno dei principali meccanismi di insufficienza renale perioperatoria è l’ipotensione con ipoafflusso di sangue al rene. Tale rischio aumenta nei pazienti anziani e con insufficienza renale e per ridurre la possibilità di peggioramenti della funzione renale residua è consigliabile:

• iperidratare moderatamente il paziente prima, durante e dopo l’intervento; • evitare ipertensivi prima dell’anestesia; • evitare farmaci potenzialmente nefrotossici; • evitare ipotensioni intraoperatorie; • nell’insufficienza renale più avanza si somministra una piccola quantità di manitolo all’induz ione

dell’anestesia; • vengono somministrati diuretici dell’ansa per mantenere una migliore vascolarizzazione della corticale renale; • controllare frequentemente la pressione, la diuresi, gli elettroliti plasmatici e la funzione renale nei primi giorni

dopo l’intervento.

2.6.1 L’inizio della dialisi

Il problema dell’informazione del paziente coinvolge importanti aspetti etici e clinici. Con la legislazione più recente il paziente deve essere informato completamente ed esaurientemente delle sue condizioni di salute e della probabile evoluzione futura della sua malattia. Pertanto la possibile evoluzione verso l’uremia e la dialisi, deve essere spiegata al paziente fin dal momento in cui viene posta diagnosi di IRC. Ovviamente la possibilità di una futura dialisi deve essere spiegata al paziente in modo chiaro, ma sereno e ottimistico, prospettando anche eventuali possibilità di trapianto, da vivente o da cadavere. Quando la clerance renale di urea e creatinina scende al di sotto di 20 ml/min è utile cominciare a discutere con il paziente i possibili tipi di trattamento e la loro sede, organizzandogli eventualmente incontri con pazienti, infermieri, assistenti sociali e psicologi. Si deve spiegare che comunque il tipo di tecnica non è una strada senza ritorno e che il passaggio da una all’altra tecnica può essere ridiscusso in qualsiasi momento. In questo modo l’impatto con la dialisi viene diluito e si evita che il paziente si trovi improvvisamente, a dover scegliere il tipo di dialisi (emodialisi o dialisi peritoneale), preparare l’accesso, trovare il posto ed iniziare la dialisi entro pochi giorni, magari in un centro diverso da quello in cui è stato seguito fino a quel momento. Questo "fulmine a ciel sereno" porta spesso a conseguenze drammatiche, facilmente comprensibili, sulla sua serenità, sulla sua vita e quindi anche sulla sua lucidità nella scelta della terapia.

2.6.2 Quale dialisi oggi?

La scelta di una metodica sostitutiva e di un filtro per dialisi è condizionato da numerosi fattori. L’efficienza trattamento è condizionato dalla metodica utilizzata, a seconda dei risultati che si vogliono ottenere in termini di depurazione verso tecniche prevalentemente diffuse come l’emodialisi, miste diffusivo-convettive a rapporto variabile come l’emodiafiltrazione o esclusivamente convettive come l’emofiltrazione, dalla dose prescritta e da quella effettivamente somministrata, dal trattamento farmacologico collaterale. Tutti questi fattori hanno un ruolo determinante sia sulla sopravvivenza che sulla qualità della vita. In questo ambito fondamentale è il tempo dedicato allo studio del singolo paziente per la programmazione e l’attuazione degli interventi diagnostici e terapeutici necessari, le conoscenze infermieristiche e anche in questo caso il tempo dedicato all’assistenza, la presenza di fattori di cormobilità, la compliance dei paziente alle prescrizioni, il suo stato nutrizionale, l’esistenza di un programma politico di orientazione alla dialisi che permetta il perseguimento di obiettivi non solo quantitativi ma anche qualitativi. Obiettivi fondamentali della terapia dialitica sono:

• rendimento depurativo adeguato nel range di peso molecolare dei soluti tossici coinvolti nella genesi e nel mantenimento della sindrome uremica; la correzione dell’equilibrio idro-elettrolitico;

• la correzione dell’acidosi; • biocompatibilità; • adeguata nutrizione,

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• tolleranza soggettiva e obiettiva, • riabilitazione del paziente; • prevenzione delle complicanze a lungo termine del trattamento emodialitico quali: patologia da accumulo di

alluminio (favorito dall’assunzione orale di idrossido d’alluminio utilizzato come chelante intestinale del fosforo e dalla presenza di un’elevata quantità di alluminio nell’acqua di rete, e quindi nel bagno dialisi che fa arrivare ad un quadro di encefalopatia da alluminio), e amiloidosi (per aumento della B2- microglobulina, dovuta a una diminuzione della filtrazione glomerulare di questa sostanza, che si deposita nelle articolazioni sinoviali).

La scelta del tipo di dialisi dovrebbe essere condizionata innanzitutto dalle possibilità e dalla volontà del paziente di autogestire la propria malattia e terapia o perlomeno di partecipare in modo attivo alla loro gestione. Un fattore comunque fondamentale è la volontà del paziente, la sua scelta ed il suo desiderio, anche se motivati da motivazioni sociali, psicologiche, estetiche o altre che possono apparirci poco razionali. Ovviamente dovrà essere cura del medico sfatare eventuali pregiudizi e spiegare nel modo più imparziale possibile i pregi e i difetti di emodialisi e dialisi peritoneale, ed eventualmente ammorbidire eventuali posizioni poco giustificabili.

2.6.3 Quando iniziare la dialisi

La scelta del momento in cui iniziare il trattamento dialitico è l’aspetto fondamentale del trattamento del paziente uremico ed uno dei motivi per cui la nefrologia si è differenziata come specializzazione. La dialisi è infatti un evento traumatico che sconvolge la vita del paziente e può condizionare problemi socio economici, famigliari e psicologici di notevole entità. Purtroppo non è possibile attualmente, sulla base della letteratura scientifica, dare delle precise linee guida sul momento migliore per iniziare il trattamento sostitutivo dell’uremia. Il momento ideale per iniziare il trattamento sostitutivo può essere definito, a seconda della filosofia con cui si affronta il problema, come:

• Il momento in cui inizia un processo irreversibile tale da portare a morte il paziente. In questo caso la dialisi viene utilizzata come procedura di salvataggio, per ottenere la sopravvivenza del paziente, ma non una buona riabilitazione ed una buona qualità di vita. E’ una definizione valida solo dal punto di vista negativo: chi a questo punto non inizia la dialisi omette una terapia indispensabile, e deve giustificare tale omissione.

• Il momento in cui insorgono complicanze cliniche, di qualunque tipo, sicuramente legate all’uremia. Sarebbe una definizione accettabile nel momento in cui si stabilisse quali complicanze cliniche devono essere considerate e quale deve essere la loro gravità. Non dimentichiamo che una modesta anemia o una modesta iperfosfatemia sono complicanze uremiche.

• Il momento in cui i reni nativi non sono più in grado di svolgere in modo adeguato le loro funzioni quali una insufficiente regolazione della pressione, dell’equilibrio idrosalino, del metabolismo osseo o dell’eritropoiesi.

• Il momento in cui le clerances di alcune sostanze scendono al di sotto di un certo valore. La creatininemia e l’azotemia sono troppo legate a fattori metabolici, sessuali nutrizionali, all’età al catabolismo per permettere di trarre dei dati definitivi. Tuttavia, i pazienti seguiti dal nefrologo vengono immessi in dialisi mediamente con valori di clerance (media tra urea e creatinina) attorno a 6-8 ml/min.

• Il momento in cui alcuni esami ematochimici superano un certo valore, ma non si ha nessuna validazione che uno piuttosto che un altro esame ematochimico sia indicativo di prognosi o di terapia e tantomeno, in una patologia complessa come l’uremia possiamo indicare il trattamento sulla base di esami ematochimici e soprattutto sulla loro interazione. Ad esempio dovremo definire se valga di più un’azotemia superiore del 20% ad un ipotetico valore limite, oppure un associazione di un aumento del 5% di azotemia, creatininemia e fosfatemia, con un ematocrito ridotto del 10% rispetto ad un ipotetico valore limite.

• L’inizio della dialisi deve essere basato su un’insieme di fattori e clinici, biochimici, psicologici e sociali, che devono comunque essere filtrati ed elaborati dall’esperienza, dalla capacità e dall’intuito.

Su questi principi dovrebbe essere discusso con il paziente e con i suoi famigliari quale sia il modo meno traumatico per organizzare l’accesso alla dialisi, basandosi soprattutto sulle esigenze psicosociali e famigliari. Tenendo presente il percorso da attraversare che deve prendere in considerazione l’inizio di una dieta ipoproteica, ricovero e preparazione ad un approccio di emergenza (seldinger o simili, ma questo dipenderà dalla situazione clinica e dalla presenza di una necessità, data da segni clinici quali sovraccarico, iperpotassemia che portano a una dialisi in emergenza), allestimento della fistola artero-venosa, ed inizio della dialisi appena la fistola sia matura.

Capitolo 3 - EMODIALISI 3.1 Generalità 3.2 Costituenti del rene artificiale 3.3 Tecniche emodialitiche 3.4 Il monitoraggio della seduta dialitica dato dalla macchina emodializzante

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3.5 Principali indicazioni sull’assistenza infermieristica pre-dialisi e intra-dialisi 3.6 Inizio della seduta dialitica 3.7 Assistenza al paziente durante il trattamento dialitico 3.8 Complicanze intradialitiche e risoluzioni prescritte 3.9 Conclusione della seduta dialitica 3.10 Gestione del paziente dializzato in altre unità operative 3.11 Aspetti psicosociali e qualità di vita del paziente sottoposto a dialisi periodica 3.12 Teoriche sull’assistenza infermieristica: Orem, Cantarelli (...continua)

Capitolo 3 - EMODIALISI

3.1 Generalità

La dialisi è la terapia sostitutiva della funzionalità renale, e ancor oggi rimane l’unica tecnica terapeutica in grado di garantire al paziente uremico uno stato clinico adeguato. La definizione di dialisi si può tradurre come un processo chimico-fisico, per cui alcune molecole disciolte in un mezzo liquido, passano ad un altro mezzo liquido attraverso una membrane semipermeabile, quindi gli obiettivi della dialisi sono:

• depurare il plasma dai prodotti azotati derivanti dal metabolismo proteico e presenti in alte concentrazioni nello stato uremico;

• riequilibrare il bilancio idro-elettrolitico e acido-base.

Il passaggio delle varie molecole è determinato dalla presenza di pori di varie dimensioni presenti sulla membrana, inoltre la membrana influenza la depurazione in base al grado di permeabilità ai solventi e ai soluti, e alla biocompatibilità. Infatti il ripetuto contatto del sangue con la membrana di dialisi comporta reazioni biologiche di tipo infiammatorio e immunologico, sono biocompatibili le membrane che comportano minore attivazione del sistema della coagulazione e dei meccanismi di flogosi. Lo scambio di molecole avviene a livello extracorporeo , dove sangue e bagno dialisi, separati dalla membrana semipermeabile, vengono fatti circolare in senso opposto l’uno con l’altro. Per ottenere una depurazione ottimale, è necessario che il circuito ematico extracorporeo garantisca un elevata portata ematica (200-300 ml/min). Per ottenere ciò, si confeziona chirurgicamente al paziente una fistola artero-venosa, e se non è possibile, si impianta un catetere venoso centrale. Per quanto riguarda la fistola artero-venosa, il chirurgo interviene modificando l’anatomia di una vena (generalmente dell’avambraccio) che, anastomizzata con l’arteria vicina, ne aumenta la portata. Nel monitor, per mezzo di una pompa peristaltica a velocità regolabile, si aspira il sangue da un primo ago posto dall’infermiere sul braccio del paziente, portandolo verso il filtro dializzatore dove avverranno gli scambi depurativi. Il sangue in circolazione extracorporea è tenuto coagulato mediante infusione di eparina. In uscita dal filtro, il sangue rientra nella circolazione del paziente, attraverso un secondo ago, anch’esso posto sul braccio del paziente. Il filtro dializzatore è costituito da fibre capillari cave (8.000-15.000), o a piastra, di diametro variabile, costruite da materiale sintetico o cellulosico. Con queste membrane si depura il sangue dalle varie sostanze tossiche; si effettua lo scambio di sostanze sostitutive bagno dialisi-sangue; avviene la sottrazione di acqua accumulatasi in eccesso nell’organismo del paziente. Il bagno dialisi è un filtro che viene preparato all’interno del monitor, e la cui composizione è costituita da acqua precedentemente trattata in centrale ad osmosi inversa (insieme di cicli di lavorazione); nel monitor due pompe proporzionali aspirano due soluzioni concentrate (acida e basica), che vengono miscelate con un rapporto, di una parte di concentrato e 35 parti di acqua. Il prodotto finale ottenuto dovrà anche possedere qualità batteriologice sicure attuato mediante metodi di disinfezione sicuri per la preparazione dell’acqua. Il bagno dialisi è veicolato al filtro in direzione opposta al flusso ematico, rivestendo tutta la superficie dei capillari contenuti nel dializzatore. La circolazione contro-corrente potenzia la depurazione di tipo diffusiva. Nel circuito ematico sono presenti differenti pressioni:

• nel primo ago di aspirazione sangue, all’ingresso della pompa sangue, è presente una pressione negativa; • all’uscita della pompa sangue, filtro, gocciolatore venoso, rientro al secondo ago, è presente una pressione

positiva. Questa pressione positiva si modifica lungo il circuito ematico per la presenza di alcuni punti di aumentata resistenza.

Nel circuito del liquido dializzatore viene applicata una pressione di tipo negativo, questa pressione creata dalla pompa di ultrafiltrazione, all’interno del circuito idraulico del monitor, è più o meno accentuata secondo la variabilità di alcuni parametri:

• le dimensioni e il grado di permeabilità della membrane del dializzatore; • il calo peso (ultrafiltrazione) più o meno accentuato, impostato dall’infermiere, dietro prescrizione medica;

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• la velocità della pompa sangue che determina la variabilità della pressione positiva applicata al filtro; • le resistenze dell’accesso vascolare (pressione negativa di aspirazione, pressione positiva di rientro).

Riassumo dicendo che all’interno del comparto ematico del filtro è sempre presente una pressione positiva, mentre all’interno del comparto del bagno dialisi è sempre presente una pressione negativa. La pressione ematica positiva sommata algebricamente alla pressione del liquido di dialisi in negativo, a livello della membrana semipermeabile, determina la pressione di transmembrana (t.m.p.), vale a dire la pressione efficace di ultrafiltrazione. La t.m.p. non deve mai scendere sotto il valore "0". Sotto questo valore si ha un ultrafiltrazione inversa (backfiltration), cioè il passaggio di bagno dialisi nel sangue. Il rischio maggiore è costituito dal fatto che il bagno dialisi, non essendo sempre un liquido completamente sterile, può provocare il passaggio di endotossine e batteri nel sangue, determinando nelle peggiori delle ipotesi delle gravi reazioni settiche. Dinamica degli scambi. Il trasporto di acqua e dei soluti, intra ed extracellulare,avviene per gradiente di concentrazione (diffusione) e/o per gradiente di pressione idrostatica (convezione).Nella diffusione il passaggio di soluti avviene per un movimento molecolare di soluti attraverso le membrane, secondo un gradiente di concentrazione e con passaggio pressoché nullo di solvente. Questo meccanismo si ottiene prevalentemente nella dialisi tradizionale (bicarbonato dialisi).Nella convezione il passaggio dei soluti attraverso la membrana di dialisi avviene per trascinamento da parte del solvente, che viene forzato ad attraversare la membrana per effetto di una forza idrostatica. Così permette una sottrazione di solvente e di soluto. Questo meccanismo (associato a quello diffusivo), si ottiene nelle modalità dialitiche che utilizzano anche delle infusioni (HDF, AFB, PFD). Invece nell’emofiltrazione (HF) si ha un trasporto puramente convettivo.

3.2 Costituenti del rene artificiale

L’apparecchiatura utilizzata per l’emodialisi extracorporea viene comunemente denominata rene artificiale. Nel suo complesso è costituito da:

1. Il filtro dializzante; 2. Il circuito ematico extracorporeo; 3. il circuito del liquido di dialisi; 4. il monitor di controllo.

Il filtro dializzante: costituisce l’unità funzionale del rene artificiale. In esso avvengono gli scambi di soluti e di acqua fra il sangue del paziente ed il liquido di dialisi. Le membrane dializzanti possono essere costituite da materiali diversi che ne conferiscono differenti caratteristiche depurative e di biocompatibilità, derivanti dalla cellulosa, cellulosa modificata o membrane di derivazione sintetica. Circuito ematico extracorporeo: costituito da una serie di cavi di piccolo calibro, di materiale plastico, articolati in due segmenti principali: la linea arteriosa e la linea venosa. Il sangue proveniente dal paziente arriva al filtro dializzatore per mezzo della linea arteriosa; dopo aver attraversato il filtro, ritorna depurato al paziente lungo la linea venosa. Questo, centinaia di volte nel corso di ogni singola seduta dialitica. La progressione del sangue nel circuito extracorporeo è assicurata da una pompa di tipo peristaltico; il flusso del sangue è mantenuto intorno a 250-350 ml/min. La sterilità del filtro dializzatore e di tutto il circuito extracorporeo è ottenuta mediante sterilizzazione con ossido di etilene o con raggi gamma. La incoagulabilità del sangue nel circuito extracorporeo in generale e nel filtro dializzatore in particolare, è assicurata dal lavaggio di queste strutture, nella fase di preparazione del circuito, con una soluzione eparinata e dalla somministrazione di eparina durante la seduta emodialitica. Circuito del liquido di dialisi: in esso è contenuta una soluzione costituita essenzialmente da acqua di rete (sottoposta ad un processo di demineralizzazione chimica mediante il passaggio attraverso resine a scambio ionico), sali minerali, sostanze osmoticamente attive, e sostanze tampone (in genere acetato o bicarbonato). La soluzione utilizzata come bagno dialisi contiene sodio, potassio, calcio, magnesio, cloruro, acetato e glucosio. Una volta attraversato il filtro, con una direzione di flusso inversa rispetto al sangue, il liquido di dialisi viene inviato direttamente in scarico. Sul circuito del liquido di dialisi, inoltre, è inserita una seconda pompa (pompa aspirante) che ha la funzione di creare una pressione negativa, permettendo così la rimozione diretta per ultrafiltrazione dell’acqua in eccesso sottratta dal sangue del paziente. Monitor: si tratta di un apparecchiatura dotata di sofisticati congegni finalizzati a due compiti essenziali che sono la preparazione del liquido di dialisi e il controllo di alcuni parametri essenziali per la conduzione della seduta dialitica in condizioni di efficacia e di sicurezza per il paziente, quali il riscaldamento del liquido di dialisi, rilevamento di perdite ematiche attraverso le membrane, controllo della temperatura sia del dializzato che del sangue, controllo continuo della composizione del liquido di dialisi. Le moderne macchine sono dotati di numerosi sistemi di servocontrollo: i flussi, le

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temperature, l’ultrafiltrazione, la conducibilità, il pH sono tutte grandezze misurate da sensori dislocati lungo il circuito extracorporeo. Esistono sensori paziente-specifici che misurano in continuo alcune variabili biologiche ed emodinamiche come la temperatura corporea, il volume ematico o le variazioni di urea, permettendo un accurato monitoraggio intradialitico. Per il controllo della volemia, le più importanti variabili sono l’ultrafiltrazione e la concentrazione di sodio nel dialisato. Le ultrafiltrazioni variabili si sono dimostrate efficaci nel controllo dell’andamento pressorio durante l’emodialisi, in particolare in pazienti con elevati incrementi ponderali. L’aumento della concentrazione di sodio nel dialisato innalza l’osmolarità e favorisce la mobilizzazione dei liquidi dal compartimento extra-vascolare minimizzando le variazioni voleniche. L’aumento dell’osmolarità oltre ad avere un effetto puramente idraulico è anche in grado di stimolare l’attività del Sistema Nervoso Autonomo e quindi favorire una miglior risposta emodinamica all’ipovolemia.

3.3 Tecniche emodialitiche

Bicarbonato dialisi. Metodica dialitica con prevalenza diffusiva, che consente di depurare meglio i soluti a basso peso molecolare (urea, creatinina); il tampone utilizzato nel bano dialisi è il bicarbonato. Questa tecnica depurativa è indicata in pazienti che presentino, durante la seduta dialitica un instabilità vascolare con ipotensione, collasso cardio-circolatorio, angina, aritmie o che abbiano sviluppato un ipersensibilità all’acetato. Emodiafiltrazione (HDF). Metodica dialitica convettiva-diffusiva mista (la convettiva permette di depurare meglio le molecole a medio-alto peso molecolare; la diffusiva depura dalle molecole di basso peso molecolare; è importante trovare il giusto equilibrio tra flusso ematico, infusione e tempo); il tampone utilizzato nel bagno dialisi è il bicarbonato; i filtri sono ad elevata ultrafiltrazione; le sacche utilizzate si infondono in post filtro, possono contenere bicarbonato oppure lattato utilizzato per la presenza del calcio, perché nel bicarbonato precipita, il lattato poi viene metabolizzato nel fegato in bicarbonato. Questa metodica è utilizzata per aumentare l’efficacia depurativa, la stabilità presso ria con un buon controllo dell’equilibrio acido-base. Acetate free biofiltration (AFB). Emodiafiltrazione con carichi di infusioni bassi (max 2,5 l/h); metodica convettiva-diffusiva mista dove manca completamente il tampone nel bagno dialisi; si diffonde in post filtro bicarbonato ad alte concentrazioni, personalizzate in base all’esigenza del paziente (biosol 145 che non contenendo calcio, ne può determinare un bilancio negativo); i filtri utilizzati sono ad elevata ultrafiltrazione; buona l’efficacia depurativa, con un ottimo controllo dell’equilibrio acido-base e stabilità pressoria. Paired filtration dialisys (PFD). Emodiafiltrazione con meccanismi di depurazione convettivi e diffusivi separati (non interferendo l’uno con l’altro per le piccole e medie molecole); il filtro dializzatore è formato da due settori e due membrane diverse (quella dell’emofiltro ad alta permeabilità per il principio convettivo); l’infusione del tampone (lattato o bicarbonato) viene eseguita nel punto di passaggio tra i due filtri; la percentuale di convenzione è calcolate in base a diverse variabili (il flusso sangue, l’ematocrito, l’ultrafiltrazione desiderata); il valore K indica la condizione e la fatica del lavoro dell’emofiltro, cioè identifica così la presenza di coaguli che fanno diminuire la superficie di lavoro,per questo viene fatto dalla macchina un test detto pfd ogni 10 minuti che deve risultare tra 400 e 600. Se il valore del K è inferiore a 400 significa che il lavoro dell’emofiltro è troppo faticoso quindi bisogna agire diminuendo (di un 5%) Emofiltrazione in pre-post diluizione (HF). Metodica dialitica dove non è presente il bagno dialisi (i meccanismi depurativi sono esclusivamente di tipo convettivo, quindi è buona la depurazione per i soluti ad alto peso molecolare); da utilizzare in pazienti con problemi di instabilità pressoria (ipo e ipertensione); nelle intossicazioni acute di alcune sostanze nefrotossiche; gli accessi vascolari devono avere una buona portata di flussi ematici; i filtri utilizzati sono ad elevata permeabilità; i litri totali da infondere sono variabili da 32 a 35, con una pre-diluizione massima al 10%; l’emofiltrazione può essere utilizzata per trattamenti in pazienti acuti ricoverati in reparti di terapia intensiva. Le caratteristiche operative di questa tecnica, consistono in un ampio range depurativo, e nella capacità di mantenere una più costante osmolarità plasmatica intradialitica che condiziona una maggior stabilità del volume ematico circolante. Emofiltrazione one line in pre-diluizione (HF on line). Metodica dialitica dove i meccanismi depurativi sono puramente di tipo convettivo (buona la depurazione per i soluti ad alto peso molecolare); il bagno dialisi non viene utilizzato e i concentrati (acido e basico) servono esclusivamente alla preparazione del liquido di infusione (on line); i filtri utilizzati sono ad alta permeabilità (i litri di infusione totale sono pari al 110% del peso corporeo); la sicurezza asettica del liquido è garantita da un filtro antibatterico posto sull’acqua di rete, uno sul prodotto finale e il terzo (monouso) posto sulla linea di infusione; al filtro viene collegato solo il connettore di scarico; l’infusione collegata sul pre-filtro mantiene il valore di pressione transmenbrana abbastanza bassa (il sangue in entrata al filtro con l’infusione diminuisce la viscosità rendendo più facile il passaggio di ultrafiltrato attraverso la membrana per le diminuite resistenze; da utilizzare in pazienti con problemi di instabilità pressoria (ipo e ipertensione).

Monitoraggio della seduta dialitica dato dalla macchina emodializzante

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La tecnologia avanzata del monitor mette a disposizione dell’infermiere molti sistemi di sicurezza, che non possono comunque sostituirsi ad un attenta sorveglianza della condotta dialitica da parte dell’infermiere. Il monitoraggio deve essere continuo ed accurato.Queste sicurezze tecnologiche sono racchiuse in due sistemi:

1. circuito ematico; 2. circuito dializzante.

Circuito ematico

• Rilevatori di pressione di aspirazione e rientro sangue. La lettura riguarda esclusivamente l’accesso vascolare. Ci garantiscono la conoscenza della portata e della giusta posizione degli aghi, attivando in caso di valori eccessivi un allarme acustico e visivo, il bloccaggio della pompa sangue, il clampaggio con una pinza meccanica sulla linea di rientro.

• Rilevatore d’aria. Si trova nella parte terminale del circuito venoso (gocciolatore). Un lettore a raggi infrarossi legge anche la minima presenza d’aria, attivando un allarme acustico e visivo, il bloccaggio della pompa sangue, il clampaggio con una pinza meccanica sulla linea di rientro.

• Sensore di riconoscimento sangue. Questo sensore a raggi infrarossi è posizionato prima dell’ingresso della pompa sangue o sotto il gocciolatore (la posizione è determinata dal modello del monitor). Il riconoscimento attiva le misure delle soglie minime e massime di allarme sul valore di aspirazione e sul rientro sangue; ci avvisa che può aver inizio l’ultrafiltrazione;evita di poter attivare per sbaglio i programmi delle disinfezioni.

Circuito dializzante

• Impostazione della conducibilità. Eventuale attivazione dell’allarme acustico e visivo (tanica concentrato vuota, rottura sonde conducibilità, rottura spezzoni pompe peristaltiche, guasti scheda elettronica).

• Impostazione del tempo dialisi. • Impostazione del calo peso totale da ultrafiltrare. • Impostazione della temperatura del bagno dialisi. Eventuale allarme acustico e visivo per rottura corpi

riscaldanti. • Lettura di fuga sangue. Un lettore a infrarossi posto sul circuito idraulico di uscita, legge la variazione di

torpidità dell’ultrafiltrato, che in caso di rottura (anche minima) della membrana, attiva un allarme acustico e visivo.

• Lettura valore transmenbrana. Un display posto sul monitor indica il valore reale di t.m.p. con le soglie minime e massime di allarme.

3.5 Principali indicazioni dell’assistenza infermieristica pre-dialisi e intra-dialisi

Pre-dialisi:

• Informazione al paziente sulla corretta alimentazione. Nella diete è importante l’apporto proteico e vitaminico. Inoltre deve essere ridotta l’assunzione di liquidi che in caso di eccesso, potrebbero portare a quadri di scompenso cardiaco acuto. La riduzione nella dieta di cibi particolarmente ricchi di potassio e fosforo evita al paziente disturbi anche gravi come parestesie, aritmie cardiache, arresto cardiaco.

• Informazione al paziente sulla gestione dell’accesso vascolare. L’operatore deve educare il paziente (con fistola artero-venosa), a limitare gli sforzi fisici a carico dell’arto; a detergere la parte con sapone neutro e se necessario idratare la pelle con unguenti. Per i pazienti con catetere venoso a permanenza le attenzioni sull’igiene del corpo devono essere ancora più meticolose, la medicazione deve essere mantenuta pulita e asciutta.

• Valutazione del peso secco del paziente. Di tipo clinico: osservazione del paziente; presenza di edema; dispnea; andamento pressorio; emogasanalisi per il valore della pressione parziale di ossigeno. Di tipo strumentale: radiografia del torace (ridistribuzione circolo polmonare, edema interstiziale); valutazione ecocardiografica (diametro vena cava inferiore); impedenzometria (quantità di liquidi in base alla massa muscolare).

Intra-dialisi:

• Misurazione dei parametri vitali e registrazione in cartella del peso corporeo sul letto bilancia.

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• Impostazione dei parametri personali di dialisi sul monitor. S’imposta il tempo e il peso (liquidi) in eccesso da sottrarre al paziente, la conducibilità (termine chimico per indicare la concentrazione di sodio e bicarbonato nel bagno dialisi, e che serve per la correzione dell’equilibrio acido-base, però oltre al sodio sono presenti altri elettroliti come es. il cloro e il magnesio), l’anticoagulante, eventuali liquidi infusionali.

• Controllo e disinfezione dell’accesso vascolare. L’operatore deve isolare l’accesso vascolare con telino sterile monouso. Nei pazienti con fistola artero-venosa l’infermiere deve ispezionare la parte per eventuali lesioni, ematomi, indurimenti, infiammazioni. Praticare un’adeguata disinfezione sul punto di infissione. Incanalamento dell’accesso vascolare. Gli aghi, una volta posizionati, vanno fissati con cerotti ipoallergenici alla cute dell’arto, in modo molto sicuro.

• Monitoraggio periodico dell’ultrafiltrazione e dei parametri.

3.6 Inizio della seduta dialitica

Prima dell’inizio della seduta vanno espletati alcuni compiti, quali: preparare l’apparecchiatura, provvedere alla disinfezione, consultare la documentazione dei pazienti, controllare la completezza del set per la puntura, annotare il peso del paziente. La seduta dialitica richiede un tempo sufficientemente lungo per poter essere effettuata adeguatamente; in un centro di dialisi ci si può preoccupare al massimo di 3 o 4 pazienti per infermiere. Dopo un primo colloquio con il paziente, ci si informerà sulle sue condizioni di salute e sulla comparsa di eventuali sintomi, in quanto tali informazioni possono essere utili per l’esecuzione della dialisi. Specialmente per i pazienti che si rivolgono ad un nuovo centro dialisi è molto importante l’indagine anamnestica prossima, prima dell’attacco alla macchina. Quesiti d’importanza fondamentale, da porsi sempre prima di iniziare il trattamento, sono i seguenti:

• stato del paziente riguardo a infezioni e altre malattie; • principali problemi durante il trattamento di dialisi: disturbi del ritmo cardiaco, per sapere se è necessario il

monitoraggio elettrocardiografico; alterazioni della pressione arteriosa; presenza di crampi muscolari; tendenza all’iper/ipopotassemia e all’acidosi;

• aumento medio del peso corporeo nel periodo interdialitico breve e in quello lungo e annotare il peso attuale; • eventuali terapie in atto; • presenza di allergie (al disinfettante, filtro o eparina); • conoscere il fabbisogno di eparina, tendenza all’emorragia o problemi di coagulazione.

Una volta che il paziente è pronto per la dialisi, al suo "check-up" fa seguito quello dell’apparecchiatura controllando:

• che gli attacchi siano corretti (acqua, elettricità e deflusso); • controllare se è stata effettuata la disinfezione, il funzionamento degli allarmi acustici e visivi; • che le linee sangue siano quelle giuste e siano state posizionate in modo corretto; • che l’aria delle linee sangue sia uscita completamente dalla sezione ematica e dalla sezione del dializzato; • che sia stato preparato il concentrato prescritto; • che sia stato aggiunto il valore nominale della conducibilità; • che sia stato raggiunto il valore teorico della temperatura; • che sia stato eseguito il controllo della pressione arteriosa, che il rilevatore di pressione sia stato connesso

correttamente, che non ci siano torsioni e inginocchiature del tubicino di rilevazione della pressione; • che il dispositivo dell’alimentazione di eparina funzioni correttamente;

Prima che il paziente venga collegato al "rene artificiale" ci si deve chiedere:

• se tutto il materiale è stato preparato: aghi, tamponi, disinfettante,cerotti, pinze, bende di compressione, sfingomanometro, fonendoscopio e dispositivi di protezione individuale quali guanti, camice, occhialini di protezione, mascherina;

• se sono previsti prelievi di sangue, controllare le etichette nominative; • se è necessario un aiuto per il collegamento perché il paziente non è tranquillo o per la difficile localizzazione

dello shunt. • Se vi sono prescrizioni mediche riguardanti infusioni da somministrare; • se è stata fissata la durata della dialisi e la quantità di ultrafiltrazione; • se abbiamo misurato la pressione arteriosa; • se il peso del paziente è stato stabilito correttamente; • se è stato osservato il diario di dialisi per verificare se nelle ultima dialisi ci sono state delle complicanze da

prendere in considerazione;

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Il vero e proprio trattamento dialitico comincia con la puntura dello shunt

; la durata della dialisi si calcola dal momento in cui tutti i parametri sono stati fissati e la macchina e in funzione. Se lo shunt è stato punto correttamente si deve eseguire un ulteriore esame per accertarsi che la posizione degli aghi sia corretta: l’ago-canula venosa deve essere posizionato superiormente rispetto a quello arterioso ed entrambi devono essere fissati adeguatamente. A questo punto può essere somministrata la prima dose di eparina e si può collegare l’ago arterioso con la linea sangue arteriosa, previa disinfezione della parte terminale. In ogni caso va evitata che l’eccessiva distanza tra la macchina e il paziente metta in trazione le linee sangue e gli aghi ad essa connessi. Così si mette in funzione la pompa sangue con un flusso variabile dai 50 ai 100 ml/min, il liquido che si trova nelle linee può esservi lasciato, e quindi restituito al paziente, soprattutto se è un paziente che può avere ipotensioni. In genere si riempie di sangue fino al gocciolatore venoso e successivamente si collega la linea sangue venosa. Infine, si provvede a fissare stabilmente con cerotti entrambe le linee. Con l’inizio della circolazione extracorporea, si provvede con la massima attenzione alla regolazione definitiva della macchina e bisogna provvedere alle seguenti misure:

• regolando la pompa sangue alla velocità desiderata, tenendo sotto controllo, contemporaneamente l’indicatore di pressione; controllare che non si verifichino collassamenti dei vasi, tumefazione dello shunt, strozzamenti delle linee sangue; inoltre si devono controllare i valori pressori forniti dall’indicatore di pressione;

• verificare il buon funzionamento del rilevatore di pressione e fissarne i limiti di allarme; • regolare il tasso di ultrafiltrazione prescritto, fissare i limiti di allarme della pressione transmenbrana; • controllare la plausibilità dei vari parametri forniti dalla macchina; • esaminare la normalità del flusso del dializzato; • inserire la pompa eparina e assicurarsi una sufficiente riserva di farmaco; • controllare a vista il flusso sangue: accertarsi dell’assenza di bolle d’aria, e che la progressione lungo le linee

sangue sia normale; • controllare se l’indicatore per le perdite sangue sia in funzione; • regolare la temperatura del dializzato; • effettuare un controllo finale delle linee sangue: inginocchiatura, impermeabilità, fissaggio, assenza di

trazione. • compilare il verbale di dialisi, annotare i dati di funzionamento della macchina e i parametri prefissati e

controllare l’attendibilità di tutte le annotazioni; • si controlla la posizione del paziente e del suo braccio con lo shunt; • ci si assicura che il paziente sia in grado di raggiungere il campanello d’allarme • si discute con il paziente sull’effettuazione trattamento attuale; • si assiste il paziente per tutta la dialisi.

3.7 Assistenza al paziente durante il trattamento dialitico

L’assistenza al paziente durante un trattamento, quale quello dialitico, che si protrae per varie ore è uno dei pilastri della terapia individuale qualificata. Alcuni pazienti non gradiscono un’assistenza asfissiante, dietro a un simile atteggiamento, possono nascondersi gravi conflitti, è in tali situazioni che è richiesta la sensibilità del personale addetto alla dialisi. Le misure essenziali per una corretta assistenza al paziente e per il controllo dello svolgimento di una dialisi, priva di complicanze, sono qui riassunte:

• controllo delle condizioni generali del singolo paziente: stato di coscienza, sintomatologia dolorosa, decubito, posizione del braccio con lo shunt;

• controllo delle condizioni di luce, temperatura ed aerazione dell’ambiente. Ci si preoccupi che anche fra i pazienti regni l’armonia; la radio e la televisione possono essere usati solo se tutti i pazienti sono d’accordo;

• controllo della frequenza cardiaca, della pressione arteriosa ed eventualmente misurazione della temperatura corporea;

• controllo dei punti di penetrazione degli aghi: se vi sono complicanze come emorragia o spostamento degli aghi;

• controllo a vista del flusso sangue nelle linee sangue e del livello ematico nei gocciolatori; controllo dell’eventuale presenza d’aria nella circolazione extracorporea; controllo del flusso sangue;

• controllo dei rilevatori di pressione; • controllo corretto dell’afflusso di eparina; eventualmente eseguire un controllo della coagulazione se

prescritto; • controllo della conducibilità in base ai valori prescritti; • controllo della temperatura; • controllo del flusso del liquido di dialisi e dell’eventuale presenza di sangue;

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• controllo del sistema di infusione e dell’avvenuta predisposizione di sacche di soluzione salina; • verificare l’avvenuta assunzione di farmaci durante il trattamento. Controllare il diario di dialisi circa eventuali

particolari prescrizioni (prelievi di sangue, monitoraggio elettrocardiografico durante la dialisi, variazioni della conducibilità, del flusso di eparina; del concentrato;

• aggiornare la documentazione; sul diario di dialisi si devono indicare i dati personali del paziente e tutto ciò che riguarda il procedimento tecnico del trattamento: ora dell’inizio e della conclusione, sua durata, tipo di tecnica di dialisi utilizzata, tipo di dializzatore e di concentrato, tasso di ultrafiltrazione, flusso sanguigno, conducibilità, temperatura, valori di pressione (arteriosa, venosa, transmenbrana), dose di eparina (dose iniziale e di mantenimento). Registrare eventuali anomalie verificatesi durante il trattamento (allarme ripetuto, malfunzionamento). Documentare altre peculiarità quali errore di puntura, contrattempi, complicanze. I diari sono documenti medici, essi vanno aggiornati scrupolosamente e si devono conservare per 10 anni, al pari di referti medici, elettro-cardio-grammi e reperti di laboratorio.

3.8 Complicanze intradialitiche e risoluzioni prescritte

Ipotensione. Sintomo frequente, causato nella maggior parte dei casi dall’eccessiva ultrafiltrazione e conseguente ipovolemia, e maggiormente in pazienti emodinamicamente instabili (lo sbadiglio, la sudorazione, il ridotto flusso ematico, sono campanelli d’allarme). L’infermiere interviene con l’azzeramento dell’ultrafiltrazione e rapida infusione di soluzioni saline o liquidi ipertonici fino alla scomparsa del sintomo. Importante educare il paziente a gestire al meglio l’introito liquido nella dieta. Aritmie. La rapida perdita di potassio extracellulare, provoca alterazioni del rapporto intra ed extra. Monitoraggio con emogasanalisi del potassio intradialitico. La prevenzione della comparsa di questa complicanza viene eseguita infondendo nel sangue in infusione continua per tutta la durata della dialisi, e/o aggiungendolo nel liquido di soluzione il bagno dialisi). Ipertensione. Probabile bilancio del sodio o del calcio troppo positivo. Controllare ed eventualmente modificare la dose dialitica. Altra causa è la rapida infusione di liquidi, o durante la dialisi o la fase di restituzione a fine trattamento. Eventuale valutazione del peso secco. Crampo muscolare. Principalmente causato dall’eccessiva ultrafiltrazione, che crea uno squilibrio elettrolitico tra l’intracellulare e l’extracellulare. I crampi sono anche frequenti nella fase finale del trattamento, quando il paziente si è avvicinato al suo peso secco. Ridurre l’ultrafiltrazione , infondere liquidi, praticare soluzioni saline concentrate (sconsigliate nella fase terminale della seduta), praticare farmaci ad azione miorilassante prescritto (attenzione, possono ridurre la pressione). Anche le manovre fisiche dell’infermiere sulla parte crampizzata, possono ridurre il sintomo. Sindrome da squilibrio. Si verifica principalmente nei pazienti che affrontano le prime sedute emodialitiche, quando la concentrazione dell’urea è molto alta. Quando si utilizzano nel bagno dialisi basse concentrazioni di sodio, si ha un ulteriore caduta dell’osmolarità plasmatica, con conseguente passaggio dell’acqua dall’intra all’extracellulare. La sintomatologia è varia è consiste prevalentemente in cefalea, nausea, vomito, crampi e tremori muscolari, irrequietezza, sonnolenza, disorientamento, alterazioni pressorie, crisi convulsive. La sindrome è prevenibile effettuando una depurazione lenta, utilizzando bagni dialisi ad alte concentrazioni di sodio ed eventualmente infondendo soluzioni iperosmotiche (fiale da 10 ml di glucosio 33%). Reazione da ipersensibilità. Il sangue del paziente, durante la seduta emodialitica rimane a contatto con materiali non fisiologici (linee, filtro), nonostante l’alta biocompatibilità dei materiali utilizzati. L’organismo quindi, sviluppa sempre delle reazioni, anche modeste mediate dall’attivazione dei leucociti e del complemento con possibile liberazione dei mediatori flogistici. Quando però il sangue viene a contatto con sostanze dotate di potere allergenico, si possono sviluppare delle vere reazioni di ipersensibilità di varia entità. Le reazioni allergiche possono essere sviluppate da membrane poco biocompatibili con rilascio di sostanze da parte della membrane stessa La sintomatologia è estremamente variabile, da lieve a molto severa: agitazione, sensazione di testa vuota, calore, pallore, prurito, starnuti, arrossamento cutaneo, edema cutaneo, orticaria, nausea, vomito, tosse dispnea leggera, dolori toracici, addominali e lombari, broncospasmo, edema laringeo, cianosi, dispnea acuta, tachicardia, ipotensione, collasso, arresto cardio-circolatorio, decesso. La terapia farmacologia consiste in: antistaminici, cortisonici, adrenalina, supporto cardio-respiratorio. Embolia gassosa. Il monitor è fornito di un ottimo sistema di sicurezza per la rilevazione d’aria (a infrarossi), quindi spesso è dovuta a disattenzione da parte dell’infermiere. La fase più rischiosa e delicata, è durante il distacco, cioè nella restituzione del sangue a fine trattamento. In questa fase le sicurezza del monitor vengono temporaneamente disabilitate. Non essendo quantificabile l’aria introdotta nel sangue del paziente, la sintomatologia è estremamente variabile: tosse secca, dolore retrosternale, dispnea, collasso, morte. Il paziente va posizionato subito sul fianco sinistro, con la testa in basso e gli arti

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inferiori sollevati (nel tentativo di intrappolare l’aria nel circolo dell’atrio destro). La terapia farmacologia, eventualmente prescritta, consiste nel praticare alte dosi di cortisone, per ridurre l’edema polmonare; somministrazione di ossigeno; supporto cardiologico (dopamina, digitale); se necessario la rianimazione cardio-respiratoria. Coagulazione del sangue nel circuito extracorporeo. La causa principale è l’insufficiente eparinizzazione del circuito ematico; l’infermiere deve segnalare al medico il problema, che in rapporto alla tecnica dialitica utilizzata, deve incrementare la dose. Le cause secondarie sono dovute a motivi tecnici o a problemi sull’accesso vascolare (es. quando l’infermiere è costretto a tenere ferma la pompa sangue). La coagulazione del filtro dializzatore e sul circuito ematico può avvenire anche a causa di regimi bassi della pompa sangue (riduzione della portata sanguigna dell’accesso vascolare). Di fronte a un processo coagulativo importante, è sempre necessario sostituire il filtro e/o le linee ematiche. Quando la coagulazione è solo iniziale e l’efficacia del filtro non è compromessa, può essere sufficiente aumentare la dose di eparina o eseguire lavaggi del circuito con soluzione fisiologica. Emolisi. Una modesta emolisi è fisiologicamente presente ad ogni trattamento dialitico, specialmente durante le prime sedute (effetto meccanico della pompa peristaltica sui globuli rossi). Si ha la rottura della membrana cellulare del globulo rosso con fuoriuscita del liquido intracellulare. I fattori che possono maggiormente provocare l’emolisi sono: traumi continui esercitati dalla pompa sangue sulla linea ematica e amplificati in caso di eccessiva aspirazione negativa; eccessiva corrente elettrica nel bagno dialisi; residui di sostanze usate nella disinfezione del circuito idraulico (formalina, ipocloriti); errata diluizione del bagno dialisi (bagno dialisi eccessivamente ipotonico, rotture sul preparatore). I sintomi principali sono il dolore lombare, alterazioni pressorie, malessere generale, iperpotassemia. Rottura del filtro dializzatore. Durante la dialisi può accadere che la membrana semipermeabile si rompa, con conseguente passaggio di sangue nel bagno dialisi. Il monitor rileva con un sensore a infrarossi la variazione di torpidità dell’ultrafiltrato, attivando l’allarme. L’unica manovra da effettuare è la sostituzione del filtro, dopo aver restituito il sangue del circuito ematico al paziente. Emorragia. Causata maggiormente dall’ipocoagulazione che viene prodotta con l’eparinizzazione del circuito ematico extracorporeo. Altra causa, la sconnessione accidentale delle linee ematiche o degli aghi. Ricircolo. E’ l’aspirazione da parte dell’ago arterioso di una certa quantità di sangue venoso, appena rientrato nel letto vascolare dopo il passaggio nel filtro dializzatore; causato da una vicinanza degli aghi o per portata inferiore al flusso richiesto della circolazione extracorporea, resistenza al deflusso venoso, o posizione invertita degli aghi.

3.9 Conclusione della seduta dialitica

Prima di provvedere l’attuazione per le misure di conclusione della seduta dialitica, si deve valutare se lo scopo del trattamento è stato raggiunto, considerando:

• se è stata ottenuta la sottrazione d’acqua desiderata; • se è stata raggiunta la normalizzazione dell’equilibrio acido-base e idro-elettrolitico; • se sono state eseguite le prescrizioni per l’attuale dialisi; • prima del distacco ci si deve accertare di avere a disposizione tutti gli accessori necessari: tamponi, siringhe,

cerotti, pinze, ecc.; • se sono presenti i flaconi contenenti le soluzioni necessarie al distacco (NaCl 0,9%, glucosio o levulosio); • se sono stati prescritti prelievi di sangue al termine della dialisi; • se sono stati prescritti farmaci da somministrare a fine dialisi;

Come per l’intero trattamento dialitico, anche per il processo di distacco è richiesta la massima attenzione e concentrazione. Alla fine della dialisi è necessario restituire lentamente al paziente il volume sanguigno extracorporeo. A tal scopo devono essere adattate le seguenti misure:

• interrompere l’afflusso di eparina; • arrestare la pompa sangue; • far terminare l’ultrafiltrazione; • staccare la linea sangue arteriosa dal paziente, clampando il catetere, far defluire la soluzione di infusione,

riavviare la pompa sangue, iniziare il lavaggio di ritorno. Nel lavaggio di ritorno, il filtro dializzatore viene delicatamente agitato, per ottenere un ulteriore mobilizzazione degli eritrociti;

• si controlli scrupolosamente la restituzione e bisogna essere pronti ad arrestare la pompa manualmente e a bloccare la linea sangue venosa con una pinza dopo lo scatto dell’allarme d’aria. L’ultima fase del processo di riduzione avviene per mezzo della forza di gravità;

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• dopo aver sostituito il sangue residuo al paziente si stringono con due pinze la linea sangue venosa e la canula, infine si estrae l’ago e si comprime con un tampone il foro da cui è stato estratto;

• prima di ripesare il paziente si misura nuovamente la pressione arteriosa (misurazione che nell’intradialisi viene attuata circa ogni trenta minuti);

• si compila il verbale di dialisi annotando eventualmente particolarità a cui porre attenzione alla prossima dialisi;

3.10 Gestione del paziente dializzato in altre unità operative

I pazienti affetti da IRC, generalmente, accedono alla struttura ospedaliera per controlli rutinari e per eseguire la terapia sostitutiva, l’emodialisi. Però, tuttavia, a causa delle concomitanti malattie presenti nel paziente dializzato e all’aumentata età media dei pazienti che li porta ad un inevitabile degenerazione organica, spesso essi si trovano nella struttura ospedaliera, ricoverati in reparti che nulla hanno a che vedere con la patologia nefrologica. E siccome si va verso la settorializzazione e quindi alla specializzazione delle varie discipline, molte nozioni apprese nel corso degli studi, possono sfuggire. E in questo breve paragrafo, cito le più importanti avvertenze, degne di nota, da tener presente, quando nel proprio reparto, ci si trova di fronte a un paziente che deve eseguire la seduta dialitica. Esse sono:

• controllo del peso del paziente prima della colazione, preferibilmente con pochi indumenti e sempre agli stessi orari;

• controllo dei segni e sintomi di eventuali complicanze quali l’iperpotassemia da monitorizzare con valutazione della frequenza cardiaca e alterazioni elettrocardiografiche;

• venire a conoscenza degli orari e dei giorni in cui si effettua la terapia dialitica e far rispettare la puntualità; • evitare la misurazione della pressione arteriosa nel braccio portatore di fistola artero-venosa; • evitare l’incannulamento dell’accesso vascolare per prelievi e terapie infusionali; • far seguire la dieta prescritta: asciutta,iposodica, iperproteica; • consulenza dei medici del reparto con i medici dell’unità operativa di Nefrologia e Dialisi, per la valutazione

della terapia e di altri eventuali problemi, che possono insorgere durante il ricovero.

3.11 Aspetti psicosociali e qualità di vita del paziente sottoposto a dialisi periodica

Negli ultimi anni, si è passati da malattie per lo più a carattere acuto infettivo a patologie di tipo cronico degenerativo. Proprio tale passaggio a forme morbose, caratterizzati da un decorso prolungato, ha reso sempre più urgente la necessità di prendere in considerazione non più la "quantità" ma soprattutto la "qualità" di vita. L’area della patologia renale rappresenta un settore di primaria importanza per la valutazione dell’impatto della malattia, e del suo trattamento sulla qualità di vita. Il malato che per la prima volta viene ricoverato in ospedale, subisce un particolare trauma psicologico, egli si trova in una posizione nuova, lontano dalla famiglia e dall’ambiente sociale, dalle sue abitudini di vita e viene inserito in un mondo a lui sconosciuto con leggi, consuetudini e una gerarchia sua propria alla quale si deve adattare. Il primo impatto con la malattia uremica è spesso legato al cambiamento di alimentazione a base di prodotti anazotati che non è più così gustosa come l’alimentazione mediterranea. La perdita della funzione renale e la contrazione della diuresi producono nel paziente un importante modificazione dell’immagine di se, con una rottura della sua integrità fisica e del suo equilibrio psicofisico. Questo insulto all’immagine di se è generalmente associato ad un vissuto di angoscia, di dolore e, sul piano affettivo, equivale ad una vera e propria esperienza di lutto. L’allestimento della fistola artero-venosa, come accesso vascolare, per iniziare la terapia emodialitica, è vissuta dal paziente come un momento di ansietà e angoscia. La fistola e l’assenza della minzione sono l’espressione più tangibile delle modificazioni dell’immagine di se e dello schema corporeo. Il paziente in dialisi subisce tale mutamento psicologico, cade in una profonda crisi che è determinata proprio da questo nuovo modo di essere, cioè di "malato cronica". L’individuo si sente assente, il tempo e lo spazio si articolano e si orientano verso la vita dialitica per cui nulla esiste al di fuori della dialisi. La relazione interdipendente tra un infermiere e un paziente è essenzialmente una "relazione d’aiuto" che si costruisce e si modifica giorno per giorno, ora per ora, minuto per minuto, sulla base del vissuto che i due affrontano da angolazioni diverse, ma intimamente collegate. Molte volte non basta fermarsi alle buone intenzioni, al sorriso, alla gentilezza e buone maniere, che sono sì elementi indispensabili per una relazione efficace, ma occorre anche investire in competenza tecnica, in altre parole, darsi da fare per acquisire una specie di "arte dell’aiuto". L’atteggiamento degli infermieri verso il malato in terapia sostitutiva deve quindi affrontare le difficoltà del paziente, intese come problemi emotivi, vissuti psicologici, ricadute sociali e culturali del suo stato di cronicità. L’infermiere con i colloqui che ha con i pazienti, anche durante la seduta dialitica deve individuare i disagi che egli accusa, ed una volta identificati, operare di conseguenza. Alla luce di queste osservazioni diventa sempre più importante centrare l’attenzione su una logica che evidenzia, oltre allo stato della malattia e la sua evoluzione, anche i bisogni del paziente, poiché molto spesso, si interviene sulle malattie escludendo il significato che essa ha per il malato. Per tale motivo l’efficacia della "terapia" dipende da una certa interrelazione infermiere-paziente.

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3.12 Teoriche sull’assistenza infermieristica: Orem, Cantarelli

La personalizzazione dell’assistenza Attualmente si sta teorizzando un passaggio da un passaggio da un’assistenza per compiti ad una per prestazioni, prendendo come modello teorico quello di Dorothea E. Orem, che dà una definizione di azione infermieristica: "L’assistenza infermieristica nei confronti dei singoli uomini, donne e bambini o nei confronti di unità composte da più persone, quali famiglie, richiede che gli infermieri abbiano competenze specializzate, che consentano loro di assicurare un’assistenza che compensi o aiuti a superare le mancanze di autoassistenza dovute o derivate dalla salute. Queste competenze specializzate sono definite azioni infermieristiche". La Orem presenta la sua teoria presenta la sua teoria generale di nuring composta da tre concetti interconnessi: autoassistenza, deficit di autoassistenza e sistemi infermieristici. Nell’ambito di questi concetti vi sono i requisiti universali, di sviluppo. Il concetto di deficit di autoassistenza indica quando è necessario il nursing o meglio quando le richieste di autoassistenza sono maggiori rispetto alle capacità di prendersi cura di se stesso. Secondo la Orem, il concetto dei sistemi infermieristici, una volta stabilita la necessità dell’intervento infermieristico, viene delineato dall’infermiere. I tre sistemi e cioè, quello totalmente compensativo, quello parzialmente compensativo e quello educativo e di sostegno determinano i ruoli sia dell’infermiere che del paziente.

Il lavoro della Orem, illustra la sua interpretazione dei concetti di: essere umano, salute, nursing e società, determinando le tre fasi del processo infermieristico:

1. individuazione dei problemi; 2. determinazione di un sistema di nursing e del piano di messa in atto dell’assistenza; 3. attuazione e conduzione dei sistemi infermieristici.

Da questi concetti la contemporanea Marisa Cantarelli analizza i concetti fondamentali della disciplina infermieristica: uomo, salute, ambiente e assistenza infermieristica. Essa qualifica l’assistenza infermieristica come una disciplina che si interessa dell’uomo in quanto destinatario proprio dell’assistenza. In tal senso il fine da perseguire è offrire un servizio qualificato nel vasto campo della tutela della salute. Attualmente, in Italia, nella maggior parte delle realtà, l’assistenza è erogata per compiti, ciò secondo la Cantarelli equivale all’assistenza semplice che presuppone l’utilizzo di tecniche e procedure normali. Questa va superata per passare a un’assistenza complessa, che richiede, da parte dell’infermiere un giudizio autonomo, decisioni ponderate basate sulla conoscenza del proprio lavoro e sulle informazioni che possiede, e con doti di creatività e iniziativa. L’assistenza complessa, per la Cantarelli è il presupposto indispensabile per la personalizzazione dell’assistenza. E’ un nuovo modo di leggere l’attività infermieristica, nel tentativo di proporre un’alternativa al "mansionario abrogato", che meglio descrive l’attività infermieristica individualizzata e personalizzata, propria degli infermieri di oggi.

Capitolo 4 - CENNI SULLE ALTRE TERAPIE SOSTITUTIVE 4.1.1 Dialisi Peritoneale 4.1.2 Complicanze della Dialisi Peritoneale 4.1.3 Vantaggi e svantaggi della Dialisi Peritoneale rispetto all’Emodialisi 4.2.1 Il Trapianto Renale: aspetti legislativi, organizzativi e immunologici 4.2.2 La selezione del paziente: donatore e il ricevente 4.2.3Procedure per l’inserimento in lista d’attesa 4.2.4 Il futuro del trapianto d’organo CONCLUSIONI BIBLIOGRAFIA

Capitolo 4 CENNI SULLE ALTRE TERAPIE SOSTITUTIVE

4.1.1 Dialisi peritoneale Nella dialisi peritoneale una quantità definita di soluzione di lavaggio sterile viene infusa nella cavità addominale, attraverso un catetere ivi precedentemente collocato (sonda di materiale sintetico), dove rimane per qualche tempo prima di essere rimossa. A seconda della frequenza con cui si effettua lo scambio di liquido si distingue tra:

• CAPD = "dialisi peritoneale ambulatoriale continua". Il paziente o un partner sempre disponibile effettuano più volte al giorno (generalmente ogni 6 ore) il cambio della soluzione di lavaggio.

• IPD = "dialisi peritoneale intermittente". Con questa procedura la dialisi avviene con dei periodi di interruzione in un centro di dialisi tre volte alla settimana. Per mezzo di un apparecchio di dialisi peritoneale (detto

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"Cycler") lo scambio di liquido avviene automaticamente per lo più durante la notte (in 10- 12 ore. vengono scambiati da 10 a 30 l di soluzione di dialisi).

• CCPD = "dialisi peritoneale continua ciclica". Questa forma di dialisi peritoneale viene autoeffettuata a domicilio generalmente di notte. Il paziente si collega di sera all’apparecchio per la dialisi peritoneale, e il mattino successivo si stacca, chiudendo il catetere in modo sterile. Egli, pertanto senza la preoccupazione del continuo cambio del sacchetto, può dedicarsi di giorno alle normali occupazioni.

Come nel caso dell’emodialisi periodica è necessaria la presenza dello shunt, così per la dialisi peritoneale è necessario il posizionamento di un catetere, il quale viene posto nello spazio addominale mediante intervento chirurgico; la punta del catetere è libera nella cavità addominale, tipicamente nello spazio di Douglas. La presenza del catetere costituisce un primo svantaggio del procedimento della dialisi peritoneale. La visibilità permanente e la sensazione tangibile del catetere rappresenta per molti pazienti in dialisi peritoneale e per il loro partner un grande problema psicologico, come emerge frequentemente dai dialoghi confidenziali con la maggior parte dei pazienti. L’esistenza del catetere è in ogni caso meno sopportabile della presenza dello shunt. E’ possibile per il paziente fare il bagno, tuttavia il catetere deve essere prima avvolto con un foglio impermeabile: i telini chirurgici adoperati in tale occasione hanno dato buoni risultati. La doccia è invece possibile senza adottare particolari misure. Come lo shunt del paziente in emodialisi, anche il catetere si può occludere (ad esempio per aderenza al grande omento), si può spostare, a causa dei movimenti dell’intestino, oppure può determinare un’infezione attraverso il transito mediante il quale penetra nella cavità addominale. Tutto ciò può costringere all’eliminazione chirurgica del catetere. Esistono diversi tipi di catetere, quello usato più frequentemente è il catetere TENCKHOFF. Nel catetere si trova un tratto di collegamento, al quale viene poi collegato il sacchetto con le soluzioni di dialisi; la connessione è oggi tecnicamente molto perfezionata, semplice e sicura. La dialisi peritoneale rende possibile un soddisfacente controllo dell’uremia, sia dal punto di vista clinico che laboratoristico. Un particolare vantaggio offerto da questa metodica e in particolare dalla CAPD è rappresentato dal fatto che essa permette una dialisi delicata: pazienti che con l’emodialisi soffrono di cefalee continue, nausea, vomito ecc. sono curati molto meglio con la CAPD. Un ulteriore vantaggio della dialisi peritoneale è rappresentata dal fatto che la dieta può essere pianificata più liberamente. soprattutto riguardo all’assunzione di sodio e potassio. Questo è tuttavia solo un vantaggio teorico perché in realtà si deve considerare che anche la maggior parte dei pazienti in emodialisi si "concede" una dieta abbastanza libera. Circa gli effetti dannosi sul metabolismo, da parte della dialisi peritoneale, si deve richiamare l’attenzione sull’alto carico di glucosio cui viene sottoposto l’organismo dei pazienti trattati con questa tecnica. Nei diabetici ciò determina la necessità dell’aumento della dose di insulina e di una rigorosa riorganizzazione delle raccomandazioni dietetiche; anche nei pazienti non diabetici frequentemente si verifica un’iperglicemia. L’elevato carico di glucosio può talora determinare un aumento di peso dei pazienti e quasi sempre è causa di un’ulteriore alterazione del metabolismo lipidico. Inoltre, attraverso il dializzato peritoneale si perdono proteine in quantità variabile da 5 a 20g/die. Infine, poiché la dilatazione della cavità addominale riempita dal dializzato ostacola l’escursione diaframmatica influendo così negativamente sulla respirazione /respirazione profonda), alcuni pazienti in trattamento con la dialisi peritoneale vanno incontro, con maggiore frequenza, ad infezioni delle vie respiratorie.

4.1.2 Complicanze della Dialisi Peritoneale

La complicanza più importante della dialisi peritoneale è la peritonite. Questa può essere provocata dalla penetrazione di agenti patogeni nello spazio addominale attraverso il catetere, lungo il tunnel del catetere o per via ematogena, oppure dalla diffusione di agenti patogeni provenienti da organi della cavità addominale, per esempio in caso di diverticoli o in caso di infiammazione degli organi genitali femminili. Le peritoniti possono essere provocate anche da miceti: queste ultime infezioni sono rare e si presentano talora dopo un trattamento antibiotico prolungato. La diagnosi della complicanza peritonitica è semplice:

• Intorbidamento dei liquido di dialisi. • Incremento del numero dei globuli bianchi (leucociti) presenti nel dializzato oltre i 100/ l. • Disturbi addominali. • Si deve distinguere questa "vera" peritonite dall’intorbidamento del liquido di dialisi provocato dalla

precipitazione di proteine o dalla eosinofilia del dializzato generalmente secondaria ad una reazione allergica al catetere, al sacchetto o ai residui di disinfettante.

Nelle donne, durante le mestruazioni, si può verificare l’intorbidamento del liquido di dialisi, mentre durante l’ovulazione esso può presentare persino tracce di sangue. Una rara forma di peritonite che può comparire durante la dialisi peritoneale è la cosiddetta "peritonite tossica" che si verifica in seguito alla penetrazione di sostanze tossiche irritanti, per esempio dopo introduzione di determinati farmaci nel dializzato. Tra le flogosi non infettive del peritoneo bisogna ricordare la peritonite sclerotizzante adesiva che è caratterizzata da dolore addominale, perdita dell’ultrafiltrazione e sintomi da stenosi del tratto gastro-intestinale; all’apertura dello spazio addominale si osserva un peritoneo bianco fortemente fibrotico. La causa della peritonite sclerotizzante adesiva a non è chiara, l’esito è molto

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spesso fatale. Secondo le statistiche, in corso di dialisi peritoneale si verifica in media una peritonite ogni 12- 18 mesi Terapia della peritonite. Il paziente deve prendere subito contatto con il centro di cura, se nota uno scarico torbido nel sacchetto. In caso di dolori addominali molto forti, può essere necessaria la somministrazione di analgesici maggiori (oppiacei). La quantità del liquido di lavaggio peritoneale e la frequenza del cambio del dializzato normalmente non devono essere aumentati in caso di peritonite, poiché attraverso un tale trattamento di pulizia vengono eliminate troppo rapidamente dallo spazio addominale le cellule con funzioni difensive e le opsonine. I pazienti quindi devono assolutamente mantenere il ritmo abituale di ricambio del liquido di dialisi. Per il trattamento della peritonite, si somministrano antibiotici direttamente nel dializzato; la terapia antibiotica deve essere sufficientemente protratta, con dosaggi adeguatamente elevato e a lungo; essa deve essere continuata per 10-l4 giorni ed almeno fino a circa una settimana dopo l’ultimo esame colturale positivo per la presenza di batteri. Per quanto riguarda gli antibiotici da usare e le eventuali associazioni tra loro ogni centro ha le proprie esperienze; generalmente viene somministrata in cavità peritoneale un’associazione di cefazolina e gentamicina oppure di una cefalosporina con l’oxacillina. Prevenzione della peritonite Le condizioni da osservare sono:

• osservare rigorosamente le norme igieniche durante cambio del sacchetto o nell’allacciamento e nel distacco. • Se durante il cambio vi è la possibilità di un inquinamento batterico, ogni altro ulteriore procedimento deve

essere interrotto fino a quando non saranno ristabilite di nuovo le condizioni "sterili" di base. • I cambi devono avvenire in un ambiente in cui siano assicurate adeguate condizioni igieniche: porte e finestre

devono essere chiuse e inoltre è necessario che siano garantite condizioni di luce sufficienti!

4.1.3 Vantaggi e svantaggi della dialisi peritoneale rispetto all’emodialisi

Vantaggi:

• Miglioramento dello stato generale e della riabilitazione del paziente. • Maggiore mobilità del paziente. • Sufficiente controllo dell’uremia. • Influenza favorevole sul l’ipertensione arteriosa e sull’anemia. • Maggiori benefici specialmente in caso di bambini, pazienti anziani, cardiopatici e diabetici. • Probabili vantaggi economici.

Svantaggi

• Pericolo di peritonite. • Confronto ininterrotto con la malattia. • Problemi meccanici con cateteri e collettori. • Problemi psichici legati alla presenza del catetere. • Continuo carico di glucosio con pericolo di sovrappeso e di grave disfunzione del metabolismo lipidico. • Perdita della capacità di ultrafiltrazione dei peritoneo, in particolare dopo ripetute peritoniti.

Indicazioni e controindicazioni della CAPD come terapia sostitutiva della funzione renale nella insufficienza renale terminale Indicazioni

• Desiderio del paziente di una dialisi domiciliare senza assistenza. • Assenza di accessi vascolari per l’emodialisi. • Ipertensione arteriosa non controllabile farmacologicamente. • Iperpotassiemia e/o ipervolemia gravo recidivanti. • Insufficienza cardiaca resistente alla terapia. • Insufficienza renale terminale nei diabetici. • Insufficienza renale terminale nei bambini.

Controindicazioni

• Alterazioni del peritoneo, quali aderenze dopo interventi chirurgici, infiammazioni, tumori. • Reni cistici.

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• Malattie polmonari. • Cirrosi epatica con ascite. • Gravi alterazioni della colonna vertebrale. • Ernie addominali. • Scarsa collaborazione da parte del paziente, condizioni igieniche insufficienti, scarsa comprensione del

paziente per l’intera problematica...

4.2.1 Il Trapianto Renale: aspetti legislativi, organizzativi e immunologici

Introduzione. Il trapianto renale rappresenta sicuramente il trapianto d’organo più conosciuto essendo stato il primo ad essere eseguito nel lontano 1959. Essendo tuttora il più praticato e di cui quindi se ne è tratta la maggior esperienza, è il tipo di trapianto che più ha risentito dell’impiego dei farmaci immunosoppressori, aventi lo scopo di prevenire e combattere la reazione di rigetto, causa principale di perdita o di ridotta sopravvivenza dell’organo. La recente introduzione di farmaci sempre più efficaci e meglio tollerati, ha permesso un notevole miglioramento della sopravvivenza dell’organo e del paziente trapiantato. Per tali motivi, il trapianto d’organo in generale, e di rene in particolare, non deve considerarsi più come un semplice atto chirurgico bensì come un atto terapeutico, come a dire che con il trapianto si può guarire della malattia, come quella renale, che ha colpito il paziente. Aspetti legislativi La mancanza di una legge definitiva che regolamenti tutti gli aspetti dei trapianto d’organo è forse una delle cause più importanti per cui in Italia tale l’attività non è mai decollata come invece in altri paesi. In Spagna, ad esempio, la legge promossa di recente che ha stabilito l’istituzione di direttive sul piano logistico-organizzativo come la nomina dei Coordinatore Nazionale con potere assoluto di decisione sui centri periferici e come l’istituzione della norma del consenso presunto, ha permesso di incentivare a tal punto l’attività di trapianto che in questi ultimi anni ha superato quella di ogni altro paese europeo. In Italia, la legge tuttora in vigore e che risale al 1975, fino a pochi anni fa prevedeva tra l’altro che:

• l’ospedale che esegue il trapianto deve essere autorizzato dal Ministero della Sanità; • il periodo di osservazione clinica dei potenziale donatore deve essere di 12 ore; • il prelievo è vietato solo quando l’individuo ha espresso parere negativo in vita.

Nella suddetta legge non venivano al contrario stabilite alcune direttive come:

• il coordinamento nazionale e regionale delle donazioni e dei trapianti, e quindi delle liste d’attesa; • quali iniziative promuovere per incentivare l’attività di trapianto; • i finanziamenti necessari.

Decreti Legge successivi hanno apportato alcune modifiche migliorative tra le quali ricordiamo:

• il periodo di osservazione è stato accorciato a 6 ore; • la morte cerebrale viene riconosciuta come lo stato di cessazione irreversibile della vita e la risultante di 3

condizioni cliniche presenti contemporaneamente: 1. stato di incoscienza (coma profondo o depassè) 2. assenza del respiro spontaneo 3. silenzio elettrico cerebrale (EEG piatto)

• per i bambini fino a 5 anni il periodo di osservazione deve essere di 12 ore; • le regioni vengono delegate a promulgare le leggi necessarie per l’organizzazione e la promozione delle attività

di donazione e di trapianto.

Nonostante tali modifiche, la legge si è dimostrata comunque carente, visto che l’attività di trapianto in questi anni non si è modificata di molto. I punti controversi della legge sono essenzialmente due. Anzitutto la questione dei consenso: la legge 644 vieta infatti il prelievo da cadavere solo quando l’estinto abbia disposto contrariamente in vita; perché allora si chiede la modifica di una legge che in realtà ha pienamente recepito le direttive dei Consiglio d’Europa rispettando il principio solidaristico della possibilità di prelievo in tutti i casi nell’interesse superiore della salute? Perché, in mancanza di disposizioni dell’estinto, viene riconosciuta ai familiari la possibilità di negare la donazione (consenso dei familiari). La proposta di legge tuttora ferma al Senato e sostenuta da tutte le forze politiche, prevede invece che ogni cittadino debba manifestare in vita e per iscritto la propria volontà di assenso o di dissenso alla donazione a partire dai 16 anni di età ma togliendo comunque ogni possibilità di opposizione ai familiari (consenso scritto o informato). In altri

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paesi, come ad esempio l’Austria, vige la regola che se l’istinto non ha espresso in vita il proprio parere sulla donazione è come se l’avesse acconsentito (silenzio-assenso o consenso presunto).

Secondariamente, nella proposta di legge vengono perfezionati alcuni aspetti organizzativi, aventi 3 obiettivi principali:

• razionalizzare e migliorare le attività sanitarie legate al trapianto; • potenziare i reparti di rianimazione; • snellire le procedure tecniche per facilitare i trapianti.

In tal senso si orienta la recente costituzione della Consulta Nazionale Trapianti o Centro Nazionale di Riferimento il quale tuttavia, al contrario delle omologhe agenzie nazionali di paesi come la Francia (France Transplant), svolgerebbe un ruolo prettamente consultivo e non decisivo o esecutivo. Alle regioni invece, viene affidato il compito di regolamentare, attraverso il Centro Regionale di Riferimento, l’attività di donazione e trapianto, coordinando i vari reparti di rianimazione e i singoli centri trapianto regionali e mantenendo comunque il compito di referente alla Consulta nazionale. A tal fine, la regione Emilia-Romagna è stata forse la prima ad attivarsi e a promuovere con la legge regionale del 1995, una iniziativa in grado di regolamentare e promuovere l’attività di donazione e trapianto d’organo. In questa legge vengono istituiti:

• il Centro di Coordinamento Regionale con la figura de Transplant Coordinator Regionale; • i centri sede di trapianto (Bologna, Parma e Modena per il rene); • il referente locale (di solito un rianimatore).

Inoltre, si stabilisce che tutte le rianimazioni ospedaliere vengano collegate al centro regionale e siano obbligate a segnalare qualsiasi potenziale donatore. Con la legge regionale viene anche stabilito un finanziamento annuale allo scopo di incentivare il trapianto e di migliorare l’informazione dell’opinione pubblica. Aspetti organizzativi Attualmente l’Italia è una delle poche nazioni europee a non aver ancora definito una razionale organizzazione per tutte le problematiche inerenti il trapianto, l’unica a non avere un’agenzia o centro nazionale di riferimento per il trapianto d’organo. In Italia infatti, esistono attualmente 3 principali agenzie: il NIT (Nord Italian Transplant), l’AIRT (Associazione InterRegionale per il Trapianto) e il CCST (Coordinamento Centro Sud Transplant), agenzie che lavorano in modo totalmente indipendente l’una dall’altra coordinando lo scambio di organi tra i centri trapianti esistenti all’interno di esse e solo di rado, o quando un organo verrebbe altrimenti scartato, tra di loro. Nei principali paesi europei invece, e in Spagna in particolare dove un recente programma di riorganizzazione dell’attività di trapianto insieme ad una legge ad hoc ha permesso in pochi anni di quadruplicare il numero di trapianti, esiste un unico centro di coordinamento nazionale affidato al Transplant Coordinator che gestisce una lista d’attesa unica e al quale è affidata la responsabilità decisionale ed esecutiva. In Italia è stato costituito un organo (la Consulta Nazionale Trapianti) che in teoria avrebbe il compito di regolamentare e coordinare le 3 principali agenzie, ma che in realtà assolve ad una funzione consultiva e non esecutiva poiché non decide dove inviare l’organo e a chi, scelta che spetta invece ai singoli centri trapianti o ai singoli Centri Regionali di Riferimento, se già costituiti. In Emilia-Romagna l’attività di donazione, prelievo e trapianto d’organo è regolamentata dalla legge regionale n° 53 del 4-9-1995 sulla base di normative già indicate in leggi e disposizioni nazionali precedenti e nell’accordo interregionale tra le regioni Toscana, Piemonte, Valle d’Aosta, Emilia-Romagna e provincia autonoma di Bolzano che nel 1994 hanno costituito l’AIRT. In base alla suddetta legge regionale si è costituito il Centro Regionale di Riferimento presso il Policlinico Universitario S.Orsola di Bologna e avente i seguenti compiti:

• coordinare l’attività di prelievo e trapianto all’interno della regione; • collaborare con i Centri di Riferimento delle altre regioni dell’area AIRT (e, se necessario, con le altre regioni

italiane) nello scambio di organi; • gestire (in futuro) una unica lista d’attesa.

Aspetti immunologici. Quando una qualsiasi "sostanza o tessuto esterno", e quindi nel nostro caso un organo, viene immesso o viene a contatto con un altro individuo, il sistema immunitario del ricevente riconosce l’organo come estraneo e lo rigetta. Questo meccanismo indotto dal sistema immunologico di qualsiasi individuo è alla base della reazione di rigetto e quindi è il perno di tutto il complesso sistema del trapianto d’organo.In sintesi, il sistema immunitario dei ricevente riconosce l’antigene (rappresentato ad es. dal rene trapiantato) come estraneo, lo capta e richiama in loco alcune cellule citotossiche che distruggono lo stesso antigene (e quindi l’organo). I principali antigeni in grado di scatenare questa reazione appartengono a 2 sistemi:

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1. gli antigeni del sistema ABO; 2. gli antigeni del sistema HLA.

Nel primo caso si tratta degli antigeni presenti sulla superficie dei globuli rossi e che determinano il gruppo sanguigno di un qualsiasi individuo. Siccome il trapianto normalmente viene eseguito tra pazienti compatibili per gruppo sanguigno, questo meccanismo non viene mai innescato. Gli antigeni dei sistema HLA o di istocompatibilità invece, sono presenti sulla superficie di ogni cellula tranne che i globuli rossi e sono distinti in due classi: gli antigeni di classe I sono definiti HLA-A, HLA-B, HLA-C perché codificati dai loci A, B, C presenti sul cromosoma 6; gli antigeni di classe II sono definiti HLA-DR, HLA-DP e HLA-DQ perché codificati dai loci corrispondenti presenti sempre sul cromosoma 6. Brevemente, quando un organo trapiantato non è compatibile perché presenta sulla superficie delle proprie cellule HLA diversi da quelli presenti sulla superficie delle cellule dell’ospite, il trapianto si comporta come estraneo: alle sue cellule aderiscono i T linfociti dell’ospite che a seguito di questo contatto si trasformano in gran parte in T linfociti citotossici che proliferano e, o direttamente o indirettamente attraverso l’attivazione dei macrofagi, distruggono le cellule estranee provocando la reazione di rigetto. Quindi gli antigeni di istocompatibilità rappresentano i principali inneschi della reazione di rigetto. Da qui l’importanza, prima del trapianto, di andarli sempre a identificare sia nel donatore che nel ricevente, attraverso quel test chiamato tipizzazione linfocitaria. Teoricamente, maggiore è il numero di HLA identici fra donatore e ricevente, minore è la probabilità e l’intensità di attivazione del sistema immunocompetente e quindi minore è la probabilità di rigetto, fino ad arrivare al caso estremo del trapianto fra gemelli identici dove teoricamente non dovrebbe verificarsi alcuna reazione di rigetto per l’identità degli HLA fra donatore e ricevente. Un secondo meccanismo in grado di scatenare la reazione di rigetto è quello umorale, dovuto cioè ad anticorpi preesistenti nel sangue del possibile ricevente e diretti contro gli antigeni di istocompatibilità del donatore. La presenza di tali anticorpi viene ricercata con un test, chiamato cross-match, che consiste nel far reagire il siero del potenziale ricevente (che periodicamente si invia al centro trapianti dove viene congelato in modo che sia sempre e in breve tempo disponibile in caso di allarme) con i linfociti del donatore: in presenza nel siero del paziente di anticorpi preformati diretti contro il possibile donatore si verifica una reazione sierologica (cross-match positivo) e il paziente viene escluso in quanto questi anticorpi innescherebbero, se il trapianto venisse eseguito, una reazione immediata di rigetto iperacuto.

4.2.2. La selezione del paziente: il donatore e il ricevente

Il trapianto da donatore vivente. Il trapianto da vivente rappresenta una valida alternativa al trapianto da cadavere, purtroppo non tutti i centri trapianto lo eseguono poiché non "credono", più per questioni culturali, ai maggiori vantaggi di questo tipo di trapianto. In molti paesi europei al contrario, la % di trapianto da vivente arriva al 30% di tutti i trapianti eseguiti, mentre in Italia tale quota non supera il 15%. Del resto, in uno stato di carenza d’organi come il nostro, questo tipo di programma andrebbe considerato con maggiore attenzione mediante uno sforzo soprattutto degli operatori che spesso, per il loro disinteresse, non approfondiscono tale possibile alternativa. Premessa e principio fondamentale in questo tipo di trapianto è la forte motivazione sia del donatore a dare l’organo ma anche del ricevente a riceverlo. E’ bene quindi che il nefrologo che ha in cura il paziente, sondi sempre questa possibilità sia tra i familiari che con il paziente stesso attraverso un colloquio approfondito e possibilmente in modo separato. Nei casi più complessi può essere utile anche il colloquio con lo psicologo, ma comunque vale la regola che la scelta della donazione deve essere fortemente sentita e libera senza alcuna forzatura psicologia. Il trapianto da vivente può essere praticato sia fra consanguinei (genitori, fratelli, zii,) sia fra non-consanguinei (moglie, marito, ecc.). In entrambi i casi naturalmente è indispensabile la compatibilità di gruppo; per quanto riguarda invece la compatibilità del sistema HLA, nel trapianto fra consanguinei si andrà a selezionare il familiare che, oltre ad essere motivato, possiede il maggior numero di HLA identici a quelli del ricevente (meglio se l’identità è fra gli antigeni HLA della classe II), in quanto maggiore è la compatibilità, minore è la probabilità di rigetto.

Una volta individuato il donatore si procede alla valutazione clinica dello stesso attraverso una serie di accertamenti clinici, laboratoristici e strumentali. Requisiti clinici fondamentali sono:

• la normale funzione renale; • il buon funzionamento degli altri organi. • l’assenza di infezioni o neoplasie.

L’età anagrafica non rappresenta un fattore limitante, ma tutto è condizionato dallo stato clinico generale. In tutti viene richiesto uno studio arteriografico dell’aorta e dei reni al fine di valutare e individuare quale dei due reni scegliere al momento dell’espianto. Il trapianto da donatore cadavere. La valutazione del donatore cadavere inizia allorché può essere definita la condizione di morte cerebrale. Il potenziale donatore infatti è in genere un soggetto deceduto per traumi, emorragie o neoplasie cerebrali. Secondo la legge vigente e le successive modifiche migliorative, la morte

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cerebrale viene considerata come la morte dell’individuo in quanto cessazione irreversibile di tutte le funzioni dell’encefalo e viene definita come la risultante di 3 di condizioni contemporanee:

• stato di incoscienza (coma profondo); • assenza della respirazione spontanea per almeno 2 minuti consecutivi dopo la sconnessione dei respiratore; • assenza di attività elettrica cerebrale.

Queste 3 condizioni devono essere individuate e verbalizzate da una Commissione di 3 medici: un rianimatore, un medico-legale e un neurologo che certificano così lo stato di morte cerebrale; a questo punto inizia il periodo di osservazione che, secondo l’attuale normativa, è di 6 ore; in tale periodo è indispensabile, oltre che il mantenimento dello stato di morte cerebrale, anche il perdurare dell’attività cardiaca (cadavere a cuore battente) al fine di mantenere l’integrità degli organi da espiantare. L’idoneità del donatore viene accertata mediante una serie di esami clinici e strumentali atti a confermare, oltre che la normalità dei reni e della funzione renale, l’assenza di patologie in grado di compromettere il buon esito dei trapianto. In particolare, rappresentano criteri di esclusione: le neoplasie maligne e le infezioni (specie quelle virali; è vietato l’espianto in donatori HBV+ mentre è consentito, ma molti centri non lo eseguono, l’impiego di donatori HCV+ poiché non sempre è accertata la presenza dell’infezione). Controversa invece è la questione dell’età: fino a pochi anni fa donatori di età superiore a 50 anni venivano scartati ma, vista la carenza di organi, sempre più spesso si ricorre a donatori ultrasessantenni (donatori marginali). Importante in questi casi è lo studio vascolare mediate il doppler e la scintigrafia del rene al fine di escludere una severa nefroangiosclerosi o alterazioni delle arterie renali, più frequenti che nel giovane. Il ricevente. In questi ultimi anni le indicazioni al trapianto renale si sono molto allargate e questo per una serie di motivi come la maggiore età dei nuovi pazienti in dialisi, l’invecchiamento della popolazione dialitica in lista d’attesa, il miglioramento delle conoscenze, ecc. Alcuni autori attualmente ritengono che addirittura l’80% dei pazienti in dialisi sarebbe idoneo al trapianto, ed in effetti paesi come la Norvegia, dove l’attività è molto sviluppata, sono giunti vicino a questo numero trapiantando gli ultra settantenni. In Italia, al contrario, dove l’attività di trapianto è di molto inferiore a quel paese, i criteri di idoneità sono molto più stretti per cui, solitamente, il numero di pazienti idonei al trapianto non supera il 30% dei pazienti in dialisi. La valutazione clinica del candidato al trapianto renale deve assolutamente partire da una accurata anamnesi del paziente. La storia clinica è importantissima per evidenziare qualsiasi seppur minima patologia che possa danneggiare in seguito il trapianto. Altrettanto importante è chiarire la nefropatia di base visto che qualche glomerulonefrite può recidivare nel trapianto. Altre notizie riguardano le trasfusioni, le infezioni, le vaccinazioni, le allergie manifestate in passato. Anche l’esame obiettivo serve a conferma di alcune patologie riscontrate con gli esami strumentali (ad es. i soffi cardiaci sono un segno di valvulopatia). Tra gli esami di laboratorio, si eseguono tutti quelli inerenti la funzionalità epatica, ematologica, lo stato coagulativo, lo stato metabolico ecc.. Infine viene eseguita una serie di accertamenti radiologici e strumentali atti a valutare lo stato morfologico e funzionale di tutti gli organi, dal fegato al cuore, dalla vescica alla cute, dal serio ai denti, ecc.. Indagini particolari vengono eseguite di routine sia al di sopra di una certa età, sia alla ricerca di patologie specifiche (ed es. il clisma opaco per la ricerca della diverticolosi intestinale nei pazienti con malattia policistica). Se poi preesistono alcune patologie, la valutazione dell’idoneità deve essere più approfondita: Cardiopatia ischemica: in pazienti a rischio o sintomatici viene richiesto uno studio scintigrafico del miocardio ed eventualmente coronarografico: se dall’esame risultano stenosi non critiche (<50%) il paziente è idoneo, se le stenosi sono critiche è necessaria la preventiva correzione chirurgica delle stesse. Epatite virale: sia i portatori di HBV che quelli di HCV vengono tuttora trapiantati. Ma se per l’HBV la sopravvivenza del trapianto è molto più breve, per l’HCV la questione è più controversa. In questi pazienti viene richiesto un studio bioptico del fegato che, se indicativo di Epatite cronica attiva con alta replicazione virale, esclude il paziente dal trapianto; se invece l’epatite è a bassa attività viene in genere consigliato un preventivo trattamento con interferone. Neoplasie primitive: richiedono un tempo d’attesa, dopo l’asportazione radicale della stessa, variabile (da 1 anno per il semplice papilloma vescicale ai 5-6 anni per il carcinoma uterino o della mammella). Se questi tempi vengono rispettati, si calcola che il rischio di recidiva non superi il 15%. Diabete: se possibile, è preferibile un programma di trapianto combinato rene-pancreas. Circa la valutazione dell’idoneità, il diabete è una malattia a rischio soprattutto cardio-vascolare per cui andranno eseguiti, in tutti i pazienti, accertamenti strumentali approfonditi come ad esempio l’angiografia polidistrettuale. Malattia policistica dei reni: non rappresenta di per sé una controindicazione ma spesso se ne richiede la mono o binefrectomia per questioni di spazio (per far posto cioè al nuovo rene), o perché causa di frequenti infezioni o rottura di cisti. Altre patologie: il lupus non rappresenta una controindicazione e la recidiva nel trapianto è rara: recidivano invece frequentemente la

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crioglobulinemia e le glomeruloriefriti sclerosante focale e membrano-proliferativa; più rara è la recidiva negli altri tipi istologici di nefropatia.

4.2.3 Procedure per l’inserimento in lista d’attesa

Una volta completati gli accertamenti clinici e strumentali ed accertata da parte del nefrologo del centro di appartenenza una idoneità clinica di base, viene compilata una cartella in cui, oltre alla descrizione dettagliata degli esami eseguiti, vengono richiesti 2 dati principali:

• la firma autografa del paziente: egli controfirma la richiesta di essere iscritto ed eventualmente trapiantato presso quel centro, assumendosi di fatto la responsabilità della scelta;

• la valutazione finale del primario che indichi il grado di idoneità clinica riscontrata al termine degli accertamenti (idoneo o idoneo con rischio).

Successivamente il paziente viene inviato al centro trapianti nella cui lista egli ha richiesto l’iscrizione. La "visita d’idoneità" dura una giornata e solitamente comprende: una visita da parte del nefrologo del centro, che analizza la cartella ed i relativi esami richiedendone a sua discrezione altri più approfonditi; una visita chirurgica da parte del chirurgo dell’équipe che eseguirà il trapianto. In alcuni centri la valutazione dell’idoneità è completata da una visita urologica, in quanto spesso sono presenti problematiche vescicali per cui può risultare utile il suo parere, e da una visita psicologica, al fine di accertare la reale motivazione al trapianto. La visita di idoneità viene completata dall’esecuzione di un prelievo ematico per la tipizzazione leucocitaria e uno di siero. Quest’ultimo campione, messo a congelare, verrà utilizzato, ogniqualvolta capiterà un rene compatibile, per l’esecuzione del cross-match e verrà rinnovato periodicamente (in genere ogni 3 mesi) con l’invio dei sieri dei pazienti in lista da parte del centro nefrologico di appartenenza. Se al termine della giornata il paziente viene ritenuto idoneo, viene immesso in "lista attiva" da subito, dopo di che potrà essere chiamato in ogni momento in caso di allarme. Se al contrario sono necessari ulteriori accertamenti, l’idoneità verrà attribuita solo dopo aver completato il supplemento d’indagine richiesto, a condizione che esso risulti nella norma.

4.2.4 Il futuro del trapianto d’organo

In tutto il mondo esiste il problema della carenza di organi! La situazione esistente in paesi come la Spagna o l’Austria o gli Stati Uniti dove esiste un’intensa attività trapiantologica, non deve trarre in inganno. Anche in questi paesi infatti, nonostante l’alto numero di trapianti, le liste d’attesa aumentano di anno in anno proprio per il continuo aumento dei pazienti colpiti da nefropatie e che necessitano della dialisi. In Italia la situazione è ancor più drammatica poiché l’incremento delle liste d’attesa è ancor maggiore che in altri paesi, non essendoci per contro un’attività di trapianto così elevata. Cause di tale arretratezza sono molteplici: dalla insufficienza delle normative legislative, alla mancanza di una struttura organizzativa sanitaria, fino al disinteresse e alla disinformazione della classe medica oltre che della opinione pubblica. Se ne evince quindi che il primo passo per incrementare l’attività di trapianto, in paesi come l’Italia, sarebbe quello di risolvere tali aspetti. Importanti a tale riguardo le iniziative di associazioni come l’ANED per il miglioramento della legge, o delle regioni che con la giornata nazionale del trapianto intendono migliorare la conoscenza della popolazione verso questa problematica. Sul piano strettamente sanitario, altri modi per incrementare l’attività di trapianto può essere sicuramente l’utilizzo di donatori ad alto rischio (anziani, diabetici, con pregresse neoplasie) o l’incentivazione del trapianto da vivente, che in qualche paese raggiunge anche il 30% dei trapianti eseguiti. Ma nei paesi in cui l’attività di trapianto è già al massimo e dove pure le liste d’attesa sono in continuo aumento, fermo restando l’impossibilità di modificare ulteriormente la legge per allargare maggiormente la possibilità di prelievo, per motivi etici e morali, già si pone il problema della disponibilità di organi. Dove si andranno a reperire gli organi fra qualche decennio quando i decessi saranno sempre meno e, probabilmente le normative ancor più rigide?. Una delle speranze più concrete per il prossimo futuro è basata sulla realizzazione del trapianto da animale a uomo definito Xenotrapianto. Quando si affronta questo argomento il primo problema da considerare è quello della scelta dell’animale: per analogie antropologiche e genetiche, l’animale che più di ogni altro sarebbe idoneo per lo xenotrapianto sarebbe la scimpanzé o la scimmia; tuttavia, per l’elevato periodo gestazionale (richiedono circa 16 mesi per completare la gravidanza) e la difficoltà di allevare su vasta scala tali animali, di recente gli studi sono stati rivolti al maiale. Questo animale infatti ha in se alcuni vantaggi: possiede gruppi sanguigni simili all’uomo, la funzione del rene è sovrapponibile a quella dell’uomo, si riproduce con notevole rapidità e ne esiste un elevato numero essendo diffuso in tutto il mondo. L’unico vero ostacolo al trapianto da maiale e da animale in generale, è quello immunologico; nel maiale sono presenti anticorpi preformati che reagiscono con il ricevente scatenando un rigetto iperacuto che distrugge in pochi minuti il trapianto. Il lavoro che attualmente e in futuro andrà fatto sarà quindi rivolto alla neutralizzazione di tale reazione mediante interventi sull’animale quale ad esempio la plasmaferesi per la rimozione degli xenoanticorpi o la ingegneria genetica per la manipolazione cromosomica dei geni dell’animale, o attraverso interventi sull’uomo, farmacologici o genetici, in grado di indurre la tolleranza immunologica a questi specifici anticorpi.

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Conclusioni

Il percorso che ho voluto affrontare è stato volto alla ricerca di notizie riguardanti il vasto mondo dell’emodialisi, questo studio ha approfondito le mie conoscenze: sulle tecniche, competenze propriamente infermieristiche, e competenze da svolgere in collaborazione col medico mettendo sempre in primo piano il paziente. La terapia della sostituzione della funzionalità renale è un mondo affascinante, poichè pone l’infermiere in primo piano nel percorso che segue il paziente dal momento della diagnosi d’insufficienza renale cronica, al momento della seduta dialitica. E’ un vasto campo d’azione dove l’infermiere, oltre a possedere doti di tecnicità (come detta il profilo professionale D.M.14.09.1994, n. 739) partecipa all’identificazione dei bisogni di salute della persona, identifica i bisogni di assistenza infermieristica e ne pianifica l’assistenza, inoltre ha un importante ruolo di educatore sanitario in quanto integra le informazioni che il paziente riceve dagli altri professionisti, anche perchè, l’infermiere è la figura che è maggiormente presente nel percorso assistenziale del paziente. Anche il codice deontologico (Febbraio 1999) proprio della professione infermieristica, all’articolo 4.1 afferma che “l’infermiere promuove, attraverso l’educazione, stili di vita sani e la diffusione di una cultura della salute ...” l’art.4.2 “ ...ascolta, informa e coinvolge la persona e valuta con essa i bisogni assistenziali” l’art.4.3 “...rispettando le indicazioni espresse dall’assistito, ne facilita i rapporti con la comunità e le persone per lui significative, che coinvolge nel piano di cura”, infine all’art.4.5 “ ...nell’aiutare e sostenere la persona garantisce le informazioni relative al piano di assistenza e adegua il livello di comunicazione alla capacità del paziente di comprendere...”. Ho voluto aggiungere alla fine le altre terapie sostitutive poichè ritenevo giusto concludere “il cerchio” con dei cenni sulla dialisi peritoneale e il trapianto anche per la notevole importanza che riveste nella malattia uremica.

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Protocolli diagnostico-terapeutici A.U.S.L. di Rimini Ospedale “Infermi” divisione di Nefrologia e Dialisi (Primario: L.Cagnoli) Sito Internet: A.N.T.E. (Associazione Nazionale Tecnici Emodialisi) Indici statistici nazionali: Registro Italiano di Dialisi e Trapianti della Società Italiana Nefrologi Dicembre 1998 Indici statistici regionali: Registo Regionale dell’Emilia Romagna dei pazienti uremici in trattamento sostitutivo, redatto dall’Azienda Ospedaliera “S. Orsola-Malpighi” di Bologna