Emmaus N° 92 - Anno XXI

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PAG.1 - EMMAUS N.92 - lug/set 2015 PAG. 1 - Accompagnando il Sinodo / Sintesi del Discorso del Santo Padre alle Nazioni Unite PAG. 2 - Il Santo Padre alle Nazioni Unite PAG. 3 - “Progetto cucina” al Centro Diurno di Mussomeli / Il Club Rotary Valle del Platani incontra Casa Rosetta PAG. 4 - Missione Tanzania - Un Lungo percorso alla ricerca di un tesoro PAG. 5 - Tanzania, il fulcro della vita / Tante emozioni, una sola avventura PAG. 6 - Un sogno che si realizza / Ultimi… ma primi nel cuore / Se la vita migliora PAG. 7 - Piccole anime incandescenti PAG. 8 - L’Africa, terra in cui povertà e ricchezza convivono PAG. 9 - Breve racconto di una esperienza indimenticabile e indimenticata PAG. 10 - Una Comunità nel territorio, il territorio per una comunità / Storie vere… guardando un film / Brevi da Caltagirone PAG. 11 - Sacerdoti e diaconi al servizio della nostra Comunità / L’emozione di “scrivere un’icona” PAG. 12 - Il consumo e i media: identità personale e alimentazione PAG. 13 - Formazione sui disturbi del comportamento alimentare / La Comunità terapeutica e i social network PAG. 14 - Incontro degli economi di comunità a Roma PAG. 16 - Accompagnando il Sinodo, a servizio della famiglia / Adozione a distanza: con poco si può fare molto RIVISTA TRIMESTRALE DI INFORMAZIONE - ANNO XXI - N.92 - luglio/settembre 2015 Accompagnando il Sinodo di Don Vincenzo Sorce Un Sinodo sulla famiglia è un even- to sociale, culturale, ecclesiale, importantissimo. È chiamata ad uno sguardo in profondità sul mondo della famiglia e delle famiglie, premessa indispensabile per la costruzione di un nuovo umanesi- mo radicato su valori etici di base come l’attenzione all’altro, la rego- lazione nell’ambito delle relazioni interpersonali, come attenzione e comprensione verso il mondo interno dell’altro, come accoglien- za, come empatia, onestà, condivi- sione, generosità, rispetto. Occorre avere la consapevolezza che viviamo in tempi fragili, sia a livello personale, sia a livello socia- le, e la famiglia ne è partecipe ed espressione in un contesto multicul- turale e multireligioso. E la fragilità della famiglia impone alla Chiesa, alle Istituzioni, di pren- dersi cura di essa aiutandola a ritrovare la propria identità, i propri compiti, il proprio ruolo al suo interno e in rapporto alla società e alla comunità ecclesiale, conqui- stando la fiducia in se stessa, ritro- vando il proprio benessere. Si pone l’urgenza di sperimentare il perdono, la comprensione, la ricon- ciliazione all’interno della coppia, nel rapporto genitori-figli, con attenzione e rispetto verso quei genitori che non sono stati adeguati o che sono fragili, per aiutare tutti a ritrovare la pace dentro di sé. Un Sinodo che aiuti la famiglia a sperimentare la gioia della miseri- cordia, della ricchezza umana, il nido dell’empatia e della tenerezza. Sintesi del discorso del Santo Padre all’incontro con i membri dell'Assemblea Generale dell'Organizzazione delle Nazioni Unite New York - venerdì, 25 settembre 2015 tutti i programmi e agenzie della famiglia dell’ONU e tutti coloro che in un modo o nell’altro partecipano a questa riu- nione. Tramite voi saluto anche i cittadini di tutte le nazioni rappresentate a questo incontro. Grazie per gli sforzi di tutti e di ciascuno per il bene dell’umanità. […] Rendo perciò omaggio a tutti gli uomini e le donne che hanno servito con lealtà e sacrificio l’intera umanità in questi 70 anni. In particolare, desidero ricordare oggi coloro che hanno dato la loro vita per la pace e la riconciliazione dei popoli, a partire da Dag Hammarskjöld fino ai moltissimi funzionari di Signor Presidente, Signore e Signori, buongiorno! Ancora una volta, seguendo una tradizione della quale mi sento onorato, il Segretario Generale delle Nazioni Unite ha invitato il Papa a rivolgersi a questa onorevole assem- blea delle nazioni. A mio nome e a nome di tutta la co- munità cattolica, Signor Ban Ki-moon, desidero esprimer- Le la più sincera e cordiale riconoscenza; La ringrazio anche per le Sue gentili parole. Saluto inoltre i Capi di Stato e di Governo qui presenti, gli Ambasciatori, i diplo- matici e i funzionari politici e tecnici che li accompagna- no, il personale delle Nazioni Unite impegnato in questa 70.ma Sessione dell’Assemblea Generale, il personale di Continua a pag.2

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PAG.1 - EMMAUS N.92 - lug/set 2015

PAG. 1 - Accompagnando il Sinodo / Sintesi del Discorso del Santo Padre alle Nazioni Unite

PAG. 2 - Il Santo Padre alle Nazioni Unite

PAG. 3 - “Progetto cucina” al Centro Diurno di Mussomeli / Il Club Rotary Valle del Platani incontra Casa Rosetta

PAG. 4 - Missione Tanzania - Un Lungo percorso alla ricerca di un tesoro

PAG. 5 - Tanzania, il fulcro della vita / Tante emozioni, una sola avventura

PAG. 6 - Un sogno che si realizza / Ultimi… ma primi nel cuore / Se la vita migliora

PAG. 7 - Piccole anime incandescenti

PAG. 8 - L’Africa, terra in cui povertà e ricchezza convivono

PAG. 9 - Breve racconto di una esperienza indimenticabile e indimenticata

PAG. 10 - Una Comunità nel territorio, il territorio per una comunità / Storie vere… guardando un film / Brevi da Caltagirone

PAG. 11 - Sacerdoti e diaconi al servizio della nostra Comunità / L’emozione di “scrivere un’icona”

PAG. 12 - Il consumo e i media: identità personale e alimentazione

PAG. 13 - Formazione sui disturbi del comportamento alimentare / La Comunità terapeutica e i social network

PAG. 14 - Incontro degli economi di comunità a Roma PAG. 16 - Accompagnando il Sinodo, a servizio della famiglia / Adozione a distanza: con poco si può fare molto

RIVISTA TRIMESTRALE DI INFORMAZIONE - ANNO XXI - N.92 - luglio/settembre 2015

Accompagnando il Sinodo di Don Vincenzo Sorce

Un Sinodo sulla famiglia è un even-to sociale, culturale, ecclesiale, importantissimo. È chiamata ad uno sguardo in profondità sul mondo della famiglia e delle famiglie, premessa indispensabile per la costruzione di un nuovo umanesi-mo radicato su valori etici di base come l’attenzione all’altro, la rego-lazione nell’ambito delle relazioni interpersonali, come attenzione e comprensione verso il mondo interno dell’altro, come accoglien-za, come empatia, onestà, condivi-sione, generosità, rispetto. Occorre avere la consapevolezza che viviamo in tempi fragili, sia a livello personale, sia a livello socia-le, e la famiglia ne è partecipe ed espressione in un contesto multicul-turale e multireligioso. E la fragilità della famiglia impone alla Chiesa, alle Istituzioni, di pren-dersi cura di essa aiutandola a ritrovare la propria identità, i propri compiti, il proprio ruolo al suo interno e in rapporto alla società e alla comunità ecclesiale, conqui-stando la fiducia in se stessa, ritro-vando il proprio benessere. Si pone l’urgenza di sperimentare il perdono, la comprensione, la ricon-ciliazione all’interno della coppia, nel rapporto genitori-figli, con attenzione e rispetto verso quei genitori che non sono stati adeguati o che sono fragili, per aiutare tutti a ritrovare la pace dentro di sé. Un Sinodo che aiuti la famiglia a

sperimentare la gioia della miseri-

cordia, della ricchezza umana, il

nido dell’empatia e della tenerezza.

Sintesi del discorso del Santo Padre all’incontro con i membri dell'Assemblea Generale dell'Organizzazione delle Nazioni Unite New York - venerdì, 25 settembre 2015

tutti i programmi e agenzie della famiglia dell’ONU e tutti coloro che in un modo o nell’altro partecipano a questa riu-nione. Tramite voi saluto anche i cittadini di tutte le nazioni rappresentate a questo incontro. Grazie per gli sforzi di tutti e di ciascuno per il bene dell’umanità. […] Rendo perciò omaggio a tutti gli uomini e le donne che hanno servito con lealtà e sacrificio l’intera umanità in questi 70 anni. In particolare, desidero ricordare oggi coloro che hanno dato la loro vita per la pace e la riconciliazione dei popoli, a partire da Dag Hammarskjöld fino ai moltissimi funzionari di

Signor Presidente, Signore e Signori, buongiorno! Ancora una volta, seguendo una tradizione della quale mi sento onorato, il Segretario Generale delle Nazioni Unite ha invitato il Papa a rivolgersi a questa onorevole assem-blea delle nazioni. A mio nome e a nome di tutta la co-munità cattolica, Signor Ban Ki-moon, desidero esprimer-Le la più sincera e cordiale riconoscenza; La ringrazio anche per le Sue gentili parole. Saluto inoltre i Capi di Stato e di Governo qui presenti, gli Ambasciatori, i diplo-matici e i funzionari politici e tecnici che li accompagna-no, il personale delle Nazioni Unite impegnato in questa 70.ma Sessione dell’Assemblea Generale, il personale di Continua a pag.2

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prima il fenomeno dell’esclusione sociale ed economica, con le sue tristi conseguenze di tratta degli esseri umani, commercio di organi e tessuti umani, sfrutta-mento sessuale di bambini e bambine, lavoro schiavizzato, compresa la prostituzione, traffico di droghe e di armi, terrorismo e crimine interna-zionale organizzato. È tale l’ordine di grandezza di queste situazioni e il numero di vite innocenti coinvolte, che dob-biamo evitare qualsiasi tenta-zione di cadere in un nominali-smo declamatorio con effetto tranquillizzante sulle coscienze. Dobbiamo aver cura che le nostre istituzioni siano realmente efficaci nella lotta contro tutti questi flagelli. […] Affinché questi uomini e donne concreti pos-sano sottrarsi alla povertà estrema, bisogna con-sentire loro di essere degni attori del loro stesso destino. Lo sviluppo umano integrale e il pieno esercizio della dignità umana non possono essere imposti. Devono essere costruiti e realizzati da ciascuno, da ciascuna famiglia, in comunione con gli altri esseri umani e in una giusta relazione con tutti gli ambienti nei quali si sviluppa la socialità umana. […] Al tempo stesso, i governanti devono fare tutto il possibile affinché tutti possano dispor-re della base minima materiale e spirituale per rendere effettiva la loro dignità e per formare e mantenere una famiglia, che è la cellula primaria di qualsiasi sviluppo sociale. Questo minimo asso-luto, a livello materiale ha tre nomi: casa, lavoro e terra; e un nome a livello spirituale: libertà di spirito, che comprende la libertà religiosa, il diritto all’educazione e tutti gli altri diritti civili. […] La guerra è la negazione di tutti i diritti e una drammatica aggressione all’ambiente. Se si vuole un autentico sviluppo umano integrale per tutti, occorre proseguire senza stancarsi nell’impegno di evitare la guerra tra le nazioni e tra i popoli. […] Il Preambolo e il primo articolo della Carta delle Nazioni Unite indicano le fondamenta della co-struzione giuridica internazionale: la pace, la solu-zione pacifica delle controversie e lo sviluppo delle relazioni amichevoli tra le nazioni. […] non posso non reiterare i miei ripetuti appelli in rela-

zione alla dolorosa situazione di tutto il Medio Oriente, del Nord Africa e di altri Paesi africani, dove i cristiani, insieme ad altri gruppi culturali o etnici e anche con quella parte dei membri della religione maggioritaria che non vuole lasciarsi coinvolgere dall’odio e dalla pazzia, sono stati obbligati ad essere testimoni della distruzione dei loro luoghi di culto, del loro patrimonio culturale e religioso, delle loro case ed averi e sono stati posti nell’alternativa di fuggire o di pagare l’adesione al bene e alla pace con la loro stessa vita o con la schiavitù. Queste realtà devono costituire un serio appello ad un esame di coscienza di coloro che hanno la responsabilità della conduzione degli affari interna-

zionali. […] Un altro tipo di guerra che vivono molte delle nostre società con il fenomeno del narcotraffico. Una guerra “sopportata” e debolmente combattu-ta. Il narcotraffico per sua stessa natura si accom-pagna alla tratta delle persone, al riciclaggio di denaro, al traffico di armi, allo sfruttamento infan-tile e al altre forme di corruzione. […] La casa co-mune di tutti gli uomini deve continuare a sorgere su una retta comprensione della fraternità univer-sale e sul rispetto della sacralità di ciascuna vita umana, di ciascun uomo e di ciascuna donna; dei poveri, degli anziani, dei bambini, degli ammalati, dei non nati, dei disoccupati, degli abbandonati, di quelli che vengono giudicati scartabili perché li si considera nient’altro che numeri di questa o quella statistica. La casa comune di tutti gli uomini deve edificarsi anche sulla comprensione di una certa sacralità della natura creata. […] Non possiamo permetterci di rimandare “alcune agende” al futuro. Il futuro ci chiede decisioni critiche e globali di fronte ai conflitti mondiali che aumentano il numero degli esclusi e dei bisognosi. La lodevole costruzione giuridica internazionale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite e di tutte le sue realizzazioni, migliorabile come qualunque altra opera umana e, al tempo stesso, necessaria, può essere pegno di un futuro sicuro e felice per le generazioni future. Lo sarà se i rappresentanti degli Stati sapranno mettere da parte interessi settoriali e ideologie e cercare sinceramente il servizio del bene comune. Chiedo a Dio Onnipo-tente che sia così, e vi assicuro il mio appoggio, la mia preghiera e l’appoggio e le preghiere di tutti i fedeli della Chiesa Cattolica, affinché questa Istitu-zione, tutti i suoi Stati membri e ciascuno dei suoi funzionari, renda sempre un servizio efficace all’umanità, un servizio rispettoso della diversità e che sappia potenziare, per il bene comune, il me-glio di ciascun popolo e di ciascun cittadino. Che Dio vi benedica tutti!

ogni grado, caduti nelle missioni umanitarie di pace e di riconciliazione. L’esperienza di questi 70 anni, al di là di tutto quanto è stato conseguito, dimostra che la riforma e l’adattamento ai tempi sono sempre necessari, progredendo verso l’obiettivo finale di concedere a tutti i Paesi, senza eccezione, una partecipazione e un’incidenza reale ed equa nelle decisioni. Que-sta necessità di una maggiore equità, vale in special modo per gli organi con effettiva capacità esecutiva, quali il Consiglio di Sicurezza, gli Organi-smi finanziari e i gruppi o meccanismi specifica-mente creati per affrontare le crisi economiche. Questo aiuterà a limitare qualsiasi sorta di abuso o usura specialmente nei confronti dei Paesi in via di sviluppo. Gli organismi finanziari internazionali devono vigilare in ordine allo sviluppo sostenibile dei Paesi e per evitare l’asfissiante sottomissione di tali Paesi a sistemi creditizi che, ben lungi dal promuovere il progresso, sottomettono le popola-zioni a meccanismi di maggiore povertà, esclusione e dipendenza. Il compito delle Nazioni Unite, a partire dai postu-lati del Preambolo e dei primi articoli della sua Carta costituzionale, può essere visto come lo sviluppo e la promozione della sovranità del dirit-to, sapendo che la giustizia è requisito indispensa-bile per realizzare l’ideale della fraternità universa-le. In questo contesto, è opportuno ricordare che la limitazione del potere è un’idea implicita nel concetto di diritto. […] Anzitutto occorre affermare che esiste un vero “diritto dell’ambiente” per una duplice ragione. In primo luogo perché come esseri umani facciamo parte dell’ambiente. […] In secondo luogo, perché ciascuna creatura, specialmente gli esseri viventi, ha un valore in sé stessa, di esistenza, di vita, di bellezza e di interdipendenza con le altre creature. Noi cristiani, insieme alle altre religioni monotei-ste, crediamo che l’universo proviene da una deci-sione d’amore del Creatore, che permette all’uomo di servirsi rispettosamente della creazio-ne per il bene dei suoi simili e per la gloria del Creatore, senza però abusarne e tanto meno es-sendo autorizzato a distruggerla. Per tutte le cre-denze religiose l’ambiente è un bene fondamenta-le. […] Il mondo chiede con forza a tutti i governanti una volontà effettiva, pratica, costante, fatta di passi concreti e di misure immediate, per preservare e migliorare l’ambiente naturale e vincere quanto

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Nel mese di luglio, il Centro Diurno di Mussomeli ha introdotto il “Progetto Cucina” nell’ambito delle proprie attività riabilitative. Il progetto, realizzato dal Cuoco della Struttura Calogero Favata e super-visionato dalla Psicologa Angela Renda, ha come finalità quella di raggiungere l’acquisizione di auto-nomie sul piano funzionale in un contesto stimo-lante e gratificante, attraverso la socializzazione e la collaborazione, il rispetto degli altri e delle loro identità, il sapere stare insieme, il condividere spazi e materiali.

I soggetti partecipanti sono 5 (Giuseppe, Salvatore, Marco, Ema-nuela, Maria Rita) e sono stati scelti in base ad una loro predisposizione ed un interesse nei confronti della preparazione dei cibi; l’attività è stata graduata per potere costruire per ciascun partecipante un percorso individualizzato per le singole poten-zialità e necessità. Nel corso di questi pochi mesi, si è osservato che lo sperimentare nuove ricette, assaggiare ciò che è stato preparato insieme agli altri, offre loro

una maggiore fiducia nelle proprie possibilità ed aumenta l’autostima. Nell’ambito del progetto sono previste visite guidate in Aziende agrituristiche, in Istituti Alber-ghieri e la partecipazione a Seminari attinenti alla preparazione di cibi. A tal proposito, giorno 3 Settembre i Nostri ragazzi hanno partecipato al Seminario dal titolo “La Ricotta e il Pecorino, prodotti tipici locali” organizzato dalla Federazio-ne Italiana Cuochi di Caltanissetta, svoltosi presso le Scuderie del Castello Manfredonico di Musso-

meli, alla presenza del Sindaco della Città e di altri rappresentanti delle Istituzioni Locali. I ragazzi, hanno accol-to la partecipazione all’evento con entu-siasmo, esprimendo agli operatori la loro gioia e la propria soddisfazione.

“Progetto cucina” al Centro Diurno di Mussomeli - di Angela Renda

Il Club Rotary Valle del Platani incontra Casa Rosetta

Amicizia, solidarietà e fratellanza elementi di un “fuoricasa” – di Maria Cristina Maiorana e Giuseppina Sorce

offrire un pranzo agli intervenuti, cogliendo così

l’occasione per dare modo di ufficializzare l’incontro

con lo scambio dei doni di ringraziamento e di ri-

spetto associativo con gagliardetti in segno di future

collaborazione. In tale circostanza, il presidente del

Rotary ha voluto anticipare la volontà di destinare i

loro fondi per l’acquisto di materiale utile ai labora-

tori di ceramica e per l’avanzamento del laboratorio

di teatro motivando la loro scelta poiché colpiti

dalla capacità dei ragazzi di completare dei lavori

non indifferenti, dove gli elementi di costanza e

tenacia, anche da parte degli operatori, è fonda-

mentale. Pertanto hanno finanziato due progetti,

appunto uno per il laboratorio di ceramica e l’altro

per il laboratorio teatrale, per la crescita ludico-

educativa dei ragazzi.

Lo scorso maggio, l’Associazione Casa famiglia Rosetta di Mussomeli è stata invitata dal dott. Calogero Ferlisi, Presidente del Rotary Club Valle del Platani, per un incontro educativo-solidale. Un gruppo di ragazzi, si sono spostati insieme agli operatori nella cittadina di Sutera. Le autori-tà Rotariane, dopo un caloroso benvenuto hanno invitato i presenti alle tradizioni e alla cultura del luogo, visitando il Museo cittadino degli antichi mestieri. Un viaggio alla riscoperta della vecchia civiltà contadina e un vissuto bellico dal punto di

vista storico hanno accompagnato i ragazzi entusiasti e gli operatori affascinati nei corridoi e nelle stanze del museo. Adiacente al Museo, alla fine della visita guidata, si è dato spazio al momento religioso, partecipando alla Santa Messa celebrata nella parrocchia della Madonna del Carmelo, con una predica molto coinvolgente dal punto di vista emozionale e spirituale, dando testimonianza alle persone inter-venute, estraneamente alle due associazioni, di cogliere il vero senso del “fare bene” e del “farlo bene”, specificando l’azione so-ciale che svolgono le due associa-zioni nella vita quotidiana e che le stesse sono capaci di andare oltre la superficialità e riportando le parole del parroco “ahimè, l’ignoranza e l’indifferenza che ogni giorno delle persone meno fortunate di noi, siano costrette a sopportare!”. Alla fine della celebrazione, la location si è spostata in una strut-tura comunale dove vi è stata la possibilità per i componenti del Club Rotary di essere informati

sulle attività che il Centro di Mussomeli offre tra cui l’ormai affermato laboratorio di Ceramica, dove i ragazzi si cimentano in vere e proprie opere artistiche uniche nel loro genere. Con l’occasione si è resa possibile la visione del video riguardante la neo-attività teatrale, dove è stata rappresentata dai ragazzi nel periodo pasquale la Passione di Cristo, la quale ha scosso i presenti dal punto di vista emozionale. Successivamente una conviviale, in un ristorante

del luogo, dove i soci del Rotary club hanno voluto

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Missione Tanzania - Missione Tanzania - Missione Tanzania - Missione Tanzania vita; non perché mi annoiassi, ma perché ero così presa dal lavo-ro da non rendermi conto del tempo che passava. Quegli undici giorni furono lunghi, ma non lo furono abba-stanza per nessuno di noi. Prima di arrivare a Tanga avevamo fatto sosta a Dar es Salam, dove ci fu il primo im-patto con l'Africa che avremmo imparato a conoscere. Dar es Sa-lam si presentò ai nostri occhi come una città molto caotica. Quello che ci sconvolse di più fu il traffico e durante il viaggio, inoltre, potemmo osservare alcune tribù caratteristiche del luogo quale quella dei masai. Lungo la strada verso Tanga – otto ore di viaggio – vi erano dei controlli e spesso si potevano notare incidenti stradali. Nella cultura africana, per segnalare un incidente stradale, si pongono lungo la strada dei rami; era così che capivamo quando rallentare. Giacché l’alimentazione è principalmente basata sul consumo di frutta e pesce, quella mattina la nostra colazione fu a base di frutta, soprattutto ananas e banane. Quando arrivammo a destinazione, Irene, la direttrice della struttura, ci venne incontro ab-bracciandoci tutti calorosamente e lo stesso trattamento ci fu riservato dai bambini, che felici vennero a salutarci. Fu stupefacente come quei bambini corsero da noi a salutarci, quasi fossimo tutti vecchi amici che non si vedevano da molto tempo. Se io dovessi descrivere questi bambini con una sola parola sceglierei "semplicità". Charles Bukowski diceva che la verità profonda per fare qualunque cosa sta nella semplicità; la vita è profonda nella sua semplicità. I bambini dell'Associazione Casa Famiglia Rosetta sono

semplici e sono immensamente felici nella loro semplicità. Dopo esserci sistemati ognuno nelle rispettive camere iniziammo immediatamente la nostra missione e i giorni che seguirono al nostro arrivo non furono mai uguali tra loro. Ognuno di noi, ogni giorno, aveva un compito diverso che veniva stabilito in base a dei turni in cui ognuno di noi avrebbe dovuto eseguire diffe-renti mansioni, al fine di aiutare i bambini e le "mamme" nel loro lavoro. Le persone che i bam-bini e tutti noi consideravano "mamme" sono le operatrici dell'Associazione che si occupano della struttura, dei bambini e di tutto ciò che quest'ul-timi hanno bisogno. Queste signore che donano se stesse a questa nobile causa mi hanno insegnato moltissimo. Mi hanno fatto capire che per diventare genitore non si deve soltanto generare un figlio, per esse-re un genitore bisogna rendersi degni del figlio che si genera. Di conseguenza, a mio parere, queste signore si sono più che meritate il titolo di "mamme". Ogni giornata si svolgeva in modo diverso; tra compiti domestici e giochi con bambini nessuno di noi aveva spazio per la noia. Ogni sera, noi adolescenti insieme a Don Silvio e ai due semina-risti, partecipavamo a delle riunioni in cui ognu-no parlava del proprio stato d'animo e di cosa si potesse fare per sfruttare al massimo la nostra permanenza nella struttura. Con questo metodo fu facile stabilire ciò che era superfluo e ciò che invece era indispensabile. Un giorno decidemmo di portare tutti i bambini al mare e a prendere un gelato, ma il nostro gruppo ebbe anche delle occasioni di visitare Tanga: l'asta del pesce, dove il pescato veniva portato in numerose ceste sulla spiaggia, per via della bassa marea e il mercato, dove era possibi-le trovare di tutto, dal cibo agli oggetti di arreda-mento per la casa. Fu anche molto bello visitare le grotte di Amboni, dove potemmo osservare la grotta che un tempo fungeva da rifugio per i ricercati. Nel corso del nostro viaggio verso le grotte di Amboni godem-mo dello spettacolare paesaggio che ci circonda-va, un esempio di come la natura selvaggia domi-

Un lungo percorso alla ricerca di un tesoro di Ester Lombardo Siamo partiti idealmente per l'Africa il giorno in cui ci siamo riuniti all'Eremo di Don Vincenzo Sorce. Anche se ho definito "indescrivibile" questa espe-rienza cercherò, con il potere delle parole, di portarvi in Africa; di mostrarvi quello che noi, un gruppo di volontari guidati dal presidente dell'as-sociazione Casa Famiglia Rosetta Don Vincenzo Sorce, abbiamo visto. Ricordo ancora, quando il 26 di Dicembre, un gruppo di adolescenti si riunì insieme ad un “prete di strada” (come Don Vincenzo Sorce suole definirsi) per parlare della straordinaria possibilità di fare volontariato presso i servizi dell'Associazione Casa Famiglia Rosetta a Tanga. Parlammo a lungo su che cosa significasse questa opportunità, su come sfruttarla al meglio e deci-demmo che per andare in Africa, per prima cosa, dovevamo sapere com'è l'Africa. A questo incontro succedettero numerosissimi altri incontri, anche presso il Seminario di Paler-mo sotto la guida spirituale del rettore, Don Silvio Sgrò. Erano momenti in cui ci scambiavamo informa-zioni e ricerche su questo meraviglioso e povero Paese che è l'Africa, ma parlavamo anche di noi, per prepararci a ciò che avremmo trovato una volta giunti in Africa e per delineare meglio ciò che avremmo dovuto fare concretamente perché la nostra missione fosse davvero efficace e signi-ficativa. Il nostro gruppo era formato da Don Vincenzo Sorce, da Don Silvio Sgrò, dal professore Pietro Cipolla, dal dottore Enzo Sedita, dalla dietologa Flavia Farone, dai due seminaristi Salvatore Cra-colici e Angelo Di Pasquale e, infine, da dieci adolescenti. Partimmo il 30 di Giugno e dopo circa due giorni di viaggio, raggiungemmo Tanga, dove ci sarem-mo fermati fino al 14 luglio. Di conseguenza la nostra permanenza a Tanga durò 11 giorni. Devo dirlo: furono gli 11 giorni più lunghi della mia

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Missione Tanzania - Missione Tanzania - Missione Tanzania - Missione Tanzania

Tante emozioni, una sola avventura di Francesco Sardo

Per me i pochi giorni vissuti a Tanga sono stati una delle esperienze che terrò più nel cuo-re. Le giornate passavano velocemente tra giochi vari, corse appresso ad un pallone, canti, balli, foto e lavoro in struttura e mi hanno permesso di conoscere e capire il ruolo delle “mamme”, donne instancabili con un cuore splendido, capaci di lavorare costantemente senza mostrare stanchezza, ma facendo tutto con profondo amore. L’ultimo giorno trascorso con i bambini rimane senza dubbio il più ricco di ricordi ed emo-zioni. Un episodio mi è rimasto particolarmente impresso nel cuore. Mentre passeggiavo in struttura mi è corsa incontro ad abbracciarmi una bambina in lacrime. La cosa mi ha commosso tanto perché un abbraccio così non lo avevo mai ricevuto. I ricordi dei giorni passati tra quei splendidi bambini, capaci, malgrado tutto, di regalare un sorriso ad ogni sguardo, accompagnano spesso le mie giornate riportandomi con la men-te ed il cuore in Tanzania… dove un giorno vorrei far ritorno.

mi hanno fatto scoprire ciò che è veramente importante nella vita: la semplicità, la gioia, l'amore, sentimenti che, nel loro significato più vero, mi erano quasi estranei. I bambini, queste ”sante” donne che si occupa-no di loro, gli operatori, la gente del posto, il luogo in sé, mi hanno cambiato l'esistenza. Si sono catapultati dentro di me con una forza e una veemenza tale da stravolgere la mia vita, come se avessero rigenerato il mio corpo e la

mia mente. Le popolazioni buddhiste dopo aver provato le mie stesse emozioni, avrebbero pen-sato di aver raggiunto il Nirvana, come io penso di aver raggiunto il culmine della felicità sin dal primo istante, non appena ho visto i bambini e le mamme attenderci come si attende un figlio che non si vede da tantissimo tempo. Penso che in 17 anni non ho mai vissuto appieno la mia vita

Tanzania, il fulcro della vita di Maria Chiara Lombardo Sono sempre stata propensa ad affrontare un viaggio del genere. Come se una profezia incom-besse su di me e fossi destinata a questa espe-rienza. Sapevo che i miei genitori avrebbero acconsentito, sapevo anche di dover partire con gente a me estranea ma in fondo sapevo anche che sarebbero diventate persone importanti nella mia vita. Ho intrapreso questo viaggio forse per una vocazione personale, forse per quello che un giorno vorrò fare ed essere, o saranno state le parole di mio zio, Don Vincenzo Sor-ce che, sin da bambina, mi raccontava di questa terra lontana che custodisce il vero fulcro della vita, l'Africa. Il giorno della partenza ero un groviglio di emo-zioni ma pronta a partire per la Tanzania. Sapevo cosa stavo lasciando, cosa volevo fare una volta arrivata, sapevo a grandi linee cosa mi stesse aspettando. Dopo un lungo viaggio, dopo la stanchezza, il sonno, giunta sulla soglia dell'Associazione Ca-sa famiglia Rosetta di Tanga, alla vista del primo bambino, con il suo sorriso semplice, con lo sguardo di chi sa vivere e prova quei sentimenti primitivi oramai alieni alle popolazioni occidentali, ho capito che in realtà non sapevo nulla. È stata una catarsi improvvi-sa, profonda, un purificare la mia vita da tutta quella futilità che mi circondava. Stavo realizzando che da quel momento in poi dovevo abbandonare la superficialità che mi sovrastava, lasciarmi andare, donare tutta me stessa a quei piccoli, allo stesso modo delle ope-ratrici che si facevano in quattro per sostenerli e che tentavano di migliorare quel destino avverso che li affliggeva sin dalla nascita, ma soprattutto mi sono resa conto che il senso del mio viaggio era ben diverso da quello che avevo imma-ginato: non ero io a dover aiutare loro, sono stati loro che con la semplicità di un sorriso, di un abbraccio, accogliendomi nella loro famiglia chiamandomi "Dada" (sorella), "Mama" o “figlia”

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Se la vita migliora di Mattia Saladino

L'esperienza che Don Vincenzo mi ha permesso di fare a Tanga, nella struttura di casa famiglia Rosetta che accoglie bambini orfani e con problemi legati alla sieropositività ma anche bambini con gravi disagi fisici o mentali, è sicura-mente stata una delle più belle che fin ora ho fatto. Stare per circa dieci giorni a contatto con un altro mondo, che non ha niente a che vedere con il nostro, mi ha fatto riflettere davvero molto sulla vita che noi conduciamo quotidianamente. La nostra vita ovviamente è molto più agiata della loro, a causa della grande povertà che ho trovato in quei posti, ma nonostante tutto che quello che noi abbiamo e tutto quello che loro non hanno, mi sono reso conto che i veri poveri siamo noi, poveri nell'anima. Le persone di quei posti, potevano essere anche le più povere, ma avevano di sicuro la cosa più importante che a molte persone oggi manca, la Felicità e il sorriso sulle labbra. Uno dei momenti più significativi per me, di questi giorni passati lì, è stato quando nella struttura è giunto un padre con una bambina di 9 anni. La bambina, sfortunatamente orfana di madre e con il padre che aveva dovuto lasciare il lavoro per curarsi di lei, era pure cieca e con problemi alle corde vocali, per cui riusciva solo ad emettere suoni; aveva inoltre anche dei problemi legati al cuore e ai reni. Don Vincenzo, dopo che i dottori hanno visitato la bambina nell'ambulatorio della struttura, ha chiesto a me e ad un altra ragazza di procurare un pasto per lei e per il padre. Siamo stati circa 30 minuti con lei per darle da mangiare e in seguito per farla addormentare. Lei continuava a sorridere, sorrideva per una carezza ed era chiara-mente felice per quel minimo affetto che le stavamo dando. È per momenti come questi che è stata un esperienza indimenticabile, per tutti i grazie che ho ricevuto facendo quello che nel mondo occidentale passa come una banalità, e anche perché cercando di aiutare gli altri e provando a rendere la loro vita un po’ migliore, anche la nostra vita senza dubbio migliora.

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della struttura stessa. Ma ho avuto anche la fortuna di assistere all’arrivo dei girelli, grazie all’interessamento del dottor Sedita. La gioia e la felicità di poter stare in piedi e muoversi “autonomamente” hanno trasfigura-to i volti di questi bambini, tanto da provocare in me un brivido lungo la schiena di sollievo e di letizia, un’emozione talmente forte da toccarmi l’anima e un senso di gratitudine per chi, medico o volontario, spende la propria vita a servizio degli ultimi, spesso emarginati dalla società e dalle stesse famiglie, come questi nostri piccoli fratelli africani. Questi bambini

donano più di quanto si possa immaginare. Un loro sorriso riempie di gioia, e loro non sorridono poco anzi sorridono sempre, pur non avendo niente: Ma in verità loro hanno più di noi, hanno quello che non si può comprare, hanno quello che di più puro sgorga dal cuore. Ringrazio ognuno dei bambini che vivono nella comunità per i giorni indimenticabili che ho passato con loro, per aver colorato la mia vita, per ogni singolo abbraccio che mi hanno donato. Spero di tornare presto in mezzo a loro.

Ultimi….ma primi nel cuore di Sofia Calando Sono Sofia, una ragazza di 17 anni che frequenta il Liceo Scientifico Pietro Ruggieri di Marsala. Un bel giorno, accompagnando la mamma ad un incontro nella “Comunità Santa Maria dei poveri”, ho ricevu-to una chiamata. Nel momento in cui sono stata sicura della risposta, ho seguito un percorso di preparazione che a fine giugno mi ha portato su un aereo diretto in Africa, precisamente in Tanzania nella comunità di “Casa Rosetta” in Tanga, insieme ad altri ragazzi, due medici e due sacerdoti, tra cui Don Vincenzo Sorce. Esperienza indimenticabile! Appena arrivata mi si è stretto il cuore nel conoscere la situazione in cui versano i bimbi diversamente abili. Essi vengono spesso abbandonati o non curati dalle loro famiglie, perché considerati inutili, e mai accolti dalle scuole; sono soltanto le strutture mis-sionarie a prendersi cura di loro. Questi bambini gattonavano o camminavano con le ginocchia e io leggevo nei loro occhi la sofferenza e il dolore pro-vocati dalla pavimentazione in pietra all’esterno

brevi comunque; dall'altro la gioia di aver passato ogni singolo momento ad aiutare i nostri WATOTO (bambini) apprezzando i piccoli gesti e i piccoli mo-menti, perché in fondo sono questi a fare la differenza, no?! Quest'esperienza che ho avuto la fortuna di poter vivere mi fa sempre riflettere e mi fa mettere in di-scussione tutto quello che prima credevo fosse impor-tante ed essenziale, tutto ciò che credevo giusto e sbagliato, tutto ciò che ha un valore affettivo e tutto ciò che è semplicemente materiale, tutte le mie con-vinzioni, tutte le mie idee, ma soprattutto tutto il mio modo di pensare e il mio modo di essere. Credo che l'Africa faccia comprendere quali siano i veri "valori" della vita . Ricordo che una sera dopo cena abbiamo trovato delle casse amplificate e abbiamo deciso di mettere un po’ di musica, i bambini hanno subito iniziato a ballare con noi. Ricordo ancora i loro sorrisi, la loro gioia, la loro voglia di imparare le nostre canzoni e i nostri balli italiani. La voglia di imparare, di mettersi in gioco, l'umiltà sono tre delle qualità che li rendono persone speciali, persone con un cuore immenso. Tutta questa voglia di inseguire il mio sogno mi ha fatto affrontare quest'esperienza al meglio, facendo sì che riuscissi a donare un po’ di me a chiunque incon-trassi nel mio cammino. Sono passati 61 giorni, 1464 ore, 87.840 minuti dall'ul-tima volta che li ho visti ed il mio sogno non è cambia-to, voglio tornare a Tanga a riabbracciarli.

bambini e le loro "mamme" (le operatrici sono consi-derate delle mamme per i bambini) con il sorriso sulle labbra. Non posso dimenticare quando sono scesa dal pulmi-no e Irene, la direttrice, mi ha accolto gridando il mio nome e abbracciandomi, come fa una mamma con i propri figli. E' stata un emozione fortissima, è stato bello sapere che lei e i bambini che avevo conosciuto cinque anni prima non si erano dimenticati di me, come io di loro. Questa seconda volta è stata diversa rispetto alla prima, forse perché sono partita con una maturità diversa e non credevo che questa Terra sarebbe riuscita a donarmi tanto amore, gioia, ma soprattutto tanta fratellanza. Immensamente contrastanti sono state le emozioni che l'Africa mi ha regalato: da un lato la consapevo-lezza che nonostante il nostro viaggio e il nostro impegno la situazione economica, politica, sociale in Africa non cambierà, non migliorerà, non in tempi

Un sogno che si realizza di Noemi La Magna Tutti nella propria vita hanno dei grandi progetti, dei grandi sogni, il mio da cinque anni a questa parte è sempre stato quello di poter tornare dai miei "kaka" e "dada" (fratello e sorella) e finalmente quest'esta-te, grazie a questo progetto, sono riuscita ad avvera-re il mio sogno. Era l'estate del 2010 quando, insieme ai miei genito-ri ed ai miei fratelli, per la prima volta feci questa meravigliosa esperienza che con immensa gioia ho ripetuto quest'anno. Siamo partiti il 30 giugno e dopo due giorni e un lunghissimo viaggio siamo arrivati a Tanga in Tanza-nia dove ad accoglierci c'erano 33 meravigliosi

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non conosci qualcosa, quando non sai quello che andrai a trovare o come comportarti in determi-nate situazioni, inizi a crearti mille scrupoli e porti tante domande. Se il rischio di infezione fosse alto, come potersi approcciare ai bimbi, come salutarli, come non metterli e metterti in pericolo... mille domande spazzate via dalla loro presenza. Guardai quei bambini e diedi loro un bacio sulla fronte, uno per uno. Il disagio si sentiva, eravamo ancora ' i ragazzi dell'Italia ', quegli estranei che erano partiti per andare da loro ma che se ne sarebbero andati in pochissimo tempo. Un piccolo intacco sulla solita routine... chi l'avrebbe detto che saremmo diventati, gli uni per gli altri, pagine essenziali delle nostre vite? Non so ben spiegare quale sia stata la fase di passaggio da estranei a membri della famiglia, forse tra un gioco e un altro, tra sguardi incon-trati per caso o tra risate fragorose che riusciva-no a spiegarsi molto più di quanto una lingua possa fare, ma avvenne, quasi immediatamen-te... Con i mezzi di comunicazione più stravaganti al mondo, si riuscì a creare un'atmosfera davvero “indescrivibile”. La mattina, vedere per prima cosa il loro sorriso era il buongiorno più bello che una persona potesse ricevere. Passavamo in mezzo al Cappel-lo di paglia (una struttura costruita da qualche anno, dove i bambini mangiano e si ritrovano

per cantare, ballare e suonare insieme alcune sere) e salutavamo goffamente le mamme e i bimbi, che ridevano e ricambiavano. Dopo la colazione passavamo ore a giocare tutti insieme: loro ci insegnavano balli e canzoni e noi provavamo a fare lo stesso, con le loro melodie di gran lunga più affascinanti delle nostre. Poi veni-vano i giochi, il calcio o semplice-mente il rilassarsi in gruppo. Era straordinario come riuscissero ad adeguarsi a tutto e come lo faces-sero in modo eccellente. Il gioco

più divertente prevedeva un solo oggetto: un paio di calze appallottolato e usato come palla. Poi il proprio corpo, che fondamentalmente era l'unica cosa indispensabile. Niente cellulari, niente computer, niente giochi elettronici o roba tecnologicamente super inno-vativa, eppure sembravano divertirsi molto di più, erano più felici. Bambini che non hanno nessun legame di sangue tra di loro ma che si sentono autenticamente fratelli e sorelle. Il fatto è che conoscendo il dolore, vivendolo fin da giovanissima età, danno molto più valore ai lega-mi affettivi, e sanno bene che donare amore non costa niente: è gratuito, è meraviglioso e fa star bene. Perché noi non ci siamo ancora arrivati? La giornata continuava con il pranzo (dove alle volte capitava di aiutare i bambini disabili a man-giare), altri giochi, stare insieme e la cena. Tra i tanti momenti che sono rimasti scolpiti nel mio cuore mi sento di raccontarne solo due. Il primo è avvenuto dopo solo venti minuti dal mio arri-vo. Seduta a terra con una bambina disabile, giocavamo compiendo piccoli movimenti con le mani, poi improvvisamente lei sfoderò un sorriso gigantesco e mi guardò negli occhi. Li fissai inten-samente e vidi una profondità che non credevo potesse esistere... Mi stava ringraziando e mi stava regalando amore. Perché? Ero io che avrei dovuto farlo, ero io che dovevo trasmettere a lei serenità, invece lei riusciva a trasmettere l'inim-maginabile meglio di chiunque altro. Posso solo dirle grazie e scusarmi perché avrei potuto darle di più, sicuramente molto più di quanto abbia fatto. Il secondo momento ho avuto modo di viverlo negli ultimi giorni del viaggio. Una bambina ave-va delle lesioni aperte sulla testa e, come ci era stato indicato, in casi simili dovevamo avvertire le madri. Così andammo in infermeria e la mam-ma le disse di sedersi. Tirò fuori una lametta e iniziò a rasarle i pochi capelli che le erano ricre-sciuti per poter disinfettare la ferita. La bambina stringeva gli occhi e soffriva ma non si lamenta-va. Improvvisamente entrarono altri due ragazzi-ni che sgranarono gli occhi rimanendo in silenzio: erano sconvolti. Uno di loro in particolare sem-brava arrabbiato, con quella vita e per quel con-testo. Era come se l'allegria e la spensieratezza dei giorni precedenti fosse stata messa in una pallina di carta che prendendo fuoco si accartoc-cia, contorcendosi più e più volte. Tentai di fargli notare quanto la piccola fosse sempre bellissima

Piccole anime incandescenti di Maria Chiara Scicolone Ero partita con la speranza di cambiare tante cose della mia vita, ma con la paura di far troppo affidamento sull'esperienza che mi si sarebbe presentata a breve. Poi però presi la decisione di staccare per un attimo il cervello e provare a non pensarci: avrei vissuto attimo per attimo ogni momento di quel viaggio, senza aspettative, senza troppe costruzioni. Mi sarebbe bastato stare accanto a quei bambini, provare a capirli e ad entrare nel loro mondo, provare ad aiutarli, nel mio piccolo. Avrei potuto farcela? I giorni passarono velocemente, come passarono le ore sugli aerei e sull'autobus, sopportando caldo e stanchezza... ma il vero inizio fu quando il mio piede toccò il suolo del cortile della Casa Famiglia. Lì, in quell'esatto istante, sentii che stava comin-ciando qualcosa di grandioso, di assolutamente unico. Salutai per prima le signore della casa, scoprendo poco dopo che avevano assunto la figura di madri per quei bambini, poi girai lo sguardo e vidi un'ondata di piccoli che sorrideva-no e ci guardavano. Erano stupiti, felici, curiosi e forse anche un po' spaventati. Prima della partenza ci era stato raccomandato di curare per bene l'igiene a causa della malattia con cui loro erano costretti a convivere; quando

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dell’Associazione Casa Famiglia Rosetta. Davvero un bellissimo gruppo, vario ed eterogeneo, la cui condivi-sione dello stesso obiettivo ha fatto superare qualsiasi differenza. Anzi, proprio questa varietà mi ha permes-so di vedere le cose in modo diverso aprendomi al confronto. Ho sperimentato come può essere impor-tante vedere come gli altri vivono le tue stesse espe-rienze con modalità e con occhi diversi. La prima emozione forte mi ha colto subito dopo essere arrivato in aeroporto, nel rivedere il nostro autista Omari che, venendomi incontro e abbraccian-domi, mi ha chiamato kaka, che in swahili significa fratello. E poi, ovviamente quando siamo arrivati a Tanga, rivedere i nostri uatoto (bambini) e quella splendida città bagnata dall’Oceano Indiano, è stata l’emozione più grande! L’accoglienza è stata commo-vente. I più piccoli, per natura più spontanei, ricono-scendomi, mi sono saltati addosso. Altrettanto acco-glienti e affettuose sono state le "mamme" e la diret-trice Irene. Ricordo questo momento con grande coinvolgimento emotivo. Il compito di noi ragazzi è stato quello di collaborare e, per farlo, il nostro coordinatore e amico Padre Silvio ci ha incoraggiati ad utilizzare i “servizi”: ognuno

di noi, a gruppi di due persone, ogni giorno aveva uno specifico compito da svolgere. Ci si aiutava a vicenda e si andava oltre i semplici "servizi", affiancando i bam-bini nello svolgimento delle attività quotidiane. Cerca-vamo di dare sostegno alle "mamme", donne sempli-cemente fantastiche e instancabili nell'accudimento dei piccoli, autentiche figure materne per tutti i uato-to. Ci sono cose di questo viaggio che porterò sempre con me , e molte riguardano i bambini. Alcune di que-ste sono il loro canto, i loro sorrisi spensierati e il loro affetto. E poi, ci sono dei momenti magici come quan-do regalammo a Kassimu due bonghi veri, a lui che, pur di suonare, utilizzava dei contenitori di plastica. Insomma, abbiamo vissuto davvero un’esperienza unica e questo ha fatto sì che anche tra noi si creasse un rapporto unico. Oggi sento la mancanza dei "miei" uatoto e di tutto ciò che lì ho vissuto ogni giorno. L’Africa mi ha dato tanto e sento che non è ancora finita perché ha ancora molto da offrirmi. Grazie a questo mio ritorno, di certo ho capito molte cose nuove, ho imparato ad amare i nostri bambini ancora di più, a convivere con diverse realtà e ideologie e ho compreso, in modo ancora più reale e concreto, l’Africa, questa terra in cui la povertà e la miseria camminano insieme ogni giorno, come compagne di vita di moltissime persone. Con la condizione di pover-tà convive anche la ricchezza d’animo e quella voglia di riscattarsi che dà speranza e felicità: insieme danno vita ai sorrisi più belli e reali che si possano vedere al mondo e a tutti noi che, avendo tutto, abbiamo dimen-ticato il sorriso dell’anima, insegnano la vera felicità.

L'Africa, terra in cui povertà e ricchezza convivono di Vincenzo Federico Viaggiare, ritornare in un posto in cui si è già stati, trasmette una strana sensazione. Pensi che sarà come vedere un film di cui si sa già il finale, ma non è esattamente così: un luogo non può mai essere “ripetitivo”, specialmente se ha lasciato un segno profondo. Quando ho saputo che sarei ritornato in Africa, ero veramente entusiasta di andare a ritrovare quel luogo e soprattutto di ritornare dai "miei" bambini che mi avevano dato tanto. Ero sicuro che stavolta sarebbe stato tutto diverso e che anch'io interior-mente avrei vissuto questo nuovo viaggio in modo diverso. Stavolta eravamo un gruppo di undici ragazzi in compagnia di due seminaristi del Seminario di Paler-mo, Angelo e Salvatore, di un medico, dott. Enzo Sedita, di una nutrizionista, la dott. ssa Flavia Farao-ni, dell'interprete prof. Peter Cipolla e da due sacer-doti, don Silvio Sgrò, Rettore del Seminario di Paler-mo, e don Vincenzo Sorce Fondatore

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Immensa la gioia di tutti quando ho messo in piedi il primo bambino e questi ha iniziato a muoversi. Per fare ciò ci siamo serviti sia di rudimentali deambulatori, opportunamente modificati, sia dei terapisti presenti, ma, soprattutto, dei nostri instancabili volontari appositamente venuti con noi dall’Italia. I nostri instancabili volontari: 14 ragazzi fra i 15 ed i 19 anni, un sacerdote e due seminaristi che per tutte le ore del giorno controllavano che i bambini non si muovessero secondo le loro precedenti abitudini e che li mettevano in piedi fornendo loro il deambulatore. Completavano la loro opera lavandoli o aiutan-doli a farlo, aiutandoli a cibarsi, vestirsi e curarsi ed infine, ma non per questo meno importante, giocando, socializzando con loro sempre, dal mattino alla sera, senza mai stancarsi o chiedere qualcosa per se stessi. Solo una serie di domande, sempre uguali: da cosa è affetto questo bambino, quali prospettive ha? Abbiamo completato il lavoro visitando gli 83 bambini che vengono condotti giornalmente in struttura e ci siamo recati in alcuni villaggi per visitarne altri che non potevano venire, ma che avremmo potuto accogliere. Per ciascuno di loro è stato redatto il relativo piano riabilitativo che, subito dopo, è stato spiegato sia al medico che ai terapisti che lavo-rano sul posto. Per due bambini, uno di cinque anni ed una di 18 mesi, abbiamo anche previsto una serie di accertamenti da effettuare nell’ospedale di riferimento nazionale a Dar El Salam, propedeu-tici a successivi trattamenti, sia, eventualmente, chirurgici che riabilitativi in Italia. Per gli altri, due volte a mese, via mail, faremo il punto sulla situazione utilizzando anche la web camera. Sono trascorsi così, troppo velocemente, i 15 giorni previsti e, come forse spesso accade in questo tipo di esperienze, si parte per cercare di aiutare gli altri e invece sono loro che contem-poraneamente ti aiutano davvero e di più, arric-chendoti di valori che forse sono presenti in ciascuno di noi, ma che spesso, troppo spesso, rimangono assopiti. Il tutto è comunque solo l’inizio di una bella storia, e in futuro vi renderò partecipi del segui-to di questa straordinaria esperienza.

Breve racconto di una esperienza indimenticabile ed indimenticata di Enzo Sedita Dal 30 giugno al 16 luglio mi sono recato nella sede dell’Associazione Casa Famiglia Rosetta a Tanga, in Tanzania. Dopo un lungo ed estenuante viaggio mi sono ritro-vato in un posto da sogno, profondamente diverso in tutto e per tutto dal luogo dal quale provenivo. Ad attendermi vi erano 33 fantastici bambini ciascu-no con la sua breve, ma intensa storia. Dopo avere iniziato a visitarli ed a redigere i relativi piani riabilitativi, si è iniziato un corso di formazione della durata di otto ore per tre giorni. Mi ero preparato ad illustrare le varie metodiche riabilitative in uso nel nostro mondo, frutto anche di un diverso approccio culturale, quando mi sono reso conto, fortunatamente subito, che il più grave ed importante problema era un altro: la diversa conce-zione della disabilità, del diverso, di una paura atavi-ca verso ciò che è la disabilità. Per loro, per la loro cultura, un disabile era un “ essere” diverso, da nascondere agli altri, quasi una vergogna per la famiglia. Un disabile non era solo un emiplegico, para o tetraplegico, ma era considerato prima di tutto un grave insufficiente mentale: “ lo scemo del villag-gio”. Abbiamo, ed in questo mi ha aiutato notevolmente Padre Vincenzo Sorce per le sue competenze, dimo-strato loro il concetto della diversa abilità. Abbiamo, dopo un lavoro su anatomia e fisiologia, dimostrato che si poteva essere plegici e, contem-poraneamente, normo o super dotati da punto di vista intellettuale, portando anche numerosi esempi del mondo in cui viviamo. Fiduciosi nella comprensione di tale nuovo concet-to, dopo i tre giorni si è iniziato il lavoro di riabilita-zione neuro-motoria. La prima osservazione era che ogni bambino, pur avendone le capacità, non stava in piedi, non cam-minava, ma ciascuno aveva imparato a sostarsi nel seguente modo: appoggiati sulle ginocchia flesse, utilizzavano gli arti superiori per sollevare il busto dal suolo e spingersi in avanti, come se non avesse-ro le gambe, così come vedevano fare alle scimmie, per altro abbondantemente presenti nei dintorni. Abbiamo spiegato la verticalizzazione e l’immediato vantaggio che ne sarebbe derivato: avere liberi gli arti superiori per svolgere altre importanti funzioni.

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La Chiesa di Palermo Madre feconda di Martiri - di G. Guagliardo

Il 15 settembre del 1993, per vile mano mafiosa, veniva barbaramente ucciso con un colpo alla nuca a Palermo, nel quartiere Brancaccio, P.Pino Puglisi. Anche noi, ospiti dell’Oasi, abbiamo voluto ricordare questo prete con la lettura di qualche pagina del libro di Padre Vincenzo Sorce: “Quando la mia terra si tinge di sangue” e la proiezione di un cortometraggio. Scrive Padre Sorce nel suo libro, che la radice apostolica di Padre Puglisi sta nella preghiera. In un canto vocazio-nale del 1988, scrive: “La preghiera è un rischio”. Per-ché? “Perché per pregare bisogna avere la consapevolez-za di ciò che si vuole chiedere, e bisogna avere la certez-za che possiamo ottenere ciò che chiediamo”. “La pre-ghiera dà senso alla vita, diceva don Pino, perché rende viva l’amicizia con Dio e fa diventare la persona più simile a Dio”. Caro Padre Pino, hai avuto il “Coraggio di Osare”: fa’ che ciascuno di noi possa prenderti come concreto modello di vita.

A… come Alfabetizzazione di Lina Cannizzo – M. R. Iacono - E. Altieri – A. Di Stefano

Negli scorsi mesi di maggio e giugno è stato avviato in Comunità un corso breve di alfabetizzazione, a cura del settore culturale e grazie alla collaborazione di tre volon-tarie idonee alla realizzazione di tale esperienza. La finalità primaria era quella di consentire ai residenti senza titolo di studio medio-elementare o, addirittura, senza scolarizzazione, di apprendere delle nozioni base per l’acquisizione di nuove e necessarie abilità, principal-mente negli ambiti della lingua italiana, inglese e della matematica. La reazione iniziale dei partecipanti selezionati per il corso, è stata una prevedibile diffidenza. Tuttavia, l’entusiasmo delle insegnanti, che si sono subito integrate nella vita e nel clima comunitario, ha saputo coinvolgere gli “alunni”, che hanno partecipato con diligenza ed impegno. Alcuni di loro non avrebbero mai pensato di poter mi-gliorare le abilità scolastiche o, addirittura, di imparare qualcosa che andasse oltre la propria firma. L’esperimento, che consideriamo come un inizio rispetto

alla futura progettualità con le istituzioni scolastiche

locali, mirate principalmente alla prevenzione, è certa-

mente riuscito, soprattutto perché ha favorito la crescita

dell’autostima dei corsisti, oltre al senso di appartenenza

del gruppo delle volontarie.Questa la testimonianza delle

nostre volontarie: “Per noi è stata un’esperienza appa-

gante, i ragazzi ci accoglievano sempre con un sorriso,

chiedendoci di aumentare le ore di lezione e mostrando

il loro impegno. Nel pensare di poter dare il nostro

piccolo contributo, abbiamo ricevuto molto di più”.

Tutto ciò non è certamente frutto del caso, ma della capacità e professionalità dell’equipe, che nella Comunità opera agendo in sinergia con gli ospiti, i volontari, i servizi e le aziende del territorio che stanno offrendo disponibilità, sia a livello soli-daristico che di risorse umane; un esempio, con-creto di tale disponibilità è costituito dall’acquisto di un tornio per lavorare l’argilla resa possibile da donazione in denaro. Particolare attenzione è stata data al periodo qua-resimale con la realizzazione di una Via Crucis settimanale curata dagli ospiti e con la meditazione spirituale a cura di Don Luigi Gioia, monaco bene-dettino. Questa è l’Oasi, moderna e funzionale struttura che accoglie quanti cercano con volontà, impegno e attraverso un faticoso cammino, di uscire fuori dal tunnel dell’alcol-dipendenza, per riconquistare con rinnovato ardore e forte cipiglio, le sfide della vita, riappropriarsi della famiglia e di quel posto in società dal quale l’alcol li aveva allontanati e a volte emarginati.

Questa la realtà della comunità “Oasi” che si apre al territorio e con esso intesse un proficuo rappor-to di collaborazione che ne fa un tutt’uno che arricchisce tutti e fa di tutti una sola cosa, per costruire assieme una società migliore. Questo è quanto si nota varcando il cancello della struttura e osservando l’attività dell’Oasi, una delle tante “creazioni” di don Vincenzo Sorce che sorge fra lussureggianti boschi e amene distese di serre, dove si coltivano uva e ortaggi, sita fra i comuni di Mazzarrone e Acate. In questa comunità, dove operatori, psicologi e pazienti interagiscono, si svolgono quotidianamen-te delle proficue e interessanti attività che vanno dai laboratori di ceramica, alla scrittura iconografia bizantina, al corso di alfabetizzazione, alla cura dell’orto, alla panificazione, ai corsi di lettura, alla recita delle lodi mattutine e dei vespri che oltre ad impegnare gli ospiti, fanno emergere e a volte scoprire, capacità e potenzialità che stanno facen-do di loro degli autentici artisti, manipolatori di argilla, coltivatori e disegnatori. Attività queste, che potrebbero offrire loro inte-ressanti opportunità di lavoro. Le opere in ceramica e le icone, molto apprezzate da un vasto e qualificato pubblico di intenditori, vengono realizzate dagli ospiti sotto l’attenta guida di validi professionisti, con il risultato che il prodotto finito viene considerato di ottima fattura costituendo quindi il valore aggiunto, perché oltre a rivelarsi un efficace metodo terapeutico rivela passione e capacità di quanti, prima di entrare in Comunità non avevano mai manipolato l’argilla e conosciuto le tecniche per realizzare le icone.

Una Comunità nel territorio, il territorio per una Comunità - di Nuccio Merlini

“Nessuno mi può giudicare”, “Un sogno per doma-ni”, “Stanno tutti bene”, “The bucket list”, tutte opere che, con toni brillanti o drammatici, toccano tematiche delicate relative alla sofferenza o a mo-menti particolarmente critici dell’esistenza. Ecco le nostre personali testimonianze. Luigi Mossuto, Coordinatore presso L’Oasi, Tecnico Audio e Video per la Programmazione: Per noi ospiti della struttura assistere a queste proiezioni ha fatto sì che i nostri sabato sera tra-scorressero in maniera diversa, curando sia lo svago che la condivisione-riflessione; con la colla-borazione dei nostri operatori la scelta dei titoli ha toccato animi ed emozioni che in ognuno di noi hanno rispolverato momenti fatti di errori e scelte. “Vivere dentro un film” è stata l’emozione più sentita, per il semplice fatto che alcune scene riproponevano spesso momenti veramente vissuti. Il dibattito alla fine del film, ancora di più, animava discussioni che davano vita a confronti tra di noi. Oltre le altre attività che si svolgono qui all’Oasi, devo dire che questa esperienza si aggiunge a un nuovo modo di fare “gruppo terapeutico”, con il

risultato di un confronto tra di noi che porta ad un solo obiettivo: quello di riflettere sul senso della vita, imparando ad affrontare le criticità, e di farcela. Samuel Tasca, Volontario presso la Comunità l’Oasi: Come prima esperienza da volontario presso questa Comunità, posso affermare di ritenermi soddisfatto del risultato ottenuto e della parteci-pazione mostrata dagli ospiti; ciò che mi ha colpi-to è il clima di naturalezza e spontaneità che si creava ogni volta, durante la condivisione al ter-mine della proiezione. I ragazzi hanno tirato fuori impressioni, ricordi ed emozioni a volte anche molto personali, permet-tendomi di entrare in contatto con loro e facen-domi sentire parte di loro, sin dal primo incontro. Consentire alla magia del cinema di tirare fuori la realtà che ognuno di noi vive o ha vissuto è stata un’esperienza bella e significativa, che ha richie-sto senza dubbio un po’ di coraggio da parte mia, col risultato di una significativa soddisfazione.

Ad Agosto e tutti i sabato sera, presso la Comuni-tà L’Oasi di Caltagirone, per iniziativa degli Opera-tori è stata organizzata un’ attività di Cineforum. La programmazione dell’attività e delle tematiche, ha avuto anche la collaborazione del volontario Samuel Tasca, un ragazzo di Mazzarrone, che nella vita si occupa di produzione cinematografica. Samuel ha, a sua volta, coinvolto il padre France-sco Tasca che ha dato un personale contributo all’iniziativa. I film in programmazione erano i seguenti:

Storie vere… guardando un film - di Luigi Mossuto e Samuel Tasca

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Andrea e Gianluca, ho avuto l’opportunità di ricredermi accettando persino la fede nella mia vita perché non credevo più a niente, neanche a me stesso”. L’esperienza dei diaconi Andrea e Gianluca, nell’Oasi si è conclusa con la presenza del diretto-re spirituale del seminario di Agrigento, don Ste-fano Casà, sacerdote con tanta misericordia ed empatia, pronto ad assistere chiunque abbia bisogno del suo aiuto, dimostrata anche dalla sua sofferenza fisica, nella quale vediamo quella di Cristo. L’essere umano, infatti appare peccatore a motivo della sua fragilità consentendoci di incon-trare Gesù, che ci ricorda : “Sei degno del fatto che Io muoia per te, anche nei tuoi peccati”. Inoltre, sei ospiti dell’OASI, hanno partecipato ai momenti di formazione cristiana, con il sacramen-to della cresima iniziatosi dai nostri diaconi con una partecipazione intensa.

Il lavoro di catechesi iniziato da Andrea e Gianluca, è stato continuato e concluso da don Sebastiano Adamo, sacerdote della Diocesi di Trapani già vice-rettore del seminario maggiore, molto vicino alle persone in tanti momenti di vita comunitaria, quelli gioiosi e quelli tristi, un uomo sempre pre-sente a chi ha bisogno di conforto e pronto al dialogo e accolto con calore dagli ospiti dell’Oasi. I momenti di preghiera, la celebrazione giornaliera della Santa Messa, la catechesi, l’Adorazione Euca-ristica, sono state esperienze di profonda medita-zione e raccoglimento. Questa sua settimana di permanenza all’Oasi, ha avuto come tema: “In Cammino verso Emmaus”. Il cui viaggio porta con sé molte certezze e, nello stesso tempo dubbi, perplessità, interrogativi e desideri. Ogni persona compie un cammino e per compierlo deve percor-rere una via. I discepoli di EMMAUS erano tristi perché delusi e disorientati, ma sulla via della sconfitta subita incontrano Gesù in una veste nuova, quella del Risorto dove la rassegnazione comincia a lasciare il posto alla speranza, l’incredulità svanisce, le tenebre si dileguano, la luce scaccia via la stoltezza, la tristezza viene scon-fitta dalla gioia, il cuore riprende ad ardere di amore e ritorna alla vita esortando anche noi, come i discepoli di Emmaus a riprendere il cammi-no. Solo nel momento in cui si comincia a percor-rere la vera via, la mente si apre alla verità e si sperimenta che cos’è e chi è la vita perché Dio sa bene che siamo umani e deboli e che abbiamo bisogno di Lui per non perderci. Sicuramente Andrea, Gianluca e Sebastiano hanno portato a casa con loro volti e situazioni che li aiuteranno ad avere uno sguardo più ampio sulla realtà di una Comunità. Grazie ancora di cuore e vi facciamo i nostri più sentiti auguri perché il Signo-re porti a compimento l’opera che ha iniziato in voi. Buon Cammino.

Nei mesi scorsi e per quindici giorni circa, l’OASI è stata una tappa importante e significativa nell’itinerario formativo di due diaconi della Dioce-si di Agrigento, Andrea e Gianluca, che hanno vis-suto assieme a noi una esperienza di comunità. L’iniziativa, nasce d’intesa fra l’Arcivescovo di Agrigento, Card. Francesco Montenegro e il nostro Presidente Don Vincenzo Sorce. Andrea e Gianluca oltre ad aver visto una realtà di missione in un clima di pluralismo religioso e culturale, hanno anche percepito sofferenze, tanta voglia di riscatto e di rinascita come riferito dal Santo Padre, duran-te l’omelia della Domenica delle Palme del 2013, che rivolgendosi ai giovani, li esortava dicendo: “Non lasciatevi rubare la speranza”, un messaggio che ci incoraggia a non lasciarci prendere mai dallo scoraggiamento. La nostra non è una gioia che nasce dal possedere tante cose, ma dall’aver incon-trato una Persona: Gesù, che è in mezzo a noi, nasce dal sapere che con lui non siamo mai soli, nei momenti difficili e quando il cammino della vita ci fa vivere problemi e ostacoli che sembrano insor-montabili e per noi che abbiamo smarrito la strada, l’Oasi è una comunità di vita e un’oasi di salvezza dove il nostro recupero è soprattutto un percorso d’amore che è “dono”. Particolare commozione vissuta nel giorno in cui abbiamo partecipato all’Adorazione Eucaristica, il cui tema è stato : “Il Perdono è Amore”, inteso come atto di coraggio, di amore e di umiltà, perché perdonare significa riconoscere la propria fragilità e costituisce matu-rità, responsabilità e saggezza in quanto la cosa più difficile è quella di perdonare sé stessi perché, come disse Madre Teresa di Calcutta: “Se vogliamo amare veramente dobbiamo iniziare a perdonare” perché la riconciliazione avviene in noi stessi, non con gli altri. Significativa la testimonianza di Nino da Palermo. “Son passati ben dieci anni della mia vita con situazioni sgradevoli, ma parlando con

Sacerdoti e diaconi al servizio della nostra comunità: un’esperienza intensa di spiritualità e catechesi – di Giovanni Guagliardo

offrendo gratuitamente la loro opera. Visibilmente emozionati, gli autori delle icone, si sono presentati all’altare portando in mano e mostrando con orgoglio, le loro “creazioni” e ricevendo la benedizione. Oltre all’aspetto puramente religioso, la presenta-zione delle icone ha rappresentato il suggello delle loro capacità e creatività. Ecco, questo il significato delle attività volute da don Vincenzo Sorce nelle tante Comunità, perché i lavori e i progetti, oltre ad avere valenza tera-peutica, costituiscono il valore aggiunto del per-corso riabilitativo degli ospiti, in quanto, non solo li impegna mentalmente e manualmente durante la giornata sottraendoli al rischio della noia, ma fa emergere le loro capacità e attitudini, curando le ferite più profonde, in questo caso attraverso lo strumento dell’arte e della meditazione. La presentazione delle icone ai volontari, la loro benedizione e le immancabili foto ricordo, hanno costituito l’epilogo del corso e la “consacrazione” di nuovi e abili realizzatori di arte, che potrebbero persino schiudere loro nuove opportunità di lavoro, considerato che l’iconografia era una materia a loro sconosciuta e che cimentandosi in questa nuova e appassionante attività hanno fatto emergere impensabili doti. Icone, ceramica, coltivazione dell’orto, manipolazione e confezio-

namento del pane, non sono attività frutto del caso, ma precise occasioni lavorative ed educative, volute da don Vincenzo e attuate dagli operatori con la consueta capacità, al fine di offrire agli ospiti una crescita umana completa.

Intensa e proficua l’attività de “ L’Oasi” che oltre alla cura della dipendenza dell’alcol, organizza percorsi terapeutici – riabilitativi, che stanno dan-do ottimi risultati e facendo acquisire esperienza e professionalità a quanti in Comunità cercano con impegno di uscire fuori dal tunnel. Infatti, oltre all’avviato e già consolidato laborato-rio di ceramica, che grazie al munifico dono di volontari è stato dotato di un moderno e funziona-le tornio, è stato avviato e concluso un corso di iconografia bizantina, durato oltre sei mesi e con-dotto da una insegnante specialista; il progetto, al quale hanno preso parte tutti gli ospiti, fra i quali alcuni di religione musulmana, è stato seguito con notevole impegno ed interesse e, come da loro stessi affermato, oltre a non sottrarsi a tale attività, hanno tratto da questa particolare giovamento. Pregevoli e apprezzati i lavori realizzati, che hanno riscosso il plauso di esperti e visitatori. Le icone, eseguite con certosina pazienza e con abilità dai “corsisti”, “scritte” con la massima cura anche da chi non aveva mai realizzato opere simili, secondo un percorso che a partire dall’arte arriva alla preghiera ed alla meditazione più intensa, sono state benedette nel corso della consueta celebra-zione Eucaristica settimanale alla quale hanno preso parte tutti gli ospiti della Comunità e un folto gruppo di volontari che frequentano la struttura

L’emozione di “scrivere un’icona” - di Nuccio Merlini

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Possiamo pensare ai media come surrogati sociali perché essi sono sostituiti alle comuni casualità dell’interazione quotidiana, generando in maniera insidiosa e continua simulacri della vita quotidiana e creando, in misura sempre crescente, difese contro le intrusioni di ciò che è sgradito o ingover-nabile. L’azione più significativa dei media si svolge nel mondo ordinario: essi filtrano e incorniciano realtà quotidiane attraverso le loro rappresenta-zioni uniche e molteplici, ci offrono le pietre di paragone e i punti di riferimento per la conduzio-ne della vita di tutti i giorni, per gli stili alimentari, per la produzione e il mantenimento del senso comune. La società oggi vive profondi e rapidi mutamenti, i quali invertono il modo di entrare in rapporto con il proprio sé e con la realtà circostante, producen-do una frammentazione sul piano biologico, esi-stenziale e culturale. Moda e cibo sono le variabili forse più evidenti. È necessario chiedersi: «Cosa vuol dire “essere alla moda”? Cosa determina l’essere “in” e l’essere “out” in contesti sociali sempre più attenti all’habitus?» da una parte esprimere la propria individualità, la propria pecu-liarità con scelte estetiche, di gusto e di trend, dall’altra essere perfettamente consci che chiun-que decida di essere alla moda farà la stessa iden-tica cosa. Con il cibo il fenomeno paradossale è ancora più acuto, perché giochiamo su due assi, quello del piacere, per cui l’assunzione di cibo deve essere appagante nella ricerca della soddisfazione del gusto (pensiamo al boom dell’economia alimenta-re, dello slow food, dei media sempre più attratti dalla cucina e dal cibo); l’altro è quello del corpo, dove il cibo rappresenta l’elemento franante, l’agente negativo su un ipotetico corpo socialmen-te accettato. Un corpo come “destinatario di in-genti investimenti (biologici, economici e comuni-cativi), calato dentro un ciclo di produzione che impone sollecitazioni e stress crescenti, e da alme-no un decennio reso oggetto di processi di narci-sizzazione e feticizzazione”. L’individuo post mo-derno, più che interessato al corpo sembra osses-sionato dal culto del corpo, il quale è un idealtipo della silhouette socialmente desiderabile. Siamo di fronte ad una società dei modelli estetici, dove l’immagine corporea non include solamente il

corpo così come lo vediamo quando ci troviamo di fronte allo specchio, ma anche e soprattutto la percezione che abbiamo di esso. Esiste quindi la rappresentazione mentale che ognuno ha di sé, la quale va principalmente a determinare l’autostima dell’individuo. La bellezza è diventata talmente indispensabile da innescare il meccanismo di una vera e propria malattia che negli Stati Uniti prende il nome di “body image disturb”, ovvero disturbo dell’immagine corporea. L’eccessiva importanza riservata all’immagine corporea è frutto dell’errata convinzione che per essere socialmente accettati, sia necessario apparire in forma uguale, se non addirittura migliore, a quella dei modelli proposti dai media. Una situazione emotiva a tal punto condizionante può dare il via all’insinuarsi di un disturbo di tipo “percettivo” della propria immagine corporea, indipendentemente dalla forma corporea stessa: vediamo di noi stessi cose che gli altri non vedono. I mezzi di informazione possono divenire il motivo dell’interiorizzazione di uno stereotipo di bellezza irraggiungibile e creare, nell’individuo che guarda, un rapporto problematico con il proprio corpo che determina un’insoddisfazione a volte così profonda da rendere la vita poco gratificante. In casi estremi, il conflitto tra mente e corpo può dare origine a un vero e proprio disturbo dell’alimentazione, con conseguente controllo del peso mediante pratiche pericolose, tra le quali il digiuno. Negli ultimi anni è nata la necessità di verificare come le giovani generazioni vivano il rapporto con il cibo, quali siano i loro cibi, i tempi, i luoghi e le modalità dell’alimentazione quotidiana preferiti. Si evince una netta preferenza per i cibi prodotti da fast food, che riflettono una prospettiva allettante di un modo veloce di soddisfare l’appetito, in una società che va di fretta e in cui è probabile che nella famiglia entrambi i genitori lavorino. Da ciò si evin-ce che come la scelta di un cibo, non appare il frutto di una scelta individuale, bensì l’espressione di norme che regolano l’agire di comunità, ciò che è legittimo mangiare non è il frutto di una scelta personale, ma bensì delle prescrizioni che le regole

La Comunità Terapeutica per donne “La Gine-stra”, dell’Associazione “Casa Famiglia Rosetta”, ha voluto sensibilizzare le donne ospiti della Comunità circa l’importanza che riveste il rappor-to che intercorre tra il consumo, i media e la costruzione dell’identità personale, focalizzando l’attenzione sull’educazione alimentare, parten-do dal presupposto che la Comunità, quale luogo deputato allo sviluppo di conoscenze e atteggia-menti, potrebbe essere potenzialmente in grado di promuovere la salute. È uno spazio educativo progettato per potersi fermare in un momento difficile della propria vita, dove poter compren-dere e curare le problematiche di cui si sta sof-frendo e riorganizzare la propria esistenza, con-dividendo questo percorso di cura con un gruppo di persone che soffrono delle stesse patologie, e in cui il concetto di guarigione non è più solo un obiettivo individuale ma è esteso ad un progetto collettivo. Siamo in piena e rapidissima rivoluzione multi-mediale, un processo che ha molti tentacoli (internet, tv, radio, cinema, ciberspazi), caratte-rizzato da un comune denominatore: il tele-vedere, e per esso il nostro video-vedere. Il video sta producendo una permutazione, una meta-morfosi, che investe la natura stessa dell’homo sapiens prodotto dalla cultura scritta, trasfor-mandolo in homo videns, nel quale la parola è spodestata dall’immagine. I media sono in grado di dischiudere ai nostri occhi realtà alle quali altrimenti non avremmo accesso, rendendo intellegibile l’universo in cui viviamo. Ecco perché è essenziale secondo Ro-gers Silverstone, comprendere come funzionano i media, per cercare di capire in che modo parte-cipano alla vita sociale, per conoscere quale tipo di pressione esercitano sulle nostre menti e sulle nostre anime: “Data l’onnipotenza e la centralità dei media elettronici nella nostra vita quotidia-na”. Dovremmo studiare i media secondo i ter-mini di Isaiah Berlin, come parti del “tessuto generale dell’esperienza”, facendo quindi riferi-mento alla natura della vita del mondo, a quegli aspetti dell’esperienza che diamo per scontati ma che sono indispensabili alla vita sociale e alla comunicazione. Marshall McLuhan considera i media come “estensioni dell’uomo, protesi che ne aumentano il raggio d’azione”, che sono in grado tanto di sviluppare quanto di diminuire le nostre capacità nel momento in cui, in quanto soggetti e contemporaneamente oggetti dei media, ci troviamo progressivamente avvinti in una sfera sociale surrogata.

Il consumo e i media: identità personale e alimentazione – di Adele Emanuela Cutaia

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sto, tra i suoi obiettivi di miglioramento dell’offerta salute e promozione della salute mentale, la ACFR si sta impegnando a mettere in campo risorse adeguatamente formate e professionisti esperti che possano operare in un ambito così complesso e multiproblematico che coinvolge non solo la perso-na con il Disturbo ma anche la sua famiglia, il contesto amicale e sociale in cui vive, prendendosi cura, attraverso i modelli oggi riconosciuti della presa in carico globale del paziente, di una condi-zione ancora per molti aspetti poco conosciuta....” Il progetto di prevenzione diagnosi e trattamento dei DCA che la ACFR, insieme alle Associazioni confederate, Terra Promessa, L’OASI e la Fonda-zione “Alessia”, sta attivando al suo interno rap-presenta la risposta al bisogno, evidenziato nel territorio di Caltanissetta ma esteso a tutta la regione Sicilia, di analisi del fenomeno come problema emergente, di cui ancora non si cono-scono con certezza le dimensioni e quindi si stima una prevalenza di circa 6% con differenze specifi-che in base alle popolazioni osservate (adolescenti, adulti, donne e uomini, popolazioni di soggetti fragili con altre patologie associate e in dipendenza patologica) o altre condizioni associa-te che nascondono il quadro clinico. Il Progetto, che si svilupperà in più fasi, prevede la formazione del personale che opera nelle strut-ture delle Associazioni confederate. Gli operatori individuati tra medici, psicologi, assistenti sociali, dietisti, educatori professionali e psicomotricisti, saranno formati da un lato sotto gli aspetti epide-miologici della valutazione del fenomeno e dell’assessment clinico, nelle sue differenti forme (AN, BN, BED, Obesità) e la prevenzione primaria con interventi di riconoscimento e individuazione dei fattori di rischio e dei possibili stati di patologi-a che spesso si associano a precedenti condizioni di DCA non evidenziati; dall’altro potranno acquisi-

re conoscenze specifiche sui modelli di trat-tamento più efficaci e basati sulle evidenze scientifiche, sia di tipo ambula-toriale sia resi-denziale, per le forme di DCA diagnosticate e per la preven-zione dei distur-bi associati. I moduli succes-sivi del Corso sui DCA saranno orientati a svi-luppare, secon-do i criteri basa-ti sulle evidenze scientifiche, i modelli di trat-tamento che potranno essere avviati, nonché i risultati della ricerca azione con-dotta nel territorio di Caltanissetta. Partendo dalle evidenze scientifiche attualmente disponibili, il primo modulo del Corso di Formazio-ne ha affrontato gli aspetti medici, psicologici e sociali negli ambiti epidemiologico, diagnostico, di metodologia clinica, focalizzandosi sempre sull’efficacia e sulla sua valutazione. Al termine del Corso, i partecipanti sono stati messi in grado di formulare un corretto sospetto diagnostico di DCA e individuare fattori di rischio, nonché di definire i criteri e indicazioni per una presa in carico tempe-stiva e appropriata.

Il 23 settembre scorso, presso i locali del nuovo Palazzo Duca di Villarosa Notarbartolo sede della Formazione Internazionale della Associazione “Casa Famiglia Rosetta”, sito in Piazza San Giu-seppe a Caltanissetta, ha avuto luogo il primo Modulo del Corso di Formazione sui Disturbi del Comportamento Alimentare (DCA) rivolto al personale di ACFR, Terra Promessa e L’OASI che si occupa della cura della persona in vari contesti di fragilità fisica, psicologica e sociale. Il Corso fa parte di un Disegno di Ricerca-Azione promosso dalla ACFR fondata Don Vincenzo Sorce. Direttore scientifico e docente del Corso sarà il prof. Umberto Nizzoli, già direttore del Dipartimento Salute Mentale e Dipendenze Patologiche dell’ASP di Reggio Emilia e attuale Presidente Eletto della Società Italiana di Studi sui Disturbi del Comportamento Alimentare, esperto nel campo con oltre vent’anni di attività di ricerca e studi sull’argomento e supervisore scientifico di ACFR, TP e L’OASI. “I Disturbi del Comportamento Alimentare” – dice il prof. Nizzoli - sono in costante aumento. Ai classici quadri clinici della Anoressia Nervosa e della Bulimia Nervosa si affiancano, in dimensioni epidemiologiche anche maggiori, nuovi stati di disturbo come il binge eating disorder, BED o l’Obesità psicogena. I DCA comprendono una fascia d’età molto ampia che va dalla prima infanzia all’età avanzata, pur concentrandosi particolarmente nell'età adolescenziale e giova-nile; riguardano entrambi i sessi; hanno di norma una eziologia multifattoriale; si connotano come problema ad ampio spettro medico, psicologico e sociale; coinvolgono pesantemente il gruppo familiare ed i partner. Secondo le più aggiornate Linee-Guida i DCA di norma meritano un tratta-mento multidisciplinare ed integrato che richiede però una grande competenza specifica. Per que-

Formazione sui Disturbi del Comportamento Alimentare – di Giovanna Garofalo

La comunità terapeutica ed i social network: un rapporto da “coltivare”– di Nino Denaro

“richieste d’amicizia” che puntualmente metto in stand- by fino alla conclusione della fase residen-ziale. Inizialmente pensavo che si trattasse di un feno-meno transitorio e di breve durata, legato al di-stacco, in realtà sono ormai diversi anni che ho queste “amicizie” sul mio profilo, rapporti che si sono incrementati con il tempo. Si sono presentate come un ottimo sistema di monitoraggio. Quando qualcuno si è trovato in difficoltà si è creata una vera rete di solidarietà tra i compagni di percorso comunitario. Ho potuto constatare come i social siano un buon sistema di “aiuto” come un pronto inter-vento, libero da ogni forma di giudizio, perché in fondo non ci si guarda negli occhi, e questo può facilitare le cose. Certamente si può pensare ad un sistema maggiormente strutturato, per creare un siste-ma di follow-up significativo. In questa breve pausa per le ferie d’agosto mi è capitato più volte di essere contattato, o di ricevere qualche commento alla pubblicazione di una foto. Con qualcuno si è creata l’occasione per un breve incontro per un caffè. È stata una bella esperienza di confronto sul lavoro svolto dall’equipe della comunità, ed uno stimolo in più per proseguire sul lavoro. Non siamo amici né conoscenti, li chiamerei

“rapporti significativi”, ovvero abbiamo condiviso un periodo significativo sia dal punto di vista dell’utente, sia dal punto di vista dell’operatore, ci siamo conosciuti, confrontati, ognuno di noi a suo modo è cresciuto ed ha imparato qualcosa, abbia-mo coltivato un rapporto che in evoluzione si è trasformato da professionale ad amicale. Ritengo che anche questo possa essere considerato un ulteriore successo della comunità: non si eroga soltanto un servizio, si costruisce una rete solidale

In un mondo sempre più votato all’individualismo, i social network non ci fanno mai sentire soli, anche quando in realtà lo vor-remmo. Con un semplice account su Facebook non si è mai soli. Che lo si voglia o meno, siamo sempre più con-nessi, sempre in linea, sempre più rintracciabili e visibili. Se tutto ciò sia un vantaggio o meno, credo sia una riflessione del tutto individuale, però è sicu-ramente un dato di fatto. Facebook è un enorme palcoscenico digitale, dove costruiamo il nostro ruolo sociale minuzio-samente: la scelta della foto, la scelta degli inte-ressi da condividere, i criteri di selezione delle “amicizie”, in uno spazio infinito cerchiamo di tracciare il nostro profilo costruendo uno spazio di condivisione e se vuoi anche di confronto. Voglio guardare ai social network come sistema informale ed empirico di monitoraggio nei per-corsi di follow- up del percorso delle comunità terapeutiche. Follow – up è un termine inglese che indica quei sistemi di controllo periodici e programmati a seguito di un percorso di cura. In medicina lo scopo è diagnosticare prima della comparsa dei sintomi la ripresa della malattia. Generalmente in coincidenza con il passaggio alla comunità del reinserimento si registrano le

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sull’accrescere il potere (empowerment), in grado di favorire l’acquisizione di autonomia, indipen-denza e autodeterminazione. L’educazione alla salute viene così a delinearsi come un processo educativo finalizzato non solo a fornire informa-zioni sui rischi (modello preventivo), ma soprat-tutto a sostenere la motivazione dei soggetti, a sviluppare le loro capacità consentendo loro di

decodificare e di utilizzare le conoscenze necessarie per mantenere una condizio-ne di benessere e di salute, grazie ad una maggiore capacità di controllo. Al potere dei media viene contrapposto, in questo modo, il contropotere dell’educazione, attraverso programmi di educazione alimentare associati a strumenti come la Media Literacy e la Media Education, con lo scopo di pro-muovere un atteggiamento critico e di responsabilità etica, ottenuto stimolan-do gli utenti nell’analisi dei testi mediali, nel confronto tra fonti differenziate, nel porsi domande e problematizzare ciò che sembra evidente.

Nel concludere, entrando nel merito

dell’importanza che riveste l’attività di prevenzio-

ne e promozione dell’educazione alimentare e

della salute, lo scopo di un educatore non è quello

di insegnare qualcosa a chi gli sta di fronte, bensì

quello di ricercare con lui i modi per trasformare la

realtà in cui entrambi vivono.

del vivere associato impongono agli indivi-dui. È la “bocca” della comunità che pre-scrive comportamenti alimentari che non possono essere messi in discussione dai singoli. Il mondo della comunicazione sem-pre più contribuisce ad offrire un modello di riferimento e stili di comportamento da imitare causando, quindi, abitudini alimen-tari non corrette e che portano alla compar-sa di alcuni disturbi dell’alimentazione, quali il sovrappeso e l’obesità. In questo processo un ruolo importante è attribuibile all’educazione al consumo alimentare ed alla scarsa attività fisica: aspetti che oltre a coinvolgere la responsabilità genitoriale chiamano in causa il ruolo della comunica-zione mediatica. Di fronte al rischio dell’influenza mediatica non è sufficiente intervenire con adegua-te politiche di comunicazione, occorrerebbe un intervento normativo ed una maggiore azione di prevenzione e di cambiamento dei comportamenti di consumo alimentare. Viene così a delinearsi una direttrice di azione centrata sul dare la facoltà (enabling) e

Giorno 11 settembre mi sono recato a Roma, pres-so l’Istituto delle Suore di S. Giuseppe dell’Apparizione, per partecipare ad un incontro di aggiornamento su: “Il bilancio delle nostre opere: strumento di analisi, discernimento e pianificazio-ne” organizzato dal CNEC, in Centro Nazionale Economi di Comunità. Dopo una presentazione della giornata da parte della religiosa Sr Sabrina Pollini, i numerosi interve-nuti hanno potuto ascoltare le interessanti relazio-ni della dott.ssa Franca Ridolfi (sul Controllo di Gestione) e del dott. Federico Rossi (sull’Organizzazione Contabile), entrambi consulen-ti fiscali. Sr Sabrina Pollini ha ricordato ai presenti l’importanza del cosiddetto “tema economico” sottolineando come le opere non possano prescin-dere da una sana ed etica economia. La questione economica riguarda un’importante dimensione della nostra vita, e pertanto deve esse-re strettamente legata all’azione politica della struttura di appartenenza. Le decisioni in economi-a, dunque, devono agire sulle persone e sulle strut-ture a partire da noi stessi fino a produrre il loro effetto sull’ambiente e sulla realtà che ci circonda. È importante in tal senso puntare a sostenere la

solidarietà. Allo stesso modo, ugualmente fondamentale risulta essere la pianificazione nella conduzione delle opere. Ed è ovvio che le attività non devono essere in perdita. Chi gestisce le opere ne è anche responsabile e quindi la gestione deve essere necessariamente

condivisa all’interno degli organi di governo dell’Ente che, in quanto organi collegiali, garanti-scono tutto ciò. Gli obiettivi devono essere concreti, realizzabili e verificati, ed è necessario che si lavori insieme per costruire un’organizzazione capace di generare utili che consentano di mantenere la mission dell’Ente viva e vitale, durevole e consolidata nel tempo. Appare chiaro che, a fronte di questioni così arti-colate, deve essere superata la tentazione ricor-rente di considerare l’aspetto economico come un problema solo per addetti ai lavori. Ma la tecnica economico-finanziaria deve essere

illuminata dalla visione di fede. Lo spirito evangeli-

co deve restare sempre ben visibile soprattutto in

questo campo. La Provvidenza di Dio rimane la

prima risorsa economica, ecco perché in tutte

quelle opere che sono espressione della realtà

ecclesiale, la dimensione economica deve rimane-

re intimamente connessa con la centralità della

persona e la fedeltà alla missione. Attraverso

l’economia passano scelte importanti per la vita,

nelle quali deve trasparire la testimonianza evan-

gelica e l’attenzione alle necessità di tutti.

Incontro degli economi di comunità a Roma - di Simone Scicolone

Continua da pag.10 - Il consumo ...

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A questo proposito è importante dire che duran-te la nostra permanenza a Tanga il dottore Sedi-ta e Don Vincenzo, sempre con l'aiuto dell'in-stancabile professore Cipolla e di Irene, tennero un corso di formazione sulla riabilitazione, della durata di tre giorni, ad un gruppo di trenta per-sone del luogo. Al termine di questo corso, il 10 Luglio, fu cele-brato il decimo anniversario di Casa Famiglia Rosetta in Africa. Questa grande festa vide una partecipazione davvero numerosa di autorità civili e religiose locali, ma anche di larghissima parte della popolazione. La parte più emozio-nante dell'evento fu quando i bambini poterono cantare le canzoni che sono un sunto della loro nuova vita in Associazione. In quei giorni potemmo assistere anche ad un'al-tra festa, svoltasi alla fine del Ramadan, organiz-zata dalla Tigo (compagnia telefonica del luogo) nel corso della quale i bambini ricevettero diver-si doni e tutti noi potemmo confrontarci con la religione musulmana. Un altro incontro interessante fu con il vescovo di Tanga, mons. Banzi, il quale ci ricevette una mattina offrendoci una generosa colazione e al quale portammo dei doni. L'ultimo giorno della nostra permanenza in struttura ognuno di noi poté esporre il suo stato d'animo e salutare tutti i bambini, le mamme e la direttrice Irene.

La stessa sera nessuno di noi riusciva a dire "buonanotte" ai bambini che, come noi, conti-nuavano a piangere ininterrottamente. A questo proposito mi preme rammentare una cosa che Don Vincenzo disse l'ultimo giorno della nostra permanenza a Tanga. Ci disse che da quel giorno in poi nessuno di noi avrebbe più potuto dimen-ticare quei bambini e, a distanza di qualche me-se, io non ho ancora dimenticato i loro sorrisi o le loro voci. Alla fine di questo nostro viaggio di volontariato avevamo raggiunto gli obiettivi principali che ci eravamo prefissati, come insegnare ai bambini ad indossare il pigiama e a lavarsi i denti. Siamo ben consapevoli che questa è una goccia nel mare, ma siamo altrettanto consapevoli che con l'aiuto di tutti questo mare potrebbe rimpic-ciolirsi, come dicono i bambini, "pole pole" che significa "piano piano". Siamo andati a Tanga per "donare" e alla fine ci è stato donato moltissimo, più di quanto le parole possano descrivere. Oscar Wilde diceva che l'istruzione è una cosa bellissi-ma, ma è bene ricordarsi, di tanto in tanto, che nulla di ciò che importa sapere può essere inse-gnato. Il mio viaggio in Africa mi ha cambiata, non so bene in cosa mi abbia cambiata, ma di certo è un tesoro che non può essere paragonato a nessun altro.

nava sull'uomo. Durante quello stesso viaggio fu possibile recarci presso alcuni villaggi. I tipici villaggi tanzaniani sono costituiti da un insieme di case costruite con una struttura portante di materiale legnoso rivestito da un materiale argil-loso. In questi villaggi è davvero evidente la po-vertà del luogo e non abbiamo potuto fare a meno di confrontarli con il quartiere in cui sorgo-no le strutture di Casa Famiglia Rosetta, in una zona benestante. Il profondo divario tra ricchezza e povertà mi ha sconvolta e mi chiedo come si possa continuare ad ignorare una realtà del genere, e perché le persone non vogliano sapere la verità. In questi villaggi si registra la presenza di molte e diverse malattie, difatti, il dottore Sedita, con il professore Cipolla che fungeva da traduttore dall'italiano all'inglese e la direttrice della struttu-ra Irene che traduceva dall'inglese allo swahili (lingua locale), visitava sotto la supervisione di Don Vincenzo Sorce i bambini che necessitavano di cure mediche e che sarebbero dovuti in futuro recarsi in Associazione per usufruire dei servizi che Casa Rosetta offre. Ogni giorno, infatti, si recano a Casa Rosetta molte donne con i loro bambini affetti da gravi problemi fisici. Questi bambini non godono di buona salute perché molte delle loro famiglie non possono permettersi neanche l'acquisto un uovo a settimana.

tutto è puro, vero, dove tutti si danno da fare, dove nessuno pensa ad avere lo smartphone, la borsa o i vestiti più alla moda, dove la povertà, la malattia, la morte, fanno parte della quoti-dianità. Adesso, in quel quartiere di Tanga, Raskazone, vive la mia seconda famiglia, e un giorno, non so quando, non so come, non so in quali vesti, tornerò ad abbracciarli tutti, tornerò a “casa” per rivivere emozioni uniche, per do-nare tutta me stessa senza volere in cambio nulla, se non un sorriso, uno di quegli sguardi pieni d’ amore, una carezza, sperando che anco-ra una volta alla mia partenza un bambino chieda "Dada emeenda wapi? (Quando torna mia sorella?)" o una mamma m’inviti a restare lì

con loro ancora per un po’. Ancora oggi, ogni mattina al mio risveglio rivivo quei momenti, rivedo quei visi così belli e dolci e mi ritengo fortunata per aver potuto arricchire la mia vita con questo viaggio. Un grazie va a mio zio, senza il quale non avrei mai sperimentato tutto questo e che ogni giorno, tramite la sua associazione, si impegna per migliorare la vita di questi splendi-di bambini e delle loro famiglie, e ai miei genitori per avermi permesso di realizzare il mio sogno, grazie a Irene, la direttrice, alle mamme e ai bambini per averci accolto a braccia aperte e regalato momenti indimenticabili. Avrete sem-pre un posto speciale nel mio cuore. Ninawapen-da (Vi amo), Chiara.

come in quei quattordici giorni. Ogni gesto, ogni emozione, abbraccio donato da quei bambini, da quelle persone, risultava diverso, più significati-vo, più vero. Ho sempre desiderato scoprire nuove culture, tradizioni, lingue e persone, ma non potevo immaginare che quella gente dap-prima sconosciuta si sarebbe poi trasformata nella mia famiglia; che, quella lingua, quei posti sarebbero diventati sempre più familiari, che quel luogo sarebbe diventato la mia casa. Quando inizi a realizzare di dover tornare alla vita di tutti i giorni, di dover partire, di do-ver lasciare quelle persone che con un niente hanno aperto un varco nel tuo cuore, vorresti non andartene mai, continuare a vivere lì, dove

Continua da pag.4 - Un lungo percorso alla ricerca di un tesoro - di Ester Lombardo

Continua da pag.5 - Tanzania, il fulcro della vita - di Maria Chiara Lombardo

re niente a nessuno, stavo vivendo la crisi più significativa della mia vita e mi piaceva l'idea di affrontarla da sola. E quando proprio non pote-vo fare a meno di far uscire tutto quell'insieme di sentimenti, emozioni, pensieri e immagini che creavano vortici nel mio stomaco, scrivevo. E devo ringraziare questo bisogno interiore se ancora oggi quando voglio rivivere determinate emozioni, rileggo tutto quello che avevo tirato fuori da me stessa, e mi ritrovo catapultata in quelle due settimane, alienandomi da tutto il

resto. Dovevo aiutare io loro, e invece è stato il contrario: mi hanno insegnato a vivere la vita a pieno. Sono ripartita con il cuore spezzato, mi sento ancora vuota. È come se qui niente avesse senso, è come se qui mi sentissi sola e sperduta. Quelle anime sono diventate essenziali per far sentire completa la mia; ero partita con la spe-ranza di cambiare tante cose della mia vita, ma non è stato così. Loro sono riusciti a stravolgerla completamente. Nakupenda zote.

e, alla fine, si rasserenò. Pensavo che non fossero consapevoli della loro situazione, invece lo erano molto più di tutti gli altri. Molto di più di me e del resto del mondo. Per quelle due settimane decisi di non comprare la scheda per avere il collegamento internet sul mio cellulare, eppure avevo promesso a tutte le persone a me care che avrei scritto loro messaggi infiniti ogni sera. Ma non mi importava, quella dimensione non aveva bisogno di vie di fuga, era già perfetta così. Non avevo bisogno di racconta-

Continua da pag.7 - Piccole anime incandescenti - di Maria Chiara Scicolone

Missione Tanzania - Missione Tanzania

Page 16: Emmaus N° 92 - Anno XXI

PAG.16 - EMMAUS N.92 - lug/set 2015

Direttore Responsabile Vincenzo Sorce - Coordinatore di Redazione Maria Giovanna Scavone

Redazione C.da Bagno - tel. 0934.508326 - Reg. a Trib. di CL n. 132 del 16.05.1990

Impaginazione di Maria Giovanna Scavone - Stampa: Tipografia Lussografica - Caltanissetta

perciò se ne evidenzia la dimensione missionaria, riconoscendo nella realtà familiare la “via della Chiesa” all’interno della quale si conosce e si sperimenta l’amore di Dio. Papa Francesco ha invitato alla preghiera perché il Sinodo “sappia ricondurre l’esperienza coniugale e familiare a un’immagine compiuta di uomo;

riconosca, valorizzi e proponga quanto in essa c’è di bello, di buono e di santo; abbracci le situazioni di vulnerabilità che la mettono alla prova: la povertà, la guerra, la malattia, il lutto, le relazioni ferite e sfilacciate da cui sgorgano disagi, risentimenti e rotture; ricordi a queste famiglie, come a tutte le famiglie, che il Vange-lo rimane la ’buona notizia’ da cui sempre ripartire”. Luogo di “santità evangelica”, “discernimento” e “gratuità”, ma anche “presenza discreta, fraterna e solidale”, la famiglia “insegna a uscire da se stessi per accogliere l’altro, per perdonare e sentirsi perdonati”. Un momento importante, dunque, il Sinodo, nella vita della comunità ecclesiale, per cui Casa Famiglia Rosetta, che della comunità cristiana è espres-sione, ha desiderato accompagnare idealmente il percorso di riflessione e proposta del Sinodo con una azione di prossimità alle famiglie. Da lunedì 12 ottobre, i circa quaranta giovani che all’interno dell’Associazione svolgono attività di tirocinio nell’ambito di “Garanzia Giovani”, si sono recati negli Istituti scolastici di ogni ordine e grado e nelle parrocchie dell’intera provincia nissena per distribuire

materiale informativo sui servizi che Casa Rosetta offre alle famiglie: il Centro di Consulenza, il labo-ratorio di neurofisiopatologia e il Laboratorio di Genetica, i Centri di riabilitazione e i servizi per le dipendenze patologiche. Tutta la grande e variega-ta “Famiglia” di Casa Rosetta, da sempre al servizio delle famiglie.

Iniziata lo scorso 4 ottobre, la XIV Assemblea Generale Ordinaria dei Vescovi, che si conclu-derà il 25 ottobre, rifletterà sul tema La voca-zione e la missione della famiglia nella Chiesa e nel mondo contemporaneo. Il Sinodo dei Vescovi è un'istituzione perma-nente creata dal Papa Paolo VI quale luogo per l'incontro dei Vescovi tra di loro, attorno e con il Sommo Pontefice; un luogo per lo scam-bio di informazioni ed esperienze e per la comune ricerca di soluzioni pastorali univer-salmente valide. Sinteticamente, quindi, il Sinodo dei Vescovi si può definire un’assemblea dei rappresentanti dell'episco-pato cattolico che ha il compito di aiutare il Papa nel governo della Chiesa universale. Riguardo il tema scelto per l’Assemblea che è in corso, esso deriva dal principio che, nella vita con-creta della Chiesa, la famiglia viene vista non solo come oggetto e destinataria dell’azione pastorale, ma anche come soggetto e protagonista di essa:

Accompagnando il Sinodo, al servizio della famiglia

Adozione a distanza: con poco si può fare molto