Emergenza > Emergenza Cardiologica 4 1999

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SIMPOSIO L’ARRESTO CARDIACO I primi due anelli della “Catena della Sopravvivenza”: il sistema 118 e il soccorso precoce Danilo Neglia. Unità di Terapia Intensiva Coronarica, Istituto di Fisiologia Clinica del CNR, Pisa Premessa Poiché nell’adulto la causa di gran lunga più frequente di arresto cardiaco è la fibrillazione ventricolare spesso se- condaria a danno ischemico acuto del miocardio, le misure di prevenzione e trattamento dell’arresto si applicheranno prevalentemente ad una popolazione di pazienti con mani- festazioni acute di malattia coronarica. Negli ultimi 30 anni grande attenzione è stata rivolta al trattamento dei pazienti con la manifestazione più grave di malattia coronarica, ovvero l’infarto miocardico acuto. La mortalità intraospedaliera per infarto miocardico acuto si è progressivamente ridotta, essendo oggi definita intorno al 6.5-7.5% rispetto al 30-35% di 30 anni fa, grazie alla diffu- sione delle Unità di Terapia Intensiva Coronarica (UTIC) ed allo sviluppo di diverse strategie di rivascolarizzazione pre- coce. Nonostante tali progressi, più in generale la malattia coronarica continua a rappresentare alle soglie del III mil- lennio la principale causa di morte nei paesi più industrializ- zati. In Italia si stima che le morti per cause cardiovascolari rendano conto del 46% della mortalità totale e di queste la metà (quindi il 23% della mortalità globale) sono dovute ad infarto miocardico acuto o morte improvvisa cardiaca 1 . Ma il dato più allarmante è che ancora oggi il 60% dei decessi per infarto miocardico acuto avviene prima del ricovero in ospe- dale ed in particolare entro la prima ora 2, 3 essendo preva- lentemente imputabili ad arresto cardiaco secondario a fi- brillazione ventricolare. In realtà la popolazione che deve es- sere considerata ad alto rischio per arresto cardiaco preco- ce non include soltanto i soggetti con segni e sintomi d’in- farto miocardico acuto ma più in generale tutti i pazienti con “dolore toracico acuto di tipo ischemico” che com- prende anche i soggetti con angina instabile. Si può stima- re che, includendo la mortalità preospedaliera, il primo at- tacco di dolore toracico ischemico prolungato abbia un tas- so di mortalità del 34% 4 . È stato quindi introdotto il termi- ne di “sindromi coronariche acute” per definire questa par- ticolare popolazione che richiede un approccio urgente da parte del sistema di emergenza 5 . Da questi dati risulta chiaro che i notevoli progressi ot- tenuti nel trattamento dei pazienti che giungono in UTIC con diagnosi di infarto miocardico non sono sufficienti a ri- durre sostanzialmente la mortalità globale per sindromi co- ronariche acute in quanto questa rimane prevalentemente dovuta ad arresto cardiaco preospedaliero. Un importante compito cui i cardiologi saranno chiamati all’inizio del pros- simo millennio, oltre a quello fondamentale della preven- zione primaria e secondaria della malattia coronarica, sarà quindi quello di mettere in atto delle strategie efficaci per ridurre la mortalità precoce per arresto cardiaco. Tali stra- tegie dovranno essere rivolte in due direzioni prevalenti: 1. ridurre il rischio di morte extraospedaliera favorendo la diffusione delle informazioni necessarie per il riconosci- mento precoce dei sintomi di attacco cardiaco, per l’acces- so precoce al sistema di emergenza e favorendo la diffu- sione delle tecniche di rianimazione cardiopolmonare (RCP) e defibrillazione precoce (DP); 2. ridurre il rischio globale di morte agendo sui mecca- nismi del “ritardo evitabile6 , tra l’insorgenza dei sintomi e l’accesso all’ospedalizzazione ed al trattamento di rivascola- rizzazione precoce, mediante interventi a livello del pazien- te, del sistema di emergenza territoriale e del dipartimento di emergenza ospedaliero. Il primo anello della “Catena della Sopravvivenza”: l’accesso precoce Il concetto della “Catena della Sopravvivenza”, per la prima volta avanzato dall’Emergency Cardiac Care Commit- tee dell’American Heart Association (AHA) 7 e recepito dal- le Linee Guida per la rianimazione cardiopolmonare del- l’AHA 8 , costituisce oggi l’approccio cardine alle situazioni di arresto cardiaco e, per i motivi prima elencati, può essere altrettanto utilmente applicato ai pazienti con segni e/o sin- tomi di sindromi coronariche acute che costituiscono una popolazione a rischio di arresto cardiaco precoce. Le componenti della “catena della sopravvivenza” sono: 1. l’accesso precoce al sistema dei servizi di emergen- za medica; 2. la rianimazione cardiopolmonare precoce (CPR) ese- guita sia dai testimoni dell’evento che dai primi soccorro- tori; 3. la defibrillazione precoce (DP) eseguita dai primi soc- corritori; 4. il supporto cardiaco avanzato (ACLS) eseguito dalle squadre avanzate di soccorso. L’accesso precoce rappresenta il primo anello della “ca- tena della sopravvivenza” per l’arresto cardiaco. Esso rac- chiude diverse azioni principali che devono susseguirsi rapi- damente 8 : a) il riconoscimento dei segni e dei sintomi di un attacco cardiaco da parte del paziente o dei testimoni; b) l’allertamento del sistema di emergenza (mediante il 118); c) il riconoscimento di una emergenza cardiaca da parte dell’”emergency medical dispatcher(EMD); d) l’attivazione da parte dell’EMD del soccorso appropriato ed eventual- G Ital Cardiol, Vol 29, Suppl 4, 1999 L’ARRESTO CARDIACO 31

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SIMPOSIO

L’ARRESTO CARDIACO

I primi due anelli della “Catena dellaSopravvivenza”: il sistema 118 e il soccorsoprecoce

Danilo Neglia. Unità di Terapia Intensiva Coronarica, Istituto diFisiologia Clinica del CNR, Pisa

Premessa

Poiché nell’adulto la causa di gran lunga più frequentedi arresto cardiaco è la fibrillazione ventricolare spesso se-condaria a danno ischemico acuto del miocardio, le misuredi prevenzione e trattamento dell’arresto si applicherannoprevalentemente ad una popolazione di pazienti con mani-festazioni acute di malattia coronarica.

Negli ultimi 30 anni grande attenzione è stata rivolta altrattamento dei pazienti con la manifestazione più grave dimalattia coronarica, ovvero l’infarto miocardico acuto. Lamortalità intraospedaliera per infarto miocardico acuto si èprogressivamente ridotta, essendo oggi definita intorno al6.5-7.5% rispetto al 30-35% di 30 anni fa, grazie alla diffu-sione delle Unità di Terapia Intensiva Coronarica (UTIC) edallo sviluppo di diverse strategie di rivascolarizzazione pre-coce. Nonostante tali progressi, più in generale la malattiacoronarica continua a rappresentare alle soglie del III mil-lennio la principale causa di morte nei paesi più industrializ-zati. In Italia si stima che le morti per cause cardiovascolarirendano conto del 46% della mortalità totale e di queste lametà (quindi il 23% della mortalità globale) sono dovute adinfarto miocardico acuto o morte improvvisa cardiaca 1. Ma ildato più allarmante è che ancora oggi il 60% dei decessi perinfarto miocardico acuto avviene prima del ricovero in ospe-dale ed in particolare entro la prima ora 2, 3 essendo preva-lentemente imputabili ad arresto cardiaco secondario a fi-brillazione ventricolare. In realtà la popolazione che deve es-sere considerata ad alto rischio per arresto cardiaco preco-ce non include soltanto i soggetti con segni e sintomi d’in-farto miocardico acuto ma più in generale tutti i pazienticon “dolore toracico acuto di tipo ischemico” che com-prende anche i soggetti con angina instabile. Si può stima-re che, includendo la mortalità preospedaliera, il primo at-tacco di dolore toracico ischemico prolungato abbia un tas-so di mortalità del 34% 4. È stato quindi introdotto il termi-ne di “sindromi coronariche acute” per definire questa par-ticolare popolazione che richiede un approccio urgente daparte del sistema di emergenza 5.

Da questi dati risulta chiaro che i notevoli progressi ot-tenuti nel trattamento dei pazienti che giungono in UTICcon diagnosi di infarto miocardico non sono sufficienti a ri-

durre sostanzialmente la mortalità globale per sindromi co-ronariche acute in quanto questa rimane prevalentementedovuta ad arresto cardiaco preospedaliero. Un importantecompito cui i cardiologi saranno chiamati all’inizio del pros-simo millennio, oltre a quello fondamentale della preven-zione primaria e secondaria della malattia coronarica, saràquindi quello di mettere in atto delle strategie efficaci perridurre la mortalità precoce per arresto cardiaco. Tali stra-tegie dovranno essere rivolte in due direzioni prevalenti:

1. ridurre il rischio di morte extraospedaliera favorendola diffusione delle informazioni necessarie per il riconosci-mento precoce dei sintomi di attacco cardiaco, per l’acces-so precoce al sistema di emergenza e favorendo la diffu-sione delle tecniche di rianimazione cardiopolmonare (RCP)e defibrillazione precoce (DP);

2. ridurre il rischio globale di morte agendo sui mecca-nismi del “ritardo evitabile” 6, tra l’insorgenza dei sintomi el’accesso all’ospedalizzazione ed al trattamento di rivascola-rizzazione precoce, mediante interventi a livello del pazien-te, del sistema di emergenza territoriale e del dipartimentodi emergenza ospedaliero.

Il primo anello della “Catena della Sopravvivenza”:l’accesso precoce

Il concetto della “Catena della Sopravvivenza”, per laprima volta avanzato dall’Emergency Cardiac Care Commit-tee dell’American Heart Association (AHA) 7 e recepito dal-le Linee Guida per la rianimazione cardiopolmonare del-l’AHA 8, costituisce oggi l’approccio cardine alle situazioni diarresto cardiaco e, per i motivi prima elencati, può esserealtrettanto utilmente applicato ai pazienti con segni e/o sin-tomi di sindromi coronariche acute che costituiscono unapopolazione a rischio di arresto cardiaco precoce.

Le componenti della “catena della sopravvivenza” sono:1. l’accesso precoce al sistema dei servizi di emergen-

za medica;2. la rianimazione cardiopolmonare precoce (CPR) ese-

guita sia dai testimoni dell’evento che dai primi soccorro-tori;

3. la defibrillazione precoce (DP) eseguita dai primi soc-corritori;

4. il supporto cardiaco avanzato (ACLS) eseguito dallesquadre avanzate di soccorso.

L’accesso precoce rappresenta il primo anello della “ca-tena della sopravvivenza” per l’arresto cardiaco. Esso rac-chiude diverse azioni principali che devono susseguirsi rapi-damente 8: a) il riconoscimento dei segni e dei sintomi di unattacco cardiaco da parte del paziente o dei testimoni; b)l’allertamento del sistema di emergenza (mediante il 118);c) il riconoscimento di una emergenza cardiaca da partedell’”emergency medical dispatcher” (EMD); d) l’attivazioneda parte dell’EMD del soccorso appropriato ed eventual-

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mente la notifica al centro ospedaliero di riferimento. L’im-plementazione di queste procedure in Italia richiede un’ul-teriore evoluzione del nostro sistema sanitario medianteazioni su più versanti: dalla diffusione nella popolazione del-la cultura sanitaria generale sull’emergenza e specifica sullamalattia coronarica, al completamento dell’organizzazionedei sistemi di emergenza territoriale intorno alle centrali 118,al raccordo tra l’emergenza territoriale ed i dipartimenti diemergenza ospedalieri. Questo processo evolutivo è statoavviato ma non è ancora realizzato in modo omogeneo sulterritorio nazionale.

Per quanto riguarda in particolare l’approccio al pa-ziente con sospetta sindrome coronarica acuta la finalitàprincipale è quella del riconoscimento precoce dei sintomie della riduzione del ritardo evitabile per l’ospedalizzazio-ne e la terapia di rivascolarizzazione. A tale fine la com-ponente essenziale del primo anello della catena della so-pravvivenza è l’EMD. Negli ultimi anni i cittadini sono sta-ti abituati all’uso del numero telefonico di emergenza (118nelle zone dove questo è attivo) per richieste di aiuto re-lative a condizioni molto diverse che vanno da problemiminori a situazioni di pericolo di vita. È diventato quindisempre più necessario processare le chiamate al sistemamedico di emergenza in modo da riconoscere prontamen-te tra tutte quelle condizioni a più alto rischio e poter at-tivare rapidamente il soccorso più appropriato. Di qui lanecessità dell’EMD, un operatore pubblico con una prepa-razione specifica per la gestione efficiente delle chiamateal 118 e di altre comunicazioni di emergenza medica. Lemolteplici funzioni che svolge un tale operatore possonocertamente aumentare l’efficienza e l’efficacia dell’approc-cio preospedaliero al paziente con sospetta sindrome co-ronarica acuta 9. L’EMD può interrogare il paziente cercan-do di far emergere quei sintomi che aiutino a capire se èin corso un attacco cardiaco ed in questo caso attivare unarisposta appropriata da parte del sistema di emergenza.Inoltre l’EMD può fornire al paziente o ai suoi familiari istru-zioni su come fronteggiare la situazione nell’attesa dell’ar-rivo del soccorso e guidarli anche in una rianimazione car-diopolmonare se necessario. Un “dispatching” efficace halo scopo di inviare le giuste risorse del sistema di emer-genza alla persona giusta, al tempo giusto, nel modo giu-sto e di fornire le giuste istruzioni per la gestione del pa-ziente nell’attesa dei soccorsi. Lo svolgimento di questicompiti richiede lo sviluppo di procedure specifiche checomprendono questionari dedicati, istruzioni sistematizza-te, protocolli che determinino il tipo di risposta (veicolo,personale, sirena, etc.) appropriata alla severità della con-dizione, raccordo con le strutture ospedaliere di riferimen-to. È indubbio che l’implementazione di un simile pro-gramma di “emergency medical dispatching” possa avereun impatto favorevole sulla riduzione sia della mortalitàpreospedaliera che di quella globale dovuta a sindromi co-ronariche acute.

Il secondo anello della “Catena della Sopravvivenza”: ilsoccorso precoce

Il soccorso precoce mediante la rianimazione cardio-polmonare (RCP) rappresenta il secondo anello della “Ca-tena della Sopravvivenza” per l’arresto cardiaco e costitui-sce ovviamente un presidio essenziale per ogni strategia vol-ta a ridurre la mortalità preospedaliera nei pazienti con sin-dromi coronariche acute.

Studi sui risultati della rianimazione preospedaliera inpazienti con arresto cardiaco dovuto a fibrillazione ventri-colare hanno dimostrato che l’applicazione del concetto del-la “catena della sopravvivenza” è in grado di ridurre la mor-talità 10. In particolare in tre recenti studi condotti in Belgio,Norvegia e nella città di New York è stato indagato il ruo-lo della RCP precoce eseguita da parte dei testimoni di unarresto cardiaco sulla sopravvivenza finale alla dimissionedall’ospedale. In Belgio, Van Hoeyweghen et al hanno stu-diato 3306 arresti cardiaci preospedalieri dimostrando unasopravvivenza del 16% nei pazienti che erano stati sottopo-sti ad una RCP precoce corretta prima dell’arrivo del soc-corso avanzato, rispetto al 4% nei pazienti in cui la RCP pre-coce non era stata praticata correttamente ed al 7% nei pa-zienti non sottoposti ad RCP precoce 11. In Norvegia, Wik etal hanno studiato 334 arresti preospedalieri dimostrando unasopravvivenza del 23% in caso di RCP corretta rispetto all’1%ed al 6% in caso di RCP scorretta o non praticata 12. Infinenella città di New York, Gallagher et al hanno similmente di-mostrato una sopravvivenza significativamente maggiorenelle vittime di arresto cardiaco sottoposte ad una correttaRCP rispetto a quelle sottoposte ad RCP scorretta 13. In tut-ti questi studi, quindi, è stato posto l’accento sull’utilità del-la RCP precoce da parte dei testimoni di un arresto cardia-co ma soltanto se eseguita in modo corretto. In realtà sol-tanto il 42-47% delle RCP veniva giudicato corretto al mo-mento dell’arrivo dei soccorritori avanzati in quanto venivaconstatata la generazione di un polso palpabile con le com-pressioni toraciche ed una espansione intermittente del to-race con i tentativi di insufflazione.

Conclusioni

I risultati prima descritti dimostrano che gli sforzi diret-ti a ridurre la mortalità per arresto cardiaco preospedalierodevono essere prima di tutto rivolti a rinforzare i primi dueanelli della “Catena della Sopravvivenza” senza i quali an-che il sistema di emergenza più avanzato non può ottenerei risultati auspicabili. La prima azione necessaria è la diffu-sione capillare dei programmi di formazione di Basic LifeSupport (BLS) il cui scopo è quello di insegnare al primo soc-corritore di un paziente in arresto cardiaco i comportamen-ti relativi ai primi due anelli della catena della sopravviven-za: identificare l’arresto, attivare il sistema di emergenza,

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eseguire l’RCP. Tali programmi di formazione non devonoessere rivolti soltanto al personale coinvolto a vario titolonel sistema di emergenza ma più in generale all’intera co-munità con particolare attenzione alla popolazione a più al-to rischio. Ad esempio molti degli arresti cardiaci avvengo-no a casa di pazienti che hanno più di 60 anni per cui la per-sona che più probabilmente dovrà fronteggiare l’emergenzaè il coniuge anziano che più difficilmente sarà stato espostoa programmi di formazione. Ovviamente la diffusione capil-lare dell’insegnamento dell’RCP richiede anche lo sviluppodi programmi che abbiano la massima efficacia con il mini-mo costo e che possano essere differenziati a seconda del-la popolazione da educare 14. Mentre ad esempio un corsocompleto di 7-12 ore secondo le linee guida dell’AHA è con-siderato il più idoneo per operatori sanitari, corsi abbreviatidi 2-4 ore in cui sia privilegiata la parte pratica sulla teoriasono considerati più adatti all’insegnamento nelle comunità.Sono stati inoltre proposti metodi innovativi per l’insegna-mento dell’RCP che includono l’autoapprendimento median-te visione di film o mediante programmi computerizzati chepotrebbero essere adatti per la diffusione domiciliare.

In Italia molto è stato fatto ma molto ancora rimane dafare. Molti programmi educativi si sono sviluppati ad operadi associazioni private che hanno avuto il pregio di inco-minciare a diffondere la cultura dell’emergenza nel nostropaese. Tuttavia si avverte l’esigenza che le grandi associa-zioni mediche nazionali si facciano direttamente carico delproblema mettendo in atto propri programmi formativi na-zionali rigorosamente controllati ed in accordo con gli stan-dard internazionali.

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Il terzo ed il quarto anello della catena: ladefibrillazione e il supporto avanzato

Alberto Roghi. Dipartimento Cardiologico “A. De Gasperis”, AziendaOspedaliera Niguarda-Ca’ Granda, Milano

La rianimazione cardiopolmonare rappresenta un conti-nuum di interventi che iniziano con il riconoscimento del-l’arresto, l’attivazione del sistema di soccorso sanitario, lemanovre di supporto delle funzioni vitali con tecniche sem-plici (Basic Life Support, BLS), la defibrillazione precoce edinfine proseguono con le manovre di supporto delle funzio-ni vitali con tecniche complesse (Advance Cardiac Life Sup-port, ACLS) 1-2. La catena della sopravivivenza 3 esprime conuna metafora efficace questo continuum di interventi nel-l’ambito dei quali l’ACLS occupa l’anello finale.

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Gli obiettivi dell’ACLS sono essenzialmente due:a) integrare la rianimazione cardiopolmonare di base nei

pazienti in arresto cardiaco mediante l’impiego di supporti(farmacologici e non) di tipo avanzato;

b) riconoscere e trattare correttamente le situazioni diperiarresto, cioè quelle caratteristiche delle fasi immediata-mente successive alla ripresa di circolo o quelle che posso-no precedere l’arresto cardiorespiratorio.

Nel paziente in condizioni di arresto cardiorespirato-rio resistente alle prime manovre di soccorso (BLS e defi-brillazione precoce) l’impiego di supporti terapeutici avan-zati significa:

a) il controllo delle vie aeree mediante l’intubazione oro-tracheale e l’ossigenoterapia;

b) il miglioramento delle condizioni di circolo durante ilmassaggio cardiaco esterno mediante la terapia farmacolo-gica (adrenalina), il ripristino di attività contrattile efficacecon appropriata terapia elettrica (defibrillazione, cardiover-sione, pacing);

c) la diagnostica differenziale indirizzata alla ricerca dicause potenzialmente reversibili ed i relativi interventi tera-peutici mirati (pneumotorace, tamponamento cardiaco, ipos-sia, ipovolemia, ipotermia, intossicazione farmacologica, di-sturbi metabolici).

Nei pazienti in condizioni di periarresto, che presen-tano una attività cardiorespiratoria rilevabile ma hanno ap-pena sofferto di un arresto cardiorespiratorio o sono in con-dizioni di shock, il ruolo dell’ACLS è quello di individuarerapidamente le cause potenzialmente trattabili per preveni-re un nuovo episodio di arresto o per evitare un ulterioredeterioramento delle condizioni cliniche.

La funzione dell’ACLS è quella di semplificare il tratta-mento di situazioni cliniche complesse come lo shock me-diante l’impiego di algoritmi diagnostico-terapeutici checonsentono un rapido orientamento clinico. La scomposi-zione delle cause potenziali dello shock in problemi di rit-mo, pompa e volume consente di acquisire uno strumentodiagnostico-terapeutico, la triade cardiovascolare, di grandeaiuto 1.

L’inquadramento delle problematiche aritmologiche nelcapitolo dello shock ne semplifica l’approccio diagnostico eterapeutico: il problema aritmico diviene rilevante solo secondiziona quello clinico. Le strategie terapeutiche sono mi-rate alla rapida correzione della aritmia con interventi sem-plici e sicuri che, per tale motivo, privilegiano l’impiego del-la terapia elettrica.

Algoritmi di valutazione: ABCD primario, ABCD secondario

ABCD primario

La rianimazione cardiopolmonare consiste in un conti-nuum di sequenze di valutazione/azione che inizia con l’ABCD

primario. L’ABCD primario prevede la valutazione dello statodi coscienza e l’apertura delle vie aeree (A), la ventilazionecon ausili semplici (B), la valutazione della presenza di circo-lo ed il massaggio cardiaco esterno (C), la defibrillazione pre-coce di FV/TV (D). È evidente che il punto D deve prevede-re la disponibilità di un defibrillatore automatico e di perso-nale addestrato al suo utilizzo. L’ABCD primario deve essereeseguito anche in pazienti in situazioni di periarresto per va-lutare le funzioni vitali e mantenere una costante vigilanza sul-l’eventuale deterioramento del quadro clinico.

ABCD secondario

L’ABCD secondario ripete l’acronimo sequenziale delprimario ma prevede una sequenza di valutazioni/azioni piùaggressiva: intubazione oro-tracheale (A), verifica dell’ade-guatezza della ventilazione (B), accesso venoso, terapia far-macologica, massaggio cardiaco esterno (C), identificazio-ne diagnostica differenziale delle possibili cause reversibilidi arresto (D).

Algoritmo ACLS dell’arresto nell’adulto

L’algoritmo (Fig. 1) 4 prevede la valutazione dello statodi coscienza, l’allertamento del sistema di emergenza sani-taria, l’apertura delle vie aeree, la valutazione dell’attività re-spiratoria (GAS: Guardo, Ascolto, Sento) per 10 secondi, l’e-rogazione di 2 ventilazioni, la valutazione dell’attività circo-latoria (polso carotideo per 5-10 secondi), l’inizio della ria-nimazione cardiopolmonare (massaggio cardiaco esterno eventilazione), il pugno precordiale se appropriato (arresto inpresenza di testimoni in assenza di defibrillatore), la valuta-zione del ritmo con il monitor-defibrillatore. In caso di FV/TVsenza polso si prevede l’erogazione di tre shock consecuti-vi 200-200-360 Joule. Tra una defibrillazione e l’altra è ne-cessario rivalutare il ritmo al monitor. In caso di comparsadi ritmo organizzato si rivaluta il polso carotideo. Se al mo-nitor persiste ritmo defibrillabile la sequenza delle tre defi-brillazioni è continua. Al termine della sequenza si rivalutail polso carotideo e si inizia la RCP che deve proseguire per1 minuto ed è seguita da una nuova sequenza di tre defi-brillazioni a 360 Joule. Durante le manovre di RCP si devegarantire al più presto l’intubazione oro-tracheale, l’ossige-noterapia, l’accesso venoso e l’infusione di adrenalina 1 mgev (con bolo di soluzione fisiologica 20-30 ml e sollevamentodell’arto se l’accesso venoso è periferico) ogni 3 minuti. Seil paziente è in arresto ed il ritmo iniziale non è defibrilla-bile (asistolia, attività elettrica senza polso), è necessario ini-ziare la rianimazione cardiopolmonare, garantire l’accessovenoso e l’infusione di adrenalina 1 mg ogni 3 minuti eprendere in considerazione eventuali interventi terapeuticimirati (atropina, pacing, bicarbonati, pericardiocentesi, dre-

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naggio pleurico). Tali interventi devono essere guidati dallaricerca delle cause potenzialmente reversibili.

La defibrillazione

L’importanza della defibrillazione precoce nell’ambitodella rianimazione cardiopolmonare è nota sin dai primi stu-di sperimentali condotti sull’animale negli anni ‘30. È sol-tanto con l’avvento di defibrillatori a corrente continua allafine degli anni ’60, relativamente leggeri e trasportabili, cheinizia l’era moderna della rianimazione cardiopolmonare 5.Nessun intervento terapeutico successivo si è rivelato piùimportante. Infatti, tra i numerosi interventi terapeutici pro-posti nel corso degli ultimi trent’anni, sono pochi quelli dicui si è dimostrata con certezza l’efficacia, anche per le dif-ficili condizioni sperimentali del contesto clinico, non certofavorevole ai consueti disegni sperimentali 5, 6.

L’introduzione di defibrillatori semiautomatici all’iniziodegli anni ‘80, cioè di strumenti in grado di valutare con al-goritmo automatico la presenza di un ritmo defibrillabile edi erogare l’energia con comando manuale, ha consentitol’impiego estensivo della defibrillazione precoce anche daparte di personale laico 7. L’impiego di tali strumenti ha con-

solidato la catena della sopravvivenza in alcuni contesti avan-zati (Seattle, King County), consentendo il raggiungimentodi risultati straordinari (40% di sopravvivenza dell’arresto car-diaco extraospedaliero) che testimoniano l’elevato grado diefficienza di sistemi di emergenza perfezionati nel corso deidecenni nell’ambito di popolazioni educate alla rianimazio-ne cardiopolmonare e fortemente solidali 5-8. Sulla base diqueste esperienze l’American Heart Association ha indivi-duato già nel 1986 la necessità di estendere l’impiego deidefibrillatori automatici al maggior numero di operatori sa-nitari e, più recentemente, anche ai laici 7. Lo sviluppo di li-nee guida comuni nell’ambito della rianimazione cardiopol-monare (ILCOR) ha individuato nella diffusione capillare deidefibrillatori automatici (AED) uno degli obbiettivi più im-portanti da perseguire nei prossimi anni 9. In accordo a taliobbiettivi, anche l’European Resuscitation Council ha svi-luppato nel 1998 linee guida per l’impiego di AED da par-te di personale sanitario e laico 2.

L’efficacia dello shock è influenzata dal tipo di formad’onda utilizzata dal defibrillatore. A parità di efficacia, l’im-piego di forme d’onda che utilizzano minori energie con-sente di sviluppare defibrillatori più leggeri e meno costo-si. Inoltre, l’impiego di energie più basse riduce il dannomiocardico. Tali motivi hanno indotto l’industria a sviluppa-re nuovi modelli caratterizzati da vari tipi di forme d’onda.L’impulso monofasico dei defibrillatori tradizionali può va-riare nella velocità di recupero che può essere graduale (on-da monofasica sinusoidale smorzata) oppure istantanea (on-da monofasica sinusoidale troncata). L’impulso bifasico è ca-ratterizzato invece da un flusso di corrente che ha direzio-ne iniziale positiva e successiva inversione negativa. Anchel’impulso bifasico può essere sinusoidale smorzato o sinu-soidale troncato. Il riscontro della maggiore efficacia del-l’impulso bifasico nella defibrillazione è noto dalle osserva-zioni di Gurvich (Accademia delle Scienze URSS) del 1940 6.Da qualche decennio l’ex URSS impiega defibrillatori bifasi-ci che utilizzano energie di 190 Joule. Purtoppo non esi-stono pubblicazioni in lingua inglese di studi clinici consi-stenti circa questa esperienza. Nel 1996 la FDA ha appro-vato la commercializzazione di un AED bifasico che modulal’intensità e la durata del flusso di corrente in accordo al-l’impedenza transtoracica, misurata due volte nel corso diciascuno shock. Queste caratteristiche (onda bifasica, mo-dulazione dell’energia erogata in funzione dell’impedenza in-dividuale) consentirebbero una defibrillazione efficace conl’impiego di energie più basse di quelle impiegate con i mo-nofasici, ma gli studi clinici finora disponibili non sono an-cora sufficientemente consistenti 10, 11.

Nel prossimo futuro è prevedibile lo sviluppo di defi-brillatori bifasici di piccole dimensioni, leggeri e poco co-stosi, ideali per una capillare diffusione “estintore-simile”.

Per quanto riguarda il rapporto costo-efficacia, il valo-re incrementale dell’AED nell’ambito di un sistema di ur-genza emergenza a risposta singola è di 9000 $ per vita sal-

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Fig. 1: Algoritmo ALS ILCOR.

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vata (dati del 1995) in caso di arresto testimoniato con RCP,mentre è di 15 000 $ per arresto non testimoniato. In casodi tempi di intervento prolungati, il rapporto costo-efficaciaè meno attraente (perché l’efficacia, in termini di vite salva-te, è estremamente bassa) 7.

L’efficacia della catena della sopravvivenza, misurata invite salvate o anni di vita salvati con criteri di correzione chetengano conto della qualità di vita, è certamente consoli-data dall’impiego dell’AED e dal supporto vitale avanzato.Il rapporto costo-efficacia è favorevole nei sistemi di emer-genza più avanzati.

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È possibile individuare i pazienti a rischio dimorte cardiaca improvvisa?

Michele Brignole. Centro Aritmologico, Dipartimento di Cardiologia,Lavagna

Concetti generali

Costo-beneficio

La domanda se è possibile individuare i pazienti a ri-schio di morte cardiaca improvvisa è una domanda generi-ca che mi suggerisce una risposta ovvia. Infatti, tutti gli es-seri umani sono a rischio di morire di morte improvvisa, icardiopatici semplicemente lo sono di più. Innumerevoli so-no i fattori di rischio conosciuti che permettono di definiresecondo le leggi della matematica probabilistica la proba-bilità di morire di morte improvvisa per i soggetti che nesono affetti (Tab. I). I numerosi studi epidemiologici e pro-gnostici eseguiti negli ultimi decenni ci permettono oggi dieseguire una stratificazione prognostica abbastanza accura-ta per numerosi sottogruppi di pazienti. Ma è veramente im-portante conoscere la probabilità statistica di una determi-nata popolazione senza sapere se l’evento avverrà nel no-stro singolo paziente? E poi cosa fare? Pertanto, da un pun-to di vista pratico, un’altra domanda è più corretta; essa è:È possibile individuare quei pazienti a rischio di morte im-provisa in cui esiste una terapia in grado di ridurre tale ri-schio con un rapporto costo/beneficio accettabile? O, in al-tre parole, come individuare i pazienti da sottoporre a te-rapia in grado di ridurre il rischio di morte improvvisa? Ta-le domanda implica il concetto che non è sufficiente indivi-duare i pazienti ad elevato rischio ma che occorre anche di-mostrare che, per una data popolazione a rischio individua-ta, esiste una terapia in grado di ridurre la mortalità con uncosto accettabile in termini di effetti collaterali e costi perla società. Ne consegue che l’utilità o meno di eseguire unadeterminata stratificazione prognostica varierà nel temponella misura in cui si renderanno disponibili nuove terapiedi comprovata efficacia e sicurezza ad un costo consideratoaccettabile in base alla ricchezza di ogni nazione. Il proble-ma pertanto trascende il campo squisitamente tecnico delcardiologo ed assume aspetti decisionali di competenza so-ciale e politica. In sintesi tre sono le parole chiave che sin-tetizzano il problema della riduzione della morte improvvi-sa: stratificazione di rischio, disponibilità di terapia efficace,disponibilità di risorse economiche ed organizzative. Questitre punti sono imprescindibili l’uno dagli altri (Fig. 1).

Ad esempio, non vi è dubbio che il defibrillatore auto-matico impiantabile (ICD) riduce la mortalità totale ed im-provvisa nei pazienti ad alto rischio di morte improvvisa elo fa in modo più efficace di ogni altra terapia. Tutti i dati

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in letteratura infatti riportano una incidenza di morte im-provvisa di circa l’1-2% per anno dopo l’impianto di ICD pa-ragonata ad una incidenza del 15-25% in pazienti analoghisenza ICD 1-6. Pertanto è logico aspettarsi anche una ridu-zione della mortalità totale, la cui entità sarà trascurabile op-pure elevata in base alla aspettativa di vita del paziente permorte non aritmica. La domanda corretta da farsi non è sel’ICD sia in grado di ridurre la mortalità, perché in tal casoesso andrebbe impiantato a tutti i pazienti cardiopatici, mapiuttosto “quali pazienti ne beneficiano di più?“ e “quantoè il costo/efficacia dell’ICD nel prevenire la morte improvvi-sa e prolungare la vita?“. Dopo impianto di ICD, la morta-lità totale rimane elevata nei pazienti con grave deficit di

pompa; essa fu ad esempio del 43% a tre anni in un grup-po di pazienti con frazione di eiezione < 30% 7. In effetti, èstata eseguita una stima teorica, basata sui dati della lette-ratura, secondo la quale l’ICD sarebbe in grado di ridurrela mortalità del 50% nei pazienti in classe NYHA II, del 30%nei pazienti in classe III, ma solo dell’8% nei pazienti in clas-se IV 8. Al contrario, quanto più è elevato il rischio di mor-te aritmica, tanto più l’ICD sarà in grado di prolungare lasopravvivenza del paziente. Come valutare il rischio aritmi-co? Due sono i criteri più efficaci per valutare un alto rischiodi morte aritmica improvvisa (elevato valore predittivo posi-tivo): la storia di un pregresso episodio di tachiaritmia ven-tricolare maligna e l’inducibilità di TV allo studio elettrofi-siologico nei pazienti ad alto rischio. Numerosi altri para-metri, quali battiti prematuri ventricolari, heart rate variabi-lity, signal averaging, ecc., non hanno un valore predittivosufficiente.

Lo stesso discorso vale anche per la terapia farmacolo-gica. Ad esempio, alla luce di numerosi recenti studi ran-domizzati controllati 9-12 è ormai definitivamente accertatoche la riduzione del colesterolo ottenuta con statine deter-mina una riduzione della morte totale ed improvvisa; taleterapia è efficace anche nei pazienti con valori iniziali nor-mali e l’entità del beneficio della terapia è tanto maggiorequanto più si riesce ad abbassare il valore di colesterolemia.Pertanto la domanda corretta da farsi non è se le statinesiano in grado di ridurre la mortalità, perché in tal caso es-sa andrebbe somministrata a tutti, ma piuttosto “quali pa-zienti ne beneficiano di più?“ e “quanto è il costo/efficaciadelle statine nel prevenire la morte improvvisa e prolunga-re la vita?“.

Number needed to treat

La risposta a queste domande implica la conoscenza delconcetto di Number needed to treat o NNT, cioè il nume-ro di pazienti che è necessario trattare per salvarne uno damorte improvvisa. Tale numero è facilmente calcolabile se siconosce il valore di riduzione di rischio assoluto di un de-terminato trattamento (NNT = 100 – riduzione % del rischioassoluto).

Una recente meta-analisi 13 degli studi randomizzati con-trollati sull’amiodarone eseguita su 5864 pazienti ha dimo-strato che tale farmaco era in grado di ridurre la mortalitàtotale da 19.2 a 16.5%. Ciò equivale ad una riduzione di ri-schio relativo del 14% ma ad una riduzione di rischio asso-luto di solo 2.7%. Il numero di pazienti da trattare per sal-vare una vita è pertanto di 97 (NNT = 100-2.7 = 97.3).

È logico che tanto più alto è il numero dei pazienti sen-za eventi da trattare tanto più aumenta sia l’incidenza dicomplicanze legate al trattamento, che possono talora an-nullarne o superarne il beneficio, sia il costo totale del trat-tamento (costo per vita salvata).

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L’ARRESTO CARDIACO 37TABELLA I – Alcuni fattori predittivi di rischio aumentato di mor-te improvvisa

Cardiogeni Aritmogeni

• Età avanzata • Pregresso arresto cardiaco• Sesso maschile • TV o FV di qualsiasi natura• Infarto acuto del miocardio • ≥ 10 BEV per ora (Holter 24 ore)• Malattia coronarica • TVNS (Holter 24 ore)• Disfunzione ventricolare sinistra • Presenza di potenziali tardivi

(SAECG)• Cardiomiopatie primitive • Bassi valori di heart rate

variability• Displasia aritmogena del VD • Inducibilità di TV durante SEF• Classe NYHA ≥ 2 • Sindrome del QT lungo • Frazione di eiezione ≤ 35% • Sindrome di Brugada• Sincope cardiogena • Blocco atrioventricolare

• Blocco di branca

Fig. 1: Il problema della riduzione della morte improvvisa.

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Ad esempio, la stenosi coronarica è un importante fat-tore di rischio di infarto del miocardio e di morte e non viè dubbio che la rivascolarizzazione coronarica ristabilendoun flusso sufficiente sia in grado di evitare l’infarto del mio-cardio e la morte improvvisa. Tuttavia, l’intervento di riva-scolarizzazione, sia esso il by-pass aorto-coronarico che l’an-gioplastica transluminare, è associato ad un rischio di cau-sare infarto e morte perioperatoria. Pertanto la rivascolariz-zazione può essere utile oppure dannosa in base al fattoche il beneficio atteso sia superiore od inferiore al rischiooperatorio. Tale rapporto è in genere vantaggioso per i pa-zienti con grave coronaropatia e disfunzione di pompa se-vere nei quali la mortalità con terapia farmacologica è mol-to elevata, mentre non ha utilità nella maggioranza dei pa-zienti affetti da forme meno severe in cui la mortalità conterapia farmacologica è bassa.

È definitivamente provato che la presenza di battiti ec-topici prematuri all’Holter è un fattore di rischio di morteimprovvisa nel paziente coronaropatico indipendentementedalla presenza degli altri fattori. Gli studi CAMIAT 14 edEMIAT 15 hanno domostrato che l’amiodarone è in grado diridurre in modo importante la morte improvvisa senza tut-tavia modificare la mortalità totale; è pertanto probabile chegli effetti avversi del trattamento ne abbiano vanificato il suobeneficio.

Fattori di rischio diretti ed indiretti

Un altro concetto generale importante per capire il si-gnificato dei fattori di rischio è quello di imparare a distin-guere fra fattori di rischio diretti ed indiretti. Infatti alcunifattori di rischio sono direttamente responsabili della morteimprovvisa e la loro eliminazione o trattamento riduce talerischio. Ad esempio, un paziente sopravvissuto ad un epi-sodio di TV sostenuta o di FV è molto probabile che mo-rirà di TV o FV e che il trattamento specifico di tali aritmiesarà in grado di prevenire la morte improvvisa. Purtroppo,la maggior parte dei fattori di rischio è indiretta in quantonon sono direttamente responsabili della morte ma solo as-sociati ad altre condizioni che sono la vera causa di morte.In genere tali fattori sono stati individuati in quanto utiliz-zati in studi clinici quali end-point surrogati al posto del-l’end-point reale, la mortalità, che è di più difficile valuta-zione. Alcuni esempi. La presenza di battiti prematuri ven-tricolari all’Holter è un fattore di rischio indipendente di mor-te improvvisa, tuttavia lo studio ESVEM 16 ha dimostrato chela loro soppressione non era in grado di ridurre le recidivedi TV sostenuta o la morte improvvisa; pertanto i battiti pre-maturi non sono direttamente responsabili dell’insorgenza diTV sostenuta e di morte ed è inutile il trattamento volto al-la loro soppressione. La sincope in un paziente con bloccodi branca è frequentemente dovuta ad un blocco AV pa-rossistico specialmente se lo studio elettrofisiologico evi-

denzia un ritardo di conduzione del sistema di His-Purkinjee la terapia con pacemaker abolisce la recidiva sincopale,tuttavia tali pazienti continuano ad evere un elevato rischiodi morte improvvisa dovuto a TV o FV 17. Pertanto sia i bat-titi prematuri che il blocco di branca sono da consideraremarker indiretti di morte improvvisa in quanto entrambi ri-velatori di una grave cardiopatia sottostante che è la veraresponsabile dell’evento avverso.

I concetti generali sopra esposti servono a interpretaremeglio i risultati dei trial clinici

Conclusioni

In base ai concetti generali sopraesposti e a quanto sipuò ricavare dai risultati degli studi clinici, oggi sono statiindividuati alcuni gruppi di pazienti a rischio aumentato dimorte improvvisa in cui il trattamento specifico è di com-provata utilità e raccomandato dalla comunità scientifica in-ternazionale. I più importanti sono i seguenti:

1. Pazienti nel post-infarto e/o con scompenso cardiacoche si giovano di terapia con betabloccante. Si sa da unavasta letteratura che i betabloccanti riducono la morte im-provvisa e la morte totale nel postinfarto. Studi clinici sul ti-mololo 18, sul propranololo 19 e sul metoprololo 20 hanno di-mostrato una riduzione della mortalità totale del 36, 26 e36% rispettivamente. La riduzione fu non solo della morta-lità totale ma anche di quella improvvisa. Il beneficio dei be-tabloccanti fu particolarmante evidente nello studio BHAT 21,eseguito su pazienti ad alto rischio affetti da insufficenza car-diaca, che evidenziò una riduzione della morte improvvisasia nei valori assoluti che relativi decisamente più grande (da4 a 10 volte) nei pazienti con una storia di insufficienza car-diaca rispetto a quelli senza insuffienza cardiaca. In una me-tanalisi di 23 trial sull’uso del betabloccante dopo infartoacuto del miocardio, per un totale di 23 000 pazienti, la ri-duzione di mortalità ad un anno fu in media del 23% (in-tervallo di confidenza al 95%: 16-30%) 22. In 3 studi recentiil carvedilolo 23, il bisoprololo 24 ed il metoprololo 25 hanno di-mostrato di essere in grado di ridurre la mortalità totale edimprovvisa nei pazienti con insufficienza cardiaca.

2. Pazienti a rischio aritmico elevato che si giovano diimpianto di defibrillatore automatico. Alla luce delle cono-scenze attuali vi è sufficiente consenso 2 nel ritenere indica-to l’ICD nei seguenti casi:

– come profilassi secondaria: arresto cardiaco da qua-lunque causa, anche in assenza di cardiopatia organica, do-vuto FV o TV:

FV o TV sincopale;TV che causa deterioramento emodinamico in pazienti

con FE < 40%;– come profilassi primaria: pazienti con pregresso infar-

to del miocardio, TV non sostenute all’Holter, disfunzioneventricolare severa con induzione di TV o FV allo studio elet-

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L’ARRESTO CARDIACO38

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trofisiologico (studi MADIT e MUSTT 6, 26, 27).È ancora controverso l’uso dell’ICD come profilassi pri-

maria nelle cardiomiopatie non ischemiche, nella sindromedi Brugada, nella displasia aritmogena del ventricolo destroe nella sindrome del QT lungo.

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Strumenti di intervento nei pazienti a rischio dimorte aritmica: terapia medica o ICD. Indicatorie risultati

Pietro Delise. U.O. di Cardiologia, Ospedale, Feltre

La morte improvvisa (MI) è causa di decesso ogni annonell’1-2 per mille della popolazione generale, il che signifi-ca almeno 300 000 persone negli USA e almeno 50 000 per-sone in Italia. La maggior parte (> 90%) di questi decessiavviene per tachicardia/fibrillazione ventricolare (TV/FV) e nelcontesto di una cardiopatia ischemica (almeno l’80%) 1.

La prevenzione della MI è prevalentemente un proble-ma di prevenzione primaria perché meno del 5% dei sog-getti che vanno incontro a MI aveva già avuto in precedenzaun episodio di TV/FV non fatale.

L’incidenza della MI aumenta con l’età ed è più eleva-ta nel cardiopatico specie con ridotta funzione di pompa delventricolo sinistro. La MI tuttavia colpisce in numero asso-luto prevalentemente soggetti non riconosciuti affetti da car-diopatia. Per tale motivo la sua prevenzione è un problemacomplesso che abbraccia strategie ad ampio spettro chevanno dalla lotta ai fattori di rischio delle cardiopatie, al-l’attivazione della catena della sopravvivenza, all’individua-zione e alla cura delle categorie dei cardiopatici maggior-mente esposti al rischio di MI. Quest’ultimo aspetto costi-tuisce l’argomento della presente relazione.

Le categorie a rischio di morte improvvisa

Come abbiamo detto più sopra, la categoria epide-miologicamente a maggior rischio di MI è costituita dai pa-zienti con cardiopatia ischemica e con pregresso infarto mio-cardico (IMA) in particolare 1. Altre categorie ad alto rischiosono rappresentate dai pazienti con scompenso cardiaco didiversa eziologia 2, da alcuni pazienti con cardiomiopatiaipertrofica o con cardiomiopatia dilatativa primitiva (CMD) eda alcune cardiopatie rare (s. del QT lungo congenito, s. diBrugada, malattia aritmogena del ventricolo destro ecc.).

Nella cardiopatia ischemica post-IMA nell’ultimo de-cennio, grazie alla terapia trombolitica e all’uso di farmacitra cui l’aspirina, gli ACE-inibitori e i betabloccanti, la MI e

la mortalità generale si sono fortemente ridotte da valori del2.8-7.1% all’1.9-3% all’anno rispettivamente 3. Numerosi la-vori tuttavia hanno dimostrato che tali percentuali cresconosignificativamente in particolari categorie di soggetti. Il fat-tore più importante in tal senso risulta essere la frazioned’eiezione ventricolare sinistra (FE) depressa: si calcola checon il decrescere della FE dal 40 al 30% la mortalità aumentiin modo esponenziale. Accanto ad essa sono stati individuatialtri marker di rischio tra cui i BPV frequenti (> 10/ora), laTVNS, la presenza di post-potenziali (PP) al signal averaging,una ridotta heart rate variability (SDNN < 70 ms) e una ri-dotta sensibilità barorecettiva. Grazie agli studi condotti sutali fattori sono individuabili varie categorie di soggetti concardiopatia ischemica a rischio particolarmente elevato 3. Tradi esse citiamo le seguenti:

a. pazienti con FE < 35-40% e almeno uno dei fattorisopra elencati (BPV > 10/ora ecc.). Rappresentano circa il15% di tutti gli IMA e hanno una mortalità a due anni >25%, metà della quale per MI;

b. pazienti con FE < 35%, TVNS all’Holter e inducibilitàdi TVS allo studio elettrofisiologico endocavitario (SEE) nonsopprimibile con i farmaci. Rappresentano circa l’1% di tut-ti gli IMA e hanno una mortalità del 30% a due anni, metàdella quale per MI;

c. pazienti con FE < 35% e PP avviati a rivascolarizza-zione chirurgica per malattia plurivasale. Hanno una morta-lità a 3 anni del 20-50%, il 25-50% della quale per MI.

Nello scompenso di diversa eziologia la mortalità è ele-vata ed è correlata con la classe funzionale. In classe II lamortalità ad un anno oscilla tra il 5 e 15%, in classe III tra20 e 50%, in classe IV supera il 50%. La quota relativa allaMI è massima nelle classi II e III in cui la MI è responsabiledal 20 al 50% della mortalità totale. In classe IV la MI rap-presenta una quota minore (5-30%) della mortalità totale afavore della morte per deficit di pompa. La presenza diTVNS è di per sé un fattore prognostico negativo, ma piùin rapporto alla mortalità totale che alla MI 2.

Nella cardiomiopatia ipertrofica i soggetti a rischio diMI sono quelli di età più giovane, con storia familiare di MIe con episodi sincopali.

Nei pazienti con episodi documentati di TVS/FV la mor-talità è molto elevata (20-50% a un anno) ed è correlata conla frequenza cardiaca della TV e ancora una volta con la FE.

Prevenzione primaria della MI con i farmaci 2-4

L’ipotesi formulata negli anni ‘70-80 che i farmaci antia-ritmici potessero prevenire la MI da TVS/FV è stata clamoro-samente smentita da una serie di lavori. Il CAST 4 ha dimo-strato che i farmaci della classe I sono controproducenti au-mentando paradossalmente la mortalità in tutte le categoriea rischio. Il sotalolo ha ugualmente dimostrato un aumentodella mortalità nel post-IMA (studio SWORD). Quanto all’a-

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miodarone, la maggioranza dei lavori ha dimostrato che a dif-ferenza dei precedenti farmaci esso non aumenta la morta-lità. Alcuni lavori eseguiti nel post-IMA in soggetti con FE de-pressa e aritmie ventricolari (EMIAT, CAMIAT) hanno dimo-strato un beneficio sulla MI ma non sulla mortalità totale. Nel-lo scompenso cardiaco alcuni lavori (CHF-STAT) non hannodimostrato alcun beneficio del suo impiego. Altri (studioGESICA) avrebbero invece dimostrato una riduzione della mor-talità totale e della MI. Non è chiaro se la particolare com-posizione della casistica dello studio GESICA (costituita per 2/3da CMD non post-IMA) possa avere influenzato i risultati.

Nel post-IMA gli unici farmaci antiaritmici dimostratisicertamente efficaci nella prevenzione della MI sono i beta-bloccanti che in una serie di trial si sono dimostrati capacidi ridurre sia la mortalità totale che la MI.

Nell’insufficienza cardiaca di diversa eziologia l’uso delmetoprololo non sembra avere un effetto favorevole nel ri-durre la MI (studi MCD e CIBIS). Al contrario tale effettosembrerebbe posseduto dal carvedilolo e dal bisoprololo(studi US CHFS e CIBIS II).

Gli ACE-inibitori sia nel post-IMA con FE depressa (stu-di SAVE, TRACE, SMILE, V-He-FTII) sia nell’insufficienza car-diaca di diversa eziologia (studi CONSENSUS, SOLVD RX,SOLVD PRE) hanno dimostrato la capacità di ridurre la mor-talità totale. Una riduzione della MI tuttavia non è stata di-mostrata nei pazienti con scompenso e una sua lieve ridu-zione è stata osservata solo in alcuni lavori nel post-IMA(studi TRACE, SMILE e V-HeFTII).

La digitale non riduce la MI ed esiste al contrario il so-spetto che possa aumentarla. Analoghi risultati hanno datoi calcioantagonisti.

Prevenzione primaria della MI con ICD (Tab. I) 3, 5

Numerosi trial in corso cercano di dare una risposta al-l’ipotesi che l’ICD possa ridurre la mortalità totale e la MInei soggetti a rischio, ipotesi che diventa una speranza da-ta la delusione proveniente dalla terapia farmacologica. A

questo riguardo tuttavia i dati attualmente in nostro pos-sesso sono ancora incompleti.

Nei soggetti con pregresso IMA, FE depressa (< 35%),TVNS all’Holter e induzione di TVS allo SEE non sopprimi-bile con i farmaci, lo studio MADIT ha dimostrato una su-periorità dell’ICD sulla terapia farmacologica convenzionale(incluso l’amiodarone). Infatti rispetto al gruppo di control-lo il braccio ICD ha avuto globalmente una mortalità totaleinferiore del 54% con una mortalità a un anno del 3% con-tro il 23% e a tre anni del 17% contro il 46%. Il lavoro pre-senta certamente alcune limitazioni (scarsa numerosità dellacasistica, sbilanciamento nella percentuale di casi trattati conbetabloccanti nel gruppo test rispetto al gruppo di control-lo ecc.) ma i risultati sono stati tali da far modificare le Li-nee Guida dell’American College of Cardiology e dell’Ame-rican Heart Association che attualmente consigliano l’im-pianto dell’ICD in questa categoria di pazienti in classe I (ac-cordo generale sul beneficio) e livello B (dati derivanti dacasistica limitata) 5.

L’utilità dello SEE per stratificare il rischio e indirizzare laterapia nella prevenzione primaria è stata ribadita dallo stu-dio MUST condotto in pazienti simili a quelli del MADIT (FE< 40%, TVNS all’Holter). In tali casi è stata valutata l’induci-bilità con lo SEE di una TVS, osservata nel 54% dei casi. Inquesta particolare popolazione i soggetti sono stati assegnatia random a un braccio di controllo o a un braccio trattatocon terapia guidata dallo SEE: farmaci (quando in grado disopprimere la TVS indotta) o ICD (nella TVS non sopprimibi-le con i farmaci). Nel follow-up a 5 anni la morte improvvisaè stata del 32% nei controlli, del 25% nel gruppo trattatocon farmaci individuati con lo SEE e dell’8% nel gruppo ICD.

Nei pazienti con FE < 35% e PP al signal averaging, sot-toposti ad intervento di rivascolarizzazione chirurgica l’ICD nonsi è dimostrato capace, rispetto al gruppo di controllo, di ri-durre né la mortalità totale né la MI (studio CABG- patch).

Nello scompenso cardiaco, in attesa dei risultati dellostudio SCD-HeFT, non esistono dati controllati.

Nel lavoro di Brugada 6, l’ICD si è dimostrato superiorealla terapia medica o al placebo nella sindrome di Brugadaasintomatica.

Prevenzione secondaria della MI con farmaci e ICD(Tab. II) 7

I primi lavori del 1980 avevano già dimostrato gli effettifavorevoli dell’ICD nella prevenzione secondaria della MI. Ta-li risultati furono tuttavia considerati con prudenza da variAutori che sollevarono il dubbio che l’ICD potesse solo mo-dificare il tipo di morte, da improvvvisa a non improvvisa, inpazienti troppo compromessi da potersi giovare di altre te-rapie diverse dal trapianto cardiaco. Dopo questa fase, va-ri trial controllati (Studi DUTCH, AVID, CASH, CIDS) hannoportano alla conclusione che nei pazienti rianimati da TVS/FV

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TABELLA I – Trial di prevenzione primaria della MI

Studio Patologia Caratteristiche Randomizzazione

MADIT IMA FE < 35% ICD vs terapia TVNS convenzionaleTVS indotta con SEEnon sopprimibile

CABG-patch C. ischemica FE < 35% ICD vs no ICDcon CABG PP+

MUSTT IMA FE < 40% Terapia antiaritmicaTVNS (farmaci, ICD) guidataPP dallo SEE (TVS

indotta) vs no terapia

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l’ICD è superiore alla terapia medica (compreso sotalolo eamiodarone) sia nella prevenzione secondaria della MI sianella riduzione della mortalità totale. Negli studi citati infattila mortalità totale a 2 anni nei pazienti trattati con amioda-rone (AVID, CASH E CIDS) o metoprololo (CASH) è risulta-ta del 20-25% e addirittura del 45% nei pazienti trattati conpropafenone (CASH). L’ICD ha ridotto la mortalità totale adue anni del 20-39% rispetto all’amiodarone (AVID, CASH,CIDS) e del 60% rispetto al propafenone (CASH). Un’ulte-riore rianalisi dello studio AVID ha però dimostrato che l’ICDrispetto all’amiodarone presenta un beneficio solo nei pa-zienti con FE < 35%.

Conclusioni

La prevenzione della MI è tuttora un problema in granparte irrisolto. La prevenzione primaria della MI in particola-re, che dovrebbe coprire almeno il 95% dei casi, è un pro-blema che travalica il campo della terapia medica e non me-dica delle aritmie e che sconfina nella profilassi primaria del-le cardiopatie. Infatti, in molti casi la MI colpisce come un“fulmine a ciel sereno” soggetti precedentemente non rico-nosciuti come cardiopatici. I pazienti affetti da cardiopatiarappresentano certamente un gruppo a rischio. In alcune ca-tegorie infatti l’incidenza della morte improvvisa all’anno pas-sa dall’1-2 per mille della popolazione generale a oltre il 10-20%. In tutti i casi, anche nell’ambito delle patologie car-diache riconosciute, i presidi al servizio del medico sono li-mitati, tanto da vanificare in parte gli sforzi, economicamen-te anche onerosi, compiuti nella stratificazione del rischio. Almomento attuale infatti a parte l’impiego generico, e diffu-samente consigliabile, degli ACE-inibitori e dei betabloccan-ti nei pazienti con disfunzione di pompa, non disponiamo diun farmaco ad ampio spettro capace di prevenire la morteimprovvisa aritmica. Grandi aspettative vengono rivolte al-l’ICD ma, a parte i pazienti “tipo MADIT” (che costituiscononon più dell’1% di tutti gli IMA!) manca la dimostrazione del-la sua efficacia in tutte le altre categorie ad alto rischio. Inquesto panorama, al momento vagamente desolante, non ciresta che attendere i risultati dei numerosi trial in corso.

Notizie più consolanti ci pervengono dalla prevenzione

secondaria della MI. È ormai certo che la miglior cura in chiha già sofferto di sincope o presincope da TVS/FV è rap-presentata dall’ICD. Anche in questo caso l’indicazione va-le prevalentemente per i pazienti con FE molto bassa (< 30-35%). Negli altri casi (con FE > 35-40%) può essere suffi-ciente la terapia medica purché guidata dai risultati delloSEE, cioè dalla dimostrazione che la TVS/FV non è più in-ducibile dopo la somministrazione cronica del farmaco.

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Progetto Vita: il primo progetto europeo didefibrillazione precoce con first responders

Alessandro Capucci, Daniela Aschieri, Alessandro Rosi. Divisione diCardiologia, Ospedale Civile, Piacenza

La morte improvvisa

La morte cardiaca improvvisa è la causa di un arrestocardiaco non resuscitato. L’arresto cardiaco è causato in cir-

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L’ARRESTO CARDIACO42TABELLA II – Trial di prevenzione secondaria della MI

Studio Caratteristiche Randomizzazione

DUTCH Arresto cardiaco ICD vs Tx convenzionaleAVID Arresto cardiaco ICD vs amiodarone (96%)

o TVS sincopale o sotaloloCASH Arresto cardiaco ICD vs metoprololo/

amiodarone/propafenoneCIDS Arresto cardiaco o ICD vs amiodarone

TVS

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ca il 70% dei casi da una fibrillazione ventricolare, nella mi-noranza dei casi da asistolia.

È ormai universalmente accettato che la defibrillazioneelettrica rappresenta l’unico intervento efficace in pazienticon fibrillazione ventricolare. Questo concetto è emerso giàa partire dagli anni ‘60 quando sono sorte le prime UnitàCoronariche: sino ad allora il 30% dei pazienti giunti vivi inospedale moriva: di questi decessi il 50% era dovuto ad ar-resto cardiaco. Da quando si sono costituite le Unità di Te-rapia Intensiva Coronarica con letti monitorati e possibilitàdi un tempestivo intervento di defibrillazione, la mortalitàper arresto cardiaco si è nettamente ridotta.

Risulta evidente che anche fuori dall’ospedale l’arrestocardiaco può essere “combattuto” non tanto arrivando sul-la vittima con un defibrillatore, ma arrivandoci in tempo uti-le. L’arrivo del medico con l’ambulanza e il defibrillatore su-pera quasi sempre i 5 minuti “d’oro” richiesti per un inter-vento efficace. Soprattutto nelle grandi città e nei paesi diprovincia la morte improvvisa non trova rimedio con gli at-tuali mezzi di soccorso.

L’arresto cardiaco extraospedaliero

La morte improvvisa rappresenta un grande problemasociale di cui sino ad oggi si è sentito poco parlare ancheper l’impossibilità di poterla affrontare con i mezzi adegua-ti. In Europa la morte improvvisa colpisce circa 1/1000 abi-tanti all’anno, con percentuali di sopravvivenza che varianodal 2 al 13% a seconda dei centri considerati.

Ogni minuto che trascorre dall’arresto cardiaco scen-dono del 10% le possibilità di salvare il paziente. Il ritardodell’intervento di defibrillazione è dunque la causa primariadi questa drammatica casistica di morte. Lo dimostra il fat-to che in città come Seattle 1 e Rochester 2 negli Stati Uni-ti, programmi di defibrillazione elettrica precoce sul territo-rio hanno aumentato le percentuali di sopravvivenza al 30 e46% rispettivamente.

Nel Regno Unito le ambulanze con medico e defibrilla-tore sono state introdotte già a partire dagli anni ‘70 e per-sonale infermieristico è stato addestrato alla defibrillazione apartire dal 1980. Il target del programma di addestramentodel personale sanitario alla rianimazione cardiopolmonare nelRegno Unito è ormai stato raggiunto. Tuttavia dati statisticiprovenienti dall’Inghilterra e dalla Scozia dimostrano che nonvi è stato un effettivo incremento della sopravvivenza da ar-resto cardiaco (14% nel 1987 e 11.4% nel 1992-93) 3-5.

In uno studio retrospettivo di Soo et al 6 di 520 pazientisottoposti a manovre di rianimazione da parte di personalemedico in ambiente extraospedaliero e 551 persone sotto-poste a manovre di rianimazione da personale infermieristi-co, solo il 6.9 e il 15.6% rispettivamente sono giunti vivi inospedale. Il tempo medio di intervento era di 6 minuti, dal-la chiamata all’arrivo sul posto dell’evento. Di questi pazienti

solo il 4.4% del primo gruppo e il 5.8% del secondo grup-po sono stati dimessi vivi, nonostante gli sforzi condotti peraddestrare il personale sanitario.

Quindi la chiave di volta per aumentare la sopravviven-za in pazienti colpiti da arresto cardiaco extraospedalieronon è tanto potenziare i mezzi del soccorso sanitario (auto-medica, ambulanze super attrezzate, personale altamentequalificato) ma decentrare l’intervento di defibrillazione construtture operative sul territorio che possono intervenire en-tro i fatidici 5 minuti. Tempi superiori di intervento fanno sìche, anche se rianimato, il paziente subisca danni anossiciirreversibili al cuore e al cervello che lo rendono irreversi-bilmente invalido o ne causano il decesso in ospedale.

Defibrillazione elettrica precoce

Negli ultimi anni, soprattutto negli Stati Uniti, una gran-de enfasi è stata data alla defibrillazione elettrica precocecome unico intervento utile per una rianimazione efficace inpazienti in fibrillazione ventricolare o tachicardia ventricola-re senza polso. L’American Heart Association ha stimato checirca 50 000 vittime della morte improvvisa negli Stati Unitipotrebbero essere salvate se gli interventi di defibrillazioneelettrica precoce fossero potenziati. Una campagna di sen-sibilizzazione per progetti dei defibrillazione “by first re-sponders in the community” viene promossa dall’AmericanHeart Association a questo scopo 7, 8.

Per rendere più rapido possibile l’intervento di defibril-lazione, l’International Liaison Committee on Resuscitation(ILCOR) 9 sta diffondendo il concetto che in molti contesti diemergenza anche personale sanitario non medico dovrebbeessere addestrato, autorizzato e incoraggiato ad eseguire in-terventi di defibrillazione con defibrillatori semiautomatici.

ILCOR raccomanda anche che personale non sanitariodell’emergenza (autisti di ambulanze, personale che fa assi-stenza negli ospedali, personale volontario dell’ambulanza)sia in grado di intervenire con defibrillazione elettrica se sitrova a dovere affrontare l’emergenza di un arresto cardiaco.

Tale raccomandazione include anche personale volonta-rio che non lavora nelle ambulanze (first responders in thecommunity). I first responders sono persone addestrate chelavorano, coordinate da un responsabile medico, in parallelocon gli operatori sanitari dell’emergenza. Tale personale com-prende poliziotti, vigili del fuoco, personale che lavora in gran-di fabbriche che, adeguatamente addestrato e coordinato,può intervenire in attesa del soccorso medico-sanitario.

Esperienze statunitensi

È stato dimostrato negli Stati Uniti che nelle città dovela defibrillazione elettrica viene praticata solo da personalemedico qualificato la percentuale di sopravvivenza dopo ar-

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resto cardiaco è minima (New York: 1-2%). Invece nei cen-tri dove anche personale non medico (Polizia) è abilitata al-la procedura, la percentuale di sopravvivenza raggiunge il47% (Rochester-Minnesota) 1.

È importante sottolineare che una volta “resuscitati” daun arresto cardiaco, questi pazienti presentano una buonaaspettativa di vita: dopo due anni dall’evento la percentua-le di sopravvissuti è del 25-35%, anche grazie alla possibi-lità di impiantare defibrillatori interni automatici, sottoporlia interventi di cardiochirurgia o angioplastica coronarica.

Programmi di defibrillazione elettrica precoce in Italia:il Progetto Vita di Piacenza

Il primo programma di defibrillazione elettrica precocecondotta da “first responders” in Europa è attualmentequello di Piacenza. Questo progetto (Progetto Vita) è ope-rativo dal 6 giugno 1999 e prevede l’impiego di 289 vo-lontari laici addestrati all’uso del defibrillatore semiauto-matico.

A Piacenza, città di circa 100 000 abitanti, sono stati di-slocati 27 defibrillatori semiautomatici (Heartstart FR) (Fig.1). Di questi 15 sono in sedi fisse (piazza principale dellacittà, piazza del mercato presso una farmacia, stazione fer-roviaria, 3 centri sportivi con piscina, uffici della posta cen-trale, Stadio Comunale, 2 Caserma Vigili del Fuoco, 1 casacircondariale, Università Cattolica) e 12 sono stati dati in do-tazione alle pattuglie di polizia di stato, guardia di finanzae polizia municipale).

La centrale operativa del 118 coordina gli interventi in-viando la chiamata alla pattuglia o al personale di sede fis-

sa più vicino all’evento. La richiesta di intervento del defi-brillatore semiautomatico viene codificata come “CodiceBlu”, con il quale si identificano le chiamate giunte in cen-trale operativa del 118 per pazienti con perdita di coscien-za. Il personale che riceve la chiamata dell’operatore 118 in-terviene secondo le modalità previste da un protocollo diintervento precedentemente stabilito con il DipartimentoEmergenza Urgenza.

Quali regole?

Il personale volontario del Progetto Vita è stato adde-strato secondo le linee guida American Heart Associationda un gruppo di 22 insegnanti medici e infermieri. Corsi diretraining vengono fatti ogni 3 mesi per la verifica dello sta-to di addestramento del personale.

Il defibrillatore semiautomatico è provvisto di una sche-da PCMCI che registra l’evento (elettrocardiogramma e vocidei soccorritori) ogni qual volta il defibrillatore viene attivato.

L’utilizzo del defibrillatore è sempre secondario all’atti-vazione del sistema di emergenza 118 che interviene se-condo le normali modalità di attivazione.

Quindi:– ogni defibrillatore deve essere denunciato alla cen-

trale operativa 118 che ne può richiedere l’intervento lad-dove necessario;

– i volontari devono essere addestrati secondo linee gui-da internazionali;

– per ogni intervento del defibrillatore deve essere at-tivata la centrale operativa 118 per l’attivazione del soccor-so avanzato.

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Fig. 1.

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Risultati preliminari

Alla centrale operativa 118 dal 6 giugno ’99 sono sta-te effettuate 56 chiamate che il personale ha codificato co-me “codice blu”. Di queste 51 erano “falsi allarmi”, cioè pa-zienti non in arresto cardiaco, ma caduti a terra accidental-mente, per lipotimie, per ictus o per stato di ebrezza al-coolica. In 5 casi è stato applicato il defibrillatore da partedel personale volontario: si trattava di 4 casi di asistolia edi un caso di fibrillazione ventricolare. In questo caso l’in-tervento di defibrillazione elettrica è stato condotto dal per-sonale di una pattuglia volante della polizia di stato. Il ri-pristino del ritmo sinusale è avvenuto al primo shock. Il pa-ziente è stato dimesso vivo dall’ospedale in buone condi-zioni.

Il progetto prevede ora l’estensione della rete dei de-fibrillatori alla provincia di Piacenza dove verranno addestrativolontari delle pubbliche assistenze e personale laico lad-dove i volontari non sono organizzati.

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