Elettroni in un campo magnetico: Approfondimenti e applicazioni Candidato Cossari Manuele Matr....

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Candidato Cossari Manuele Matr. 169550 Università della Calabria Dipartimento di Fisica Corso di Laurea in Fisica Tesi di Laurea Triennale Elettroni in un campo magnetico: Approfondimenti e applicazioni Relatore Dott. Marco Rossi Anno Accademico 2016/2017

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Candidato Cossari Manuele Matr. 169550

Università della Calabria

Dipartimento di Fisica

Corso di Laurea in

Fisica

Tesi di Laurea Triennale

Elettroni in un campo magnetico:

Approfondimenti e applicazioni

Relatore

Dott. Marco Rossi

Anno Accademico 2016/2017

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Un sistema apparentemente semplice come quello di un elettrone sottoposto ad un campo magnetico, può essere un interessante esempio che ci permette di evidenziare i limiti della fisica classica per quanto concerne lo studio di corpi su scale atomiche. Osserveremo lo stesso problema con approcci differenti, provando a carpire da ognuno di essi più informazioni possibili. Inoltre stabiliremo un legame tra la soluzione classica e soluzioni quantistiche. Infine affronteremo, in parte, un’applicazione di questo sistema, quella dell’effetto Hall.

TRATTAZIONE CLASSICA: Nei limiti della fisica classica, analizziamo il moto di un elettrone immerso in un campo magnetico

uniforme. Ipotizziamo la componente di campo elettrico nulla (�⃗� =0), mentre quella magnetica

costante, per semplicità di calcolo immaginiamo che questa sia diretta lungo l’asse z (�⃗� =B�̂�). Per ricavare l’equazione che descrive il moto dell’elettrone si parte dalla forza di Lorentz e si ottiene

𝑎 =ω�̂�x𝑣 , dove 𝜔 =𝑒𝐵

𝑚𝑐 e 𝑣 = (𝑣𝑥,𝑣𝑦, 𝑣𝑧). Sviluppiamo il prodotto vettoriale ed esplicitiamo

l’equazione per 𝑎 nelle sue tre componenti.

{

𝑎𝑥 = −𝜔𝑣𝑦𝑎𝑦 = 𝜔𝑣𝑥𝑎𝑧 = 0

Il primo risultato che otteniamo è 𝑎𝑧=0 ⇒ 𝑣𝑧=cost. L’elettrone si muove di moto rettilineo uniforme lungo la direzione del campo magnetico con una legge del tipo z=𝑣𝑧t+𝑧0.

Le due equazioni che rimangono sono:

{

𝑑𝑣𝑥𝑑𝑡

= −𝜔𝑑𝑦

𝑑𝑡𝑑𝑣𝑦𝑑𝑡

= 𝜔𝑑𝑥

𝑑𝑡

È possibile risolvere questo sistema di equazioni differenziali per separazione di variabili ed integrando fra un tempo iniziale 𝑡0=0 ed uno generico t e fra una posizione iniziale (𝑥0, 𝑦0) ed una generica (𝑥, 𝑦). Tenendo a mente che all’istante 𝑡0 le due coordinate sono y (𝑡0 = 0) =𝑦0, 𝑥(𝑡0 = 0) = 𝑥0 𝑒 𝑣𝑥(𝑡0 = 0) = 𝑣0𝑥 , 𝑣𝑦(𝑡0 = 0) = 𝑣0𝑦, si trovano due equazioni per le

velocità:

{𝑣𝑥 = −𝜔(𝑦 − 𝑌)𝑣𝑦 = 𝜔(𝑥 − 𝑋)

Notiamo che X e Y sono due costanti del moto, poiché:

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𝑌 = 𝑦0 +𝑣0𝑥𝜔

𝑋 = 𝑥0 −𝑣0𝑦

𝜔

E che

Y=𝑦 +𝑣𝑥

𝜔 ; X=x-

𝑣𝑦

𝜔 (1)

Posso definire due nuove variabili 𝜖 𝑒 𝜂: ϵ=x-X ⇒ 𝜖̇=𝑣𝑥 η=y-Y ⇒ �̇� = 𝑣𝑦

Il sistema diventa:

{𝜖̇ = −𝜔𝜂�̇� = 𝜔𝜖

Lo scriviamo in forma matriciale:

(𝜖̇

�̇�) = 𝜔 (

0 −11 0

) (𝜖

𝜂)

(𝜖(𝑡)𝜂(𝑡)

) = 𝑒𝑥𝑝 [𝜔𝑡 (0 −11 0

)] (𝜖0𝜂0)=(

cos𝜔𝑡 − sin𝜔𝑡sin𝜔𝑡 cos𝜔𝑡

) (𝜖0𝜂0)

𝜖0 𝑒 𝜂0 sono due costanti, mentre la matrice 2x2 è una matrice di rotazione in senso antiorario di un angolo 𝜔t sul piano xy.

Per concludere, la particella si muove di moto rettilineo uniforme sul piano z, mentre segue un

moto rotazione sul piano xy con velocità angolare 𝜔 =𝑒𝐵

𝑚𝑐, attorno al centro (𝑋, 𝑌) = (𝑥0 −

𝑣0𝑦

𝜔, 𝑦0 +

𝑣0𝑥

𝜔) e mantenendo un raggio 𝑅 =

√𝑣𝑜𝑥2 +𝑣0𝑦

2

𝜔. La sua traiettoria complessiva è descritta

nella figura sottostante.

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TRATTAZIONE QUANTISTICA: OPERATORE VELOCITA':

Partiamo dall’hamiltoniana di una particella di massa m e carica q in un campo magnetico.

𝐻 =1

𝑚[𝑝 −

𝑞

𝑐𝐴 (𝑥, 𝑡)]

2+ 𝑞𝛷(𝑥, 𝑡) (2)

Dove 𝐴 è il potenziale vettore e 𝑝 il momento canonico.

In meccanica classica la velocità della particella è espressa in relazione al momento canonico secondo la relazione

𝑣 =1

𝑚[𝑝 −

𝑞

𝑐𝐴 (𝑥, 𝑡)]

Si adotta la stessa definizione in meccanica quantistica, tenendo presente che 𝑣 diventa l’operatore velocità. Ai fini della trattazione, ci interessa sapere se questo operatore commuta con le sue componenti.

Tenendo a mente le note regole di commutazione

[𝑥𝑖; 𝑓(𝑝)] = 𝑖ћ𝜕𝑓

𝜕𝑝𝑖

[𝑝𝑖; 𝑔(𝑥)] = −𝑖ћ𝜕𝑔

𝜕𝑥𝑖

Calcoliamo

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[𝑣𝑖; 𝑣𝑗] =1

𝑚2([𝑝𝑖; 𝑝𝑗] −

𝑞

𝑐[𝑝𝑖; 𝐴𝑗] −

𝑞

𝑐[𝐴𝑖; 𝑝𝑗]+

𝑞2

𝑐2[𝐴𝑖; 𝐴𝑗])=

𝑖ћ𝑞

𝑐𝑚2 (𝜕𝐴𝑗

𝜕𝑥𝑖−

𝜕𝐴𝑖

𝜕𝑥𝑗) =

𝑖ћ𝑞

𝑐𝑚2𝜖𝑖𝑗𝑘𝐵𝑘

Riconoscendo che �⃗� =∇⃗⃗ × 𝐴

In generale valgono le relazioni [𝑣𝑖; 𝑣𝑗] =𝑖ћ𝑞

𝑚2𝑐𝜖𝑖𝑗𝑘𝐵𝑘 (3)

[𝑥𝑖; 𝑣𝑗] =𝑖ћ

𝑚𝛿𝑖𝑗

Osserviamo che il commutatore tra le componenti della velocità è proporzionale al campo

magnetico. Naturalmente in assenza di campo le componenti della velocità, come anche quelle di

p, commutano tra esse, in virtù della relazione 𝑝 = 𝑚𝑣 . inoltre le regole di commutazione non

dipendono dalla scelta della Gauge.

SPETTRO ENERGETICO:

Per continuare la discussione occorre semplificare il problema, innanzitutto trascuriamo lo spin. Gli elettroni sono soggetti ad un campo magnetico, ciò implica che esiste un’hamiltoniana del tipo

�̂� = −𝜇 𝑠�⃗� = −𝑔𝑠𝑆 �⃗� = −𝑔𝑠𝑆 𝑧�⃗� 𝑧

Per un elettrone 𝑔𝑠 ≈ 2, mentre l’autovalore di 𝑆 𝑧 è ± ћ

2

Ricordando che stiamo trascurando lo spin e l’interazione fra gli elettroni, lo stato di spin

elettronico deve essere singolo ed è quello con autovalore +ћ

2 , cioè quello ad energia minore.

Il sistema sarà allora composto da stati del tipo:

|0⟩|+⟩; |1⟩|+⟩; |2⟩|+⟩… ..

Concentriamoci solo sulla funzione d’onda delle coordinate. Riprendiamo la (2) ed esprimiamola

in termini dell’operatore velocità, ponendo φ=0, perché non c’è �⃗� .

𝐻 =𝑚

2𝑣2=

𝑚

2(𝑣𝑥

2 + 𝑣𝑦2) +

𝑚

2𝑣𝑧2=𝐻⊥ +𝐻∥ (4)

Considerando un elettrone (q= -e) ed un campo magnetico uniforme lungo la direzione z (�⃗� = 𝐵�̂�)

le regole di commutazione (3) diventano:

[𝑣𝑥; 𝑣𝑦] = −𝑖ћ𝑒𝐵

𝑐𝑚2= −

𝑖ћ𝜔

𝑚

[𝑣𝑥; 𝑣𝑧] = [𝑣𝑦; 𝑣𝑧] = 0

Osserviamo immediatamente che [𝐻⊥; 𝐻∥] = 0, quindi i due operatori sono diagonalizzabili ed

hanno una base simultanea. La strategia più semplice è quella di scegliere, come base di operatori,

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gli stessi vettori che abbiamo usato nella trattazione classica. Per il movimento “perpendicolare” è

conveniente prendere (X, Y); (𝑣𝑥, 𝑣𝑦), mentre per quello “parallelo” (z,𝑣𝑧). Usando la definizione

(1) e le regole di commutazione:

[𝑋; 𝑌] = [𝑥 −𝑣𝑦

𝜔; 𝑦 +

𝑣𝑥

𝜔] =

1

𝜔([𝑥; 𝑣𝑥] − [𝑣𝑦;y]) -

1

𝜔2[𝑣𝑥; 𝑣𝑦] =

𝑖ћ

𝑚𝜔

Dalla (1) e ricordando la definizione dell’operatore velocità, tutti i risultati di commutazione si

possono riassumere nella seguente tabella:

X Y 𝑣𝑥 𝑣𝑦 z 𝑣𝑧

X 0 𝑖ћ

𝑚𝜔 0 0 0 0

Y - 𝑖ћ

𝑚𝜔 0 0 0 0 0

𝑣𝑥 0 0 0 - 𝑖ћ𝜔

𝑚 0 0

𝑣𝑦 0 0 𝑖ћ𝜔

𝑚 0 0 0

z 0 0 0 0 0 𝑖ћ

𝑚

𝑣𝑧 0 0 0 0 - 𝑖ћ

𝑚 0

Notiamo che l’insieme di operatori (𝑋, 𝑌, 𝑧,𝑣𝑥 , 𝑣𝑦𝑣𝑧) soddisfano regole di commutazione semplici.

Per scriverle in maniera compatta posso definire (𝑄𝑖, 𝑃𝑖), con i=1,2,3, tale che:

𝑋 =1

√𝑚𝜔𝑄1 ; 𝑣𝑦 = √

𝜔

𝑚𝑄2; z=𝑄3;

𝑌 =1

√𝑚𝜔𝑃1; 𝑣𝑥 = √

𝜔

𝑚𝑃2; m𝜔=𝑃3;

per queste nuove coppie di operatori vale:

[𝑄𝑖; 𝑄𝑗] = [𝑃𝑖; 𝑃𝑗] = 0 (5) con 𝑖, 𝑗 =1,2,3

[𝑄𝑖; 𝑃𝑗] = 𝑖ћ𝛿𝑖𝑗

Abbiamo ritrovato regole di commutazione già note, come quella fondamentale, partendo da

un’analisi di natura classica. Osservando la (4) ed usando la (5) si ottiene:

𝐻 = 𝐻⊥ +𝐻∥ =𝜔

2(𝑄2

2 + 𝑃22) +

𝑃32

2𝑚⁄

La componente parallela di questa hamiltoniana è l’energia di una particella libera in una

dimensione, mentre quella perpendicolare compare sotto forma di oscillatore armonico i cui

autovalori sono:

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𝑬⊥𝒏 = ћ𝝎(𝒏 +𝟏

𝟐)

Questo risultato non ci sorprende, perché la derivazione dei livelli energetici di un oscillatore

armonico dipende esclusivamente dalle leggi di commutazione fra x e p, in questo caso riprodotte

da 𝑄2 e 𝑃2. I livelli energetici quantizzati della componente perpendicolare sono detti livelli di

Landau. L’autovalore complessivo è:

𝐸𝑛𝑃3 = ћ𝜔 (𝑛 +1

2) +

𝑃32

2𝑚

Dove ora 𝑃3 è un autovalore dell’omonimo operatore, questo può andare da -∞ a +∞ ed è quindi

uno spettro continuo.

Notiamo che l’hamiltoniana non dipende da (𝑄1,𝑃1) che sono proporzionali ad (X, Y), ne

deduciamo che queste coordinate si conservano, cioè [𝐻, 𝑋] = [𝐻, 𝑌] = 0. Questo ha senso

fisicamente, perché l’energia classicamente non dipende dal centro dell’orbita (X,Y).

AUTOFUNZIONI:

Per decidere quale set di operatori diagonalizzare osserviamo l’hamiltoniana (4), questa dipende

da (𝐻⊥, 𝐻∥), ma 𝐻∥ ∝ 𝑃32. Quindi la coppia di operatori più ovvia da scegliere è (𝐻⊥, 𝑃3). In realtà

questa scelta non è esaustiva, in quanto non compare nessun riferimento alle coordinate e quindi

a (𝑄1, 𝑃1). Dalla (5) si può notare che qualsiasi funzione di (𝑄1, 𝑃1) commuta con qualsiasi funzione

di 𝐻⊥ e 𝑃3, di conseguenza è ovvio pensare che una così libera scelta degli operatori sia un segnale

di alta degenerazione del problema. Questo è vero perché il sistema, come abbiamo visto nella

trattazione classica, ha una traiettoria fortemente simmetrica. Per ora consideriamo X come terza

scelta. Il nostro set di operatori è (X,𝐻⊥,𝑃3). Un ulteriore considerazione va fatta sulla natura delle

autofunzioni, che a differenza degli autovalori, non sono osservabili, ma cambiano in base alle

differenti Gauge che scegliamo. Siccome il campo magnetico è �⃗� = 𝐵�̂�= ∇⃗⃗ ⃗ × 𝐴 posso prendere una

Gauge del tipo:

𝐴𝑧 = 0 𝐴𝑦 = 𝐴𝑦(𝑥, 𝑦) 𝐴𝑥 = 𝐴𝑥(𝑥, 𝑦) (6)

Partiamo dall’operatore 𝑃3̂:

𝑃3̂𝜓(𝑥, 𝑦, 𝑧) = 𝑚𝑣�̂�ψ (x, y, z) = [𝑃�̂�+𝑒

𝑐𝐴𝑧(𝑥, 𝑦, 𝑧)]𝜓(𝑥, 𝑦, 𝑧)= [iћ

𝜕

𝜕𝑧+𝑒

𝑐𝐴𝑧(𝑥, 𝑦, 𝑧)]

Dalla (6) e definendo 𝑝�̂�=m𝑣�̂� , con 𝑝𝑧 il rispettivo autovalore si ottiene:

𝑝�̂�𝜓(𝑥, 𝑦, 𝑧) = −𝑖ћ𝜕𝜓(𝑥,𝑦,𝑧)

𝜕𝑧= 𝑝𝑧𝜓(𝑥, 𝑦, 𝑧) ⇒ ψ (x, y, z) =Φ (x, y)𝑒

𝑖𝑝𝑧𝑧ћ⁄

φ (x, y) è una funzione arbitraria, mentre 𝑒𝑖𝑝𝑧𝑧

ћ⁄ è la soluzione di una particella libera.

Diagonalizziamo ora �̂� per esplicitare φ (x, y):

�̂�𝛷(𝑥, 𝑦) =(x-1

𝜔𝑣�̂�)φ(x, y) = [x-

1

𝑚𝜔(−𝑖ћ

𝜕

𝜕𝑦+𝑒

𝑐𝐴𝑦(𝑥, 𝑦)]𝛷(𝑥, 𝑦)= X𝛷(𝑥, 𝑦)

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Per semplificare quest’equazione possiamo scegliere 𝐴𝑦 in modo tale che

x - 𝑒

𝑚𝜔𝑐𝐴𝑦=x -

1

𝐵𝐴𝑦= 0 ⇒ �⃗⃗� = 𝑩𝒙�̂� (𝟕)

la (7) è la scelta della Gauge, con questa l’equazione diventa:

�̂�𝛷(𝑥, 𝑦) =𝑖ћ

𝑚𝜔

𝜕𝛷(𝑥,𝑦)

𝜕𝑦= 𝑋𝛷(𝑥, 𝑦) ⇒ φ(x, y)= 𝑓(𝑥)𝑒−

𝑖𝑚𝜔𝑋𝑦ћ⁄

Infine prendiamo 𝐻⊥, questo non coinvolge la coordinata z, quindi rimane:

𝐻⊥𝛷(𝑥, 𝑦)= 𝐸⊥𝛷(𝑥, 𝑦) ⇒ 𝑚

2(𝑣𝑥

2̂+𝑣𝑦2̂)Φ(x, y) =

1

2𝑚[(𝑝�̂� −

𝑒

𝑐𝐴𝑥)

2+(𝑝�̂� +𝑒

𝑐𝐴𝑦)

2]f(x)𝑒−𝑖𝑚𝜔𝑋𝑦

ћ⁄ =

= 1

2𝑚[−ћ2

𝜕2

𝜕𝑥2+ (−iћ

𝜕

𝜕𝑦+𝑒𝐵𝑥

𝑐)2]f(x) 𝑒

−𝑖𝑚𝜔𝑋𝑦ћ⁄ =𝐸⊥ f(x)𝑒

−𝑖𝑚𝜔𝑋𝑦ћ⁄

−ћ2

2𝑚

𝑑2𝑓(𝑥)

𝑑𝑥2+𝑚𝜔2

2(x − X)2f(x)=𝐸⊥𝑓(𝑥)

Questa è l’equazione di un oscillatore armonico con l’origine spostata in x=X, mentre l’energia

è 𝐸⊥ = ћ𝜔 (𝑛 +1

2) , già trovata in precedenza. Le autofunzioni sono:

𝑓(𝑥) = 𝑢𝑛(𝑥 − 𝑋) Dove 𝑢𝑛 sono le autofunzioni normalizzate dell’oscillatore armonico.

La funzione d’onda complessiva è:

𝜓𝑋𝑛𝑝𝑧(x, y, z) =𝑒−𝑖𝑚𝜔𝑋𝑦

ћ⁄ +

𝑖𝑝𝑧𝑧ћ⁄ 𝑢𝑛(𝑥 − 𝑋)

Il grafico di |𝜓|2 descrive la probabilità che ha l’elettrone di trovarsi nel livello di Landau con

(n=0). Il risultato è una “catena montuosa gaussiana” centrata in x=X. La soluzione non

somiglia affatto a quella classica, questo perché è stato scelto X come terzo operatore

lasciando indeterminato Y, in virtù del fatto che i due non commutano. Tale indeterminazione

si riscontra nella divergenza della coordinata y che si estende da -∞ a +∞. Lo stesso problema

si ha, con la coordinata x, se avessimo considerato nel set di operatori Y anziché X. Da ciò

deduciamo che per avvicinarci alla soluzione classica è necessario considerare un operatore

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che tenga conto sia di X che di Y. L’operatore che si usa a tal fine è detto di “annichilazione” ed

è proporzionale a 𝑋 + 𝑖𝑌. Dal momento che 𝑋 ∝ 𝑄1 𝑒 𝑌 ∝ 𝑃1 , la forma di questo operatore

ricorda quella di �̂� ∝ �̂� + 𝑖�̂� dell’oscillatore armonico.

Il FLUSSO QUANTISTICO: Abbiamo visto che 𝑥 𝑒 𝑦 sono due operatori che commutano, lo stesso non avviene per 𝑋 𝑒 𝑌.

Allora il piano 𝑋𝑌 detto “piano di guida centrale” è quello che si avvicina maggiormente ad

uno spazio delle fasi. Allora una cella deve avere le stesse proprietà di una cella di Planck,

implica che ∆𝑄1∆𝑃1 = 2𝜋ћ.

Con 𝜔=𝑒𝐵

𝑚𝑐 e dalla (5):

∆𝑄1∆𝑃1 = 𝑚𝜔∆𝑋∆𝑌 =𝑒𝐵

𝑐∆𝑋∆𝑌 = 2𝜋ћ

𝐵∆𝑋∆𝑌 =ℎ𝑐

𝑒

Questa è la quantità di flusso che passa attraverso una singola cella di Planck nel piano di

guida centrale ed indica quanta porzione di piano è occupata da un singolo stato quantico. La

quantità ℎ𝑐

𝑒 è un’unità di flusso magnetico detta “flusso quantico”. Consideriamo, per

semplicità, un sistema fisico bidimensionale ed N elettroni soggetti ad un campo magnetico

sull’asse z. Gli elettroni “giacciono” su livelli di Landau diversi, in base all’energia ad essi associata.

Lo spettro energetico non contiene 𝑝𝑦 → (𝐸𝑛𝑃3 = ћ𝜔 (𝑛 +1

2) +

𝑃32

2𝑚) che quindi prende una

serie continua di valori, ovvero i livelli sono degeneri con molteplicità continua. La

molteplicità della degenerazione diventa finita se il moto sul piano xy è confinato in un’area di

dimensioni finite

S=𝐿𝑥𝐿𝑦

Di conseguenza i valori di 𝑝𝑦 diventano discreti, il numero di diversi valori di 𝑝𝑦 nell’intervallo

∆𝑝𝑦 è pari a 𝑛𝑦 =𝐿𝑦

2𝜋ћ𝑝𝑦 .

𝑝𝑦=𝑛𝑦2𝜋ћ

𝐿𝑦 ⇒ ∆𝑝𝑦 =

2𝜋ћ

𝐿𝑦=ℎ

𝐿𝑦

Riscriviamo l’operatore X usando la (1), la (7) e la definizione dell’operatore velocità.

(naturalmente non è possibile fare lo stesso procedimento per ∆𝑌 perché il potenziale vettore A ha solamente una componente y per la scelta di Gauge)

𝑋 = 𝑥 −1

𝑚𝜔(𝑝𝑦 +

𝑒

𝑐𝐴𝑦) = −

𝑝𝑦

𝑚𝜔⇒ ∆𝑋 =

1

𝑚𝜔∆𝑝𝑦 =

1

𝑚𝜔

𝐿𝑦

Con N il numero di elettroni, vale la relazione:

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𝑁∆𝑋 = 𝐿𝑥 ⇒ 𝑁 =𝐿𝑥𝐿𝑦ℎ

𝑚𝜔 = 𝑆𝑚𝜔

ℎ=

𝑆𝐵

(ℎ𝑐𝑒 )

= 𝛷

(ℎ𝑐𝑒 )

N è la degenerazione e Φ è il flusso.

Il numero di elettroni che può essere contenuto nello stato fondamentale è dato dal rapporto

fra l’area del campione e ∆𝑋∆𝑌, ovvero il flusso quantico. Se volessimo essere precisi

dovremmo considerare il doppio di questo rapporto per tener conto anche dello spin. Una

volta riempito il livello fondamentale gli elettroni rimanenti passano al primo eccitato e così

via. Il numero di particelle contenute in uno stato può essere modificato cambiando il campo magnetico iniziale.

SOLUZIONE A SIMMETRIA CIRCOLARE: L’operatore di “annichilazione” �̂� + 𝑖�̂� non è hermitiano quindi non è un osservabile, tuttavia

è possibile diagonalizzare simultaneamente (𝑃3̂, 𝐻⊥̂, �̂� + 𝑖�̂�), che commutano fra loro.

Utilizzando le regole di commutazione (3), vediamone solamente uno:

[�̂� + 𝑖�̂�;𝐻⊥̂]=𝑚

2[𝑥 −

𝑣𝑦

𝜔+ 𝑖𝑦 + 𝑖

𝑣𝑥

𝜔; 𝑣𝑥

2 + 𝑣𝑦2]=

𝑚

2{[𝑥; 𝑣𝑥

2] −1

𝜔[𝑣𝑦; 𝑣𝑥

2] + 𝑖[𝑦; 𝑣𝑥2] +

𝑖

𝜔[𝑣𝑥; 𝑣𝑥

2] + [𝑥; 𝑣𝑦2] −

1

𝜔[𝑣𝑦; 𝑣𝑦

2] + 𝑖[𝑦; 𝑣𝑦2] +

𝑖

𝜔[𝑣𝑥; 𝑣𝑦

2]}=𝑚

2(2𝑖ћ

𝑚𝑣𝑥 −

2𝑖ћ

𝑚𝑣𝑥 −

𝑚𝑣𝑦 +

𝑚𝑣𝑦) = 0

Dal momento che 𝑃3̂ dà una soluzione di particella libera sull’asse z che è indipendente dalle

altre, possiamo focalizzare la nostra attenzione solo su (𝐻⊥̂, �̂� + 𝑖�̂�), ricordando che la

soluzione generale tiene conto anche del movimento libero sull’asse z.

RICAVIAMO LA FUNZIONE D’ONDA:

• (�̂� + 𝑖�̂�)𝜓(𝑥, 𝑦) = 𝜆 𝜓(𝑥, 𝑦) (8)

Concentriamoci prima su �̂� + 𝑖�̂�, e chiamiamo λ il suo autovalore

Esplicitiamo l’operatore usando la (1) e la definizione dell’operatore velocità:

�̂� + 𝑖�̂�=x - 𝑣𝑦

𝜔+ 𝑖𝑦 + 𝑖

𝑣𝑥

𝜔= 𝑥 −

1

𝑚𝜔(𝑝𝑦 +

𝑒

𝑐𝐴𝑦) + 𝑖𝑦 + 𝑖

1

𝑚𝜔(𝑝𝑥 +

𝑒

𝑐𝐴𝑥) = 𝑥 +

𝑖𝑦 +𝑖𝑒

𝑚𝑐𝜔(𝐴𝑥 + 𝑖𝐴𝑦) +

𝑖

𝑚𝜔(𝑝𝑥 + 𝑖𝑝𝑦)

posso fare una scelta di Gauge simmetrica:

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{𝐴𝑥 = −

𝐵𝑦

2

𝐴𝑦 =𝐵𝑥

2

(9)

Questa va bene perché verifica l’equazione �⃗� = 𝐵�̂� = ∇⃗⃗ × 𝐴

{

𝐵𝑥 =

𝜕𝐴𝑦𝜕𝑧

−𝜕𝐴𝑧𝜕𝑦

= 0

𝐵𝑦 =𝜕𝐴𝑧𝜕𝑥

−𝜕𝐴𝑥𝜕𝑧

= 0

𝐵𝑧 =𝜕𝐴𝑦𝜕𝑥

− 𝜕𝐴𝑥𝜕𝑦

= 𝐵

Con la (9) l’operatore diventa:

�̂� + 𝑖�̂�=𝑥 + 𝑖𝑦 + 𝑖𝑒

𝑚𝜔𝑐(−

𝐵𝑦

2+ 𝑖

𝐵𝑥

2) +

𝑖

𝑚𝜔(𝑝𝑥 + 𝑖𝑝𝑦)= ricordando che 𝜔 =

𝑒𝐵

𝑚𝑐

=1

2(𝑥 + 𝑖𝑦) +

𝑖

𝑚𝜔(𝑝𝑥 + 𝑖𝑝𝑦)=

1

2(𝑥 + 𝑖𝑦) +

ћ

𝑚𝜔(𝜕

𝜕𝑥+ 𝑖

𝜕

𝜕𝑦) (10)

È conveniente effettuare il seguente cambio di coordinate:

{𝑧 = 𝑥 + 𝑖𝑦 ⇒ 𝑥 =

𝑧+�̅�

2

𝑧̅ = 𝑥 − 𝑖𝑦 ⇒ 𝑦 =𝑧−�̅�

2𝑖

(11)

Partendo dal differenziale di una generica funzione 𝑓(𝑧, 𝑧̅), si ricava anche la relazione:

{

𝜕𝑓

𝜕𝑧=

𝜕𝑓

𝜕𝑥

𝜕𝑥

𝜕𝑧+

𝜕𝑓

𝜕𝑦

𝜕𝑦

𝜕𝑧

𝜕𝑓

𝜕�̅�=

𝜕𝑓

𝜕𝑥

𝜕𝑥

𝜕�̅�+

𝜕𝑓

𝜕𝑦

𝜕𝑦

𝜕�̅�

⇒{

𝜕𝑓

𝜕𝑥=

𝜕𝑓

𝜕𝑧+𝜕𝑓

𝜕�̅�𝜕𝑓

𝜕𝑦= 𝑖(

𝜕𝑓

𝜕𝑧−𝜕𝑓

𝜕�̅�) (12)

Con le nuove coordinate la (10) diventa:

�̂� + 𝑖�̂�= 𝑧

2 −

ћ

𝑚𝜔(𝜕

𝜕𝑧+

𝜕

𝜕�̅�−

𝜕

𝜕𝑧+

𝜕

𝜕�̅�) =

𝑧

2+

𝑚𝜔

𝜕

𝜕�̅�

Dalla (8), la nuova equazione agli autovalori è: 𝑧𝜓(𝑧,�̅�)

2+

𝑚𝜔

𝜕𝜓(𝑧,�̅�)

𝜕�̅�= λ ψ(z,𝑧̅) (13)

Risolviamo l’equazione differenziale per separazione di variabile 2ћ

𝑚𝜔

𝑑𝜓

𝜓= (𝜆 −

𝑧

2) 𝑑𝑧̅ ⇒ ln

𝜓

𝜓0=

𝑚𝜔

2ћ(𝜆 −

𝑧

2)𝑧̅

ψ (z,𝑧̅) = 𝜓0(𝑧)𝑒𝑚𝜔

2ћ(𝜆−

𝑧

2)�̅� (14)

𝜓0 è funzione della sola variabile z perché fa parte della costante nell’integrazione in 𝑧̅.

• 𝐻⊥𝜓(𝑧, 𝑧̅) = 𝜆⊥𝜓(𝑧, 𝑧̅) (15)

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Ora, focalizziamo la nostra attenzione sull’operatore 𝐻⊥, il cui rispettivo autovalore è 𝜆⊥.

Esattamente come in precedenza, esprimiamo l’operatore con le nuove variabili

Usiamo la definizione dell’operatore velocità e la (9):

𝐻⊥=𝑚

2(𝑣𝑥

2 + 𝑣𝑦2) =

𝑚

2[1

𝑚2 (𝑝𝑥 +𝑒

𝑐𝐴𝑥)

2+

1

𝑚2 (𝑝𝑦 +𝑒

𝑐𝐴𝑦)

2] =

1

2𝑚[(𝑝𝑥 −

𝑒

2𝑐𝐵𝑦)

2+

(𝑝𝑦 +𝑒

2𝑐𝐵𝑥)

2] =

1

2𝑚[𝑝𝑥2 −

𝑒𝐵𝑦

𝑐𝑝𝑥 + (

𝑒𝐵𝑦

2𝑐)2+ 𝑝𝑦

2 +𝑒𝐵𝑥

𝑐𝑝𝑦 + (

𝑒𝐵𝑥

2𝑐)2]

Osservando che dalla (11) e dalla (12) l’impulso si esprime come

𝑝𝑥 = −𝑖ћ𝜕

𝜕𝑥= −𝑖ћ (

𝜕

𝜕𝑧+

𝜕

𝜕�̅�) ; 𝑝𝑥

2=−ћ2(𝜕2

𝜕𝑧2+

𝜕2

𝜕�̅�2+ 2

𝜕

𝜕𝑧

𝜕

𝜕�̅�)

𝑝𝑦 = −𝑖ℎ𝜕

𝜕𝑦= ћ(

𝜕

𝜕𝑧−

𝜕

𝜕�̅�) ; 𝑝𝑦

2=ћ2(𝜕2

𝜕𝑧2+

𝜕2

𝜕�̅�2− 2

𝜕

𝜕𝑧

𝜕

𝜕�̅�)

Usando queste relazioni e la (11):

𝐻⊥𝜓(𝑧, 𝑧̅) =1

2𝑚[−ћ2(

𝜕2

𝜕𝑧2+

𝜕2

𝜕�̅�2+ 2

𝜕

𝜕𝑧

𝜕

𝜕�̅�)+

𝑒𝐵ћ

2𝑐(𝜕

𝜕𝑧+

𝜕

𝜕�̅�) (𝑧 − 𝑧̅) −

𝑒2𝐵2

16𝑐2(𝑧 − 𝑧̅)2 +

ћ2(𝜕2

𝜕𝑧2+

𝜕2

𝜕�̅�2− 2

𝜕

𝜕𝑧

𝜕

𝜕�̅�)+

𝑒𝐵ћ

2𝑐(𝜕

𝜕𝑧−

𝜕

𝜕�̅�)(z+𝑧̅) +

𝑒2𝐵2

16𝑐2(𝑧 + 𝑧̅)2] 𝜓(𝑧, 𝑧̅)

𝐻⊥𝜓(𝑧, 𝑧̅) =1

2𝑚[−4ћ2

𝜕

𝜕𝑧

𝜕

𝜕�̅�+ 𝑒𝐵ћ

2𝑐(𝜕

𝜕𝑧+

𝜕

𝜕�̅�) (𝑧 − 𝑧̅) −

𝑒2𝐵2

4𝑐2𝑧𝑧̅+

𝑒𝐵ћ

2𝑐(𝜕

𝜕𝑧−

𝜕

𝜕�̅�)(z+𝑧̅)] 𝜓(𝑧, 𝑧̅) (16)

Valutiamo i termini [(𝜕

𝜕𝑧+

𝜕

𝜕�̅�) (𝑧 − 𝑧̅)] 𝜓(𝑧, 𝑧̅) e [(

𝜕

𝜕𝑧−

𝜕

𝜕�̅�)(z+𝑧̅)] 𝜓(𝑧, 𝑧̅)

[(𝜕

𝜕𝑧+

𝜕

𝜕�̅�) (𝑧 − 𝑧̅)]𝜓(𝑧, 𝑧̅) =

𝜕

𝜕𝑧[(𝑧 − 𝑧̅) 𝜓(𝑧, 𝑧̅)] +

𝜕

𝜕�̅�[(𝑧 − 𝑧̅)𝜓(𝑧, 𝑧̅)]=

(z−𝑧̅)(𝜕𝜓(𝑧,�̅�)

𝜕𝑧+𝜕𝜓(𝑧,�̅�)

𝜕�̅�)

[(𝜕

𝜕𝑧−

𝜕

𝜕�̅�)(z+𝑧̅)] 𝜓(𝑧, 𝑧̅)=

𝜕

𝜕𝑧[(z+𝑧̅) 𝜓(𝑧, 𝑧̅)] −

𝜕

𝜕�̅�[(z+𝑧̅) 𝜓(𝑧, 𝑧̅)] =

(z+𝑧̅)(𝜕𝜓(𝑧,�̅�)

𝜕𝑧−𝜕𝜓(𝑧,�̅�)

𝜕�̅�)

Sommando i due termini si ottiene:

2(𝑧𝜕𝜓(𝑧,�̅�)

𝜕𝑧− 𝑧̅

𝜕𝜓(𝑧,�̅�)

𝜕�̅�)

Tenendo a mente questa relazione la (16), con 𝜔 =𝑒𝐵

𝑚𝑐 , diventa:

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𝐻⊥𝜓(𝑧, 𝑧̅) = −2ћ2

𝑚

𝜕

𝜕𝑧

𝜕

𝜕�̅�𝜓(𝑧, 𝑧)̅ +

𝑚𝜔2

8𝑧𝑧̅ 𝜓(𝑧, 𝑧̅) +

ћ𝜔

2(𝑧

𝜕𝜓(𝑧,�̅�)

𝜕𝑧− 𝑧̅

𝜕𝜓(𝑧,�̅�)

𝜕�̅�)=

𝜆⊥𝜓(𝑧, 𝑧̅) (17)

Conosciamo dalla (14) la forma di 𝜓(𝑧, 𝑧̅)= 𝜓0(𝑧)𝑒𝑚𝜔

2ћ(𝜆−

𝑧

2)�̅� ⇒

𝜕

𝜕𝑧

𝜕

𝜕�̅�𝜓(𝑧, 𝑧)̅ =

𝜕

𝜕𝑧[𝜓0(𝑧)

𝑚𝜔

2ћ(𝜆 −

𝑧

2)𝑒

𝑚𝜔

2ћ(𝜆−

𝑧

2)�̅�]=

𝑚𝜔

2ћ𝑒𝑚𝜔

2ћ(𝜆−

𝑧

2)�̅�[

𝜕𝜓0(𝑧)

𝜕𝑧(λ−

𝑧

2) −

1

2𝜓0(𝑧) − 𝜓0(𝑧)

𝑚𝜔�̅�

4ћ(𝜆 −

𝑧

2)]

𝜕

𝜕𝑧𝜓(𝑧, 𝑧̅)= 𝑒

𝑚𝜔

2ћ(𝜆−

𝑧

2)�̅�[

𝜕𝜓0(𝑧)

𝜕𝑧 − 𝜓0(𝑧)

𝑚𝜔�̅�

4ћ]

la (17) diventa:

𝑒𝑚𝜔

2ћ(𝜆−

𝑧

2)�̅�{−ћ𝜔[

𝜕𝜓0(𝑧)

𝜕𝑧(λ−

𝑧

2) −

1

2𝜓0(𝑧) − 𝜓0(𝑧)

𝑚𝜔�̅�

4ћ(𝜆 −

𝑧

2)] +

𝑚𝜔2

8𝑧𝑧̅ 𝜓0(𝑧)+

ћ𝜔

2𝑧[𝜕𝜓0(𝑧)

𝜕𝑧 − 𝜓0(𝑧)

𝑚𝜔�̅�

4ћ] − 𝜓0(𝑧)

𝑚𝜔2�̅�

2(𝜆 −

𝑧

2) } = 𝜆⊥𝜓0(𝑧)𝑒

𝑚𝜔

2ћ(𝜆−

𝑧

2)�̅�

−ћ𝜔(𝜆 −𝑧

2)𝜕𝜓0(𝑧)

𝜕𝑧+ ћ𝜔

2𝜓0(𝑧) +

ћ𝜔

2𝑧𝜕𝜓0(𝑧)

𝜕𝑧= 𝜆⊥𝜓0(𝑧)

−ћ𝜔𝜆𝜕𝜓0(𝑧)

𝜕𝑧+ћ𝜔

𝑧

2

𝜕𝜓0(𝑧)

𝜕𝑧+

ћ𝜔

2𝑧𝜕𝜓0(𝑧)

𝜕𝑧= 𝜆⊥𝜓0(𝑧) −

ћ𝜔

2𝜓0(𝑧)

−𝜆𝜕𝜓0(𝑧)

𝜕𝑧+z

𝜕𝜓0(𝑧)

𝜕𝑧= (

𝜆⊥

ћ𝜔−

1

2) 𝜓0(z)

Risolviamo l’equazione per separazione di variabile, la derivata non è più parziale perché

compare solo la variabile z

𝑑𝜓0

𝜓0= (

𝜆⊥

ћ𝜔−1

2)

𝑑𝑧

(𝑧−𝜆) ⇒ 𝜓0 = (𝑧 − 𝜆)

(𝜆⊥ћ𝜔−1

2) (18)

z è complesso, affinché 𝜓0 sia analitica l’esponente deve essere un numero intero, positivo e

non nullo: 𝜆⊥

ћ𝜔−1

2=n ⇒

𝝀⊥ = ћ𝜔 (n+𝟏

𝟐) (𝟏𝟗) , 𝒏 ≥ 𝟎

anche con la soluzione circolare ritroviamo gli autovalori di un oscillatore armonico per il

moto “perpendicolare”, ovvero i livelli di Landau. Possiamo immaginare il sistema costituito

da un oscillatore armonico sull’asse x-y.

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Dalla (14), dalla (18) e dalla (19):

𝝍𝝀,𝒏(z, �̅�)= 𝒄𝝀,𝒏(𝒛 − 𝝀)𝒏𝒆

𝒎𝝎

𝟐ћ(𝝀−

𝒛

𝟐)�̅� (𝟐𝟎)

Dove 𝑐𝜆,𝑛 è la costante di normalizzazione, l’autofunzione dipende parametricamente da n e λ.

Troviamo anche in questo caso la degenerazione:

𝑁𝑥∆𝑋 = 𝐿𝑥 ; 𝑁𝑦∆𝑌 = 𝐿𝑦

𝑑𝑒𝑔 = 𝑁𝑦𝑁𝑥 =𝐿𝑥𝐿𝑦

∆𝑋∆𝑌=𝐿𝑥𝐿𝑦

ℎ𝑚𝜔 =

𝛷

(ℎ𝑐𝑒 )

Poiché [𝑋, 𝑌] =𝑖ћ

𝑚𝜔 ⇒ ∆𝑋∆𝑌~

𝑚𝜔

È facile notare che la degenerazione trovata con la prima trattazione quantistica è identica a

questa. Il risultato non ci sorprende perché i due modi di risolvere il problema si differenziano

solo per gli operatori diagonalizzati e la Gauge scelta.

DISCUSSIONE SULLA FUNZIONE D’ONDA: Per lo studio di ψ conviene esprimerla in coordinate cartesiane mediante la (11), tenendo a

mente che il fattore λ non ha restrizioni, quindi può anche essere complesso (𝜆 = 𝜆𝑅 + 𝑖𝜆𝐼).

𝜓𝜆,𝑛(𝑥, 𝑦) = 𝑐𝜆,𝑛[𝑥 − 𝜆𝑅 + 𝑖(𝑦 − 𝜆𝐼)]𝑛𝑒

𝑚𝜔

2ћ(𝜆𝑅𝑥+𝑖𝜆𝐼𝑥−𝑖𝑦𝜆𝑅+𝑦𝜆𝐼−

𝑥2

2−𝑦2

2) (21)

Calcoliamone il modulo quadro per avere la probabilità di trovare l’elettrone

|𝜓𝜆,𝑛(𝑥, 𝑦)|2= |𝑐𝜆,𝑛|

2|𝑥 − 𝜆𝑅 + 𝑖(𝑦 − 𝜆𝐼)|

2𝑛𝑒𝑚𝜔

ћ(𝜆𝑅𝑥+𝑦𝜆𝐼−

𝑥2

2−𝑦2

2) (22)

La forma di |𝜓|2 non è semplice, proviamo a capirne le eventuali simmetrie.

Consideriamo il caso più semplice, quando λ=0 e n=0.

|𝜓0,0(𝑥, 𝑦)|2= |𝑐0,0|

2𝑒−

𝑚𝜔2ћ

(𝑥2+𝑦2)

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Questa è una gaussiana centrata nell’origine. (in figura per tracciare meglio il grafico è stato

preso 𝑚𝜔

2ћ pari a 1)

Consideriamo ora un caso più complesso, ovvero quando n=0, λ≠ 0

|𝜓𝜆,0(𝑥, 𝑦)|2= |𝑐𝜆,0|

2𝑒𝑚𝜔

ћ(𝜆𝑅𝑥+𝑦𝜆𝐼−

𝑥2

2−𝑦2

2)

Anche in questo caso si trova una gaussiana, ma centrata in x=𝜆𝑅 𝑒 𝑦 = 𝜆𝐼

In generale il |𝜓|2 sembra essere una funzione traslata rispetto all’origine in base al valore di

λ ed avere una simmetria circolare sul piano x-y, infatti la proiezione di una gaussiana sul

piano x-y è una circonferenza.

Usando queste due proprietà riscriviamo |𝜓|2.

Facciamo un primo cambio di variabili

{�̃� = 𝑥 − 𝜆𝑅 ⇒ 𝑥 = �̃� + 𝜆𝑅�̃� = 𝑦 − 𝜆𝐼 ⇒ 𝑦 = �̃� + 𝜆𝐼

(23)

𝜆𝑅𝑥 + 𝑦𝜆𝐼 −𝑥2

2−𝑦2

2= 𝜆𝑅(�̃� + 𝜆𝑅)+ 𝜆𝐼(�̃� + 𝜆𝐼) −

(�̃�+𝜆𝑅)2

2−(�̃�+𝜆𝐼)

2

2 =

= 𝜆𝑅2

2 +

𝜆𝐼2

2 −

�̃�2

2−�̃�2

2

La (22) diventa:

|𝜓𝜆,𝑛(�̃�, �̃�)|2= |𝑐𝜆,𝑛|

2𝑒𝑚𝜔

2ћ(𝜆𝑅2+𝜆𝐼

2)|�̃� + 𝑖�̃�|2𝑛𝑒−𝑚𝜔

2ћ(𝑥2+𝑦2) (24)

ora passiamo alle coordinate polari

{�̃� = 𝑟 cos 𝜃�̃� = 𝑟 sin 𝜃

Scriviamo la (24) in coordinate polari, osservando che �̃�2 + �̃�2 = 𝑟2

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|𝜓𝜆,𝑛(𝑟, 𝜃)|2= |𝑐𝜆,𝑛|

2𝑒𝑚𝜔

2ћ(𝜆𝑅2+𝜆𝐼

2)𝑟2𝑛𝑒−𝑚𝜔

2ћ𝑟2 (25)

Calcoliamo la costante di normalizzazione, sapendo che la probabilità deve rispettare la

relazione ∫ |𝜓|2+∞

−∞=1

il differenziale è 𝑑𝑥𝑑𝑦 = 𝑑�̃�𝑑�̃� = 𝑟𝑑𝑟𝑑𝜃

∬ |𝑐𝜆,𝑛|2𝑒𝑚𝜔2ћ

(𝜆𝑅2+𝜆𝐼

2)𝑟2𝑛𝑒−𝑚𝜔2ћ

𝑟2rdrdθ = 1

2𝜋 +∞

0 0

Definendo 𝛼=𝑚𝜔

2𝜋|𝑐𝜆,𝑛|2𝑒𝑚𝜔2ћ

(𝜆𝑅2+𝜆𝐼

2)∫ 𝑟2𝑛+1+∞

0

𝑒−𝛼𝑟2𝑑𝑟 = 1 (26)

analizziamo l’integrale, con la variabile 휀 = 𝑟2 e a differenti valori di n.

∫ 𝑟2𝑛+1+∞

0

𝑒−𝛼𝑟2𝑑𝑟 =

1

2∫ 휀𝑛+∞

0

𝑒−𝛼𝜀𝑑휀

Per n=0:

1

2∫ 𝑒−𝛼𝜀+∞

0

𝑑휀 =1

2𝛼

per n=1:

−1

2

𝜕

𝜕𝛼(∫ 𝑒−𝛼𝜀

+∞

0

𝑑휀) =1

2[−

𝜕

𝜕𝛼(1

𝛼)]

in generale si trova la relazione:

∫ 𝑟2𝑛+1+∞

0

𝑒−𝛼𝑟2𝑑𝑟 =

1

2∫ 휀𝑛+∞

0

𝑒−𝛼𝜀𝑑휀 = (−1)𝑛1

2

𝜕𝑛

𝜕𝛼𝑛(1

𝛼)

𝜕𝑛

𝜕𝛼𝑛(1

𝛼) =

(−1)𝑛𝑛!

𝛼𝑛+1⇒

∫ 𝑟2𝑛+1+∞

0

𝑒−𝛼𝑟2𝑑𝑟 =

1

2∫ 휀𝑛+∞

0

𝑒−𝛼𝜀𝑑휀 = 𝑛!

2𝛼𝑛+1 (27)

Usando questa relazione e ricordando che |𝜆|2 = 𝜆𝑅

2 + 𝜆𝐼2, riscriviamo la (26):

2𝜋|𝑐𝜆,𝑛|2𝑒𝑚𝜔

2ћ|𝜆|2 𝑛!

2𝛼𝑛+1= 1 ⇒ |𝑐𝜆,𝑛|

2= 𝑒− 𝑚𝜔2ћ

|𝜆|2

𝜋𝑛!𝛼𝑛+1 =

𝑒− 𝑚𝜔2ћ

|𝜆|2

𝜋𝑛!(𝑚𝜔

2ћ)𝑛+1

(28)

la (20) diventa:

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𝝍𝝀,𝒏(𝐳, �̅�) = 𝟏

√𝝅𝒏!(𝒎𝝎

𝟐ћ)

𝒏+𝟏𝟐(𝒛 − 𝝀)𝒏𝒆

𝒎𝝎𝟐ћ

[(𝝀−𝒛𝟐)�̅�−

|𝝀|𝟐

𝟐] (𝟐𝟎)

Utilizzando la (28), la (25) diventa:

|𝛙𝛌,𝐧(𝐫, 𝛉)|𝟐=

𝟏

𝛑𝐧!(𝐦𝛚

𝟐ћ)𝐧+𝟏

𝐫𝟐𝐧𝐞−𝐦𝛚𝟐ћ

𝐫𝟐 (𝟐𝟓)

Calcoliamo ora ⟨𝑥⟩ 𝑒 ⟨𝑦⟩:

⟨𝑥⟩ = ∬𝑥 |𝜓𝜆,𝑛|2𝑑𝑥𝑑𝑦

Risolviamo l’integrale nelle nuove coordinate, usando le rispettive trasformazioni e la (25):

⟨𝑥⟩ = ∬ (𝑟 cos 𝜃 + 𝜆𝑅) |𝑐𝜆,𝑛|2𝑒𝑚𝜔2ћ

|𝜆|2𝑟2𝑛+1𝑒−𝑚𝜔2ћ

𝑟2𝑑𝑟𝑑𝜃

2𝜋 𝑟

0 0

=

= |𝑐𝜆,𝑛|2𝑒𝑚𝜔2ћ

|𝜆|2 [∬ cos 𝜃 𝑟2𝑛+2𝑒−𝑚𝜔2ћ

𝑟2𝑑𝑟𝑑𝜃

2𝜋 𝑟

0 0

+ ∬ 𝜆𝑅𝑟2𝑛+1𝑒−

𝑚𝜔2ћ

𝑟2𝑑𝑟𝑑𝜃

2𝜋 𝑟

0 0

]

Il primo integrale è zero perché ∫ cos 𝜃 𝑑𝜃2𝜋

0=0

Il secondo lo riscriviamo utilizzando la (28):

⟨𝑥⟩ = |𝑐𝜆,𝑛|2𝑒𝑚𝜔2ћ

|𝜆|2𝜆𝑅𝜋𝑛! (2ћ

𝑚𝜔)𝑛+1

Dalla (28):

⟨𝑥⟩ = 𝜆𝑅 (29)

Analogamente calcoliamo ⟨𝑦⟩:

⟨𝑦⟩ = ∬𝑦 |𝜓𝜆,𝑛|2𝑑𝑥𝑑𝑦

⟨𝑦⟩ = |𝑐𝜆,𝑛|2𝑒𝑚𝜔2ћ

|𝜆|2 ∬ (𝑟 sin 𝜃 + 𝜆𝐼) 𝑟2𝑛+1𝑒−

𝑚𝜔2ћ

𝑟22𝜋 𝑟

0 0

𝑑𝑟𝑑𝜃

= |𝑐𝜆,𝑛|2𝑒𝑚𝜔2ћ

|𝜆|2 [∬ sin 𝜃 𝑟2𝑛+2𝑒−𝑚𝜔2ћ

𝑟22𝜋 𝑟

0 0

𝑑𝑟𝑑𝜃 + ∬ 𝜆𝐼𝑟2𝑛+1𝑒−

𝑚𝜔2ћ

𝑟22𝜋 𝑟

0 0

𝑑𝑟𝑑𝜃]

Esattamente come in precedenza il primo integrale è nullo poiché ∫ sin 𝜃2𝜋

0=0

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Il secondo conviene riscriverlo utilizzando la (28): ⟨𝑦⟩ = 𝜆𝐼 (30)

FUNZIONE DI LAUGHLIN:

Dalla (29) e dalla (30) è facile rendersi conto che l’autovalore λ dà un’informazione su dove si

trovi uno stato, la parte immaginaria e quella reale coincidono rispettivamente con la media

della coordinata y e x. Il rispettivo operatore �̂� + 𝑖�̂� è quello che permette di collocare uno

stato del nostro sistema in punti diversi dello spazio al variare di λ. In analogia ed osservando

la (19) possiamo dedurre che l’autovalore 𝜆⊥ sia relazionato all’energia del sistema, ed il

rispettivo operatore 𝐻⊥ permette di descrivere stati con differenti energie al variare di 𝜆⊥o n.

Come è stato già discusso la funzione d’onda del sistema 𝜓𝜆,𝑛(𝑥, 𝑦) è fortemente degenere in

quanto dipende parametricamente da λ e da n. Questo significa che esistono funzioni con

stesso valore di λ, ma diverso di n e viceversa, ovvero funzioni che sono collocate in uno

stesso punto dello spazio pur avendo energie differenti. Il nostro obbiettivo è quello di

scrivere un sistema di N elettroni in un ipotetico stato fondamentale, ovvero dove tutti hanno

la medesima energia. Gli elettroni, in generale i fermioni, devono avere, per il principio di

Pauli, la parte spaziale della funzione d’onda antisimmetrica o più semplicemente non

possono “stare” nello stesso stato quantico. Ricordiamo che non stiamo considerando lo spin,

se questo venisse considerato due elettroni con spin opposto potrebbero essere descritti dalla

stessa funzione d’onda. Dalle considerazioni fatte sui due operatori �̂� + 𝑖�̂� 𝑒 𝐻⊥̂ e sui

rispettivi autovalori, possiamo facilmente risolvere il problema immaginando di prendere

stati con stessa energia, ovvero stesso valore di n, ma collocati in più punti dello spazio,

ovvero con differente λ.

Ora vogliamo diagonalizzare (�̂�2 + �̂�2, �̂�⊥), entrambi hermitiani.

Poiché λ è autovalore di �̂� + 𝑖�̂�:

(�̂� + 𝑖�̂�)𝜓0,𝑛(𝑥, 𝑦) = (�̂� + 𝑖�̂�)|𝜆 = 0, 𝑛⟩ = 0

E ricordandoci che [�̂�; �̂�] =𝑖ћ

𝑚𝜔 e [�̂�; �̂�]=[�̂�; �̂�]=0

[�̂� + 𝑖�̂�; �̂� − 𝑖�̂�] =2ћ

𝑚𝜔

Osservando queste due relazioni ci si rende conto che le proprietà di �̂� + 𝑖�̂� sono molto simili

a quelle dell’operatore �̂� che si usa nella trattazione dell’oscillatore armonico. L’unica

differenza è nel commutatore di �̂� + 𝑖�̂� con il suo complesso coniugato, che differisce per una

costante dal risultato armonico.

Definiamo due operatori �̃� e �̃�+:

�̃� = √𝑚𝜔

2ћ(�̂� + 𝑖�̂�)

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(31)

�̃�+ = √𝑚𝜔

2ћ(�̂� − 𝑖�̂�)

Con queste definizioni [�̃�; �̃�+]=1.

Questa è esattamente la stessa legge di commutazione fra gli operatori 𝑎 e 𝑎+. Ne deduciamo

che gli autovalori di �̂�2 + �̂�2 possono essere trattati a mo’ d’oscillatore armonico. Osservando

il problema nella sua interezza e la scrittura dell’operatore 𝜆⊥come compare nella (19) ci

rendiamo conto che il sistema può essere visto come due oscillatori armonici, uno di natura

spaziale (�̂�2 + �̂�2) ed uno di natura energetica (�̂�⊥)

Definiamo un operatore numero: �̂�=�̃�+�̃�

Dalla (31) e la relazione [�̂�, �̂�] =𝑖ћ

𝑚𝜔

�̂� =𝑚𝜔

2ћ(�̂� + 𝑖�̂�)(�̂� − 𝑖�̂�) =

𝑚𝜔

2ћ(�̂�2 + �̂�2 − 𝑖[�̂�, �̂�]) =

𝑚𝜔

2ћ(�̂�2 + �̂�2) +

1

2

�̂�𝜓0,𝑛 = 0

[�̂�; �̃�+] = [𝑚𝜔

2ћ(�̂�2 + �̂�2) +

1

2 ; √

𝑚𝜔

2ћ(�̂� − 𝑖�̂�)] =

𝑚𝜔

2ћ√𝑚𝜔

2ћ([�̂�2; �̂�] − 𝑖[�̂�2; �̂�])

= √𝑚𝜔

2ћ(�̂� + 𝑖�̂�) = �̃�+ (32)

Esattamente come per l’oscillatore armonico costruiamo gli stati partendo da quello

fondamentale ed usando l’operatore di salita �̃�+.

�̃�|𝜆 = 0; 𝑛⟩ =�̃�𝜓0,𝑛 = 0

Usiamo la (32) e calcoliamo:

�̂��̃�+|𝜆 = 0; 𝑛⟩ =�̃�+�̃� [�̃�+𝜓0,𝑛] = ([�̂�; �̃�+] + �̃�+�̂�)𝜓0,𝑛 = (�̃�+ +

�̃�+�̂�)𝜓0,𝑛=�̃�+𝜓0,𝑛

�̂� [(�̃�+)2𝜓0,𝑛] = 2(

1

√2!(�̃�+)

2𝜓0,𝑛)

In generale

�̂� [(�̃�+)𝑘𝜓0,𝑛] = 𝑘 (

1

√𝑘!(�̃�+)

𝑘𝜓0,𝑛) (33)

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Abbiamo ritrovato i livelli di un oscillatore armonico al variare di un numero quantico.

Per semplicità adottiamo la notazione secondo la quale, il numero quantico K-esimo viene

messo come apice nella funzione d’onda, mentre tutti gli altri come pedici. Inoltre siccome

λ=0 ed n ≠ 0 facciamo a meno di trascriverli.

𝜓𝑘 =(�̃�+)𝑘

√𝑘!𝜓0 (34)

Naturalmente vale 𝐻⊥𝜓

𝑘 = 𝐸𝑛𝜓𝑘 .

La nuova funzione d’onda 𝜓𝑘 non è più autofunzione dell’operatore �̂� + 𝑖�̂� , ma di �̂� e quindi

l’autovalore 𝑘 ha preso il posto di λ. In sostanza ho spostato il mio problema da un autovalore

all’altro, ma non ho alterato i concetti fisici di base discussi in precedenza. Per rappresentare

un sistema di elettroni, consideriamo, per semplicità, lo stato fondamentale, ovvero quello ad

energia minore. Questi sarà descritto dal primo livello di Landau, quando il numero quantico

𝒏 = 𝟎 .

È possibile rappresentare un solo elettrone nel primo stato, ovvero quando k=0.

Dalla (25) e dalla (28):

𝜓0,0𝑘=0(𝑧, 𝑧̅) = 𝜓0(𝑧, 𝑧̅) = 𝑐0,0𝑒

−𝑚𝜔4ћ

𝑧�̅� = √𝑚𝜔

2ћ𝜋𝑒−

𝑚𝜔4ћ

𝑧�̅� (35)

Usando la (31), la (1), la (11), la (12) e la definizione dell’operatore velocità riscriviamo �̃�+:

�̃�+ = √𝑚𝜔

2ћ(�̂� − 𝑖�̂�) = √

𝑚𝜔

2ћ(x −

𝑣𝑦𝜔 − i𝑦 − 𝑖

𝑣𝑥𝜔 )

= √𝑚𝜔

2ћ[x −

1

𝑚𝜔(−𝑖ћ

𝜕

𝜕𝑦+𝑒

𝑐𝐴𝑦) − i𝑦 −

𝑖

𝑚𝜔(−𝑖ћ

𝜕

𝜕𝑥+𝑒

𝑐𝐴𝑥) ]

= √𝑚𝜔

2ћ[x +

𝑖ћ

𝑚𝜔 𝜕

𝜕𝑦−

𝑒𝐵𝑥

2𝑚𝜔𝑐− i𝑦 −

ћ

𝑚𝜔 𝜕

𝜕𝑥+ 𝑖

𝑒𝐵𝑦

2𝑚𝜔𝑐]

= √𝑚𝜔

2ћ[ 𝑥

2 − i

𝑦

2−

ћ

𝑚𝜔(𝜕

𝜕𝑥− 𝑖

𝜕

𝜕𝑦)] = √

𝑚𝜔

2ћ[𝑧̅

2−2ћ

𝑚𝜔

𝜕

𝜕𝑧]

Usando questa relazione calcoliamo le altre autofunzioni al variare di k.

Dalla (34), con 𝑘 = 1:

𝜓1(𝑧, 𝑧̅) = �̃�+𝜓0 = √𝑚𝜔

2ћ𝜋√𝑚𝜔

2ћ[𝑧̅

2−2ћ

𝑚𝜔

𝜕

𝜕𝑧] 𝑒−

𝑚𝜔4ћ

𝑧�̅� =𝑚𝜔

1

√𝜋𝑧̅𝑒−

𝑚𝜔4ћ

𝑧�̅� ⇒

𝜓1 = √𝑚𝜔

2ћ𝑧̅𝜓0 (36)

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Dalla (34), con k=2.

𝜓2(𝑧, 𝑧̅) =(�̃�+)2

√2!𝜓0 =

1

√2!�̃�+𝜓1 =

1

√2!√(𝑚𝜔

2ћ)3 1

√𝜋[𝑧̅

2−2ћ

𝑚𝜔

𝜕

𝜕𝑧] 𝑧̅𝑒−

𝑚𝜔4ћ

𝑧�̅�

=1

√2!√(𝑚𝜔

2ћ)3 1

√𝜋𝑧̅2𝑒−

𝑚𝜔4ћ

𝑧�̅� =1

√2!

𝑚𝜔

2ћ𝑧̅2𝜓0 (37)

Per k generico e chiamando la costante √𝑚𝜔

2ћ=A vale la relazione

𝝍𝒌 =𝟏

√𝒌!𝑨𝒌�̅�𝒌𝝍𝟎 (𝟑𝟖)

|𝝍𝒌|𝟐=𝑨𝟐𝒌

𝒌!𝒛𝟐𝒌𝝍𝟎

|𝜓𝑘|2∝ z2ke−z

2

Tracciamo il grafico: k=0

k=1

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k=2

k=3

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Questa segue lo stesso andamento della (25).

Per semplicità consideriamo il primo livello di Landau. La (34) ci permette di trovare tutti gli

stati accessibili al singolo elettrone al variare del parametro k. Il modulo quadro di queste

funzioni d’onda è una gaussiana che parte dall’origine (per k=0) e si allontana

progressivamente all’aumentare di k. La probabilità di trovare l’elettrone non è quindi un

valore statico, ma si propaga nello spazio. k non ha alcun limite in quanto l’abbiamo ricavato

da un problema di tipo oscillatore armonico quantistico. In realtà abbiamo semplicemente

omesso la possibilità che il problema si potesse trovare in un ambiente reale e quindi abbiamo

ipotizzato tutte le dimensioni infinite. Nel caso di una struttura reale bidimensionale con

dimensioni finite, la probabilità non può propagarsi liberamente, ma ha un valore limite, un massimo.

Partiamo dal primo stato, quello con k=0. Conosciamo già la sua espressione dalla (22) e dalla (28):

|𝜓0|2 = |𝜓0,0(𝑧, 𝑧̅)|2=𝑚𝜔

2ћ𝜋𝑒−

𝑚𝜔2ћ

𝑧�̅�

Dalla (34) e dalla (38):

|𝜓𝑘|2= |(�̃�+)𝑘

√𝑘!𝜓0|

2

=1

𝑘!(𝑚𝜔

2ћ)𝑘

(𝑧𝑧̅)𝑘𝑚𝜔

2ћ𝜋𝑒−

𝑚𝜔2ћ

𝑧�̅�

Con z𝑧̅=𝑅2

|𝜓𝑘|2=

1

𝑘! 𝜋(𝑚𝜔

2ћ)𝑘+1

𝑅2𝑘𝑒−𝑚𝜔2ћ

𝑅2

Con 𝜔 =𝑒𝐵

𝑚𝑐per trovare il massimo pongo

𝜕|𝜓𝑘|2

𝜕𝑅= 0 ⇒

1

𝑘! 𝜋(𝑚𝜔

2ћ)𝑘+1

(2𝑘𝑅2𝑘−1 −𝑚𝜔

ћ𝑅2𝑘+1) 𝑒−

𝑚𝜔2ћ

𝑅2

⇒ 𝑘𝑅2𝑘−1 −𝑚𝜔

ћ𝑅2𝑘+1 = 0 ⇒ 𝑅2 =

2ћ𝑐

𝑒𝐵𝑘 (50)

La condizione di dimensioni limitate la esprimiamo con la relazione 𝜋𝑅𝑚𝑎𝑥2 = 𝐴𝑟𝑒𝑎 = 𝐴

La (50) diventa, tenendo a mente che BA è un flusso (Φ):

𝒌𝒎𝒂𝒙 =𝒆𝑩𝑨

𝟐ћ𝒄𝝅=𝒆𝜱

𝒉𝒄=

𝜱

𝜱𝒆𝒍𝒆= 𝒅𝒆𝒈 (𝟓𝟎)

ℎ𝑐

𝑒 →flusso elementare

𝑘𝑚𝑎𝑥 rappresenta l’ultimo livello che può occupare l’elettrone, ovvero è la degenerazione del sistema

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FUNZIONE D’ONDA PER PIU’ ELETTRONI: La (38) è la funzione d’onda che rappresenta stati differenti di un elettrone al variare di k. Se

volessimo rappresentare un numero N di elettroni dovremmo partire da questa, costruendo

una funzione d’onda antisimmetrica per rispettare il principio di Pauli, come è stato già

discusso in precedenza. L’antisimmetrizzazione di una funzione è un problema noto in

meccanica quantistica, basti pensare all’atomo di He. Partiamo proprio da questo esempio:

𝜓2𝑒𝑙𝑒𝑡𝑡𝑟𝑜𝑛𝑖 =1

√2[𝜓1(𝑟1)𝜓2(𝑟2) − 𝜓1(𝑟2)𝜓2(𝑟1)]

Questa è antisimmetrica perché per lo scambio 𝑟1 → 𝑟2 sì ha 𝜓2𝑒𝑙𝑒 → − 𝜓2𝑒𝑙𝑒

Usando questa funzione e la (38) per k=0 e k=1 otteniamo:

𝜓2𝑒𝑙𝑒𝑡𝑡𝑟𝑜𝑛𝑖 =1

√2[𝜓0(𝑧1, 𝑧1̅)𝜓

1(𝑧2, 𝑧2̅) − 𝜓0(𝑧2, 𝑧2̅)𝜓

1(𝑧1, 𝑧1̅)]

Per brevità di notazione 𝜓(𝑧1, 𝑧1̅) → 𝜓(𝑧1)

Dalla (38) e dalla (35):

𝜓2𝑒𝑙𝑒𝑡𝑡𝑟𝑜𝑛𝑖 =1

√2[𝜓0(𝑧1)𝜓

0(𝑧2)𝑧2̅𝐴 − 𝜓0(𝑧2)𝜓

0(𝑧1)𝑧1̅𝐴]

=𝐴

√2(𝑧2̅ − 𝑧1̅)𝜓

0(𝑧2)𝜓0(𝑧1) =

𝐴3

√2(𝑧2̅ − 𝑧1̅)

1

𝜋𝑒−

𝑚𝜔4ћ

(𝑧1�̅�1+𝑧2�̅�2)

=1

𝜋√2√(𝑚𝜔

2ћ)3

(𝑧2̅ − 𝑧1̅)𝑒−𝑚𝜔4ћ

(|𝑧1|2+|𝑧2|

2) (39)

Seguendo la stessa logica è possibile costruire una funzione d’onda antisimmetrica per 3

elettroni:

𝜓3𝑒𝑙𝑒𝑡𝑡𝑟𝑜𝑛𝑖 =1

√6[𝜓0(𝑧1)𝜓

1(𝑧2)𝜓2(𝑧3) − 𝜓

0(𝑧2)𝜓1(𝑧1)𝜓

2(𝑧3)

+ 𝜓0(𝑧2)𝜓1(𝑧3)𝜓

2(𝑧1) − 𝜓0(𝑧3)𝜓

1(𝑧2)𝜓2(𝑧1)

+ 𝜓0(𝑧3)𝜓1(𝑧1)𝜓

2(𝑧2) − 𝜓0(𝑧1)𝜓

1(𝑧3)𝜓2(𝑧2)]

=1

√6{𝜓2(𝑧3)[𝜓

0(𝑧1)𝜓1(𝑧2) − 𝜓

0(𝑧2)𝜓1(𝑧1)]

+ 𝜓2(𝑧1)[𝜓0(𝑧2)𝜓

1(𝑧3)𝜓2 − 𝜓0(𝑧3)𝜓

1(𝑧2)]

+ 𝜓2(𝑧2)[𝜓0(𝑧3)𝜓

1(𝑧1) − 𝜓0(𝑧1)𝜓

1(𝑧3)]}

I valori in parentesi quadra sono i medesimi calcolati per 𝜓2𝑒𝑙𝑒𝑡𝑡𝑟𝑜𝑛𝑖.

Dalla (35) e dalla (38):

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𝜓3𝑒𝑙𝑒𝑡𝑡𝑟𝑜𝑛𝑖 =1

𝜋√12√(𝑚𝜔

2ћ)3

[𝜓2(𝑧3)(𝑧2̅ − 𝑧1̅)𝑒−𝑚𝜔4ћ

(|𝑧1|2+|𝑧2|

2)

+ 𝜓2(𝑧1)(𝑧3̅ − 𝑧2̅)𝑒−𝑚𝜔4ћ

(|𝑧3|2+|𝑧2|

2)+ 𝜓2(𝑧2)(𝑧1̅ − 𝑧3̅)𝑒

−𝑚𝜔4ћ

(|𝑧1|2+|𝑧3|

2)]

=1

√2

𝑒−𝑚𝜔4ћ

(|𝑧1|2+|𝑧2|

2+|𝑧3|2)

√12𝜋3√(𝑚𝜔

2ћ)6

[𝑧3̅2(𝑧2̅ − 𝑧1̅) + 𝑧2̅

2(𝑧1̅ − 𝑧3̅)

+ 𝑧1̅2(𝑧3̅ − 𝑧2̅)]

=1

√2

𝑒−𝑚𝜔4ћ

(|𝑧1|2+|𝑧2|

2+|𝑧3|2)

√12𝜋3√(𝑚𝜔

2ћ)6

[−(𝑧1̅ − 𝑧2̅)(𝑧2̅ − 𝑧3̅)(𝑧1̅ − 𝑧3̅)]

Di conseguenza per N elettroni:

𝜓𝑁 𝑒𝑙𝑒𝑡𝑡𝑟𝑜𝑛𝑖 = 𝐶𝑓(𝑧1̅, … . . , 𝑧�̅�)𝑒−𝑚𝜔4ћ

∑ |𝑧𝑖|2𝑁

𝑖=1 (40)

Con 𝑓(�̅�1,… . . , �̅�𝑁) = ∏ (�̅�𝑖− 𝑧�̅�)𝑁

𝑖,𝑗=1𝑖<𝑗

Questa non è la funzione di Laughlin, infatti non compare 𝑧̅ ,ma z. Osserviamo la (9), la scelta

di Gauge simmetrica conserva la simmetria di rotazione rispetto all’origine:

𝐻⊥∗(𝐵) = 𝐻⊥(−𝐵)

𝐻⊥(𝐵)𝜓 = 𝐸𝜓

𝐻⊥(−𝐵)𝜓∗ = 𝐸𝜓

Questo ci permette di modificare di un segno il campo magnetico scelto, anche a questo punto,

senza ledere ai ragionamenti ed ai calcoli fatti. Il nuovo campo magnetico è �⃗� = −𝐵�̂�.

𝝍𝑵 𝒆𝒍𝒆𝒕𝒕𝒓𝒐𝒏𝒊 = 𝑪𝒇(𝒛𝟏, … . . , 𝒛𝑵)𝒆−𝒎𝝎𝟒ћ

∑ |𝒛𝒊|𝟐𝑵

𝒊=𝟏 (𝟒𝟏)

con 𝒇(𝒛𝟏,… . . , 𝒛𝑵) = ∏ (𝒛𝒊 −𝒛𝒋)𝑵

𝒊,𝒋=𝟏𝒊<𝒋

(𝟒𝟐)

La (41) è la funzione di Laughlin che ci permette di descrivere un sistema di N elettroni.

Questa è stata ricavata trascurando lo spin e l’interazione tra gli elettroni.

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EFFETTO HALL

Un’applicazione di un sistema di elettroni in un campo magnetico è l’effetto Hall. In fisica, in

particolare in elettromagnetismo, l'effetto Hall è la formazione di una differenza di potenziale,

detto potenziale di Hall, sulle facce opposte di un conduttore elettrico dovuta a un campo

magnetico perpendicolare alla corrente elettrica che scorre in esso. Prende il nome da Edwin

Hall il primo che si occupò del fenomeno nel 1879.

EFFETTO HALL CLASSICO

Per effetto Hall classico si intende il fenomeno osservato nell’esperimento del 1879 da Edwin Hall.

In figura è rappresentata la cosiddetta “barretta Hall”. Immaginiamo di avere N elettroni liberi

sul piano 𝑥𝑦 soggetti ad un campo elettrico �⃗� lungo x che genera una densità di corrente 𝐽 ,

mentre il campo magnetico �⃗� è perpendicolare al piano lungo la direzione z. Per via del

contributo magnetico alla forza di Lorentz FB gli elettroni si spostano sul bordo superiore

della barretta creando un accumulo di carica negativa. La differenza fra la carica del bordo

superiore e di quello inferiore genera un campo elettrico e una conseguente forza FE che

all’equilibrio bilancia FB. L’unica componente della densità di corrente nel regime stazionario

risulta pertanto quella lungo l’asse x. Nell’esperimento originale l’obiettivo era quello di

stabilire il segno dei portatori di carica nei metalli. A tal fine vennero utilizzate sottili lamine

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di vari metalli, considerando il sistema almeno in prima approssimazione bidimensionale. Per

studiare il moto degli elettroni nel metallo è conveniente applicare il modello di Drude. In

base a questo, si può assumere che il moto degli elettroni nel metallo sia accelerato dalle forze

esterne agenti su di essi negli intervalli fra i vari eventi di scattering a cui sono soggetti. Questi

ultimi sono principalmente di tre tipi: scattering con le impurezze reticolari, interazione

elettrone-elettrone e interazione elettrone-fonone. La loro importanza relativa è legata alla

purezza del campione, alla densità di elettroni in esso presenti e alla temperatura a cui viene

svolto l’esperimento. La forza che agisce sul sistema nel caso in esame è quella di Lorentz:

𝐹 = −𝑒 [�⃗� +𝑣𝐷𝑐× �⃗� ] = 𝐹𝐸⃗⃗⃗⃗ + 𝐹𝐵⃗⃗⃗⃗

L’equazione del moto di un singolo elettrone è:

𝑑𝑝

𝑑𝑡= −

𝑝

𝜏+ 𝐹

dove 𝑝 = 𝑚𝑒𝑣 è il momento dell’elettrone e τ `e il tempo medio che intercorre fra due eventi

di scattering successivi in cui esso è coinvolto. Il regime stazionario è raggiunto quando 𝑑𝑝

𝑑𝑡= 0

ed evidenzia una velocità di deriva costante.

𝑣𝐷⃗⃗ ⃗⃗ = −𝜏𝑒

𝑚𝑒[�⃗� +

𝑣𝐷⃗⃗ ⃗⃗

𝑐× �⃗� ]

La densità di corrente è definita come

𝐽 = −𝑛𝑒𝑣𝐷⃗⃗ ⃗⃗

Dove 𝑛 =𝑁

𝐿𝑥𝐿𝑦 rappresenta la densità bidimensionale degli elettroni. Con questi elementi

ricaviamo una relazione per il campo elettrico:

�⃗� =𝑚𝑒

𝑛𝜏𝑒2𝐽 −

𝐵

𝑛𝑒𝑐�̂� × 𝐽

Questa espressione permette di dare una scrittura esplicita del tensore di resistività �̂�, che

lega i vettori �⃗� 𝑒 �⃗⃗� secondo la relazione matriciale �⃗� = �̂�𝐽 . Con �̂� nella forma:

�̂� = (

𝑚𝑒

𝑛𝜏𝑒2𝐵

𝑛𝑒𝑐

−𝐵

𝑛𝑒𝑐

𝑚𝑒

𝑛𝜏𝑒2

)

Si osserva che nel caso B = 0 il tensore diviene diagonale e si ritrova l’usuale proporzionalità

fra �⃗� 𝑒 �⃗⃗� in cui la resistività è quella prevista dal modello di Drude. Nel caso B ≠0 ciò cessa di essere vero. La matrice di resistività può essere invertita per ottenere il tensore di conducibilità.

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�̂� =

(

𝜌𝑥𝑥𝜌𝑥𝑥2 + 𝜌𝑥𝑦2

−𝜌𝑥𝑦

𝜌𝑥𝑥2 + 𝜌𝑥𝑦2

𝜌𝑥𝑦

𝜌𝑥𝑥2 + 𝜌𝑥𝑦2𝜌𝑥𝑥

𝜌𝑥𝑥2 + 𝜌𝑥𝑦2 )

Dalla forma di �̂� si osserva che 𝜌𝑥𝑥 = 𝜌𝑦𝑦 𝑒 𝜌𝑥𝑦 = −𝜌𝑦𝑥

Da quanto detto si ricava che, sotto la condizione 𝜌𝑥𝑦 ≠ 0, l’annullamento di 𝜌𝑥𝑥 implica 𝜎𝑥𝑥 =

0 e viceversa. Occorre ora studiare la dinamica del sistema. Suppongo che inizialmente vi sia

solo la componente 𝐽𝑥della densità di corrente. A causa del contributo magnetico alla forza di

Lorentz 𝐹𝐵 gli elettroni si accumulano sul bordo superiore della barretta e portano un

contributo 𝐽𝑦 alla densità di corrente. Ciò fa si che si instauri un campo elettrico trasverso e di

una conseguente forza elettrica 𝐹𝐸 (vedi figura) di verso opposto a 𝐹𝐵. Il raggiungimento del

regime stazionario si ottiene quando |𝐹𝐸⃗⃗⃗⃗ | = |𝐹𝐵⃗⃗⃗⃗ |. In questa situazione si ha nuovamente che

solo la componente 𝐽𝑥 della densità di corrente circola nel campione. Si giunge pertanto alle

relazioni:

𝐸𝑥 =𝑚𝑒

𝑛𝜏𝑒2𝐽𝑥

𝐸𝑦 = −𝐵

𝑛𝑒𝑐𝐽𝑦

In base a queste considerazioni si ha che agli estremi della barretta si possono misurare due

distinte differenze di potenziale, la prima longitudinale fra i terminali A e C (vedi figura), che

indico con 𝑉𝐿, e la seconda trasversa fra i terminali A e G, che prende il nome di potenziale Hall

e che si indica usualmente con 𝑉𝐻. Nel caso in cui le componenti di �⃗� e 𝐽 possano essere

considerate costanti e uniformi per tutta la grandezza del campione avremo che la corrente in

esso circolante è data da:

𝐼 = 𝐽𝑥𝐿𝑦

Grazie a questa si ottiene:

𝑉𝐿 = 𝐸𝑥𝐿𝑥 =𝑚𝑒

𝑛𝜏𝑒2𝐽𝑥𝐿𝑥 =

𝑚𝑒

𝑛𝜏𝑒2𝐼𝐿𝑥𝐿𝑦

(43)

𝑉𝐻 = 𝐸𝑦𝐿𝑦 = −𝐵

𝑛𝑒𝑐𝐽𝑥𝐿𝑦 = −

𝐵

𝑛𝑒𝑐𝐼

Il segno di 𝑉𝐻 `e direttamente legato a quello dei portatori di carica. A questo punto `e

possibile introdurre le resistenze:

𝑅𝐿 =|𝑉𝐿|

|𝐼|=

𝑚𝑒

𝑛𝜏𝑒2𝐿𝑥𝐿𝑦= 𝜌𝑥𝑥

𝐿𝑥𝐿𝑦

(44)

𝑅𝐻 =|𝑉𝐻|

|𝐼|=

𝐵

𝑛𝑒𝑐= 𝜌𝑥𝑦

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Mentre la prima grandezza dipende dal rapporto delle dimensioni della barretta, la seconda è

completamente indipendente dalla geometria del sistema. Ciò e una diretta conseguenza della

bidimensionalità del campione. 𝑹𝑯 ha una dipendenza lineare dal campo magnetico �⃗⃗� .

EFFETTO HALL QUANTISTICO INTERO

Nel 1980, ad un secolo dalla scoperta dell’effetto Hall classico, K. von Klitzing, studiando

l’effetto Hall con un campo magnetico molto intenso (~10 T) e ad una temperatura sull’ordine

dei milliKelvin in un MOSFET di Silicio, ottenne un risultato inaspettato.

Si osservò, in primo luogo, che la resistenza di Hall in tali condizioni non è più una funzione lineare

del campo magnetico, ma rimane costante in corrispondenza di alcuni intervalli del valore del campo.

In secondo luogo, la resistenza longitudinale (definita come il rapporto tra differenza di potenziale alle

estremità di uno stesso lato del sistema elettronico e la corrente iniettata nello stesso) si annulla in

corrispondenza degli stessi intervalli del valore del campo, pertanto il sistema elettronico si comporta

come se fosse un superconduttore in quanto supporta un flusso di corrente non dissipativo. La

formazione dei cosiddetti “plateaux” è strettamente relazionata ad un numero intero 𝜈.

Riprendiamo la forma di 𝑅𝐻 vista nella trattazione classica:

𝑅𝐻 =𝐵

𝑛𝑒𝑐=

𝐵𝐴

𝑁𝑒𝑒𝑐=

𝛷

𝑁𝑒ℎ𝑐

𝑒

𝑒

ℎ𝑐𝑒𝑐

Ma 𝛷ℎ𝑐

𝑒

è esattamente la degenerazione dello stato fondamentale, ovvero del primo livello di

Landau, che indicheremo con deg1.

𝑹𝑯 =𝒅𝒆𝒈𝟏

𝑵𝒆𝒆𝟐

𝒉

=𝒉

𝝂𝒆𝟐

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In genere:

𝝂 =𝑵𝒆𝒅𝒆𝒈

(𝟒𝟗)

Occorre fare chiarezza sul perché tale effetto prende il nome di effetto hall intero e se questo è

un caso particolare di uno più generale. A priori, senza entrare nello specifico, possiamo

affermare che esiste un effetto hall di tipo frazionario la cui trattazione è molto più complessa.

Questi due fenomeni si differenziano in base alla quantità 𝜈

Possiamo riscrivere la (49), usando la (50), come:

𝝂 =𝜱𝒆𝒍𝒆𝑵𝒆𝜱

Affinché 𝜈 sia un numero intero, ad esempio valga 1 è necessario che il numero di elettroni sia uguale alla degenerazione. Questo si verifica solamente se il primo livello di Landau è completamente riempito, allo stesso modo se 𝜈 vale 2 implica che l’intero secondo livello è occupato e così via.

Concludendo l’effetto hall quantistico intero si verifica quando i livelli di Landau sono completamente pieni, ovvero se 𝜈 è intero.

Questo spiega la non linearità del campo magnetico, ma non la formazione dei plateaux.

Immaginiamo di considerare due livelli di Landau, uno ad energia minore a cui diamo il nome

di “banda di valenza” ed uno ad energia maggiore “banda di conduzione”. Il livello di fermi è

l’ultimo livello, in termini energetici, occupato da un sistema fermionico. Se questo si trova

esattamente nel gap implica che la banda di valenza è riempita. Di conseguenza spostando tale

livello, rimanendo sempre nel gap, il numero di elettroni di valenza rimane il medesimo e di

conseguenza non cambia il valore della resistenza di Hall. Lo spostamento del livello di fermi è

provocato dall’aumento o la diminuzione dell’intensità di campo magnetico. Variare l’intensità

del campo di una piccola quantità significa spostare il livello di Fermi in stati localizzati che

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non contribuiscono, a causa delle impurità, alla resistenza 𝑅𝐻. Ciò implica che la resistenza di

Hall rimane costante per un intervallo breve, formando dei plateaux.

EFFETTO HALL FRAZIONARIO:

Pur non potendo trattare questo fenomeno a causa della sua complessità a questo livello, ne deduciamo, per quanto detto in precedenza che si verifica quando 𝜈 non è intero e quindi quando i livelli di Landau sono parzialmente pieni. Storicamente questo effetto fu il primo ad

essere osservato, infatti nei primi esperimenti il valore di 𝜈 era pari ad 1

3 . In queste condizioni

lo spin e l’interazione tra gli elettroni non è più soddisfacente come approssimazione.

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Conclusioni: Nel mio lavoro di tesi ho studiato un sistema di elettroni sottoposti ad un campo magnetico. E’ stata introdotta la discussione considerando un singolo elettrone con un approccio classico che mi ha permesso di tracciare una traiettoria della particella che si muove di moto rettilineo sull’asse parallelo al campo, mentre, nella direzione perpendicolare, ha un movimento rotatorio attorno ad un centro. Ho focalizzato la mia attenzione sulla trattazione quantistica nella quale è stato trascurato lo spin ed è stato considerato, almeno inizialmente, un singolo elettrone. Ho cercato una soluzione diagonalizzando gli operatori (�̂�, �̂�⊥, �̂�3), con una

determinata scelta di Gauge. Nella direzione parallela al campo lo spettro è continuo, mentre in quella perpendicolare ho una quantizzazione di tipo oscillatore armonico, tale spettro prende il nome di “livelli di Landau”. La “traiettoria” di questa soluzione, nonché la probabilità di trovare la particella (ovvero il modulo quadro delle autofunzioni), è ben diversa da quella classica. Con l’obbiettivo di trovarne una uguale sono stati diagonalizzati gli operatori (�̂� + 𝑖�̂�, �̂�⊥, �̂�3), con una scelta di Gauge a simmetria circolare. In questo caso la funzione

d’onda dipende da due numeri quantici, uno che dà informazioni sulla posizione dello stato (λ) ed uno sulla sua energia (n), al variare di quest’ultimo si ritrovano i livelli di Landau. Infine sono stati diagonalizzati gli operatori (�̂�2 + �̂�2, �̂�⊥, �̂�3), tale scelta permette di lavorare

con operatori hermitiani e dunque osservabili fisiche. La funzione d’onda sarà sempre autofunzione di 𝐻⊥ ,ma non è autofunzione di �̂� + 𝑖�̂�, ciò implica che dipende da un nuovo numero quantico k (𝜓𝑛

𝑘). L’andamento del modulo quadro della funzione d’onda, fissato un livello di Landau, è una gaussiana centrata nell’origine per k=0 e che si propaga verso l’esterno all’aumentare del numero quantico. L’espansione è illimitata, perché la soluzione è stata ricavata da un’analisi a mo’ d’oscillatore armonico, ma in un caso reale questo non sarà più vero, ciò implica che gli stati accessibili agli elettroni sono limitati. Per le tre soluzioni,

ottenute diagonalizzando i tre set di operatore [(�̂�, �̂�⊥, �̂�3) ; (�̂� + 𝑖�̂�, �̂�⊥, �̂�3); (�̂�2 +

�̂�2, �̂�⊥, �̂�3)] , è stata calcolata la degenerazione del sistema che rimane inalterata. Per

completare la discussione sono stati considerati N elettroni, trascurando lo spin e l’interazione tra di essi. Per rappresentare N elettroni è necessario costruire una funzione d’onda antisimmetrica, per rispettare il principio di Pauli, a partire da 𝜓𝑛

𝑘 , questa prende il nome di funzione d’onda di Laughlin. Con le considerazioni fatte è stato possibile studiare l’effetto Hall che si genera quando un sistema elettronico reale bidimensionale è attraversato da un campo elettrico lungo una direzione. Inizialmente è stato studiato l’effetto Hall classico, calcolando la resistenza di Hall (𝑅𝐻) e ricavando la dipendenza lineare dal campo magnetico. Successivamente è stato approfondito l’effetto Hall quantistico intero che si osserva in condizioni di basse temperature (millikelvin) e forte campo magnetico (~10𝑇). È stata spiegata la dipendenza non lineare di 𝑅𝐻 da B, ricavando la quantizzazione della resistenza

(𝑅𝐻 =𝒉

𝝂𝒆𝟐 ) ed è stata giustificata la formazione dei plateaux, precisando come una piccola

variazione del campo magnetico sposta gli elettroni in stati localizzati che, a causa delle impurità, non alimentano la resistenza di Hall.

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Bibliografia:

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Riuniti edizioni Mir