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Università degli Studi di Roma “La Sapienza” Facoltà di Psicologia Dipartimento di Psicologia dei Processi di Sviluppo e Socializzazione Dottorato di Ricerca in Psicologia dell’Interazione, della Comunicazione e della Socializzazione (XVIII ciclo) Elena Tomasuolo LA VALUTAZIONE DELLA ABILITA’ LINGUISTICHE IN BAMBINI E RAGAZZI SORDI Tutor: Dott.ssa Virginia Volterra Cotutor: Prof.ssa Margherita Orsolini Coordinatrice del Dottorato di Ricerca: Prof.ssa Clotilide Pontecorvo Anno Accademico 2005-2006

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Università degli Studi di Roma “La Sapienza”

Facoltà di Psicologia

Dipartimento di Psicologia dei Processi di Sviluppo e Socializzazione

Dottorato di Ricerca in Psicologia dell’Interazione, della Comunicazione e della Socializzazione

(XVIII ciclo)

Elena Tomasuolo

LA VALUTAZIONE DELLA ABILITA’ LINGUISTICHE IN BAMBI NI E

RAGAZZI SORDI

Tutor: Dott.ssa Virginia Volterra

Cotutor: Prof.ssa Margherita Orsolini

Coordinatrice del Dottorato di Ricerca: Prof.ssa Clotilide Pontecorvo

Anno Accademico 2005-2006

A Daniela Fabbretti

e all’amore per la ricerca

che mi ha trasmesso

INDICE

Ringraziamenti Introduzione

PARTE I

SORDITA’, VALUTAZIONE DELLE COMPETENZE LINGUISTICHE E TEORIA

DELLA MENTE

CAPITOLO 1: SORDITA’ E LINGUAGGIO

1.1 La sordità: un fenomeno eterogeneo…………………………………...…………….…pag. 1

1.2 La lingua dei segni e le sue caratteristiche…………………………...…….……….…..pag. 5

1.3 L’acquisizione del linguaggio nei bambini udenti e sordi…..…………………………..pag. 8

1.4 L’iter educativo…………...………………………………………………….…………pag. 12

1.5 Quale scuola per il bambino sordo?.................................................................................pag. 17

1.6 La competenza linguistica parlata e scritta………………………….…………..……....pag. 27

1.7 La valutazione delle abilità linguistiche……...………………...……………….………pag. 29

CAPITOLO 2: TEORIA DELLA MENTE

2.1 La teoria della mente nei bambini con sviluppo tipico…………….……………………pag. 34

2.2 La teoria della mente nei bambini con sviluppo atipico e in particolare nell’autismo…..pag. 40

2.3 La teoria della mente nei bambini sordi…...…………………………………………….pag. 44

PARTE II

LA RICERCA

CAPITOLO 3: SCOPI E METODOLOGIA DELLA RICERCA

3.1 Gli scopi della ricerca……………………………...……………………………………pag. 55

3.2 Partecipanti……………………………………..……………………………………….pag. 56

3.3 Prove……………………….……………………………………………………………pag. 63

3.3.1 Intervista……………………………………………….……………………pag. 63

3.3.2 Developmental Test of Visual-Motor Integration (VMI)………….………..pag. 64

3.3.3 Prova linguistica di comprensione lessicale: Peabody Vocabulary

Test – Revised (PPVT-R)…...……………………………………………pag. 66

3.3.4 Prova linguistica di produzione lessicale: Boston Naming Test (BNT)…….pag. 72

3.3.5 Narrazione: Frog, where are you?...................................................................pag. 74

3.3.6 Teoria della Mente: Sally-Ann 1, Sally-Ann 2, Smarties,

riordino e narrazione di storie in sequenza…………………………………pag. 78

3.4 Procedura e somministrazione delle prove………………………………...……………pag. 81

3.4.1.Intervista………………………………………………………………………pag. 82

3.4.2 Developmental Test of Visual-Motor Integration (VMI)……….…………….pag. 82

3.4.3 Prova linguistica di comprensione lessicale: Peabody Vocabulary

Test – Revised (PPVT-R)………………………..…………………………pag. 83

3.4.4 Prova linguistica di produzione lessicale: Boston Naming Test (BNT)…….…pag. 84

3.4.5 Narrazione: Frog, where are you?..................................................................pag. 85

3.4.6 Teoria della Mente: Sally-Ann 1, Sally-Ann 2, Smarties, riordino e

narrazione di storie in sequenza…………………...………………………..pag. 85

3.5 Descrizione del sistema d’analisi e codifica…………………………………………..….pag. 89

3.5.1 Intervista…………………………………………………………………….pag. 89

3.5.2 Developmental Test of Visual-Motor Integration (VMI)……………...……pag. 89

3.5.3 Prova linguistica di comprensione lessicale: Peabody Vocabulary

Test – Revised (PPVT-R)……………….…………………………………….pag. 89

3.5.4 Prova linguistica di produzione lessicale: Boston Naming Test (BNT)…...…pag. 89

3.5.5 Narrazione: Frog, where are you?................................................................. ...pag. 98

3.5.6 Teoria della Mente: Sally-Ann 1, Sally-Ann 2, Smarties, riordino e

narrazione di storie in sequenza………………………………………..…....pag. 105

CAPITOLO 4: PRESENTAZIONE DEI RISULTATI

4.1 Developmental Test of Visual-Motor Integration (VMI)………………………….….pag. 107

4.2 Prova linguistica di comprensione lessicale: Peabody Vocabulary

Test–Revised (PPVT-R)…………………………………………………………………..pag. 108

4.3 Prova linguistica di produzione lessicale: Boston Naming Test (BNT)…………...….pag. 126

4.4 Narrazione: Frog, where are you?..................................................................................pag. 146

4.5 Teoria della Mente: Sally-Ann 1, Sally-Ann 2 e Smarties…………………...…….…pag. 152

4.6 Correlazione fra prove ………………………………………………………….………..pag. 163

CONCLUSIONI E PROSPETTIVE FUTURE DI RICERCA ……………….………….pag. 165

BIBLIOGRAFIA ……………………………………………………………...………….…pag. 170

RINGRAZIAMENTI

Nelle pagine che seguono, un lettore particolarmente attento, potrà intravedere fra una riga e

l’altra, tre anni della mia vita che si susseguono e si intersecano con questa ricerca e proprio perché

fra queste pagine non ci sono solo le mie ore di studio e di lavoro ma anche molto del mio tempo

libero, delle mie energie e del mio entusiasmo, non posso non ringraziare tutte quelle persone che,

per motivi diversi, mi sono state vicine facendomi crescere a volte dal punto di vista professionale,

a volte dal punto di vista umano e contribuendo quindi a questo lavoro di Tesi ma soprattutto alla

mia formazione come psicologa e come donna.

Un ringraziamento speciale va innanzitutto all’Istituto di Scienza e Tecnologia della

Cognizione del CNR di Roma che oltre ad essere un formidabile gruppo di ricerca, per certi versi è

anche una “seconda famiglia” dove si lavora tanto ma si ride anche molto in un clima tanto

frenetico, quanto collaborativo e costruttivo. La mia riconoscenza va in particolare alla Dott.ssa

Virginia Volterra che insieme a me ha pensato, voluto e realizzato questa ricerca seguendomi con

attenzione ed interesse, stimolandomi costantemente alla ricerca della “perfezione” e curando la mia

crescita professionale. Ringrazio inoltre la Dott.ssa Elena Pizzuto, la Dott.ssa Maria Cristina Caselli

e La Dott.ssa Olga Capirci per i loro preziosi consigli e la passione con cui animano il nostro

lavoro.

Questo ricerca, però, non sarebbe stata possibile se non avessi beneficiato del prezioso aiuto

di alcuni validissimi colleghi che hanno condiviso con me parti della ricerca: Laura Fellini, amica,

compagna di stanza e di avventure, Alessio Di Renzo, sperimentatore attento e riflessivo, Viviana

Vasto, Pasquale Rinaldi, Paolo Rossini e Stefano Marta.

Ringrazio inoltre alcuni parenti e amici che mi hanno sempre sostenuta e aiutata: la mia

famiglia, Francesca Martini che, grazie alla sua amicizia, ha reso questi tre anni di Dottorato più

piacevoli all’insegna della condivisione e Luca per la pazienza e la cura con la quale mi ha assistita

durante le lunghe ore di stesura della Tesi passate davanti al computer.

In ultimo il mio pensiero va alle scuole in cui ho raccolto i dati, ai suoi insegnanti, agli

educatori e agli studenti che, grazie alla loro disponibilità e al loro interesse, hanno reso possibile la

realizzazione di questa ricerca.

A tutte queste persone vanno i miei più sinceri ringraziamenti e la mia riconoscenza!

INTRODUZIONE

Questo lavoro di Tesi nasce dalla convinzione che una valutazione appropriata delle abilità

dei bambini sordi richieda un approccio globale. Le abilità cognitive del bambino devono essere

valutate con compiti non verbali opportuni, per accertare se le difficoltà specifiche che

inevitabilmente incontra a livello linguistico, nell’apprendimento della lingua vocale e scritta,

abbiano condizionato o meno il suo sviluppo cognitivo. La valutazione del linguaggio deve invece

riguardare sia le capacità espressive che quelle recettive e deve essere condotta con strumenti

adeguati all’età di sviluppo, ma soprattutto, alle abilità comunicative e linguistiche: ciò permetterà

di conoscere quel che il bambino sa e le sue potenzialità, piuttosto che documentare solo i suoi

limiti e le sue difficoltà. Solo così sarà possibile progettare interventi più mirati e specifici, in

funzione dello sviluppo generale del bambino e non solo del suo deficit uditivo. Per questi motivi si

ritiene che la valutazione del linguaggio non possa limitarsi alla sola modalità del parlato ma debba

essere estesa all’uso della lingua nella modalità segnata.

Fino ad oggi però, nel nostro Paese, le competenze linguistiche dei bambini e ragazzi sordi

sono state valutate prevalentemente in relazione alla lingua vocale, ovvero l’italiano orale e scritto. I

test esistenti, tarati su popolazioni con sviluppo tipico, non sono adeguati alla valutazione delle loro

competenze perché li penalizzano valutandoli su una lingua che viaggia su un canale deficitario

(acustico-vocale). Le conoscenze linguistiche dei bambini vengono dunque notevolmente

sottostimate se si limitano le valutazioni alla sola modalità del parlato, in cui, come ampiamente

dimostrato in letteratura, si riscontrano consistenti ritardi rispetto ai bambini udenti della stessa età.

Diviene quindi importante avere degli strumenti che ci permettano di determinare se i ragazzi sordi

possiedono queste stesse competenze in Lingua dei Segni Italiana (LIS), una lingua che viaggia sul

canale per loro integro (visivo-gestuale). Questo tipo di valutazione potrebbe consentire

l’individuazione di specifiche aree di intervento sul piano educativo e clinico.

In questo lavoro ci si propone dunque di adattare, ideare e costruire una serie di strumenti

atti a valutare qualitativamente e quantitativamente le capacità linguistiche di bambini e ragazzi

sordi in LIS. Come primo stadio abbiamo ritenuto necessario avere una stima della produzione e

della comprensione del vocabolario in LIS, utilizzando strumenti analoghi a quelli che si usano

abitualmente per la lingua vocale; abbiamo inoltre ritenuto importante avere informazioni circa le

loro competenze narrative. In ultimo si è ritenuto interessante esplorare l’acquisizione di una teoria

della mente sempre utilizzando la lingua dei segni: a tal riguardo ci sono due teorie contrastanti, la

prima delle quali vede la teoria della mente come una abilità indipendente da altre capacità, la

seconda invece considera questa acquisizione strettamente collegata ad altre capacità e in

particolare al linguaggio. I bambini sordi divengono quindi un importante “test” per distinguere fra

le due ipotesi dal momento che molti di loro hanno diverse carenze linguistiche ma capacità

cognitive non verbali intatte.

In futuro sarebbe auspicabile somministrare questi nuovi strumenti di valutazione ad un

numero considerevole di bambini e ragazzi sordi di modo da possedere dei dati di riferimento su cui

basarsi nelle valutazioni individuali.

PARTE I

SORDITA’, VALUTAZIONE DELLE COMPETENZE

LINGUISTICHE E TEORIA DELLA MENTE

CAPITOLO 1: SORDITA’ E LINGUAGGIO

1.1 LA SORDITA’: UN FENOMENO ETEROGENEO

La sordità è la riduzione più o meno grave dell’udito. Dal punto di vista clinico si

distinguono diversi gradi di sordità diversamente correlati alla possibilità di percepire i suoni

linguistici e di sfruttare i residui acustici attraverso l’uso delle protesi. In base ad una convenzione

stabilita dal Bureau International d’Audiophonologie si distinguono quattro gradi di sordità in base

al grado di perdita uditiva espresso in decibel (db)1:

- sordità lieve: con una perdita uditiva compresa fra 20 e 40 db;

- sordità media: con una perdita uditiva compresa fra 40 e 70 db;

- sordità grave: con una perdita uditiva compresa fra 70 e 90 db;

- sordità profonda: con una perdita uditiva uguale o superiore a 90 db.

Ulteriori distinzioni vengono operate nell'ambito della sordità profonda: 1° gruppo - sordità

con curva pantonale che abbraccia tutte le frequenze fra i 125 e i 4000 Hertz all’intensità di 90 db;

2° gruppo - sordità con curva dai 125 ai 2000 Hertz all’intensità uguale o maggiore di 90 db; 3°

gruppo - sordità con curva detta a virgola dai 125 ai 1000 Hertz a intensità maggiore di 90 db. In

generale si può affermare che una perdita uditiva oltre i 90 db impedisce, anche con l'ausilio delle

protesi, una corretta percezione delle parole (Favia, Maragna, 1995).

Le cause della sordità sono ancora oggi uno degli aspetti meno chiari della diagnosi: questa

incertezza è determinata dalla varietà di fattori che possono causare la sordità. Le cause possono

comunque essere distinte in due grandi aree: le sordità congenite (insorte prima della nascita – cioè

prenatali –, o insorte dopo la nascita – postnatali – in quanto sordità genetiche progressive) e le

sordità acquisite (insorte al momento della nascita – cioè perinatali o neonatali – o in seguito alla

nascita – cioè postnatali).

Sordità prenatali:

- ereditarie: il gene GJB2 all’interno del cromosoma 13 sembra essere il responsabile della

sordità ereditaria ed è la mutazione di questo gene a causare nell’80% dei casi la sordità

genetica. “Il modo esatto in cui la mutazione dà luogo a difetti dell’udito è in gran parte

sconosciuto, ma si è scoperto che essa influenza il funzionamento di una proteina

coinvolta nella formazione delle gap junction, i ponti che permettono il passaggio di

1 Dal punto di vista clinico la sordità è "la privazione, totale o parziale, della capacità di percezione dei suoni nel tempo" (Favia, Maragna, 1995, p. 277). Esistono diverse classificazioni della sordità costruite in base a diversi criteri: dal punto di vista topografico possiamo distinguere fra: sordità periferiche, dovute a lesioni del sistema di trasmissione del suono (sordità trasmissive), del sistema di percezione del suono (sordità neurosensoriali), o di entrambi (sordità miste); sordità centrali, dovute a lesioni delle vie nervose uditive che collegano i centri cocleari con le aree corticali.

piccole molecole e correnti ioniche fra cellule. Il gene mutato produrrebbe una proteina,

la connessina 26, non funzionale, di soli 12 aminoacidi; mentre, in altri tessuti, tipi

diversi di connessina sostituiscono quella malfunzionante, ciò non avverrebbe nella

coclea.” (Palmerini, 1998). La sordità ereditaria può essere di natura dominante o

recessiva e, ciò che più colpisce, è che questa mutazione è presente come carattere

recessivo in una percentuale molto elevata della popolazione (1 persona su 30): questo

significa dunque che le probabilità che due individui con carattere recessivo si incontrino

non sono poi così basse. Come precedentemente detto, le sordità ereditarie non si

manifestano necessariamente alla nascita, infatti, in molti casi, sono di natura

progressiva ovvero la perdita uditiva peggiora con il passare del tempo.

- acquisite: malformazioni congenite, malformazioni tossiche (farmaci, tossici endogeni),

malformazioni endocrine-dismetaboliche (diabete, ipotiroidismo), malformazioni

infettive (sifilide, toxoplasmosi, virali).

Sordità perinatali: traumi ostetrici, ittero, ipossia, prematurità, anossia.

Sordità postnatali: sordità ereditarie e genetiche progressive, traumi cranici, malattie infettive (otite

media, meningite, encefalite, parotite, morbillo, toxoplasmosi), intossicazioni da farmaci, malattie

dell’orecchio medio (perforazione della membrana timpanica, otosclerosi).

La percentuale di bambini che nascono sordi o lo diventano prima di imparare il linguaggio

è 1/1000 e la sordità ereditaria sembra rappresentare circa il 50% dei casi, anche se all’interno di

questa vanno distinti due gruppi: le sordità non sindromiche recessive, cioè non associate ad altre

patologie (70% dei casi) e le sordità sindromiche legate a specifiche patologie di cui la perdita

dell’udito è solo uno dei sintomi (30% dei casi).

In base al momento dell’insorgenza della sordità e della possibilità quindi di acquisire

spontaneamente una lingua vocale, si procede con un’ulteriore classificazione:

Sordità prelinguali: presenti alla nascita o insorte precocemente, cioè prima dei 18 mesi (ovvero

prima dell’acquisizione spontanea della lingua parlata).

Sordità perlinguali: acquisite fra i 18 e i 36 mesi d’età.

Sordità postlinguali: acquisite dopo i 36 mesi (ovvero dopo aver acquisito spontaneamente la lingua

parlata).

Oltre al grado, alle cause e all’età in cui insorge la sordità, vi sono altri fattori che la rendono

un fenomeno molto eterogeneo. Uno di questi è l’età della prima diagnosi: in Italia, attualmente,

l’età media della prima diagnosi varia dai 19 ai 36 mesi (Maragna,2000). Nonostante quindi le

diagnosi vengano fatte spesso in tempi non brevi, sarebbe invece essenziale che fossero quanto più

precoci possibile, perché questo consentirebbe un intervento tempestivo e perché, come sostengono

alcuni autori, “le strutture cerebrali deputate all’elaborazione dell’informazione uditiva raggiungono

un adeguato sviluppo solo se prima dell’ottavo mese di vita avviene una sufficiente stimolazione

bineurale dell’organo uditivo” (De Capua et al., 1999). Il problema della diagnosi vale soprattutto

per le famiglie udenti per le quali la sordità non è un evento atteso o prevedibile e che quindi può

rimanere nascosto fino a quando non si manifestano i primi segnali di un ritardo linguistico (Caselli

et al., 1994). Sempre per queste famiglie si è vista inoltre l’importanza del modo in cui viene

comunicata la notizia di sordità del figlio dal personale medico, se il bambino è primogenito o

meno, la personalità dei genitori, l’unità di coppia e il sostegno della famiglia allargata.

Un altro fattore che rende la sordità un fenomeno eterogeneo è l’età della protesizzazione:

le protesi sono dei dispositivi di amplificazione che consentono di sfruttare, in misura minore o

maggiore a seconda del grado di sordità, i cosiddetti residui acustici nell'ambito di un processo

educativo. Le protesi più moderne sono di tipo digitale ovvero possono essere regolate in modo più

preciso, possono ridurre i rumori di fondo, offrono una maggiore fedeltà nella riproduzione del

suono e hanno un microfono direzionale che diminuisce i fastidi dovuti a suoni troppo intensi perché

aumenta la selettività spaziale dell’ascolto. Oggi si tende a protesizzare sin dai primi mesi di vita (4-

6 mesi) perché il periodo di maggiore plasticità cerebrale è da 0 a 3 anni, con un picco intorno

all’anno e mezzo. I residui sono utilizzabili per avere accesso alla lingua parlata quando la perdita

uditiva non supera gli 85 db. Circa l'uso delle protesi nei casi di sordità profonda esistono posizioni

teoriche contrastanti (Favia, Maragna, 1995). La protesizzazione costituisce una tappa importante

nella vita di una persona sorda e le sue implicazioni vanno ben al di là degli aspetti medici. Infatti,

diversi fattori, tra cui quelli di tipo psicologico, contribuiscono al successo e all'insuccesso della

protesizzazione. Oltre alle protesi tradizionali c’è oggi anche la possibilità dell’impianto cocleare.

Come dice Zaghis (1997) “l’impianto cocleare può essere molto semplicemente definito come un

dispositivo elettronico in grado di stimolare direttamente le fibre residue del nervo acustico in

soggetti sordi profondi che non traggono un soddisfacente beneficio dalle protesi acustiche

convenzionali. Il nervo, stimolato da questi segnali elettrici, invia il messaggio ai centri corticali

superiori per la percezione e la decodificazione. In altre parole potremmo affermare che l’impianto

cocleare si fa carico delle funzioni che una chiocciola danneggiata non può più svolgere,

trasmettendo direttamente il messaggio sotto forma di impulsi elettrici alle strutture neurali

retrocorticali. In una concezione più ampia potremmo quindi parlare di chiocciola artificiale”. Nella

pratica vi è dunque un microfono che viene agganciato al padiglione auricolare; qui un elaboratore

di suoni codifica i segnali provenienti dal microfono e li invia all’antenna trasmettitrice; l’antenna,

grazie ad un magnete, sta a contatto con il cuoio capelluto: all’interno vi è un ricevitore-stimolatore

che, ricevuto il segnale dall’antenna, lo invia agli elettrodi inseriti nella chiocciola. L’operazione di

impianto cocleare è però solo il punto di partenza, infatti l’intervento non dà la possibilità di sentire

nello stesso modo in cui sentono gli udenti e implica necessariamente una terapia logopedica. Per

una scelta consapevole fra le varie possibilità occorrerebbe che le famiglie fossero ben informate

sulla base di informazioni scientifiche ed equilibrate e non sulla base di “quanto sentito in giro”,

come ci mostra una ricerca di Minnini (1999) su un campione di 227 partecipanti sordi. In sintesi i

due aspetti più ricorrenti in Italia emersi dalle interviste di Mennini sono: la scarsa informazione e le

eccessive aspettative circa l’impianto cocleare. Inoltre molto poco si sa sui benefici o meno

dell’impianto cocleare per quanto riguarda le competenze linguistiche di bambini sordi: sarebbe

opportuno che venissero condotte delle ricerche in quest’area per saggiarne i vantaggi e gli

svantaggi.

Altri fattori ancora che rendono la sordità un fenomeno eterogeneo sono l’iter logopedico

effettuato: la durata dell’iter, l’età del bambino quando inizia la riabilitazione, la motivazione ma

soprattutto la scelta del metodo o dell’educazione impartiti al bambino sordo (cfr. par. 1.4); la

costruzione della propria identità: il processo di costruzione dell'identità personale di una persona

sorda è fortemente influenzato sia dal contatto con gli udenti, sia, soprattutto, dal contatto con altre

persone sorde. Il riconoscimento della propria sordità passa attraverso il confronto con altri sordi,

ciò è particolarmente importante per i bambini sordi nati in famiglie di udenti; la conoscenza di una

lingua dei segni: le persone sorde hanno spontaneamente sviluppato delle lingue visivo-gestuali che

sfruttano il canale percettivo integro anziché il canale acustico-vocale deficitario. La sordità, però,

non coincide necessariamente con la conoscenza di una lingua dei segni. Le persone sorde, infatti,

costituiscono una popolazione variegata in cui coesistono realtà diverse: persone sorde segnanti

native, cioè persone nate sorde in una famiglia in cui almeno uno dei genitori è sordo segnante (esse

costituiscono una minoranza ovvero il 5% della popolazione); persone nate o diventate sorde

all'interno di famiglie di udenti e che hanno appreso la lingua dei segni in momenti successivi;

persone nate o diventate sorde all'interno di famiglie udenti e rieducate oralmente, che non

conoscono quindi la lingua dei segni. Nel prossimo paragrafo si cercherà di spiegare in modo più

approfondito le caratteristiche di una lingua dei segni.

1.2 LA LINGUA DEI SEGNI E LE SUE CARATTERISTICHE

Come nel mondo esistono numerose lingue vocali, così esistono anche numerose lingue dei

segni. Le diverse lingue dei segni che nei secoli si sono sviluppate sono intrinsecamente legate alla

cultura, alle usanze, alla religione e alle tradizioni del luogo in cui sono nate. Si pensi, ad esempio,

che nella Lingua dei Segni Italiana, tutti i segni che indicano facoltà di pensiero come appunto "

pensare, ricordare, ragionare, sognare…" vengono prodotti nello spazio vicino alla testa, luogo da

cui, per la nostra cultura, si suppone prendano forma. Per i sordi induisti, invece, questi stessi segni

vengono prodotti nello spazio circostante al petto perché, secondo la loro religione, si pensa che sia

il cuore il centro dell'individuo. All'interno di una stessa nazione viene di solito condivisa una stessa

lingua dei segni, ma possono anche coesistere dialetti o persino lingue dei segni diverse. La lingua

dei segni che viene usata in Italia si chiama LIS, sigla che sta per Lingua dei Segni Italiana.

Come Stokoe (1960) ci ricorda "Le lingue dei Segni hanno caratteristiche analoghe a quelle

delle lingue vocali". Nelle lingue vocali, infatti, vi è un numero ristretto di unità minime prive di

significato – i fonemi – che vengono organizzate in un sistema – il sistema fonologico -. Dalla

combinazione di queste unità elementari si hanno unità più grandi fornite di significato – le parole -.

Allo stesso modo in LIS le unità minime prive di significato sono i parametri formazionali, che

vengono poi organizzati in un sistema linguistico e la combinazione di queste unità dà vita ai segni.

In entrambi i casi si ha un insieme finito di regole che combinano queste unità in modo da generare

un numero infinito di sequenze e di frasi.

I parametri formazionali grazie ai quali possiamo analizzare ogni segno sono quattro:

a) il luogo dello spazio dove viene eseguito il segno;

b) la configurazione delle mani nell'eseguire il segno;

c) l'orientamento del palmo e delle dita assunto dalle mani;

d) il movimento della mano nell'eseguire il segno.

Nella LIS sono stati individuati 15 luoghi, 26 configurazioni, 6 orientamenti e 32 movimenti

(Volterra,1987; Caselli, Maragna, Pagliari Rampelli, Volterra, 1994). Analisi successive hanno però

individuato un insieme più ampio di elementi distintivi che comprende 16 luoghi, 56

configurazioni, e 40 movimenti (Radutzky, 1992) e hanno esplorato le diverse regolarità

distribuzionali dei parametri formazionali dei segni LIS (Pietrandrea, 1997).

Per identificare i quattro parametri formazionali è stato usato un principio classico della

linguistica: quello della coppia minima. Due parametri vengono riconosciuti come differenti se si

individuano almeno due segni con diversi significati che si distinguono per un'unica caratteristica.

Lo stesso avviene nelle lingue vocali: pane e cane, ad esempio, si differenziano rispettivamente per

i fonemi / p / e / c /.

Sottostante ad un particolare parametro formazionale, spesso possiamo intravedere una

metafora visiva. Questa, tramite la configurazione, ci fornirà informazioni preziose per

comprendere il segno stesso. Ad esempio i segni che rappresentano la "trasparenza e limpidezza",

saranno prodotti usando la configurazione 5 "aperta":

Figura 1: esempio di metafora visiva quelli che invece indicano "una superficie piatta e solida" verranno invece prodotti con la

configurazione B:

Figura 2: esempio di metafora visiva

Ciò, però, non significa che le metafore visive si trovino necessariamente in tutti i segni che

usano la stessa configurazione. Le metafore visive sottostanti le diverse configurazioni variano da

lingua a lingua, ma soprattutto resta del tutto arbitrario quale metafora visiva venga scelta per

rappresentare uno stesso concetto. Ad esempio in LIS il segno per "gatto" viene prodotto vicino al

naso come per rappresentarne i baffi. La scelta di rappresentare i baffi e non la coda è del tutto

arbitraria. Allo stesso modo il segno per "bicicletta" ne rappresenta i pedali, ma si sarebbe potuta

scegliere arbitrariamente la metafora visiva del manubrio o ancora delle ruote. Pertanto la LIS è una

lingua che si fonda, come tutte le altre, sul principio di ARBITRARIETA’.

In seguito a quanto detto sulle metafore visive, si potrebbe pensare che la LIS sia iconica,

ma così non è. Come illustrano Bellugi e Klima (1979) bisogna operare una differenziazione fra

“TRASPARENZA” e “TRASLUCIDITA’”. Alcuni segni in LIS (ma non tutti) sono traslucidi

ovvero la loro comprensione è facilitata da metafore visive; questi stessi segni, pur essendo

traslucidi, non sono però trasparenti e cioè: "Non si capisce il significato dei segni che non si

conoscono ma, una volta che se ne conosce il significato, si può ricostruire, in alcuni casi, il

rapporto fra segno e referente." (Bellugi, Klima, 1979; Caselli et al. 1994). Quanto detto è tanto più

vero se i segni presi in considerazione sono riferiti a referenti astratti (es.: "libertà, intelligenza,

conformismo...") e non tangibili. In questo caso l'iconicità del segno è pressoché nulla.

C'è inoltre da aggiungere che la LIS possiede specifiche regole grammaticali e sintattiche

che non si basano su quelle proprie della lingua vocale (modi e tempi del verbo, articoli, genere e

numero dei nomi, ecc.) bensì sull'uso dello spazio, sulla modulazione del movimento, sulle

espressioni facciali, sulla posizione del corpo e della postura. Vari studi sugli aspetti morfologici

hanno ad esempio mostrato come i verbi delle lingue dei segni modifichino, secondo regole costanti

e precise, l’orientamento del movimento per indicare la persona che compie l’azione, così come le

lingue vocali utilizzano la coniugazione verbale. Questi tratti morfologici, infatti, segnalano una

complessa varietà di distinzioni e informazioni grammaticali paragonabili a quelle osservate nelle

lingue vocali: dalla classe grammaticale dei segni (per distinguere ad esempio nomi, verbi,

pronomi), al numero (singolare/plurale) di alcune categorie di nomi, alla persona e alle relazioni

grammaticali fra soggetto e oggetto di alcune categorie di verbi, alle relazioni temporali (Pizzuto,

1987)2. Si noti inoltre come sia possibile il riferimento anaforico attraverso l’uso dello spazio. Per

quanto riguarda gli aspetti sintattici sono state invece descritte alcune regolarità nell’ordine degli

elementi nella frase, da cui emerge che l’ordine dei segni è, in alcune costruzioni, diverso da quello

del linguaggio parlato, ma non per questo meno accettabile (Caselli, Maragna, Pagliari Rampelli,

Volterra, 1994).

Anche per quanto riguarda l'organizzazione cerebrale, interessanti studi di Nerville e

Bellugi (1978) ci mostrano come i sistemi cerebrali che mediano le parole e i segni siano in parte

analoghi. Come sappiamo l'emisfero interessato al linguaggio è quello sinistro. Una persona sorda

con danno cerebrale localizzato nell'emisfero sinistro, infatti, manterrà intatte le capacità visivo-

spaziali ed espressive non linguistiche e perderà invece le medesime quando saranno coinvolte

nell'uso della lingua dei segni (qualsiasi essa sia). Tutto ciò ci dimostra che mentre i segni

"funzionano" come le parole, lo stesso non si può dire per i gesti. La differenza fondamentale fra

segni e gesti è che i secondi sono reperibili anche nel repertorio degli udenti.

Nella maggior parte del mondo, gli udenti hanno a lungo ignorato questo sistema di

comunicazione usato dai sordi e ci sono volute numerose ricerche ed interi secoli per capire ciò che

già alla fine del '700 era chiaro a diversi studiosi e cioè che la Lingua dei Segni è una lingua a tutti

gli effetti e che tramite essa è possibile esprimere ogni forma di contenuto e di emozione, come

anche testi teatrali e poesie (Giuranna, Giuranna, 2000).

1.3 L’ACQUISIZIONE DEL LINGUAGGIO NEI BAMBINI UDENT I E SORDI

Soltanto nella specie umana sembrano essersi sviluppate, nel corso dell’evoluzione, le basi

neurologiche che rendono possibile un’acquisizione spontanea delle lingue. Il bambino ha un ruolo

2 Per una rassegna aggiornata degli studi sulla LIS si rimanda a Pizzuto (2002a).

attivo nel processo di apprendimento del linguaggio, portando come suo contributo una serie di

potenzialità e di modi di analisi e di elaborazione degli elementi linguistici: affinché il bambino

possa esprimere le sue potenzialità, però, occorre creare intorno a lui un ambiente linguistico

adeguato.

L’acquisizione del linguaggio procede per fasi che si succedono in un determinato ordine e

che vengono condivise dalla maggior parte dei bambini; non bisogna comunque sottovalutare che

tale successione è caratterizzata da fortissime variazioni individuali che riguardano non solo i tempi,

ma anche i modi e le strategie di apprendimento.

Nel primo anno di vita il bambino udente compie una serie di sviluppi indispensabili alla

successiva acquisizione del linguaggio. Fin dalla nascita, infatti, esercita i suoi organi

fonoarticolatori tramite la tosse, i gorgoglii, il pianto e le vocalizzazioni; a 3 mesi, poi, i suoni

diventano più simili a quelli linguistici: il bambino impara ad ascoltare (la voce altrui diventa

stimolo per le sue vocalizzazioni) e controlla la sua attività fonoarticolatoria attraverso il feedback

acustico (ciò ha un importante valore motivazionale); verso i 6/7 mesi impara ad imitare i modelli

intonazionali degli adulti e si osserva una notevole diminuzione nel numero e nella varietà dei suoni

prodotti dal bambino; a 8/9 mesi iniziano le lallazioni e gli indispensabili scambi vocali con l’adulto

insegnano al bambino il rispetto dell’alternanza di turno; infine a 9 mesi si osserva la comparsa

della comunicazione intenzionale (richiesta e denominazione): i gesti deittici (9/10 mesi) esprimono

l’intenzione comunicativa del parlante, il referente di tale comunicazione è dato interamente dal

contesto in cui la comunicazione ha luogo; con i gesti referenziali (dai 12 mesi), invece, il bambino

dimostra di poter usare un simbolo non verbale come significante di una certa realtà. Il significato

viene “convenzionalizzato” dal bambino e dai suoi interlocutori ed il suo contenuto semantico non

varia in conseguenza al variare del contesto. I gesti referenziali prodotti dai bambini nascono come

intenzioni di azioni piuttosto che come imitazioni delle forme di oggetti; inizialmente compaiono in

situazioni di routine con l’adulto ma, progressivamente, si decontestualizzano fino ad arrivare ad

essere usati anche in assenza dei contesti particolari.

Considerando ora il caso di bambini sordi esposti fin dalla nascita ad una lingua visivo-

gestuale, che si realizza quindi su un canale integro, si può affermare che l’acquisizione di tale

lingua avverrà in maniera spontanea e naturale ricalcando le tappe e le età di acquisizione dei

bambini udenti esposti alla lingua vocale (Caselli et al., 1994).

Nelle primissime fasi dello sviluppo comunicativo i bambini sordi metteranno in atto dei

comportamenti motori senza un’intenzione comunicativa. Grazie all’interazione con il linguaggio

adulto il bambino arriverà poi a produrre i primi segnali comunicativi intenzionali chiamati gesti.

Tali segnali, come già detto in precedenza per i bambini udenti, sono strettamente legati al contesto

in cui la comunicazione ha luogo. Solo al termine del processo di decontestualizzazione i gesti

diverranno veri e propri simboli, ovvero segni. E' possibile evidenziare alcuni errori caratteristici,

nella produzione dei primi segni, paragonabili a quelli di semplificazione fonologica dei bambini

udenti (pappe invece di scarpe). Questi errori sono di sostituzione di almeno uno dei parametri

formazionali del segno, con altri parametri più semplici da eseguire da un punto di vista motorio: ad

esempio nel segno macchina, il movimento alternato delle due mani, viene spesso sostituito dai

bambini piccoli con un movimento parallelo non-alternato. Come avviene per le lingue parlate,

anche per le lingue dei segni, il periodo olofrastico (Caselli, 1994; Volterra, Caselli, 1986) è seguito

da quello in cui due o più simboli vengono prodotti nello stesso enunciato: si parlerà dunque di

comparsa della lingua dei segni. Questo passaggio dal segno singolo alla frase si verifica circa a

metà del secondo anno di vita, quando già il bambino possiede un buon patrimonio lessicale che si

sta rapidamente espandendo (Caselli, Volterra, 1994). Anche in questo caso, si assiste ad una sorta

di trasformazione nella composizione del vocabolario: nei primi enunciati di più segni compaiono,

infatti, consistentemente predicati che indicano azioni, possesso, qualità. Questo tipo di

apprendimento sembra dunque legato allo sviluppo di abilità concettuali ed è relativamente

indipendente dalla modalità in cui la lingua si realizza. In una prima fase, anche il linguaggio di

bambini che imparano una lingua dei segni si può definire telegrafico: è solo fra i 2 anni e mezzo e i

3 anni che assistiamo ad una progressiva acquisizione di aspetti morfologici, alcuni dei quali,

analogamente a quanto riportato per l’acquisizione della lingua parlata, compaiono saltuariamente e

non vengono padroneggiati, né usati con una certa frequenza prima dei 5 anni. Il primo aspetto a

venir padroneggiato è la flessione del verbo: questo viene sistematicamente e correttamente

accordato, nel luogo, con il nome-argomento a partire dai 3 anni circa. Verso i 3 anni e mezzo, poi,

inizia ad essere controllata la distinzione fra nomi e verbi (ad esempio fra aereo e volare-con-

l’aereo o fra sedia e sedersi). L’acquisizione della grammatica visuospaziale, invece, è un processo

lento che comincia intorno ai 2 anni e mezzo con l’acquisizione delle flessioni spaziali del verbo,

ma che continua ben oltre i 3 anni. Diversi marcatori manuali e non manuali che segnalano

l’accordo grammaticale non vengono ben gestiti fino ai 6 anni (Pizzuto, 2002b; Singleton e Supalla,

2003). Tali fasi sono simili a quelle dei bambini udenti che acquisiscono una lingua parlata

morfologicamente complessa. Come avviene nell’acquisizione di molte lingue parlate, i segni dei

bambini esposti ad una lingua dei segni molto complessa da un punto di vista morfosintattico

sembrano, inizialmente, non riprodurre tale complessità: i bambini attraversano infatti degli stadi di

sviluppo caratterizzati da una omissione o non produzione di forme morfologiche, seguiti poi da una

loro produzione semplificata e parziale, e, infine, da una progressiva e graduale acquisizione che si

protrae per diversi anni.

Riassumendo quanto detto finora, si può quindi affermare che, attraverso uno stesso

processo, sia i bambini udenti, sia quelli sordi, raggiungono le stesse fasi di sviluppo linguistico, alla

stessa età, indipendentemente dalla modalità in cui la lingua a cui sono esposti si realizza. E’

importante sottolineare come ci sia di fatto una equipotenzialità comunicativa fra la modalità

verbale e quella gestuale che, nelle fasi più precoci dello sviluppo linguistico, costituiscono un unico

sistema; in seguito, poi, i diversi contesti influenzeranno la scelta dell’una o dell’altra modalità. Il

contesto in cui la comunicazione ha luogo influenza quindi l’uso da parte del bambino di parole o

gesti: l’input nell’interazione bambino-adulto diviene dunque discriminante per il successivo

prevalere della modalità vocale o segnica.

Molto diverso è il caso di quei bambini che nascono sordi da genitori udenti (95% dei casi).

Questi bambini non sono esposti, a causa del loro deficit, alla lingua parlata nell’ambiente, né

possono acquisire spontaneamente la lingua dei segni poiché questa non è usata in famiglia. Alcuni

autori si sono interessati al ruolo dell’input nello sviluppo linguistico dei bambini sordi, non

esposti ad una lingua dei segni, analizzando le loro produzioni gestuali (Goldin-Meadow, Feldman,

1979; Goldin-Meadow, Mylander, 1984; Goldin-Meadow, Morford, 1985; Volterra, Beronesi,

Massoni, 1994). Queste ricerche hanno mostrato che i bambini sviluppano ed usano un sistema

gestuale che esprime molte delle funzioni comunicative, semantiche e pragmatiche, tipicamente

presenti nel linguaggio di bambini esposti ad una lingua, in condizioni normali. Tali strutture

linguistiche utilizzate da questi bambini sono più “complesse” rispetto a quelle usate da bambini

udenti non segnanti, ma più “semplici” se confrontate con i segni dei bambini sordi e con le parole

di quelli udenti rispettivamente esposti ad una lingua dei segni e ad una lingua parlata. Inoltre i

bambini sordi non esposti ad un input in segni, sono in grado di combinare fra loro due o più gesti

rappresentativi (contrariamente a quanto avviene per i bambini udenti), ma questa abilità compare

quando la loro età cronologica è molto più avanzata rispetto a quella in cui bambini esposti ad una

lingua a tutti gli effetti producono le prime combinazioni di segni o parole.

L’acquisizione della lingua vocale da parte di un bambino sordo, invece, non è mai

spontanea e avviene in modo artificiale grazie ad un insegnamento specifico e formale e alla terapia

logopedica. Alcune variabili di grande importanza possono favorire lo sviluppo del linguaggio

vocale: una diagnosi precoce, il supporto di un programma di educazione al linguaggio, protesi

efficaci. In ogni caso, anche con questi interventi, l’acquisizione della lingua parlata procede con un

notevole ritardo. Le prime parole possono non comparire fino a 2/3 anni, lo sviluppo del vocabolario

procede ad un ritmo molto lento, le frasi a 2 o più parole possono non presentarsi fino ai 4/5 anni e

l’acquisizione di aspetti morfologici e grammaticali è altrettanto tardivo e può restare incompleto.

Per quanto riguarda quindi i bambini sordi con genitori sordi ci può essere acquisizione

spontanea della LIS (se i genitori sono segnanti), ma non ci può essere acquisizione spontanea

dell’italiano; per i bambini sordi figli di genitori udenti, invece, non ci può essere acquisizione

spontanea né della LIS, né dell’italiano (a meno che non vengano presi provvedimenti in età

precocissima esponendo il bambino alla LIS grazie ad un adulto sordo segnante nativo,

preferibilmente significativo nella relazione con il bambino).

1.4 L’ITER EDUCATIVO

Solitamente quando in una famiglia di udenti nasce un bambino sordo, i genitori non sono

preparati ad affrontare tale evenienza e, oltre al trauma della scoperta, si trovano a dover fare tutta

una serie di scelte delicate, fra cui quella dell’iter educativo a loro avviso più idoneo. Lo stesso

avviene per una famiglia di sordi, con la differenza che, avendo preso in considerazione tale

eventualità e avendo vissuto “sulla loro pelle” le stesse esperienze, i genitori sono più pronti

nell’affrontare la situazione che gli si presenta innanzi.

Per quanto riguarda la scelta dell’iter educativo, la difficoltà maggiore risiede nel fatto di

non avere veri e propri centri di consulenza che sappiano dare informazioni complete: i pochi punti

di consulenza che esistono hanno quasi sempre il difetto di proporre iter già prestabiliti e di non

offrire una panoramica generale sulle possibilità educative mostrandone i vantaggi e gli svantaggi.

Da pochi anni, però, l’Istituto Statale dei Sordi di Roma (con sede in Via Nomentana, 56), ha aperto

uno sportello di consulenza rivolto a chiunque voglia avere informazioni circa la sordità: in questa

sede si possono reperire informazioni ed indirizzi specifici che possono aiutare le famiglie nella

scelta dell’iter educativo che ritengono più idoneo per il loro figlio e che li aiutino per orientarsi nel

complicato mondo della sanità e dei servizi offerti.

In Italia, in relazione all’educazione del bambino sordo alla lingua vocale, si possono

distinguere tre linee di pensiero: i metodi oralisti, il metodo bimodale o misto e l’educazione

bilingue.

I Metodi oralisti. Nell'ambito di questa dicitura ci sono diverse metodiche che hanno la

caratteristica comune di non utilizzare la lingua dei segni, con la convinzione che il gesto uccide la

parola (Congresso di Milano, 1880). L'altro elemento in comune è il forte coinvolgimento, nel

processo rieducativo, della famiglia e in particolare della madre, con il rischio spesso di confondere

il ruolo materno con quello logopedico, con conseguenze psicologiche negative. Molta importanza

viene data anche all'utilizzo di strumenti tecnici che possono essere di ausilio nella riabilitazione e

la necessità che il bambino sordo frequenti esclusivamente gli udenti, sia a scuola che in altri

contesti. Del Bo e Cippone De Filippis sono tra gli esponenti più di spicco in Italia: essi ritengono

che il tempo utile per acquisire il linguaggio sia collocabile tra la nascita e i primi tre anni di vita e

basano il recupero del bambino sordo su una seria d’elementi quali: diagnosi precoce, valutazione

esatta del deficit uditivo, precoce protesizzazione e collaborazione attiva della famiglia alla terapia.

Nel metodo orale il bambino viene avviato precocemente alla lettura, quando è in grado di leggere

alcuni fonemi si passa alla comprensione di frasi semplici; anche la scrittura ha un ruolo

fondamentale nel metodo orale. Verso i cinque anni s’inizia a far scrivere le vocali, i dittonghi, le

consonanti fino al dettato di parole che contengono tutte lo stesso fonema. Nella scrittura si procede

come nella produzione orale, mediante domande che sollecitano l'utilizzazione di un soggetto e di

un verbo, a cui si affiancano gradualmente gli attributi e i complementi, differenziati da un colore

diverso per facilitarne la memorizzazione. Tra i vari metodi oralisti uno dei più diffusi è il Verbo

Tonale, ideato negli anni '50 da Petar Guberina, da ricordare anche il metodo multidisciplinare di

Itala Ripamonti (1988) che utilizza il gioco con la musica e il ballo per potenziare l'espressività,

guardando al bambino nella sua globalità.

Il metodo bimodale o misto. Ha la caratteristica di utilizzare una doppia modalità: quella

acustico-verbale perché si parla, e quella visivo-gestuale perché si segna, ma usando una sola

lingua, l'italiano. Il supporto gestuale utilizzato dalla metodologia bimodale è l'Italiano Segnato

Esatto (ISE). L'ISE non è la lingua dei segni italiana utilizzata dalle persone sorde per comunicare

tra loro e non ha un'organizzazione propria, ma deriva interamente da un'altra lingua, quella vocale

italiana. In particolare l'ISE utilizza il lessico e, dove è possibile, alcune regole morfo-sintattiche

della LIS; mentre per quelle parti del discorso che sono proprie dell’italiano ma non della LIS (ad

es. articoli, preposizioni, accordi di genere e numero, pronomi ciclici) si utilizza la dattilologia

(alfabeto manuale) e alcune forme visive chiamate evidenziatori. L’uso della dattilologia e degli

evidenziatori viene definito indispensabile affinché il bambino sia esposto ed aiutato nella

percezione di quelle parti della lingua in cui incontra maggiori difficoltà. Gli evidenziatori non sono

però usati sempre nella seduta logopedica, ma solo in situazioni limitate e particolari in cui

s’intende correggere il bambino o stimolarlo a prestare attenzione ad aspetti specifici dell’italiano.

Figura 3: Alfabeto Manuale Italiano3

In momenti in cui si voglia privilegiare, invece, la comprensione globale di un messaggio di

una storia, insieme al parlato viene usato l’Italiano Segnato (IS) ovvero un sistema gestuale che

utilizza il lessico della LIS ma segue la struttura grammaticale della lingua vocale. Nell’italiano

segnato non compaiono parti del discorso come articoli, alcune preposizioni, ausiliari, concordanze

(a differenza dell’ISE che permette, invece, di seguire parola per parola la lingua vocale

riproducendo le sue regole grammaticali e sintattiche). L'obiettivo, quindi, della metodologia

bimodale è quello di portare il bambino a una buona competenza nella lingua vocale, che significa

anche insegnargli a parlare bene e con una buona voce: per tale ragione l'educazione acustico-

vocale è parte integrante del modello riabilitativo. Per facilitare la comprensione di una struttura

linguistica viene definito indispensabile sviluppare al massimo il residuo acustico del bambino e a

tal fine, in alcuni momenti della terapia, non si usano i segni; in altri casi invece, se il contesto lo

richiede, si segna con particolari accorgimenti. Il metodo bimodale, inoltre, vuole portare il

bambino ad una buona lettura labiale: per questo, nel lavoro con i piccoli, si tende a segnare vicino

al viso, in maniera da attirare l'attenzione del bambino verso la bocca della terapista, per allenarlo

alla futura lettura labiale. Il lavoro della logopedista si articola, quindi, sempre su tre livelli:

stimolazione fono-acustica; lettura labiale e stimolazione cognitivo-linguistica.

3 Tratto dal dizionario I primi 400 segni. Piccolo dizionario della Lingua Italiana dei Segni per comunicare con i sordi. Angelini, et al., 1991.

L’educazione bilingue. Non è un vero e proprio metodo, perché il bambino viene esposto

contemporaneamente alla lingua vocale e alla lingua dei segni. L'italiano parlato e scritto viene

imparato con la terapia logopedica, mentre la LIS è acquisita in modo spontaneo e naturale perchè

viaggia sulla modalità visivo-gestuale, e quindi su un canale integro. Alla base c'è la convinzione

che la possibilità per il bambino sordo di acquisire una lingua (quella dei segni) con gli stessi tempi

e le stesse modalità con cui i bambini udenti imparano a parlare, porta senz'altro dei vantaggi nel

suo sviluppo evolutivo e facilita l'apprendimento della stessa lingua vocale. Affinché i bambini

divengano realmente bilingui, è necessario:

- rispettare in un primo periodo il principio "una persona una lingua", cioè far sì che ciascun

interlocutore scelga di usare con il bambino in maniera coerente un solo codice, evitando così

mescolanze tra le due lingue;

- operare in modo che l'input linguistico nei due codici sia ben bilanciato: ossia, il tempo e il

modo di esposizione ad una lingua siano uguali a quelli dell'altra lingua;

- assicurarsi che il bambino, proseguendo nel suo sviluppo, abbia l'opportunità di interagire in

ognuno dei codici con interlocutori diversi;

- creare contesti in cui il bambino sia motivato ad utilizzare entrambi i codici.

Nel bambino sordo che deve acquisire sia una lingua dei segni che una lingua parlata, non

troveremo mai una situazione di bilinguismo simultaneo: in questo caso i due codici evidentemente

non sono equivalenti: la lingua dei segni può essere acquisita in modo naturale e spontaneo, mentre

la lingua parlata può essere appresa solo attraverso un lungo e faticoso processo. Da alcuni lavori

risulta che dato il deficit di questi bambini nella modalità acustica, lo sviluppo della lingua parlata

procede più lentamente di quello della lingua segnata; in pratica l'apprendimento del parlato si

appoggia all'acquisizione del segnato. Nei bambini sordi figli di sordi, il rapporto fra acquisizione

della lingua dei segni e apprendimento della lingua parlata può essere analizzato in termini di

bilinguismo successivo (Taeschner 1985); i segni, dunque, non inibiscono lo sviluppo verbale, al

contrario la lingua dei segni serve da supporto a quella parlata.

Da quanto sopra esposto si può capire come le due possibilità offerte al bambino sordo,

nell’ambito dell’educazione alla lingua vocale, sono quelle di imparare solo l’italiano o di imparare

l’italiano e la LIS. Vi è inoltre anche la possibilità di non proporre al bambino nessuna educazione

alla lingua vocale e di far sì che apprenda solo la LIS. Vengono presentati di seguito i vantaggi e gli

svantaggi di ciascuna delle tre scelte:

� Imparare solo la LIS: vantaggi: possibilità di acquisire una lingua fin dalla nascita secondo i

tempi e i modi in cui i bambini udenti acquisiscono la lingua vocale, sentirsi parte di una

comunità linguistica e culturale; svantaggi: appartenenza ad una comunità linguistica e

culturale di minoranza, difficoltà di autonomia nella comunicazione e di integrazione con il

mondo udente maggioritario.

� Imparare solo l’italiano: vantaggi: possibilità di comunicare con la comunità maggioritaria

per avere accesso a “parte” dell’informazione a cui hanno accesso normalmente le persone

udenti; svantaggi: la persona sorda viene valutata esclusivamente per quanto si avvicina al

modello udente, si chiede al bambino di usare solo il canale acustico-vocale deficitario con

un conseguente allungamento dei tempi di apprendimento e con un enorme sforzo; il

bambino non ha modelli adulti sordi con cui identificarsi.

� Imparare sia la LIS che l’italiano: vantaggi: conoscere due lingue e appartenere a due

culture, avere la possibilità di comunicare sia con sordi che con udenti, partecipare, grazie

all’interprete LIS/italiano, a tutti i contesti comunicativi informali e formali (come convegni,

programmi televisivi d’informazione o intrattenimento, ecc.); svantaggi: maggiore impegno

da parte della società e dei servizi.

Come si è potuto capire le scelte nell’ambito dell’educazione linguistica non sono mai facili

e dipendono da diversi fattori, anche ideologici; è però importante ricordare che le scelte

linguistiche che vengono attuate non dovrebbero mai essere rigide ed esclusive, ma dovrebbero

tenere conto delle capacità del bambino, della situazione familiare e del contesto ambientale.

1.5 QUALE SCUOLA PER IL BAMBINO SORDO?

I dubbi che i genitori incontrano nella scelta dell’ iter educativo più idoneo per i loro figli

sono gli stessi che incontrano di fronte alla scelta del tipo di scuola in cui inserire il proprio

bambino. La legge 517/77 lascia alle famiglie la possibilità di scegliere tra scuola ordinaria e scuola

speciale, abolendo le classi differenziali, regolamentando il numero di alunni con handicap per

classe, il sostegno svolto da insegnanti di ruolo o incaricati a tempo indeterminato specializzati e

l’attività delle équipes specialistiche. All’articolo 10 si può leggere:

L’obbligo scolastico, sancito dalle vigenti disposizioni, si adempie per i bambini sordomuti nelle apposite scuole speciali o nelle classi ordinarie delle pubbliche scuole elementari e medie, nelle quali siano assicurati la necessaria integrazione specialistica e i servizi di sostegno, secondo le rispettive competenze dello Stato e degli Enti locali preposti, in attuazione di un programma che deve essere predisposto dal Consiglio Scolastico Distrettuale.

La legge ribadisce inoltre la funzione e gli scopi delle strutture speciali rispetto al processo

integrativo, sottolineando che, finché quest’ultimo non si sia realizzato completamente, le scuole

speciali non possono cessare di esistere. Esse infatti vengono adibite all’accoglienza dei bambini

con menomazioni gravi, tra le quali è inclusa l’ipoacusia profonda. Quei bambini che, dopo un

periodo di permanenza in una struttura speciale, grazie a trattamenti adeguati, hanno la possibilità di

essere portati vicino “al modello” dei bambini udenti, possono essere avviati ad un inserimento

scolastico il più precocemente possibile; per gli altri le alternative possono essere l’inserimento in

una scuola ordinaria malgrado la gravità del loro deficit o la permanenza in strutture speciali, fino al

raggiungimento di una sufficiente autonomia.

Il problema dell’inserimento scolastico dei bambini portatori di handicap fu affrontato per la

prima volta in Italia nel 1974. Tale innovazione si articolava sul piano didattico in due punti: 1)

ampliare il concetto di apprendimento, prendendo in considerazione oltre ai livelli di intelligenza

logico-costruttiva, anche lo sviluppo psico-motorio e i processi di socializzazione; 2) attuare il

tempo pieno visto come successione organica di diversi tempi programmati dagli operatori

scolastici. Successivamente la legge n. 270 del 1982 prevedeva l’inserimento dei bambini con

handicap anche nelle scuole materne statali, attuando così una completa integrazione scolastica.

La difficoltà di una scelta così impegnativa fra scuola ordinaria e scuola speciale, però,

permane ancora oggi e dipende, oltre che da fattori pratici e psicologici, anche dalla

disinformazione delle famiglie su ciò che ciascuna istituzione può garantire dal punto di vista del

recupero del deficit, dell’accrescimento culturale e della reale integrazione per il bambino sordo. Le

famiglie che volessero effettivamente sapere cosa sia meglio per il loro bambino non hanno un

punto di riferimento chiarificatore e spesso si trovano a seguire il consiglio del medico o la strada

già percorsa da amici. Questa disinformazione non coinvolge solo le famiglie le cui condizioni

ambientali e culturali sono carenti, ma anche le famiglie più preparate e consapevoli, dal momento

che è molto difficile trovare strutture che siano capaci di indirizzarle in modo chiaro e soprattutto

imparziale. Dunque la scelta fra scuola ordinaria e scuola speciale acquista un significato

qualitativamente concreto solo se ci si domanda quale dei due ambienti scolastici sia il più idoneo e

il più preparato, dal punto di vista della didattica e dell’integrazione, per garantire una situazione di

reale sviluppo intellettivo e psicologico del bambini sordo; perché se è vero che il bambino sordo

deve possedere delle capacità di “comunicazione attiva e passiva tale da consentire di fruire in

modo pieno dell’attività educativa” - come dice la legislazione italiana - è altrettanto vero che

l’abilità di farsi capire e di capire del bambino sordo è direttamente proporzionale all’abilità e alla

volontà che i suoi interlocutori udenti, corpo docenti, compagni di classe, insegnati di sostegno,

hanno di comunicare con lui. Infatti se queste abilità e volontà sono carenti o discontinue,

l’interesse a comprendere e a interagire del bambino sordo presto si trasformerà in indifferenza, o

peggio ancora in aggressività. C’è da dire che ancora oggi, a quasi trent’anni dall’emanazione della

suddetta legge, sia la situazione delle scuole ordinarie, che di quelle speciali, presentano diversi

aspetti problematici: infatti a tale legislazione non corrispondono necessariamente strutture

adeguate e coordinate tra loro, né una specifica preparazione del corpo docente e degli istituti.

I vantaggi dello scegliere una scuola speciale, rispetto ad una scuola ordinaria, risiedono nel

fatto che queste scuole possiedono una tradizione di una lunga esperienza di insegnamento ai

bambini sordi, sono solitamente competenti in LIS e danno la possibilità di relazionarsi con altri

bambini che vivono lo stesso deficit. Gli svantaggi risiedono invece nel fatto che spesso queste

scuole hanno alle spalle una lunga tradizione convittuale (o sono tutt’ora dei convitti) che si porta

dietro gli aspetti negativi di una prolungata istituzionalizzazione (lontanaza dalla famiglia,

dinamiche di gruppo incontrollabili…) e sono dei “contenitori” di bambini multiproblematici.

Questa considerazione nasce dal fatto che nella maggior parte dei casi i genitori non scelgono la

scuola speciale, che certamente convalida l’handicap, con la diretta conseguenza che le scuole

speciali sono andate via via svuotandosi e in esse sono rimasti pochi bambini o con altri problemi

oltre alla sordità, o che non avevano progredito nella scuola ordinaria e sono tornati a quella

speciale, o le cui famiglie, per diverse ragioni di ordine pratico e/o psicologico, non sanno trovare

altre alternative. Ciò è tanto più vero se si pensa che la scuola speciale, vista come potenziale centro

di esperienze e di conoscenze, è stata in parte condannata dalla legge, in quanto viene detto che la

sua esistenza è necessaria per i bambini più gravi fin quando il processo integrativo non sia

completato. Quindi stabilendo che “il fanciullo sordomuto può adempiere l’obbligo scolastico o

nelle scuole speciali o nelle classi ordinarie…” solitamente si dividono e si collocano i bambini

sordi in due categorie: nelle scuole speciali i bambini che oltre alla sordità presentano problemi di

altra natura, nelle scuole ordinarie quelli che hanno avuto una storia personale più favorevole.

Dalla Legge 517/77, però, sono stati fatti dei passi avanti: l’articolo 13 della Legge Quadro

104/92 (la L.104 e il D.M.P.I. del 9/7/’92) garantisce:

Il diritto all’Istruzione e all’Integrazione scolastica degli studenti handicappati grazie anche a servizi come trasporti, mensa, servizi logopedici, psicomotori, di comunicazione.

Per facilitare la comunicazione degli alunni sordi inseriti nelle scuole ordinarie vengono

dunque previste delle “figure assistenziali” (prese in carico dalla Provincia o dai Comuni), anche se,

in Italia, la legge non prevede alcun profilo professionale, né percorso didattico o formativo, né

indicazioni sull’inquadramento giuridico o economico, per tali figure assistenziali. Da tempo l’Ente

Nazionale Sordomuti (ENS) ha sollecitato il governo a stabilire e definire questo profilo

professionale, seguendo anche le indicazioni suggerite dal Dipartimento SEU, che ha tenuto conto

delle esperienze in corso ormai da anni. Dunque in seguito alla legge 104/92 le figure che,

all’interno della scuole ordinarie ruotano intorno al bambino o ragazzo sordo oltre a quelle

convenzionali (insegnanti curriculari, Dirigente Scolastico, ecc.), sono:

• l’insegnante di sostegno: deve conoscere le strategie didattiche e i programmi, stabilire i

contenuti spiegandoli e semplificandoli per le varie disabilità. Si occupa dell’alunno disabile

ma anche del resto della classe. Gli insegnanti di sostegno non sempre sono preparati, sul

piano teorico, per affrontare un bambini sordo e per comunicare in modo adeguato con lui;

da qualche anno a questa parte, però, il Ministero della Pubblica Istruzione ha attuato alcuni

corsi di alta qualificazione, in convenzione con l’Ente Nazionale Sordomuti, all’interno dei

quali vi sono anche delle ore di lingua dei segni che, sebbene siano del tutto insufficienti per

apprendere la lingua, sono comunque un buon inizio per approcciare con l’alunno sordo. In

futuro sarebbe auspicabile che, nel caso di studenti sordi, le scuole avessero la possibilità di

richiedere espressamente un docente di sostegno segnante tramite una graduatoria che si

dovrebbe costituire solo fra gli insegnanti che conoscono la LIS.

• l’Assistente alla Comunicazione (udente): “l’Assistente alla Comunicazione è una figura

professionale impegnata con allievi sordi che frequentano le scuole ordinarie elementari,

medie inferiori e medie superiori…l’Assistente alla Comunicazione deve saper mediare la

peculiarità e la pluralità delle diverse discipline, ognuna delle quali ha il suo mondo, un suo

linguaggio specifico e soprattutto una sua didattica e renderlo intelligibile al giovane

studente sordo…deve conoscere la LIS così bene, come se fosse un interprete LIS/Italiano,

che non solo sa mettere in segni la voce, ma sa anche ben tradurre i segni mettendoli in

voce…deve conoscere la storia, il mondo e la cultura sorda…” (Bigi, Carlesi, 1996).

L’Assistente alla Comunicazione deve dunque essere competente in LIS, sapendo mettere in

segni la voce e viceversa tradurre i segni mettendoli in voce; deve conoscere la cultura e la

storia dei sordi partecipando e vivendo in prima persona gli avvenimenti inerenti al “mondo

sordo”; deve possedere conoscenze psico-pedagogiche sullo sviluppo del bambino sordo,

nonché conoscenze didattiche e metodologiche: tali conoscenze vengono acquisite tramite

gli specifici corsi per Assistente alla Comunicazione, l’interesse personale che porta gli

Assistenti a documentarsi ed aggiornarsi costantemente e, in ultimo, l’esperienza sul campo;

deve fare da “ponte” fra il bambino sordo, la scuola, la famiglia e le strutture territoriali

facilitando la comunicazione e l’integrazione fra questi diversi mondi al fine di agevolare

anche fra loro la comunicazione avendo come fine ultimo il benessere del bambino; deve essere un facilitatore dell’integrazione in classe agevolando l’integrazione del bambino con i

suoi compagni di classe, rispettandone le modalità e i tempi e non sostituendosi in nessun

caso al bambino stesso; deve saper lavorare in gruppo maturando la consapevolezza di

svolgere un lavoro in rete con altre figure professionali e con queste deve coordinarsi per

costruire un clima collaborativo e sereno intorno al bambino; deve essere un facilitatore di

contenuti trovando il metodo per “far arrivare” al bambino i contenuti di ciascuna disciplina,

rispettandone la complessità e facilitando quindi l’acquisizione dei contenuti senza

necessariamente semplificarli; deve essere un buon osservatore, sensibile e paziente essendo

in grado di cogliere le esigenze del bambino tempestivamente e cercando di risolverle con

sensibilità e pazienza; deve essere flessibile in vari aspetti del proprio lavoro che vanno

dall’orario lavorativo, alle condizioni in cui ci si trova a lavorare, alla capacità di sapersi

“reinventare” a seconda del bambino che si ha di fronte, delle richieste che la famiglia pone

e della scuola; deve possedere il diploma di Assistente alla Comunicazione: a tale corso

potranno partecipare solo le persone con un buon livello culturale, ovvero in possesso di

maturità di scuola superiore, e che già conoscono la LIS. I corsi si articoleranno in due parti:

la prima volta a migliorare le competenze in LIS, la seconda volta ad acquisire le

indispensabili competenze didattiche e psico-pedagogiche necessarie per lavorare nella

scuola (coloro che, per motivi personali, conoscono la LIS, non possono comunque lavorare

come Assistenti alla Comunicazione se non dopo l’apposito corso).

• l’Educatore sordo: deve essere bilingue e conoscere quindi molto bene la LIS; deve aver

frequentato un corso di formazione; deve avere un titolo di studio adeguato (diploma di III

media per il nido e la scuola materna, diploma di maturità per il nido, la scuola materna e la

scuola elementare, laurea per tutti i gradi scolastici dal nido alle scuole superiori); deve

stabilire una relazione privilegiata con il bambino sordo in quanto modello con cui porsi a

confronto per costruire la propria personalità e identità; deve stimolare nei docenti

l’osservazione, la riflessione, il giudizio critico sulle esperienze “mancanti” e deve mediare

il contesto favorendo la comunicazione.

Solitamente è previsto l’Educatore sordo al nido e nella scuola materna (solo in alcuni casi

nella scuola elementare) e l’Assistente alla Comunicazione dalla scuola elementare in poi. Questa

scelta nasce dal fatto che l’Educatore sordo può garantire, a differenza dell’Assistente alla

Comunicazione udente, l’acquisizione linguistica del bambino piccolo ancora preverbale,

fornendogli un input linguistico precoce e “una lingua madre” soprattutto se ha genitori udenti.

Inoltre l’Educatore sordo può favorire l’equilibrio psichico del bambino sordo fornendogli la

possibilità di identificarsi con un adulto sordo perfettamente integrato e bilingue. Come ampiamente

dimostrato l’apprendimento dipende anche dalla qualità delle relazioni e della comunicazione:

l’educatore sordo vede infatti con gli stessi occhi del bambino e sa portarlo a capire e denominare le

conoscenze adattando la sua LIS alle capacità e alla fase evolutiva del bambino. L’Assistente alla

Comunicazione interviene dunque quando la LIS è già consolidata e quando i programmi scolastici

diventano più impegnativi (nelle scuole superiori, per esempio, potrebbe essere difficile per un

Educatore sordo, seppur molto competente, interagire con i docenti curriculari udenti e seguire le

lezioni scolastiche che vengono fatte vocalmente dai professori).

Solitamente l’Educatore sordo o l’Assistente alla Comunicazione, lavora a scuola dalle 12

alle 20 ore settimanali affiancando gli insegnanti, facilitando la comunicazione, arricchendo la

lingua dei segni e al tempo stesso rafforzando, con il confronto fra le due lingue, le strutture morfo-

sintattiche dell’italiano. Mentre i docenti curriculari programmano e svolgono, insieme

all’Insegnate di Sostegno l’attività didattica, l’Educatore sordo o l’Assistente alla Comunicazione

collaborano attivamente alle lezioni. Nella realtà succede che in alcuni casi le diverse figure sono

contemporaneamente in classe; in altri casi l’Educatore o l’Assistente resta in classe mentre

l’Insegnante di Sostegno prepara e adatta visivamente il materiale didattico per l’alunno sordo; in

altri ancora avviene che le due figure siano presenti in classe in momenti diversi, coprendo così un

monte ore più ampio. Le diverse scelte dipendono dall’affiatamento dell’équipe, dalle esigenze

individuali dell’alunno sordo e dalla capacità di valorizzare al massimo le diverse competenze di

ciascuna figura professionale.

In Italia vi sono inoltre pochissime scuole ordinarie che sono bilingue: per scuola bilingue si

intende una scuola dove si parli sia la LIS che l’italiano. L’obiettivo della scuola bilingue è quello

di “integrare i bambini sordi nella scuola “comune”, formando un gruppo di bambini sordi (vi è la

necessità che i sordi stiano con altri sordi) che acquisiscono la LIS come lingua naturale insieme a

bambini udenti che impiegano la LIS come seconda lingua il più precocemente possibile (cioè

partendo dalla scuola dell’infanzia) con l’apporto di operatori esperti in LIS” (Teruggi, 2003). In

passato si riteneva che avere nella stessa classe più bambini sordi sarebbe stato controproducente e

avrebbe impedito una reale integrazione del bambino sordo nel mondo degli udenti. Tali

considerazioni trascurano completamente le esperienze condotte, e quelle ancora in corso, in diverse

città italiane di classi “speciali” di bambini sordi in scuole ordinarie per bambini udenti. Ad

esempio nella scuola media statale Mazzini di Roma, gli alunni sordi, non superiori ad otto,

frequentavano per alcune materie (italiano, storia, geografia, matematica e inglese) la classe

speciale, mentre poi si univano ad una classe ordinaria per altre materie (educazione artistica,

tecnica e fisica). Questa esperienza fu molto positiva perché da una lato, permetteva un

insegnamento specializzato di quelle discipline che richiedono un’adeguata competenza linguistica

per accedere ai contenuti, dall’altro, dava agli alunni sordi l’opportunità di interagire in modo

paritario con gli udenti nelle materie dove prevale l’operatività, permettendo inoltre di avere

momenti di scambio fuori dall’orario prettamente scolastico (ricreazione, entrata e uscita da scuola).

In altre scuole invece più ragazzi sordi sono stati riuniti nella stessa classe, per tutte le ore

scolastiche e per tutte le materie, creando necessariamente una maggiore attenzione da parte dei

professori e dei compagni di classe udenti nei loro riguardi; per tale scelta hanno optato ad esempio

la scuola materna e elementare di Mompiano in provincia di Brescia, ex scuola speciale che ha

attuato “l’integrazione al contrario”, ovvero si è aperta ai bambini con sviluppo tipico, e la scuola

superiore Duca degli Abruzzi di Roma, scuola ordinaria che in seguito alla legge 517/77, ospitando

casualmente un certo numero di ragazzi sordi nelle sue classi, si è attrezzata per accogliere questi

particolari studenti in modo più adeguato fino a divenire una scuola ordinaria considerata dalla

comunità sorda di Roma, specializzata in sordità. In base a queste esperienze e a quanto si è visto

invece di singoli bambini sordi inseriti in classi di udenti, si può affermare che a volte questa

auspicata integrazione del bambino sordo con il mondo udente, si trasformi invece in una

“ghettizzazione” del bambino sordo, del suo Insegnate di Sostegno e dell’Assistente alla

Comunicazione che si trovano isolati rispetto alla classe. Partendo da questi presupposti la scuola

bilingue ritiene opportuno che, all’interno delle classi formate da alunni udenti, vi siano più bambini

sordi che partecipano, grazie all’Assistente alla Comunicazione o all’Interprete scolastico, a tutte le

ore di lezioni (senza però separare la classe a seconda della materie come visto nell’esempio

precedente). Inoltre è evidente da queste esperienze di bilinguismo che i bambini udenti hanno una

grande facilità nell’apprendimento di una lingua dei segni e l’acquisiscono con molta più rapidità, e

con minore sforzo, rispetto agli adulti. Le loro capacità di attenzione e memoria visiva, risultano

potenziate; a questo si aggiungano i benefici personali che provengono dall’essere protagonisti di

un’esperienza tanto suggestiva e formativa e le possibilità, dal punto di vista lavorativo, che dà

l’acquisizione di una lingua che così poche persone conoscono (lavorare in futuro come interprete,

come insegnante specializzato per bambini sordi, ecc.).

Nelle scuole bilingue si ritiene inoltre importante che l’acquisizione della LIS, che

solitamente avviene negli istituti speciali che, come precedentemente detto, spesso sono anche dei

convitti dove i bambini restano per tutta la settimana, avvenga invece all’interno di un contesto

scolastico ordinario: “è dunque indispensabile che i bambini sordi frequentino insieme una scuola

“normale” e che sia evitata l’istituzionalizzazione” (Teruggi, 2003). Altri due punti su cui la scuola

bilingue insiste molto sono la reale integrazione fra sordi e udenti -che può avvenire solo all’interno

di un contesto in cui le due lingue e le due culture siano paritarie - e l’apprendimento didattico: “è

indispensabile che i bambini sordi acquisiscano al più presto la lingua italiana dei segni in un

ambiente scolastico “normale” per garantire il massimo dell’integrazione, ma anche il massimo

dell’apprendimento curriculare” (Teruggi, 2003). Bisogna però sottolineare che è molto difficile

che un’esperienza di bilinguismo italiano/LIS sia bilanciata: i bambini udenti sono sempre più

numerosi dei bambini sordi. Inoltre molti dei bambini sordi che accedono alle scuole bilingue,

arrivano con una competenza limitatissima sia nella lingua dei segni che nell’italiano rispetto alla

loro età cronologica; gli insegnanti segnanti sono senza dubbio di meno rispetto agli insegnanti

udenti che non comunicano con la lingua dei segni. E’ però da tener presente che è molto difficile

realizzare un’esperienza didattica di bilinguismo totalmente bilanciata.

Si ritiene inoltre importante che i bambini sordi abbiano, per tutte le ore scolastiche e per

tutta la durata dell’iter scolastico, delle figure esperte in LIS, siano esse Assistenti alla

Comunicazione o Educatori sordi, che li accompagnino e li sostengano: “è indispensabile che i

bambini sordi siano supportati in modo continuativo da una figura veramente esperta in LIS per

tutta la scuola di base per garantire il massimo della continuità. E’ indispensabile raggiungere tali

obbiettivi evitando sprechi di risorse umane ed organizzative, ed eccessivi disagi per l’utenza”

(Teruggi, 2003).

Gli stessi problemi che l’alunno sordo ha già incontrato a scuola, sia essa speciale o

ordinaria, e in particolare nella scuola superiore, si ritrovano anche all’Università ma amplificati e

aumentati: le aule sono affollate, è difficile trovare posto in prima fila (non sempre il posto è

riservato) e vi è un vocio di sottofondo che rende quasi inutilizzabili le protesi. Se la lezione è nelle

sale del cinema (come sempre più spesso ormai accade per problemi di mancato spazio nelle aule

universitarie) la distanza dalla cattedra aumenta e la lettura labiale è sempre più difficile. Inoltre i

compagni di corso cambiano in continuazione ed è quindi difficile sia stabilire rapporti

interpersonali che permettano di poter chiedere favori, quali un prestito di appunti o informazioni

utili ai fini di un esonero o di un esame, sia abituarsi al movimento delle loro labbra. L’Università,

per agevolare gli studenti sordi, dovrebbe mettere a disposizione sussidi, strumenti, figure

professionali quali interprete LIS/italiano, ripetitori labiali, tutor, prendi appunti, ecc. previste dalla

legge 104/92: spesso invece le Università non li forniscono con la giustificazione di non avere

sufficienti fondi. Inoltre i docenti non sempre vengono informati che nel loro corso c’è uno studente

sordo per cui spengono le luci mentre proiettano diapositive, spiegano mentre sono girati di schiena

alla lavagna o passeggiano per l’aula, non attivano alcuna strategia per facilitare la comunicazione

né durante le lezioni, né durante gli esami. Quindi fra le difficoltà pratiche che abbiamo appena

illustrato e la preparazione spesso non idonea con cui i ragazzi sordi escono dalle scuole superiori,

l’accesso all’Università diviene veramente molto complesso. Si pensi infatti che in tutta Italia sono

appena centocinquanta circa i ragazzi sordi che sono iscritti all’Università e cinquanta circa le

persone sorde laureate: ciò indica che fino ad oggi è stato fatto poco, nel nostro Paese, per abbattere

le barriere comunicative. Per fortuna, però, ci sono delle eccezioni, infatti fin dal 1992 alcune

Università hanno mostrato attenzione e sensibilità e non è un caso che circa la metà degli studenti

sordi universitari sia ripartita fra l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, che accoglie in

media trentacinque studenti sordi, e l’Università degli Studi di Padova, che ne accoglie in media

trentasette; ultimamente si è osservata una maggiore affluenza di studenti sordi anche

nell’Università “Roma Tre”.

Illustrata la situazione scolastica italiana, passiamo ora ad un rapido sguardo del panorama

europeo: sembra che all’estero l’integrazione di bambini sordi in scuole ordinarie sia stata fatta con

maggior cura e prudenza, senza necessariamente determinare la chiusura delle scuole speciali. In

Belgio, ad esempio, la scuola speciale ha ancora un posto fondamentale nonostante si osservino,

anno dopo anno, nuove sperimentazioni di integrazione di bambini sordi in scuole ordinarie per

iniziativa dei genitori. In Danimarca, ci sono voluti diversi anni perché la lingua dei segni fosse

riconosciuta come lingua ufficiale della comunità sorda ma, ora che questo riconoscimento è

avvenuto, il Ministero della Pubblica Istruzione danese stabilisce l’uso della lingua dei segni

all’intero ciclo dei curricula scolastici di tutti i bambini sordi per tutti i gradi di istruzione, siano essi

inseriti in scuole ordinarie o in scuole speciali. In Svezia, invece, sono previste tre possibilità

scolastiche per i bambini sordi: l’inserimento in classi per udenti con i vari supporti specialistici

(solitamente vengono qui inseriti i bambini con sordità lieve), le classi speciali in scuole ordinarie

(solitamente vengono qui inseriti i bambini con sordità media), le scuole speciali (solitamente

vengono qui inseriti i bambini con sordità grave o profonda). E’ da sottolineare che nelle scuole

speciali la lingua dei segni è ritenuta la prima lingua per i bambini sordi anche se diversi insegnanti

ed educatori devono ancora percorrere una lunga strada per diventare tanto padroni di questa

modalità per poter insegnare in lingua dei segni. L’Inghilterra prevede invece tre strutture

fondamentali: la scuola speciale, le classi speciali in scuole ordinarie, il servizio degli insegnanti

visitatori. Anche se generalmente le scuole speciali sono previste per i bambini con sordità grave o

profonda, mentre le classi speciali in scuole ordinarie sono previste per i bambini con sordità media

o lieve, in realtà si cerca più di valutare le reali capacità e possibilità del bambino rispetto al suo

grado di sordità. Molto interessante è invece il servizio degli insegnanti visitatori che viene svolto

sia per i bambini delle scuole speciali che per quelli delle classi speciali in scuole ordinarie: questi

insegnanti specializzati effettuano un lavoro di sostegno e di informazione delle famiglie, seguono i

bambini sordi già in età prescolare, collaborano con le scuole attraverso colloqui con gli insegnanti,

svolgono un’attività individuale con i bambini, visitano le famiglie e, eventualmente, collaborano

anche con il reparto di audiologia dell’ospedale per la diagnosi. Al di fuori dell’ Europa, invece,

negli Stati Uniti, la possibilità di scelta è fra scuole speciali e ordinarie, fra scuole pubbliche e

private, scuole residenziali e non residenziali. La maggior parte degli alunni sordi segue

un’educazione basata sulla comunicazione totale, in cui si usano contemporaneamente la

comunicazione verbale e una forma di comunicazione segnata. Fin dagli anni settanta (PL 94-142.

1975) la legislazione americana prevede che tutte le strutture educative elaborino un programma

educativo individualizzato. Anche le famiglie dei bambini sordi vengono coinvolte in prima persona

nel percorso riabilitativo dei loro figli tramite la frequentazione a gruppi di sostegno e di educazione

ai problemi della sordità. La famiglia viene dunque presa in carico dalla scuola o dall’ospedale che

procede con una valutazione globale, che tiene conto del livello cognitivo, sociale, comunicativo,

linguistico vocale e linguistico in segni, sia del nucleo familiare, sia del bambino sordo. Tanta

attenzione alla lingua dei segni è confermata dal fatto che in America, a Washington, vi è l’unica

Università al mondo per sordi: la Gallaudet University. Anche in questo caso, però, le critiche non

mancano: la scuola americana viene accusata di aspettarsi troppo poco dai bambini sordi

contribuendo così a fornirgli un livello d’istruzione più basso rispetto ai compagni udenti.

Tutto ciò ci dimostra che, sebbene molto sia stato fatto, sia in Italia che all’estero, per

l’istruzione dei bambini e dei ragazzi sordi in questi anni, molto ancora deve essere fatto a tutti i

gradi scolastici e in particolare a quelli alti, se veramente si vuole che le persone sorde abbiano la

stessa possibilità di accesso alla cultura e all’istruzione che hanno i ragazzi udenti.

1.6 LA COMPETENZA IN LINGUA PARLATA E SCRITTA

Nel paragrafo 1.3 si è visto come le persone che nascono sorde o perdono l’udito nei primi

anni di vita e che hanno una sordità grave o profonda, non imparino spontaneamente la lingua

parlata nell’ambiente che li circonda. Tuttavia, se esposte ad un insegnamento specifico e formale,

possono imparare a parlare, a leggere sulle labbra, a leggere dei testi e a scrivere. Nonostante le

diversità individuali, i vari livelli culturali, gli anni di riabilitazione e l’allenamento personale,

sembra che le persone sorde raggiungano difficilmente una competenza linguistica, parlata e scritta,

pari a quella delle persone udenti madrelingua. Il bambino sordo, rispetto all’udente, procede infatti

con un ritmo più lento e permane più a lungo nella fase degli “errori”, proprio perché per lui il

linguaggio è frutto di un apprendimento e non di una acquisizione spontanea.

In particolare osserviamo diverse difficoltà che sembrano propriamente legate alla sordità

(Orsolini et al., 1992; Caselli et al., 1994; Massoni, Maragna , 1997; Maragna, 2000; Fabbretti,

Caselli, 2001; Maragna, 2003):

� produzione di frasi più brevi e tendenti ad evitare strutture sintattiche complesse;

� competenze fonologiche meno buone rispetto agli udenti da un punto di vista

qualitativo;

� utilizzazione di un vocabolario più povero sia in comprensione che in produzione;

� accentuata rigidità lessicale che non permette di padroneggiare le diverse sfumature

di significato di una stessa parola;

� difficoltà nelle competenze pragmatiche che permettono di distinguere il significato

reale da quello letterale di alcune espressioni, modi di dire e proverbi;

� errori nella comprensione di frasi passive reversibili, di pronomi, di preposizioni e di

nomi nella forma plurale;

� problemi nel giudicare l’accettabilità di frasi relative, subordinate e

pronominalizzate;

� errori di omissione, sostituzione e aggiunta in diversi aspetti della morfologia e in

particolare di quella libera, come ad esempio preposizioni, articoli e pronomi;

� errori nei modi, nei tempi e nelle coniugazioni verbali;

� omissione di ausiliari e imprecisioni lessicali.

Queste difficoltà sono conseguenza di diversi fattori fra cui un’esposizione alla lingua

parlata tardiva rispetto ai bambini udenti: nonostante la diagnosi di sordità possa essere stata fatta

precocemente, al bambino occorrerà molto tempo prima di saper leggere le labbra e imparare a

sfruttare un eventuale residuo acustico attraverso le protesi. Inoltre le condizioni in cui il processo

di apprendimento della lingua parlata si realizza sono molto diverse rispetto a quelle dei bambini

udenti: l’input linguistico può essergli offerto solo da un’interazione frontale con l’interlocutore, il

linguaggio che gli viene proposto è spesso semplificato sia nei contenuti che nella forma. Il contesto

in cui il bambino sordo viene esposto alla lingua vocale, inoltre, è spesso artificiale. Vi è l’assenza,

totale o parziale, di feedback acustico nelle produzioni che il bambino compie. Per quanto riguarda

la morfologia libera inoltre, le maggiori cause di difficoltà delle persone sorde sono dovute alla

brevità di queste parole, alla loro natura spesso atona, al fatto che sono prive di significato

semantico, non salienti all’interno del discorso, di difficile lettura labiale e sottostanno a numerose

eccezioni: nella morfologia libera è infatti molto difficile esplicitare una regola generale se non

attraverso un uso continuo e ripetuto che porti all’assimilazione attraverso l’allenamento linguistico.

Tutti questi motivi contribuiscono dunque a determinare le difficoltà che le persone sorde

incontrano nel raggiungere una reale competenza nella lingua parlata e scritta.

E’ inoltre interessante notare come gli stessi tipi di errori prodotti dalle persone sorde

esposte all’italiano, si trovino anche in altre lingue vocali, in persone che hanno seguito iter

educativi diametralmente opposti, in modalità diverse (sia nella lingua parlata che in quella scritta)

e in capacità diverse (ovvero comprensione, produzione, giudizi di accettabilità).

1.7 LA VALUTAZIONE DELLE ABILITA’ LINGUISTICHE

Per valutare il linguaggio è indispensabile osservare la competenza del bambino in base al

contenuto (vocabolario-semantica), alla forma (sintassi-morfologia-fonologia), al contesto

(pragmatica), all'uso (varietà di funzioni presenti nell'interazione), ovvero osservare cosa fa il

bambino quando usa il linguaggio e come lo usa, come riesce a far passare un messaggio, quali

contenuti riesce ad esprimere, quali regole della lingua possiede o non possiede, valutare se e

quanto il problema del linguaggio implica anche problemi di comunicazione.

Passando ad analizzare il caso specifico dei bambini sordi, bisogna tener presente che i

livelli di sviluppo linguistico di questi bambini sono fortemente influenzati da diversi fattori oltre

alla sordità ed in particolare dal contesto familiare (genitori sordi o udenti), dalla lingua parlata a

casa (parlata, segnata o una combinazione di entrambe), dall’età della diagnosi e della

protesizzazione, dagli interventi logopedici portati avanti per promuovere l’apprendimento della

lingua vocale e scritta e, più in generale, dal percorso educativo offerto al bambino. Per tutti questi

motivi si ritiene che, se si vogliono valutare le abilità comunicative e linguistiche dei bambini sordi,

non si possa prescindere dal valutare anche le loro abilità cognitive non verbali. Inoltre la

valutazione delle abilità linguistiche del bambino sordo dovrebbe includere l’osservazione delle

capacità linguistiche nelle diverse modalità ovvero parlato, segnato e scritto (sia in comprensione

che in produzione). Si dovrebbero quindi adottare procedure di valutazione per esaminare le

competenze nella lingua dei segni comparabili a quelle usate per la lingua vocale. La metodologia

di valutazione dovrebbe essere pensata in modo tale da permettere un confronto con i livelli di

sviluppo e i cambiamenti evolutivi del bambino sordo e con quelli dei coetanei udenti.

Molti Autori nazionali e internazionali si sono interessati al tema della valutazione del

linguaggio in bambini sordi ma, mentre all’estero sono stati fatti degli studi volti a valutare le

competenze linguistiche anche in lingua dei segni, la ricerca italiana si è quasi esclusivamente

concentrata sulla valutazione delle competenze linguistiche parlate e scritte: solo pochissimi studi

hanno cercato di valutare parallelamente a queste capacità, anche le competenze linguistiche

direttamente in segni, ritenendo che una valutazione completa debba includere i tre aspetti della

comunicazione e cioè il parlato, il segnato e lo scritto.

La prima ricerca è stata condotta dell’allora Istituto di Psicologia del CNR di Roma in

collaborazione con l’ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma con lo scopo di ottenere

informazioni sulle abilità cognitive e linguistiche di undici bambini sordi profondi italiani in età

prescolare con particolare riferimento alle abilità linguistiche valutate in LIS (Ossella et al., 1994;

Ardito et al., 1997; Ardito et al., 1998; Pizzuto et al., 1998; Pizzuto et al., 2000; Pizzuto, 2002;

Caselli, Volterra, 2003; per approfondimenti sui risultati analitici di tale ricerca si rimanda a Pizzuto

et al., 2001). Tale ricerca ha utilizzato delle procedure di valutazione paragonabili per il parlato e il

segnato: la maggior parte delle prove sono infatti state proposte sia in lingua vocale, sia in lingua

dei segni. E’ innanzitutto importante sottolineare come nella fase di progettazione delle prove e nel

loro successivo svolgimento, gli Autori abbiano coinvolto dei collaboratori sordi segnanti nativi,

nonché degli interpreti italiano/LIS che hanno permesso un’interazione adeguata alle esigenze

comunicative e linguistiche tra le famiglie sorde che hanno partecipato al progetto ed alcuni

ricercatori udenti che non conoscevano bene la LIS. La metodologia di raccolta dei dati prevedeva

che i bambini partecipanti al progetto e i loro genitori prendessero parte a tre sedute di osservazione

videoregistrate che hanno avuto luogo nel corso di tre settimane. All’interno di queste sedute sono

state effettuate delle interviste con i genitori che si sono svolte in italiano o in LIS, a seconda se i

genitori erano udenti o sordi: in quest’ultimo caso si è ricorso all’aiuto di un interprete italiano/LIS.

Grazie alle interviste cliniche semistrutturate condotte nella cornice teorica del modello sistemico-

relazionale e all’osservazione hic et nunc genitori/bambino, si sono osservati i modelli emotivo-

relazionali all’interno di ciascuna famiglia. In particolare i parametri qualitativi del funzionamento

familiare che sono stati presi in considerazione sono: il rapporto con la famiglia di origine, il

funzionamento della coppia coniugale, il funzionamento della coppia genitoriale, le aspettative

genitoriali, il grado di adattamento al deficit, la partecipazione al processo educativo del figlio, il

grado di promozione dell’autonomia del figlio, la comunicazione, il codice linguistico utilizzato in

casa, la consapevolezza della cultura sorda e di quella udente e il rispetto delle loro rispettive lingue

(segnata e parlata). Sulla base dei modelli emotivo-relazionali riscontrati all’interno delle famiglie

(sia quelle con genitori sordi che quelle con genitori udenti), queste ultime sono state suddivise in

due tipologie principali: tipologia “funzionale” e tipologia “disfunzionale”. Da tali analisi gli autori

mettono in luce che i modelli relazionali delle famiglie considerate “funzionali” e “disfunzionali” si

possono ritrovare sia nelle famiglie di persone sorde, che usano primariamente la LIS, sia in quelle

di persone udenti, che usano primariamente la lingua parlata. Come a dire, dunque, che la presenza

di un codice linguistico condiviso non è di per sé sufficiente ad assicurare una famiglia “funzionale”

e ben equilibrata per la crescita del bambino: tre coppie di genitori sordi segnanti cadevano infatti

nella tipologia “disfunzionale”. Allo stesso modo l’assenza o l’uso limitato di una stessa lingua non

implica necessariamente modelli relazionali “disfunzionali”: quattro coppie di genitori udenti che

non usavano la LIS rientravano infatti nella tipologia “funzionale”.

Parallelamente alle interviste con i genitori e all’osservazione bambino/famiglia, ciascun

bambino veniva osservato e valutato individualmente da esaminatori udenti e sordi, considerando

sia le sue competenze in lingua vocale che in LIS. Le abilità cognitive e visuo-spaziali dei bambini

sono state valutate attraverso due prove non verbali: Visual Motor Integration Test VMI (Berry,

1997) e Leiter International Performance Scale LIPS (Leiter, 1980). I risultati relativi a queste prove

mostrano che tutti i bambini osservati nella ricerca sono cognitivamente adeguati senza differenze

significative fra bambini sordi figli di genitori sordi o figli di genitori udenti. Per quanto riguarda la

valutazione del vocabolario LIS in comprensione sono stati somministrati il Peabody Picture

Vocabulary Test PPVT (Dunn, Dunn, 1981) e il Test di Comprensione grammaticale per Bambini

TCGB (Chilosi, Cipriani, 1995). Ai bambini, valutati individualmente, veniva chiesto di

riconoscere quale figura corrispondesse a ciascun segno LIS o frase segnata che venivano presentati

dal vivo. La prova era somministrata da una persona udente esperta segnante. I compiti di

produzione del vocabolario LIS sono stati invece proposti solo a quei bambini che avevano i

genitori sordi ed erano una prova di denominazione lessicale e una di elicitazione di frasi. In queste

prove in segni i bambini sordi figli di genitori sordi hanno ottenuto dei risultati nettamente migliori

rispetto alle stesse prove in vocale.

Interessante notare come nelle versioni segnate dei test sopra elencati, i bambini sordi

ottengono complessivamente dei risultati paragonabili a quelli ottenuti dai loro coetanei udenti,

cosa che invece non accade per la versione vocale dei suddetti test, in cui ottengono risultati

decisamente inferiori se paragonati con quelli dei loro coetanei udenti. Le competenze linguistiche

dei bambini sordi osservati sarebbero state notevolmente sottostimate se i ricercatori avessero

limitato le loro valutazioni alla sola modalità vocale senza includere quella segnica. Questi dati ci

mostrano dunque la diversità dei risultati che si ottengono in compiti di valutazione del linguaggio

quando i bambini sordi hanno la possibilità di elaborare le prove linguistiche attraverso la modalità

integra visivo-gestuale.

La metodologia utilizzata in questo studio mostra che una valutazione appropriata delle

abilità dei bambini sordi richiede un approccio globale. La valutazione del linguaggio deve essere

condotta con strumenti adeguati all’età di sviluppo e soprattutto alle abilità comunicative e

linguistiche. Questo permetterà di valutare i bambini sordi non solo rispetto alle loro carenze ma

anche rispetto ai loro punti di forza. Per questi motivi la valutazione del linguaggio non può

limitarsi alla modalità del parlato ma, come gli Autori hanno chiaramente mostrato, deve essere

estesa all’uso della lingua nella modalità segnata. Questo dovrebbe essere ovvio almeno per i

bambini sordi figli di genitori sordi segnanti, per i quali la lingua dei segni è la lingua madre. Se le

valutazioni si limitassero infatti alla sola modalità del parlato, in cui la letteratura ha riscontrato

consistenti ritardi rispetto ai bambini udenti della stessa età, le conoscenze linguistiche dei bambini

sordi sarebbero notevolmente sottostimate.

Consideriamo ora il caso di una ricerca longitudinale, di durata triennale, più recente (Celo,

2005) condotta su 15 bambini sordi e circa 40 bambini udenti frequentanti la scuola Materna o

Elementare e coinvolti in un progetto sperimentale di bilinguismo. Tale studio è volto a valutare le

competenze linguistiche in LIS e la loro evoluzione. Nel primo anno a tutti i partecipanti sono stati

mostrati dei cortometraggi animati senza sonoro differenziati a seconda dell’età dei bambini (negli

anni successivi per la scuola Materna i cortometraggi, ritenuti troppo complessi, sono stati sostituiti

dalla visione di due libri per bambini illustrati). Dopo la visione è stato chiesto ai bambini che

avevano visto i filmati o guardato i libri illustrati, di segnare individualmente il racconto osservato:

tali produzioni sono state videoregistrate. La codifica dei dati ha tenuto in considerazione alcuni

parametri linguistici della LIS (in particolar modo quelli sintattico-strutturali) che sono stati ritenuti

fondamentali dagli Autori di questa ricerca: uso dei classificatori, uso morfologico dello spazio e

congruenza con i verbi direzionali, impersonamento, ordine dei segni nella frase con particolare

riguardo alle locative e alla negazione, uso delle interrogative retoriche, formazione fonologica dei

singoli segni, espressioni non manulai e uso della dattilologia4. I risultati della ricerca ci mostrano

come la produzione segnica dei bambini della scuola materna migliori in progressione temporale

senza distinzioni fra bambini sordi e udenti. Per i bambini della I e II elementare, invece, troviamo

un predominio dell’italiano segnato rispetto ad una corretta costruzione in LIS, inoltre è assente

l’uso di classificatori, scarso l’impersonamento e l’uso corretto delle locative, mentre la dattilologia

(specie nei bambini udenti) sostituisce significati di cui non si conosce il segno e la fonologia è

spesso imprecisa con errori di movimento e di configurazione: tale quadro complessivo vale sia per

i bambini sordi che udenti, con una propensione però per i sordi a costruire periodi che siano

sintatticamente più vicini alla LIS e lasciandosi quindi meno condizionare dall’italiano. Dalla III

elementare in poi si osserva che le competenze segniche dei bambini sordi migliorano notevolmente

rispetto a quelle dei loro compagni udenti e inoltre si nota un uso pertinente della dattilologia per i

nomi propri o a rinforzo di alcuni segni, un buon uso delle locative e delle interrogative anche

retoriche.

In base a quanto sopra esposto si evince che, sebbene nel panorama italiano vi siano diversi

strumenti per valutare le competenze linguistiche di bambini sordi in lingua vocale e scritta, ve ne

4 Per ulteriori approfondimenti si rimanda a Caselli M. C., Maragna S., Pagliari Rapelli L., Volterra V., Linguaggio e Sordità. La Nuova Italia, 1994; Volterra V. (a cura di). (1987). La lingua italiana dei segni. La comunicazione visivo-gestuale nei sordi. Bologna: Il Mulino.

sono invece pochissimi per valutare le competenze linguistiche in LIS: da tale considerazione nasce

quindi l’esigenza di mettere a punto degli strumenti idonei, atti a valutare qualitativamente e

quantitativamente le competenze linguistiche di bambini e ragazzi sordi nella lingua dei segni

italiana (LIS). Inoltre possedere degli strumenti che valutino le competenze linguistiche in LIS

sarebbe utile anche per indagare i vantaggi dei diversi iter educativi e degli eventuali benefici

dell’impianto cocleare. Come si comportano nei compiti linguistici i bambini sordi segnanti rispetto

ai bambini sordi non segnanti? I bambini impiantati segnanti e non segnanti hanno degli effettivi

vantaggi nel padroneggiamento della competenze linguistiche o no? Questi ed altri interrogativi

troverebbero risposta se la valutazione della competenze linguistiche orali venisse fatta nelle due

modalità: segnato e parlato.

CAPITOLO 2: LA TEORIA DELLA MENTE

2.1 LA TEORIA DELLA MENTE NEI BAMBINI CON SVILUPPO TIPI CO

La teoria della mente costituisce un particolare approccio a un problema che ha goduto di un

interesse durevole nella storia del pensiero occidentale: la psicologia del senso comune o ingenua.

Si tratta di descrivere e spiegare la nostra quotidiana comprensione del mondo in cui le persone

sentono, vogliono e pensano. Nel ragionare e parlare di noi stessi e degli altri, piuttosto che spiegare

le azioni e le interazioni quotidiane in termini comportamentali, ci riferiamo costantemente a stati

mentali quali desideri, emozioni, intenzioni, pensieri, credenze, speranze, ricordi, paure e promesse,

e tendiamo a far riferimento agli stati psicologici che determinano gli accadimenti o che da essi

derivano (Perrucchini, 1993; Taylor, 1996). La capacità di considerare lo stato mentale di un altro è

differente, e più complessa quindi, della capacità di rispondere al comportamento di un altro, sia

perché implica inferenze su entità “non-osservabili”, sia perché comporta la capacità di

rappresentare un atteggiamento proposizionale, e di differenziarlo dal contenuto proposizionale

(Dennett, 1971). Un enunciato come “c’è una tazza sul tavolo”, ha un contenuto proposizionale che

è una descrizione vera o falsa di uno stato di cose del mondo, invece un enunciato come “credo

(desidero, faccio finta, penso, spero, ecc.) che ci sia una tazza sul tavolo” implica un atteggiamento

proposizionale (di credenza, desiderio, ecc.) verso quel contenuto proposizionale, e non implica la

veridicità o la falsità del contenuto. Dennett (1978a) ritiene inoltre che l’attribuzione di stati mentali

a un sistema complesso, come un essere umano, sia di gran lunga il modo più semplice per

comprenderlo. Parlando di comprensione l’Autore intende la produzione di una spiegazione del

comportamento di quel sistema complesso e la previsione di ciò che esso farà in seguito. Dennett

chiama questa capacità “adozione dell’atteggiamento intenzionale” non riferendosi semplicemente

allo specifico stato mentale dell’intenzione, ma piuttosto alla capacità degli esseri umani di

attribuire l’intera gamma di stati intenzionali. Possedere una teoria di questo tipo non significa

essere in grado di riflettere su di essa o saperla descrivere in termini di regole, principi e processi.

La gente comune non è normalmente consapevole di utilizzare una teoria della mente nello spiegare

e prevedere le azioni umane, allo stesso modo il bambino acquisisce una siffatta teoria senza

esserne cosciente.

Passiamo ora ad una breve rassegna dei diversi filoni di ricerca sulla teoria della mente così

come si sono sviluppati storicamente dagli anni Ottanta del Novecento fino ad oggi. Nel 1978 due

primatologi, Premack e Woodruff, pubblicarono sulla rivista Behavioral and Brain Sciences un

esperimento in cui indagarono la capacità degli scimpanzé di prevedere il comportamento di un

umano in situazioni finalizzate ad uno scopo, dimostrando che questi animali sono in grado di

attribuire stati mentali all’uomo. Secondo la loro definizione si possiede una teoria della mente

quando si è in grado di attribuire stati mentali a se stessi e agli altri nonché prevedere il

comportamento sulla base di tali stadi.

Cinque anni dopo due studiosi austriaci, Wimmer e Perner (1983), ispirandosi alle idee di

Premack e Woodruff, misero a punto un paradigma sperimentale destinato a una notevole fortuna e

ad un largo uso negli anni a venire: il compito della falsa credenza. Il compito si basa su un

trasferimento inatteso di un oggetto dal posto x al posto y, presentandosi come segue: un primo

personaggio mette l’oggetto che tiene in mano, ad esempio una biglia, in un contenitore x e poi se

ne va; in sua assenza un secondo personaggio sposta l’oggetto dal contenitore x al contenitore y;

quindi il primo personaggio rientra in scena e annuncia che andrà a prendere la sua biglia. A questo

punto si chiede al bambino dove il personaggio in questione cercherà la biglia; la risposta corretta,

ovvero che la cercherà dove l’ha lasciata, nel contenitore x, equivale al riconoscimento della falsa

credenza. Per fornire una risposta corretta a tale compito il bambino deve rendersi conto che il

protagonista della storia possiede una rappresentazione della realtà diversa dalla rappresentazione

dello stato di cose effettivo (che corrisponde in questo caso alla rappresentazione del bambino), egli

deve inoltre prevedere che il comportamento del protagonista sarà determinato dalla sua credenza

piuttosto che dallo stato di cose effettivo (cercherà la biglia dove crede che sia e non dove si trova

in realtà). Numerosi ricercatori hanno replicato questo test introducendo modifiche nella

somministrazione e variandone la consegna: i risultati rimangono per lo più invariati. Se fino ai 3

anni i bambini rispondono erroneamente dimostrando di non saper attribuire agli altri conoscenze e

credenze diverse dalla propria, a 4-5 anni la maggioranza dei bambini con sviluppo tipico è in grado

di risolvere un compito di falsa credenza andando quindi a cercare la biglia dove l’aveva lasciata

inizialmente il suo possessore. Gli Autori affermano dunque: “sembra che nei bambini l’emergere

della capacità di comprendere le credenze di un’altra persona e come essa reagirà sulla base di

queste credenze e la comprensione dell’inganno, non siano semplicemente l’effetto collaterale di un

aumento nelle capacità di memoria e di elaborazione centrale. Sembra invece che tra i 4 e i 6 anni

emerga una nuova abilità cognitiva. I bambini acquisiscono la capacità di rappresentare false

credenze e di costruire un enunciato veritiero o ingannevole relativamente alla credenza di una

persona” (Wimmer, Perner, 1983).

Sempre all’inizio degli anni Ottanta due importanti gruppi di ricerca guidati da Bretherton e

Wellman iniziano ad interessarsi, parallelamente ma indipendentemente, alla comprensione del

bambino di termini detti mentali o psicologici quali “volere”, “desiderare”, “sperare”, “pensare”,

“credere”, “dubitare”, ecc. ritenendoli un’importante componente nello sviluppo di una teoria della

mente.

Successivamente, fra il 1985 e il 1988, sono comparsi alcuni contributi di sistematizzazione

teorica fra cui ricordiamo i più importanti: il saggio di Wellman del 1985, uno dei primi lavori che

si riferisce esplicitamente alla "teoria infantile della mente" e l'articolo sul “gioco di finzione” di

Leslie (1987).

Nel 1986 poi, si svolsero a Toronto e a Oxford due interessanti convegni organizzati uno da

Astington, Gopnik e Olson e l’altro da Harris, ai quali seguì il volume curato da Astington, Harris e

Olson (1988), che sancirono definitivamente l’entrata della teoria della mente nell’olimpo dei temi

più trattati in psicologia e a livello interdisciplinare. Da lì in poi innumerevoli volumi e articoli

vennero pubblicati su questo tema sia all’estero che in Italia. Nel 2000 Flavell dedicò alle ricerche

sulla teoria della mente un articolo di rassegna, pubblicato sulla rivista International Journal of

Behavioral Development, in cui dichiarò questo tema uno dei più discussi degli ultimi vent’anni.

Sempre nel 2000 Baron-Cohen e Tager-Flusberg scrissero Understanding Other Minds e Wellman

e collaboratori (2001) condussero una meta-analisi su 178 studi che hanno utilizzato prove di falsa

credenza in prescolari (“the understanding of belief, and, relatedly, understanding of mind, exhibit

genuine conceptual change in the preschool years”).

Grazie ai numerosi studi che sono stati condotti, si conosce ora come procede lo sviluppo

della teoria della mente, quali sono le sue fasi e quali i suoi precursori. Infatti, precedentemente

all’età canonica in cui la teoria della mente viene pienamente padroneggiata, vi sono dei precursori

che, come spiega Moore (1996), mettono in relazione ciò che succede nei primi due anni di vita con

il successivo padroneggiamento della capacità in questione. Diverse teorie provano a spiegare

questa relazione: le teorie modulariste, le teorie costruttiviste, quelle dell’imitazione e la teoria della

costruzione sociale:

• Secondo le prime, i cambiamenti nella comprensione della mente, associati all’età,

si spiegano grazie alla maturazione dei moduli che si attivano in determinati

momenti dello sviluppo; la differenza nell’architettura mentale del bambino piccolo

rispetto all’adulto sta nella disponibilità di un minor numero di moduli. I moduli che

si attivano precocemente forniscono l’input ai moduli con attivazione più tardiva,

ma lo sviluppo dei moduli successivi non dipende in alcun modo dall’esistenza dei

moduli a comparsa precoce. I maggiori esponenti di tale teoria sono Baron-Cohen e

Leslie.

• Secondo le teorie costruttiviste, invece, la comprensione della mente propria e altrui

si costituisce a partire dall’attività del bambino e dalla sua esperienza del mondo

sociale; in particolare riconoscere l’intenzionalità delle proprie ed altrui azioni gioca

un ruolo fondamentale nella comprensione delle relazioni psicologiche fra agenti e

oggetti. Tale teoria è sostenuta da Autori quali Russell (1995), Frye (1991) e

Camaioni (1993b; 1997; Tomasello, Camaioni, 1997). In particolare Camaioni

(2003) approfondisce il ruolo della comunicazione intenzionale di tipo dichiarativo

(padroneggiata fra gli 11 e i 14 mesi) vista come una forma iniziale di comprensione

della mente: il bambino intende influenzare l’atteggiamento psicologico dell’altra

persona relativamente a qualche aspetto della realtà esterna, in particolare il provare

interesse o il condividere un’esperienza, infatti, mentre nella richiesta il risultato

atteso è solo un cambiamento nello stato dei fatti, nella dichiarazione è un

cambiamento nello stato mentale dell’interlocutore.

• Nel terzo tipo di teorie, quelle dell’imitazione, esponenti come Meltzoff e Gopnik

affermano che il ruolo della comprensione dell’equivalenza sé-altro è cruciale come

base per lo sviluppo di una successiva teoria della mente. La capacità del bambino di

imitare viene dunque considerata fondamentale perché lo aiuta a comprendere ciò

che un’altra persona potrebbe sperimentare nel momento in cui produce la stessa

azione o la stessa espressione facciale. Il bambino, tramite l’imitazione, sarà capace

di riconoscere l’equivalenza tra le proprie azioni e quelle altrui e ciò fornirà la base

per comprendere la natura degli stati psicologici relativi ad oggetti od eventi del

mondo esterno.

• Mentre le prime tre teorie illustrate, sebbene molto diverse, condividono l’assunto

secondo cui il bambino acquisisce una teoria, quest’approccio alternativo non parla

di costruzione di una teoria bensì di costruzione sociale. Tale ottica vede il bambino

come colui che si appropria delle pratiche sociali e delle norme culturali tipiche

della propria comunità che gli consentono sia di interpretare la propria e l’altrui

esperienza, sia di parlare di questi stati mentali nel discorso con gli altri. Sebbene

questa sia una posizione sicuramente minoritaria nella ricerca sulla teoria della

mente, ritroviamo fra i suoi sostenitori degli illustri nomi quali Bruner (1990),

Hobson (1991) e Feldman (1992). Ciò che di questo approccio si vuole sottolineare

non è l’importanza dell’interazione sociale, tra l’altro menzionata in tutte le proposte

teoriche, ma piuttosto l’interesse nell’indagare se l’interazione sociale e la cultura

sono all’origine della teoria della mente, ovvero se quest’ultima esiste nella cultura

piuttosto che nell’individuo.

Viste le diverse ipotesi circa i precursori della teoria della mente che si sviluppano nei

bambini da 0 a 2 anni, passiamo ora a parlare della sua acquisizione vera e propria: inizialmente il

bambino comincia col riconoscere che le persone sono diverse dalle cose, ed è interessato a

comunicare con le prime. In seguito distingue i pensieri dalle cose: si possono pensare oggetti o

eventi assenti e ipotetici e si può giocare a “far finta”. Col tempo il bambino comincerà quindi a

parlare di stati mentali, di ciò che egli stesso e gli altri vedono, desiderano, pensano. Intorno ai 2-3

anni poi comprenderà la natura di percezioni, desideri ed emozioni, e prevederà le azioni, proprie e

altrui, a partire dal riconoscimento di questi stati mentali (stati concepiti in relazione diretta con la

realtà). Importante sottolineare come a 2-3 anni i bambini non riconoscono ancora le “false

credenze”, e non si rendano conto che ciò che si pensa o si crede può non corrispondere allo stato di

cose effettivo. Soltanto verso i 4 anni i bambini arrivano a riconoscere le false credenze, la diversità

fra apparenza e realtà, l’assunzione di prospettiva di secondo livello (ad esempio sapere che una

figura che essi possono vedere correttamente apparirà capovolta a una persona che siede di fronte a

loro – Flavell 2000) e comprendere che la relazione tra Mente e Mondo è indiretta, in quanto

mediata dalla Rappresentazione. Introiettata questa convinzione i bambini sono pronti ad avere una

teoria rappresentazionale della mente, e non solo una psicologia del comportamento delle persone.

Per tale motivo la teoria della mente è tipicamente valutata tramite prove di false credenze, in cui il

soggetto deve predire cosa farà un agente in una situazione in cui ha una falsa credenza circa lo

stato reale delle cose.

Ancora oggi vi è un dibattito aperto fra due diverse correnti di pensiero per spiegare la teoria

della mente: da un lato vi sono i sostenitori della modularità della teoria della mente (Leslie, 1994;

Baron-Cohen, 1995) vista come abilità indipendente da altre capacità; dall’altro coloro che hanno

una visione costruttivista assumendo cioè che il bambino progredisca verso il padroneggiamento di

una teoria della mente matura attraverso passaggi che vengono modulati da una varietà di

esperienze (culturali, familiari, sociali ed affettive), ovvero attraverso collegamenti con altre

capacità. I sostenitori del modularismo ritengono che il bambino acquisisca sulla base della

maturazione neurologica una serie di meccanismi modulari dominio-specifici atti a processare

l’informazione rilevante nel dominio della comprensione sociale. Il costruttivismo racchiude invece

tre diversi orientamenti: coloro che modellizzano la comprensione della mente come una teoria

dominio-specifica (Gopnik, Meltzoff, 1997; Perner, 1991), coloro che ritengono la teoria della

mente il risultato di un processo di simulazione (Harris, 1992, 1996) in cui si è in grado di

immaginare noi stessi nella prospettiva di un’altra persona simulando la sua attività mentale e

coloro che vedono la teoria della mente vincolata allo sviluppo di meccanismi dominio-generali

quali le crescenti capacità di elaborare l’informazione e, in particolare modo, quella linguistica

(Flavell, 1992; Carlson, Moses, Hix, 1998). Molti Autori sottolineano infatti l’importanza che il

linguaggio ha per l’acquisizione della teoria della mente ed in particolare le competenze

conversazionali: senza capacità di rappresentare l’intenzione comunicativa del parlante, iniziare o

mantenere una conversazione diventa molto difficile, se non impossibile. Infatti in molti enunciati

le informazioni vengono lasciate implicite dal parlante e non sono codificate nelle parole ma

devono essere inferite dall’ascoltatore tenendo presenti le informazioni contestuali pertinenti, fra cui

lo scopo della conversazione e le convinzioni del parlante (Grice, 1975; Sperber, Wilson, 1986;

Surian, Job, 1987; Surian, 1995). Importante inoltre ricordare il linguaggio figurato, le espressioni

metaforiche e quelle ironiche per cui il senso dell’enunciato è solitamente molto diverso o

addirittura opposto a quello codificato.

Riassumendo si può dire che il contrasto di fondo è dunque tra coloro che sostengono una

organizzazione modulare e una base innata per la teoria della mente, e coloro che propongono

modalità di acquisizione come la simulazione e la costruzione di una teoria dominio-specifica di

tipo scientifico. In quest’ottica i bambini sordi diventano quindi un importante “test” per distinguere

fra le due ipotesi, dal momento che molti di loro hanno diverse carenze linguistiche ma capacità

cognitive non verbali intatte. Fra le carenze linguistiche troviamo sicuramente difficoltà a livello

conversazionale, difficoltà nella comprensione delle espressioni ironiche e metaforiche, rigidità

lessicale, aderenza al significato letterale delle parole più che al loro significato rappresentativo

(almeno per quanto riguarda la lingua vocale): tutte capacità che sembrano implicate nella

costruzione di una teoria della mente. Sarebbe dunque auspicabile che in futuro ci fossero tecniche

sperimentali per verificare l’esistenza di una teoria della mente senza che nella prove sperimentali

“la lingua” avesse un peso così importante, al fine di indagare sui bambini prelinguistici, sui

bambini con autismo nei quali il linguaggio è fortemente ritardato o assente, sui bambini sordi che

non conoscono la lingua dei segni o che l’hanno acquisita tardivamente, ecc.. A volte, infatti, le

consegne dei test sono tanto complesse dal punto di vista linguistico, che un non superamento dei

test da parte dei bambini non si sa più se poterlo attribuire ad una effettiva carenza nel

padroneggiamento della teoria della mente, oppure ad una difficoltà di accesso al test dovuta a delle

consegne troppo difficili dal punto di vista linguistico. Avere dunque dei test con cui indagare la

teoria della mente che ricorrano il meno possibile al linguaggio, potrebbe agevolare tutti quei

bambini che proprio con il linguaggio hanno difficoltà.

2.2 LA TEORIA DELLA MENTE NEI BAMBINI CON SVILUPPO ATIP ICO E IN

PARTICOLARE NELL’AUTISMO

Sebbene la maggioranza delle persone sia consapevole sia dell’esistenza del mondo fisico

che di quello mentale, ve ne sono alcune che “soffrono di cecità mentale”. Questo termine, che

intende l’essere ciechi a pensieri, credenze, conoscenze, desideri e intenzioni, è stato introdotto per

la prima volta da Baron-Cohen (1990) in un articolo intitolato Autism: a specific cognitive disorder

of mindblindness5. Una persona affetta da cecità mentale, che dunque non possiede un’ossatura

mentalistica o l’atteggiamento intenzionale, come lo chiama Dennett (1987), è costretta ad affidarsi

a descrizioni fondate sulla regolarità temporale o sulla trascrizione di comportamenti di routine:

entrambe queste descrizioni però non sono all’altezza del compito di dare un senso al

comportamento e di fare rapide predizioni su di esso. Con una suggestiva metafora Nagel (1974) ci

spiega come sia impossibile immaginare che effetto faccia essere mentalmente ciechi, proprio come

è impossibile immaginare che effetto faccia essere un pipistrello: vivere in un mondo di pipistrelli

nel quale gli oggetti vengono conosciuti tramite l’eco, deve dare un’idea degli oggetti così

radicalmente diversa da quella che otteniamo dalla vista che probabilmente va al di là della nostra

immaginazione. Allo stesso modo, per un cieco mentale, è probabilmente impossibile immaginare

cosa sia leggere la mente e per noi immaginare di non poterla leggere. Come dice Sperber (1993),

“l’attribuzione degli stati mentali è per gli esseri umani ciò che la locazione dell’eco è per il

pipstrello”: è il nostro modo naturale di comprendere l’ambiente sociale.

Fra le persone affette da cecità mentale, troviamo le persone con autismo: esse non sono

capaci di attribuire stati mentali né a sé, né agli altri (Baron-Cohen, Leslie, Frith (1985; Frith,

1989a, b; Surian, Frith, 1993; Baron-Cohen, 1995). Tale incapacità non si ritrova invece in altri

quadri clinici come il ritardo mentale, il ritardo specifico del linguaggio, la sindrome di Down e la

sordità. Le prime prove a favore di uno specifico deficit meta-rappresentazionale derivano da una

serie di ricerche condotte da Leslie, Frith e Baron-Cohen tra il 1985 e il 19906 che mostrano

chiaramente come nelle persone con autismo manchi, o sia gravemente danneggiata, la capacità di

mentalizzare, cioè la tendenza naturale degli esseri umani a connettere il comportamento con gli

stati mentali così da formarsi un’interpretazione coerente di quel che accade.

Dagli studi pionieristici sul disturbo autistico pubblicati negli anni quaranta da Kanner e

Asperger, ad oggi, notevoli progressi sono stati realizzati nella comprensione dell’eziologia e del

decorso dell’Autismo Infantile, nonché nella diagnosi e nel trattamento delle persone con autismo.

5 Baron-Cohen S. (1990). Autism: a specific cognitive disorder of mindblindness. International Review of Psychiatry 2, pp.79-88. 6 Per un resoconto dettagliato di queste ricerche si rimanda a Camaioni, 1997, 2000; Surian 1997.

Nonostante questi progressi l’autismo appare ancora oggi molto enigmatico, complesso e ricco di

sfaccettature. Gli attuali criteri diagnostici dell’autismo (DSM-IV; ICD-10) riguardano le seguenti

aree: interazione sociale reciproca, comunicazione (verbale e non verbale) e attività immaginativa,

ristretto repertorio di attività e interessi. I sintomi caratteristici che si possono dunque osservare

sono che lo sviluppo sociale e comunicativo è chiaramente atipico nei primi anni di vita e il gioco

che il bambino manifesta è solitamente connotato dalla mancanza di flessibilità, immaginazione e

finzione. Inoltre l’autismo può essere accompagnato da molte anomalie biologiche, come per

esempio epilessia, handicap mentale, patologie cerebrali. Alcuni studiosi ritengono che ci sia una

base genetica della malattia, dato che il rischio di autismo o di problemi ad esso collegati nei

gemelli omozigoti è sostanzialmente più alto di quanto ci si aspetterebbe se l’autismo fosse

semplicemente qualcosa che capita “per caso”. L’autismo è una patologia che dura per tutto il corso

della vita anche se, grazie agli interventi educativi e terapeutici, si possono ottenere notevoli

miglioramenti e apprendere varie strategie per adattarsi al mondo sociale. Le caratteristiche

fondamentali delle anomalie sociali dell’autismo sono la mancanza di contatto oculare, la mancanza

di normale consapevolezza sociale o di comportamento sociale appropriato, lo stare da soli,

l’unilateralità nelle interazioni e l’incapacità di unirsi a un gruppo sociale. Kanner, già nel 1943

diceva: “è come se questi bambini non distinguessero le persone dalle cose, o, almeno, come se non

gli importasse di questa distinzione”. Baron-Cohen, Leslie e Frith (1985) avevano avanzato l’ipotesi

che tre dei sintomi cardinali dell’autismo (le anomalie nello sviluppo sociale, nello sviluppo

comunicativo e nel gioco di finzione) potessero essere il risultato del mancato sviluppo della teoria

della mente. Il mancato o anomalo sviluppo di una teoria della mente spiega anche le gravi

difficoltà che i bambini con autismo incontrano nel gioco di finzione, che risulta compromesso o

assente, mentre il gioco funzionale e combinatorio appare relativamente intatto. Nell’autismo si

trova un deficit piuttosto severo sia della capacità comunicativa che della abilità di attenzione

condivisa. I bambini con autismo tendono a non seguire la direzione dello sguardo dell’adulto non

alternando il proprio sguardo tra il volto dell’adulto e un oggetto o evento interessante (abilità che

precede la teoria della mente), tuttavia sono molto abili nel fare richieste. La presenza

dell’intenzione richiestiva e l’assenza dell’intenzione dichiarativa del gesto di indicare,

costituiscono una dissociazione caratteristica dello sviluppo comunicativo nei bambini con autismo.

Come già detto in precedenza, l’intenzione dichiarativa sottende una comprensione

dell’interlocutore quale soggetto psicologico con cui condividere le proprie esperienze, essa

pertanto compare tardi nello sviluppo tipico (11-14 mesi) e risulta gravemente compromessa

nell’autismo.

Nella seconda metà degli anni ottanta l’interesse della teoria della mente si è concentrato sui

bambini e gli adolescenti con autismo grazie a compiti che valutano le loro capacità di comprendere

e predire il comportamento di un agente umano sulla base di variabili nascoste come le sue

intenzioni, convinzioni, emozioni e desideri: tipico al riguardo il compito di Sally-Ann (Peterson,

Siegal, 1995) adottato anche nel presente lavoro di Tesi con i bambini sordi (per una descrizione

dettagliata delle prove si rimanda al cap. 4, par. 4.3.6 di questa Tesi). In un esperimento assai noto

Baron-Cohen, Leslie e Frith (1985) mostrano come solo il 20% dei 20 bambini con autismo presi in

esame (età compresa fra i 6 e i 16 anni) superi il test Sally-Ann, versus l’85% dei 20 bambini con

sviluppo tipico (età compresa fra i 3 e i 5 anni) e l’85% dei 14 bambini con sindrome di Down (età

compresa fra i 6 e i 16 anni) appaiati per età mentale ai bambini con autismo. Le critiche che sono

state rivolte a questa ricerca attribuivano il fallimento dei bambini con autismo a una carente

comprensione linguistica della consegna del test e quindi alla difficoltà di capire appropriatamente

il significato delle domande poste dallo sperimentatore. Per escludere questa possibile

interpretazione, gli Autori hanno replicato l’esperimento includendo un gruppo di controllo

composto da partecipanti con ritardo specifico del linguaggio, appaiati per età mentale verbale ai

bambini con autismo e hanno trovato che il 100% di essi rispondeva correttamente rispetto al 28%

dei bambini con autismo (Leslie, Frith, 1988). Inoltre è stato più volte usato uno strumento in parte

non verbale, anch’esso utilizzato con i partecipanti sordi e udenti di questa Tesi, ovvero le storie in

sequenza (Rhys-Jones e Ellis, 2000; adattamento Baron-Cohen, Leslie e Frith, 1986). Il test è

composto da quattro immagini che, se riordinate correttamente nella loro sequenza, compongono

una storia. Le storie presuppongono o azioni causali di un personaggio su un oggetto inanimato, o

desideri e scopi di un personaggio, o la falsa credenza di un personaggio (per una descrizione

dettagliata delle prove si rimanda al cap. 4, par. 4.2.6 di questa Tesi). I risultati mostrano come i

bambini con autismo non abbiano difficoltà a comprendere e spiegare semplici avvenimenti causali

(ad es. “una bambina inciampa su un mattone e cade”), né situazioni comportamentali di routine (ad

es. “un bambino strappa di mano il gelato ad un compagno che scoppia a piangere”), mentre

esibiscono prestazioni assai carenti, sia in rapporto alla loro età mentale, sia nel confronto con altri

gruppi clinici, quando devono interpretare sequenze o storie di tipo mentalistico, che sono dotate di

senso solo se si attribuisce al protagonista un certo stato mentale (ad es. “un ragazzo lascia una

caramella in una scatola e va a giocare; mentre è via, a sua insaputa, la nonna mangia la caramella;

quando il ragazzo torna e non trova la caramella è sorpreso di trovare la scatola vuota”). Le persone

con autismo in questi casi tendono a interpretare il comportamento per quello che è, piuttosto che

per quello che può significare, ovvero in modo diretto e letterale, non cercando le intenzioni che

stanno dietro e che presumibilmente spiegano le azioni che osservano: senza possibilità quindi di

mentalizzare. La stessa incapacità, invece, non si osserva in altri gruppi con sviluppo atipico come i

bambini con ritardo mentale, con disturbo specifico del linguaggio, con sindrome di Down, sordi.

2.3 LA TEORIA DELLA MENTE NEI BAMBINI SORDI

Dagli anni novanta in poi l’interesse delle ricerche sulla teoria della mente si è rivolto anche

alla sordità: come si sviluppa la teoria della mente nei bambini sordi? Quanto le carenze linguistiche

e conversazionali di questi bambini incidono sullo strutturarsi di una teoria della mente? Ci sono

differenze fra i bambini sordi figli di genitori sordi o figli di genitori udenti? Ci sono differenze fra i

native signers e i late signers? Sono avvantaggiati i bambini che conoscono la lingua dei segni

rispetto a quelli rieducati secondo un metodo oralista? I bambini sordi con impianto cocleare vanno

meglio nei compiti di teoria della mente rispetto ai bambini con protesi acustiche convenzionali o

senza protesi? Queste e molte altre domande sono state oggetto del dibattito dei ricercatori di tutto il

mondo in questi ultimi anni.

Fra i primi studi condotti con partecipanti sordi, ricordiamo i due più importanti, ovvero

quello di Peterson e Siegal (1995) e quello di Russell et al. (1998):

Peterson e Siegal (1995)

Questa ricerca è stata condotta su 26 bambini con sordità profonda prelinguistica (20 maschi

e 6 femmine), che usano la lingua dei segni (Auslan), cognitivamente normodotati, di età compresa

fra gli 8,1 e i 13 anni (età media 10,7) di cui 24 su 26 provenienti da famiglie di udenti. Le prove di

teoria della mente utilizzate in tale ricerca sono Sally-Ann 1 e 2 (predizione di una falsa credenza).

Gli Autori adottano come criterio di riuscita al test il superamento di entrambe le prove. Dopo aver

esposto al bambino la situazione sperimentale (per una descrizione dettagliata delle prove si

rimanda al cap. 4, par. 4.3.6 di questa Tesi) gli viene fatta la domanda di falsa credenza standard:

“Where will Sally look for her marble?” e successivamente le due domande controllo, quella di

realtà: “Where is the marble really?” e quella di memoria: “Where (was) / did Sally put / the marble

in the beginning?”. Lo svolgimento della seconda prova avviene analogamente alla prima, a parte

che per le variazioni previste dal test stesso. I risultati di tale ricerca ci mostrano che solo 2 bambini

su 12 (i risultati sono calcolati su 12 bambini, e non 26, perché 14 di loro non hanno risposto

correttamente alla domande controllo di realtà e di memorie e sono dunque stati esclusi dalle

prove), ovvero il 17% del campione preso in esame, hanno risposto correttamente alle tre domande

e hanno quindi superato il test. La performance non sembra essere associata al quoziente

intellettivo, infatti superano le prove di falsa credenza bambini con un QI pari a 92,2 e falliscono

bambini con un QI pari a 103,6.

Confrontando i risultati di Peterson e Siegal con quelli di Baron-Cohen et al. (1985)

illustrati nel paragrafo precedente, vediamo che la prestazione percentuale dei bambini sordi (17%)

si avvicina molto a quella dei bambini con autismo (20%) e si discosta invece da quella dei bambini

con sindrome di Down (85%). Tali studi evidenziano quindi che i bambini con sordità grave e

profonda, come i bambini con autismo, presentano una performance deficitaria alle prove di teoria

della mente basate sulla predizione di una falsa credenza. Gli Autori ritengono dunque che ci sia un

deficit nella costruzione della teoria della mente dei bambini con sordità grave o profonda,

ipotizzando che le carenze conversazionali precoci relative a stati mentali di questi bambini con le

loro famiglie udenti, ed in particolare con la madre, vadano a ledere la possibilità di una normale

costruzione della teoria della mente e della sua successiva strutturazione: “A deaf or autistic child

who lacks conversational access to other people’s mental state at the critical point when these

maturational changes are occurring could suffer enduring handicaps in mental state cognition”.

Russell, Hosie, Gray, Scott, Hunter (1998)

La seconda ricerca, invece, è stata condotta su 32 bambini con sordità prelinguistica grave o

profonda, di età compresa fra i 4 e 16 anni, di cui 30 figli di genitori udenti. La suddivisone del

campione è avvenuta in base all’età:

• 12 bb. 4,9 – 7,11 anni (media EC= 6,7;); media QI = 105,8

• 10 bb. 8,9 – 12,6 anni (media EC= 10,11;); media QI = 102,5

• 10 bb. 13,6 – 16,11 anni (media EC= 15,5;); media QI = 91,8

Le prove utilizzate, come nella ricerca precedente, sono Sally-Ann 1 e 2 ma con delle

variazioni degli Autori che prevedono l’uso di due bamboline, una maschio e l’altra femmina, e

l’uso di un aereoplanino anziché della biglia. Dopo aver esposto al bambino la situazione

sperimentale gli viene fatta la domanda di falsa credenza standard: “Where will J/M look for the

aeroplane?” e successivamente le due domande controllo, quella di realtà e quella di memoria. Lo

svolgimento della seconda prova avviene analogamente alla prima, a parte che per le variazioni

previste dal test stesso. I risultati di tale ricerca ci mostrano che solo 9 bambini su 32, ovvero il 28%

superano i test. Anche in questo caso il test viene superato solo se si risponde correttamente a

ciascuna delle tre domande di entrambe le prove (cfr. Peterson e Siegal: 17%; Baron-Cohen et al.:

20%). Se invece andiamo a vedere nel dettaglio le prestazioni dei bambini rispetto alla suddivisione

per fasce d’età, osserviamo che le prove vengono superate dal 17% dei bambini più piccoli, dal 10%

della fascia d’età intermedia e dal 60% dei più grandi con un netto miglioramento nella

performance di questi ultimi rispetto ai più piccoli:

• 12 bb., 4,9 – 7,11 anni (media EC= 6,7) 1) 2/12 (17%)

• 10 bb. 8,9 – 12,6 anni (media EC= 10,11) 2) 1/10 (10%)

• 10 bb. 13,6 – 16,11 anni (media EC= 15,5) 3) 6/10 (60%)

La performance sembra dunque associata all’età ma, anche in questo caso, non al quoziente

intellettivo.

Complessivamente si può dire che questa ricerca, oltre a confermare i risultati ottenuti da

Peterson e Siegal (1995) sulle difficoltà dei bambini con sordità grave o profonda in compiti di

teoria della mente, introduce anche un nuovo concetto, ovvero quello del RITARDO anziché del

DEFICIT: “the theory of mind abilities of deaf children are most appropriately described as being

subject at developmental delay” . Per “ritardo” si intende un “ritardo di sviluppo nell’acquisizione di

una teoria della mente”.

In base all’idea innovativa di Russell e collaboratori di un ritardo anziché di un deficit, nasce

fra gli sperimentatori l’esigenza di indagare se vi sono delle differenze significative nei bambini

sordi figli di genitori udenti, rispetto ai bambini sordi figli di genitori sordi segnanti, che non

dovrebbero quindi avere quelle carenze conversazionali precoci relative a stati mentali che Peterson

e Siegal avevano individuato come possibile problema nella costruzione di una teoria della mente.

Partendo proprio da questi presupposti teorici, Courtin e Melot (1998), conducono una ricerca con

bambini sordi figli di genitori sordi, bambini sordi figli di genitori udenti e bambini udenti come

gruppo di controllo. I bambini sordi figli di genitori sordi ottengono migliori risultati, in prove di

falsa credenza, rispetto sia ai bambini sordi figli di udenti, sia ai bambini udenti. Gli Autori

ipotizzano dunque che ciò possa dipendere da una precoce esposizione al perspective-taking visivo

(una caratteristica centrale nelle lingue dei segni).

Successivamente, sempre Peterson e Siegal (1999) conducono uno studio su 59 bambini

con Sordità di età compresa fra i 5,6 anni e i 13 anni (età media 9,5 anni), così suddivisi:

• 11 Bse-GS (Bambini segnanti - Genitori Sordi)

• 14 Bor-GU (Bambini educazione oralista – Genitori Udenti)

• 34 Bse-GU (Bambini segnanti – Genitori Udenti)

La ricerca comprende inoltre 22 bambini con autismo con età media 9,6 anni e 21 bambini

udenti con età media 4,6 anni. Le prove che vengono loro somministrate sono Sally-Ann 1 e 2, e

Smarties (Perner, Frith, Leslie e Leekam, 1989). I risultati si presentano come segue:

Sally-Ann Smarties

59 bb. sordi

- 11 Bse-GS 82% 100%

- 14 Bor-GU 64% 71%

- 34 Bse-GU 38% 59%

22 bb. con Autism 50% 68%

21 bb. udenti 86% 90%

I bambini sordi figli di genitori sordi ottengono delle prestazioni notevolmente buone sia

intragruppo che intergruppo. Infatti i bambini sordi figli di genitori sordi sono coloro che hanno

delle performance decisamente soddisfacenti rispetto ai bambini sordi degli altri due gruppi e

rispetto al gruppo di controllo in cui ottengono dei risultati pari o addirittura migliori. Inoltre, se si

considera la famiglia di provenienza dei bambini sordi, si osserva una pronunciata differenza

rispetto al gruppo di bambini con autismo, a differenza di quanto precedentemente detto in

letteratura.

Anche Courtin (2000) conduce una ricerca con bambini sordi segnanti figli di genitori sordi,

bambini sordi segnanti figli di genitori udenti e bambini educati secondo il metodo oralista, quindi

non segnanti, figli di genitori udenti. Il campione preso in esame è costituito da 194 bambini

francesi di cui 155 sordi di età compresa fra i 5 e gli 8 anni e 39 bambini udenti di età compresa fra

i 4 e i 6 anni. Le prove che vengono loro somministrate sono Sally-Ann (2 prove) e Smarties ma, a

differenza delle ricerche precedenti, il criterio di riuscita che viene adottato è quello del

superamento di 2 prove su 3 (fra Sally-Ann 1, Sally-Ann 2 e Smarties). I risultati si presentano

come segue:

Superano 2/3 prove

155 bb. sordi

• 1) Bse- GS (media EC 6,6) 90%

• 2) Bse- GU (media EC 7,4) 45%

• 3) Bor- GU (media EC 6,11) 28%

39 b. udenti (media EC 5,1) 39%

I risultati ci mostrano che i bambini segnanti in generale vanno meglio dei bambini con

educazione oralista. Nel particolare vediamo invece che i bambini sordi segnanti figli di genitori

sordi ottengono risultati migliori sia rispetto ai bambini sordi segnanti figli di genitori udenti, sia

rispetto ai bambini udenti, anche se l’Autore afferma che tali differenze non siano statisticamente

significative. L’unico gruppo ad avere una scarsa performance è quello dei bambini non segnanti

figli di genitori udenti.

Sempre nel 2000 Peterson e Siegal, volendo tirare le somme di tutte le ricerche più

importanti condotte sul tema teoria della mente e sordità, fanno una rassegna di 11 studi, pubblicati

tra il 1995 e il 2000, con prove di falsa credenza in bambini sordi late signers (bambini sordi che

hanno acquisito tardi la lingua dei segni e per i quali quindi non si può parlare di lingua madre) e in

bambini sordi native signers (bambini sordi segnanti, figli di genitori sordi segnanti). Da questa

rassegna si evince chiaramente che nonostante la normale intelligenza e l’assenza delle

compromissioni tipiche dell’autismo, i risultati dei late signers convergono su un deficit nello

sviluppo della teoria della mente paragonabile a quello evidenziato nei bambini con autismo ad alto

funzionamento. Risultati simili si ottengono anche nei bambini sordi figli di genitori udenti educati

secondo il metodo oralista e quindi non segnanti (Peterson e Siegal, 2000: rassegna di 7 studi). Ad

esempio, la ricerca di de Villiers e de Villiers (1999) condotta su 23 bambini sordi tutti educati

secondo il metodo oralista (età compresa fra i 4 e i 9 anni), mostra che il 57% dei bambini supera

Sally-Ann e il 38% supara Smarties dimostrando che, sebbene questo campione ottenga dei risultati

migliori rispetto ad altre ricerche condotte in precedenza (17% di Peterson e Siegal, 1995; 28% di

Russell et al., 1998), la percentuale di superamento del test è ancora molto lontana da quella del

gruppo di controllo udente. Per quanto riguarda i native signers, invece, si vede come la teoria della

mente venga acquisita negli stessi tempi dei bambini udenti e venga padroneggiata con altrettanta

sicurezza. I bambini sordi i cui genitori sordi sono fluenti nella lingua dei segni risolvono i compiti

di falsa credenza meglio dei bambini sordi i cui genitori udenti non usano la lingua dei segni

(Peterson, Siegal, 1997).

Grazie a questo nuovo indirizzo di ricerca, ci si rende ben presto conto che il deficit

nell’acquisizione della teoria della mente non può essere attribuito alla sordità in sé, in quanto i

native signers presentano risultati migliori, nelle prove di teoria della mente, rispetto ai bambini

sordi late signers e ai bambini sordi educati oralmente (Peterson e Siegal, 1999, 2000; Remmel et

al., 1998). Addirittura secondo alcuni studi, i native signers sembrano acquisire una comprensione

delle false credenze anche prima dei bambini udenti (Courtin e Melot, 1998; Courtin, 2000):

Courtin parla infatti di un beneficial effect delle lingue dei segni rispetto allo sviluppo della teoria

della mente: l’uso della sintassi e della grammatica nelle lingue dei segni richiede infatti

l’assunzione di prospettive multiple, ad esempio un segnante può cambiare l’uso referenziale

prendendo le prospettive di differenti personaggi all’interno di una storia. L’Autore suggerisce che

l’esposizione e l’uso della lingua dei segni possa quindi agevolare i bambini sordi segnanti, e in

particolare quelli figli di sordi, nel superamento di compiti in cui occorre considerare la prospettiva

spaziale e visuale di un’altra persona: tale abilità è un requisito fondamentale dell’acquisizione della

teoria della mente.

Della stessa opinione sembrano essere anche Remmel, Bettger e Weinberg (2001) i quali

affermano che i bambini sordi figli di genitori udenti mostrano un ritardo nella comprensione di

rappresentazioni mentali, cosa che non avviene invece per i bambini sordi figli di genitori sordi. Ciò

indica che né l’uso della lingua dei segni (versus la lingua parlata), né l’assenza dell’input uditivo in

sé, causano un ritardo nello sviluppo della teoria della mente; anzi, al contrario, l’uso della lingua

dei segni, secondo gli Autori, può promuovere un precoce sviluppo della teoria della mente. Infatti i

bambini sordi figli di genitori udenti, che non usano la lingua dei segni, non presentano le stesse

difficoltà riscontrate nei compiti di teoria della mente in altri test di equivalente complessità logica e

linguistica che riguardano però altri domini: ciò indica che la loro difficoltà nei compiti di

comprensione di rappresentazione mentale non è semplicemente dovuta all’eventuale ritardo nello

sviluppo generale o alle richieste dei compiti linguistici, bensì ad uno scarso o assente

padroneggiamento della lingua dei segni. Infine gli Autori ritengono che, anche se molti bambini

sordi figli di genitori udenti presentano notevoli difficoltà nel comprendere gli stati mentali, ciò non

significa che manchino del tutto di una teoria della mente.

Alla luce quindi di queste nuove ricerche mentre per i bambini con autismo si continua a

parlare di deficit (tali capacità non vengono acquisite successivamente), per i bambini sordi non si

parla più di DEFICIT ma di RITARDO per vari motivi: intanto non tutti i bambini sordi presentano

difficoltà nella teoria della mente (abbiamo visto che i native signers acquisiscono la teoria della

mente con gli stessi tempi dei loro coetanei udenti se non addirittura prima); i bambini sordi che

invece paiono non possedere una teoria della mente alla stessa età in cui la possiedono i bambini

udenti, sembrano recuperare questo svantaggio acquisendo tali capacità in un secondo momento,

come a dire che nei bambini sordi la performance alla prova di teoria della mente è strettamente

associata all’età (soprattutto se si parla di bambini sordi figli di genitori udenti). In seguito a questi

nuovi studi, i ricercatori continuano a ritenere che una delle possibili cause di questo ritardo

d’acquisizione nei late signers e nei bambini sordi educati oralmente sia, ancora una volta, una

carenza di esperienze conversazionali precoci relative agli stati mentali: la difficoltà di

comunicazione e di interazione di questi bambini con i propri genitori, porterebbe ad un

impoverimento generale dei contenuti conversazionali, che si ridurrebbero a mere comunicazioni

sui fatti e sugli eventi del mondo; la possibilità di parlare degli stati mentali propri ed altrui, di

mentalizzare per spiegare ciò che accade intorno al bambino, viene molto ridotta, se non quasi del

tutto annullata, in quelle famiglie in cui i genitori udenti e i figli sordi non condividono uno stesso

codice linguistico. Inoltre, il senso di inadeguatezza dei genitori nel comunicare con il proprio figlio

sordo, li porterà a ridurre le comunicazioni in generale e quelle mentalistiche in particolare e

viceversa lo sforzo del bambino sordo nell’usare una lingua che viaggia per lui su un canale

deficitario e che è stata acquisita solo grazie ad un apprendimento formale e non spontaneo, fa sì

che le sue produzioni siano ridotte.

Proprio nell’ottica di indagare il ritardo di acquisizione della teoria della mente nei bambini

sordi non seganti o seganti tardivi, e soprattutto l’entità del ritardo, Figueras-Costa e Harris (2001)

conducono una ricerca su 21 bambini con sordità grave o profonda educati oralmente, non segnanti.

Questi 21 bambini vengono suddivisi in due gruppi in base all’età cronologica: I gruppo, bambini

con età media 5 anni; II gruppo, bambini con età media 9 anni. I risultati ottenuti nelle prove Sally-

Ann mostrano che solo il 9% dei bambini del primo gruppo superi i test, versus il 50% dei bambini

del secondo gruppo.

Risultati simili si ottengono anche nello studio di Lundy (2002) condotto su 9 bambini sordi

educati oralmente di età media 7,10 anni (età compresa fra i 5 e i 10 anni) suddivisi in due gruppi in

base all’età cronologica: I gruppo, bambini dai 5 ai 7 anni; II gruppo, bambini dagli 8 ai 10 anni.

Lundy somministra 9 test di falsa credenza e ritiene superata la prova se si risponde correttamente a

5 test su 9. Nessuno dei bambini del gruppo dei piccoli supera la prova, a differenza del gruppo dei

grandi in cui tutti superano la prova.

Queste ricerche mettono in evidenza come la riuscita in compiti di teoria della mente sia per

i bambini sordi, e in particolare per quelli non segnanti, fortemente collegata all’età. Da queste

ricerche sembra che i bambini sordi educati oralmente non segnanti padroneggino la comprensione

delle false credenze dagli 8/9 anni d’età in poi.

Un’ulteriore ricerca di Courtin e Melot (2005), ci mostra come questo ritardo di 3-5 anni

osservato da Figueras-Costa e Harris (2001) e da Lundy (2002) per quanto riguarda i bambini sordi

educati oralmente non segnanti, non riguardi assolutamente i bambini sordi figli di genitori sordi.

Gli Autori conducono una ricerca su 28 bambini sordi figli di genitori sordi, 60 bambini sordi figli

di genitori udenti e 36 bambini udenti, tutti di un’età compresa fra i 5 e i 7 anni. Le abilità

metacognitive dei partecipanti vengono testate tramite due compiti: un paradigma apparenza-realtà

(Flavell, Flavell, Green, 1983) e delle prove classiche di falsa credenza (Wimmer, Perner, 1983;

Hogrefe, Wimmer, Perner, 1986). I risultati mostrano che la precoce esposizione dei bambini sordi

figli di genitori sordi alla lingua dei segni agevola le performance in entrambi i compiti di teoria

della mente rispetto ai bambini sordi figli di genitori udenti. Quindi mentre i bambini sordi figli di

genitori udenti ottengono dei risultati peggiori rispetto al gruppo di controllo udente, i native

signers ottengono dei risultati equivalenti a quelli dei bambini udenti nel paradigma apparenza-

realtà e li superano nel compito di falsa credenza. Ciò che gli Autori ritengono fondamentale per lo

sviluppo della teoria della mente è infatti la precoce esposizione alla lingua, nonché l’essere native

speakers (siano essi bambini udenti che parlano o bambini sordi che segnano). L’acquisizione della

lingua dei segni rispetto alla lingua vocale però sembra, secondo gli Autori, un vantaggio nell’ottica

dello sviluppo della teoria della mente.

L’interesse dei ricercatori si volge in ultimo a considerare quanto l’impianto cocleare (cfr.

cap.1, par. 1.1 della presente Tesi) possa facilitare o meno i bambini sordi nella costruzione della

teoria della mente. A tal riguardo viene riportato uno studio di due anni fa di particolare interesse.

Peterson (2004) conduce una ricerca su 52 bambini australiani (età compresa fra i 4 e i 12 anni),

così suddivisi:

• 13 bb. sordi con impianto cocleare (intervento effettuato tra 2 e 5 anni)

Età 4,2-11,2 (media EC= 8); genitori udenti; EMV 5,11 aa

• 13 bb. sordi con protesi convenzionali

Età 5-12,1 (media EC= 7,6); genitori udenti; EMV 6,10 aa

• 9 bb. con autismo

Età 5,3 – 12,6 (media EC= 8,6); EMV 7,3 aa

• 17 bb. udenti

Età 4,1-5,8 (media EC= 4,10); EMV 5,11 aa

L’età mentale verbale viene calcolata tramite il Peabody Test, mentre l’età mentale non

verbale tramite il Goodenough-Harris. La batteria di teoria della mente che viene somministrata ai

partecipanti prevede tre prove di falsa credenza standard, ovvero Sally-Ann (2 prove) e Smarties. La

procedura di somministrazione prevede invece degli incontri individuali effettuati nella seguente

modalità: “Tester spoke loudly and distinctly and visible lip movement or manual translation”. I

risultati, che qui riassumiamo, mostrano come vi siano delle differenze statisticamente significative

nelle prove di falsa credenza tra gli udenti e i tre gruppi clinici, mentre non vi siano differenze

significative all’interno dei tre gruppi clinici, ovvero sordi con impianto coclearie, sordi con protesi

acustiche convenzionali e bambini con autismo. Si osserva inoltre un forte effetto dell’età

cronologica ma non della EMV o della EMNV o del sesso (tutte e tre calcolate con l’ANOVA).

Infatti i bambini sordi, ancora una volta, superano tutte le prove di teoria della mente solo dopo i 9

anni d’età. Inoltre non si osserva un beneficio nello sviluppo del linguaggio nei bambini sordi con

impianto cocleare rispetto ai bambini sordi con protesi acustiche convenzionali. Sembra che il

livello generale di sviluppo linguistico, verbale e non verbale, predica la riuscita nelle prove di falsa

credenza (calcolata tramite la regressione multipla). In ultimo si può concludere dicendo che i

bambini con sordità grave o profonda senza segnanti nativi in famiglia, presentano secondo

Peterson, un ritardo nell’acquisizione della teoria della mente di 3-5 anni rispetto ai bambini udenti,

simile ai bambini con autismo ad alto funzionamento senza ritardo mentale.

Una considerazione conclusiva che si ritiene necessaria fare alla fine di questa breve

rassegna, è che molto poco ci viene detto in queste ricerche circa la metodologia adottata.

Trattandosi di bambini sordi segnanti o meno, si ritiene invece fondamentale che la procedura di

somministrazione delle prove sia adatta e pensata per il campione in esame. Sovente la

somministrazione dei test degli studi illustrati è stata fatta in lingua vocale, altre volte tramite

l’ausilio di un interprete, altre volte ancora direttamente effettuata da sperimentatori udenti segnanti,

in un solo caso da una sperimentatrice sorda segnante: si ritiene che, per quanto le competenze di

uno sperimentatore udente segante possano essere buone, non siano comunque pari a quelle di uno

sperimentatore sordo segnante nativo. Per essere dunque sicuri che le difficoltà dei bambini sordi

(in particolare quelli seganti nativi) non siano legate in nessun modo a incomprensioni nella

consegna dei test e quindi a problemi metodologici, si ritiene necessario che le prove vengano

somministrate da sperimentatori che usano la stessa “lingua” del bambino e quindi sordi

(possibilmente segnanti nativi) nel caso di bambini sordi segnanti nativi. Inoltre molto poco si sa

circa le competenze linguistiche dei bambini sordi presi in esame: spesso ci si è affidati a quanto

dicevano gli insegnanti e gli educatori senza verificare che questi giudizi corrispondessero poi a dati

sperimentali reali, mentre, in altri casi, le abilità linguistiche non sono proprio state indagate. Il

problema metodologico comunque non si esaurisce con la sola scelta della lingua da usare, del

somministratore più idoneo o della valutazione delle altre competenze, ma è un’attenzione

imprescindibile che si dovrebbe avere nell’accostarsi alla valutazione di qualsivoglia competenza

nei bambini sordi.

Riassumendo quanto fin’ora detto sulla teoria della mente nei bambini sordi, le ricerche

sono concordi nel ritenere che non si possa parlare di deficit (come per i bambini con autismo),

bensì di ritardo d’acquisizione; che l’entità di tale ritardo sia di 3-5 anni circa rispetto ai bambini

udenti; che i bambini sordi seganti nativi figli di genitori sordi segnanti acquisiscano la teoria della

mente con gli stessi tempi dei bambini udenti, a differenza invece dei bambini sordi seganti con

genitori udenti e dei bambini sordi non segnanti; che i bambini sordi con impianto cocleare non

siano avvantaggiati rispetto ai bambini sordi con protesi acustiche convenzionali nell’acquisizione

della teoria della mente. L’indagine che in questo lavoro di Tesi si è voluta svolgere circa le

competenze in teoria della mente di bambini sordi, nasce proprio dai presupposti teorici illustrati in

questo paragrafo.

PARTE II

LA RICERCA

CAPITOLO 3: SCOPI E METODOLOGIA DELLA RICERCA

3.1 GLI SCOPI DELLA RICERCA

La presente ricerca ha principalmente tre scopi.

In primo luogo quello di adattare o costruire degli strumenti di valutazione che siano idonei

per le persone sorde. Come precedentemente detto, le abilità dei bambini sordi vengono

prevalentemente valutate con strumenti pensati e tarati per i bambini udenti, e quindi in lingua

vocale, ovvero l’italiano orale e scritto. Perciò i test esistenti si rivelano spesso non adeguati alla

valutazione delle competenze dei bambini sordi perché li penalizzano valutandoli su una lingua che

viaggia su un canale per loro deficitario (acustico-vocale). Inevitabile conseguenza è che le abilità

di questi bambini vengano sottostimate: a tal fine diviene importante avere degli strumenti che ci

permettano di determinare se i ragazzi sordi possiedono queste stesse competenze in Lingua dei

Segni Italiana (LIS), una lingua che viaggia sul canale per loro integro (visivo-gestuale), come a

dire che l’attenzione è rivolta alle “competenze linguistiche” in generale e non alla lingua in cui

queste si esplicano. Questa esigenza nasce innanzitutto dalla convinzione che si debbano valutare le

competenze che un individuo ha, rispetto a quelle che non ha; che sia più “ecologico” partire dai

punti di forza piuttosto che dai punti di debolezza; che il processo di riabilitazione circa le possibili

carenze o lacune individuali debba iniziare dalla base di competenze e capacità possedute; che se

un gruppo di bambini, in particolare quelli con sviluppo atipico, ha delle difficoltà nel superamento

di alcune prove sperimentali, ci si deve innanzitutto chiedere se la difficoltà non risieda negli

strumenti che abbiamo scelto di utilizzare per tale valutazione, piuttosto che nella valutazione

stessa; che l’attenzione metodologica non è solo un virtuosismo intellettuale, bensì un requisito

fondamentale per chiunque voglia fare ricerca. In questo lavoro ci si propone dunque l’arduo

compito di adattare, ideare e costruire una serie di strumenti che possano essere quanto più idonei

possibili per i bambini sordi presi in esame.

Il secondo obiettivo è quello di valutare diversi aspetti delle competenze linguistiche: le

abilità lessicali in comprensione e produzione e le abilità narrative. Per una stima di tali capacità si

sono utilizzati, previo adattamento, strumenti analoghi a quelli utilizzati abitualmente per la lingua

vocale. Dove possibile si è stati attenti nel costituire dei materiali videoregistrati tali da permettere

che la somministrazione non debba necessariamente essere condotta da sperimentatori sordi o

udenti con buone competenze in LIS, in modo di garantire una ripetibilità delle prove e una

somministrazione identica per ogni partecipante.

Il terzo obiettivo è quello di valutare l’acquisizione della teoria della mente tramite compiti

di falsa credenza e di riordino di storie in sequenza. Come precedentemente discusso, diversi Autori

ritengono che lo strutturarsi della teoria della mente sia strettamente collegato al padroneggiamento

di altre capacità fra cui, in particolare, il linguaggio. I bambini sordi, che sovente hanno difficoltà

linguistiche (almeno in lingua vocale) ma capacità cognitive intatte, divengono quindi un

importante “test” per la verifica di tale ipotesi.

Ciò che si tiene in ultimo a sottolineare è che, partendo dalla convinzione che una

valutazione appropriata delle abilità dei bambini sordi richieda un approccio globale, sono stati

presi degli accordi con altri gruppi di ricerca italiana al fine di ideare una valutazione quanto più

possibile “a 360°”. Se nel presente lavoro ci si concentra in particolar modo sulle competenze

linguistiche in LIS in bambini sordi in età scolare, nel gruppo di Padova (Dott.ssa B. Arfè), le stesse

competenze da noi indagate in LIS, sono state valutate in italiano orale e scritto, su molti dei

bambini e dei ragazzi sordi che hanno partecipato alla presente ricerca. Inoltre la parte dell’analisi

sintattico-grammaticale, assente in questo lavoro, è stata valutata in LIS dal gruppo di ricerca di

Trieste che si è inoltre interessato anche alla teoria della mente. Sempre nel nostro Istituto, per di

più, (Istituto si Scienze e Tecnologie della Cognizione, CNR), la Dott.ssa M.C. Caselli e il Dott.

Rinaldi, si stanno occupando della valutazione delle competenze linguistiche in bambini sordi

prescolari. Sarà cura dunque di questi diversi centri di ricerca confrontarsi circa i dati ottenuti al

fine di costituire due protocolli di valutazione che siano indirizzati uno ai bambini prescolari e

l’altro ai bambini e ragazzi dai sei anni in su. Questi protocolli comprenderanno la valutazione

linguistica della abilità di vocabolario (comprensione e produzione), la valutazione sintattico-

grammaticale, la valutazione delle abilità narrative e della teoria della mente, nelle tre modalità:

segnato, parlato e scritto.

3.2 PARTECIPANTI

Gruppo di partecipanti sordi

Le informazioni riguardanti i partecipanti sordi qui di seguito riportate sono state raccolte

tramite un questionario anamnestico (Arfè, 2002) compilato quasi totalmente dai genitori dei

bambini, tranne che per la parte riguardante il giudizio sulla competenza in segni e in comprensione

e produzione dell’italiano orale del bambino, compilato invece dalle insegnanti curriculari.

I criteri di inclusione nel campione sono i seguenti:

1) grado di sordità grave o profonda;

2) assenza di disturbi o deficit associati alla sordità;

3) buona conoscenza della LIS;

4) quoziente intellettivo pari o superiore a 83.

Il campione della ricerca è costituito da 30 bambini e ragazzi sordi, di cui 14 femmine e 16

maschi, di un’età compresa fra i 6 e i 14 anni e mezzo. Quindici bambini e ragazzi provengono da

scuole ordinarie con Assistente alla Comunicazione (cfr cap.1, par. 1.5), gli altri quindici

provengono invece da una scuola bilingue (cfr cap.1, par. 1.5). I bambini e ragazzi sordi

frequentano dalla 1ª elementare alla 3ª media e vivono tutti in Piemonte. La maggior parte di loro è

nata in Piemonte tranne qualche eccezione (due bambini sono nati in Sicilia, una in Calabria e una

in Romania). Inizialmente hanno preso parte allo studio trentatré studenti, ma, di questi, tre non

sono stati inclusi nel campione o perché presentavano altri problemi al di là della sordità, o perché

la loro sordità non era abbastanza importante, o perché le scarse competenze in LIS non lo

permettevano, o perché il loro quoziente intellettivo, calcolato tramite la prova non verbale VMI,

risultava essere al di sotto degli 83 punti.

SCUOLA DI

PROVENIENZA SESSO ETA' CLASSE PROVENIENZA 1 Scuola bilingue f 6,1 1ª elem. Sicilia 2 Scuola bilingue m 7,5 2ª elem. Piemonte 3 Scuola bilingue m 8 2ª elem. Piemonte 4 Scuole ordinarie con A.C. m 8,9 3ª elem. Piemonte 5 Scuole ordinarie con A.C. f 8,11 3ª elem. Romania 6 Scuole ordinarie con A.C. m 9,1 3ª elem. Piemonte 7 Scuola bilingue f 9,4 4ª elem. Sicilia 8 Scuole ordinarie con A.C. f 9,5 3ª elem. Piemonte 9 Scuola bilingue m 9,7 4ª elem. Piemonte 10 Scuola bilingue m 9,11 4ª elem. Piemonte 11 Scuola bilingue f 10,7 5ª elem. Piemonte 12 Scuole ordinarie con A.C. m 11 4ª elem. Piemonte 13 Scuola bilingue f 11,2 5ª elem. Piemonte 14 Scuole ordinarie con A.C. m 11,3 5ª elem. Piemonte 15 Scuole ordinarie con A.C. m 11,4 5ª elem. Piemonte 16 Scuole ordinarie con A.C. m 11,8 1ª media Piemonte 17 Scuola bilingue f 11,9 5ª elem. Piemonte 18 Scuole ordinarie con A.C. m 11,11 5ª elem. Piemonte 19 Scuola bilingue m 12,7 2ª media Piemonte 20 Scuole ordinarie con A.C. m 12,7 2ª media Piemonte 21 Scuole ordinarie con A.C. f 12,9 2ª media Calabria 22 Scuola bilingue m 12,10 2ª media Piemonte 23 Scuola bilingue f 13,3 3ª media Piemonte 24 Scuola bilingue f 13,4 2ª media Piemonte 25 Scuola bilingue f 13,6 3ª media Piemonte 26 Scuola bilingue f 13,9 3ª media Piemonte 27 Scuole ordinarie con A.C. m 13,9 2ª media Piemonte 28 Scuole ordinarie con A.C. m 14 3ª media Piemonte 29 Scuole ordinarie con A.C. f 14,6 3ª media Piemonte 30 Scuole ordinarie con A.C. f 14,6 3ª media Piemonte Tabella 1: dati anamnestici (1)

Si è ritenuto rilevante avere delle informazioni circa i genitori dei bambini in questione (i

dati non riportati in tabella non sono pervenuti): 23 bambini hanno i genitori udenti, 5 hanno i

genitori sordi mentre 2 hanno il padre sordo e la madre udente. In diverse famiglie, nonostante i

genitori siano udenti, viene quotidianamente usata la LIS. Complessivamente il livello

socioculturale è medio-basso e il grado di istruzione oscilla fra la Licenza media e il Diploma

superiore.

PADRE MADRE

PADRE USO LIS PROFESSIONE

TITOLO STUDIO MADRE

USO LIS PROFESSIONE

TITOLO STUDIO

1 sordo sì pensionato udente sì insegnante dipl. sup. 2 udente no meccanico udente no casalinga 3 udente no muratore udente sì casalinga 4 sordo sì impiegato dipl. sup. sorda sì impiegata dipl. sup. 5 udente sì operaio udente sì casalinga 6 udente sì coll. scolastico dipl. sup. udente sì casalinga lic. media 7 sordo sì pensionato udente sì insegnante dipl. sup. 8 udente dipl. sup. udente dipl. sup. 9 sordo no operaio sorda no operaia 10 udente sì operaio udente sì operaia 11 udente no laurea udente poco dipendente laureabreve 12 udente udente sì educatrice dipl. sup. 13 udente no postino udente sì operaia, cuoca lic. media 14 sordo sì operaio lic. media sorda sì operaia lic. media 15 sordo sì operaio lic. media sorda sì operaia lic. media 16 udente no meccanico lic. media udente no parrucchiera lic. media 17 udente no muratore lic. media udente no lic. media 18 udente sì pensionato dipl. sup udente sì impiegata dipl. sup. 19 udente sì tecnico udente sì segretaria 20 udente no operaio dipl. sup udente no casalinga lic. media 21 sordo sì impiegato lic. media sorda sì operaia lic. media 22 udente no medico laurea udente no logopedista 23 udente no postino udente sì commerciante 24 udente sì commerciante udente sì insegnante 25 udente no impiegato udente no impiegata 26 udente no casalinga 27 udente sì dipl. sup 28 udente sì operaio lic. media udente sì casalinga lic. media 29 udente autista dipl. sup udente sì assistente dipl. sup 30 udente operaio lic. media udente sì operaia lic. media

Tabella 2: dati anamnestici (2)

Per quanto concerne il grado di sordità, come si può osservare dalla tabella sottostante, la

maggior parte dei bambini ha una sordità grave (con soglia fra 70 e 90 decibel7), una minoranza

7 La classificazione è del Bureau International d’Audiophonologie.

invece profonda (con soglia uguale o superiore ai 90 decibel), tutti con una soglia uditiva sempre >

70 dB ovvero senza percezione del parlato; sono stati esclusi dal campione i bambini con sordità

media (con soglia tra 40 e 70 decibel) e lieve (con soglia tra 20 e 40 decibel). Il tipo di sordità è per

la maggioranza neurosensoriale bilaterale, ma si osserva anche un’elevata percentuale di bambini

con sordità congenita. Importante sottolineare come molti genitori non abbiano risposto alla

domanda sull’età della diagnosi della sordità. La scoperta della sordità del proprio figlio, soprattutto

quando non prevista, è vissuta dalla famiglia come un lutto a cui si abbinano sensi di colpa materni

riferiti al periodo della gravidanza, nonché il rifiuto dell’accettazione della diversità e della

delusione delle aspettative genitoriali (Bosco, 1993; Bosi et al., 1995; Maragna, 2000). Si ipotizza

dunque che il “non ricordare” l’età della diagnosi di sordità del proprio figlio possa essere

fortemente legato alla sfera psicologica più che ad un effettivo problema mnemonico, ciò è inoltre

aggravato dal fatto che fra i primi sospetti di sordità, e la diagnosi vera e propria, può effettivamente

passare anche molto tempo. Quasi tutti i bambini fanno uso regolare di protesi acustiche.

SORDITA’ PROTESI

TIPO DI SORDITA’ GRADO ETA’

DIAGNOSI USO

REGOLARE 1 congenita, neurosensoriale, bilaterale grave sì 2 bilaterale, postlinguistica grave sì 3 bilaterale, prelinguistica grave parzialmente 4 congenita, bilaterale profonda 5 congenita, neurosensoriale, bilaterale profonda 5 anni sì 6 congenita, neurosensoriale, bilaterale grave 1 anno sì 7 neurosensoriale, bilaterale grave sì 8 congenita, neurosensoriale, bilaterale grave sì 9 neurosensoriale, bilaterale grave sì 10 neurosensoriale, bilaterale grave sì 11 postnatale, bilaterale, prelinguistica grave sì 12 bilaterale grave sì 13 neurosensoriale, bilaterale grave sì 14 congenita, bilaterale profonda 15 congenita, bilaterale grave 5 anni no 16 congenita, neurosensoriale, bilaterale grave 2 anni sì 17 neurosensoriale, bilaterale grave sì 18 congenita, bilaterale grave 3 anni sì 19 perinatale, neurosensoriale,bilaterale grave sì 20 postnatale, prelinguistica, bilaterale grave 3 anni 21 congenita, neurosensoriale, bilaterale profonda 6 anni no 22 neurosensoriale, bilaterale grave sì 23 neurosensoriale profonda sì 24 perinatale, neurosensoriale,bilaterale grave sì 25 neurosensoriale grave sì

26 neurosensoriale grave sì 27 congenita, neurosensoriale, bilaterale grave 2,6 anni sì 28 bilaterale grave no 29 bialterale grave no 30 congenita, causa ereditaria grave primi mesi

Tabella 3: dati anamnestici (3)

E’ stato inoltre chiesto ai genitori il tipo di educazione che avevano scelto per i loro figli: per

tutti i bambini frequentanti la scuola bilingue è stata scelta un’educazione bilingue (seppur non

sempre dall’inizio), per i 15 bambini frequentanti le scuole ordinarie con Assistente alla

Comunicazione è stata scelta in 2 casi un’educazione di tipo oralista, in 11 casi il metodo bimodale

e in 2 casi non è stata data risposta alla domanda (per educazione bilingue, metodo oralista e

metodo bimodale, si rimanda al cap. 1, par 1.4). Nonostante due coppie genitoriali dichiarino di

aver scelto per i figli un’educazione di stampo oralista, parallelamente hanno fatto richiesta di un

Assistente alla Comunicazione segnante che affianchi i ragazzi durante le ore scolastiche: ciò

dimostra una certa flessibilità nella scelta riabilitativa utilizzata. Tutti i ragazzi del campione sono

infatti segnanti ed usano prevalentemente la LIS in molti contesti della loro vita: a scuola, durante il

dopo scuola, con il gruppo amicale, in diverse attività sportive o pomeridiane e, in alcuni casi,

anche in famiglia.

E’ stato inoltre domandata l’età di inizio della logopedia, che è variabile da un minimo di 1

anno ad un massimo di 7 anni, e la sua durata. Tutti i genitori che hanno risposto a tale domanda, a

parte tre, dichiarano che i loro figli proseguono tutt’ora il percorso logopedico. Importante

sottolineare come molti genitori siano in grado di dire l’età di inizio della logopedia dei loro figli,

ma non quella della diagnosi di sordità che, per ovvi motivi, sarà se non altro precedente all’inizio

del percorso logopedico.

Il questionario anamnestico indagava inoltre la presenza di bambini con impianto cocleare

(cfr. cap.1, par. 1.1) e, nel caso di una risposta affermativa, quanti anni fossero trascorsi

dall’intervento: nessuna risposta affermativa è stata data a tale domanda.

RIABILITAZIONE LOGOPEDICA TIPO DI

EDUCAZIONE INIZIO DURATA 1 Bilingue 1 anno 5 anni 2 Bilingue 4 anni 3 anni 3 Bilingue 2 anni circa 6 anni 4 Bimodale 6 anni 3 anni 5 Bimodale 5 anni 4 anni 6 Bimodale 1 anno 8 anni 7 Bilingue 4 anni 5 anni

8 Oralista 9 Bilingue 2 anni 7 anni 10 Bilingue 3 anni 6 anni 11 Bilingue 3 anni in corso 12 Bilingue 2 anni e mezzo 7 anni e mezzo 13 Bimodale 3 anni 7 anni 14 Bilingue 2 anni e mezzo 9 anni 15 Bimodale 5 anni 6 anni 16 Bimodale 4 anni 7 anni 17 Oralista 3 anni 7 anni 18 Bilingue 5 anni 6 anni 19 Bimodale 4 anni 8 anni 20 2 anni e mezzo 9 anni (interrotta) 21 Oralista 5 anni 8 anni 22 Bimodale 6 anni 6 anni 23 Bilingue 3 anni 9 anni 24 Bilingue 2 anni 25 Bilingue 1 anno e mezzo 26 Bilingue 2 anni e mezzo 10 anni (interrotta) 27 2 anni 10 anni (interrotta) 28 Bilingue 3 anni 10 anni 29 Bimodale 7 anni 5 anni 30 Bimodale 7 anni 7 anni

Tabella 4: dati anamnestici (4)

E’ stato inoltre chiesto ai genitori dove i loro figli avessero imparato la LIS: dalle risposte si

può evincere come, oltre alla famiglia, la scuola sia il luogo più ricorrente.

In ultimo è stato chiesto agli educatori segnanti udenti e sordi quale, secondo loro, fosse la

competenza in LIS dei ragazzi facenti parte del campione. Nonostante siano state riportate le

risposte date, si è in seguito visto che non sempre il giudizio espresso dagli educatori rispecchia le

effettive competenze, emerse invece dai test e come tale giudizio, quindi, sottostimi talvolta le reali

capacità dei ragazzi. Al corpo docenti poi è stato chiesto di esprimersi sulle competenze in

comprensione e produzione dell’italiano orale: sembra che in questo caso la loro percezione sia più

rispondente alla realtà.

LIS COMPR. PROD. ITA. ORALE

CONOSCE LIS

DOVE L'HA IMPARATA

1 bene famiglia Discreta 2 poco scuola materna Discreta

3 poco scuola materna Bassa 4 bene famiglia Abb.Buona 5 poco scuola materna Discreta 6 abb. bene scuola elementare Abb.Buona 7 bene famiglia Discreta 8 poco scuola elementare Buona 9 abb. bene scuola materna Buona 10 abb. bene scuola materna Abb.Buona 11 bene scuola materna Discreta 12 abb. bene scuola materna Bassa 13 bene scuola materna Bassa 14 bene famiglia Discreta 15 bene famiglia + s. materna Discreta 16 poco scuola elementare Abb.Buona 17 abb. bene scuola materna Bassa 18 abb. bene scuola elementare Abb.Buona 19 bene scuola materna Abb.Buona 20 poco scuola media Abb.Buona 21 bene famiglia + s. materna Discreta 22 bene scuola materna Buona 23 bene scuola materna Buona 24 bene famiglia Molto bassa 25 bene scuola materna Buona 26 bene scuola materna Buona 27 bene asilo Abb.Buona 28 bene scuola elementare Discreta 29 abb.bene scuola elementare Discreta 30 bene famiglia + scuola

Tabella 5: dati anamnestici (5)

Gruppo di controllo udente

Il gruppo di controllo udente è composto da 30 partecipanti abbinati ai bambini e ragazzi

sordi per sesso, livello socioculturale ed età (la differenza d’età fra i bambini sordi e il gruppo di

controllo non supera mai, in eccesso o in difetto, i sei mesi d’età). Tali bambini provengono da

diverse scuole di Roma e provincia.

3.3 PROVE

3.3.1 Intervista

L’ intervista è stata tratta, previo consenso, da una lavoro inedito di Fabbretti e Arfè (2001). Le

aree indagate riguardano la logopedia, le scuole frequentate, la famiglia, l’autonomia individuale,

i rapporti amicali, il sapersi relazionare con gli sconosciuti e l’origine del proprio segno nome8.

Si tratta di un’intervista semi-strutturata, dal momento che lo sperimentatore, pur avendo sotto

mano le domande prestabilite, ha la possibilità di soffermarsi su alcuni argomenti che ritiene di

suo interesse o in cui vede particolare partecipazione da parte del bambino/ragazzo; viceversa ha

la libertà di eliminare alcune domande, se lo ritiene opportuno.

Tale intervista ha un duplice scopo: quello di raccogliere informazioni sulla vita personale del

bambino/ragazzo in modo da avere un’idea del suo contesto familiare e della sfera privata e

quello di mettere a proprio agio sia il bambino/ragazzo, sia lo sperimentatore, prima di iniziare le

prove in un clima colloquiale e sereno.

Pur rimanendo i medesimi i campi d’indagine, sono state pensate due diverse interviste a

seconda della fascia d’età a cui ci si rivolgeva. Si procede con una esemplificazione per chiarezza:

per quanto riguarda il campo dell’autonomia, ad esempio, ai bambini sono state poste delle

domande del tipo “qualcuno ti aiuta a vestirti e lavarti, o lo fai da solo? Come o chi ti sveglia la

mattina?”, per quanto riguarda invece gli adolescenti “fino a che ora puoi stare fuori casa? Prendi

l’autobus da solo?”.

3.3.2 Developmental Test of Visual-Motor Integration (VMI)

Come prova cognitiva non verbale è stato scelto il Developmental Test of Visual-Motor

Integration -VMI- (Beery, 1967). Tale test consente di ottenere informazioni in merito alle

competenze visuo-spaziali e prassico-costruttive in età evolutiva. Il VMI è un test “carta e

matita” in cui il soggetto è tenuto a copiare una sequenza evolutiva di forme geometriche. Lo

scopo principale del VMI è quello di aiutare, tramite indagini preventive, l’identificazione di

bambini che possono aver bisogno di assistenza particolare e permette la valutazione

dell’efficacia di interventi educativi. Il VMI è costituito da 27 items: 3 forme geometriche

8 “Non appena una persona, sorda o udente che sia, entra in contatto con la comunità sorda, immediatamente per designarla le viene attribuito un segno, che diventa appunto il suo “nome”. Questo segno-nome viene creato in vari modi: adottando un segno che corrisponde o ricorda in qualche forma il nome o il cognome, utilizzando tramite la dattilologia una o più lettere del nome o del cognome oppure più spesso prendendo come spunto qualche caratteristica fisica o di altro tipo (il lavoro svolto), relativa alla persona in questione”. Caselli M. C., Maragna S., Pagliari Rapelli L., Volterra V., Linguaggio e Sordità. La Nuova Italia, 1994.

semplici da imitare (linea verticale, linea orizzontale e cerchio) e 24 forme geometriche di

difficoltà crescente da copiare in uno spazio delimitato del foglio. La sua somministrazione

richiede 10-15 minuti e può essere effettuata a gruppi o individualmente. Tale test viene

utilizzato con bambini a partire dai 3 anni fino all’età adulta.

Il VMI è stato pubblicato inizialmente nel 1967 e da allora è stato usato ampiamente

negli Stati Uniti e in molti altri Paesi europei. Nel 1996 è uscita una seconda versione che lascia

il VMI sostanzialmente inalterato se non per l’introduzione di due test supplementari, il VMI di

Percezione Visiva e il VMI di Coordinazione Motoria9, che però non sono stati utilizzati nel

presente lavoro. Il VMI è stato costruito con l’intento di misurare il modo in cui gli individui

riescono a integrare le loro capacità visive e motorie. Si ritiene infatti che le risposte

visuomotorie siano le prime integrazioni sensoriali dello sviluppo e che corrispondano al grado

di coordinazione esistente tra percezione visiva e movimenti dita-mano, sottolineando però come

l’integrazione fra “visuo” e “motorio” sia più della semplice somma delle parti, tanto che queste

possono, in alcuni casi, funzionare bene indipendentemente ma non in combinazione.

9 La versione aggiornata del test è stata tradotta in italiano e curata da Cristina Preda.

3.3.3 Prova linguistica di comprensione lessicale: Peabody Vocabulary

Test – Revised (PPVT-R)

Il PPVT-R consente di ottenere informazioni in merito alle competenze di vocabolario

recettivo (uditivo) del soggetto per l’italiano standard. In questo senso è un test di apprendimento

perché mostra l’estensione dell’acquisizione del vocabolario italiano. Un’altra importante

funzione è quella di fornire una stima veloce di uno dei maggiori aspetti delle attività verbali dei

soggetti che crescono in un determinato ambiente linguistico. Nonostante il PPVT-R fornisca

un’età equivalente (età mentale) e il rispettivo punteggio standard equivalente (quoziente

intellettivo), non è comunque un test di comprensione dell’intelligenza generale dal momento

che ne misura un solo aspetto, seppur molto importante: il vocabolario recettivo. Sebbene

lontano dalla perfezione, il vocabolario è il miglior indice singolo del successo scolastico (Dale,

Reichert, 1957). Ma la performance a un test di vocabolario non deve essere equiparata con

un’abilità innata o fissa: l’esposizione alla lingua standard, unitamente ad altre influenze

culturali, produce come risultato cambiamenti marcati sulla competenza lessicale del soggetto

che dunque può essere misurata dal PPVT.

Nell’edizione revisionata del Peabody Vocabulary Test (Dunn, Dunn,1981), ovvero il

PPVT-R versione italiana (Stella, Pizzoli, Tressoldi, 2000), si sono mantenute molte delle

caratteristiche dell’originale test ma, grazie a vent’anni di utilizzo e ricerca, diversi nuovi aspetti

sono stati incorporati:

1. la standardizzazione è stata condotta su scala nazionale;

2. i dati nelle tabelle normative sono stati appianati e presentati con incrementi più fini;

3. sono state aggiunte le norme per gli adulti (non disponibili nella prima versione

italiana);

4. i termini “età mentale” e “quoziente intellettivo” sono stati sostituiti da “età

equivalente” e “punteggio standard equivalente”;

5. tutti i disegni sono nuovi o sono stati riequilibrati per un miglior bilanciamento

razziale, etnico e sessuale;

6. la sensibilità del test è stata aumentata aggiungendo 25 items;

7. gli items sono stati disposti ad intervalli per adeguarsi alla curva di crescita di

accelerazione negativa del vocabolario udito così da mantenerlo ugualmente

sensibile per tutto il test;

8. circa due terzi delle parole stimolo sono nuove;

9. sono state scelte una configurazione orizzontale e un formato a cavalletto per

permettere una migliore visione dei fogli del test e ridurre l’interferenza fra fogli

consecutivi.

E’ inoltre importante sottolineare l’utilità di questo test per numerosi scopi in campo

scolastico, clinico, professionale e di ricerca. Qui di seguito vengono riportati alcuni dei motivi

che ci hanno indotto ad utilizzare tale test con i bambini e i ragazzi sordi: “…l’uso del test

dovrebbe aumentare ai livelli di scuola elementare e media come pure nell’istruzione superiore,

specialmente con allievi bilingui. Il test potrebbe essere utile anche per gli screening per gli

studenti stranieri che progettano di frequentare le università in cui si parla italiano”. “Non

richiedendo al soggetto di leggere o di scrivere, il test si rivela specialmente favorevole per i non

lettori o per altre persone con problemi di linguaggio scritto”. “Poiché la risposta deve essere

gestuale…non viene richiesta un’estesa interazione verbale fra esaminatore e soggetto…inoltre

nessuna indicazione o risposta orale è necessaria per rispondere, infatti è sufficiente un segno di

sì/no con la testa all’indicazione dell’esaminatore” (Stella, Pizzoli, Tressoldi, 2000).

Figura 4: item 1 del Peabody – autobus (target 4)

Figura 5: item 175 del Peabody – vitreo (target 1)

Adattamento

Fino ad oggi, nel nostro Paese, le competenze linguistiche delle persone sorde sono state

valutate prevalentemente in relazione alla lingua vocale, ovvero l’italiano orale e scritto. L’utilizzo

di test esistenti, come appunto il PPVT, penalizza quindi le persone sorde perché le valuta su una

lingua che viaggia su un canale per loro deficitario (acustico-vocale): diviene dunque importante

avere degli strumenti che valutino le competenze direttamente in Lingua dei Segni Italiana, una

lingua che viaggia sul canale integro (visivo-gestuale) e che viene acquisita in modo spontaneo. Per

valutare la comprensione del vocabolario è stata dunque da noi ideata una versione segnata del

PPVT-R con l’aiuto di quattro adulti sordi segnanti nativi. Per ciascun item si è discusso su come

poterlo “tradurre” in LIS, stando attenti che i segni scelti fossero il più possibile “neutri”, ovvero

non legati iconicamente al disegno che rappresenta l’item target. Ad esempio l’item 27 gabbia,

come si può vedere dalla figura seguente, è rappresentato da un disegno in cui la gabbia è di forma

squadrata; si è stati attenti che il segno scelto non fosse legato unicamente alla gabbia del disegno,

ma a tutte le possibili gabbie: il segno è dunque più tondeggiante.

Figura 6: item 27 del Peabody – gabbia (target 1)

Figura 7: segno gabbia

Per alcune parole italiane si è riscontrata una grossa difficoltà di “traduzione” dal momento

che quelle stesse parole non esistono nell’uso corrente della LIS. Alcuni items che rappresentano le

categorie, come felino (item 110), elettrodomestico (124), nautico (133), rettile (169), veicolo (141),

non hanno un diretto corrispondente in LIS. L’item felino (item 110), ad esempio, è stato “tradotto”

dicendo gatto, tigre, pantera…gruppo facilitando dunque il riconoscimento dell’immagine

corrispondente.

Figura 8: item 110 del Peabody – felino (target 2)

Tale difficoltà di “traduzione” si è verificata anche per altri items come ad esempio:

misurare (26), ramoscello (57), barriera (58), donnola (59), commerciale (120), baccello (127),

inclemente (129), regolabile (161).

Figura 9: item 120 del Peabody – commerciale (target 1)

Figura 10: item 161 del Peabody – regolabile (target 2)

Dopo aver stabilito la versione segnata del PPVT-R si è chiesta una consulenza a degli

adulti sordi segnanti nativi provenienti da altre regioni italiane, per far sì che eventuali problemi,

legati ai diversi dialetti in LIS, fossero annullati. In seguito a questi indispensabili incontri

abbiamo individuato alcuni items che venivano segnati differentemente a seconda delle regioni

italiane ed abbiamo incluso, nella versione definitiva, le diverse alternative possibili ovvero le

diverse variazioni regionali dei segni.

Questo lavoro di adattamento linguistico e culturale del PPVT-R, dall’italiano alla LIS, ha

richiesto molto tempo, sforzo e diversi tentativi prima di giungere alla versione definitiva che è stata

proposta al campione di questa ricerca. Alla luce dei dati raccolti in questo lavoro si sta pensando di

sostituire, in futuro, alcuni degli items più critici, come quelli prima illustrati, con altri items che

abbiano la stessa frequenza nel parlato e che siano della stessa categoria semantica.

Il PPVT-R è stato dunque segnato da due adulti sordi segnanti nativi ed è stato

videoregistrato. L’aver costituito questo materiale ha due enormi vantaggi: in primo luogo quello di

poter riproporre ad ogni somministrazione gli items in modo identico (come avviene per le lingue

vocali), in secondo luogo quello di permettere di somministrare il test anche da parte di

sperimentatori che non siano necessariamente competenti in LIS.

3.3.4 Prova linguistica di produzione lessicale: Boston Naming Test (BNT)

Il BNT (Kaplan, Goodglass, Weintraau, 1983) è un test americano di denominazione di

figure e costituisce un valido strumento diagnostico per valutare le competenze lessicali di

individui in età evolutiva e adulti. E’ stato appositamente realizzato per l’esame linguistico di

pazienti con afasia e trova larga applicazione sia in ambito clinico, che di ricerca. Interessanti

dati su bambini italiani sono stati raccolti e pubblicati da Riva, Nichelli e Devoti nel 2000.

Questo strumento è composto da 60 figure, in bianco e nero, disegnate su sfondo bianco

(dimensione 14x16 cm). Le immagini bidimensionali riproducono oggetti di uso quotidiano e

non. Le figure sono organizzate in un ordine crescente di difficoltà. Il soggetto ha il compito di

denominare a voce le immagini che gli vengono presentate singolarmente, mentre l’esaminatore

annota le risposte su un apposito protocollo di registrazione.

3.3.5 Narrazione: Frog, where are you?

La Frog Story (Mayer, 1969) consente di ottenere informazioni in merito allo sviluppo del

linguaggio attraverso la narrazione di storie: come dicono gli stessi Autori “The focus of our study

is the development of linguistic form in children. We have chosen to analyze the production of

connected discourse because we believe that the uses of language in discourse shape both grammar

and the corse of its development”. Il genere narrativo, infatti, si sviluppa relativamente presto nei

bambini e inoltre permette di indagare il concetto di temporalità che è critico all’interno del

discorso. Numerosi studi sullo sviluppo del linguaggio e del pensiero narrativo hanno dimostrato

che in un’età compresa tra i quattro ed i cinque anni i bambini controllano la maggior parte delle

strutture morfosintattiche della lingua nativa (Brown, 1973; Slobin, 1985). Ciò nondimeno, il

linguaggio di un bambino di cinque anni differisce ancora nettamente da quello di un bambino di

dodici. Lo sviluppo del linguaggio dopo i cinque anni include l’apprendimento di come e quando

usare le strutture morfosintattiche con fluidità e flessibilità ed in particolare il genere narrativo

fornisce un ricco contesto per indagare e valutare aspetti multipli dello sviluppo del linguaggio in

bambini di età scolare. Sebbene già i bambini di tre anni spesso arricchiscano la loro narrazione con

la valutazione personale, dando così significato e salienza emozionale a particolari eventi e

comportamenti (Reilly, 1992), con l’aumentare dell’età, riescono a controllare meglio la morfologia

della lingua nativa, sviluppando una maggiore comprensione delle emozioni: sia la frequenza che le

funzioni della valutazione personale, infatti, cambiano (Bamberg e Reilly, 1996). Così, mentre nella

prima infanzia la valutazione serve per le funzioni narrative locali (ad es. fornisce la prospettiva del

narratore), man mano che si sviluppano l’abilità morfosintattica e la coscienza socio-emotiva, i

bambini imparano ad avvalersi della valutazione per fare connessioni tra i componenti episodici

locali e gli elementi narrativi più globali e tematici (Peterson e McCabe, 1983; Bamberg e Damrad-

Frye, 1991; Berman e Slobin, 1994; Bamberg e Reilly,1996). Investigando sull’espressione emotiva

nella narrazione, si è trovato che i bambini piccoli si servono della valutazione attraverso prosodia

affettiva e riferimento a stati interiori, mentre le funzioni più sofisticate delle strategie valutative si

realizzano solo in età adulta. Specificatamente, i bambini acquisiscono sia le strategie

morfosintattiche, sia la consapevolezza socio-emotiva per integrare le prospettive multiple quando

devono rendere le loro esperienze in forma narrativa. Diverse ricerche hanno in ultimo dimostrato

che gli adulti includono la valutazione nelle loro narrazioni con frequenza significativamente

maggiore rispetto ai bambini.

Già nel 1967 Labov e Waletsky (1967; 1997) introdussero un’altra importante nozione

affermando che le narrazioni includono sia le funzioni referenziali che quelle valutative. L’aspetto

“referenziale” include le informazioni su personaggi ed eventi: è quello che fa progredire la storia

(ad es. la trama), mentre l’aspetto “valutativo” della narrazione è invece quello che dà senso alla

storia: “intendiamo definire come “valutazione” quella parte della narrazione che rivela

l’atteggiamento del narratore verso la narrazione e che enfatizza alcune parti della narrazione

rispetto ad altre” (Labov e Waletsky, 1967). Quindi mentre Labov e Waletzky si erano inizialmente

focalizzati sulle clausole valutative, Peterson e Mc Cabe (1983) hanno notato che i bambini

ampliano le strategie valutative attraverso tutte le clausole impiegando mezzi sia lessicali che

fonologici. L’informazione valutativa può cioè essere organizzata in più modi: sintatticamente,

come per esempio nelle clausole relative, che servono di solito a fornire commenti personali sul

comportamento/carattere di un personaggio (“sai, quella persona che non fa mai niente per

vincere”); lessicalmente, grazie all’uso, per esempio, di intensificatori, verbi modali, espressioni

evasive che riflettono l’atteggiamento del narratore (“non può averlo fatto sul serio”); para-

linguisticamente, attraverso espressioni facciali emozionali, gesti e prosodia affettiva, che hanno

l’effetto di convogliare l’atteggiamento del narratore o di riflettere le emozioni suggerite da un

personaggio.

Dal momento della pubblicazione dei basilari articoli di Labov e Waletzsky (1967) e di

Peterson e Mc Cabe (1983) in poi, le ricerche hanno considerato gli aspetti legati alla valutazione,

sia nei discorsi che nei testi scritti degli adulti (Labov, 1984; Biber e Finnigan, 1989), anche da una

prospettiva più evolutiva ( Peterson e McCabe, 1983; Reilly, Klima e Bellugi, 1990; Bamberg e

Damrad-Frye, 1991; Reilly, 1992; Berman e Reilly, 1995; Berman, 1993, 1997; Losh, Bellugi,

Reilly e Anderson et al., 2001).

Dopo aver spiegato l’importanza della narrazione in ambito evolutivo, passiamo ora ad

illustrare il compito narrativo proposto dalla Frog Story: esso consiste nel raccontare una storia

di 24 pagine di sole figure, senza alcun testo scritto. La storia narra di un bambino, del suo cane

e di una rana. Il racconto inizia in camera da letto: il ragazzo ed il cane guardano la rana in un

vasetto. Il mattino seguente, al loro risveglio, scoprono che la rana è scomparsa. Tra numerose

difficoltà ed ostacoli da superare, si mettono alla sua ricerca. Alla fine ritrovano la rana, con un

compagno ed una nidiata di ranocchietti. Il ragazzo e il cane tornano a casa portando con loro la

rana.

Numerose ricerche per indagare lo sviluppo del linguaggio e del pensiero narrativo in

bambini con sviluppo tipico hanno utilizzato la Frog Story (Peterson, McCabe, 1983; Bamberg,

1987; Reilly, 1992; Barman, Slobin, 1994; Bamberg, Reilly, 1996). Tale prova è stata

largamente utilizzata anche con bambini con sviluppo atipico (Loveland, McEvoy, Tunali, 1990;

Reilly, Klima, Bellugi, 1990; Bamberg, Damrad-Frye, 1991; Dennis, Jacennik, Barnes, 1992;

Liles, 1993; Tager-Flusberg, Sullivan, 1995; Anderson, 1998; Capps, Kehres, Sigman, 1998;

Reilly, Bates, Marchman, 1998; Capps, Losh, Thurber, 2000; Losh, Bellugi, Reilly, Anderson,

2000; Reilly, Losh, Bellugi, Wulfeck, 2000) e, seppur in misura minore, con bambini sordi,

appartenenti a diverse nazionalità, che utilizzano le rispettive differenti lingue dei segni.

Morgan (2005), in particolare, attraverso la somministrazione della Frog Story ha

condotto una approfondita ricerca sui continui sviluppi e miglioramenti che intervengono nella

produzione narrativa in Lingua dei Segni Inglese (BSL) in bambini sordi di età scolare. Sebbene

i dati ed i modelli psicolinguistici discussi nella ricerca siano basati su produzioni narrative in

BSL, questo lavoro può essere applicato anche ad altre lingue dei segni. Morgan ha

somministrato individualmente la Frog Story a 12 bambini sordi esposti alla BSL (sia figli di

genitori sordi che udenti) e a 2 adulti sordi segnanti nativi. Tutti i partecipanti frequentavano una

scuola bilingue BSL/inglese con insegnanti segnanti. Tutti i genitori udenti comunicavano

correntemente coi loro bambini in BSL. I bambini avevano dai 4 ai 13 anni e, oltre alla sordità,

non presentavano nessun deficit fisico o cognitivo. Nel suo studio sullo sviluppo narrativo in

BSL, Morgan ha codificato forme referenziali prodotte nella narrazione della Frog Story con

particolare riferimento all’introduzione, reintroduzione e mantenimento della referenza. La

capacità di usare le forme referenziali è un’abilità pragmatica basata sulla valutazione dei bisogni

dell’interlocutore durante la narrazione: i bambini sordi che si esprimono in lingua dei segni

imparano a padroneggiare questa conoscenza pragmatica per produrre narrazioni segnate chiare

ed interessanti. Sintetizzando i risultati della ricerca sullo sviluppo della narrazione in BSL, i

bambini sordi di tale ricerca dimostrano di padroneggiare le forme linguistiche a livello di frase

individuale ma, al contrario, dimostrano di avere grosse difficoltà ad usare le stesse forme

linguistiche in modo appropriato (come accade invece negli adulti) quando devono inserirle in

una narrazione. Sembra che le difficoltà riscontrate in BSL dei bambini sordi siano molto simili

a quelle che affrontano i bambini udenti in lingua vocale inglese. I risultati della ricerca di

Morgan confermano inoltre quanto già sostenuto da Bamberg (1987) e Barman e Slobin (1994),

e cioè che lo sviluppo del linguaggio è fortemente influenzato dal saper leggere e scrivere,

capacità che influiscono non solo sul linguaggio, ma addirittura sulla consapevolezza dello

sviluppo metalinguistico. La consapevolezza metalinguistica permette al bambino di focalizzarsi

sul linguaggio come su un “oggetto decontestualizzato”. Il linguaggio decontestualizzato è

caratterizzato dalla consapevolezza del narratore del fatto che colui che parla e colui che ascolta

non condividono direttamente l’esperienza che viene comunicata. Migliorare le capacità di

lettura e scrittura del bambino significa quindi potenziare le sue abilità nel creare un migliore

linguaggio decontestualizzato sia in forma scritta che orale (parlata o segnata). Sarebbe perciò

importante capire quanto l’uso della lingua dei segni nel bambino sordo possa essere influenzato

negativamente dalle difficoltà nella lingua scritta. Normalmente il saper leggere e scrivere nella

propria lingua deriva dalle abilità del bambino nella lingua parlata. Poiché non c’è accordo sulla

versione scritta della BSL, molti bambini sordi trovano difficoltà nel passaggio tra la lingua

nativa (lingua dei segni, ad es. BSL) e la versione scritta di una lingua diversa (ad es. inglese).

Questi due fattori sono oltretutto legati fra loro dal feedback: lo sviluppo dell’uso orale del

linguaggio è influenzato dalle abilità di lettura e scrittura, e le abilità di lettura e scrittura sono

costruite su precedenti abilità nella modalità orale dello stesso linguaggio.

Anche Karen Emmorey e Judy Reilly (1998) hanno condotto una ricerca sulla narrazione in

lingua dei segni: si tratta, in questo caso, di Lingua dei Segni Americana, ASL. Dopo avere studiato

le abilità nel discorso diretto in narrazioni in ASL, hanno indirizzato la loro attenzione alle abilità

nel discorso indiretto. A questo scopo, hanno focalizzato l’analisi su un episodio della Frog Story

nel quale gli adulti sordi segnanti nativi esibiscono un uso estensivo del discorso indiretto (McIntire

e Reilly, 1996). E’ stato scelto l’episodio in cui il bambino si arrampica su quelli che crede siano

rami, ma che in realtà si rivelano essere le corna di un cervo; il cervo, arrabbiato, corre verso un

dirupo col bambino aggrappato alla sua testa e lo scaraventa in uno stagno. Questo episodio della

Frog Story è stato fatto vedere a 29 bambini sordi figli di genitori sordi, dai 3 ai 7 anni, esposti alla

ASL fin dalla nascita, e a 10 adulti sordi segnanti nativi. I risultati hanno dimostrato che i bambini

padroneggiano i meccanismi linguistici del discorso diretto prima di quelli del discorso indiretto. A

7 anni i bambini sordi segnanti nativi erano in grado di usare il cambio di ruolo, l’alternanza della

referenza e l’alternanza dell’espressione facciale nel discorso diretto. Alla stessa età, tuttavia, non

padroneggiavano ancora completamente l’uso del discorso indiretto, producevano molti predicati

che indicavano azioni ma nei quali l’espressione facciale era poco chiara e li usavano con una

distribuzione diversa rispetto agli adulti. Emmerey e Reilly suggeriscono che la più precoce

acquisizione del discorso diretto in ASL, rispetto a quello indiretto, sia dovuta al fatto che il

discorso diretto presenta una prospettiva singola e coerente: sia il contenuto del discorso (i segni

manuali), sia le espressioni affettive non manuali sono quelle di un singolo referente, il

“personaggio tra virgolette”. Il narratore produce infatti sia il discorso del personaggio, sia

l’espressione facciale di quello stesso personaggio. Al contrario, i bambini possono incontrare

maggiore difficoltà nel manipolare le prospettive di differenti personaggi all’interno della storia

tramite il discorso indiretto: infatti il contenuto della storia (i segni manuali) riflette la prospettiva

del narratore, ma le espressioni affettive non manuali riflettono la prospettiva di uno dei personaggi.

Il segnante, cioè, in qualità di narratore sceglie i verbi che descrivono le azioni; l’espressione

facciale, tuttavia, non è quella del segnante, ma quella del personaggio di cui sta descrivendo le

azioni. Dallo studio di Emmerey e Reilly si evince perciò che, anche se sia il discorso diretto che

quello indiretto sono esempi di alternanza della referenza in ASL, essi seguono un pattern di

sviluppo differente.

3.3.6 Teoria della Mente: Sally-Ann 1, Sally-Ann 2, Smarties, riordino e

narrazione di storie in sequenza

Per indagare le false credenze di primo livello, ovvero il rendersi conto che ciò che si

pensa o si crede può non corrispondere allo stato di cose effettivo, sono stati scelti dei test

classici frequentemente usati in letteratura: Sally-Ann 1 e 2 (Peterson, Siegal, 1995) e Smarties

(Perner, Frith, Leslie e Leekam, 1989).

Le storie in sequenza (Rhys-Jones e Ellis, 2000) hanno invece lo scopo di indagare le

capacità dei bambini nel riordino cronologico degli avvenimenti di una breve storia raffigurata,

nonché le diverse qualità di espressione e metarappresentazione legate agli stati mentali dei

personaggi raffigurati. Ogni storia è composta da 4 immagini in bianco e nero disegnate su

cartoncini 5x5. Le storie, in totale 6, sono così suddivise:

� 2 storie meccanicistiche – test di figure in sequenza che implicano un racconto di

storie incentrate su episodi causa-effetto provocati da persone e oggetti che

interagiscono causalmente fra loro (adattamento Baron-Cohen, Leslie e Frith, 1986):

a) storia del palloncino – un bambino ha un palloncino in mano, il palloncino gli

sfugge e vola via finché non va a sbattere contro i rami di un albero e scoppia;

b) storia del mattone – una bambina corre senza guardare per terra, inciampa su un

mattone, cade e si fa male.

Figura 11: storie meccanicistiche

� 2 storie comportamentali - test di figure in sequenza che implicano un racconto di

storie incentrate su desideri e scopi di un personaggio (adattamento Baron-Cohen,

Leslie e Frith, 1986). Una persona singola agisce in attività routinarie che non

richiedono attribuzioni di stati mentali; oppure persone interagiscono in routine

sociali che implicano più di una persona, ma che non richiedono attribuzioni di stati

mentali:

a) storia del gelato – un bambino sta mangiando un gelato seduto su una panchina.

Arriva una bambina che si siede accanto a lui e vuole il suo gelato, quindi glielo

prende e se ne va. Il bambino si arrabbia;

b) storia del negozio di dolci – un ragazzo passeggia finché non vede un negozio di

dolci. Dato che vuole un dolce entra, ne compra uno, paga e se ne va.

Figura 12: storie comportamentali

� 2 storie mentalistiche - test di figure in sequenza che implicano un racconto di storie

incentrate sulla falsa credenza di un personaggio (adattamento Baron-Cohen, Leslie e

Frith, 1986). Persone interagiscono in attività che richiedono l’attribuzione di stati

mentali:

a) storia dell’orsetto – una bambina ha un orsetto. La bambina vuole raccogliere dei

fiori, perciò posa il suo orsetto e inizia a raccoglierli. Mentre la bambina è girata

e sta raccogliendo i fiori, ne arriva un’altra che prende l’orsetto e se ne va.

Quando la bambina ha finito di raccogliere i fiori, si gira nuovamente per

riprendere il suo orsetto, ma rimane molto sorpresa nel vedere che non c’è più;

b) storia della caramella – un bambino ha una caramella, la posa in una scatola e va

fuori casa a giocare a pallone. Nel frattempo arriva la nonna che prende la

caramella dalla scatola, se la mangia e se ne va. Quando il bambino rientra in

casa e vuole mangiare la caramella, va verso la scatola ma con suo grande

stupore vede che è vuota.

Figura 13: storie mentalistiche

3.4 PROCEDURA E SOMMINISTRAZIONE DELLE PROVE

La raccolta dati è stata preceduta da una fase di familiarizzazione in cui i ragazzi sono

stati informati che avrebbero partecipato ad una ricerca il cui scopo principale era la valutazione

delle competenze linguistiche in LIS. Preventivamente si sono avvertite le scuole e le famiglie

dei ragazzi di cosa si volesse studiare grazie all’aiuto dei loro figli e ci si è assicurati, tramite

autorizzazione scritta, del loro interesse per la ricerca, del loro consenso alla raccolta dati e alla

videoregistrazione degli incontri.

Le somministrazioni delle varie prove si sono svolte individualmente e sono avvenute in

minimo 2, massimo 5 sedute ciascuno, a seconda dei tempi e dell’età del bambino in questione.

Tutte le prove sono state videoregistrate. Durante lo svolgimento delle prove lo sperimentatore

ha avuto modo di annotare indicazioni importanti sull’atteggiamento complessivo, sugli stili e

sui tempi di ciascuno, sulle difficoltà incontrate dal bambino/ragazzo.

Per il gruppo dei partecipanti sordi le prove sono state somministrate da un interprete LIS

per i bambini frequentanti le scuole ordinarie con Assistente alla Comunicazione- rispettandone

dunque l’abitudine conversazionale predominante e la modalità bimodale utilizzata nella

maggior parte dei contesti della loro vita - e da un adulto sordo segnante nativo per i bambini

frequentanti la scuola bilingue ed abituati quindi a relazionarsi, in ambito scolastico,

prevalentemente in lingua dei segni.

Per quanto riguarda la raccolta dati del gruppo di controllo udente, si sono usati gli stessi

adattamenti e le stesse procedure usate per i partecipanti sordi, con l’unica differenza

dell’utilizzo della lingua italiana, anziché della LIS, durante tutte le prove previste.

3.4.1 Intervista

Per l’intervista non sono stati dati limiti di tempo. Tale prova informale è stata interamente

videoregistrata.

3.4.2 Developmental Test of Visual-Motor Integration (VMI)

Nella presente ricerca è stata seguita la procedura standard di somministrazione del test,

che consiste nel far disegnare ai bambini le figure riportate nella prova copiandole e stabilendone

poi la correttezza in base ai criteri di valutazione proposti dal manuale. Tale procedura prevede

che al bambino venga data una penna non cancellabile e che il libretto del test sia chiuso di

fronte al bambino e dritto rispetto al banco. E’ importante porre attenzione affinché il libretto

rimanga, per tutta la durata del test, centrato di fronte al bambino: una diversa posizione del

bambino o del libretto potrebbe influenzare negativamente la prestazione. I dati in nostro

possesso sono stati analizzati secondo le norme statunitensi del 1997.

Rispetto alla somministrazione standard si è scelto però di attuare tre piccole variazioni,

la prima delle quali è una somministrazione individuale del test, nonostante l’età del campione

ne presupponesse una collettiva effettuata in piccoli gruppi. Tale scelta è stata dettata da due

ragioni principali: la prima è il ricercare una relazione proficua fra esaminatore e

bambino/ragazzo, dal momento che quasi tutti i partecipanti alla ricerca si divertono durante la

somministrazione del VMI, vengono coinvolti, sono felici di ottenere successo nel copiare le

forme e familiarizzano facilmente con l’esaminatore senza bisogno di usare troppe parole; la

seconda è costituita dalla possibilità di osservare il bambino mentre disegna, di vedere qual è il

suo atteggiamento, la posizione del corpo, i movimenti e altri comportamenti potenzialmente

importanti: sarà cura dello sperimentatore annotare le proprie osservazioni senza farsi vedere, in

modo che il bambino non si senta sotto pressione. La seconda variazione effettuata rispetto alla

somministrazione standard è la scelta di far continuare il test anche quando il bambino non abbia

ottenuto punti per tre items consecutivi. Si è ritenuto infatti interessante continuare la

somministrazione per osservare come il bambino reagisca di fronte agli items più difficili: tale

richiesta non risulta in nessun modo frustrante per i partecipanti che normalmente chiedono di

poter copiare tutti i disegni, compresi quelli più difficili. La terza variazione prevede che i test

supplementari di Percezione Visiva e Coordinazione Motoria, che appartengono alla versione più

recente del Developmental Test of Visual-Motor Integration, non siano stati presi in

considerazione in questa ricerca.

3.4.3 Prova linguistica di comprensione lessicale: Peabody Vocabulary

Test – Revised (PPVT-R)

Somministrazione e procedura

La somministrazione del test è avvenuta individualmente in una stanza tranquilla, lontano

da altre persone. La procedura si è svolta in modo analogo a quella della versione in lingua

vocale, tranne che per l’utilizzo di una televisione o di un computer per permettere di vedere i

segni videoregistrati prodotti direttamente da un adulto sordo segnate nativo (nella versione in

lingua vocale gli items vengono invece pronunciati dallo sperimentatore). Dopo aver visto

ciascun segno videoregistrato, i bambini/ragazzi devono indicare l’immagine a loro avviso

corretta fra le quattro alternative possibili.

Un’altra differenza rispetto alle procedure di somministrazione standard è che ad ogni

partecipante sono stati proposti tutti e 175 gli items, non usando quindi il test come un test di livello

a seconda dell’età del soggetto (ovvero non stabilendo né il basal - le prime 8 risposte corrette

consecutive -, né il ceiling - 6 risposte errate in 8 risposte consecutive -). Nella versione italiana del

Peabody, invece, gli items sono ordinati per difficoltà crescente e l’item da cui si inizia la

somministrazione è determinato dall’età del bambino. Tale scelta è stata dettata dal fatto che non

essendo gli items del test ordinati per difficoltà crescente in LIS, ma in italiano, ci siamo trovati

impossibilitati ad usare il Peabody a livello. Dalla raccolta dati di questa ricerca e da altre raccolte

che ci auguriamo di attuare nel prossimo futuro, si cercherà di standardizzare il PPVT-R per la LIS,

come gli autori della versione italiana hanno fatto rispetto alla versione originale in inglese: a tal

punto si potrà usare il PPVT-R versione segnata, nuovamente come un test di livello.

3.4.4 Prova linguistica di produzione lessicale: Boston Naming Test (BNT)

Riflettendo sui bambini e sui ragazzi sordi che si apprestavano a sostenere tale compito e

che dunque avrebbero prodotto in LIS le immagini presentate nel test, si è pensato di attuare

alcune modifiche in merito alle condizioni di somministrazione, in modo da adattare lo

strumento al campione selezionato. Gli accorgimenti metodologici sono stati apportati su:

� il numero di figure: si è stabilito di far denominare tutte e 60 le figure e di non

interrompere mai il compito, indipendentemente dalla prestazione ottenuta (nella

versione originale il test viene interrotto dopo 6 errori consecutivi);

� il tempo di esecuzione della prova: si è pensato di non dare alcun limite di tempo, né

di presentazione di ciascun disegno, né di esecuzione del compito (nella versione

originale il tempo massimo di presentazione di ciascun disegno è pari a 20 sec.);

� il tipo di sollecitazione: si è stabilito di non fornire alcun tipo di aiuto semantico e/o

fonologico, ma si è pensato di stimolare il bambino a soffermarsi sulle figure in cui

esitava a dare la risposta, ponendo la domanda “Che cos’è? A cosa serve?” (nella

versione originale se il soggetto dà una risposta che indica una comprensione errata

del disegno o un’assoluta non comprensione, l’esaminatore procede con il fornire

dapprima un aiuto semantico e poi un aiuto fonologico).

� l’addestramento alla prova: sono stati aggiunti 3 items iniziali di addestramento

(sole, pesce e topo) cosicché lo sperimentatore potesse far vedere al

bambino/ragazzo come si doveva svolgere la prova facendo lui stesso ciò che veniva

richiesto al bambino (nella versione originale i 3 items di addestramento non erano

previsti).

Tali accorgimenti metodologici sono stati già utilizzati in precedenza da una ricerca

condotta da Bello, Capirci, Volterra (2004) con i bambini con sindrome di Williams.

L’esecuzione di tale prova individuale viene videoregistrata: essendo, infatti, la

produzione in LIS, una semplice annotazione cartacea delle produzioni si rivelerebbe del tutto

insufficiente.

3.4.5 Narrazione: Frog, where are you?

La somministrazione è avvenuta in forma individuale. Il libretto della storia della Rana è

posizionato sul banco in posizione orizzontale di fronte al bambino. Quest’ultimo viene invitato

a sfogliare la storia senza limiti di tempo e gli viene detto “ecco la storia di un bambino, un cane

e una rana. Per prima cosa devi guardare tutte le figure, poi devi raccontarmi la storia. Se vuoi,

puoi riguardare le figure mentre racconti”. Le produzioni in LIS dei bambini e ragazzi del

campione, sono state tutte videoregistrate.

3.4.6 Teoria della Mente: Sally-Ann 1, Sally-Ann 2, Smarties, riordino e

narrazione di storie in sequenza

Adattamento

I testi delle prove sono stati “tradotti” in LIS da due adulti sordi segnanti nativi con la

consegna di essere il più aderenti possibili alla versione vocale. Tale aderenza garantisce la

possibilità di confronti fra il gruppo di ragazzi sordi e il gruppo di controllo udente e rispetta la

natura dei test.

Somministrazione e procedura

Sally-Ann 1 viene somministrato individualmente senza limiti di tempo. Si procede con

un racconto dal vivo della storia tramite bamboline e oggetti. I personaggi della storia, che per

adattamento culturale e per facilità sono stati rinominati Sara e Marco, vengono presentati al

bambino: “questo è Marco. Questa è Sara”.

Figura 14: Sally-Ann 1

Si procede poi con il racconto“Marco ha un sacchetto, Sara ha una scatola. Marco ha

anche una biglia e la mette nel sacchetto. Poi Marco esce e va a fare una passeggiata (il

pupazzo Marco esce dal campo visivo del bambino). Sara arriva, prende la biglia e la sposta

nella scatola (arriva il pupazzo Sara che sposta la biglia dal sacchetto alla scatola). Sara va via

(il pupazzo Sara esce dal campo visivo del bambino e torna il pupazzo Marco). Ora Marco

ritorna e vuole giocare con la biglia” si procede ora con le 4 domande del test:

1. falsa credenza: “Marco dove cercherà la biglia?”;

2. motivazione:“perché?”;

3. domanda sulla realtà:“dov’è la biglia veramente?”;

4. domanda di memoria:“Marco dove aveva messo la biglia all’inizio?”.

La somministrazione di Sally-Ann 2 avviene nello stesso modo, le uniche differenze sono

che:

� i personaggi si invertono, ovvero il possessore della biglia e del sacchetto diventa

Sara mentre Marco ha la scatola;

� Marco nasconde la biglia nella tasca dello sperimentatore anziché nella scatola

(come aveva fatto Sara nella prova precedente).

Figura 15: Sally-Ann 2

Per quanto riguarda la prova Smarties, lo sperimentatore mostra al bambino un tubetto di

Smarties e gli pone 4 domande:

Figura 16: Smarties

1. “Che cosa c’è qui dentro?”. A prescindere dalla risposta data lo sperimentatore apre

il tubetto e ne svela il reale contenuto (ovvero una matita).

Figura 17: Smarties

2. “No, una matita. Ora arriva Billy. Billy non ha visto questo tubetto. Secondo te

Billy che cosa pensa ci sia nel tubetto?” (domanda sulla falsa credenza altrui).

3. “Prima che tu guardassi nel tubetto che cosa pensavi ci fosse?” (domanda sulla

propria falsa credenza).

4. “Cosa c’è in realtà nel tubetto?” (domanda sulla realtà).

Per quanto riguarda le storie in sequenza, invece, viene consegnato al bambino il

cartoncino con la prima immagine della storia e gli viene detto “questa è la prima figura.

Guarda le altre figure e vedi se puoi usarle per fare una storia”. Se il bambino non risponde,

l’esaminatore nomina tutti gli oggetti nella prima figura e poi dice “qual è la figura

successiva?”. L’ordine scelto dal bambino viene annotato e, se non è corretto, sarà lo

sperimentatore a proporre la sequenza prestabilita. A questo punto si chiede al bambino “puoi

raccontare la storia?”. Tutte le narrazioni vengono videoregistrate. Per questa prova non sono

previsti limiti di tempo, ma è concesso un solo tentativo per ciascuna storia.

3.5 DESCRIZIONE DEL SISTEMA D’ANALISI E CODIFICA

3.5.1 Intervista

Per quanto concerne l’intervista è stata fatta un’analisi di tipo qualitativo delle risposte,

con il fine di ampliare il quadro anamnestico dei vari partecipanti. Quanto estrapolato da tali

interviste non sarà esplicitamente illustrato nel capitolo della presentazione dei risultati, ma sarà

tenuto in considerazione e utilizzato nella discussione finale degli stessi.

3.5.2 Developmental Test of Visual-Motor Integration (VMI)

Per la codifica di tale test si è seguito quanto riportato nel manuale senza alcuna

modifica.

3.5.3 Prova linguistica di comprensione lessicale: Peabody Vocabulary

Test – Revised (PPVT-R)

Come precedentemente detto nel paragrafo 4.3.3, il Peabody non è stato usato come un

test di livello, ma è stato somministrato integralmente. Data questa scelta, nella codifica non si è

potuto assegnare un quoziente linguistico (M=100; DS=15), ma si è semplicemente calcolato il

numero di risposte corrette rispetto al totale degli items, trasformandolo poi in percentuale (% di

risposte corrette sul totale).

3.5.4 Prova linguistica di produzione lessicale: Boston Naming Test (BNT)

Nella codifica delle risposte prodotte da ciascun bambino e ragazzo durante il test di

denominazione di figure, si è pensato di adottare alcuni cambiamenti già usati in un precedente

studio sulla valutazione del lessico in popolazioni speciali (Bello, 2003-2004; Bello, Capirci,

Volterra, 2004) e di apportarne di nuovi, al fine di adattare lo strumento al campione selezionato.

Il sistema di codifica prevede una sola risposta per ogni item. Se viene fornita più di una

risposta, viene codificata l’ultima. La codifica delle risposte è la seguente:

1. risposte corrette: il bambino/ragazzo produce il segno (gruppo di sordi) o la parola

(gruppo di controllo) corrispondente alla figura presentata;

2. risposte errate: il bambino/ragazzo produce il segno o la parola non corrispondente,

o corrispondente solo in parte, alla figura presentata;

3. non risposte: il bambino/ragazzo non produce il segno o la parola corrispondente alla

figura presentata, dice di non sapere, di non ricordare.

Per quanto riguarda l’analisi qualitativa delle risposte errate si è fatto riferimento alle

categorie utilizzate da Kirk (1992) e adattate da Bello (2004); gli errori prodotti sono dunque

classificati nel seguente modo:

� errori semantici: generalizzazioni – “barca” invece di “canoa” – sostituzioni –

“penna” invece di “matita”;

Figura 18: item 26 del BNT: canoa

� circonlocuzioni: “quella che serve per suonare” invece di “arpa”, “quella per salire”

invece di “scala mobile”;

Figura 19: item 38 del BNT: arpa

� errori fonologici: la sostituzione di un fonema in italiano - “carretta” invece di

“racchetta” – la sostituzione di un parametro formazionale10 in LIS;

Figura 20: errori fonologici.

� errori percettivi: “triangolo” invece di “piramide”, “ramo” invece di “asparago”,

“bilancia” invece di “giogo”, “lancia” invece di “asparago”;

10 Nella LIS sono stati identificati i seguenti parametri formazionali: 15 luoghi, 26 configurazioni, 6 orientamenti e 32 movimenti. Il principio che ha guidato nell’identificazione di questi parametri è un principio classico della linguistica. Come nelle lingue vocali due fonemi si dicono distinti e significativi se esistono due parole che variano al variare dei due fonemi (es. “pasta” e “basta”), così si dice che due parametri sono distinti se si individuano due segni con diversi significati che si distinguono solo per una caratteristica: il luogo di esecuzione, la configurazione, l’orientamento o il movimento (Caselli, Maragna, Pagliari Rampelli, Volterra, 1994).

Item 22 del BNT: lumaca

Segno corretto: lumaca

In Sign Writing

Errore: fonologico

In Sign Writing

� risposte fuori target: risposte che rimandano ad elementi presenti nella figura ma

non sono l’oggetto della denominazione – “cubetto di ghiaccio” invece di “pinza” –

“cane” invece di “museruola”-;

Figura 21: item 58 del BNT: pinze Figura 22: item 44 del BNT: museruola

� altre risposte: risposte non legate all’oggetto della denominazione dal punto di vista

semantico, fonologico o percettivo – “macchina” invece di “museruola” -;

� risposte incomplete: tale categoria è stata aggiunta solo per la codifica delle

produzioni in LIS. Comprende tutte quelle produzioni che, nonostante si possano

considerare corrette solo se eseguite con due segni, uno che rappresenta la

macrocategoria dell’oggetto che si vuole denominare, l’altro che lo specifica ( ad

esempio: “graticcio” in italiano, “grata” + “per i fiori” in LIS; “panchina” in italiano,

“sedia” + “lunga” in LIS), vengono invece effettuate erroneamente con un unico

segno, che risulta dunque corretto ma incompleto. Ad esempio l’item 27

MAPPAMONDO è composto da due segni, ovvero “mondo” + “girare”: se il

soggetto produce uno solo dei due segni, la risposta viene appunto considerata

incompleta.

Figura 23: risposte incomplete.

O ancora l’item 42 STETOSCOPIO è composto da due segni: se il soggetto produce uno

solo dei due segni, la risposta viene appunto considerata incompleta.

Item 27 del BNT: mappamondo

Segno corretto: mappamondo

In Sign Writing

In Sign Writing

Errore: incompleto (la prima parte del segno è corretta, ma manca la seconda)

Figura 24: risposte incomplete.

� descrizione forma: tale categoria è stata aggiunta solo per la codifica delle

produzioni in LIS. Comprende tutte quelle produzioni in cui il segnante si limita

esclusivamente alla descrizione dell’oggetto in questione, pur essendoci in LIS il

segno per l’item rappresentato nel test. Ad esempio, invece che segnare “maschera”,

viene descritta la forma della maschera, la sua espressione minacciosa e i suoi denti

affilati.

Item 42 del BNT: stetoscopio

Segno corretto: stetoscopio

In Sign Writing

In Sign Writing

Errore: incompleto (la prima parte del segno è corretta, ma manca la seconda)

Figura 25: errore descrizione forma.

Segno corretto: maschera

In Sign Writing

In Sign Writing

Errore: descrizione forma

Item 18 del BNT: maschera

Lo stesso avviene anche per “biscotto”: viene descritta la forma del biscotto anziché

segnarne il nome.

Figura 26: errore descrizione forma.

Per alcune figure (15, 16, 19, 23, 28, 51, 52 e 57) del Boston Naming Test, più di una

risposta è stata considerata corretta nelle produzioni in lingua vocale italiana. Ad esempio, la

figura denominata “pretzel” in inglese, può essere denominata nella lingua italiana come

Item 19 del BNT: biscotto

Segno corretto: biscotto

In Sign Writing

In Sign Writing

Errore: descrizione forma

“biscotto, ciambella, taralluccio, salatino” a seconda delle differenti espressioni regionali; la

figura corrispondente ad “hanger” in lingua inglese, può essere correttamente chiamata “gruccia,

stampella, appendiabiti” nella lingua italiana; la figura denominata “tripod” in lingua inglese ha

il corrispondente di “treppiede” o “cavalletto” in lingua italiana; per la figura “sedia a rotelle” si

è considerata corretta anche la parola “carrozzella”; per “corona” si è considerata corretta anche

“ghirlanda”; per “graticcio” si considerano corrette anche “grata” e “rete”; per “abaco”, infine, si

considera corretto anche “pallottoliere”. Molti di questi sinonimi sono stati considerati corretti

anche da Riva, et al. (2000), che hanno somministrato il Boston Naming Test a bambini italiani

di scuola elementare.

Lo stesso tipo di accorgimenti è stato usato anche nella codifica delle produzioni in LIS.

Tali accorgimenti sono dovuti principalmente al fatto che la raccolta dati è avvenuta in Piemonte

e che quindi, nelle produzioni dei ragazzi, non si potevano considerare come errati dei segni che

venivano semplicemente prodotti diversamente a causa di variazioni regionali. Come

precedentemente detto, in seguito a degli incontri con adulti sordi segnanti nativi di altre regioni

italiane e, in particolare, piemontesi, sono stati individuati quegli items (5, 9, 10, 11, 14, 27, 31,

43, 55, 57) che erano soggetti a variazioni dialettali. Ad esempio la figura 5 - fungo – a Torino

viene prodotta con una configurazione della mano dominante diversa da quella che viene usata

solitamente a Roma, anche la figura 10 – spazzolino – a Torino viene segnata con la

configurazione T chiusa (rappresentata dal simbolo # sopra la lettera) che, invece, a Roma

rappresenta l’azione di “lavarsi i denti” mentre l’oggetto, spazzolino, viene prodotto con la

configurazione G.

Si riportano per chiarezza alcuni esempi:

� FISCHIETTO (item 5): viene considerata corretta la risposta sia con la

configurazione F (più usata in Piemonte), sia con la configurazione H (più usata nel

centro Italia);

Figura 27: Configurazione F Configurazione H

� ELICOTTERO (item 11): viene considerata corretta la risposta sia con la

configurazione della mano dominante 3 (più usata in Piemonte), sia con la

configurazione della mano dominante 5 (più usata nel centro Italia);

Figura 28: Configurazione mano dominante 3 Configurazione mano dominante 5

(Figure tratte dal Dizionario bilingue elementare della Lingua Italiana dei Segni, a cura di E. Radutzky, Edizioni Kappa, Roma 1992).

� RINOCERONTE (item 31): viene considerata corretta la risposta sia con la

configurazione Y (più usata in Piemonte), sia con la configurazione X (più usta nel

centro Italia);

Figura 29: Configurazione Y Configurazione X

3.5.5 Narrazione: Frog, where are you?

Per la codifica delle Frog Story dei bambini sordi del nostro campione, si è deciso di

procedere con due tipi di analisi successive: una più di stampo linguistico, che prende in

considerazione diversi aspetti della LIS e una più di stampo narrativo (sulla base di quanto

pervenuto dalla letteratura). Per effettuare tali analisi sono dunque state ideate due griglie di

valutazione. Si è ritenuto indispensabile che la prima griglia di valutazione, quelle sulle

competenze in LIS, venisse compilata esclusivamente da sperimentatori sordi segnanti nativi con

un’eccellente competenza in LIS. I risultati ottenuti da tale analisi sono serviti alla compilazione

della seconda griglia. Qui di seguito vengono riportate le due griglie d’analisi:

1) nella griglia di valutazione delle competenze LIS gli aspetti che sono stati presi in

considerazione sono:

� l’uso di componenti orali abbinate ai segni, così suddivise: componenti orali di parole –

COP-, ovvero quando il segnante fa il segno e contemporaneamente produce vocalmente la

parola italiana corrispondente al segno; componenti orali speciali –COS-, ovvero segni a cui

va necessariamente abbinata una specifica produzione orale perché siano dotati di

significato; altre componenti orali -COA-, ovvero parole onomatopeiche abbinate al segno,

ad esempio il segnante fa il segno rana e produce vocalmente cra cra. Per ogni componente

orale individuata si è annotato se veniva prodotta interamente (ad esempio fa il segno rana e

produce vocalmente rana), o se veniva prodotta parzialmente (ad esempio fa il segno rana e

produce vocalmente ra o na). Per ogni componente orale individuata si è inoltre annotato se

la produzione vocale era senza suono (il segnante produce il segno e abbina la componente

orale labializzandola ma non vocalizzandola), o se la produzione vocale era con suono (il

segnante produce il segno e abbina la componente orale vocalizzandola);

� l’uso di Strutture di Grande Iconocità (Cuxac, 1996; Cuxac, 2000; Russo, 2000; Cuxac,

2001; Sallandre, 2001; Russo, 2004; Russo, 2004; Pizzuto et al., in stampa) come il

Trasferimento di Persona (il segnante impersonifica il referente del discorso), il

Trasferimento di Forma (il segnante impersonifica oggetti inanimati del discorso) e il

Trasferimento di Situazione (il segnante impersonifica situazioni ed eventi del discorso). Da

recenti ricerche francesi, infatti, si è visto come l’utilizzo di Struttura di Grande Iconicità sia

prerogativa di segnanti esperti e competenti, nonché di una maturità dell’organizzazione del

discorso in LIS;

� l’uso di segni standard;

� l’uso della coarticolazione (segno + segno, oppure segno + non segno);

� l’uso di gesti;

� l’uso del discorso diretto: anch’esso visto come indice di complessità del discorso

(Tomasuolo, 2002);

� l’uso della dattilologia (alfabeto manuale);

� la presenza di pause e la loro durata;

� se la storia è stata complessivamente prodotta in LIS, in italiano segnato (IS), in italiano

segnato esatto (ISE) o in Italiano (I). Per LIS si intende la Lingua dei Segni Italiana, lingua a

tutti gli effetti con una sua grammatica e una sua sintassi; per IS si intende l’uso dei segni

della LIS ma la struttura grammaticale e sintattica dell’Italiano; per ISE si intende l’uso dei

segni della LIS con la struttura grammaticale e sintattica dell’Italiano accompagnata inoltre

dalla dattilologia (alfabeto manuale) per alcune parti del discorso come le desinenze dei

verbi, il genere delle parole, le preposizioni, gli articoli e tutte quelle parti del discorso

italiano che non hanno un loro specifico corrispondente in LIS; per I si intende una

produzione esclusivamente in lingua vocale italiana;

� il numero complessivo di segni prodotti;

� la presenza di errori a livello di singolo segno o a livello di struttura della frase.

2) Per l’ideazione della seconda griglia d’analisi sulla valutazione delle competenze

narrative in LIS, si è tenuto conto di quanto pervenuto in letteratura circa la valutazione delle

competenze narrative di bambini con sviluppo tipico e atipico.

Le procedure di codifica più usate in letteratura sono quelle di Clifford, Reilly &

Wulfeck (1995) e di Reilly, Bates & Marchman (1998) largamente utilizzate per comprendere il

discorso narrativo in popolazioni speciali (bambini con danni cerebrali, disturbi del linguaggio,

ecc.). Questi sistemi di codifica valutano non solo la competenza grammaticale, l’abilità e la

produzione dei bambini, ma anche la loro abilità nell’arricchire la narrazione attraverso la

“evaluation” (valutazione personale). La rilevanza della valutazione personale all’interno della

narrazione si evidenzia chiaramente già a partire dal 1967 con il lavoro di Labov & Waletzky e

in seguito con gli studi sugli approcci evolutivi del pensiero narrativo (Reilly, Klima, Bellugi,

1990; Bamberg, Damrad-Frye, 1991; Reilly, 1992; Berman, Reilly, 1995; Bamberg, Reilly,

1996; Reilly, Bates, Marchman, 1998) ed include i seguenti tipi di valutazione:

1. inferenze cognitive: inferenze sulla motivazione, sulla causalità, sugli stati mentali;

2. attrattori dell’attenzione (social engagement devices): cioè l’uso di frasi od

esclamazioni per catturare l’attenzione dell’interlocutore;

3. riferimenti a stati o comportamenti affettivi;

4. intensificatori: ripetizioni o marcatori enfatici;

5. risposte evasive (hedges): uso di parole del tipo “probabilmente, forse”, indicanti un

livello di certezza/incertezza, nel momento in cui si incontra una difficoltà nel

racconto.

Nella messa a punto della griglia di valutazione delle competenze narrative in LIS si sono

dunque tenuti in considerazione questi aspetti sopra elencati, ampliandoli però in base alle

specifiche peculiarità del campione di bambini e ragazzi sordi preso in esame: ad esempio nel

punto H della griglia sottostante – uso del lessico psicologico - si fa riferimento al punto 1 e 3

dell’elenco appena presentato - inferenze cognitive e riferimenti a stati o comportamenti affettivi

- ; nel punto G della griglia sottostante – abilità pragmatiche - si fa riferimento al punto 2 e 4

dell’elenco appena presentato - attrattori dell’attenzione e intensificatori - .

La griglia di valutazione delle competenze narrative LIS è stata ideata sulla base di uno

schema originariamente proposto da Reilly (1992) e in seguito riveduto da Bello e Capirci (in

stampa) e si presenta come segue:

A) INTRODUZIONE: CONTESTO/AMBIENTE Vengono introdotti i personaggi della storia? Si capisce dove si svolgono i vari eventi? Si capisce quando si svolgono i vari eventi? B) INFORMAZIONE Descrizione letterale dei disegni (necessarie, aggiuntive) Descrizioni elaborate inferenziali dei disegni (congruenti, incongruenti) C) EPISODI DELLA STORIA Definizione / prima annuncio del problema collegamento La ricerca della rana

collegamento L’incontro con le api collegamento L’incontro con la talpa collegamento L’incontro con il gufo collegamento L’incontro con il cervo collegamento La caduta nell’acqua collegamento Risoluzione Episodio del cane Sequenza cronologica degli episodi Totale episodi narrati Totale collegamenti D) LA RICERCA La scomparsa della rana Il ragazzo cerca la rana (una volta) Ripetizione della ricerca (più di due volte) Ritrovamento della rana Totale punti ricerca della rana

E) INDICAZIONE Sul foglio Ridondante (indica il bambino + dice “bambino”) Non ridondante (indica solamente) Nello spazio Indicazione linguistica Indicazione di un oggetto reale F) ABILITA’ LINGUISTICA Prevalenza LIS / Italiano Segnato / Italiano Segnato Esatto / Italiano Trasferimento di persona (TP) Trasferimento di forma (TF) Trasferimento di situazione (TS) Discorso diretto (DD) Dattilologia Numero complessivo di segni prodotti G) ABILITA' PRAGMATICHE (mantenere vivo l'interesse dell'interlocutore) Attrattori dell’attenzione Richiamo (visivo, tattile, di indicazione) Suspence – domande retoriche Effetti visivi e sonori Intensificatori Ripetizioni Marcatori enfatici (allungamento, rallentamento)

H) USO DEL LESSICO PSICOLOGICO Elemento motivato da un'emozione Elemento motivato da un'intenzionalità/volontà Elemento motivato da un giudizio morale Elemento motivato da una cognizione

Tabella 6: griglia produzione Frog

Punto A: si inizia valutando la presenza o l’assenza dell’introduzione della storia ovvero

se vengono introdotti i personaggi (Stein, Glenn, 1982; Berman, Slobin, 1994): “c’è un bambino,

un cane e una rana” (è sufficiente l’introduzione di due personaggi su tre); se si capisce dove si

svolgono i vari eventi: “un bambino era nella sua cameretta insieme al suo cane”; e se si capisce

quando si svolgono i suddetti eventi: “una notte, mentre il bambino dormiva, la rana uscì dal

vaso e fuggì”.

Punto B: si procede poi con l’osservare se le indicazioni che il bambino fa sono

descrizioni letterali dei disegni: “c’è una rana che corre, ci sono delle api che volano” ; oppure

se sono delle descrizioni elaborate inferenziali dei disegni: “c’è un cane che scappa perché le

api lo inseguono”.

Punto C: si prosegue poi con il rilevare la presenza/assenza del primo annuncio del

problema: “quando il bambino si sveglia si accorge che la sua rana non è più dentro al vasetto:

è fuggita” e di tutti gli episodi di cui è composta la storia, nonché dei collegamenti fra un

episodio e il suo successivo. Si valuta inoltre se vi è una risoluzione della storia:“il bambino

ritrova la rana e se la porta a casa; oppure: “il bambino e il cane trovano la rana insieme alla

sua compagna e tante ranocchiette, ne prendono una e se la portano a casa” e se gli episodi

sono narrati secondo una giusta cronologia o meno.

Punto D: si guarda inoltre, in dettaglio, alla ricerca della rana, ai tentativi che il bambino

fa per ritrovarla (se il bambino cerca la rana una sola volta o se vi è ripetizione nella ricerca) e

alla conclusione della storia, ovvero il ritrovamento effettivo della rana.

Punto E: si registrano tutte le indicazioni che il bambino fa durante la narrazione, sia

quelle ridondanti, come ad esempio quando indica sul foglio la figura del bambino e

contemporaneamente dice “il bambino” , sia quelle non ridondanti, ovvero quando indica

solamente un personaggio o un oggetto sul foglio. Si contano anche le indicazioni nello spazio,

sia di natura linguistica (nelle lingue dei segni l’indicazione nello spazio ha una sua valenza

grammaticale solitamente pronominale), sia di oggetti reali presenti nella stanza di valutazione o

nei dintorni (se ad esempio dopo aver narrato l’episodio del gufo, mostra allo sperimentatore che

fuori dalla finestra vi è un albero che somiglia molto a quello raffigurato nell’episodio del gufo).

Punto F: si procede poi con la valutazione delle abilità linguistiche che si estrapolano

dalla prima griglia di valutazione compilata da sperimentatori sordi segnanti nativi con

un’eccellente competenza in LIS: per spiegazioni più dettagliate relative al punto F si rimanda

alla lettura della prima griglia d’analisi nel presente paragrafo.

Punto G: si procede poi con l’analisi delle abilità pragmatiche, ovvero la capacità di

mantenere vivo l’interesse dell’interlocutore (Hudson, Shapiro, 1991), guardando gli attrattori

dell’attenzione come il richiamo visivo, tattile e di indicazione da parte del bambino nei

confronti dello sperimentatore, l’uso di strategie come la suspence, le domande retoriche, gli

effetti sonori (“il bambino cadendo nello stagno ha fatto splash” oppure “le api facevano ZZZ”)

e visivi (utilizzo di segni che siano l’equivalente della lingua vocale per “splash, ZZZ, boom”,

ecc.). Si indaga inoltre l’utilizzo di intensificatori come le ripetizioni (“il cane correva, correva,

correva”) e i marcatori enfatici (allungamento e rallentamento: espedienti usati anche in

cinematografia per sottolineare alcuni passaggi o di particolare interesse, o molto rapidi e

veloci).

Punto H: in ultimo, si valuta la presenza del lessico psicologico per spiegare stati

d’animo, eventi e situazioni (Bamberg, Reilly, 1996). In particolare si guarda la presenza di

eventi motivati da una emozione (“il bambino è arrabbiato perché il cane ha rotto il vaso”),

motivati da un’intenzione/volontà (“il cane corre forte perché vuole scappare dalle api” ),

motivati da un giudizio morale (“il bambino guarda male il cane perché è stato cattivo” ) o

motivati da una cognizione (“il bambino prende proprio quella rana perché pensa che sia la

sua”).

In base alla griglia sopra esposta è stato assegnato a ciascun partecipante un punteggio

complessivo della prestazione fornita nella prova di narrazione: tale punteggio ha il vantaggio di

essere sintetico, di essere rappresentativo dell’andamento generale delle performance e di

permettere confronti rapidi con altre ricerche (Bello, Capirci, in stampa). Questo punteggio va

da un minimo di 0 punti a un massimo di 5 punti così assegnati: 1 punto se viene presentato il

setting della storia, 1 punto se viene presentato il problema della scomparsa della rana, 1 punto

se sono rispettate le sequenze temporali della storia e se sono presenti i collegamenti fra un

episodio e l’altro, 1 punto se vengono esplicitati i tentativi di risoluzione del problema per più di

due volte, 1 punto se vi è una conclusione della storia ovvero la risoluzione del problema iniziale

3.5.6 Teoria della Mente: Sally-Ann 1, Sally-Ann 2, Smarties, riordino e

narrazione di storie in sequenza

Per la codifica di Sally-Ann 1 e 2 e di Smarties, ci si attiene a due criteri di riuscita del

compito largamente utilizzati in letteratura:

1. quello di Peterson e Siegal (1995) e Russel et al. (1998), che ritiene superati tali test

di falsa credenza nel momento in cui si sono superati sia Sally-Ann 1 che 2;

2. quello di Courtin (2002), che ritiene superato il compito se si risponde correttamente

a due prove su tre (fra Sally-Ann 1, Sally-Ann 2 e Smarties).

Per entrambi gli Autori i test si possono ritenere validi solo nel momento in cui il

soggetto risponde correttamente alle domande controllo: domanda sulla realtà: “Dov’è la biglia

veramente?”, “Cosa c’è in realtà nel tubetto?” e alla domanda di memoria:“Marco/Sara dove

aveva messo la biglia all’inizio?”, “Che cosa hai detto quando ti ho fatto vedere il tubetto

all’inizio?” . Solo nel momento in cui il bambino/ragazzo abbia risposto in modo esatto a tali

domande, si procede con la verifica della correttezza del test, che si ritiene dunque superato se si

è risposto correttamente a 4 domande su 4. Se anche il bambino/ragazzo rispondesse

correttamente alle prime due domande (quella sulla falsa credenza e quella sulla motivazione),

ma rispondesse in modo erroneo alle domande controllo, il test verrebbe invalidato.

Per quanto riguarda la codifica delle storie in sequenza, dopo aver valutato la correttezza

del riordino delle immagini (il riordino si considera corretto quando si sono posizionate

correttamente 4 immagini su 4), si procede con un’analisi dettagliata della produzione in LIS

(effettuata da sperimentatori sordi segnanti nativi) e delle competenze narrative del partecipante.

Ciascuna storia inoltre viene esaminata in relazione alla presenza o assenza di espressioni causali

o di stato mentale; gli altri casi vengono codificati come descrittivi.

� Un enunciato si definisce causale se contiene una congiunzione “perché” (ad es.: “la

bambina è caduta perché è inciampata sul mattone”); se c’è un esplicito riferimento a

agente-verbo causale-oggetto o una costruzione passiva (ad es.: “l’albero ha rotto il

palloncino”); una frase con verbo causale (ad es.: “il mattone ha fatto cadere la

bambina”).

� Si applica la categoria di stato mentale se l’enunciato contiene un’espressione di

stato mentale (“volere, credere, sapere, far finta, desiderare, ecc.”); un’attribuzione

implicita di uno stato mentale (ad es.: “il ragazzo è sorpreso di non trovare la sua

caramella”); l’attribuzione di un enunciato al protagonista, appropriato al suo stato

mentale, spesso sottolineato dall’intonazione o dall’espressione (ad es.: “lui grida:

dov’è finita la mia caramella?!”).

� Si applica la categoria descrittiva per gli enunciati ambigui (oltre a quelli

esclusivamente descrittivi).

Nel presente lavoro di tesi verranno presentati esclusivamente i risultati del riordino delle

storie in sequenza.

CAPITOLO 4: PRESENTAZIONE DEI RISULTATI

4.1 Developmental Test of Visual-Motor Integration (VMI)

Sono stati inclusi nel campione solo i partecipanti che hanno ottenuto un QI pari o

superiore a 83 (con media 100 e deviazione standard 15), valutato tramite la prova cognitiva non

verbale VMI. Sono dunque stati inclusi nel campione solo i partecipanti che, secondo il manuale

del test, ottengono una prestazione media (83-117), buona (118-132) e molto buona (133-160);

sono stati esclusi quei bambini e ragazzi che hanno ottenuto una prestazione bassa (68-82) o

molto bassa (40-67).

PARTECIP SORDI UDENTI ETA' QI VMI ETA' QI VMI 1 6,1 109 6,6 131 2 7,5 89 7,6 105 3 8 102 7,11 99 4 8,9 94 8,7 101 5 8,11 101 9,1 98 6 9,1 92 9,3 106 7 9,4 102 9,9 105 8 9,5 87 9,9 90 9 9,7 131 9,8 105 10 9,11 100 9,1 137 11 10,7 103 10,6 93 12 11 83 10,6 99 13 11,2 100 11,6 100 14 11,3 90 11 105 15 11,4 90 11,3 94 16 11,8 114 11,3 121 17 11,9 88 11,7 96 18 11,11 83 11,6 93 19 12,7 105 12,5 86 20 12,7 90 12,3 100 21 12,9 92 13 112 22 12,10 113 12,6 106 23 13,3 108 13,1 94 24 13,4 85 13,4 97 25 13,6 100 13,7 114 26 13,9 99 13,9 92 27 13,9 83 13,4 98 28 14 83 14,1 101 29 14,6 96 14,2 119 30 14,6 96 14,2 103

Per quanto riguarda i partecipanti udenti, nessun bambino o ragazzo ha ottenuto un

punteggio al VMI inferiore a 83. Ciò è facilmente spiegabile se si pensa che sono state le

insegnanti stesse, compatibilmente con le età che ci occorrevano, a selezionare i bambini per le

prove. Sebbene gli sperimentatori si siano raccomandati di non fornirgli i nominativi solo degli

studenti più meritevoli ma anzi di fare in modo che i trenta ragazzi scelti come gruppo di

controllo fossero rappresentativi della varietà di una normale popolazione scolastica, sicuramente

le insegnanti non ci hanno proposto dei ragazzi su cui avevano dei dubbi circa le loro capacità

cognitive.

Per quanto riguarda i partecipanti sordi, invece, ne abbiamo incontrati 33: ad uno di

questi bambini non è stato proposto il VMI dal momento che oltre alla sordità presentava una

diagnosi di autismo; altri due bambini ai quali è stato proposto il VMI sono invece stati esclusi

dal campione avendo ottenuto un punteggio pari a 60 e 68 con una prestazione rispettivamente

molto bassa e bassa. A differenza di quanto è avvenuto per i bambini e ragazzi udenti, fra gli

sperimentatori e gli alunni sordi non c’è stato il “filtro” delle insegnanti.

Fra i partecipanti udenti e quelli sordi, nonostante tutti siano assolutamente nella norma,

si registra una differenza statisticamente significativa, calcolata tramite il Mann-Whitney Test

(p=0,039), per quanto riguarda le prestazioni nella prova cognitiva non verbale VMI a favore dei

partecipanti udenti. All’interno del gruppo di partecipanti sordi non vi è differenza

statisticamente significativa, calcolata tramite il t-Test (p=0,058 n.s.), fra i livelli di sviluppo

cognitivo dei partecipanti frequentanti la scuola bilingue e quelli frequentanti le scuole ordinarie

con Assistenti alla Comunicazione (rispettiva media delle prestazioni: 100,73 e 93,13) e neanche

fra coloro che hanno appreso più o meno tardivamente la LIS.

4.2 Prova linguistica di comprensione lessicale: Peabody Vocabulary

Test – Revised (PPVT-R)

Verranno qui di seguito illustrati i risultati relativi al compito di comprensione lessicale

da parte dei bambini e dei ragazzi sordi del campione e del relativo gruppo di controllo udente,

come segue:

� risultati generali;

� analisi del fattore età;

� analisi del fattore tipo di scuola frequentata;

� analisi del fattore apprendimento tardivo o precoce della LIS;

� confronto con il gruppo di controllo di bambini e ragazzi udenti.

Risultati generali

Il grafico sottostante mostra l’andamento delle risposte corrette al Peabody Test da parte

dei partecipanti sordi.

0%

10%

20%

30%

40%

50%

60%

70%

80%

90%

100%

1 8 15 22 29 36 43 50 57 64 71 78 85 92 99 106 113 120 127 134 141 148 155 162 169

Items Peabody

% R

ispo

ste

Figura 30: risposte corrette per item

Gli items del Peabody Test versione segnata, come già precedentemente detto nel par.

4.3.3, sono ordinati per difficoltà in italiano e non in LIS, e spesso, a parole italiane molto

difficili corrispondono segni molto più semplici e quindi di facile individuazione. Di

conseguenza la curva delle risposte corrette dei ragazzi sordi non è marcatamente decrescente

(come avviene invece per gli udenti), ma evidenzia un andamento del tutto oscillatorio. Si può

quindi affermare che il Peabody, nella sua versione segnata, seppur mantenga un andamento

decrescente delle risposte corrette man mano che il test va avanti, non sia più un test di livello.

Un’ulteriore analisi è stata quella di guardare, all’interno delle risposte corrette, quali

items sono stati prodotti dalla maggioranza dei partecipanti sordi. Dalla tabella sottostante, dove

sono riportate le percentuali di risposte corrette per ogni item, si osserva che alcune parole

presentate nella seconda metà del test e quindi considerate difficili nella versione italiana, sono

invece in LIS di facile individuazione (più dell’80% del campione risponde correttamente) per

diversi motivi:

1. sono items altamente iconici (evidenziati in viola), come ad esempio morsetto (111), sferico

(154), rostro (166): l’iconicità di alcuni segni facilita dunque l’individuazione dell’immagine

corretta, tanto che i ragazzi sordi del campione raggiungono difficilmente il ceiling (6 errori su 8

items consecutivi);

Figura 31: item 154 del Peabody – sferico (target 2)

2. sono items in cui la “traduzione” dall’italiano alla LIS facilita il riconoscimento dell’immagine

corretta corrispondente, dal momento che quelle stesse parole non esistono nell’uso corrente

della LIS:

a) o perché rappresentano categorie (cf. par. 4.3.3), come ad esempio nautico (133) che viene

“tradotto” con barca diversi tipi, oppure veicolo (141) che viene “tradotto” con macchina,

bicicletta, trattore, ecc. (items evidenziati in blu);

Figura 32: item 133 del Peabody – nautico (target 3)

b) o perché per esprimere quella parola si usa l’impersonamento attribuendolo al soggetto

dall’azione, come ad esempio inclemente (129) che viene “tradotto” in LIS

impersonificando il referente dell’azione - se stiamo parlando di vento inclemente, come

nella figura del test, il segnante diventerà il vento impersonificandolo e facendone vedere la

forza; se stiamo parlando di una persona inclemente il segnante diventerà questa persona e

tramite le componenti non manuali ne esprimerà l’inclemenza- (item evidenziato in rosso);

Figura 33: item 129 del Peabody – inclemente (target 4)

c) o perché vengono espresse con sinonimi più semplici e frequenti nel parlato, come ad

esempio decrepito (94) che viene “tradotto” con vecchio, oppure esausto (119) che viene

“tradotto” con stanchissimo, oppure deambulazione (151) che viene “tradotto” con

camminare (items evidenziati in verde).

Figura 34: item 151 del Peabody – deambulazione (target 2)

Si sottolineano inoltre in giallo gli unici tre items della prima metà del test a cui meno del

50% del campione ha risposto correttamente e che quindi vengono considerati di difficile

riconoscimento in LIS: ramoscello (57), barriera (58), donnola (59).

ITEMS % RISP.

CORRETTE ITEMS % RISP.

CORRETTE 1 autobus 87% 89 sezionare 67% 2 mano 83% 90 pedone 87% 3 letto 73% 91 carogna 80% 4 trattore 80% 92 trasparente 47% 5 serpente 77% 93 salire 80% 6 barca 87% 94 decrepito 80% 7 lampada 87% 95 gocciolare 83% 8 tamburo 83% 96 falegname 37% 9 freccia 83% 97 isolamento 67%

10 pinguino 80% 98 delusione 43% 11 penna 80% 99 zanna 77% 12 incidente 87% 100 grave 30% 13 accarezzare 87% 101 assalire 83% 14 semaforo 83% 102 indecisione 53% 15 ginocchio 70% 103 abrasivo 53% 16 tronco 80% 104 pneumatico 63% 17 sbucciare 87% 105 debole 83% 18 gonfio 87% 106 rocchetto 80% 19 mucca 87% 107 meditare 77% 20 retino 87% 108 spettro 70% 21 allacciare 77% 109 guarnire 77% 22 peloso 83% 110 felino 77% 23 busta 77% 111 morsetto 80% 24 catena 80% 112 demolire 63% 25 fasciatura 87% 113 cornice 83% 26 misurare 73% 114 sorpreso 60% 27 gabbia 70% 115 arco 53% 28 paracadute 83% 116 quartetto 77% 29 strappare 87% 117 confidare 80% 30 quadrato 80% 118 ometto 47% 31 vaso 73% 119 esausto 80% 32 isolamento 70% 120 commerciale 70% 33 bacio 83% 121 calvo 73% 34 schedare 87% 122 traiettoria 83% 35 siringa 80% 123 piramide 13% 36 vuoto 80% 124 elettrodomestico 40% 37 nido 83% 125 costringere 73% 38 incollare 87% 126 comunicazione 60% 39 riposo 83% 127 baccello 17% 40 mappamondo 83% 128 costellazione 40% 41 consegnare 80% 129 inclemente 83% 42 tubolare 80% 130 rampicante 33% 43 cucire 87% 131 filtraggio 63% 44 tamburello 60% 132 arido 57% 45 bosco 67% 133 nautico 83% 46 vela 73% 134 entomologo 53% 47 stirarsi 87% 135 ardere 40% 48 rubinetto 83% 136 agrume 47% 49 spalla 80% 137 emissione 67% 50 gomito 87% 138 emaciato 37% 51 verdura 67% 139 goffrato 10% 52 capsula 87% 140 calice 73% 53 gambo 87% 141 veicolo 80% 54 umano 73% 142 latta 40%

55 tuffarsi 77% 143 penisola 63% 56 gruppo 70% 144 perpendicolare 83% 57 ramoscello 13% 145 tangente 20% 58 barriera 43% 146 trovatello 63% 59 donnola 43% 147 esultante 83% 60 incatenato 63% 148 indigente 80% 61 artiglio 87% 149 divergenza 60% 62 elicottero 83% 150 antropoide 73% 63 medaglione 80% 151 deambulazione 87% 64 riva 70% 152 spatola 80% 65 bullone 57% 153 utensile 37% 66 disaccordo 83% 154 sferico 80% 67 decorato 87% 155 esterno 30% 68 balcone 77% 156 consumare 17% 69 premiare 83% 157 rombo 63% 70 issare 87% 158 casseruola 50% 71 affaticato 53% 159 fragile 63% 72 cerimonia 87% 160 rettile 37% 73 narice 60% 161 regolabile 17% 74 meccanico 87% 162 parallelogramma 77% 75 rubacchiare 83% 163 imbottitura 87% 76 steccato 70% 164 cornea 83% 77 amo 87% 165 rifornire 67% 78 arnese 80% 166 rostro 83% 79 cascata 70% 167 incandescente 60% 80 assopito 83% 168 arrogante 50% 81 spiegare 83% 169 convesso 77% 82 stupito 60% 170 torretta 0% 83 arciere 87% 171 obelisco 87% 84 guardaroba 83% 172 quieto 77% 85 pedale 70% 173 cooperazione 30% 86 corteccia 83% 174 collera 87% 87 dromedario 77% 175 vitreo 53% 88 brocca 47%

Tabella 8: percentuale di risposte corrette per item

Nonostante il campione sia troppo esiguo per estendere i risultati a considerazioni

generali, si è proceduto comunque con un primo riordino degli items in base ai dati raccolti e ai

risultati ottenuti.

Riordino Ordine %risposte Riordino Ordine %risposte Items items originali corrette Items items originali corrette

1 1 autobus 87% 89 68 balcone 77%

2 6 barca 87% 90 87 dromedario 77%

3 7 lampada 87% 91 99 zanna 77%

4 12 incidente 87% 92 107 meditare 77%

5 13 accarezzare 87% 93 109 guarnire 77%

6 17 sbucciare 87% 94 110 felino 77%

7 18 gonfio 87% 95 116 quartetto 77%

8 19 mucca 87% 96 162 parallelogramma 77%

9 20 retino 87% 97 169 convesso 77%

10 25 fasciatura 87% 98 172 quieto 77%

11 29 strappare 87% 99 3 letto 73%

12 34 schedare 87% 100 26 misurare 73%

13 38 incollare 87% 101 31 vaso 73%

14 43 cucire 87% 102 46 vela 73%

15 47 stirarsi 87% 103 54 umano 73%

16 50 gomito 87% 104 121 calvo 73%

17 52 capsula 87% 105 125 costringere 73%

18 53 gambo 87% 106 140 calice 73%

19 61 artiglio 87% 107 150 antropoide 73%

20 67 decorato 87% 108 15 ginocchio 70%

21 70 issare 87% 109 27 gabbia 70%

22 72 cerimonia 87% 110 32 isolamento 70%

23 74 meccanico 87% 111 56 gruppo 70%

24 77 amo 87% 112 64 riva 70%

25 83 arciere 87% 113 76 steccato 70%

26 90 pedone 87% 114 79 cascata 70%

27 151 deambulazione 87% 115 85 pedale 70%

28 163 imbottitura 87% 116 108 spettro 70%

29 171 obelisco 87% 117 120 commerciale 70%

30 174 collera 87% 118 45 bosco 67%

31 2 mano 83% 119 51 verdura 67%

32 8 tamburo 83% 120 89 sezionare 67%

33 9 freccia 83% 121 97 isolamento 67%

34 14 semaforo 83% 122 137 emissione 67%

35 22 peloso 83% 123 165 rifornire 67%

36 28 paracadute 83% 124 60 incatenato 63%

37 33 bacio 83% 125 104 pneumatico 63%

38 37 nido 83% 126 112 demolire 63%

39 39 riposo 83% 127 131 filtraggio 63%

40 40 mappamondo 83% 128 143 penisola 63%

41 48 rubinetto 83% 129 146 trovatello 63%

42 62 elicottero 83% 130 157 rombo 63%

43 66 disaccordo 83% 131 159 fragile 63%

44 69 premiare 83% 132 44 tamburello 60%

45 75 rubacchiare 83% 133 73 narice 60%

46 80 assopito 83% 134 82 stupito 60%

47 81 spiegare 83% 135 114 sorpreso 60%

48 84 guardaroba 83% 136 126 comunicazione 60%

49 86 corteccia 83% 137 149 divergenza 60%

50 95 gocciolare 83% 138 167 incandescente 60%

51 101 assalire 83% 139 65 bullone 57%

52 105 debole 83% 140 132 arido 57%

53 113 cornice 83% 141 71 affaticato 53%

54 122 traiettoria 83% 142 102 indecisione 53%

55 129 inclemente 83% 143 103 abrasivo 53%

56 133 nautico 83% 144 115 arco 53%

57 144 perpendicolare 83% 145 134 entomologo 53%

58 147 esultante 83% 146 175 vitreo 53%

59 164 cornea 83% 147 158 casseruola 50%

60 166 rostro 83% 148 168 arrogante 50%

61 4 trattore 80% 149 88 brocca 47%

62 10 pinguino 80% 150 92 trasparente 47%

63 11 penna 80% 151 118 ometto 47%

64 16 tronco 80% 152 136 agrume 47%

65 24 catena 80% 153 58 barriera 43%

66 30 quadrato 80% 154 59 donnola 43%

67 35 siringa 80% 155 98 delusione 43%

68 36 vuoto 80% 156 124 elettrodomestico 40%

69 41 consegnare 80% 157 128 costellazione 40%

70 42 tubolare 80% 158 135 ardere 40%

71 49 spalla 80% 159 142 latta 40%

72 63 medaglione 80% 160 96 falegname 37%

73 78 arnese 80% 161 138 emaciato 37%

74 91 carogna 80% 162 153 utensile 37%

75 93 salire 80% 163 160 rettile 37%

76 94 decrepito 80% 164 130 rampicante 33%

77 106 rocchetto 80% 165 100 grave 30%

78 111 morsetto 80% 166 155 esterno 30%

79 117 confidare 80% 167 173 cooperazione 30%

80 119 esausto 80% 168 145 tangente 20%

81 141 veicolo 80% 169 127 baccello 17%

82 148 indigente 80% 170 156 consumare 17%

83 152 spatola 80% 171 161 regolabile 17%

84 154 sferico 80% 172 57 ramoscello 13%

85 5 serpente 77% 173 123 piramide 13%

86 21 allacciare 77% 174 139 goffrato 10%

87 23 busta 77% 175 170 torretta 0%

88 55 tuffarsi 77% Figura 9: riordino del Peabody Test secondo un criterio di difficoltà degli items in LIS.

Il grafico sottostante mostra quello che sarebbe l’andamento delle risposte corrette al

Peabody Test da parte dei partecipanti sordi se la prova fosse proposta con gli items riordinati in

base alla difficoltà in LIS e non in italiano: la curva delle risposte corrette dei ragazzi sordi,

come si può osservare, diverrebbe marcatamente decrescente (come avviene per gli udenti in

lingua vocale). In futuro ci si propone dunque di somministrare in segni il Peabody Test

originale (cioè con gli items ordinati per difficoltà in italiano) ad un numero di partecipanti sordi

molto maggiore, nonché suddivisi per fasce d’età, di modo da poter individuare con maggior

rigore metodologico e statistico quello che sarà il nuovo ordine degli items in LIS. In questo

modo si potrebbe far sì che anche il Peabody versione segnata torni ad essere un test di livello.

0%

20%

40%

60%

80%

100%

120%

Items del Peabody da 1 a 175

% r

isp.

cor

rette

Figura 35: risposte corrette per item in base al riordino del Peabody Test secondo un criterio di difficoltà

degli items in LIS.

Suddivisione per fasce d’età

Come si può osservare dal grafico sottostante, dai 12 anni in poi, ovvero dalle scuole

medie, tutti i partecipanti (tranne uno di 12 anni che frequenta la prima media) rispondono

correttamente ad almeno 120 items su 175. Nonostante quindi una prestazione generalmente

migliore dei più grandi versus i più piccoli, il fattore età sembra non essere determinante e

significativo per la riuscita del compito. Osserviamo infatti che un partecipante di 9,6 anni

ottiene il punteggio più alto di tutto il campione, anche rispetto a bambini che hanno 5 anni più

di lui. Si noti inoltre che le quattro prestazioni più carenti (meno di 120 items a cui è stato

risposto correttamente) sono da attribuirsi a bambini che hanno rispettivamente 9,6 anni, 11 anni

e 12 anni. Viceversa fra le sette prestazioni migliori (più di 140 items a cui è stato risposto

correttamente) vediamo che 6 bambini su 15 frequentano le scuole elementari. Sembra dunque

che il criterio di riuscita per tale compito sia legato ad altri fattori di tipo individuale più che

all’età, infatti non vi è correlazione statisticamente significativa, calcolata tramite il Test di

Spearman (correlazione non parametrica), fra l’età in mesi e le prestazioni nel Peabody Test

(r=0,317; p>0,05 n.s.).

131129136134

122

132

161

118

154155157

111

145

123129

139141

103

155153146

158155

146

157160

131136

123

156

0

20

40

60

80

100

120

140

160

180

6,1 88,

11 9,4 9,7

10,7

11,2

11,4

11,9

12,1

12,7

13,3

13,6

13,9

14,6

Età Partecipanti

Item

s pe

abod

y

Figura 36: risposte corrette al Peabody Test a seconda delle età

Scuola frequenta

Il fattore scuola frequentata è invece decisamente rilevante per quanto riguarda la riuscita

nel compito di comprensione lessicale, infatti le medie dei punteggi dei bambini che frequentano

le due scuole sono diverse: i bambini che frequentano la scuola bilingue ottengono un punteggio

medio di 148,87 , mentre i bambini che frequentano le scuole ordinarie con Assistente alla

Comunicazione, ottengono un punteggio medio di 130,07. Questa differenza, calcolata tramite il

Mann-Whitney Test, è statisticamente significativa (Z=-3,054; p=0,002).

Come si può osservare dalle due linee di tendenza lineari del grafico sottostante, i

partecipanti frequentanti la scuola bilingue (linea di tendenza verde) ottengono un risultato

migliore in tale prova, rispetto ai partecipanti frequentanti scuole ordinarie con Assistente alla

Comunicazione (linea di tendenza blu): lo scarto diviene lievemente maggiore all’aumentare

dell’età dei partecipanti.

0%

20%

40%

60%

80%

100%

120%

1 7 13 19 25 31 37 43 49 55 61 67 73 79 85 91 97 103 109 115 121 127 133 139 145 151 157 163 169 175

Items

Per

c. R

isp.

Cor

rette

Scuole ordinarie con AC Scuola bilingue Lineare (Scuola bilingue) Lineare (Scuole ordinarie con AC)

Figura 37: risposte corrette al Peabody Test fornite in relazione alla scuola frequentata

Analisi del fattore apprendimento tardivo o precoce della LIS

Si sono costituiti tre sottogruppi separando i bambini/ragazzi che sono stati esposti e

hanno appreso tardivamente la LIS (dalla scuola elementare in poi, ovvero dai 6 anni in su), dai

bambini che sono stati esposti e hanno appreso abbastanza precocemente la LIS (entro l’inizio

della scuola elementare, ma non dalla nascita, ovvero da 3 a 6 anni), dai bambini che sono stati

esposti e hanno acquisito precocemente la LIS (ovvero da 0 a 3 anni).

Nella tabella sottostante vediamo la percentuale di risposte corrette al Peabody fornite dai

partecipanti che hanno appreso tardivamente la LIS:

PARTECIP. ETA' PEABODY

6 9,1 132/175 = 75%

8 9,5 118/175 = 67%

16 11,8 129/175 = 73%

18 11,11 103/175 = 58%

20 12,7 146/175 = 83%

28 14 136/175 = 77%

29 14,6 156/175 = 89%

tot. 7 Tabella 10: Risposte corrette fornite al Peabody Test da coloro che hanno appreso la LIS dai 6 anni in poi.

Qui vediamo invece la percentuale di risposte corrette al Peabody fornite dai partecipanti

che hanno appreso abbastanza precocemente la LIS:

PARTECIP. ETA' PEABODY

2 7,5 129/175 = 73%

3 8 136/175 = 77% 5 8,11 122/175 = 69%

9 9,7 154/175 = 88% 10 9,11 161/175 = 92%

11 10,7 157/175 = 89%

12 11 111/175 = 63% 13 11,2 141/175 = 80%

17 11,9 146/175 = 83% 22 12,1 155/175 = 88,5%

19 12,7 153/175 = 87%

23 13,3 146/175 = 83%

24 13,4 155/175 = 88,5%

25 13,6 160/175 = 91% 26 13,9 157/175 = 89%

27 13,9 131/175 = 74%

30 14,6 123/175 = 70%

tot.17 Tabella 11: Risposte corrette fornite al Peabody Test da coloro che hanno appreso la LIS fra i 3 e i 6 anni.

Vediamo infine la percentuale di risposte corrette al Peabody fornite dai partecipanti che

hanno appreso precocemente la LIS:

PARTECIP. ETA' PEABODY

1 6,1 131/175 = 74%

4 8,9 134/175 = 76% 7 9,4 155/175 = 88,5%

14 11,3 123/175 = 70%

15 11,4 129/175 = 73% 21 12,9 158/175 = 90%

tot. 6 Tabella 12: Risposte corrette fornite al Peabody Test da coloro che hanno appreso la LIS fra 0 e 3 anni.

In ultimo si riporta una tabella riassuntiva che mostra, per ogni gruppo, la media delle età

dei bambini/ragazzi e la media percentuale delle risposte corrette fornite al Peabody Test.

Seppure l’ultimo gruppo risulti essere in media più piccolo di più di un anno rispetto agli altri

due gruppi (i risultati non sono quindi del tutto confrontabili), si può osservare come i

partecipanti di questo gruppo abbiano delle prestazioni più alte in media di 3,9 punti percentuali

se confrontati con coloro che hanno appreso tardivamente la LIS. Inoltre i partecipanti del

secondo gruppo ottengono delle prestazioni più alte in media di 6,8 punti percentuali rispetto a

coloro che hanno appreso tardivamente la LIS. Ciò fa supporre che, nonostante non si riveli una

differenza statisticamente significativa [Chi2(2)=1,97; p=0,37], ci sia effettivamente un vantaggio

in coloro che hanno appreso la LIS precocemente per quanto riguarda un compito di

comprensione lessicale.

Media delle età Risposte corrette

LIS app.tardivo – dai 6 aa. in poi

(7 bambini)

11,8

75,1%

LIS app. semi precoce - dai 3 ai 6 aa.

(17 bambini)

11,4

81,9%

LIS app.precoce - da 0 a 3 aa.

(6 bambini)

10

79,0%

Tabella 13: Risposte corrette percentuali fornite al Peabody Test rispetto a quando si è appresa la LIS.

Confronto con il gruppo di controllo di bambini e ragazzi udenti

Dalla tabella sottostante si può vedere come la totalità dei partecipanti udenti, a

differenza del campione sordo, risponda correttamente a tutti gli items fino al settantacinquesimo

(che corrisponde a 9 anni e mezzo d’età). Questo ha senso se si pensa che il Peabody è un test di

livello standardizzato per la lingua italiana.

0%

20%

40%

60%

80%

100%

120%

1 8 15 22 29 36 43 50 57 64 71 78 85 92 99 106 113 120 127 134 141 148 155 162 169

Items

Per

cent

uale

Ris

post

e

Risposte Corrette

Figura 38: risposte corrette per item dei partecipanti udenti

Si può notare dal grafico sottostante come le prestazioni in questo compito di

comprensione lessicale siano molto differenti nei bambini e ragazzi sordi e in quelli udenti.

Questi ultimi, infatti, ottengono delle prestazioni marcatamente decrescenti come si può vedere

dalla linea di tendenza nera: fra le risposte corrette fornite agli items iniziali del test e quelle

fornite agli items finali, c’è uno scarto percentuale di 60 punti. Per i bambini e ragazzi sordi,

invece, lo scarto si riduce della metà, ovvero il 30% (linea di tendenza rossa). Per tale dato ci

potrebbero essere due spiegazioni plausibili: 1. come già detto in precedenza, l’ordine degli

items del test rispecchia una difficoltà crescente in italiano, e non in LIS, ed è dunque

comprensibile come negli udenti si osservi un decrescere più netto delle risposte corrette man

mano che il test va avanti; 2. il test stesso presenta degli items che non sono adatti, dal punto di

vista linguistico e culturale, ai partecipanti sordi e in cui la “traduzione” stessa facilita il

riconoscimento dell’immagine corretta: tali items sono per la maggioranza collocati nella

seconda metà del test. Si ritiene dunque che un riordino degli items possa far tornare il Peabody

versione segnata, un test di livello.

0%

20%

40%

60%

80%

100%

120%

1 7 13 19 25 31 37 43 49 55 61 67 73 79 85 91 97 103 109 115 121 127 133 139 145 151 157 163 169 175

Item peabody

% R

ispo

ste

SORDI UDENTI Lineare ( SORDI) Lineare ( UDENTI)

Figura 39: confronto fra il gruppo di partecipanti sordi e il gruppo di controllo udente delle risposte corrette

al Peabody Test

Si può osservare dal grafico seguente come per i partecipanti udenti l’età migliori

nettamente le prestazioni fornite nel compito di comprensione lessicale, tanto che fra i bambini

di 6 anni ed i ragazzi di 15 anni vediamo uno scarto percentuale di 45 punti nelle risposte

corrette fornite; per i partecipanti sordi, invece, l’età sembra non essere un fattore determinante:

fra i partecipanti più piccoli e quelli più grandi, si osserva uno scarto percentuale di soli 10 punti.

0

20

40

60

80

100

120

140

160

180

6,1 88,1

19,4 9,7 10

,711

,211

,411

,912

,112

,713

,313

,613

,914

,6

Età partecipanti

Num

ero

item

s co

rret

ti

SORDI UDENTI Lineare (SORDI) Lineare (UDENTI)

Figura 40: confronto fra il gruppo di partecipanti sordi e il gruppo di controllo udente delle risposte corrette

al Peabody Test in base all’età dei partecipanti.

Valutando invece le performance del campione di bambini sordi e del campione di

bambini udenti (indipendentemente dalle età) si osserva come non vi sia una differenza

statisticamente significativa, calcolata tramite il Mann-Whitney Test, fra le risposte corrette

fornite dei due gruppi (Z=-1,065; p=0,287 n.s.).

4.3 Prova linguistica di produzione lessicale: Boston Naming Test (BNT)

Verranno qui di seguito illustrati i risultati relativi ai diversi tipi di risposte ottenute al

compito di denominazione di figure da parte dei bambini e dei ragazzi sordi del campione e del

relativo gruppo di controllo udente, come segue:

� risultati generali;

� risposte corrette, non corrette e non risposte;

� analisi qualitativa delle risposte non corrette;

� analisi del fattore età;

� analisi del fattore tipo di scuola frequentata;

� analisi del fattore apprendimento tardivo o precoce della LIS;

� analisi delle produzioni vocali effettuate;

� confronto con il gruppo di controllo di bambini e ragazzi udenti.

Risultati generali

Il grafico sottostante mostra l’andamento delle risposte corrette al BNT del campione

sordo. Si può chiaramente vedere come, nonostante la linea di tendenza ci mostri un andamento

comunque decrescente, ci sono molti picchi che si discostano da tale linea. Questo è

comprensibile se si pensa che l’ordine di presentazione degli items non corrisponde ad un

criterio di difficoltà crescente in LIS, ma in italiano.

0%

10%

20%

30%

40%

50%

60%

70%

80%

90%

100%

Letto

Mat

ita

Fis

chie

tto

Pet

tine

Seg

a

Elic

otte

ro

Pol

ipo

Sta

mpe

lla

Cam

mel

lo

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cotto

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ta

Vul

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ta

Map

pam

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Cas

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Iglo

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ino

Sca

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e

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o

Chi

avis

tello

Per

gam

ena

Sfin

ge

Gra

ticci

o

Gon

iom

etro

Risposte Corrette Lineare (Risposte Corrette)

Figura 41: risposte corrette per item

Un’ulteriore analisi è stata quella di guardare, all’interno delle risposte corrette, quali

items sono stati prodotti dalla maggioranza dei partecipanti sordi. Dalla tabella sottostante, dove

sono riportate le percentuali di risposte corrette per ogni item, si osserva che solo a cinque figure,

evidenziate in giallo, tutti i partecipanti rispondono correttamente (3. matita; 4. casa; 8. fiore;

10. spazzolino; 21. racchetta). Interessante anche notare come alcune parole, evidenziate in

azzurro, che nella versione del BNT sono presentate nella seconda metà della prova perché

considerate difficili, risultano invece essere di agevole produzione per il campione in questione,

venendo cioè prodotte correttamente da più dell’80% dei partecipanti (38. arpa; 43. piramide;

44. museruola; 45. unicorno; 47. fisarmonica; 50. compasso; 51. chiavistello; 53. pergamena;

58. tavolozza).

BOSTON SCUOLE ORDINARIE CON A.C./SCUOLA BILINGUE

percentuale percentuale Items risp corrette Items risp corrette 1 Letto 97% 31 Rinoceronte 77% 2 Albero 100% 32 Ghianda 33% 3 Matita 100% 33 Igloo 43% 4 Casa 87% 34 Trampoli 60% 5 Fischietto 83% 35 Domino 50% 6 Forbici 93% 36 Cactus 40% 7 Pettine 97% 37 Scala mobile 77% 8 Fiore 100% 38 Arpa 93% 9 Sega 87% 39 Amaca 67% 10 Spazzolino 100% 40 Battente 47% 11 Elicottero 90% 41 Pellicano 40% 12 Scopa 93% 42 Stetoscopio 77% 13 Polipo 93% 43 Piramide 87% 14 Fungo 87% 44 Museruola 80% 15 Stampella 67% 45 Unicorno 80% 16 Sedia a rotelle 87% 46 Imbuto 53% 17 Cammello 87% 47 Fisarmonica 93% 18 Maschera 73% 48 Cappio 53% 19 Biscotto 63% 49 Asparago 17% 20 Panchina 67% 50 Compasso 87% 21 Racchetta 100% 51 Chiavistello 80% 22 Lumaca 93% 52 Treppiedi 43% 23 Vulcano 73% 53 Pergamena 83% 24 Cavall. mar. 43% 54 Molle 57% 25 Freccetta 73% 55 Sfinge 33% 26 Canoa 37% 56 Giogo 27% 27 Mappamondo 63% 57 Graticcio 40% 28 Corona 53% 58 Tavolozza 93% 29 Castoro 50% 59 Goniometro 53% 30 Armonica 87% 60 Abaco 43%

Tabella 14: percentuale di risposte corrette per ogni item.

Alla luce di quanto sopra esposto si ritiene necessario che in futuro, in base a questo

lavoro e ad altre raccolte dati che si effettueranno, si possa standardizzare il BNT anche in LIS,

procedendo cioè con un riordino degli items per difficoltà crescente in LIS e non in italiano.

Nonostante il campione sia esiguo, in base alla percentuale di risposte corrette per ciascun item,

viene qui di seguito effettuato un primo riordino degli items per difficoltà crescente in LIS.

percentuale percentuale Items ordinati risp corrette Items ordinati risp corrette 1 02. Albero 100% 31 42. Stetoscopio 77% 2 03. Matita 100% 32 18. Maschera 73% 3 08. Fiore 100% 33 23. Vulcano 73% 4 10. Spazzolino 100% 34 25. Freccetta 73% 5 21. Racchetta 100% 35 15. Stampella 67% 6 01. Letto 97% 36 20. Panchina 67% 7 07. Pettine 97% 37 39. Amaca 67% 8 06. Forbici 93% 38 19. Biscotto 63% 9 12. Scopa 93% 39 27. Mappamondo 63% 10 13. Polipo 93% 40 34. Trampoli 60% 11 22. Lumaca 93% 41 54. Molle 57% 12 38. Arpa 93% 42 28. Corona 53% 13 47. Fisarmonica 93% 43 46. Imbuto 53% 14 58. Tavolozza 93% 44 48. Cappio 53% 15 11. Elicottero 90% 45 59. Goniometro 53% 16 04. Casa 87% 46 29. Castoro 50% 17 09. Sega 87% 47 35. Domino 50% 18 14. Fungo 87% 48 40. Battente 47% 19 16. Sedia a rotelle 87% 49 24. Cavall. mar. 43% 20 17. Cammello 87% 50 33. Igloo 43% 21 30. Armonica 87% 51 52. Treppiedi 43% 22 43. Piramide 87% 52 60. abaco 43% 23 50. Compasso 87% 53 36. Cactus 40% 24 05. Fischietto 83% 54 41. Pellicano 40% 25 53. Pergamena 83% 55 57. Graticcio 40% 26 44. Museruola 80% 56 26. Canoa 37% 27 45. Unicorno 80% 57 32. Ghianda 33% 28 51. Chiavistello 80% 58 55. Sfinge 33% 29 31. Rinoceronte 77% 59 56. Giogo 27% 30 37. Scala mobile 77% 60 49. Asparago 17%

Tabella 15: riordino del BNT secondo un criterio di difficoltà degli items in LIS.

Risposte corrette, non corrette e non risposte

Come si può osservare dal grafico, vi sono il 70% di risposte corrette, il 24% di risposte

non corrette e solo il 6% di non risposte.

RISP. CORRETTE70%

RISP. NON CORRETTE24%

NON RISPOSTE6%

Figura 42: percentuale di risposte corrette, non corrette e non risposte

Analisi qualitativa delle risposte non corrette

La categoria di errore più frequente è quella degli errori semantici 31% (es.: barca

anziché canoa; dadi anziché domino; uccello anziché pellicano) e degli incompleti 24% (si

rimanda al par. 3.5.4), seguita poi dalle circonlocuzioni 12% (es.: tipo usa a scuola anziché

abaco; serve pittore anziché treppiedi; contiene fuoco anziché vulcano), dagli errori fonologici

11% (si rimanda al par. 3.5.4), descrizione forma 11% (si rimanda al par. 3.5.4), di altre risposte

5% (es.: freddo anziché sfinge; tagliaerba anziché chiavistello; triangolo anziché corona), dei

percettivi 3% (es.: bastone anziché asparago; bilancia anziché giogo; tondo anziché corona) e

dei fuori target 3% (es.: cane anziché museruola; fiocco anziché corona; ghiaccio anziché pinza).

SEMANTICO31%

CIRCONLOCUZIONE12%FONOLOGICO

11%

DESCR. FORMA11%

PERCETTIVO3%

INCOMPL.24%

F.TARGET3%

ALTRA RISPOSTA5%

Figura 43: analisi qualitativa delle risposte non corrette suddivise per tipologia di errore.

Suddivisione per fasce d’età

Come si può osservare dal grafico sottostante, nonostante la linea di tendenza sia

direttamente proporzionale al crescere dell’età, un’analisi più attenta dei singoli partecipanti ci

mostra come il fattore età sembri non essere determinante per la riuscita del compito: fra i

bambini più piccoli e i ragazzi più grandi, osserviamo uno scarto percentuale di soli 15 punti.

Notiamo infatti che un partecipante di 9 anni ottiene il punteggio più basso di tutto il campione,

anche rispetto a bambini che hanno 3 anni meno di lui. Si noti inoltre che le quattro prestazioni

più carenti (meno di 30 items a cui è stato risposto correttamente) sono da attribuirsi a bambini

che hanno rispettivamente 8,7 anni, 9,1 anni, 9,6 anni e addirittura 12,4 anni. Viceversa fra le

sette prestazioni migliori (più di 50 items a cui è stato risposto correttamente) vediamo che ben

quattro bambini frequentano le scuole elementari. Sembra dunque che la riuscita in questo

compito non sia legata all’età cronologica, dal momento che non vi è correlazione

statisticamente significativa, calcolata tramite il Test di Spearman, fra l’età e il punteggio

ottenuto al Boston (r=0,345; p>0,05 n.s.); possiamo dunque ipotizzare la presenza di altre

variabili che possono spiegare la prestazione in questo compito.

37

3336

27

43

21

54

3032

5153

41

53

3937

4649

30

51

45 46

5048

4649

56

32

46

42

46

0

10

20

30

40

50

60

6,1 88,11 9,4 9,7

10,711,2

11,411

,912,7

12,913,3

13,613,9

14,6

Età Partecipanti

Item

Risposte Corrette Lineare (Risposte Corrette)

Figura 44: risposte corrette al BNT a seconda delle età

Scuola frequenta

Il fattore scuola frequentata sembra invece essere decisamente rilevante per quanto

riguarda la riuscita nel compito di produzione lessicale, infatti le medie dei punteggi dei bambini

che frequentano le due scuole sono diverse: i bambini che frequentano la scuola bilingue

ottengono un punteggio medio di 48,87, mentre i bambini che frequentano le scuole ordinarie

con Assistente alla Comunicazione, ottengono un punteggio medio di 38,07. Questa differenza,

calcolata tramite il Mann-Whitney Test, è statisticamente significativa (Z=-3,159; p=0,002).

Come si può osservare dalla due linee di tendenza, i partecipanti frequentanti la scuola

bilingue (linea di tendenza gialla) ottengono un risultato migliore in tale prova, rispetto ai

partecipanti frequentanti scuole ordinarie con Assistente alla Comunicazione (linea di tendenza

nera): lo scarto diviene maggiore all’aumentare dell’età dei partecipanti.

0%

20%

40%

60%

80%

100%

120%

Letto

Casa

Petti

ne

Spazzoli

no

Polipo

Sedia

a ro

t

Biscott

o

Lumaca

Frecc

etta

Coron

a

Rinoce

ronte

Tram

poli

Scala

mobil

e

Batten

te

Piram

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Imbu

to

Aspara

go

Trepp

iedi

Sfing

e

Tavolo

zza

Items

% R

ispo

ste

corr

ette

SCUOLA BILINGUESCUOLE ORDINARIE CON A.C.Lineare (SCUOLA BILINGUE)Lineare (SCUOLE ORDINARIE CON A.C.)

Figura 45: risposte corrette al BNT fornite in relazione alla scuola frequentata

Un’analisi di tipo qualitativo delle risposte errate al BNT fornite dai partecipanti

frequentanti i due tipi di scuole, ci fa notare come non ci siano delle differenze significative nelle

tipologie di errore.

Analisi del fattore apprendimento tardivo o precoce della LIS

Si sono costituiti tre sottogruppi, separando i bambini/ragazzi che sono stati esposti e

hanno appreso tardivamente la LIS (dalla scuola elementare in poi, ovvero dai 6 anni in su), dai

bambini che sono stati esposti e hanno appreso abbastanza precocemente la LIS (entro l’inizio

della scuola elementare ma non dalla nascita, ovvero da 3 a 6 anni), dai bambini che sono stati

esposti e hanno acquisito precocemente la LIS (ovvero da 0 a 3 anni).

Nella tabella sottostante vediamo la percentuale di risposte corrette al Boston fornite dai

partecipanti che hanno appreso tardivamente la LIS:

PARTECIP. ETA' BOSTON

6 9,1 21/60 = 35%

8 9,5 30/60 = 50%

16 11,8 46/60 = 76% 18 11,11 30/60 = 50%

20 12,7 45/60 = 75% 28 14 46/60 = 76%

29 14,6 42/60 = 70%

tot. 7 Tabella 16: Risposte corrette fornite al Boston da coloro che hanno appreso la LIS dai 6 anni in poi.

Qui vediamo invece la percentuale di risposte corrette al Boston fornite dai partecipanti

che hanno appreso abbastanza precocemente la LIS:

PARTECIP. ETA' BOSTON

2 7,5 38/60 = 63%

3 8 43/60 = 71%

5 8,11 43/60 = 71% 9 9,7 38/60 = 63%

10 9,11 57/60 = 95% 11 10,7 54/60 = 90%

12 11 42/60 = 70% 13 11,2 49/60 = 81%

17 11,9 49/60 = 81%

22 12,1 54/60 = 90% 19 12,7 50/60 = 83%

23 13,3 44/60 = 73% 24 13,4 53/60 = 88%

25 13,6 54/60 = 90%

26 13,9 55/60 = 91% 27 13,9 32/60 = 53%

30 14,6 45/60 = 75%

tot.17 Tabella 17: Risposte corrette fornite al Boston da coloro che hanno appreso la LIS fra i 3 e i 6 anni.

Vediamo infine la percentuale di risposte corrette al Boston fornite dai partecipanti che

hanno appreso precocemente la LIS:

PARTECIP. ETA' BOSTON

1 6,1 41/60 = 68%

4 8,9 27/60 = 45%

7 9,4 54/60 = 90% 14 11,3 39/60 = 65%

15 11,4 37/60 = 61% 21 12,9 46/60 = 76%

tot. 6 Tabella 18: Risposte corrette fornite al Boston da coloro che hanno appreso la LIS fra 0 e 3 anni.

In ultimo si riporta una tabella riassuntiva che mostra, per ogni gruppo, la media delle età

dei bambini/ragazzi e la media percentuale delle risposte corrette fornite al Boston Naming Test.

Seppure l’ultimo gruppo risulti essere in media più piccolo di più di un anno rispetto agli altri

due gruppi (i risultati non sono quindi del tutto confrontabili), si può osservare come i

partecipanti di questo gruppo abbiano delle prestazioni più alte in media di 5,9 punti percentuali

se confrontati con coloro che hanno appreso tardivamente la LIS. Inoltre i partecipanti del

secondo gruppo ottengono delle prestazioni più alte in media di 16,5 punti percentuali rispetto a

coloro che hanno appreso tardivamente la LIS. Ciò fa supporre che, nonostante non si riveli una

differenza statisticamente significativa [Chi2(2)=5,42; p=0,067], ci sia effettivamente un

vantaggio in coloro che hanno appreso la LIS precocemente, per quanto riguarda un compito di

produzione lessicale.

Media delle età Risposte corrette

LIS app.tardivo – dai 6 aa. in poi

(7 bambini)

11,8

61,9%

LIS app. semi precoce - dai 3 ai 6 aa.

(17 bambini)

11,4

78,4%

LIS app.precoce - da 0 a 3 aa.

(6 bambini)

10

67,8%

Tabella 19: Risposte corrette percentuali fornite al Boston rispetto a quando si è appresa la LIS.

Analisi delle produzioni vocali effettuate

Dall’analisi delle risposte fornite dai partecipanti si è notato come gran parte del

campione abbinasse ai segni prodotti anche una produzione vocale. Tali produzioni vocali sono

quasi sempre “equivalenti”, ovvero esprimono un contenuto identico (viene pronunciata la parola

italiana corrispondente all’item target per intero o non per intero) o semanticamente vicino al

segno espresso: ad esempio all’item 1 letto viene prodotto il segno letto e viene abbinata una

produzione vocale di letto; letti; let; dorme sul letto; materasso; dormire. All’item 18 maschera

viene prodotto il segno maschera e viene abbinata una produzione vocale di maschera; masc;

faccia; carnevale; faccia cattiva. All’item 40 battente viene prodotto il segno battente e viene

abbinata una produzione vocale di porta suona; maniglia; porta; campanello; bussare. Tale

contenuto, semanticamente vicino al segno prodotto, si ritrova sia nei segni corretti rispetto agli

items target, come appena mostrato, sia nei segni non corretti rispetto agli items target: ad

esempio all’item 19 biscotto viene prodotto il segno serpente (errore percettivo) e viene

abbinata una produzione vocale di serpente; animale. All’item 29 castoro viene prodotto il

segno scoiattolo o topo (errori semantici) e vengono abbinate rispettivamente le produzioni

vocali di scoiattolo e topo. All’item 43 piramide viene prodotto il segno tenda (errore percettivo)

e viene abbinata una produzione vocale di tenda.

In rarissimi casi si è osservata una “aggiunta”, ovvero una produzione vocale che esprime

un significato diverso rispetto al segno: all’item 35 domino viene prodotto il segno domino e

viene abbinata una produzione vocale di uguale visto televisione. All’item 47 fisarmonica viene

prodotto il segno fisarmonica e viene abbinata una produzione vocale di uomo soldi tanti. Tutte

le aggiunte riscontrate sono concettualmente collegate al segno.

Per “sostituzione” si intende invece quando la produzione vocale non accompagna alcun

segno prodotto. La sostituzione rispetto all’item target è stata usata in pochissimi casi, ovvero 5

casi su 1800 items somministrati: di queste 5 produzioni vocali 3 sono state senza suono e 2 con

suono. Ad esempio all’item 49 asparago non è stato prodotto alcun segno ma è stata prodotta

vocalmente la parola asparago. Di queste 5 produzioni vocali, 3 non sono corrette rispetto

all’item target. La sostituzione si osserva invece più frequentemente quando le produzioni,

rispetto all’item target, sono multiple. Ad esempio all’item 1 letto si può osservare la seguente

produzione:

Segno: letto dorme Produzione vocale: bambino letto

In questo caso la parola bambino è vista come una “sostituzione” perché non accompagna

nessun segno prodotto (la parola letto è “equivalente” perché esprime un significato identico al

segno prodotto in contemporanea; dorme è invece una produzione solo segnica dal momento che

non vi è abbinata nessuna produzione vocale).

Nonostante l’estremo interesse di analizzare il tipo di produzioni vocali che vengono

abbinate ai segni, in questo lavoro di Tesi ci si è concentrati nel dare una stima quantitativa delle

produzioni vocali effettuate dal campione, più che nello studiarne la natura: si rimanda questo

approfondimento ad indagini successive.

Si è quindi proceduto analizzando, sul totale delle risposte fornite dal campione

(indipendentemente da quali fossero corrette o meno), il tipo di produzione effettuata dai

partecipanti. Le possibili modalità riscontrate sono: solo segno, segno e produzione vocale senza

suono (il segnante produce il segno e abbina la parola italiana corrispondente labializzandola ma

non vocalizzandola), segno e produzione vocale con suono (il segnante produce il segno e abbina

la parola italiana corrispondente vocalizzandola), solo produzione vocale senza suono

(labializzazione della parola italiana) e solo produzione vocale con suono (vocalizzazione della

parola italiana). Al totale complessivo degli items somministrati, ovvero 1800 (60 items X 30

bambini/ragazzi), sono state sottratte le “non risposte” per arrivare a un totale di 1704 items a cui

i partecipanti hanno risposto. A questi 1704 items, il 61,7% del campione risponde producendo

uno o più segni + una o più produzioni vocali, il 38,3% produce il solo segno, mentre meno

dell’1% fa una sola produzione vocale con o senza suono (3/1800 produzione vocale senza

suono, 2/1800 produzione vocale con suono): data l’irrilevanza dell’ultimo dato, non è stato

riportato nel grafico.

38,3%

61,7%

Solo segno Segno+produzione vocale

Figura 46: tipo di produzione usata nelle risposte fornite al BNT.

Di questo 61,7% di risposte in cui compare il segno + la produzione vocale, vediamo che

il 35,5% produce il segno + una produzione vocale non sonora, il 17, 9% produce il segno + una

produzione sonora, mentre l’8,3% produce il segno + un suono onomatopeico. Nonostante

l’onomatopea sia una produzione vocale con suono, si è ritenuto importante separare queste due

categorie causa l’interesse del largo utilizzo di suoni onomatopeici usati dai bambini/ragazzi

sordi del campione. Si è notato inoltre che l’uso di suoni onomatopeici è più ricorrente negli

items che seguono:

� l’item 5 fischietto dove, oltre al segno (corretto o meno), viene abbinata

l’onomatopea fff; fu fu fu; fu; fuuu;

� l’item 9 sega dove, oltre al segno (corretto o meno), viene abbinata l’onomatopea

sss; zzz; fff;

� l’item 13 polipo dove, oltre al segno (corretto o meno), viene abbinata l’onomatopea

plum plum; fffff; pa pa;plu plu; pu pu;

� l’item 16 sedia a rotelle dove, oltre al segno (corretto o meno), viene abbinata

l’onomatopea mmm; rrr;

� l’item 23 vulcano dove, oltre al segno (corretto o meno), viene abbinata

l’onomatopea ttt; vuf; puf puf; pu pu;

� l’item 14 cavalluccio marino dove, oltre al segno (corretto o meno), viene abbinata

l’onomatopea fu; paa;

� l’item 25 freccetta dove, oltre al segno (corretto o meno), viene abbinata

l’onomatopea fu; pu; fff; pum;

� l’item 40 battente dove, oltre al segno (corretto o meno), viene abbinata

l’onomatopea pum pum; bum bum;

� l’item 47 fisarmonica dove, oltre al segno (corretto o meno), viene abbinata

l’onomatopea bbb; fuu.

38,3%

35,5%

17,9%

8,3%

Solo segno Segno+Prod.S- Segno+Prod.S+ Segno+onomat.

Figura 47: tipo di produzione usata nelle risposte fornite al BNT.

Lo stesso tipo di analisi è stata condotta solo sulle risposte corrette (1270/1800) e si è

visto che la percentuale di produzioni solo segniche, segniche e vocali con o senza suono e

segniche con onomatopea, rimane pressoché inalterata.

36,4%

37,9%

16,5%

9,2%

Solo segno Segno+Prod.S- Segno+Prod.S+ Segno+onomat.

Figura 48: tipo di produzione usata nelle risposte corrette fornite al BNT.

Se però si va a vedere nel dettaglio l’uso delle modalità prescelte a seconda dei due

diversi tipi di scuola, vediamo che i bambini/ragazzi frequentanti le scuole ordinarie con

Assistente alla Comunicazione (grafico di sinistra) fanno più produzioni solo segniche e meno

produzioni segno + vocale rispetto ai bambini/ragazzi della scuola bilingue (grafico di destra).

42,6%

57,4%

Solo segno Segno+produzione vocale

34,4%

65,6%

Solo segno Segno+produzione vocale

Figura 49: tipo di produzione usata nelle risposte fornite al BNT dai partecipanti frequentanti le scuola

ordinarie con Assistente alla Comunicazione (sin) e frequentanti la scuola bilingue (dx).

Se inoltre analizziamo quali tipi di produzioni vocali sono state utilizzate, vediamo che i

bambini/ragazzi frequentanti le scuole ordinarie con Assistente alla Comunicazione (grafico di

sinistra) producono il 42,6% di soli segni, rispetto al 32,4% dei bambini/ragazzi della scuola

bilingue (grafico di destra), il 16,8% di segni + produzioni non sonore versus il 52,8% dei

partecipanti della scuola bilingue, il 33,4% di segni + produzioni sonore versus il 3,1% e, in

ultimo, una percentuale simile di segni + suono onomatopeico (7,2% versus 9,7%). Più in

generale si può quindi affermare che la modalità di produzione prescelta dai bambini/ragazzi

frequentanti le scuole ordinarie con Assistente alla Comunicazione che solitamente, come

abbiamo visto nel precedente capitolo, sono abituati all’utilizzo di un metodologia bimodale in

cui si segna e si parla contemporaneamente, scelgono o la produzione segnica + la produzione

vocale sonora oppure il solo segno. Per quanto riguarda invece i bambini/ragazzi frequentanti la

scuola bilingue vediamo che la modalità prescelta di produzione è quella del segno + la

produzione vocale non sonora, tipica infatti della cultura sorda. Va inoltre notato come un’altra

possibile spiegazione risieda nel fatto che nelle scuole ordinarie con Assistente alla

Comunicazione la somministrazione è stata effettuata in LIS da uno sperimentatore udente

seppur molto competente in lingua dei segni, mentre, nella scuola bilingue, la somministrazione

è stata effettuata sempre in LIS ma da uno sperimentatore sordo segnante nativo: si suppone che

tale differenza possa aver influenzato i bambini nelle produzioni (i bambini possono infatti aver

prodotto più segni + produzione vocale con suono per “agevolare” lo sperimentatore udente,

viceversa possono aver prodotto più segni + produzione vocale senza suono nel caso dello

sperimentatore sordo).

42,6%

16,8%

33,4%

7,2%

Solo segno Segno+Prod.S-

Segno+Prod.S+ Segno+onomat.

34,4%

52,8%

3,1%

9,7%

Solo segno Segno+Prod.S-

Segno+Prod.S+ Segno+onomat.

Figura 50: tipo di produzione usata nelle risposte fornite al BNT dai partecipanti frequentanti le scuola

ordinarie con Assistente alla Comunicazione (sin) e frequentanti la scuola bilingue (dx).

In ultimo si è fatto lo stesso tipo di analisi solo sulle risposte corrette e si è visto, ancora

una volta, che la percentuale di produzioni solo segniche, segniche e vocali con o senza suono e

segniche con onomatopea, rimane pressoché inalterata.

39,1%

19,3%

34,3%

7,3%

Solo segno Segno+Prod.S-

Segno+Prod.S+ Segno+onomat.

34,8%

52,9%

1,8%

10,5%

Solo segno Segno+Prod.S-

Segno+Prod.S+ Segno+onomat.

Figura 51: tipo di produzione usata nelle risposte corrette fornite al BNT dai partecipanti frequentanti le

scuola ordinarie con Assistente alla Comunicazione (sin) e frequentanti la scuola bilingue (dx).

Confronto fra partecipanti sordi e partecipanti udenti

Dalla linee di tendenza sotto rappresentate si può notare come il gruppo di partecipanti

sordi (lineare gialla) ottenga complessivamente una prestazione simile, anche se leggermente

migliore, nel compito di produzione lessicale soprattutto dall’item 23 in poi, cioè via via che il

test si fa più difficile. Per questo dato ci potrebbero essere due spiegazioni plausibili: 1. come già

detto in precedenza, l’ordine degli items del test rispecchia una difficoltà crescente in italiano, e

non in LIS, ed è dunque comprensibile come negli udenti si osservi un decrescere più netto delle

risposte corrette man mano che il test va avanti; 2. l’elevata iconicità della LIS, rispetto

all’italiano, potrebbe favorire i partecipanti sordi rispetto agli udenti, facilitandoli nel compito di

denominazione di figure.

0%

20%

40%

60%

80%

100%

120%

1 3 5 7 9 11 13 15 17 19 21 23 25 27 29 31 33 35 37 39 41 43 45 47 49 51 53 5557 59

Items

% R

ispo

ste

corr

ette

udentisordiLineare (sordi)

Figura 52: confronto fra il gruppo di partecipanti sordi e il gruppo di controllo udente delle risposte corrette

al BNT

Dal grafico a barre seguente si può vedere come il 70% dei partecipanti sordi rispondano

correttamente alla denominazione di figure versus il 67% dei partecipanti udenti. Le risposte non

corrette sono invece il 24% per i partecipanti sordi versus il 28% per quelli udenti. La

percentuale di non risposte è pressoché identica (6% per i sordi; 5% per gli udenti). Si può

complessivamente dire che l’andamento delle risposte corrette, non corrette e non risposte è

molto simile per i due gruppi messi a confronto, infatti non vi è differenza statisticamente

significativa, calcolata tramite il Mann-Whitney Test, fra le performance dei partecipanti sordi e

di quelli udenti (Z=-1,547; p=0,122 n.s.).

67%70%

28%24%

5% 6%

0%

10%

20%

30%

40%

50%

60%

70%

80%

90%

100%

% R

ispo

ste

RISPOSTE CORRETTE RISPOSTE ERRATE NON RISPOSTE

Categorie di risposta

TOT Udenti TOT Sordi

Figura 53: percentuale di risposte corrette, non corrette e non risposte del gruppo di partecipanti sordi e di

quello udente.

Quello che invece cambia sono le tipologie di errore: per quanto riguarda il gruppo

udente vediamo l’uso di molte circonlocuzioni (40%) che probabilmente vengono sostituite nei

sordi dalle categorie incompleti (24%) (cfr. cap. 3, par. 3.5.4) e descrizione forma (11%) (cfr.

cap. 3, par. 3.5.4). In particolare quest’ultima viene vista proprio come una modalità tipica della

lingua dei segni, ovvero di una lingua visivo-gestuale: nel momento in cui non si è in grado di

denominare una figura, la si spiega descrivendo come si presenta graficamente, dal punto di vista

visivo, ovvero quello più saliente per una persona sorda. Nessuno dei bambini udenti del nostro

campione ha invece mai descritto la forma di un oggetto quando non lo conosceva, ma molti ne

hanno descritto la funzione.

31%

38%

12%

40%

11%

3%

11%

0%

3%

6%

24%

0%

3%5% 5%

8%

0%

5%

10%

15%

20%

25%

30%

35%

40%

45%

50%

% R

ispo

ste

sem

.cir

c.fo

n.

descr

. for

mpe

rc.

inco

mpl.

f. ta

rg.

altr o

Tipologie di errore

sordi udenti

Figura 54: analisi qualitativa delle risposte non corrette suddivise per tipologia di errore nel gruppo di

partecipanti sordi e di quelli udenti a confronto.

Nel grafico sottostante si può vedere come l’età, anche nel confronto fra bambini sordi e

udenti, sembri non essere un fattore discriminante. Fra i bambini della scuola elementare e quelli

della scuola media, infatti, non si ha una differenza significativa circa le risposte corrette date al

BNT, sebbene si osservi comunque un miglioramento delle prestazioni con il crescere delle età.

66%

77%

62%

70%

0%

10%

20%

30%

40%

50%

60%

70%

80%

% R

ispo

ste

corr

ette

SORDI SCUOLAELEMENTARE

SORDI SCUOLAMEDIA

UDENTI SCUOLAELEMENTARE

UDENTI SCUOLAMEDIA

Figura 55: risposte corrette al BNT con suddivisione in base alla scolarità.

4.4 Narrazione: Frog, where are you?

Verranno qui di seguito illustrati i risultati relativi al compito di narrazione da parte dei

bambini e dei ragazzi sordi del campione e del relativo gruppo di controllo udente, come segue:

� risultati generali;

� analisi del fattore età;

� analisi del fattore tipo di scuola frequentata;

� analisi del fattore apprendimento tardivo o precoce della LIS;

� confronto con il gruppo di controllo di bambini e ragazzi udenti.

Risultati generali

Nella tabella sottostante sono indicate le prestazioni nel compito narrativo dei

partecipanti sordi del campione (espresse secondo il punteggio utilizzato da Bello e Capirci, in

stampa) che va da un minimo di 0 a un massimo di 5 punti (cfr. cap. 3, par. 3.5.5). Come si può

vedere, più della metà del campione ottiene il punteggio massimo in questa prova.

PUNTEGGIO OTTENUTO

% DI PARTECIPANTI CHE

HANNO OTTENUTO QUEL

PUNTEGGIO

Punteggio 0 0%

Punteggio 1 0%

Punteggio 2 6,66%

Punteggio 3 13,33%

Punteggio 4 20%

Punteggio 5 60%

Tabella 20: punteggio complessivo espresso in percentuale ottenuto alla Frog Story.

Suddivisione per fasce d’età

Come si può osservare dal grafico sottostante il fattore età non influenza più di tanto la

riuscita nel compito di narrazione (si noti che il partecipante più piccolo del campione ottiene 5

punti, ovvero il punteggio massimo) infatti non vi è correlazione statisticamente significativa,

calcolata tramite il Test di Spearman, fra l’età in mesi e le prestazioni nella Frog Story (r=0,115;

p>0,5 n.s.).. Dalla linea di tendenza del grafico sottostante si può notare come al crescere

dell’età, il punteggio ottenuto aumenti in media di solo 0,5 punti.

0

1

2

3

4

5

6

6,1

8,9

9,4

9,11

11,2

11,8

12,7

12,11 13

,6 14

Partecipanti in ordine di età

Pun

tegg

io d

a 0

a 5

Punt. Complessivo FROG

Lineare (Punt. ComplessivoFROG)

Figura 56: punteggio complessivo ottenuto alla Frog Story per ciascun partecipante. I partecipanti sono ordinati

sull’asse delle x per età cronologica crescente.

Scuola frequenta

Il fattore scuola frequentata è invece decisamente rilevante per quanto riguarda la riuscita

nel compito di narrazione, infatti le medie dei punteggi dei bambini che frequentano le due

scuole sono diverse: i bambini che frequentano la scuola bilingue ottengono un punteggio medio

di 4,7 , mentre i bambini che frequentano le scuole ordinarie con Assistente alla Comunicazione,

ottengono un punteggio medio di 3,9. Questa differenza, calcolata tramite il Mann-Whitney Test,

è statisticamente significativa (Z= -2,310; p=0,021).

Come si può osservare dalla due linee di tendenza, i partecipanti frequentanti la scuola

bilingue (linea di tendenza viola) ottengono un risultato migliore in tale prova, rispetto ai

partecipanti frequentanti scuole ordinarie con Assistente alla Comunicazione (linea di tendenza

blu): lo scarto diviene lievemente maggiore all’aumentare dell’età dei partecipanti.

Figura XXX: punteggio complessivo ottenuto alla Frog Story in relazione alla scuola frequentata

Figura 57: punteggio complessivo ottenuto alla Frog Story in relazione alla scuola frequentata.

0

1

2

3

4

5

6

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15

partecipanti in ordine di età

punt

. da

2 a

5

Scuole ordinarie con A.C.

Scuola Bilingue

Lineare (Scuole ordinariecon A.C.)

Lineare (Scuola Bilingue)

Analisi del fattore apprendimento tardivo o precoce della LIS

Nonostante non si riveli una differenza statisticamente significativa [Chi2(2)=4,04;

p=0,132] in coloro che acquisiscono la LIS entro i 3 anni di età o che l’apprendono fra i 3 e i 6

anni rispetto a coloro che l’apprendono in età scolare, sembra comunque, come si può notare dal

grafico sottostante, che ci sia un vantaggio nella prova di narrazione in coloro che acquisiscono

la LIS entro i 3 anni di età o che l’apprendono fra i 3 e i 6 anni, rispetto a coloro che

l’apprendono in età scolare (lo scarto percentuale è di 1 punto); si ricorda inoltre che il gruppo di

partecipanti che hanno appreso la LIS precocemente è più piccolo di quasi 2 anni rispetto al

gruppo che ha appreso la LIS dai 6 anni in poi.

0

1

2

3

4

5

Apprendimento tardivodella LIS (età media 11,8)

Apprendimento semi-precoce della LIS (età

media 11,4)

Apprendimento precocedella LIS (età media 10)

Apprendimento precoce/tardivo della LIS

Pun

tegg

io d

a 0

a 5

Serie1

Figura 58: punteggio complessivo ottenuto alla Frog Story in relazione all’età di apprendimento della LIS.

Confronto fra partecipanti sordi e partecipanti udenti

Come si può osservare dal grafico sottostante i partecipanti sordi della scuola bilingue

ottengono dei risultati migliori se confrontati con i ragazzi sordi delle scuole ordinarie con

Assistente alla Comunicazione e con i ragazzi udenti del gruppo di controllo. Si noti che dal

nono partecipante in poi, che corrisponde a un’età media di 11, 6 anni, tutti i ragazzi sordi della

scuola bilingue e tutti i ragazzi udenti ottengono il massimo del punteggio, a differenza dei

ragazzi sordi delle scuole ordinarie con Assistente alla Comunicazione che mostrano un

andamento più oscillatorio. La differenza fra tutti i ragazzi sordi e quelli udenti, calcolata con il

Mann-Whitney Test, non è però statisticamente significativa (Z=-0,082; p=0,935 n.s.).

0

1

2

3

4

5

6

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15

Partecipanti in ordine di età

Pun

tegg

io d

a 0

a 5

Scuole ordinarie con A.C.

Scuola Bilingue

Controlli udenti

Figura 59: punteggio complessivo ottenuto alla Frog Story dai partecipanti sordi delle scuole ordinarie con

Assistente alla Comunicazione, dai partecipanti sordi della scuola bilingue e dai partecipanti udenti.

4.5 Teoria della Mente: Sally-Ann 1, Sally-Ann 2 e Smarties

Verranno qui di seguito illustrati i risultati, relativi alle prove di Teoria della Mente,

ottenuti dai bambini e dai ragazzi sordi del campione e del relativo gruppo di controllo udente,

come segue:

� risultati generali;

� analisi del fattore età;

� analisi dei fattori età + tipo di scuola frequentata;

� analisi dei fattori età + genitori sordi o udenti;

� analisi del fattore apprendimento tardivo o precoce della LIS;

� confronto con il gruppo di controllo di bambini e r agazzi udenti;

� risultati del riordino delle storie in sequenza.

Risultati generali

Nell’esposizione dei risultati generali, come precedentemente detto nel paragrafo 3.5.6, ci si

attiene ai criteri di riuscita del compito utilizzati da Peterson e Siegal (1995) e Russel et al. (1998),

che ritengono superati tali test di falsa credenza nel momento in cui si sono superati entrambi Sally-

Ann 1 e 2, ed al criterio adottato invece da Courtin (2002), il quale ritiene superato il compito se si

risponde correttamente a due prove su tre (fra Sally-Ann 1, Sally-Ann 2 e Smarties).

E’ interessante notare dalla tabella come ci sia un’alta percentuale di ragazzi, a differenza

di quanto riportato in letteratura, che non supera le domande controllo (terza e quarta domanda) e

per i quali quindi il compito viene invalidato indipendentemente dalla correttezza o meno delle

risposte alle domande di falsa credenza e di motivazione (prima e seconda domanda). Importante

anche notare come tutti e 3 i bambini del gruppo dai 6 agli 8 anni, non superino le domande

controllo e non abbiano quindi accesso a nessuno dei 3 test. Nell’esposizione dei risultati a

seguire, quando si incontrerà una discordanza fra il numero di partecipanti ad un test e il totale

delle persone che lo hanno sostenuto, significherà appunto che la differenza è costituita da quei

bambini/ragazzi che non hanno risposto alle domande controllo e per i quali il test viene dunque

invalidato.

Sally-Ann (2 prove):

� Supera 13/22 59%

� (8 non superano domande controllo; 3/3 del gruppo 6-8 anni)

Smarties

� Supera 18/26 69,2%

� (4 non superano domande controllo; 3/3 del gruppo 6-8 anni)

2 prove su 3

� Supera 15/21 71,4%

� (9 non superano domande controllo; 3/3 del gruppo 6-8 anni)

I risultati del presente studio sono complessivamente migliori di quelli di Peterson e

Siegal (1995) e Russell et al. (1998): il 59% del nostro campione supera infatti Sally-Ann (2

prove) versus, rispettivamente, il 17% di Peterson e Siegal (studio condotto su 26

bambini/ragzzi di età compresa fra gli 8,1 e i 13 anni) e il 28% di Russell (studio condotto su 32

bambini/ragazzi di età compresa fra i 4,9 e i 16,11 anni).

Risultati per le 3 fasce d’età

S-A 1+2 SMARTIES 2/3

� 3 bb 6-8 aa: 0/0 = 0% 0/1 = 0% 0/0 = 0%

� 14 bb 9-11 aa: 6/11 = 54,5% 8/13 = 61,5% 7/11 = 63,6%

� 13 bb 12-14 aa: 7/11 = 63,6% 10/12 = 83,3% 8/10 = 80%

Come si può osservare dalla tabella, nessun bambino della prima fascia d’età (6 – 8 anni)

supera il compito: si potrebbe quindi ipotizzare che le false credenze di primo livello siano acquisite

dai 9 anni in poi. Si osserva inoltre un netto miglioramento nella terza fascia d’età, in particolar

modo se si considera il criterio di riuscita di Courtin (2 prove su 3).

Se analizziamo i risultati di Russell et al. (1998) in base all’età (nello studio di Peterson e

Siegal del 1995, invece, non è stata fatta una suddivisione in base alle età) vediamo che il gruppo di

bambini con media 6,7 anni ottiene il 17% di successo nel superamento di Sally-Ann 1 e 2, il

gruppo di bambini con media 10,11 anni ottiene il 10% di successo e il gruppo di ragazzi con media

15,5 anni ottiene il 60% di successo. I risultati dello studio di Russell sono dunque confrontabili

solo in parte con quelli della presente ricerca a causa di una suddivisione differente per età. E’

comunque interessante notare come, a differenza del nostro campione, la fascia d’età dei più piccoli

ottenga il 17% di successo dimostrando una prestazione addirittura migliore del gruppo di bambini

con media 10,11 anni d’età (10%). Un successivo studio di Peterson (2004) mostra invece una forte

correlazione fra età e acquisizione delle false credenze: i 5/6 del campione che superano tutte le

prove hanno infatti più di 9 anni, esattamente la linea di confine da noi individuata per il

superamento dei suddetti test.

Dai risultati del presente studio si nota quindi come il fattore età, calcolato tramite una

regressione multipla lineare Stepwise, sia significativo. Facendo infatti entrare nel modello come

primo predittore la competenza narrativa (Frog), il modello spiega il 30% della varianza in modo

significativo (R2=0,298; F=11,91; p=0,002); facendo in seguito entrare nel modello il secondo

predittore (età in mesi), vediamo che anche la proporzione di varianza spiegata che viene aggiunta

al modello (+17,5%) è statisticamente significativa (R2=0,475; F=12,229; p=0,001).

Risultati delle 3 fasce d’età + scuola frequentata

Se procediamo con un’analisi più dettagliata che non tenga conto solo dell’età dei

partecipanti, ma anche della scuola frequentata, notiamo come dai 9 anni in poi il 100% dei bambini

e ragazzi frequentanti la scuola bilingue superino tutti i test, sia adottando il criterio di riuscita di

Peterson e Siegal (1995) e Russel et al. (1998), sia quello di Courtin (2002): il fattore scuola

frequentata infatti risulta essere statisticamente significativo in favore della scuola bilingue.

Interessante comunque notare che i bambini della fascia d’età 6-8 anni, seppur frequentanti la

scuola bilingue, non superano tali test di Teoria della Mente, come a dire che vi è comunque un

ritardo nell’acquisizione di queste competenze rispetto ai coetanei udenti, che viene però recuperato

all’aumentare dell’età dei partecipanti, anche grazie al tipo di scuola frequentata: si parla infatti di

ritardo d’acquisizione e non di deficit.

Sally-Ann (2 prove): Tot 13/22 (59%)

�3 bb 6-8 anni

- 3 scuola bilingue 0/0 0%

�14 bb 9-11 anni 6/11 54,5%

- 8 scuole con A.C. 1/6 16,7%

- 6 scuola bilingue 5/5 100%

�13 bb 12-14 anni 7/11 63,6%

- 7 scuole con A.C. 2/6 33,3%

- 6 scuola bilingue 5/5 100%

Smarties Tot 18/26 (69,2%)

�3 bb 6-8 anni

- 3 scuola bilingue 0/1 0%

�14 bb 9-11 anni 8/13 61,5%

- 8 scuole con A.C. 3/8 37,5%

- 6 scuola bilingue 5/5 100%

�13 bb 12-14 anni 10/12 83,3%

- 7 scuole con A.C. 5/7 71,4%

- 6 scuola bilingue 5/5 100%

2 prove su 3 (2 S-A e Smarties) Tot 15/21 (71,4%)

�3 bb 6-8 anni

- 3 scuola bilingue 0/0 0%

�14 bb 9-11 anni 7/11 63,6%

- 8 scuole con A.C. 2/6 33,3%

- 6 scuola bilingue 5/5 100%

�13 bb 12-14 anni 8/10 80%

- 7 scuole con A.C. 4/6 66,7%

- 6 scuola bilingue 4/4 100%

Età + genitori sordi o udenti

Per tale analisi è stata presa in considerazione solo la fascia d’età 9-11 anni, perché era

l’unica dove ci fosse una discreta incidenza di bambini sordi figli di genitori sordi. Come si può

vedere dalla tabella sottostante non ci sono differenze significative fra i due gruppi: tale

considerazione è stata anche confermata dal Mann-Whitney Test che mostra come non ci siano

differenze statisticamente significative fra bambini sordi figli di genitori sordi o figli di genitori

udenti (Z= -0,713; p=0,476 n.s.).

S-A 1+2 SMARTIES 2/3

�14 bb 9-11 aa:

bb con genitori sordi (5) 2/4=50% 3/5=60% 3/4=75%

bb con genitori udenti (9) 4/7=57,1% 5/8=62,5% 4/7=57,1%

Sebbene il numero di partecipanti di tale analisi sia del tutto insufficiente per estendere i

risultati a considerazioni più generali, si procede comunque con un confronto di tali risultati con gli

studi fatti in letteratura.

Nel 1999 Peterson e Siegal condussero uno studio con 59 bambini sordi con media 9,5 anni

(età compresa fra i 5,6 e i 13 anni). Il campione della ricerca era così suddiviso: 11 bambini sordi

segnanti figli di genitori sordi (Bse-GS), 14 bambini sordi con educazione oralista figli di genitori

udenti (Bor-GU) e 34 bambini sordi segnanti figli di genitori udenti (Bse-GU). I risultati ottenuti da

tale studio differiscono notevolmente dalla presente ricerca: i bambini sordi segnanti figli di genitori

sordi ottengono infatti dei risultati decisamente migliori rispetto agli altri due gruppi, ovvero l’82%

di successo in Sally-Ann 2 prove e il 100% di successo in Smarties. Tali risultati sono paragonabili

a quelli del gruppo di controllo udente (86% di successo in Sally-Ann 2 prove e 90% di successo in

Smarties).

S-A 1+2 SMARTIES

�59 bb media 9,5 aa (5,6 - 13):

- 11 Bse-GS 82% 100%

- 14 Bor-GU 64% 71%

- 34 Bse-GU 38% 59%

- 21 B udenti 86% 90%

Anche uno studio del 2000 di Courtin mostra come i bambini sordi segnanti figli di genitori

sordi ottengano dei risultati migliori rispetto ai bambini educati oralmente figli di genitori udenti e

ai bambini segnanti figli di genitori udenti.

2/3 PROVE

�155 bb 5-8 aa:

- 37 Bse-GS 90%

- 45 Bor-GU 45%

- 54 Bse-GU 28%

- 39 B udenti (4-6 aa) 39%

Apprendimento tardivo o precoce della LIS

Dal momento che la differenza fra i dati da noi ottenuti nella precedente analisi e i dati

riportati in letteratura discordano molto, ci siamo interrogati sul cosa voglia dire “avere i genitori

sordi”. Essere figli di sordi non garantisce infatti necessariamente l’acquisizione della lingua dei

segni in modo spontaneo, dal momento che i genitori sordi potrebbero, a loro volta, essere stati

educati oralmente e non essere segnanti. Al contrario, una bambina sorda del nostro campione,

figlia di genitori udenti segnanti, ha ad esempio avuto una baby-sitter sorda segnante nativa per 8

ore al giorno dall’età di 6 mesi in poi (età della diagnosi di sordità): non è dunque da considerarsi

segnante nativa anche questa bambina figlia di udenti? Ci è sembrato dunque più opportuno

suddividere il campione in base al periodo effettivo di apprendimento della LIS, separando i

bambini che sono stati esposti e hanno appreso tardivamente la LIS (dalla scuola elementare in

poi, ovvero dai 6 anni in su), dai bambini che sono stati esposti e hanno appreso abbastanza

precocemente la LIS (entro l’inizio della scuola elementare ma non dalla nascita, ovvero da 3 a 6

anni), dai bambini che sono stati esposti e hanno acquisito precocemente la LIS (ovvero da 0 a 3

anni).

MEDIA

DELLE

ETA’

SALLY-ANN 1+2

SMARTIES

2/3 PROV

E

I) LIS app.tardivo – dai 6 aa. in poi

(7 bambini)

11,8 33,3% 57,1% 33,3%

II) LIS app. semi precoce - dai 3 ai 6 aa.

(17 bambini)

11,9

83,3% 84,6% 90,9%

III) LIS app.precoce - da 0 a 3 aa.

(6 bambini)

10,8 25% 60% 75%

Tabella 21: Risposte corrette fornite ai compiti di teoria della mente rispetto a quando si è appresa la LIS.

Nonostante non si riveli una differenza statisticamente significativa [Chi2(2)=1,79;

p=0,407], si riscontra comunque un effettivo vantaggio in coloro che hanno appreso la LIS

precocemente per quanto riguarda i compiti di teoria della mente. La tabella mostra chiaramente

come i bambini che hanno appreso precocemente la LIS (II e III gruppo) ottengano

complessivamente dei risultati decisamente migliori rispetto ai bambini che hanno acquisito

tardivamente la LIS e ciò vale in particolare per il II gruppo (ciò è sicuramente influenzato dal

fatto che il II gruppo ha 13 mesi in più del III gruppo e, come abbiamo precedentemente visto,

l’età è un fattore molto rilevante ai fini del superamento dei compiti di teoria della mente).

L’unico dato ad essere discordante con tale considerazione è quello evidenziato in rosso (25%):

questo dato potrebbe essere spiegato dall’esiguità del campione e dalla inferiore età cronologica

dei partecipanti del gruppo stesso. I risultati ottenuti in questa analisi sono paragonabili con le

ricerche prima presentate di Peterson e Siegal (1999) e di Courtin (2000), come a dire che

probabilmente il fattore significativo non è tanto se i genitori sono sordi o udenti (dato che ciò

non garantisce che siano necessariamente segnanti) quanto se la LIS è stata acquisita

precocemente e in modo spontaneo.

Confronto con il gruppo di controllo udente

In letteratura diversi Autori riportano che l’età di acquisizione delle false credenze è, per i

bambini con sviluppo tipico, fra i 4 ed i 6 anni: “sembra che tra i 4 e i 6 anni emerga una nuova

abilità cognitiva. I bambini acquisiscono la capacità di rappresentare false credenze e di costruire un

enunciato veritiero o ingannevole relativamente alla credenza di una persona” (Wimmer, Perner,

1983).

Il gruppo di controllo udente, abbinato ai bambini e ragazzi sordi del campione, ottiene il

73% di successo secondo il criterio di riuscita di Peterson e Siegal e Russel et al., l’86% secondo il

criterio di riuscita di Courtin e il 93% nella prova Smarties. Interessante notare che nessuno dei

bambini e ragazzi del gruppo di controllo udente è stato escluso dalle prove per non aver superato le

domande controllo, a differenza invece di quanto è accaduto per i partecipanti sordi (il 30% di

questi ultimi non ha risposto correttamente alle domande controllo). Infatti se nell’analisi statistica

non consideriamo i partecipanti sordi che non hanno risposto correttamente alle domande controllo

e che quindi sono stati esclusi dal campione, non si osserverà una differenza significativa (calcolata

con il t-Test); se invece reinseriamo anche coloro che non hanno risposto correttamente alle

domande controllo, assegnando loro un punteggio di -1 e assumendo quindi che la loro prestazione

sia in qualche misura peggiore di coloro che superano le domande controllo ma non supera il test, la

differenza fra partecipanti sordi e udenti, calcolata tramite il Mann-Whitney Test, risulterà allora

statisticamente significativa in favore del secondo gruppo (Z= -1,994; p=0,046).

Si può quindi dire che complessivamente si osserva nei bambini sordi un ritardo di

acquisizione delle false credenza di circa 4 anni rispetto ai bambini con sviluppo tipico e che questo

ritardo viene poi recuperato dai 9 anni in su.

Risultati del riordino delle storie in sequenza

Diciotto bambini/ragazzi su trenta, ovvero il 60% del campione, riordinano correttamente le

immagini delle storie in sequenza. Diversamente da quanto si potrebbe pensare non si osservano

maggiori difficoltà nel riordino delle storie mentalistiche rispetto a quelle meccanicistiche o

comportamentali.

Se suddividiamo il campione in base al grado scolastico, vediamo che il 53% (9/17) dei

bambini frequentanti le scuole elementari riordina correttamente la sequenza di immagini, versus il

69% (9/13) dei ragazzi delle scuole medie: la differenza calcolata tramite una correlazione non

parametrica, ovvero il Test di Spearman, non risulta essere significativa (r= 0,177; p>0,05 n.s.).

Notiamo inoltre che su quindici bambini/ragazzi frequentanti le scuole ordinarie con

Assistente alla Comunicazione, meno della metà riordinano correttamente le sequenze, ovvero il

46%, mentre fra i quindici bambini/ragazzi frequentanti la scuola bilingue 11 superano il test,

ovvero il 73%. Tale dato, calcolato tramite il Mann-Whitney Test, non risulta essere significativo

(Z= -1,466; p=0,143 n.s.) ma, se si procede con un’analisi più dettagliata e si va a vedere per

ciascun bambino quante storie ha effettivamente riordinato correttamente (ad es. il primo

partecipante non supera la prova nella sua totalità, ma se si osserva nel dettaglio si può vedere che

ha superato ben 4 storie su 6), la differenza fra le due scuole, calcolata tramite il Mann-Whitney

Test, risulta essere statisticamente significativa (Z= -2,229; p=0,026).

Per quanto riguarda il gruppo di controllo udente, l’80% supera il test e più della metà degli

errori vengono compiuti nel riordino delle storie mentalistiche: nonostante ciò la differenza fra

partecipanti sordi e udenti, calcolata tramite il Mann-Whitney Test, non risulta essere

statisticamente significativa (Z= -1,327; p>0,05 n.s.).

STORIE MECCANICISTICHE

STORIE COMPORTAMENTALI

STORIE MENTALISTICHE SCUOLA

FREQUENTATA ETA'

CLASSE

palloncino mattone dolci il gelato caramella l'orsetto RISULTATO

Scuole bilingue 6,1 I elem ok ok ok 1; 3; 2; 4 1; 4; 2; 3 ok non superato

Scuole bilingue 7,5 II elem ok ok ok ok ok ok SUPERATO

Scuole bilingue 8 II elem ok ok 1; 4; 3; 2 ok ok 1; 2; 4; 3 non superato

Scuole con AC 8,9 III elem ok ok ok 1; 4; 2; 3 ok ok non superato

Scuole con AC 8,11 III elem ok ok 1; 4; 2; 3 ok ok ok non superato

Scuole con AC 9,1 III elem ok ok ok ok ok ok SUPERATO

Scuole bilingue 9,4 IV elem ok ok ok ok ok ok SUPERATO

Scuole con AC 9,5 III elem ok ok ok ok ok ok SUPERATO

Scuole bilingue 9,7 IV elem ok ok ok ok ok ok SUPERATO

Scuole bilingue 9,11 IV elem ok ok ok ok ok ok SUPERATO

Scuole bilingue 10,7 V elem ok ok ok ok ok ok SUPERATO

Scuole con AC 11 IV elem 1; 3; 2; 4 ok 1; 2; 4; 3 ok 1; 4; 3; 2 1; 3; 4; 2 non superato

Scuole bilingue 11,2 V elem ok ok ok ok ok ok SUPERATO

Scuole con AC 11,3 V elem ok ok 1; 2; 4; 3 1; 4; 2; 3 ok 1; 3; 4; 2 non superato

Scuole con AC 11,4 V elem ok ok ok ok ok 1; 3; 2; 4 non superato

Scuole con AC 11,8 I media ok ok ok ok ok 1; 3; 2; 4 non superato

Scuole bilingue 11,9 V elem ok ok ok ok ok ok SUPERATO

Scuole con AC 11,11 V elem 1; 3; 2; 4 1; 2; 4; 3 ok 1; 4; 2; 3 1; 3; 4; 2 1; 4; 2; 3 non superato

Scuole bilingue 12,7 II media ok ok ok ok ok ok SUPERATO

Scuole bilingue 12,7 II media ok ok ok ok ok ok SUPERATO

Scuole con AC 12,7 II media ok ok ok ok ok ok SUPERATO

Scuole con AC 12,9 II media ok ok ok ok ok ok SUPERATO

Scuole bilingue 13,3 II media ok 1; 2; 4; 3 ok 1; 3; 2; 4 ok ok non superato

Scuole bilingue 13,4 II media ok ok ok ok ok ok SUPERATO

Scuole bilingue 13,6 III media ok ok ok ok ok ok SUPERATO

Scuole bilingue 13,9 III media 1; 3; 2; 4 ok ok ok ok ok non superato

Scuole con AC 13,9 II media 1; 4; 3; 2 1; 2; 4; 3 ok 1; 3; 2; 4 ok 1; 3; 2; 4 non superato

Scuole con AC 14 III media ok ok ok ok ok ok SUPERATO

Scuole con AC 14,6 III media ok ok ok ok ok ok SUPERATO

Scuole con AC 14,6 III media ok ok ok ok ok ok SUPERATO

26/30=86,6% 27/30=90% 26/30=86,6% 24/30=80% 27/30=90% 23/30=76,6% 18/30=60%

Discussione

Si è osservato che i bambini sordi superano i test di TdM dai 9 anni in poi; le ipotesi sono

dunque: 1) che non possediamo gli strumenti adatti per valutare le loro capacità e che quindi

bisognerebbe mettere a punto dei nuovi strumenti valutativi più idonei; 2) che la TdM si sviluppa

nei bambini sordi con tempi diversi che ci portano quindi a parlare di ritardo nell’acquisizione di

competenze e non di deficit, dal momento che queste competenze vengono in seguito acquisite.

I risultati ottenuti nel presente studio (il 59% supera Sally-Ann 2 prove) sono

complessivamente migliori di quelli riscontrati in letteratura: Peterson e Siegal, 1995 (il 17% supera

Sally-Ann 2 prove) e Russell et al., 1998 (il 28% supera Sally-Ann 2 prove).

I tre fattori che risultano dunque significativi per la riuscita del compito sono:

� l’ETA’: i bambini della fascia 6-8 anni non superano nessuno dei criteri di riuscita;

� la SCUOLA BILINGUE: evidente nella fascia di età intermedia 9-11 anni. Il fattore scuola

sembra influenzare i tempi diversi di acquisizione (dai 9 anni in poi il 100% dei

bambini/ragazzi della scuola bilingue che ha accesso al test, cioè risponde correttamente alle

due domande controllo, supera i test di teoria della mente a differenza del 25% dei bambini

/ragazzi che frequentano le scuole ordinarie con Assistente alla Comunicazione); anche nei

bambini/ragazzi della scuola bilingue però il ritardo di 3-5 anni rispetto al gruppo di

controllo udente permane;

� l’APPRENDIMENTO PRECOCE DELLA LIS: sebbene tale fattore non abbia un peso

determinante come i primi due, si può supporre che tali bambini abbiano acquisito, fin da

piccolissimi, uno stile comunicativo e conversazionale più adeguato con i loro genitori.

Non si evidenzia invece un effetto connesso al fattore genitori sordi o udenti ma ci si

propone, nel futuro, di aumentare il numero di partecipanti figli di genitori sordi per avere un

quadro più preciso della situazione. Sarà inoltre interessante indagare la correlazione fra teoria della

mente e stili comunicativi precoci genitore-bambino.

4.6 Correlazioni statisticamente significative fra prove

Un ulteriore passo è stato quello di correlare fra loro i diversi test per vedere quali relazioni

esistevano fra essi. La correlazione più forte che si osserva è quella fra il Peabody e il Boston

(entrambe prove lessicali) (r = 0,70; p<0,001).Queste due prove hanno infatti in comune il 49%

della variabilità: la possibilità di ottenere un punteggio alto in uno dei due compiti è dunque

spiegata per il 49% dalla riuscita nell’altro compito (quindi i bambini che vanno bene in uno di

questi due test sono gli stessi che vanno bene anche nell’altro).

Il Peabody inoltre correla con la teoria della mente (r = 0,463; p<0,01) e con la Frog Story

(r=0,458; p<0,02) in misura uguale. Ciascuna di queste due prove ha in comune con il Peabody il

21% della variabilità.

Il Boston, invece, correla con la Frog in misura maggiore, vi è infatti il 35% della variabilità

in comune (r=0,595; p<0,001), e con la teoria della mente, seppure in misura minore, vi è infatti il

16% della variabilità in comune (r=0,401; p<0,028). Ciò ha senso se si pensa che sia il Boston, sia

la Frog, sono compiti di produzione.

Importante ricordare che queste prove sono tutte correlate fra loro e quindi la variabilità che

reciprocamente condividono può essere in comune anche con altre tra le variabili intercorrelate.

Il VMI, test cognitivo non verbale, correla principalmente con la prova narrativa (r=0,641;

p<0,001) e, in secondo luogo, con la prova di comprensione lessicale (r=0,371; p<0,05).

I compiti di teoria della mente, oltre che correlare con le prove di vocabolario come

precedentemente detto, e con il riordino delle storie in sequenza (r=0,384; p<0,04), correlano in

modo molto forte con la Frog Story (r=0,546; p<0,002) tanto che per ogni punto che un bambino

prende in più alla Frog Story, ci si può aspettare un punto in più nei compiti di teoria della mente

(come si può vedere dalle linee parallele del grafico sottostante. Linea continua: Frog Story; linea

tratteggiata: teoria della mente): lo stesso non avviene in senso inverso. E’ dunque possibile avere

una prestazione alta nella Frog Story e un punteggio basso nella prove di teoria della mente, mentre

è molto improbabile avere un punteggio alto nella prove di teoria della mente e una prestazione

bassa nella Frog Story (nel grafico sottostante si può infatti vedere come un solo partecipante sia

collocato nella parte superiore dell’area del grafico). Sembra che la Frog Story, e quindi la

competenza narrativa, sia una condizione necessaria ma non sufficiente per ottenere dei buoni

risultati nei compiti di teoria della mente. Si può quindi supporre che evidentemente le capacità

narrative non bastino per superare i compiti di teoria della mente, infatti ciò che inoltre incide molto

è il fattore età e, in misura statisticamente significativa seppur minore, il fattore scuola bilingue.

Figura 60: Correlazione fra le prove di teoria della mente e la prova narrativa Frog Story.

CONCLUSIONI E PROSPETTIVE FUTURE DI RICERCA

In questo paragrafo verranno riassunti i principali risultati emersi, in riferimento agli scopi

della ricerca.

Il primo scopo era quello di adattare o costruire degli strumenti di valutazione che fossero

idonei per le persone sorde e che fossero quanto più possibile analoghi a quelli utilizzati

abitualmente per la lingua vocale. A tal fine, come primo stadio, abbiamo ritenuto necessario avere

una valutazione delle abilità cognitive non verbali tramite il Developmental Test of Visual-Motor

Integration -VMI- (Beery, 1967). Successivamente, per una stima della comprensione del

vocabolario in LIS è stato adattato il Peabody Vocabulary Test (Dunn, Dunn,1981): grazie all’aiuto

di sordi segnanti nativi, il test è stato “tradotto” in LIS e somministrato integralmente ai partecipanti

perché, essendo gli items del test ordinati per difficoltà crescente in italiano e non in LIS, la prova

non poteva più essere utilizzata “a livello”. Per la produzione del vocabolario si è invece utilizzato

il Boston Naming Test –BNT- (Kaplan, Goodglass, Weintraub, 1983), una prova di denominazione:

ai bambini e ragazzi del campione è stato chiesto di produrre in LIS le figure del test. L’analisi delle

risposte fornite dal campione è stata riadattata pensando al campione preso in esame. Si è inoltre

ritenuto importante avere informazioni circa le competenze narrative di questi bambini grazie alla

Frog story (Mayer, 1969). In ultimo, si è ritenuto interessante esplorare l’acquisizione di una teoria

della mente, sempre utilizzando la lingua dei segni: a tal riguardo ci sono due teorie contrastanti, la

prima delle quali vede la teoria della mente come una abilità indipendente da altre capacità, mentre

la seconda considera invece questa acquisizione strettamente collegata ad altre capacità ed in

particolare al linguaggio. I bambini sordi divengono quindi un importante “test” per distinguere fra

le due ipotesi dal momento che molti di loro hanno diverse carenze linguistiche, ma capacità

cognitive non verbali intatte. Le prove adottate sono Sally-Ann 1 e 2 (Peterson, Siegal, 1995),

Smarties (Perner, Frith, Leslie e Leekam, 1989) e le storie in sequenza (Rhys-Jones e Ellis, 2000).

Il campione di questa ricerca è costituito da trenta bambini e ragazzi sordi di età compresa

fra i 6 e i 14 anni e dal rispettivo gruppo di controllo udente. Tutti i partecipanti hanno una sordità

grave (soglia fra 70 e 90 decibel) o profonda (con soglia uguale o superiore ai 90 decibel) e

conoscono, seppur in misura diversa, la lingua dei segni. Le storie scolastiche di questi bambini

sono però molto differenti: quindici bambini sono inseriti in scuole ordinarie con Assistente alla

Comunicazione nelle quali sono quindi gli unici sordi in un contesto scolastico e linguistico

esclusivamente di udenti; gli altri quindici frequentano invece una scuola bilingue italiano/LIS in

cui, in una stessa classe, è previsto l’inserimento di più bambini sordi e la presenza di un interprete

per tutta la durata delle ore scolastiche. Nella scuola bilingue, inoltre, tutti (professori, collaboratori

scolastici, alunni, ecc.), conoscono almeno in parte la LIS.

I risultati di tale indagine ci mostrano che i bambini sordi ottengono complessivamente delle

performance pari a quelle dei loro coetanei udenti, sia nella comprensione che nella produzione del

vocabolario.

Per quanto riguarda la prova di comprensione si ritiene necessario, in futuro, somministrare

tale prova a un numero maggiore di partecipanti, in modo di poter effettuare un riordino degli items

per difficoltà crescente in LIS e di poter avere dei dati di riferimento su questa particolare

popolazione.

Per quanto concerne la produzione del vocabolario, si vuole sottolineare che nell’analisi

delle produzioni non corrette le categorie di errore sono quantitativamente uguali a quelle degli

udenti, ma qualitativamente diverse: i bambini sordi, se non conoscono l’item che gli è stato chiesto

di denominare, tendono a descriverne la forma dell’oggetto raffigurato, usando quindi il canale

sensoriale per loro più saliente, cioè la vista; i bambini udenti, invece, usano delle circonlocuzioni

vere e proprie: si è dunque ipotizzato che la descrizione della forma di un oggetto “sia la

circonlocuzione dei bambini sordi”. E’ inoltre interessante notare come la maggioranza delle

produzioni dei bambini del nostro campione sia effettuata tramite il segno e una produzione vocale

abbinata, solitamente non sonora.

Per quanto riguarda le narrazioni, i risultati ottenuti dai partecipanti sordi sono

complessivamente equivalenti a quelli dei partecipanti udenti. I bambini e ragazzi sordi frequentanti

la scuola bilingue, però, se confrontati con i partecipanti sordi delle scuole ordinarie con Assistente

alla Comunicazione, producono delle narrazioni più lunghe, più ricche e meglio strutturate:

mediamente vengono introdotti più frequentemente i personaggi della storia, il luogo in cui questa

si svolge e il tempo in cui accade, vengono narrati più episodi della storia, vi sono più collegamenti

fra un episodio e il suo successivo, vengono fatte più inferenze congruenti, le competenze

pragmatiche sono più alte (suspence, effetti visivi e sonori, ripetizioni, marcatori enfatici, ecc.), più

frequentemente viene usato il lessico psicologico per spiegare quanto accade nella storia e sono

presenti più strutture di Grande Iconicità (considerate indice di complessità in LIS).

Per quanto riguarda la teoria della mente vediamo che i bambini sordi superano tali prove

dai nove anni in poi, con un ritardo di circa cinque anni rispetto ai bambini udenti. Questo accade

anche per coloro che hanno appreso la lingua dei segni precocemente, ovvero in età prescolare. Le

ipotesi sono dunque: 1) che non possediamo gli strumenti adatti per valutare le loro capacità e che

quindi bisognerebbe mettere a punto dei nuovi strumenti valutativi più idonei; 2) che la teoria della

mente si sviluppa nei bambini sordi con tempi diversi, che ci portano quindi a parlare di ritardo

nell’acquisizione di competenze e non di deficit, dal momento che queste stesse competenze

vengono in seguito acquisite.

I risultati ottenuti nel presente studio nelle prove di teoria della mente (il 59% supera Sally-

Ann 2 prove) sono complessivamente migliori di quelli riscontrati in letteratura: Peterson e Siegal,

1995 (il 17% supera Sally-Ann 2 prove) e Russell et al., 1998 (il 28% supera Sally-Ann 2 prove).

Importante sottolineare che nove bambini su trenta del nostro campione non hanno avuto accesso al

test perché non hanno risposto correttamente alle domande controllo e sono dunque stati esclusi (a

differenza dei bambini udenti in cui nessuno non risponde correttamente alle domande controllo).

I tre fattori che risultano significativi per la riuscita del compito sono:

� l’ETA’: i bambini della fascia 6-8 anni non superano nessuno dei criteri di riuscita;

� la SCUOLA BILINGUE: evidente nella fascia di età intermedia 9-11 anni (il 100% di questi

bambini, a parte quelli che sono stati esclusi per non aver risposto correttamente alle

domande controllo, supera le prove). Il fattore scuola sembra influenzare positivamente il

padroneggiamento della teoria della mente, nonostante il ritardo d’acquisizione permanga;

� l’APPRENDIMENTO PRECOCE DELLA LIS: si è ritenuto importante non andare solo a

considerare le famiglie di provenienza dei bambini sordi (genitori sordi o udenti) ma

considerare piuttosto l’età di apprendimento della LIS. Questo perché il fatto di avere

genitori sordi non garantisce automaticamente che venga usata la LIS in famiglia: i genitori

sordi, infatti, potrebbero essere stati educati con il metodo oralista e non essere

assolutamente dei seganti fluenti; o viceversa dei genitori udenti potrebbero aver effettuato

molto precocemente delle scelte per favorire l’acquisizione della LIS nei loro bambini sordi,

come ad esempio prendere una baby-sitter sorda segnante nativa quando il figlio era ancora

neonato. Per tutte queste ragioni si è deciso quindi di considerare l’età di

acquisizione/apprendimento della LIS e si è visto che i bambini sordi che hanno acquisito la

LIS precocemente hanno probabilmente avuto, fin da piccolissimi, uno stile comunicativo e

conversazionale più adeguato con i loro genitori che li ha facilitati nei compiti di teoria della

mente.

Nonostante il campione troppo esiguo non permetta generalizzazioni, sembra che non si

evidenzi un effetto connesso al fattore genitori sordi o udenti.

Riprendendo quindi l’interrogativo postoci in precedenza, si direbbe che la teoria della

mente sia effettivamente collegata ad altre capacità ed in particolare al linguaggio, tanto che gli

unici due fattori che sono risultati significativi nella predittività della riuscita in tali compiti, a parte

l’età cronologica, sono principalmente la scuola frequentata e, in misura minore, l’acquisizione

precoce della LIS. Si può quindi supporre che aver acquisito precocemente una lingua che viene

condivisa con i propri genitori e avere la possibilità a scuola di poter comunicare senza sforzo e in

modo naturale, riduca le lacune conversazionali che invece incontrano i bambini sordi, segnanti e

non, che non hanno acquisito la LIS precocemente e che non sono inseriti in un ambiente scolastico

segnante.

Dall’analisi della correlazione fra le varie prove, si evince che i test di comprensione e

produzione lessicale correlano in modo molto forte fra loro. Inoltre il Peabody, essendo un compito

di comprensione lessicale, correla nettamente con la riuscita nei compiti di teoria della mente e,

seppur in misura minore, con la Frog Story. Il Boston, invece, essendo un test di produzione

lessicale, correla in modo forte con la Frog e in misura minore con la teoria della mente. Il VMI,

test cognitivo non verbale, correla principalmente con la prova narrativa e, in secondo luogo, con la

prova di comprensione lessicale. I compiti di teoria della mente, oltre che correlare con le prove di

vocabolario e con il riordino delle storie in sequenza, correlano in modo molto forte con la Frog

Story tanto che per ogni punto che un bambino prende in più alla Frog Story, ci si può aspettare un

punto in più nei compiti di teoria della mente, anche se lo stesso non avviene al contrario. E’

dunque possibile avere una prestazione alta alla Frog Story e un punteggio basso nella prove di

teoria della mente, mentre è molto improbabile avere un punteggio alto nella prove di teoria della

mente e una prestazione bassa alla Frog Story. Sembra che la Frog Story, e quindi la competenza

narrativa, sia una condizione necessaria ma non sufficiente per ottenere dei buoni risultati nei

compiti di teoria della mente. Si può quindi supporre che le capacità narrative non bastino per

superare i compiti di teoria della mente: infatti ciò che inoltre incide molto è il fattore età e, in

misura significativa seppur minore, il fattore scuola bilingue.

Per quanto riguarda le future prospettive di ricerca, ci si propone innanzitutto di ampliare il

campione in generale e quello di bambini sordi figli di genitori sordi in particolare: l’ampliamento

del campione permetterebbe di avere dei dati di riferimento specifici per i bambini sordi, utili

soprattutto per quanto riguarda le prove di vocabolario. Inoltre, confrontando i dati raccolti con

bambini e ragazzi sordi, con quelli di adulti sordi segnanti nativi e non, si potrebbe indagare la

maturazione delle competenze narrative in LIS ovvero quali sono le competenze che vengono

acquisite prima di altre. Sarebbe inoltre interessante indagare la correlazione fra la teoria della

mente e gli stili comunicazionali precoci genitore-bambino. Ci si propone tra l’altro di confrontare i

risultati ottenuti nel presente studio con quelli di altri gruppi di ricerca italiani che hanno

somministrato agli stessi partecipanti di questa ricerca i medesimi test, ma in lingua e modalità

diverse, cioè l’italiano orale e scritto, al fine di indagare le stesse competenze nelle due lingue. In

ultimo, come precedentemente detto, ci si propone di mettere a punto un protocollo di valutazione

per bambini e ragazzi sordi che comprenda la valutazione linguistica delle abilità di vocabolario

(comprensione e produzione), la valutazione sintattico-grammaticale, la valutazione delle abilità

narrative e della teoria della mente, nelle tre modalità: segnato, parlato e scritto.

.

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