Elena Pasqualetto Università di Padova IL QUADRO GIURIDICO ... · - perseguite con mezzi...

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1 Elena Pasqualetto Università di Padova IL QUADRO GIURIDICO IN TEMA DI DISCRIMINAZIONI E MOBBING Castelfranco Veneto, 18 febbraio 2016

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Elena Pasqualetto Università di Padova

IL QUADRO GIURIDICO IN TEMA DI DISCRIMINAZIONI

E MOBBING

Castelfranco Veneto, 18 febbraio 2016

DISCRIMINAZIONI E MOBBING NEL DIRITTO DEL LAVORO

Ricca normativa antidiscriminatoria , nell’ordinamento UE e in quello interno

Assenza di una definizione legislativa di mobbing, ma ricca giurisprudenza in materia, che spesso attinge anche all’elaborazione dottrinale sulle discriminazioni

L’EVOLUZIONE DELLA DISCIPLINA ANTIDISCRIMINATORIA

Art. 3 Cost.: referente ideale della normativa

Art. 4 l. 604/66: divieto licenziamento per motivi sindacali, politici, religiosi

Art. 15 Statuto lavoratori: divieto atti discriminatori per motivi →

- 1970: sindacali, politici, religiosi

- 1977: razza, lingua, sesso

- 2003: handicap, età, orientam. sessuale, convinzioni personali

ALTRI NUCLEI NORMATIVI ANTIDISCRIMINATORI

- normativa sulle differenze di genere (CPO del 2006)

- norme a tutela degli immigrati (T.U. n. 286/98)

- norme a tutela dei disabili (l. 68/99 e l. 67/06)

- norme a tutela dei soggetti affetti da virus HIV

- art. 10 d.lgs. n. 276/03

- d.lgs. 215 e 216 del 2003

LA DISCRIMINAZIONENEL DIRITTO COMUNITARIO

- Art. 13 Trattato CE (TFUE)

- Direttiva 2000/43/CE per la parità di trattamento per motivi di razza e origine etnica

- Direttiva 2000/78/CE per la PdT in materia di occupazione e condizioni di lavoro (c.d. “direttiva quadro”)

- Direttiva 2006/54/CE su pari opportunità e PdT fra uomini e donne in materia di occupazione e di impiego

- Art. 21 Carta di Nizza (dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona)

LE DEFINIZIONI DI DISCRIMINAZIONE SUL LAVORO

• Pluralità di definizioni:

- art. 15 St. lav.

- art. 43 d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 (T.U. immigrazione)

- art. 2 d.lgs. 9 luglio 2003, n. 215

- art. 2 d.lgs. 9 luglio 2003, n. 216

- art. 2 l. 1 marzo 2006, n. 67 (disabilità)

- art. 25 CPO (genere)

LA NOZIONE DI DISCRIMINAZIONE ex art. 15 St. lav.

Nullità degli atti discriminatori attuati per tutti i fattori emersi nella legislazione

- Le condotte vietate - La rilevanza dell’intento discriminatorio- I fattori di discriminazione - I soggetti protetti e i soggetti obbligati - Le sanzioni: nullità dell’atto; sanzioni penali

IL RAPPORTO TRA L ’ART. 15 E LE NUOVE NORME ANTIDISCRIMINATORIE

Tutti i fattori di discriminazione previsti dall’art. 15 sono contemplati nelle più recenti normative

D.lgs. 215/03→ razza, origine etnica

T.U. n. 286/98 → razza, gruppo etnico o linguistico, confessione religiosa, cittadinanza

Legislazione PdT uomo/donna → sesso

D.lgs. 216/03 → età, handicap, orientamento sessuale, convinzioni personali

Inoltre la legislazione speciale:

1) dà una definiz. oggettivae sostanzialemolto ampia degli illeciti;

2) consente al giudice di adottare il provvedimento più opportuno

E’ OGGI SUPERLFUO IL RIFERIMENTO ALL’ART. 15

LA TASSATIVITA ’ DEI MOTIVI DI DISCRIMINAZIONE VIETATI

1° orientamento: l’elenco è tassativo (dottrina prevalente; Corte Giust. CE sent. C-13/05 su malattia)

2° orientamento: l’elenco non è tassativo (dottrina minoritaria che fa leva sull’art. 3 Cost.: «condizioni personali e sociali»)

Dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona: art. 21 Carta di Nizza: «è vietata qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, su…»

LE DISCRIMINAZIONI VIETATE DAL T.U. SULL’IMMIGRAZIONE

Art. 43: ampio divieto di D. per ragioni di razza, colore, ascendenza, origine nazionale o etnica, convinzioni o pratiche religiose, non solo in materia di lavoro

1° comma: ampia definizione di D. (diretta e indiretta) + elenco esemplificativo di D. {cfr. lett. c) e lett. e) “il datore di lavoro…”}

Non occorre uno specifico intento d. (“lo scopo o l’effetto”)

LA DISCRIMINAZIONE DIRETTA nei d.lgs. n. 215 e 216

“quando una persona (per uno dei fattori di discriminazione elencati) è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un’altra in situazione analoga”

→ COMPARAZIONE attuale ma anche meramente IPOTETICA ( = agevolazione probatoria)

→ non è richiesto l’INTENTO D.

LA DISCRIMINAZIONE INDIRETTA nei d.lgs. n. 215 e 216

“ quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri possonomettere le persone (…) in una situazione di particolare svantaggiorispetto ad altre persone”

→ è richiesta una valutazione quali/quantitativa

→ «possono»: carattere potenziale (non occorre dimostrazione effettivo svantaggio)

LE MOLESTIE

Art. 2, comma 3:comportamenti indesiderati, posti in essere per un motivo

discriminatorio, aventilo SCOPO oppure L’EFFETTO di: 1) violare la dignità di una persona2) creare un clima intimidatorio, ostile, degradante,

umiliante od offensivo

Non è identificazione tra M. e D. ma equiparazione Indesiderabilità = mancato gradimento (occorre sia

conosciuto? o almeno prevedibile?)

L’ORDINE DI DISCRIMINARE

Art. 2, comma 4: l’ordine di discriminare per uno dei motivi tipizzati è considerato discriminazione

→ mandante equiparato all’esecutore

→ è perseguibile l’ordine non eseguito (finalitàpreventiva)

LE ECCEZIONI AL DIVIETO: la clausola sui requisiti essenziali e determinanti

Art. 3, comma 3, d.lgs. 215 e 216: non sono d. le differenze di trattamento dovute a caratteristiche che costituiscono requisito essenziale e determinanteper lo svolgimento dell’attività

nel rispetto dei pr. di proporzionalità e ragionevolezza

Cfr. sentenza CGCE 12/1/ 2101, C-229/08 Wolf

LE ECCEZIONI in favore delle organizzazioni di tendenza

Art. 3, comma 5, d.lgs. 216/03:

non sono d. le differenze di trattamento, praticate da enti religiosi o altre org. pubbliche o private, basate su religione o convinzioni personalise queste (per la natura delle attività professionali degli enti o per il contesto in cui sono espletate) costituiscono requisito essenziale, legittimo e giustificato per lo svolgimento dell’attività

L’ECCEZIONE fondata sulle «finalità legittime»

Art. 3, c. 4, d.lgs. 215/03 e art. 3, c. 6, d.lgs. 216/03:

Solo per le d. INDIRETTE: non sono d. se sono:

- giustificate oggettivamente

- da finalità legittime

- perseguite con mezzi appropriati e necessari

LA TUTELA GIURISDIZIONALE contro le discriminazioni

I giudizi civili contro atti e comportamenti discriminatori (per tutti i fattori di d., tranne il genere) sono regolati dall’art. 28 d.lgs. n. 150/2011, cioè dal RITO SOMMARIO DI COGNIZIONE

E’ percorso processuale obbligato (eccez. procedimento cautelare d’urgenza ex art. 700 c.p.c. se rischio di un pregiudizio imminente ed irreparabile)

Competenza: tribunale ordinario (in composizione monocratica) del luogo di domicilio del ricorrente

LA TUTELA GIURISDIZIONALE contro le discriminazioni

Le parti possono stare in giudizio senza avvocato (gli immigrati possono rivolgersi ai centri di assistenza legale per gli stranieri)

Il previo tentativo di conciliazione è facoltativo

ONERE DELLA PROVA : se il ricorrente fornisce elementi di fatto, desunti anche da dati statistici (ad es. su assunzioni, regimi contributivi, assegnazioni mansioni e qualifiche, trasferimenti, progressioni in carriera e licenziamenti), dai quali si può presumere la discriminazione, spetta al convenutoprovarne l’insussistenza.

LA TUTELA GIURISDIZIONALE contro le discriminazioni

La decisione è emessa con ordinanza:

Il giudice può:

1) ordinare la cessazione del comportamento e adottare ogni altro provvedimento idoneo a rimuovere gli effetti delle d.(es. ammissione al concorso del candidato escluso; ordine di assunzione di vincitore pretermesso)

2) ordinare un piano di rimozione delle d., da eseguire entro un dato termine (se discriminazioni collettive va sentito l’ente collettivo ricorrente)

LA TUTELA GIURISDIZIONALE contro le discriminazioni

3) condannare il responsabile al risarcimento del danno, anche non patrimoniale

A tal fine «tiene conto del fatto che la d. costituisce ritorsione ad una precedente azione giudiziale ovvero ingiusta reazione ad una precedente attività del soggetto leso volta ad ottenere il rispetto del principio di parità di trattamento»→ tutela della c.d. vittimizzazione

Il danno va provato con i consueti criteri, con aperture della giurisprudenza al «risarcimento dissuasivo»

LA TUTELA GIURISDIZIONALE contro le discriminazioni

Sanzioni accessorie: pubblicazione del provvedimento su un quotidiano; revoca benefici economici (ad es. agevolazioni finanziarie o creditizie)

I provvedimenti del giudice diversi dalla condanna al risarcimento sono immediatamente esecutivi ed assistiti da sanzione penale in caso di mancata esecuzione dolosa

LE AZIONI COLLETTIVE

Legittimazione attiva:

D.lgs. 215/03: associazioni ed enti inseriti in un elenco approvato da Ministero Lavoro e Ministero P.O.

D.lgs. 216/03: OO.SS, associaz. e org. rappresentative del diritto o dell’interesse leso

Possono agire:

● sia azione in nome e per conto del soggetto leso

● sia iniziativa autonoma se d. collettive

IL MOBBING

Fenomeno in aumento anche in conseguenza del passaggio da un sistema produttivo di tipo industriale (produzione beni materiali) a uno postindustriale (beni immateriali) ►►

►►il lavoratore è esposto più a rischi sulla sfera psicologica (dovuti anche allo stress lavorativo) che sul piano fisico

Molto frequente (o più denunciato) nel p.i.

Studiato dalla psicologia del lavoro (traendo spunto dall’etologia) e poi dalla dottrina giuslavoristica

IL MOBBING

Riconosciuto dalla giurisprudenza (prime sentenze Trib. Torino 1999)

Manca una definizione normativa

Tentativo legge regionale Lazio n. 16/2002 ma ….

Corte cost. n. 359/2003: costituzionalmente illegittima perché contiene una definizione generale del fenomeno mobbing e viola le competenze dello Stato in materia →art. 117, 2° co., lett. l) e 3° co.

LA NORMATIVA SUL MOBBING

Altre leggi regionali successive (Umbria, Friuli V.G., Abruzzo, Veneto) non definiscono il M., ma si limitano a prevedere misure di prevenzione/limitazione del fenomeno e/o misure di sostegno alle vittime

A livello europeo: risoluzione Parlamento UE del 2001: esorta gli Stati membri «a verificare e ad uniformare la definizione della fattispecie del mobbing» (= no a differenze territoriali)

Stati UE con legislazione sul M.: Danimarca, Svezia, Norvegia, Francia, Portogallo

Manca invece in Gran Bretagna, in Spagna e in Germania

LA NOZIONE GIURISRUDENZIALE DI MOBBING

Per la giurisprudenza (ultima sentenza di Cassazione n. 19814 del 2013) per mobbing si intende:

una condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico, sistematica e protratta nel tempo,

tenuta nei confronti del lavoratore nell'ambiente di lavoro,

che si risolve in sistematici e reiterati comportamenti ostili

che finiscono per assumere forme di prevaricazione o di persecuzione psicologica,

da cui può conseguire la mortificazione morale e l'emarginazione del dipendente,

con effetto lesivo del suo equilibrio fisiopsichico e del complesso della sua personalità.

DIVERSE FORME DI MOBBING

M. VERTICALE: se attuato dal datore di lavoro o da superiori gerarchici

M. ORIZZONTALE: se attuato da colleghi di lavoro

BOSSING(o M. strategico): l’accanimento è effettuato alo scopo specifico di espellere il lavoratore dal contesto

STRAINING: se azioni ostili limitate nel numero o distanziate nel tempo

IL FONDAMENTO NORMATIVO DELLA RESPONSABILIT À DATORIALE

La mancanza di una specifica disciplina non esclude la sua punibilità anche sul piano del diritto del lavoro

Fondamento normativo della responsabilità datoriale:

Art. 2087 c.c.: TUTELA DELLE CONDIZIONI DI LAVORO:

«l’imprenditore è tenuto ad adottare (…) le misure che (…) sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalitàmoraledei prestatori di lavoro»

+ regole su correttezza e buona fede + principi costituzionali (solidarietà sociale; dignità umana; diritto al lavoro)

IL FONDAMENTO NORMATIVO DELLA RESPONSABILIT À DATORIALE

Dall’art. 2087 c.c. deriva, per il datore:

a) il divieto di attuare vessazioni verso i dipendenti

b) il dovere adottare tutte le misure per preservare l’integritàpsico-fisica dei lav. (rilevante se M. attuato non dal datore)

ciò anche (e soprattutto) nel caso in cui le singole condotte siano di per sé lecite

GLI ELEMENTI COSTITUTIVI DEL M.

Ai fini della configurabilità della condotta lesiva sono rilevanti:

a) la molteplicità di comportamenti di carattere persecutorio, illeciti o anche leciti se considerati singolarmente, che siano stati posti in essere in modo miratamente sistematico e prolungato contro il dipendente con intento vessatorio;

b) l'evento lesivodella salute o personalità/professionalità del lav.;

c) il nesso eziologico tra la condotta del datore o del superiore gerarchico e il pregiudizio all'integrità psico-fisica del lavoratore;

d) la prova dell'elemento soggettivo, cioè dell'intento persecutorio.

L’ELEMENTO OGGETTIVO

E’ fattispecie oggettivamente complessa: occorre una molteplicità di comportamenti vessatori: una sola condotta (es. demansionamento) non è M.

Non occorre che i singoli atti siano di per sé illegittimi: possono essere comportamenti materiali e provvedimenti che nonviolano specifiche norme

Il M. rende illegittimo un atto di per sé neutro e conferisce all’atto illegittimo una diversa più intensa illegittimità→ è leso anche l’interesse all’integrità. psicofisica e alla tutela della personalitàmorale

L’ELEMENTO OGGETTIVO

La giurisprudenza richiede la sistematicitàe la durata delle vessazioni (anche se difficilmente quantificabile)

sistematicità+ durata: danno all’atteggiamento vessatorio quello spessore che supera la soglia fisiologica della conflittualitàimmanente al rapporto di lavoro (cfr. Trib. Bari 2005)

Dottrina talvolta contraria (nozione giuridica di M. è diversa da quella psicologica); ma così il M. perde la sua utilità applicativa! Non è richiesto l’andamento progressivo dell’azione vessatoria (modello Ege: sviluppo delle azioni ostili, con passaggio dalla condizione zero - conflitto normale – alla fase 6 – esclusione dal posto di lavoro per licenziamento o dimissioni)

LE CONDOTTE CHE POSSONOCOSTITUIRE MOBBING

Analisi della giurisprudenza:

Abuso nell’esercizio di poteri legittimi:

-reiterata richiesta visite mediche di controllo

-asfissiante controllo del lavoro

-irrogazione plurima di sanzioni disciplinari

-collocazione del lavoratore in spazi angusti o locali isolati

- ingiustificate modifiche dell’orario di lavoro

- abnormi richieste di lavoro straordinario

- difficoltà nella concessione di ferie o permessi

LE CONDOTTE CHE POSSONOCOSTITUIRE MOBBING

Violazioni dell’ art. 2013 sul mutamento di mansioni e sul trasferimento

- demansionamenti illegittimi

- sottrazione di mansioni

- inattività forzata

- trasferimento illegittimo

- esclusione da corsi di aggiornamento

Molestie (sessuali e non) e discriminazioni

L’ELEMENTO SOGGETTIVO

Richiesto dalla giurisprudenza prevalente (specie di merito).

Occorre il dolo, l’intenzionalità lesiva, la finalità vessatoria: elemento di coesione dei diversi atti → concezione soggettiva del M.

Trib. Trieste 2003: è necessaria «la penetrazione psicologica del comportamento (…) in modo da indagare il carattere eventualmente vessatorio, ossia dolosamente diretto a svilire, nuocere o ledere la dignità personale e professionale del dipendente»

♦ Per alcuni è sufficiente un generico animus nocendi

♦ Per altri la specifica volontà di emarginare, estromettere

L’ELEMENTO SOGGETTIVO

Parte della dottrina contesta la tesi per cui occorra l’intenzionalità lesiva → concezione oggettiva del M.

E’ sufficiente l’oggettiva idoneità degli atti a realizzare la persecuzione del lavoratore (arg. dalla disciplina delle molestienel d.lgs. 215 e 216 + CPO, che però presuppongono una discriminazione)

Questa seconda lettura è appoggiata anche da una parte della giurisprudenza

L’IDONEITA ’ OFFENSIVA

Il comportamento deve essere idoneoa ledere beni giuridici fondamentali del lavoratore:

♦ integrità psico-fisica e personalità morale (art. 2087 c.c.)

♦ dignità umana (art. 41, co. 2, Cost.)

Non è necessario uno specifico danno alla salute (es. danno psichico)

La valutazione della lesività va fatta tenendo conto di:

contesto sociale; età / posizione gerarchica / anzianità di servizio della vittima; possibilità di reperire altro impiego / conoscibilità all’esterno del M.

LE TIPOLOGIE DI DANNO CONFIGURABILI

1) Danno alla professionalità(specie se demansionamento)

2) Danno non patrimoniale:

Biologico: se il M. incide sull’equilibrio psico-fisico e fa insorgere disturbi medicalmente accertabili

Morale: (dolori e sofferenze; danno di natura emotiva) se le vessazioni hanno anche rilevanza penale

Esistenziale: «ogni pregiudizio che l’illecito datoriale provoca sul fare areddituale del sogg., alterando le sue abitudini di vita e gli assetti relazionali che gli erano propri, sconvolgendo la sua quotidianità e privandolo di occasione per l’espressione e la realizzazione della sua personalità nel modo esterno» (Cass. SU 26972/08)

LA PROVA DEL MOBBING E DEL DANNO

Il lavoratore deve provare:

1) La condotta (e per la concezione soggettiva l’intento lesivo)

2) Il danno

3) Il nesso di causalità tra condotta e danno

1) Prova difficile se si segue concezione soggettiva. Possibili presunzioni, prove testimoniali e documentali, valutazione condotta processuale

2) Se danno all’integrità psico-fisica occorre C.T. medico legale

3) Prova in base agli elementi già visti (età ecc.)

MOBBING E TUTELA PREVIDENZIALE

Le patologie derivanti dal M. sono malattie professionali?

Circolare INAIL 71/2003: individua ipotesi di costrittivitàorganizzativa quali possibili fonti di danni psichici

Ma TAR Lazio 2005: annulla la circ. perché integra surrettiziamente l’elenco delle malattie tabellate (per art. 10 d.lgs. 38/2000 un’apposita Commissione può individuare nuove patologie di origine professionale).

→ E’ esclusa la presunzione di causa lavorativa delle malattie sviluppate in conseg. del M. Occorre prova nesso causale

UNA SENTENZA EMBLEMATICA

Corte App. L’Aquila, 4 giugno 2015Medico chirurgo afferma: di essere stato demansionato e

mobbizzato, con conseguenti danni (biologico, morale, professionale e all’immagine)

La vicenda:

- il ricorrente è Dirigente dell’U.O. di Chirurgia Generale

- l’ASL istituisce i servizi di Day Surgery e Chirurgia Polispecialistica, ubicandoli all’interno dei locali dell’U.O. di Chirurgia Generale, dotati di autonomia gestionale e con a capo un distinto responsabile

- il ricorrente lamenta una dequalificazione per il fatto di svolgere le stesse mansioni ma in un ambito quantitativamente meno esteso

UNA SENTENZA EMBLEMATICA

La Corte nega vi sia stata una dequalificazione

Il ricorrente lamenta poi una serie di disfunzioni organizzative e il correlato maggior rischio di responsabilità professionale (v. episodi con gli infermieri), a riprova di un uso abnorme del potere organizzativo datoriale, in un’ottica vessatoria.

La Corte nega l’integrarsi del M.: «non sembra neanche che possa affermarsi che i comportamenti datoriali (…) siano stati, per sistematicità e vessatorietà, specificamente finalizzati al danneggiamento professionale, psicologico e sociale del ricorrente e che siano stati espressione di un disegno datoriale caratterizzato da intenti ritorsivi e intimidatori, in modo tale da integrare gli estremi del “c.d.mobbing”, fonte di danni alla salute del lavoratore»

UNA SENTENZA EMBLEMATICA

Per la Corte: «in termini di ripartizione dell’onere della prova in materia di mobbing, stante la natura contrattuale dell’illecito, grava sul lavoratore l’onere di provare tutta la serie di circostanze e accadimenti storici, poiché occorre necessariamente che sia dimostrato dal prestatore l’intento persecutorio che avrebbe permeato le condotte datoriali»

«I comportamenti denunciati, infatti, non appaiono connotati dal richiesto dolo specifico, non essendo ricostruibile, sulla base della documentazione allegata al ricorso e della prova testimoniale espletata in prime cure, un univoco e reiterato quadro vessatorio e persecutorio nei confronti del dipendente. La fattispecie, pertanto, non rientra nel fenomeno del mobbing, ma realizza, a tutto voler concedere, un mero conflitto interpersonale tra il lavoratore e la controparte datoriale, con conseguente infondatezza della spiegata domanda risarcitoria».