Elementi della teoria delle funzioni...

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Elementi della teoria delle funzioni analitiche Luciano Pandolfi Politecnico di Torino Dipartimento di Matematica 30 ottobre 2006

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Elementi della teoria delle funzioni analitiche

Luciano PandolfiPolitecnico di Torino

Dipartimento di Matematica

30 ottobre 2006

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Indice

1 Le funzioni olomorfe 31.1 Richiami sui numeri complessi . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4

1.1.1 Radici n–me di numeri complessi . . . . . . . . . . . . 71.1.2 Esponenziale, logaritmo, formule di Eulero . . . . . . . 8

1.2 Limiti e continuita . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 101.2.1 Derivata e integrale di funzioni da R in C . . . . . . . 11

1.3 Curve nel piano complesso . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 131.4 Funzioni da R2 in R2 e funzioni da C in C . . . . . . . . . . . 161.5 La derivata . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 18

1.5.1 Esempi di funzioni olomorfe e formule di derivazione . 221.5.2 Osservazione sui “teoremi fondamentali del calcolo dif-

ferenziale” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 251.5.3 La matrice jacobiana e le funzioni olomorfe . . . . . . . 261.5.4 Serie di potenze e serie di Laurent . . . . . . . . . . . . 28

1.6 Funzioni olomorfe e trasformazioni conformi . . . . . . . . . . 341.6.1 La rappresentazione delle funzioni olomorfe . . . . . . . 35

1.7 Integrale di curva di funzioni olomorfe . . . . . . . . . . . . . 371.8 Il teorema di Cauchy . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 411.9 Primitive . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 42

1.9.1 Curve equipotenziali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 451.9.2 Il caso della funzione z → z . . . . . . . . . . . . . . . 461.9.3 La funzione logaritmo e le potenze . . . . . . . . . . . 46

1.10 Indice e omotopia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 491.11 Convergenza uniforme sui compatti e integrazione . . . . . . . 551.12 La formula integrale di Cauchy . . . . . . . . . . . . . . . . . 57

1.12.1 La proprieta della media . . . . . . . . . . . . . . . . . 591.12.2 Funzioni olomorfe rappresentate mediante integrali . . 60

1.13 Analiticita delle funzioni olomorfe . . . . . . . . . . . . . . . . 611.13.1 Funzioni armoniche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 63

1

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2 INDICE

1.13.2 Zeri e estensioni di funzioni olomorfe . . . . . . . . . . 641.14 Il teorema di Morera e il principio di riflessione di Schwarz . . 681.15 Teoremi di Weierstrass e di Montel . . . . . . . . . . . . . . . 701.16 Il principio del massimo modulo ed il teorema di Liouville . . 731.17 Le singolarita isolate . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 771.18 Formula di Laurent . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 821.19 Singolarita e zeri ad infinito . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 881.20 Il metodo dei residui . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 90

1.20.1 Calcolo di integrali impropri . . . . . . . . . . . . . . . 911.20.2 Il Principio dell’argomento . . . . . . . . . . . . . . . . 961.20.3 I teoremi di Hurwitz e Rouche e della mappa aperta . . 97

1.21 Trasformazioni conformi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1011.21.1 Il teorema di Riemann . . . . . . . . . . . . . . . . . . 107

1.22 Monodromia e polidromia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1101.22.1 Punti di diramazione di funzioni olomorfe . . . . . . . 1101.22.2 Funzioni analitiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 111

2 Funzioni armoniche 1172.1 Funzioni armoniche e funzioni olomorfe . . . . . . . . . . . . . 1172.2 La proprieta della media e il teorema di Gauss . . . . . . . . . 1192.3 Il problema di Dirichlet per l’equazione di Laplace . . . . . . . 120

2.3.1 La formula di Poisson . . . . . . . . . . . . . . . . . . 122

3 La trasformata di Laplace 1233.1 Definizioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1233.2 Proprieta della trasformata di Laplace . . . . . . . . . . . . . 1243.3 Trasformata di Laplace, derivata ed integrale . . . . . . . . . . 1273.4 Alcune trasformate fondamentali . . . . . . . . . . . . . . . . 1313.5 Il problema dell’antitrasformata . . . . . . . . . . . . . . . . . 131

3.5.1 Antitrasformata di funzioni razionali . . . . . . . . . . 132

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Capitolo 1

Le funzioni olomorfe

3

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4 CAPITOLO 1. LE FUNZIONI OLOMORFE

1.1 Richiami sui numeri complessi

E’ nota la definizione seguente del campo dei numeri complessi:

• gli elementi del campo sono le coppie di numeri reali,

z = (x, y) =√

x2 + y2

(x√

x2 + y2,

y√x2 + y2

)

=√

x2 + y2(cos θ, sin θ) .

Si sa che il numeroρ =

√x2 + y2

si chiama modulo del numero complesso z mentre θ si chiama argomentodi z.

Il modulo del numero complesso z si indica col simbolo |z|.L’argomento di z e identificato a meno di multipli di 2π se z 6= (0, 0).Ogni θ si considera argomento di (0, 0).

Se z 6= (0, 0) e θ ∈ [−π, π), allora θ e unico e si chiama argomento

principale di z.

Per indicare l’argomento principale di z si usa il simbolo “Arg” (conl’iniziale maiuscola),

Arg z .

• L’operazione di addizione tra numeri complessi si definisce “per compo-nenti”: se z = (x, y) e w = (a, b) allora si definisce

z + w = (x + a, y + b) .

• L’operazione di moltiplicazione e definita come segue: se z = ρ(cos θ, sin θ),w = r(cos φ, sin φ) allora

zw = ρr (cos(θ + φ), sin(θ + φ)) .

E’ immediato verificare che il risultato non varia sommando multipli di2π a θ oppure a φ.

E’ noto, e facile da verificare, che in questo modo si definisce un campo,che si chiama campo dei numeri complessi . Si sa inoltre che se z = (x, y) e

w = (a, b) allora si hazw = (xa− yb, xb + ya) .

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1.1. RICHIAMI SUI NUMERI COMPLESSI 5

Figura 1.1: Le operazioni.

−0.5 0 0.5 1 1.5 2 2.5 3 3.5 4−0.5

0

0.5

1

1.5

2

2.5

3

3.5

4

x

y

a+ib

c+id

(a+c)+i(b+d)

−1 −0.5 0 0.5 1 1.5 2−1

−0.5

0

0.5

1

1.5

2

2.5

x

y

r

ρ

ψ

φ

φ+ψ

Invece, non esiste una rappresentazione semplice per la somma in coordinatepolari.

Le operazione sono rappresentate nella figura 1.1.Il campo dei numeri complessi si indica col simbolo C.Ricordiamo che se z = (x, y), il numero (x,−y) si indica col simbolo z e si

chiama il coniugato di z. Si vede facilmente che

|z|2 = zz .

L’elemento neutro rispetto all’addizione e (0, 0) mentre quello rispetto allamoltiplicazione e (1, 0). Invece il numero complesso i = (0, 1), che si chiamaunita immaginaria , ha la seguente proprieta:

i2 = ii = (−1, 0) .

Osservazione 1 In molti testi, specialmente di ingegneria, si “definisce” imediante l’uguaglianza i2 = −1. Cio e ambiguo, perche quest’equazione ha ledue soluzioni i e −i.

Notiamo ora che

z = (x, y) = (x, 0)(1, 0) + (y, 0)(0, 1)

e che la trasformazione da R in C che ad x fa corrispondere il numero (x, 0) eun omomorfismo (i numeri complessi (x, 0) si chiamano anche numeri complessi

reali ). Cio suggerisce di rappresentare ogni numero complesso z = (x, y) come

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6 CAPITOLO 1. LE FUNZIONI OLOMORFE

segue: se y = 0 invece di scrivere (x, 0) si scrive semplicemente x e invece discrivere (0, 1) si scrive i. In questo modo,

z = (x, y) = (x, 0)(1, 0) + (y, 0)(0, 1) = 1x + iy

e, sottintendendo 1, si trova la rappresentazione

z = x + iy

che si chiama la rappresentazione algebrica dei numeri complessi. Si chiama

invece rappresentazione trigonometrica la rappresentazione

z =√

x2 + y2(cos θ + i sin θ)

cos θ = x√x2+y2

sin θ = y√x2+y2

.

Si calcola facilmente che l’opposto di z = x+iy rispetto alla moltiplicazione,ossia il numero che si indica col simbolo

1

z=

1

x + iy,

e il numerox− iy

x2 + y2=

z

|z|2 .

Con la notazione trigonometrica, l’opposto di

z = r(cos θ + i sin θ)

e1

z=

1

r(cos(−θ) + i sin(−θ)) =

1

r(cos θ − i sin θ)

(si noti che l’ultima espressione scritta e una rappresentazione algebrica manon una rappresentazione trigonometrica del numero 1/z).

Il numero reale x si chiama la parte reale di z = x + iy mente il numero

reale y si chiama la parte immaginaria di z = x + iy. Essi si indicano con isimboli

<e z , Imz .

Notiamo infine: un argomento di un prodotto e la somma degli argomenti; unargomento di un quoziente e la differenza tra l’argomento del numeratore e quellodel denominatore.

Osservazione 2 Va notato esplicitamente che le affermazioni precedenti val-gono pur di scegliere un opportuno argomento. Non valgono per l’argomentoprincipale. Infatti, se z = w = i, Arg zw = −π mentre invece Arg z +Arg w =+π.

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1.1. RICHIAMI SUI NUMERI COMPLESSI 7

Interpretazione fisica delle operazioni

E’ utile vedere le relazioni tra le operazioni introdotte tra i numeri complessi ele leggi della fisica. Per l’addizione cio e facile: essa corrisponde all’addizionedi vettori, fatta componente per componente. La moltiplicazione si incontrainvece estendendo la legge di Ohm alle correnti alternate.

Va inoltre notato che quando (x, y) ed (x′, y′) sono due vettori del piano,ad essi si associano:

• il prodotto scalare xx′ + yy′;

• il prodotto vettoriale, che e un vettore di R3, uguale a (xy′ − x′y)k.

I due numeri (xx′ + yy′) e xy′− x′y si ritrovano calcolando il prodotto zw conz = x + iy, w = x′ + iy′:

zw = (xx′ + yy′) + i(xy′ − x′y).

1.1.1 Radici n–me di numeri complessi

Sia z un numero complesso. Si chiamano radici n–me di z i numeri w tali chewn = z. Se z = 0 si vede subito che c’e una sola radice n–ma, w = 0. Invece,ogni z 6= 0 ha n radici n–me. Se

z = r(cos θ + i sin θ)

ciascuno dei numeri

n√

r

(cos

(θ + 2kπ

n

)+ i sin

(θ + 2kπ

n

))

verifica wn = z, qualunque sia il numero intero (positivo o meno) k. E’ facilevedere pero che soltanto i valori di k

k = 0 , 1 , . . . , n− 1

danno valori distinti. Dunque z 6= 0 ha esattamente n radici n–me le qualisono vertici di un poligono regolare di n lati e appartengono alla circonferenza

di centro 0 e raggio n

√|z|.

Ciascuna delle funzioni

f(z) = |z|1/nei(Argz+2kπ/n)

si chiama una determinazione della radice n–ma.

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8 CAPITOLO 1. LE FUNZIONI OLOMORFE

1.1.2 Esponenziale, logaritmo, formule di Eulero

Si definisceez = ex+iy = exeiy

dove ex e il valore noto dai corsi relativi alle funzioni di variabile reale mentreeiy e ancora da definire. Si definisce

eiy = cos y + i sin y .

In questo modo,ez = ex+iy = ex(cos y + i sin y) . (1.1)

Dunque, la rappresentazione trigonometrica

r(cos θ + i sin θ)

si puo anche scrivere comeelog r+iθ .

Si vede immediatamente che, se y = 0, allora ez = ex+i0 = ex + i0, numerocomplesso reale e, usando le formule di trigonometria, si vede subito che vale

ez+w = ezew .

Vale inoltre: ∣∣∣ex+iy∣∣∣ = ex .

In particolare, l’equazione ez = 0 non ha soluzioni.La funzione esponenziale ha sul piano complesso una proprieta inattesa: la

funzione ez e periodica di periodo 2πi.Dalla (1.1) seguono immediatamente le formule d’ Eulero

cos y =eiy + eiy

2, sin y =

eiy − e−iy

2i.

Queste suggeriscono di estendere le funzioni trigonometriche al piano comples-so, definendo

cos z =eiz + eiz

2, sin z =

eiz − e−iz

2i.

Si suggerisce di risolvere le equazioni

cos z = w , sin z = w

rispetto a z notando che ambedue le funzioni cos z e sin z sono suriettive (equindi in particolare illimitate).

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1.1. RICHIAMI SUI NUMERI COMPLESSI 9

Conviene ora introdurre il logaritmo di numeri complessi. Sia z 6= 0. I

logaritmi (in base e) di z sono quei numeri w tali che ew = z. Si rappresentiz in forma trigonometrica,

z = r(cos θ + i sin θ)

e w in forma algebrica,w = x + iy .

Allora, w e un logaritmo di z quando

ex(cos y + i sin y) = r(cos θ + i sin θ) .

Questo avviene sex = log r , y = θ + 2kπ

con k numero intero qualsiasi. Dunque, ogni numero complesso non nullo hainfiniti logaritmi (e quindi, la funzione ew prende ogni valore non nullo):

log z = log |z|+ i arg z

ove arg z e uno qualsiasi degli argomenti di z e log |z| e il logaritmo del numeroreale |z| definito nei corsi precedenti.

La non unicita del logaritmo dipende dal fatto che esso e definito comeinverso di una funzione periodica.

Si chiama logaritmo principale di z il numero

Log z = log |z|+ iArg z

(si noti l’uso dell’iniziale maiuscola).Dunque, ciascuna delle funzioni

log z = log |z|+ i(2kπ + Argz) (1.2)

verificaz = elog z=log |z|+i(2kπ+Argz) .

Per questa ragione, si dice che ciascuna delle funzioni in (1.2) e una determinazionedel logaritmo.

Definito il logaritmo, e facile definire le potenze zα ad esponente α qual-

siasi, reale o complesso. Se α = 0 si pone z0 = 1 (salvo il caso z = 0. Alsimbolo 00 non si attribuisce significato). Altrimenti si definisce

zα = eαlog z .

Si vede facilmente che se α e intero positivo, α = n, si ritrova zn; se α = 1/nsi ritrovano le radici n–me. In generale pero la potenza ha infiniti valori.

Si calcolino per esercizio le potenze ii, 1i, (−1)i individuando la cardinalitadell’insieme dei loro valori.

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10 CAPITOLO 1. LE FUNZIONI OLOMORFE

Osservazione importante

Abbiamo notato che vale la formula

ez+w = ezew .

La formula corrispondente,

log zw = log z + log w

vale, ma va interpretata come uguaglianza di insiemi.Se A e B sono insiemi di numeri complessi, definiamo

A + B = a + b , a ∈ A , b ∈ B .

Notiamo ora che

log zw = log |zw|+ i (arg(zw) + 2kπ)

= log |z|+ log |w|+ i (arg z + arg w + 2kπ)

= log |z|+ i (arg z + 2nπ)+ log |w|+ i (arg w + 2mπ) = log z + log w .

La formula corrispondente NON vale se si intende di lavorare con i logaritmiprincipali, come mostra l’esempio seguente:

Esempio 3 Il logaritmo principale di i e

Log i = iπ/2

e2Log i = iπ .

Invece,Log(−1) = Log(i2) = −iπ 6= 2Log i .

1.2 Limiti e continuita

La funzionez → |z|

e una norma su C (l’immediata verifica si lascia per esercizio) e quindi epossibile definire una topologia su C, introducendo gli intorni . L’intorno diz0 di raggio r e l’insieme

z | |z − z0| < r .

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1.2. LIMITI E CONTINUITA 11

Geometricamente si tratta di un disco (privato della circonferenza) di centroz0 e raggio r.

Definiti gli intorni, e quindi la topologia, e ovvia la definizione di limite diuna successione (zn): si dice che lim zn = z0 quando per ogni ε > 0 esiste Nε

tale che per ogni n > Nε vale

|zn − z0| < ε .

Sia zn = xn + iyn, z0 = x0 + iy0. Si provi per esercizio che lim zn = z0 se esolo se lim xn = x0 e anche lim yn = y0.

Si lascia per esercizio di adattare la definizione di limite e di continuitanota dal corso di topologia al caso delle funzioni da R in C, da C in R e daC in C.

Per esercizio, si mostri che sono continue le seguenti funzioni:

z → z , z → |z| , z → <e z , z → Im z , z → z . (1.3)

Di conseguenza sono continui tutti i polinomi. Si studi invece la continuitadella funzione

z → Arg z ,

mostrando che questa e continua salvo che nei punti dell’asse reale negativo.

Osservazione 4 Di conseguenza, anche le determinazioni del logaritmo sonocontinue in tutti i punti, salvo quelli dell’asse reale negativo. Asserto analogovale per le determinazioni della radice n–ma.

1.2.1 Derivata e integrale di funzioni da R in C

Sia t → z(t) = x(t) + iy(t) una funzione definita su un intervallo (a, b) e siat0 ∈ (a, b). Ovviamente, definiremo

z′(t0) = limh→0

z(t0 + k)− z(t0)

h= x′(t0) + iy′(t0) . (1.4)

Vediamo due esempi:

Esempio 5 Sia α = a + ib un numero complesso e sia

z(t) = x(t) + iy(t) = eαt = eat(cos bt + i sin bt) .

Si verifica immediatamente che

x′(t) = ax(t)− by(t) , y′(t) = ay(t) + bx(t)

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12 CAPITOLO 1. LE FUNZIONI OLOMORFE

e quindi

z′(t) = ax(t)− by(t) + i[ay(t) + bx(t)] = (a + ib)(x(t) + iy(t)) = αeαt .

Si ritrova quindi l’usuale formula di derivazione dell’esponenziale.

Esempio 6 La funzione z → Arg z e discontinua nei punti dell’asse realenegativo. Inoltre, per ogni numero complesso α,

Arg αt =

Arg α se t > 0(Arg α)− π se t < 0 .

E’ quindi derivabile in ogni t 6= 0, con derivata nulla. Ne segue che ciascunadelle funzioni

log αt = log |αt|+ i[Arg(αt) + 2kπ] = log (|α||t|) + i[Arg(αt) + 2kπ]

e derivabile per t 6= 0 e la derivata e

d

dtlog αt =

1

|αt| |α|sgn t =1

t.

Se z(t) = x(t) + iy(t), t ∈ [a, b], definiamo

∫ b

az(t) dt =

∫ b

ax(t) dt + i

∫ b

ay(t) dt .

E’ immediato dalla definizione che:

<e∫ b

az(t) dt =

∫ b

a<e z(t) dt ,

Im∫ b

az(t) dt =

∫ b

aImz(t) dt ,

∫ b

az(t) dt =

∫ b

az(t) dt .

Sia ora (zn(t)) una successione di funzioni continue su [a, b], convergenteuniformemente a z0(t). Applicando il teorema di scambio tra limiti ed integralidi Riemann alla parte reale ed alla parte immaginaria, si vede che

lim∫ b

azn(t) dt =

∫ b

az0(t) dt .

Sia ora z(t, s) una funzione di due variabili reali t ed s, con (t, s) ∈ [a, b]×[c, d], a valori complessi. Applicando alla parte reale e alla parte immaginaria

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1.3. CURVE NEL PIANO COMPLESSO 13

di z i corrispondenti teoremi relativi alle funzioni a valori reali si trova che sez(t, s) e continua nelle due variabili,

s →∫ b

az(t, s) dt (1.5)

e continua in s. Se z(t, s) e di classe C1((a, b) × (c, d)) allora la funzione ederivabile e, dalla (1.4),

d

ds

∫ b

az(t, s) dt =

∫ b

a

∂sz(t, s) dt .

1.3 Curve nel piano complesso

Chiameremo curva parametrica una funzione t → z(t) continua da un in-

tervallo limitato e chiuso [a, b] in C. Diremo che la curva e chiusa quando

z(a) = z(b) e diremo che e semplice se z(t) = z(t′) puo solo aversi per t = t′

oppure per t = a e t′ = b (in questo caso la curva e semplice e chiusa ).

Diremo che la curva e regolare quando

z′(t) = x′(t) + iy′(t)

esiste per ogni t ∈ (a, b) con |z′(t)| 6= 0 per ogni t.Se la derivata non esiste, oppure e nulla, solamente in un numero finito

di punti e in tali punti esistono finiti i limiti di z′(t) da destra e da sinistra,diremo che la curva e regolare a tratti . Una curva regolare a tratti si dira un

cammino .Una curva regolare a tratti ottenuta giustapponendo segmenti si chiamera

una poligonale . Chiameremo poligono una poligonale chiusa.

L’immagine della funzione z(t) si chiama il sostegno della curva. La curva

e chiusa quando z(a) = z(b), ed e semplice se la condizione a < t′ < t′′ < bimplica che z(t′) 6= z(t′′).

Una curva semplice e chiusa si chiama anche curva di Jordan e divideil piano in due regione, una limitata e una illimitata. La regione limitata sidice interna alla curva. Quest’asserto, apparentemente semplice, e invecedi dimostrazione molto difficile. Pero in pratica, e anche per gli usi teorici,le curve che e necessario usare sono “molto semplici” (per esempio poligonali,circonferenze, ellissi o riunione di un numero finito di archi di tali curve). In talcaso e facile individuare la regione interna ed e anche facile vedere se la curvae orientata positivamente . Cio avviene quando, al passare del parametro t

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14 CAPITOLO 1. LE FUNZIONI OLOMORFE

da a a b, il punto mobile sulla curva vede la regione interna alla sua sinistra(regola d’ Ampere .).

Se non esplicitamente detto il contrario, assumeremo sempre che le curve concui si lavora siano orientate positivamente.

La regione interna ad una curva di Jordan si chiama anche regione diJordan .

Notiamo esplicitamente questa proprieta: se γ e una curva di Jordan il cuisostegno e contenuto nella regione di Jordan Ω, e se Ωγ indica la regione interaa γ, vale

Ωγ ⊆ Ω .

Questa proprieta generalmente non vale se Ω non e di Jordan.Un’ulteriore proprieta che e bene conoscere e la seguente: se due curve

z = z(t) , t ∈ [a, b] , ζ = ζ(τ) τ ∈ [α, β]

sono semplici ed hanno la medesima immagine allora esiste un cambiamento diparametro

t = t(τ)

tale cheζ(τ) = z(t(τ))

e inoltre la funzione τ → t(τ) e crescente oppure decrescente da [α, β] su [a, b] (equindi e anche continua). Detto in altro modo, a meno di riparametrizzazioni,il sostegno di una curva semplice e sostegno solamente di una seconda curva,che si ottiene dalla prima cambiando il verso di percorrenza. Questa proprietapermette di semplificare il nostro linguaggio come segue: dato per esempioun quadrato, esiste un’unica curva che lo ha per sostegno e che e orientatapositivamente. Allora chiameremo “curva” il quadrato, intendendo con ciodi considerare quella curva semplice che e orientata positivamente e che ha ilquadrato assegnato come sostegno. Potremo ricorrere a questa semplificazionedi linguaggio solamente quando il sostegno che consideriamo e sostegno di unacurva semplice e chiusa.

Una curva si indichera con una lettera greca minuscola, per esempio γ. Sela curva e semplice e chiusa, la sua regione interna si indica col simbolo Ωγ.

Richiamiamo il teorema seguente:

Teorema 7 (Formula di Stokes nel piano ) Siano u(x, y) e v(x, y) di clas-

se C1 in una regione di Jordan Ω e sia γ una curva semplice e chiusa in Ω.Vale: ∫

γu dx + v dy =

Ωγ

[vx(x, y)− uy(x, y)] dx dy .

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1.3. CURVE NEL PIANO COMPLESSO 15

Si sa inoltre che questa formula si estende al caso in cui si abbiano duecurve, γ nella regione Ω e η nella regione Ωγ. In questo caso la formula diGreen assume la forma

γu dx + v dy −

ηu dx + v dy =

Ωγ−Ωη

[vx(x, y)− uy(x, y)] dx dy . (1.6)

Da questa forma faremo discendere tutti i risultati relativi alle funzioniolomorfe che vedremo.

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16 CAPITOLO 1. LE FUNZIONI OLOMORFE

1.4 Funzioni da R2 in R2 e funzioni da C in C

Dato che i numeri complessi sono coppie di numeri reali, ogni funzione

(x, y) → ( u(x, y), v(x, y) ) (1.7)

si puo intendere come funzione a valori complessi

(x, y) → u(x, y) + iv(x, y)

e si puo anche voler rappresentare il suo dominio con le notazioni dei numericomplessi,

(x, y) = x + iy = z .

Essendo

x =z + z

2, y =

z − z

2ila funzione in (1.7) si puo anche rappresentare come

f(z) = u(

z + z

2,z − z

2i

)+ iv

(z + z

2,z − z

2i

)(1.8)

Notiamo, infatti, che z e funzione di z.Notiamo subito una dissimmetria tra l’insieme di partenza e l’insieme d’ar-

rivo: la relazione di coniugio appare nella formula (1.8) soltanto applicata allavariabile z.

Anche la via opposta si puo seguire: se w = f(z) si puo scrivere

w = f(z) = f(x + iy) = u(x, y) + iv(x, y)

con u e v le parti reale ed immaginaria di f e x, y le parti reale ed immagina-ria di z. Cio suggerisce che la teoria delle funzioni di variabile complessa siaun modo diverso di formulare la teoria delle funzioni da R2 in se. In realtavedremo che le cose non sono cosı semplici. Pero, almeno al livello della rap-presentazione grafica l’identificazione appena presentata e utile. Una funzioneda C in se si rappresenta:

• rappresentando su R2 (insieme di arrivo) l’immagine di una griglia trac-ciata su R2 (insieme di partenza);

• rappresentando in R3 il grafico della funzione

(x, y) → |u(x, y) + iv(x, y)|e tracciando su tale grafico le linee identificate da

arg f(z) = cost .

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1.4. FUNZIONI DA R2 IN R2 E FUNZIONI DA C IN C 17

Di una terza rappresentazione diremo piu avanti.Consideriamo alcuni esempi.

• Esempio 1. Sia

u(x, y) = x , v(x, y) = −y .

Con notazione complessa questa funzione si rappresenta come

z → z .

• Esempio 2. Sia

u(x, y) = x2 + y2 , v(x, y) = 0 .

Con notazione complessa questa funzione si rappresenta come

z → zz .

• Esempio 3. Sia

u(x, y) = x2 + y2 , v(x, y) = 2xy .

Con notazione complessa questa funzione si rappresenta come

z → zz − i

2(z2 − z2) .

• Esempio 4. Sia

u(x, y) = x2 − y2 , v(x, y) = 2xy .

Con notazione complessa questa funzione si rappresenta come

z → z2 .

Notiamo che ciascuna delle funzioni degli esempi precedenti, come funzionedelle due variabili reali x ed y, e di classe C1. Cerchiamo pero di calcolare illimite del rapporto incrementale

limz→z0

f(z)− f(z0)

z − z0

.

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18 CAPITOLO 1. LE FUNZIONI OLOMORFE

Nel case dell’esempio 4 questo si riduce a

limz→z0

z2 − z20

z − z0

= limz→z0

(z − z0)(z + z0)

z − z0

= 2z0 .

Dunque, il limite esiste in ciascun punto z0. Invece nel caso dell’esempio 2 illimite esiste solo per z0 = 0. Infatti, se z0 = 0 si ha

limz→0

zz

z= lim

z→z0z = 0 .

Se pero z0 6= 0 si trova

limz→z0

zz − z0z0

z − z0

= limz→z0

z − z0

z − z0

z + z0z − z0

z − z0

.

Dato che

limz→z0

z0z − z0

z − z0

esiste, uguale a z0, rimane da capire se esiste anche il limite del primo addendo.Scrivendo

z − z0

z − z0

=x− x0 + i(y0 − y)

x− x0 + i(y − y0)

si vede che il limite non esiste. Infatti, calcolando il limite lungo la retta y = y0

si trova +1 mentre calcolandolo lungo la retta x = x0 si trova −1.Si ritrovi l’esistenza del limite quando z0 = 0, per questa via.In modo analogo si vede che il limite non esiste nemmeno nel caso delle

funzioni degli esempi 1 e 3.Quando il limite del rapporto incrementale esiste, naturalmente lo chiame-

remo derivata. Gli esempi precedenti mostrano che questo concetto di derivataapparentemente non ha relazioni con le derivate nel campo reale. Una relazionein realta esiste, e la vedremo ai paragrafi 1.5 e 1.5.3.

Possiamo ora spiegare quale e l’oggetto della cosı detta Teoria delle fun-zioni. Per antonomasia si chiama in questo modo la teoria delle funzioni divariabile complessa, che sono derivabili in ciascun punto di una regione. Laderivata si intende nel senso del limite del rapporto incrementale, il rapportoessendo calcolato per mezzo del quoziente di numeri complessi.

1.5 La derivata

I numeri complessi costituiscono un campo e quindi e lecito studiare i rapportiincrementali

f(z0 + h)− f(z0)

h.

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1.5. LA DERIVATA 19

L’esistenza di una norma su C permette di studiarne il limite per h → 0. Sequesto esiste finito, si chiama la derivata di f(z) in z0.

In pratica, la derivabilita in un solo punto ha ben poco interesse nella teoriadelle funzioni di variabile complessa. Piuttosto, interessa studiare le funzioniche sono derivabili in ciascun punto di una regione.

Si noti che gli intorni dei punti in C sono dischi: h tende a zero prendendotutti i valori in dischi centrati in 0. In particolare, se la derivata esiste, i limiticalcolati con h = x + i0 ed x → 0 e con h = 0 + iy ed y → 0 esistono e sonouguali. Dunque, se esiste f ′(z0) esistono anche ambedue le derivate parziali in(x0, y0) sia di u(x, y) che di v(x, y). Queste non sono indipendenti, come oravediamo.

Teorema 8 Se f ′(z) esiste per ogni z in Ω, z = x + iy, allora valgono leuguaglianze

ux(x, y) = vy(x, y) , uy(x, y) = −vx(x, y) (1.9)

e inoltre

f ′(x + iy) = ux(x, y) + ivx(x, y) = vy(x, y)− iuy(x, y)

=1

2ux(x, y) + vy(x, y)− i[uy(x, y)− vx(x, y)] =

1

2

[∂f

∂x− i

∂f

∂y

].

(1.10)

Dim. Il calcolo e immediato:

limh→0 h∈R

u(x + h, y) + iv(x + h, y)− u(x, y)− iv(x, y)

h= ux(x, y) + ivx(x, y)

e questo limite deve essere uguale sia ad f ′(z) che a

limk→0 k∈R

u(x, y + k) + iv(x, y + k)− u(x, y)− iv(x, y)

ik= −iuy(x, y) + vy(x, y) .

Dunque valgono le uguaglianze (1.9) e le espressioni (1.10) per la derivata.

Le equazioni (1.9) sono importantissime e vanno sotto il nome di condizioni

di Cauchy–Riemann .Vicevera:

Teorema 9 Siano u(x, y) e v(x, y) due funzioni di classe C1 su una regioneΩ. Si definisca

f(z) = f(x + iy) = u(x, y) + iv(x, y) .

Se le funzioni u(x, y) e v(x, y) soddisfano alle condizioni di Cauchy–Riemannsu Ω, allora la funzione f(z) e derivabile ed f ′(z) e continua.

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20 CAPITOLO 1. LE FUNZIONI OLOMORFE

Sia h = α + iβ. Scriviamo

f(z + h)− f(z) = u(x + α, y + β)− u(x, y) + i[v(x + α, y + β)− v(x, y)] .

Essendo le due funzioni u e v di classe C1, si puo applicare ad esse il teoremadella media

u(x + α, y + β)− u(x, y) = ux(x1, y1)α + uy(x1, y1)β

v(x + α, y + β)− v(x, y) = vx(x2, y2)α + vy(x2, y2)β

con (x1, y1) e (x2, y2) punti opportuni nel rettangolo di vertici (x, y), (x+α, y),(x, y + β), (x + α, y + β).

Quando α e β tendono a zero sia (x1, y1) che (x2, y2) tendono ad (x, y).

Usando le condizioni di Cauchy–Riemann scriviamo

f(z + h)− f(z) = [ux(x1, y1) + ivx(x2, y2)]α + [uy(x1, y1) + ivy(x2, y2)]β

= [ux(x1, y1) + ivx(x2, y2)]α + [−vx(x1, y1) + iux(x2, y2)]β

= [ux(x1, y1) + ivx(x2, y2)]α + i[ux(x2, y2) + ivx(x2, y2)]β

= [ux(x1, y1) + ivx(x2, y2)](α + iβ)

+i [ux(x2, y2)− ux(x1, y1)] + i[vx(x1, y1)− vx(x2, y2)] β .

Essendo β = Imh, vale |β/h| < 1 e inoltre la parentesi graffa tende a zero perh → 0 perche, per ipotesi, le funzioni u e v sono di classe C1. La parentesiquadra tende a [ux(x, y) + ivx(x, y)] cosı che

f ′(z) = limh→0

f(z + h)− f(z)

h= [ux(x, y) + ivx(x, y)] .

Cio prova l’esistenza della derivata in ciascun punto. Inoltre, da questa for-mula si vede che f ′(z) e continua perche sia ux(x, y) che vx(x, y) sono funzionicontinue.

Le funzioni f(z) che sono derivabili con continuita su una regione Ω si

chiamano funzioni olomorfe .

E’ bene dire che il requisito della continuita nella definizione precedentepotrebbe rimuoversi, grazie al seguente risultato, che non proviamo:

Teorema 10 se la funzione continua f(z) e derivabile in ciascun punto dellaregione Ω allora la sua derivata f ′(z) e continua.

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1.5. LA DERIVATA 21

Introduciamo infine due notazioni. L’uguaglianza (1.10) suggerisce di in-trodurre la notazione ∂/∂z, definita da

∂zf(z) =

1

2

[∂

∂x− i

∂y

]f(x + iy) =

1

2

[∂f

∂x− i

∂f

∂y

]= f ′(z)

mentre le condizioni di Cauchy–Riemann (1.9) suggeriscono l’introduzionedella notazione ∂/∂z, definita da

∂zf(z) =

1

2

[∂

∂x+ i

∂y

]f(x+ iy) =

1

2

[∂

∂xf + i

∂yf

]=

1

2[ux + ivx + iuy−vy] .

E quindi le condizioni di Cauchy–Riemann si scrivono

∂zf(z) = 0 .

Notiamo due conseguenze immediate delle condizioni di Cauchy–Riemann:

Teorema 11 Sia f(z) una funzione olomorfa su una regione Ω. Supponiamoinoltre che essa prenda valori reali. Allora, essa e costante.

Dim. Se la funzione prende valori reali allora v(x, y) e identicamente zero equindi ux(x, y) ed uy(x, y) sono identicamente nulle su Ω per le condizioni diCauchy–Riemann e quindi anche u(x, y) e costante.

Lemma 12 Sia f(z) olomorfa su un disco D su cui |f(z)| e costante. Alloraf(z) stessa e costante su D.

Dim. Per ipotesi, su D vale

|f(x + iy)|2 = |u(x, y) + iv(x, y)|2 = u2(x, y) + v2(x, y) = c .

Proviamo che f(z) stessa e costante. Questo e ovvio se c = 0. Sia quindic > 0. Derivando e usando le condizioni di Cauchy–Riemann si trova

0 = 2[uux + vvx] = 2[uux − vuy] , 0 = 2[uuy + vvy] = 2[uuy + vux] .

Moltiplicando la prima per u e la seconda per v e sommando si trova

0 = (u2 + v2)ux = cux

e quindi ux = 0, perche c > 0. In modo analogo si vede che uy = 0 e quindi u ecostante. Dalle condizioni di Cauchy–Riemann segue che anche v e costante.

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22 CAPITOLO 1. LE FUNZIONI OLOMORFE

1.5.1 Esempi di funzioni olomorfe e formule di deriva-zione

Dal Teorema 11, le funzioni

z → <e z , z → Imz , z → |z| , z → Argz

non sono olomorfe. Abbiamo gia notato che l’ultima non e nemmeno conti-nua sull’asse reale negativo; e, e del tutto ovvio che una funzione olomorfa econtinua. La dimostrazione e la stessa come per le funzioni di variabile reale.Dunque in particolare log z non e olomorfa in una regione che interseca l’assereale negativo. Inoltre, le usuali regole di derivazione della somma, del prodotto,del quoziente e della funzione composta valgono anche per funzioni di variabilecomplessa, con le medesime dimostrazioni come nel caso delle funzioni di unavariabile reale. Di conseguenza, dato che f(z) = z e ovviamente derivabile,con derivata uguale ad 1, i polinomi sono funzioni olomorfe e, al di fuori deipoli, sono anche funzioni olomorfe le funzioni razionali.

Mostriamo:

Teorema 13 La funzione z → ez e olomorfa su C e coincide con la suafunzione derivata.

Dim. Infatti,

ez = ex+iy = [ex cos y] + i[ex sin y] .

Dunque, per questa funzione,

u(x, y) = [ex cos y] , v(x, y) = [ex sin y] .

E’ immediato verificare che queste funzioni sono di classe C1 su C, e verificanole condizioni di Cauchy–Riemann.

Dalla (1.10) si trova immediatamente che la derivata di ez e

ux(x, y) + ivx(x, y) = ex cos y + iex sin y = ez .

Di conseguenza, grazie alle formule di Eulero, le funzioni trigonometriche so-no olomorfe e si vede facilmente che per esse valgono le usuali regole di derivazione,come nel caso reale.

Si e notato che la funzione Log z non e continua e quindi nemmeno olomorfasu C, e cio mostra che e necessaria una certa cautela nel derivare funzioniinverse. Se pero si sa “a priori” che g(z) e la funzione inversa della funzione

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1.5. LA DERIVATA 23

olomorfa f(z) e che g(z) stessa e olomorfa, allora si puo applicare la regoladella derivazione della funzione composta all’uguaglianza

f(g(z)) = 1

e trovare per g′(z) l’usuale formula,

g′(z) = 1/f ′(g(z)) . (1.11)

Torneremo su questo problema al paragrafo 1.5.3.

Studiamo ora le determinazioni di log z, usando direttamente le condizioni di Cauchy–Riemann. Piu avanti ritroveremo questi stessi risultati in modo meno diretto, ma piu velocee piu generale.

Il fatto che le funzioni logaritmo e radice non siano continue su C, non vieta che essesiano olomorfe su regioni piu piccole. Per capire se cio accade, conviene scrivere le condizionidi Cauchy–Riemann in coordinate polari. Notiamo prima di tutto che se

x = ρ cos θ , y = ρ sin θ ,

derivando la seconda rispetto ad x si trova

0 = ρx sin θ + ρ(cos θ)θx

e quindi

θx = −ρx

ρ

sin θ

cos θ= −ρx

ρ

y

x= − x

ρ2

y

x= − y

ρ2. (1.12)

Infatti si calcola immediatamente, da ρ =√

x2 + y2,

ρx =x

ρ, ρy =

y

ρ.

In modo analogo si vede cheθy =

x

ρ2. (1.13)

Osservazione 14 Per la validita di queste formule si richiede ρ 6= 0. Noi le abbiamo provatesupponendo anche cos θ 6= 0, sin θ 6= 0 ma questa condizione immediatamente si rimuove.Infatti, studiando lo jacobiano della trasformazione (ρ, θ) → (x, y) si vede che questo nonsi annulla per ρ 6= 0 e quindi ρ(x, y) e θ(x, y) sono di classe C1 sul piano (x, y) privatodell’origine; e quindi ivi si estendono per continuita le formule che abbiamo trovato.

Sia oraf(z) = f(x + iy) = u(x, y) + iv(x, y) .

Sia U(ρ, θ) la funzione che nel punto (ρ, θ) prende come valore u(ρ cos θ, ρ sin θ). In modoanalogo definiamo V (ρ, θ). E’ immediato notare che U e V sono di classe C1, nelle variabiliρ e θ, se e solo se rispettivamente u e v sono di classe C1 nelle variabili x ed y. Inoltre,

Uρ = ux cos θ + uy sin θ .

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24 CAPITOLO 1. LE FUNZIONI OLOMORFE

Se valgono le condizioni di Cauchy–Riemann,

Uρ = vy cos θ − vx sin θ .

Analogamente,Vθ = −vxρ sin θ + vyρ cos θ .

Si intende che le funzioni u e v sono calcolate nel punto x = ρ cos θ, y = ρ sin θ.Dunque, se le condizioni di Cauchy–Riemann valgono, si ha anche

ρUρ = Vθ e analogamente ρVρ = −Uθ . (1.14)

Viceversa, le (1.14) implicano le condizioni di Cauchy–Riemann. Infatti,

ux = Uρx

ρ− Uθ

y

ρ2

vy = Vρy

ρ+ Vθ

x

ρ2= −1

ρUθ

y

ρ+ ρUρ

x

ρ2

da cuiux = vy e analogamente uy = −vx .

Introduciamo oraF (ρ, θ) = U(ρ, θ) + iV (ρ, θ) .

Con questa notazione, le (1.14) valgono se e solo se

iρFρ = Fθ . (1.15)

Usiamo (1.15) per studiare la funzione

f(z) =√

ρ[cos θ/2 + i sin θ/2]

nella regioneρ > 0 , −π ≤ θ < π . (1.16)

E’ ovvio che la funzione, come funzione delle due variabili reali ρ e θ, equivalentementex ed y, e di classe C1. Si vede che e olomorfa notando che su questa regione vale lacondizione (1.15).

Analogo discorso vale per ogni determinazione di z1/n.In modo analogo si tratta la funzione

f(z) = log |z|+ iArg z + 2kπi ,

con k fissato, ancora sulla regione (1.16). Applicando il teorema della funzione implicita allerelazioni

x = ρ cos θ , y = ρ sin θ

valide per ρ > 0 e −π ≤ θ < π, si vede che la funzione (ρ, θ), come funzione di x e di y, e diclasse C1 e quindi lo stesso vale per ciascuna funzione log |z|+ iArg z+2kπi, in −π < θ < π.

Un calcolo immediato mostra che la condizione (1.15) e soddisfatta e quindi mostra checiascuna delle funzioni log z e olomorfa.

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1.5. LA DERIVATA 25

Usando la (1.11) si vede ora che ciascuna delle determinazioni della funzione log z, lettasu su π < Argz < π, ha per derivata 1/z, per ogni z nella regione (1.16). Infatti,

eLog z+2kπi = z

e quindi

1 = eLog z+2kπi ddz

(Log z + 2kπi) =ddz

(Log z + 2kπi) z ,

ddz

(Log z + 2kπi) =1z

.

Osserviamo ora un fatto imbarazzante: θ = −π non ha una relazione intrinseca conle funzioni logaritmo (e nemmeno con le radici), ma solo dipende dalla nostra scelta perl’argomento principale. Avessimo scelto per esempio 0 ≤ θ < 2π avremmo trovato funzioniolomorfe nel piano privato dell’asse reale positivo; avessimo scelto π/2 ≤ θ < 5π/2 avremmotrovato funzioni olomorfe ovunque, salvo che sull’asse immaginario positivo.

Piu avanti diremo qualcosa di piu su questo problema. Per ora limitiamoci a notarecio.

1.5.2 Osservazione sui “teoremi fondamentali del calco-lo differenziale”

Nella teoria delle funzioni di una variabile reale, si chiamano “teoremi fonda-mentali del calcolo differenziale” varie formulazioni del teorema di Rolle: siaf(x) continua per x ∈ [a, b], a valori in R e tale che f(a) = f(b) = 0. Siainoltre f(x) derivabile in ciascun punto di (a, b). Esiste un punto c ∈ (a, b) nelquale la derivata si annulla.

In particolare una funzione da R in se, derivabile e periodica, ha derivatanulla in infiniti punti.

E’ importante notare che asserti analoghi non valgono per le funzioni olo-morfe.

Esempio 15 La funzione f(z) = ez e olomorfa e periodica. Si e visto che lasua derivata e

f ′(z) = ez

mai nulla.

E’ importante discutere la ragione di cio. Ricordiamo che la dimostrazionedel teorema di Rolle si basa sul teorema di Fermat, che a sua volta dipendedalla regola dei segni: il prodotto di numeri di segno concorde e positivo. Noinon abbiamo introdotto una relazione d’ordine tra i numeri complessi. E’pero possibile introdurne infinite. Per esempio si puo introdurre l’ordinamento

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26 CAPITOLO 1. LE FUNZIONI OLOMORFE

lessicografico : x + iy viene prima di x′ + iy′ se x < x′ oppure se x = x′ ma

y < y′. In questo modo i numeri “positivi”, ossia maggiori di 0, sono quellidi parte reale strettamente positiva oppure quelli con la parte reale nulla eparte immaginaria positiva. Queste proprieta non sono conservate facendo ilprodotto. Per esempio, i · i = −1. In generale, la regola dei segni non vale tra inumeri complessi, qualsiasi sia la relazione d’ordine che si voglia usare.

E’ appena il caso di notare che i problemi che si incontrano con la continuitae la derivabilita della funzione inversa hanno un’origine analoga. Si ricordiinfatti che il teorema della funzione monotona interviene (in modo alquantonascosto) nella dimostrazione della derivabilita della funzione inversa di unafunzione da R in se.

1.5.3 La matrice jacobiana e le funzioni olomorfe

Siano u(x, y) e v(x, y) rispettivamente la parte reale ed immaginaria di unafunzione olomorfa f(z). La funzione (x, y) → (u(x, y), v(x, y)) e una trasfor-mazione da R2 in se, la cui matrice jacobiana e

J =

[ux(x, y) uy(x, y)vx(x, y) vy(x, y)

]=

[ux(x, y) uy(x, y)−uy(x, y) ux(x, y)

]

e quindi lo jacobiano e

u2x(x, y) + u2

y(x, y) .

Dunque:

Teorema 16 Sia f(x + iy) = u(x, y) + iv(x, y) una funzione olomorfa. Lojacobiano e non nullo in un punto (x, y) se e solo se f ′(x + iy) 6= 0. In talepunto lo jacobiano e positivo.

Si ricordi che lo jacobiano e positivo quando la trasformazione a cui essocorrisponde conserva l’orientazione di R2; equivalentemente, quando l’areaorientata di un triangolo ha il medesimo segno prima e dopo la trasformazione.

Possiamo ora esaminare nuovamente il problema della derivazione dellafunzione inversa di una funzione olomorfa.

Teorema 17 Sia f(z) olomorfa su una regione Ω, e con derivata non nulla.La funzione e localmente invertibile e la sua inversa e olomorfa.

Dim. Sia

f(x + iy) = u(x, y) + iv(x, y) .

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1.5. LA DERIVATA 27

Si e appena visto che lo jacobiano della trasformazione di classe C1 su R2

(x, y) → (u(x, y), v(x, y))

non si annulla e quindi la trasformazione e localmente invertibile. Inoltre, latrasformazione inversa, che indichiamo col simbolo

(u, v) → (x(u, v), y(u, v)) ,

e di classe C1.Si e visto che la matrice jacobiana della trasformazione e

J =

[ux(x, y) uy(x, y)−uy(x, y) ux(x, y)

]

e si vede immediatamente che

J ′J =

[u2

x + u2y 0

0 u2x + u2

y

]

cosı che

J−1 =1

u2x + u2

y

J ′ =1

u2x + u2

y

[ux(x, y) −uy(x, y)uy(x, y) ux(x, y)

].

D’altra parte, J−1 calcolato nel punto (u, v) che proviene da (x, y) e

[xu(u, v) xv(u, v)yu(u, v) yv(u, v)

]

cosı chexu = yv , yu = −xv ,

ossia la trasformazione (u, v) → (x(u, v), y(u, v)) e di classe C1 e verifica lecondizioni di Cauchy–Riemann. Per il teorema 9, la funzione

g(u + iv) = x(u, v) + iy(u, v) ,

inversa della funzione f(x + iy), e olomorfa.

Esempio 18 La funzione f(z) = ez e olomorfa e si e visto che la sua derivatae ancora ez e quindi non si annulla. Fissiamo un punto z0 ed il valore ez0 . Ilteorema 17 afferma che esistono un intorno U di z0 ed un introno V di ez0 edun’unica funzione g(z) definita su V a valori in U , tale che eg(z) = z. Dunque,g(z) e una delle determinazioni della funzione log z. Per esempio, se z0 = 0

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28 CAPITOLO 1. LE FUNZIONI OLOMORFE

e quindi ez0 = 1 allora g(z) = Log z; se z0 = 2πi e quindi ancora ez0 = 1,g(z) = Log z + 2πi. Inoltre, sempre dal Teorema 17, la funzione inversa g(z) eolomorfa e, dalla formula (1.11), per ogni determinazione del logaritmo, ossiaper ogni k,

d

dz(Log z + 2kπi) =

1

z.

Si ritrova quindi quanto gia visto al paragrafo 1.5.1: tutte le determinazionidella funzione log z sono derivabili, con derivata 1/z.

Osservazione 19 Con riferimento all’esempio 18, sia z0 = i. In questo caso,ez0 = −1 e si e visto che esiste una funzione olomorfa g(z) tale che eg(z) = z,definita in un intorno di −1. Questa funzione quindi differisce da ciascuna dellefunzioni Log z + 2kπi, che sono discontinue sull’asse reale negativo. Questa“stranezza” verra chiarita al paragrafo 1.9.3 e all’esempio 58.

1.5.4 Serie di potenze e serie di Laurent

Abbiamo visto fino ad ora degli esempi particolari di funzioni olomorfe. Unaclasse di funzioni olomorfe e offerta dalle serie di potenze

f(z) =+∞∑

n=0

an(z − z0)n . (1.17)

Una funzione siffatta e sempre definita in z0 e, puo essere, in nessun altropunto. In tal caso ovviamente essa non e una funzione olomorfa. Vale pero:

Teorema 20 (di Abel ) Se la serie (1.17) converge in un punto z1 6= z0

allora essa converge in ogni punto z tale che

|z − z0| < |z1 − z0|Dim. Per semplicita di notazioni, sia z0 = 0. Per provare la convergenza diuna serie di numeri complessi, e sufficiente provare la convergenza della seriedei moduli. Sia allora |z| < |z1| e studiamo la serie (di numeri positivi)

+∞∑

n=0

|anzn| =

+∞∑

n=0

|an| |z|n .

Dato che |z| < |z1| (disuguaglianza stretta) esiste r tale che

|z| < r < |z1| ossia|z||z1| <

r

|z1| = q ∈ (0, 1).

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1.5. LA DERIVATA 29

Dunque,

+∞∑

n=0

|an||z|n ≤+∞∑

n=0

(|an| |z1|n)∣∣∣∣z

z1

∣∣∣∣n

≤+∞∑

n=0

(|an| |z1|n) qn .

La serie∑+∞

n=0 |an| |z1|n per ipotesi converge e quindi il suo termine generaletende a zero. In particolare, esiste M tale che

|an| |z1|n < M

e quindi+∞∑

n=0

|an| |z|n ≤ M+∞∑

n=0

qn < +∞ .

Di conseguenza,

z |+∞∑

n=0

an(z − z0)n converge

e un disco centrato in z0 (che potrebbe essere ridotto al solo punto z0, o esseretutto il piano complesso). Il suo interno si dice disco di convergenza dellaserie, e il suo raggio R, 0 ≤ R ≤ +∞ si dice raggio di convergenza .

Esaminando la dimostrazione del Teorema 20 si vede che in realta abbiamoprovato un risultato molto piu forte:

Teorema 21 (di Abel) Il raggio di convergenza R di una serie di potenzesia strettamente positivo. In questo caso la serie converge assolutamente inogni punto interno al disco di convergenza, e converge uniformemente in ognicompatto contenuto nel disco di convergenza. In particolare, la somma dellaserie e una funzione continua nel disco di convergenza.

Se z e tale che |z − z0| > R la serie non converge in z.

Vedremo (al paragrafo 1.15) che questo teorema implica:

Teorema 22 Il raggio di convergenza di una serie di potenze sia strettamen-te positivo. La serie di potenze definisce una funzione olomorfa nel disco diconvergenza.

Il raggio di convergenza di una serie di potenze si calcola facendo uso dellestesse formule che sono note per le serie di potenze reali: se i coefficienti an

non sono mai nulli e se esiste

lim|an||an+1|

allora questo limite, finito o meno, e uguale al raggio di convergenza.

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30 CAPITOLO 1. LE FUNZIONI OLOMORFE

In generale, il raggio di convergenza si puo calcolare con la seguente formuladi Hadamard :

1

R= lim sup n

√|an| ,

la cui dimostrazione e posposta.Si noti che nella formula di Hadamard si usano le “regole” 1/0 = +∞,

1/(+∞) = 0.La formula di Hadamard ha una conseguenza importante. Dato che

lim n√

n = 1 ,

le due serie+∞∑

n=0

an(z − z0)n ,

+∞∑

n=0

nan(z − z0)n−1

hanno il medesimo raggio di convergenza. Dunque, quando R > 0, si pone ilproblema di sapere se la seconda serie rappresenti la derivata della prima. Larisposta e affermativa, perche vale il teorema seguente, che verra provato alparagrafo 1.15.

Teorema 23 Sia f(z) =∑+∞

n=0 an(z − z0)n e sia positivo il raggio di conver-

genza della serie. Allora, in ogni punto del disco di convergenza, vale

f ′(z) =+∞∑

n=0

nan(z − z0)n−1 .

La ragione per cui non proviamo ora i due teoremi 22 e 23 e che, piu avanti,proveremo un risultato molto piu generale, di cui essi possono considerarsi deicorollari.

Piu in generale si chiamano serie di Laurent le serie di potenze conesponenti interi sia positivi che negativi, ossia le serie della forma

+∞∑

n=−∞an(z − z0)

n ,

ovviamente mai definite per z = z0. Per definizione, la somma della serie diLaurent e la somma delle due serie di potenze una in z e l’altra in 1/z,

+∞∑

n=−∞an(z − z0)

n =−1∑

n=−∞an(z − z0)

n ++∞∑

n=0

an(z − z0)n

e quindi le proprieta delle serie di Laurent discendono immediatamente daquelle delle serie di potenze. La serie di potenze positive di 1/(z−z0) converge

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1.5. LA DERIVATA 31

per |1/(z − z0)| < r ossia per |z − z0| > 1/r = r, la serie di potenze positivedi (z − z0) converge per |z − z0| < R; e quindi la serie di Laurent converge ser ≤ R. Se r < R chiameremo corona di convergenza la corona circolare

r < |z − z0| < R .

In tale corona la serie converge assolutamente, e converge uniformemente neicompatti in essa contenuti.

Inoltre:

Teorema 24 La somma di una serie di Laurent e olomorfa nella corona diconvergenza e

d

dz

+∞∑

n=−∞an(z − z0)

n =+∞∑

n=−∞nan(z − z0)

n−1 .

Dimostrazione della formula di Hadamard.

Per semplicita di notazioni sia z0 = 0 e sia

α = lim sup n

√|an| .

Studiamo prima di tutto il caso α = +∞. Mostriamo che in questo casoil raggio di convergenza e nullo. Sia z 6= 0 e scegliamo β ∈ (0, |z|). Scegliamoun qualsiasi k tale che kβ > 1 e notiamo che, per infiniti n, vale

n

√|an| > k e quindi |anz

n| > (kβ)n .

La serie di potenze quindi non converge.Consideriamo ora il caso in cui

lim sup n

√|an| = α ∈ (0, +∞) .

Sia z un numero per cui

|z| > 1

α.

Vogliamo provare che la serie di potenze non converge in z. Cio implicherache il raggio di convergenza non supera 1/α.

Sia r un numero tale che

1

α< r < |z| .

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32 CAPITOLO 1. LE FUNZIONI OLOMORFE

Da (1/r) < α segue che per infiniti indici vale

1

r< n

√|an|

e quindi|z|nrn

< |anzn| .

Essendo |z| > r si halim sup |anz

n| = +∞e la serie non converge.

Dunque, R ≤ 1/α.Se α = 0 e ancora vero che R < 1/α, pur di intendere 1/α = +∞.Ricapitolando, a questo punto sappiamo che

R ≤ 1

α, intendendo

1∞ = 010

= ∞ .

Proviamo la disuguaglianza opposta.Consideriamo ancora prima di tutto il caso α > 0 e sia |z| < 1/α. Proviamo

che in tal caso la serie converge. Se α = +∞ allora z = 0 e niente va provato.Sia quindi 0 < α < +∞.

Essendo |z| < 1/α, avremo

|z| = c

α, |anz

n| = |an| cn

αncon 0 ≤ c < 1 .

Sia ε > 0. Esiste Nε tale che per n > Nε si ha

n

√|an| < α + ε (1.18)

e quindi

|anzn| = |an|

αncn <

(1 +

ε

α

)n

cn .

A questa disuguaglianza si arriva per ogni ε > 0. Essendo c ∈ (0, 1), si puoscegliere ε tale che (

1 +ε

α

)c < 1 .

In questo modo si vede che i termini della serie di potenze sono dominati daquelli di una serie numerica convergente, e quindi la serie

+∞∑

n=0

anzn

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1.5. LA DERIVATA 33

converge.Consideriamo infine il caso α = 0 e z qualsiasi. In questo caso la (1.18)

vale con α = 0. Si sia scelto ε tale che ε|z| = c < 1. Si ha

|anzn| < cn

e ancora la convergenza della serie di potenze segue per confronto con la seriegeometrica.

In ambedue i casi R ≥ 1/α e quindi l’uguaglianza.

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34 CAPITOLO 1. LE FUNZIONI OLOMORFE

1.6 Funzioni olomorfe e trasformazioni confor-

mi

Sia (x, y) → (u(x, y), v(x, y)) una trasformazione di classe C1. Conviene spes-so rappresentarla mediante la notazione complessa, associando alla coppia(x, y) il numero complesso z = x + iy e introducendo w = u + iv, cosı chela trasformazione si rappresenta anche come

w = f(z) .

Conviene vedere questa funzione come trasformazione dal piano della variabilez al piano della variabile w.

Supponiamo che il dominio di f(z) sia una regione Ω.Siano γ e γ due curve in Ω, parametrizzate da

z = z(t) , z = z(t) ,

con t ∈ [a, b] in ambedue i casi (si sa che questa condizione non e restrittiva).Supponiamo che le due curve si intersechino in un punto in cui le due

parametrizzazioni sono derivabili, ossia che per un valore t0 ∈ (a, b) valga

z(t0) = z(t0) = z0 = x0 + iy0 .

Le due rette

z = z0 + z′(t0)(t− t0) , z = z0 + z′(t0)(t− t0)

sono, per definizione, le rette tangenti alle due curve nel punto di intersezione.Per “angolo tra le due curve ” si intende quello formato dalle loro tangen-ti nel punto comune. Facendo uso della notazione dei numeri complessi, efacile esprimere tale angolo: questo e l’angolo tra i vettori rappresentati daz′(t0) e z′(t0). Questo e, per definizione, l’argomento del quoziente dei numericomplessi corrispondenti,

Argz′(t0)z′(t0)

.

Indichiamo ora con γf la curva immagine di γ mediante la trasformazionef , ossia la curva

γf : w = f(z(t)) t ∈ [a, b] .

Analoga notazione usiamo per la trasformata mediante f di γ.

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1.6. FUNZIONI OLOMORFE E TRASFORMAZIONI CONFORMI 35

Supponendo che la funzione f(z) sia olomorfa e che f ′(z0) sia diversa dazero, e possibile calcolare l’angolo tra γf e γf ,

Argf ′(z0)z

′(t0)f ′(z0)z′(t0)

= Argz′(t0)z′(t0)

.

Abbiamo cosı provato che

Teorema 25 Una funzione olomorfa conserva l’angolo tra le curve nei puntinei quali la sua derivata non si annulla.

Una trasformazione da una regione di R2 che conserva gli angoli si diceconforme e quindi

Teorema 26 Se f(z) e olomorfa su Ω, e se la sua derivata non si annulla,essa definisce una trasformazione conforme su Ω.

Abbiamo gia notato che se u(x, y), v(x, y) sono parti reali ed immaginariedi una funzione olomorfa f(x + iy) allora lo jacobiano della trasformazione eu2

x(x, y) + u2y(x, y), strettamente positivo se f ′(z) non si annulla.

Dunque, una funzione olomorfa la cui derivata non si annulla su Ω definisceuna trasformazione conforme che inoltre conserva l’orientazione. Un esempio ditrasformazione conforme che non conserva l’orientazione e la trasformazionez → z.

Le trasformazioni conformi che conservano l’orientazione si chiamano anchetrasformazioni conformi dirette.

1.6.1 La rappresentazione delle funzioni olomorfe

Accenniamo ora a come rappresentare graficamente le funzioni olomorfe. Ilgrafico naturalmente non serve, perche il grafico e un insieme di R4. E’ peropossibile rappresentare il grafico di z → |f(z)|, che e in R3 e spesso su talegrafico si disegnano le linee

Arg f(z) = cost

oppure l’immagine di una famiglia di linee del piano della variabile z. Le figureche seguono mostrano alcuni esempi.

Un altro metodo consiste nel tracciare una famiglia di linee sul piano z ele loro immagini sul piano w, o viceversa una famiglia di linee sul piano we le loro controimmagini sul piano z. Il caso della funzione f(z) = z2/10 emostrato nella figura 1.4.

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36 CAPITOLO 1. LE FUNZIONI OLOMORFE

Figura 1.2: a sinistra |z2|, a destra | cos z|. Le linee sono le immagini di unagriglia x = cost, y = cost.

−2

−1

0

1

2

−2

−1

0

1

20

1

2

3

4

5

6

7

8

−6−4

−20

24

6

−1

−0.5

0

0.5

10

0.2

0.4

0.6

0.8

1

1.2

1.4

1.6

La fig.1.4 mostra una griglia di rette e semirette mutuamente ortogonalinel piano Imz > 0. Queste si trasformano in due famiglie di parabole, mutua-mente ortogonali, dato che f ′(z) = 2z 6= 0. Queste parabole riempiono tuttoil piano w.

La circonferenzaeiθ , 0 ≤ θ ≤ 2π

sotto l’azione di f(z) = z2 e ancora una circonferenza,

eiθ , 0 ≤ θ ≤ 4π ,

che pero e percorsa due volte, anche se ovviamente cio non puo vedersi dallafigura. Se pero si rappresenta l’immagine di una circonferenza centrata nelpunto (0, 1/5), come in figura 1.5 si vede immediatamente che l’immagine euna curva non semplice, che gira due volte intorno all’origine.

Pensiamo ora di disegnare l’immagine di una famiglia di circonferenze dicentro (0, 0) mediante le funzioni f(z) = z e g(z) = 1/z. Si trova ancora unafamiglia di circonferenze col medesimo centro, e da questo punto di vista le duefunzioni sembrano indistinguibili. Pero, f(z) = z trasforma la regione internadi una circonferenza nella regione interna della circonferenza corrispondentementre g(z) la trasforma nella regione esterna.

Analoga osservazione puo farsi, per esempio, per le funzioni ez ed e−z ecio suggerisce di considerare la regione esterna ad un disco come “intornodi ∞”. Tecnicamente, di sostituire il piano complesso con la corrispondentecompattificazione di Alexandrov. Un modo comodo di fare cio consiste nelconsiderare una sfera il cui polo SUD tocca R2 (insieme di partenza della

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1.7. INTEGRALE DI CURVA DI FUNZIONI OLOMORFE 37

Figura 1.3: a sinistra |Logz|, a destra | sin z|. Le linee sono le immagini di unagriglia r = cost, θ = cost.

−1

−0.5

0

0.5

1

−1

−0.5

0

0.5

1

0

1

2

3

4

5

−1

−0.5

0

0.5

1

−1−0.5

00.5

10.4

0.6

0.8

1

1.2

1.4

1.6

1.8

funzione) in (0, 0). Il polo NORD viene ad avere il ruolo di ∞. Il piano R2 sirappresenta sulla sfera, mediante la proiezione stereografica, dal polo NORD.La corrispondenza ottenuta e bicontinua tra il piano e la sfera privata del poloNORD e la sfera stessa, usata in questo modo, si chiama sfera di Riemann ,si veda la figura 1.6.

La funzioni da C in se possono quindi rappresentarsi anche come funzionida C nella sfera o dalla sfera in se,

1.7 Integrale di curva di funzioni olomorfe

Ricordiamo che col termine curva intenderemo sempre un arco regolare atratti a valori in R2, ossia una funzione continua t → z(t) = x(t) + iy(t)definita per t ∈ [a, b], ovunque derivabile salvo un numero finito di punti. Intali punti, e negli estremi a e b, richiederemo l’esistenza dei limiti direzionalidella derivata. Richiederemo inoltre che

|z′(t)| 6= 0 ,

salvo al piu in un numero finito di punti.Introduciamo la notazione ∫

γf dz. (1.19)

Se f(x + iy) = u(x, y) + iv(x, y), e se γ e parametrizzata da

z(t) = x(t) + iy(t) ,

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38 CAPITOLO 1. LE FUNZIONI OLOMORFE

Figura 1.4: Immagine di rette, sotto l’azione di f(z) = z2/10.

0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 100

1

2

3

4

5

6

7

8

9

10

−10 −8 −6 −4 −2 0 2 4 6 8 100

2

4

6

8

10

12

14

16

Figura 1.5:

−2.5 −2 −1.5 −1 −0.5 0 0.5 1 1.5 2 2.5

−2

−1.5

−1

−0.5

0

0.5

1

1.5

2

−2.5 −2 −1.5 −1 −0.5 0 0.5 1 1.5 2 2.5

−2

−1.5

−1

−0.5

0

0.5

1

1.5

2

definiamo

γf dz =

∫ b

af(z(t))z′(t) dt =

∫ b

a[u(x(t), y(t))+ iv(x(t), y(t))][x′(t)+ iv′(t)] dt .

Sviluppando i calcoli si trova

γf dz =

∫ b

a[u(x(t), y(t))x′(t)− v(x(t), y(t))y′(t)] dt +

i∫ b

a[u(x(t), y(t))y′(t) + v(x(t), y(t))x′(t)] dt

=∫

γu dx− v dy + i

γv dx + u dy .

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1.7. INTEGRALE DI CURVA DI FUNZIONI OLOMORFE 39

Figura 1.6:

−1

−0.5

0

0.5

1

−1

−0.5

0

0.5

10

0.5

1

1.5

2N

Si trova quindi

γf dz =

γu dx− v dy + i

γv dx + u dy ,

la somma di due integrali di forme differenziali.

Osservazione 27 Alla stessa espressione si perviene definendo l’integrale co-me limite delle somme di Riemann

n∑

i=0

f(z(ti))z′(ti)(ti+1 − ti) .

Omettiamo i dettagli della dimostrazione.

Gli integrali delle forme differenziali non mutano cambiando la parametrizzazionedi γ; cambiano segno cambiando il verso di percorrenza su γ. Dunque queste stesseproprieta valgono per l’integrale (1.19).

Proviamo ora:

Lemma 28 Sia φ(t), t ∈ [a, b], una funzione continua a valori complessi.Vale: ∣∣∣∣∣

∫ b

aφ(t) dt

∣∣∣∣∣ ≤∫ b

a|φ(t)| dt .

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40 CAPITOLO 1. LE FUNZIONI OLOMORFE

Dim. Indichiamo con z0 il numero

z0 =∫ b

aφ(t) dt .

Si sa che

|z0| = z0z0

|z0|e quindi ∣∣∣∣∣

∫ b

aφ(t) dt

∣∣∣∣∣ = |z0| = z0

|z0|z0 =∫ b

a

z0

|z0|φ(t) dt .

La funzione t → z0

|z0|φ(t) e ancora una funzione a valori complessi, ma l’ugua-glianza precedente mostra che il suo integrale e reale. Dunque, l’integrale dellasua parte immaginaria e nullo e quindi

∣∣∣∣∣∫ b

aφ(t) dt

∣∣∣∣∣ =∫ b

a<e

z0

|z0|φ(t)

dt

≤∫ b

a

∣∣∣∣∣z0

|z0|φ(t)

∣∣∣∣∣ dt =∫ b

a|φ(t)| dt .

Osservazione 29 La disuguaglianza precedente vale perche stiamo conside-rando l’integrale su un segmento dell’asse reale. Non ha invece alcun sensoscrivere

∣∣∣∫γ f(z) dz

∣∣∣ ≤ ∫γ |f(z)| dz, con γ generica curva. Infatti in tal ca-

so l’integrale a destra prende valori complessi anche se l’integrando e reale.La formula che sostituisce la disuguaglianza sbagliata precedente e data dalprossimo teorema.

Ricordiamo ora che

Lγ =∫ b

a|z′(t)| dt

e per definizione la lunghezza della curva regolare a tratti γ : z = z(t), t ∈[a, b]. Dal lemma precedente segue:

Teorema 30 Sia γ : z = z(t), t ∈ [a, b] una curva regolare a tratti e sia f(z)una funzione da C in C, continua sul sostegno della curva γ. Sia M tale che

|f(z(t))| ≤ M , t ∈ [a, b] .

Vale: ∣∣∣∣∫

γf(z) dz

∣∣∣∣ ≤ MLγ .

Dim. Si applichi il Lemma 28 alla funzione f(z(t))z′(t). Si trova∣∣∣∣∫

γf(z(t))z′(t) dt

∣∣∣∣ ≤∫ b

a|f(z(t))| |z′(t)| dt ≤ MLγ .

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1.8. IL TEOREMA DI CAUCHY 41

1.8 Il teorema di Cauchy

Ricordiamo che se u(x, y) e v(x, y) sono funzioni di classe C1, allora la funzione

f(x + iy) = u(x, y) + iv(x, y)

e olomorfa quando valgono le condizioni di Cauchy–Riemann, ossia quando

ux = vy , uy = −vx .

Si sa che queste sono le condizioni perche siano chiuse le forme differenziali

v dx + u dy , u dx− v dy

e cio suggerisce di applicare alle funzioni olomorfe la teoria, nota, delle formedifferenziali.

Sia γ una curva semplice e chiusa contenuta in una regione di Jordan Ω.Usando la formula di Green si trova:

Teorema 31 (Teorema di Cauchy ) Sia f(z) olomorfa in una regione diJordan Ω e sia γ una curva semplice e chiusa in Ω. Vale

γf(z) dz = 0 .

Dim. Dalla formula di Green si vede che∫

γf dz = −

Ωγ

[vx + uy] dx dy + i∫

Ωγ

[ux − vy] dx dy .

Le condizioni di Cauchy–Riemann mostrano che ambedue gli integrali su Ωγ

sono nulli.

Osservazione 32 Notiamo:

• Se due curve γ ed η hanno le proprieta che giustificano la formula (1.6),la formula (1.6) implica che

γf(z) dz =

ηf(z) dz . (1.20)

• il teorema 31 puo provarsi senza fare uso di risultati relativi alle formedifferenziali, e nella sola ipotesi che f(z) sia derivabile in ciascun puntodi Ω; ossia, le ipotesi di continuita delle derivate possono rimuoversi.

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42 CAPITOLO 1. LE FUNZIONI OLOMORFE

Vediamo infine un esempio di calcolo di integrale.

Esempio 33 Sia f(z) = (z − z0)n e sia γ la circonferenza

γ : z(t) = z0 + eit , t ∈ [0, 2kπ] .

Il numero k e intero positivo. Si osservi che la circonferenza e orientatapositivamente e che essa e semplice solo quando k = 1.

Si ha:∫

γ(z − z0)

n dz =∫ 2kπ

0eintieit dt = i

∫ 2kπ

0ei(n+1)t dt

= i∫ 2kπ

0[cos(n + 1)t + i sin(n + 1)t] dt .

Se n = −1 si vede che l’integrale vale 2π. Altrimenti si vede che l’integralevale 0, sia per n ≥ 0 che per n < −1.

Se k = 1 l’uguaglianza a zero dell’integrale segue dal Teorema di Cauchy(Teorema 31) quando n ≥ 0. Il fatto che l’integrale sia nullo anche per n ≤ −2mostra che la condizione del teorema 31 e solo sufficiente.

Se n = −1, ossia quando si integra la funzione 1/(z − z0), si trova

1

2πi

γ

1

z − z0

dz = k ,

numero dei giri che la circonferenza fa intorno all’origine. Si chiama questol’ indice della circonferenza rispetto al suo centro. Vedremo in seguito comegeneralizzare quest’osservazione.

1.9 Primitive

Sia f(z) una funzione da C in C, definita su una regione Ω. NON si richiedeche la regione Ω sia di Jordan. Si chiama primitiva di f(z) una funzione F (z),anch’essa definita su Ω, e tale che

F ′(z) = f(z) ∀z ∈ Ω .

Ovviamente

Teorema 34 Se la funzione continua f(z) ammette primitiva su Ω e se γ euna curva chiusa, allora ∫

γf dz = 0 .

In generale, se γ non e chiusa, l’integrale dipende dai soli estremi di γ.

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1.9. PRIMITIVE 43

Dim. Basta notare che

γf dz =

∫ b

af(z(t))z′(t) dt =

∫ b

aF ′(z(t))z′(t) dt

=∫ b

a

d

dtF (z(t)) dt = F (z(b))− F (z(a)) .

Se la curva e chiusa si ha z(b) = z(a) e l’integrale e nullo. In generale, si vedeche l’integrale dipende dai soli estremi della curva.

Vale anche il viceversa:

Teorema 35 Sia f(z) una funzione continua su Ω. Se

γf dz

e nullo su tutte le curve chiuse in Ω allora la funzione f(z) ammette unaprimitiva.

Dim. Si fissi un punto z0 ∈ Ω. Ogni z ∈ Ω si connette a z0 mediante unapoligonale (si ricordi che Ω e un aperto connesso). Indichiamo con Pz unapoligonale che connette z0 con z e sia

F (z) =∫

Pz

f dz .

La funzione F (z) e univoca perche per ipotesi l’integrale non dipende dallaparticolare poligonale scelta per connettere z0 con z, ma solo dai suoi estremi;e quindi solo da z, dato che z0 si intende fissato.

Mostriamo che F (z) e derivabile, con derivata f(z).Per calcolare F (z + h) scegliamo una poligonale che congiunge z0 con z e

estendiamola a z + h mediante il segmento

z + th , t ∈ [0, 1] .

Sia S tale segmento. Allora,

F (z + h)− F (z)

h=

1

h

Sf dz =

1

h

∫ 1

0f(z + th)h dt =

∫ 1

0f(z + th) dt .

Essendo f(z) continua, il limite dell’ultimo integrale per h → 0 e

F ′(z) =∫ 1

0f(z) dt = f(z) .

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44 CAPITOLO 1. LE FUNZIONI OLOMORFE

Osservazione 36 Si noti che il teorema precedente puo dimostrarsi ancherichiedendo che l’integrale di f(z) sia nullo sulle sole poligonali chiuse. E’sufficiente per questo che esso sia nullo quando γ e un triangolo.

In particolare, dal teorema di Cauchy, si vede che:

Teorema 37 Sia f(z) olomorfa su Ω e sia γ una curva in Ω la cui regioneinterna Ωγ e contenuta in Ω.

La funzione f(z) ammette primitiva in Ωγ.

Naturalmente, se una primitiva esiste, ne esistono infinite. Vale pero:

Teorema 38 Se F (z) e G(z) sono definite sulla medesima regione Ω ed hannoderivata uguale, la loro differenza e costante su Ω.

Dim. Sia H(z) = F (z)−G(z). Vale H ′(z) = 0 su Ω.Sia H(z) = U(z) + iV (z). La condizione H ′(z) = 0 e l’espressione (1.10)

per la derivata mostrano che

Ux = 0 , Vx = 0 .

Dalle condizioni di Cauchy–Riemann si trova anche che

Uy = 0 , Vy = 0

e quindi U e V ammettono ambedue le derivate parziali in ciascun punto diΩ, e queste sono nulle. E quindi le funzioni sono costanti.

Concludiamo con alcune osservazioni.

Osservazione 39 Sia f(z) olomorfa su una generica regione Ω. Non e veroche f(z) debba ammettere primitive su Ω, come mostra l’esempio della funzionef(z) = 1/z. Sia Ω = C − 0. Certamente f(z) ammette primitiva nellaregione Ωγ, se γ non gira intorno all’origine. Ma, se γ gira intorno all’origine,la primitiva non esiste perche l’integrale di f(z) su una circonferenza di centrol’origine non e nullo, si veda l’Esempio 33.

Le condizioni del Teorema 37 sono solamente sufficienti, come mostra ilcaso della funzione

f(z) =1

zn, z ∈ C− 0 ,

con n intero maggiore di 1 ed Ω = C− 0 (si veda ancora l’Esempio 33). Inquesto caso la primitiva esiste ed e

F (z) =1

(1− n)zn−1.

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1.9. PRIMITIVE 45

Ricordiamo ora che la funzione Logz e derivabile, con derivata uguale a1/z. Si sa che l’integrale di quest’ultima funzione su una generica curva chiusaγ in C−0 puo non essere nullo; ma cio non contraddice il Teorema 37 perchela funzione Logz non e olomorfa su C− 0.

1.9.1 Curve equipotenziali

Sia F (z) una primitiva di f(z) e sia

F (x + iy) = U(x, y) + iV (x, y) , f(x + iy) = u(x, y) + iv(x, y) .

Supponiamo inoltre che f(z) non si annulli su Ω.

Ricordiamo le formule

F ′(z) = Ux + iVx = −iUy + Vy = u + iv .

Uguagliando F ′(z) af f(z) si trova

∇U = (u,−v) , ∇V = (v, u) (1.21)

ossia U e V sono i potenziali rispettivamente dei campi vettoriali

ui− vj , vi + uj .

Consideriamo le curve equipotenziali γ1 e γ2 implicitamente definite da

U(x, y) = c , V (x, y) = d

(usando il teorema delle funzioni implicite si vede che queste equazioni defini-scono implicitamente due curve nell’intorno dei punti (x, y) nei quali F ′(x +iy) = f(x + iy) 6= 0).

Non necessariamente queste curve si intersecano. Supponiamo che esse siintersechino per x = x0 ed y = y0.

Si sa che ∇U(x0, y0) e ortogonale alla γ1 e che ∇V (x0, y0) e ortogonale allaγ2. Usiamo (1.21) per calcolare il prodotto scalare di questi vettori:

∇U(x0, y0) · ∇V (x0, y0) = 0 ,

ossia, le curve equipotenziali rispettivamente del potenziale U e del potenziale Vsono mutuamente perpendicolari nei punti in cui si intersecano.

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46 CAPITOLO 1. LE FUNZIONI OLOMORFE

1.9.2 Il caso della funzione z → z

L’esempio 33 mostra che la funzione f(z) = 1/z non ha primitiva su unaregione di Jordan che contiene 0, dove pero’ non e ovunque definita. Questafunzione e olomorfa e quindi ammette primitiva in qualunque regione di Jordanche non contiene 0.

E’ naturale chiedersi se una funzione ovunque definita e continua debbaavere primitiva. L’esempio che ora studiamo mostra che cio non accade.

La funzione che a z associa il suo coniugato z e continua su C. Si e giavisto, al paragrafo 1.4, che non e olomorfa. Mostriamo che essa non ammetteprimitiva.

Se fosse F ′(z) = z, allora F (x + iy) = U(x, y) + iV (x, y) ed F ′(x + iy) =f(x + iy) = x− iy.

Si ricordi che F ′(x + iy) = Ux(x, y) + iVx(x, y) e quindi

Ux(x, y) = x , Vx(x, y) = −y .

Dunque, U(x, y) = (x2/2) + φ(y). Essendo Uy = −Vx = y si trova che φ(y) =(y2/2). Dunque,

U(x, y) =x2 + y2

2.

Invece, da Vx(x, y) = −y, si trova

V (x, y) = −xy + ψ(y)

e quindiVy(x, y) = −x + ψ′(y) = Ux(x, y) = +x .

Quest’ultima uguaglianza e impossibile, e quindi la primitiva F (x + iy) dif(z) = z non esiste. Vedremo al par. 1.13 che avremmo potuto dedurre cio dalfatto che la derivata di una funzione olomorfa e ancora una funzione olomorfa.

1.9.3 La funzione logaritmo e le potenze

Abbiamo gia definito i logaritmi dei numeri complessi non nulli e quindi lefunzioni logaritmo,

log z = log |z|+ iArg z + 2kπi , (1.22)

una funzione per ciascun valore dell’intero k. Abbiamo notato che queste so-no funzioni olomorfe, con derivata 1/z, a parte che nei punti dell’asse realenegativo. Pero abbiamo notato che l’asse reale negativo entra in queste que-stioni solo a causa della particolare scelta dell’argomento principale; e quindi

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1.9. PRIMITIVE 47

le funzioni logaritmo, cosı definite, hanno proprieta che non sono indipendentidal modo scelto per rappresentare la funzione. Vediamo ora un modo diversodi introdurre la funzione logaritmo, che mostra che in realta non si incontra-no problemi se si decide di lavorare in una regione di Jordan Ω qualsiasi, mache non contiene l’origine. Si noti che tale regione puo spiraleggiare intornoall’origine, come nella figura 1.7.

Figura 1.7:

−15 −10 −5 0 5 10−10

−8

−6

−4

−2

0

2

4

6

8

10

Ω

Consideriamo la funzione 1/z su Ω. Questa funzione e olomorfa su Ω equindi e dotata di primitiva per il Teorema 37. Si noti che per questo si usal’ipotesi che Ω e una regione di Jordan che non contiene 0.

Si fissi un punto z0 ∈ Ω e sia w0 uno dei suoi logaritmi,

w0 = log |z0|+ iArg z0 + 2k0πi

per un certo numero intero k0. Sia Pz una poligonale che connette il punto z0

fissato col generico punto z ∈ Ω, senza uscire da Ω.Consideriamo la funzione

L(z) = w0 +∫

Pz

1

ζdζ .

Questa e una funzione olomorfa su Ω che in z0 prende il valore w0 ed e pri-mitiva di 1/z; ossia, la derivata di L(z) e 1/z e quindi la sua differenza dallafunzione (1.22)

log |z|+ iArg z + 2k0πi

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48 CAPITOLO 1. LE FUNZIONI OLOMORFE

e costante sulla regione in cui ambedue sono definite e derivabili. Se Ω intersecal’asse reale negativo, cio non avviene su tutta Ω, si veda la figura 1.8. Le due

Figura 1.8:

−15 −10 −5 0 5 10−10

−8

−6

−4

−2

0

2

4

6

8

10

Ω

funzioni coincidono sulla sola parte tratteggiata di Ω. Esse certamente noncoincidono sulla parte rimanente, perche L(z) traversa l’asse reale negativocon continuita.

Ricapitolando queste considerazioni, chiameremo la funzione L(z) una fun-

zione logaritmo su Ω, e la chiameremo il logaritmo principale se e stata costrui-ta scegliendo k0 = 0. Essa si indichera col simbolo log z oppure, nel caso dellogaritmo principale, col simbolo Log z.

Dato che elog |z|+iArg z+2k0πi = z, lo stesso vale per L(z) nella parte tratteg-giata di Ω. Vedremo che cio vale anche nella parte rimanente di Ω, si veda ilparagrafo 1.13.2 e l’esempio 58. Dunque, quando un punto mobile z ∈ Ω tra-versa l’asse reale negativo, la funzione L(z) passa dall’una all’altra determinazionedella funzione log z.

Ponendo

za = eaLogz

si trova che le potenze za sono definite e sono funzioni olomorfe in ogni regionedi Jordan che non contiene l’origine. Se la regione contiene l’asse reale positivo,allora za prende valori reali su tale asse.

Sia ora Ω una regione di Jordan e sia f(z) una funzione olomorfa su Ω, chenon si annulla. Fissiamo un punto z0 ∈ Ω e la poligonale Pz congiunga z0 col

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1.10. INDICE E OMOTOPIA 49

generico punto z ∈ Ω. Si definisce

Log f(z) =∫

Pz

f ′(ζ)

f(ζ)dζ

e questa funzione e olomorfa su Ω. Cio fatto, si definisce, per ogni α ∈ C,

fα(z) = eαLog f(z) :

su Ω si possono definire tutte le potenze di f(z), e queste vengono ad esserefunzioni olomorfe di z; ricordiamo, purche f(z) non si annulli si Ω, e purche Ωsia una regione di Jordan.

1.10 Indice e omotopia

Passiamo ora a considerare un’altra funzione importantissima nello studio dellefunzioni olomorfe. Questa funzione associa un numero intero alla coppia co-stituita da una curva e da un punto z0 che non gli appartiene. Questo numerorappresenta, intuitivamente, il numero dei giri che la curva fa intorno a z0,considerati positivi se la curva ruota in senso antiorario, negativi altrimenti.

Si veda l’esempio 33 per un caso particolare.Sia Ω una regione di Jordan e sia z0 un suo punto. Sia γ una curva chiusa,

semplice o meno, il cui sostegno e in Ω e non passa per il punto z0. Definiamo

I(γ, z0) =1

2πi

γ

1

z − z0

dz ,

si vedano le considerazioni dell’Esempio 33.Dato che la curva γ non incontra z0, l’integrale e ben definito ed e una

funzione di classe C∞ di z0, almeno finche z0 non incontra il sostegno di γ.Mostriamo che questa funzione prende valori interi e quindi e costante se z0 simuove su una curva senza toccare γ.

Teorema 40 La funzione I(γ, z0) prende valori interi.

Dim. Sia z(t), t ∈ [a, b] una parametrizzazione della curva γ. Ricordiamoche implicitamente supponiamo sempre che le parametrizzazioni (continue su[a, b]) siano derivabili con continuita, salvo un numero finito di punti. Si ha:

I(γ, z0) =1

2πi

γ

1

z − z0

dz =1

2πi

∫ b

a

z′(t)z(t)− z0

dt .

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50 CAPITOLO 1. LE FUNZIONI OLOMORFE

Si ha

φ(t) =∫ t

a

z′(t)z(t)− z0

dt , t ∈ [a, b] .

La funzione a valori complessi di variabile reale t e continua e continuamentederivabile, perche z(t) 6= z0 per ogni t. Inoltre,

φ′(t) =z′(t)

z(t)− z0

, φ(a) = 0 , φ(b) = I(γ, z0) .

Si ha

d

dte−φ(t)(z(t)− z0) = e−φ(t) −φ′(t)(z(t)− z0) + z′(t) = 0 .

Dunque, la funzione e−φ(t)(z(t) − z0) e costante. Uguagliando i valori assuntiper a e per b si trova

e−φ(a)(z(a)− z0) = (z(a)− z0) = e−φ(b)(z(b)− z0) .

Ricordando che la curva γ e chiusa, ossia che z(a) = z(b), e che z(a)− z0 6= 0si trova e−φ(b) = 1, ossia si trova che esiste un intero k per cui

φ(b) = 2kπi

e quindi I(γ, z0) = k, con k intero, come si voleva.

Questo prova che I(γ, z0) e sempre un numero intero. Esso si chiama

l’ indice della curva γ rispetto al numero z0 che non le appartiene.Giustifichiamo ora l’interpretazione intuitiva dell’indice come “numero dei

giri” della curva intorno a z0. Cio si e gia visto nel caso in cui γ sia unacirconferenza percorsa k volte. Se γ e una curva percorsa k volte, per l’ad-ditivita dell’integrale, l’indice e k volte l’indice che si ottiene percorrendo lacurva una sola volta. Sia quindi γ semplice. Scegliamo una piccola circon-ferenza C di centro z0, contenuta in Ωγ. Il teorema di Cauchy ci dice cheI(γ, z0) = I(C, z0) = 1 e cio mostra l’interpretazione dell’indice come “numerodei giri”, nel caso di una curva percorsa piu volte.

Nel caso della curva γ in figura 1.9, che gira piu volte intorno a z0, senzaripercorrere se stessa, si arriva alla medesima interpretazione spezzando lacurva in tante curve semplici e chiuse.

Se la curva γ e semplice e se z0 e nella regione esterna alla curva allora ilsuo indice e 0. Invece, se z0 e nella regione interna allora il suo indice e +1oppure −1. Piu in generale, il complementare del sostegno di una curva γ eunione di un numero finito di regioni semplicemente connesse. Si e gia notato

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1.10. INDICE E OMOTOPIA 51

Figura 1.9:

−1 −0.5 0 0.5 1 1.5 2 2.5−1

−0.8

−0.6

−0.4

−0.2

0

0.2

0.4

0.6

0.8

1

z0

che l’indice rimane costante se z0 varia senza incontrare γ. Dunque, I(γ, z0) ecostante in ciascuna delle regioni nelle quali γ divide C, si veda la figura 1.9

Per finire, consideriamo il caso seguente, che ci interessera in seguito. Siaγ una curva semplice e chiusa orientata positivamente, il cui sostegno appar-tiene alla regione di Jordan Ω su cui una funzione f(z) e olomorfa. Si e giaintrodotta la curva γf , immagine di γ mediante la funzione f(z): se γ ha pa-rametrizzazione z = z(t), t ∈ [a, b], allora γf ha parametrizzazione f(z(t)),t ∈ [a, b].

La curva γf e chiusa perche γ lo e, ma puo essere che non sia semplice.Supponiamo che f(z) non si annulli su γ e consideriamo

1

2πi

∫ b

a

f ′(z(t))z′(t)f(z(t))

dt .

Quest’integrale e uguale ad ambedue gli integrali seguenti:

1

2πi

γ

f ′

fdz ,

1

2πi

γf

1

wdw

e l’ultimo integrale e I(γf , 0). Si ha quindi che

I(γf , 0) =1

2πi

γ

f ′

fdz .

Segue un semplice metodo grafico per il calcolo di (1/2πi)∫γ(f

′/f) dz (quandof(z) non si annulla sul sostegno di γ) che e alla base di molti metodi grafici

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52 CAPITOLO 1. LE FUNZIONI OLOMORFE

dell’ingegneria: si disegna la curva γf e se ne conta il numero dei giri intornoall’origine.

Naturalmente, i metodi grafici sono sempre approssimati. E’ notevole ilfatto che, in questo caso, il metodo grafico da in realta valori esatti. Infatti, eintuitivamente evidente, e si giustifichera in seguito, che il valore dell’integrale“varia di poco” quando γ “varia di poco”, purche la deformazione applicataa γ non conduca γf ad incontrare 0, ossia non conduca γ ad incontrare unozero di f(z). Dato che l’indice prende valori interi, esso rimane costante sot-to l’azione di piccole perturbazioni su γ, quali quelle che si incontrano nellarappresentazione numerica di γ e di γf .

La giustificazione rigorosa di questo argomento conduce alla teoria dell’ omotopia .Siano γ1 e γ2 due curve diverse. Non e restrittivo assumere che il parametrovari nel medesimo intervallo [a, b]. Diciamo che esse sono omotope se esiste

una funzione continua H(t, s) di due variabili reali s ∈ [0, 1], t ∈ [a, b], a valoricomplessi, tale che H(0, t) parametrizzi γ1 mentre H(1, t) parametrizzi γ2.

Se le due curve appartengono ad una regione Ω, si dice che esse sonoomotope in Ω se i valori della funzione H(s, t) appartengono ad Ω.

Per ogni valore intermedio s0 ∈ [0, 1], la funzione H(s0, t) parametrizzauna curva e per s ∼ 0 la curva e “vicina” a γ1 mentre per s ∼ 1 e vicina a γ2.Quindi la H(s, t) parametrizza una deformazione continua di γ1 in γ2.

Nei casi piu importanti, le curve γ1 e γ2 hanno gli estremi comuni oppuresono chiuse. Se esse hanno estremi comuni, si richiede anche che H(s, a) edH(s, b) siano costanti. In tal caso una deformazione continua di γ1 su γ2 eillustrata dalla figura 1.10Se le due curve γ1 e γ2 sono chiuse, nel parlare di omotopia si sottintende checiascuna delle curve t → H(s, t) sia chiusa.

Richiediamo ora che le due curve γ1 e γ2 siano omotope rispetto ad unaregione Ω che non contiene zeri della funzione f(z). In tal caso, indicando conγs la curva di parametrizzazione t → H(s, t), si trova che

s → 1

2πi

γs

f ′

fdz

e continua per s ∈ [a, b] e quindi, prendendo valori interi, costante. Cio giu-stifica le considerazioni precedenti e suggerisce una diversa formulazione delTeorema di Cauchy, Teorema 31. Ricordiamo che due curve sono omotope inuna regione Ω quando i valori di H(s, t) appartengono ad Ω per ogni s e perogni t. Si ha:

Teorema 41 (forma omotopica del teorema di Cauchy) Siano γ1 e γ2

curve tra loro omotope in una generica regione Ω su cui f(z) e olomorfa.

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1.10. INDICE E OMOTOPIA 53

Figura 1.10:

−3 −2 −1 0 1 2 3−1

−0.8

−0.6

−0.4

−0.2

0

0.2

0.4

0.6

0.8

1

γ1

γ2

Supponiamo che le due curve siano chiuse o che abbiano gli stessi estremi.Allora vale ∫

γ1

f(z) dz =∫

γ2

f(z) dz

Dim. (cenno) La dimostrazione del teorema e alquanto noiosa, ma l’idea delladimostrazione e semplice e ci limitiamo a presentarla. Sia H(s, t) la funzionecontinua tale che H(0, t) parametrizza γ1 e H(1, t) parametrizza γ2.

Non e restrittivo assumere t ∈ [0, 1].

Dividiamo il quadrato [0, 1] × [0, 1] in tanti piccoli quadrati, come nellafigura 1.9 a sinistra e consideriamo l’immagine mediante H(t, s) dei lati di tuttii quadrati ottenuti. Si trova una struttura del tipo di quella nella figura 1.11a destra (le immagini dei lati sono state disegnate rettilinee per comodita didisegno, ma potrebbero non esserlo).

I lati dei quadrati si trasformano in curve chiuse e su tali curve l’integrale enullo. Sommando ciascuno degli integrali sui singoli quadrati e tenendo contodelle cancellazioni si trova l’asserto.

Vediamo ora un caso estremo: per definizione, una curva non puo essereparametrizzata da una funzione costante. Supponiamo pero che esista unafunzione H(s, t) continua su [0, 1] × [a, b] e tale che H(0, t) parametrizzi unacurva γ mentre H(1, t) = z0 per ogni t ∈ [a, b]. In questo caso si dice che lacurva γ e omotopa al punto z0 .

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54 CAPITOLO 1. LE FUNZIONI OLOMORFE

Figura 1.11:

−3 −2 −1 0 1 2 3−3

−2

−1

0

1

2

3

x

y

−4 −3 −2 −1 0 1 2−4

−3

−2

−1

0

1

2

3

4

Ω

γ1

γ2

E’ ancora vero che

s → 1

2πi

γs

f ′

fdz

dipende con continuita da s e inoltre, per s → 0, il limite e ora 0; e quindi lafunzione e identicamente zero. Vale quindi

Corollario 42 Se γ e omotopa ad un punto nella generica regione Ω allora

γf dz = 0

per ogni funzione f(z) olomorfa su Ω.

Sottolineiamo che ne il teorema 41 ne il corollario 42 richiedono che Ω siauna regione di Jordan. Si potrebbe provare che tutti i teoremi che valgonoper regioni di Jordan valgono anche per le regioni che sono semplicementeconnesse secondo la definizione seguente: una regione Ω si dice semplicementeconnessa se ogni curva di Jordan di sostegno in Ω e omotopa ad un punto diΩ.

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1.11. CONVERGENZA UNIFORME SUI COMPATTI E INTEGRAZIONE55

1.11 Convergenza uniforme sui compatti e in-

tegrazione

Ricordiamo che se

f(x + iy) = u(x, y) + iv(x, y)

e continua, abbiamo definito

γf dz =

γu dx− v dy + i

γv dx + u dy .

Se γ e parametrizzata da

z = z(t) = x(t) + iy(t) , t ∈ [a, b]

si trova

γf dz =

∫ b

au(x(t), y(t))x′(t)− v(x(t), y(t))y′(t) dt

+i∫ b

av(x(t), y(t))x′(t) + u(x(t), y(t))y′(t) dt

ossia si trova la somma di quattro integrali di funzioni continue su [a, b], in-tervallo limitato e chiuso. Dunque, a tali integrali si possono applicare tuttele proprieta note per gli integrali di funzione di variabile reale. In particolare,se (un(x, y)) e una successione che converge uniformemente ad u(x, y) allora

limn

un(x(t), y(t)) = u(x(t), y(t))

e il limite e uniforme su [a, b]. Dunque,

lim∫ b

aun(x(t), y(t))x′(t) dt =

∫ b

au(x(t), y(t))x′(t) dt

lim∫ b

aun(x(t), y(t))y′(t) dt =

∫ b

au(x(t), y(t))y′(t) dt .

Analogo argomento vale se (vn(x, y)) converge uniformemente a v(x, y).

Sia ora (fn(z)) una successione di funzioni della variabile complessa z,convergente uniformemente ad f(z). Si sa che cio avviene se e solo se le partireali, rispettivamente immaginarie, delle fn(z) convergono rispettivamente allaparte reale ed immaginaria di f(z). Dunque:

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56 CAPITOLO 1. LE FUNZIONI OLOMORFE

Teorema 43 Sia (fn(z)) una successione di funzioni continue su una regioneΩ, e sia γ una curva il cui sostegno e in Ω. Supponiamo che esista unafunzione f(z), definita sul sostegno di γ, tale che

limn

fn(z) = f(z) ,

uniformemente sul sostegno di γ. Allora vale

lim∫

γfn(z) dz =

γf(z) dz .

In pratica non e comodo studiare la convergenza di una successione difunzioni sul sostegno di una singola curva. Si presenta pero frequentemente ilcaso seguente: una successione di funzioni continue (fn(z)) converge ad unafunzione f(z) in ogni punto di Ω, ma non uniformemente. E’ pero possibileprovare che per ogni compatto K contenuto in Ω la convergenza e uniforme;ossia, per ogni ε > 0 esiste N = N(ε,K) tale che se n > N allora vale

|fn(z)− f(z)| < ε ∀z ∈ K .

In tal caso si dice che la successione (fn(z)) converge uniformemente suicompatti di Ω.

La convergenza uniforme sui compatti ovviamente implica la continuitadella funzione limite f(z) e inoltre implica la convergenza uniforme sui sostegnidi curve che sono contenuti in Ω, perche i sostegni di curve sono compatti.Dunque permette l’applicazione del Teorema 43.

Un caso importante in cui si ha convergenza uniforme sui compatti e quellodelle serie di Laurent nei compatti contenuti nella corona di convergenza. Inquesto caso si ha:

Corollario 44 Sia∑+∞

k=−∞ an(z − z0)n una serie di Laurent la cui corona di

convergenza e non vuota e sia γ una curva il cui sostegno e nella corona diconvergenza. Sia φ(z) una funzione continua su γ. In tal caso si ha:

γφ(ζ)

+∞∑

k=−∞ak(ζ − z0)

k

dζ =

+∞∑

k=−∞ak

γφ(z)(ζ − z0)

k dζ .

Se in particolare si sceglie φ(z) = 1 si trova

γ

+∞∑

k=−∞ak(ζ − z0)

k

dζ =

+∞∑

k=−∞ak

γ(ζ − z0)

k dζ.

Asserti analoghi valgono per le serie di Taylor, naturalmente riformulatirispetto al disco di convergenza.

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1.12. LA FORMULA INTEGRALE DI CAUCHY 57

1.12 La formula integrale di Cauchy

Sia f(z) olomorfa sulla regione di Jordan Ω e sia γ una curva di Jordan in Ω.La formula integrale di Cauchy mostra in particolare che i valori di f(z) nellaregione interna a γ sono univocamente individuati dai valori che la f(z) assumesul sostegno di γ e inoltre vengono ad essere espressi mediante una sempliceformula integrale. Si noti che niente di analogo vale per funzioni di classe C1

di due variabili reali.Piu avanti vedremo che anche i valori che f(z) assume nella regione esterna

a γ sono individuati dai valori che essa assume sul sostegno di γ. Pero, nessunaformula semplice permette di trovarli.

La formula integrale di Cauchy vale per curve chiuse, anche non semplici,di sostegno in Ω. In tale forma lo enunciamo anche se, di regola, lo useremonel caso delle curve semplici.

Teorema 45 (formula integrale di Cauchy ) Sia f(z) olomorfa in unaregione di Jordan Ω e sia γ una curva in Ω. Sia z ∈ Ω un punto che nonappartiene al sostegno di γ. Vale:

I(γ, z)f(z) =1

2πi

γ

f(ζ)

ζ − zdζ . (1.23)

Dim. Limitiamoci a provare il teorema per il caso delle curve semplici. Inquesto caso, I(γ, z) = 0 quando z e nella regione esterna a γ e in tal casol’integrale e nullo per il Teorema di Cauchy, Teorema 31. Dunque, in tal casol’uguaglianza e verificata. Sia allora z ∈ Ωγ, la regione interna a γ. In questocaso I(γ, z) = 1 e dobbiamo provare che

f(z) =1

2πi

γ

f(ζ)

ζ − zdζ .

Sia Cr una circonferenza di raggio r e centro z, con r cosı piccolo che Cr siacontenuta nella regione Ωγ. Il Teorema di Cauchy mostra che

1

2πi

γ

f(ζ)

ζ − zdζ =

1

2πi

Cr

f(ζ)

ζ − zdζ .

In particolare, la funzione di r,

r → 1

2πi

Cr

f(ζ)

ζ − zdζ

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58 CAPITOLO 1. LE FUNZIONI OLOMORFE

e costante e quindi

limr→0+

1

2πi

Cr

f(ζ)

ζ − zdζ

=

1

2πi

γ

f(ζ)

ζ − zdζ .

Il limite si calcola facilmente notando che

1

2πi

Cr

f(ζ)

ζ − zdζ =

1

2πi

Cr

f(ζ)− f(z)

ζ − zdζ +

1

2πi

Cr

f(z)

ζ − zdζ

=1

2πi

Cr

f(ζ)− f(z)

ζ − zdζ + f(z)

(se la curva non e semplice, l’addendo f(z) viene moltiplicato per I(γ, z)).Basta quindi calcolare

limr→0

1

2πi

Cr

f(ζ)− f(z)

ζ − zdζ .

E’ immediato notare che questo limite e nullo. Infatti, il modulo del rapportoincrementale ∣∣∣∣∣

f(ζ)− f(z)

ζ − z

∣∣∣∣∣

e limitato, diciamo da M = 2|f ′(z)|, per |ζ − z| piccolo. Dunque, per ilTeorema 30, vale ∣∣∣∣∣

Cr

f(ζ)− f(z)

ζ − zdζ

∣∣∣∣∣ ≤ 2πrM .

Il membro destro tende a zero per r → 0 e cio prova l’uguaglianza richiesta.

La formula (1.23) si chiama formula integrale di Cauchy e, ripetiamo, nonha analogo per le funzioni di variabile reale.

La formula integrale di Cauchy ha una conseguenza interessante: suppo-niamo che f(z) sia olomorfa in |z| < 1 e continua in |z| ≤ 1. Supponiamoinoltre che f(eit) = 0 per ogni t. In tal caso, la funzione f(z) e identicamentezero.

Infatti, per ogni z0 di modulo minore di 1 vale

f(z0) =1

2πi

|z|=r

f(ζ)

ζ − z0

dζ .

Questa formula vale per ogni r con |z0| < r < 1. Scrivendo esplicitamente laparametrizzazione della circonferenza, si trova

f(z0) =1

2πi

∫ 2π

0

f(reit)

reit − z0

ireit dt .

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1.12. LA FORMULA INTEGRALE DI CAUCHY 59

Passando al limite per r tendente ad 1 si vede che

f(z0) =1

∫ 2π

0

f(eit)

eit − z0

eit dt = 0 .

E’ importante sapere che in realta la sola condizione f(eit) = 0 per t ∈ [α, β]con α < β implica che f(z) e identicamente zero.

1.12.1 La proprieta della media

Scriviamo la formula integrale di Cauchy nel caso speciale in cui γ e unacirconferenza di raggio r centrata in z0. Vale

f(z0) =1

2πi

γ

f(ζ)

ζ − z0

dζ .

Introducendo la parametrizzazione

ζ(t) = reit = r[cos t + i sin t] , t ∈ [0, 2π]

si trova

f(z0) =1

∫ 2π

0f(z0 + reit) dt . (1.24)

Questa formula mostra che f(z0) puo interpretarsi come media dei valori che lafunzione prende sulla circonferenza di centro z0 e raggio 1. Per questa ragionela particolare forma (1.24) della formula integrale di Cauchy si chiama formula

della media .

Osserviamo ora che l’integrale che figura nella formula della media e su unintervallo dell’asse reale; e quindi, scrivendo

f(x + iy) = u(x, y) + iv(x, y)

e prendendo la parte reale dei due membri, si trova

u(x0, y0) =1

∫ 2π

0u(x0 + r cos t, y0 + r sin t) dt , (1.25)

ossia la proprieta della media vale anche per le parti reali (e immaginarie) difunzioni olomorfe.

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60 CAPITOLO 1. LE FUNZIONI OLOMORFE

1.12.2 Funzioni olomorfe rappresentate mediante inte-grali

Abbiamo visto che le serie di potenze identificano una classe di funzioni olo-morfe. L’integrale che figura nella formula di Cauchy suggerisce una secondaclasse di funzioni olomorfe, dotate di una semplice rappresentazione. Sia h(ζ)una funzione continua sul sostegno di γ (non necessariamente chiusa).

Sia f(z) definita da

f(z) =1

2πi

γ

h(ζ)

ζ − zdζ . (1.26)

In questo modo, f(z) e ben definita per ogni z che non appartiene al sostegnodi γ. Inoltre, la funzione

z → h(ζ)

ζ − zdζ

e di classe C∞ ed ha derivate rispetto a z limitate uniformemente al variare diζ su γ e di z in un intorno di un punto z0 che non interseca γ. Dunque e lecitoscambiare il segno di derivata e quello di integrale, ottenendo che

f ′(z) =1

2πi

γ

h(ζ)

(ζ − z)2dζ . (1.27)

La funzione f ′(z) e continua e cio mostra che f(z) e olomorfa. Abbiamo cosıun’ulteriore classe di funzioni olomorfe, dotate di una semplice rappresenta-zione.

La funzione f ′(z) in (1.27) puo nuovamente derivarsi e la sua derivata enuovamente continua, ossia anche f ′(z) e olomorfa.

Sia ora f(z) olomorfa su Ω e sia z0 un punto di Ω. Sia C una circonferenzacontenuta in Ω, di centro z0. La (1.26) vale con h(ζ) = f(ζ) e con γ = C.Dunque anche la (1.27) vale e quindi f ′(z) e nuovamente olomorfa. Iterandoquest’osservazione si trova:

Teorema 46 Sia f(z) olomorfa in Ω. Essa ammette derivate di ogni ordine,e tutte le derivate sono olomorfe.

Torniamo ora a considerare la situazione descritta dalla Formula integraledi Cauchy. In questo caso e a priori noto che la funzione f(z) e olomorfaanche nei punti di γ e la formula (1.23) mostra, nel caso delle curve semplici,che

limz→z0

1

2πi

γ

f(ζ)

ζ − zdζ = f(z0)

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1.13. ANALITICITA DELLE FUNZIONI OLOMORFE 61

anche se z0 e un punto del sostegno di γ. Si potrebbe immaginare che illimite esista anche nel caso di una generica funzione, definita mediante laformula (1.26). In genere cio non accade e, piu ancora, se questo limite esisteesso puo essere diverso da h(z0) perfino se h(z) e continua su C.

Esempio 47 Sia h(z) = z e sia γ: z = eit, t ∈ [0, 2π]. L’integrale

1

2πi

γ

ζ

ζ − zdζ =

1

2πi

ζ

1

ζ

1

ζ − zdζ

si calcola immediatamente notando che

1

ζ

1

ζ − z= −1

z

1

ζ+

1

z

1

ζ − z.

Dunque,

1

2πi

γ

ζ

ζ − zdζ = −1

z

[1

2πi

γ

1

ζdζ

]+

1

z

[1

2πi

γ

1

ζ − zdζ

]

1

z[−I(γ, 0) + I(γ, z)] = 0

per ogni z nella regione interna a γ, ossia nel disco |z| < 1. Dunque,

f(z) =1

2πi

γ

ζ

ζ − zdζ ≡ 0 :

la funzione f(z) e olomorfa in |z| < 1 e continua in |z| ≤ 1, ma i suoi valori su|z| = 1 non coincidono con quelli di h(z) = z.

Per molte applicazioni e importante lo studio del comportamento di f(z)per z tendente a γ.

1.13 Analiticita delle funzioni olomorfe

Si e visto al Teorema 46 che una funzione olomorfa ammette derivate di ogniordine, e queste sono tutte olomorfe. Mostriamo che vale anche di piu. Unafunzione f(z) definita su una regione Ω si dice analitica su Ω quando e svi-luppabile in serie di Taylor (con raggio di convergenza non nullo) di centro z0

per ogni z0 ∈ Ω.Vedremo, al paragrafo 1.15, che una funzione analitica e anche olomorfa.

Andiamo a provare:

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62 CAPITOLO 1. LE FUNZIONI OLOMORFE

Teorema 48 Se f(z) e olomorfa su Ω, essa e anche analitica su Ω e inoltre,se z0 ∈ Ω, vale

f(z) =+∞∑

n=0

fn(z − z0)n , fn =

1

2πi

C

f(ζ)

(ζ − z0)n+1

ove C e una qualunque circonferenza di centro z0 e contenuta in Ω.

Dim. Sia C una circonferenza di centro z0 e contenuta in Ω. Usando la formulaintegrale di Cauchy, si scriva

f(z) =1

2πi

C

f(ζ)

ζ − zdζ =

1

2πi

C

f(ζ)

(ζ − z0)− (z − z0)dζ

=1

2πi

C

f(ζ)

ζ − z0

[1− z − z0

ζ − z0

]−1

dζ .

Dato che ζ e sulla circonferenza mentre z e nel disco, |(z − z0)/(ζ − z0)| < 1 equindi

1

2πi

C

f(ζ)

ζ − z0

[1− z − z0

ζ − z0

]−1

dζ =1

2πi

C

f(ζ)

ζ − z0

+∞∑

n=0

(z − z0

ζ − z0

)n

=+∞∑

n=0

[1

2πi

C

f(ζ)

(ζ − z0)n+1

](z − z0)

n .

Questa e la formula che volevamo provare.Si noti che lo scambio della serie con l’integrale e lecito perche per z e z0

fissati la serie+∞∑

n=0

f(ζ)

ζ − z0

(z − z0

ζ − z0

)n

converge uniformemente su C.

In particolare si trova una nuova dimostrazione del Teorema 46:

Teorema 49 Se f(z) e olomorfa su Ω, essa e ivi di classe C∞ e per lesuccessive derivate vale la formula di rappresentazione seguente:

f (n)(z0) =n!

2πi

C

f(ζ)

(ζ − z0)n+1dz

ove C e una circonferenza di centro z0 contenuta in Ω.Inoltre, ogni derivata di f(z) e a sua volta una funzione olomorfa.

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1.13. ANALITICITA DELLE FUNZIONI OLOMORFE 63

Notiamo ora che, a rigore, l’uguaglianza

f(z) =1

2πi

+∞∑

n=0

[∫

C

f(ζ)

(ζ − z0)n+1

](z − z0)

n

ha senso solo se z ∈ Ω; ma niente vieta che il disco di convergenza dellaserie fuoriesca da Ω. In tal caso la serie fornisce un’estensione analitica dellafunzione f(z).

1.13.1 Funzioni armoniche

Una funzione u(x, y) a valori reali delle due variabili reali x ed y si dicearmonica su una regione Ω se e ivi di classe C2 e se per ogni (x, y) ∈ Ωvale

∆u = uxx + uyy = 0 .

Sia f(z) = f(x + iy) olomorfa su Ω. Si e visto che essa ammette derivatedi ogni ordine e quindi anche la sua parte reale u(x, y) e di classe C∞. Inoltre,la sua derivata f ′(z) = ux(x, y) + ivx(x, y) e olomorfa e quindi verifica lecondizioni di Cauchy–Riemann, che ora si scrivono:

(ux)x = (vx)y , (vx)x = −(ux)y .

La derivata f ′(z) puo anche rappresentarsi come f ′(z) = vy(x, y)− iuy(x, y) escrivendo le condizioni di Cauchy–Riemann si trova

(vy)x = −(uy)y , (uy)x = (vy)y .

Confrontando queste uguaglianze si vede che

∆u = 0 , ∆v = 0

ossia,

Teorema 50 Le parti reali ed immaginarie di funzioni olomorfe sono funzioniarmoniche.

Al paragrafo 2.1 proveremo il viceversa:

Teorema 51 Sia Ω una regione di Jordan e sia u(x, y) armonica su Ω. Esisteuna funzione v(x, y) armonica su Ω e tale che f(x + iy) = u(x, y) + iv(x, y) eolomorfa su Ω.

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64 CAPITOLO 1. LE FUNZIONI OLOMORFE

Le funzioni v(x, y) con la proprieta detta sopra si chiamano funzioni ar-moniche coniugate di u(x, y).

Questo teorema puo sempre applicarsi “localmente” ossia in un intorno diciascun punto di Ω. Di conseguenza:

Corollario 52 Le funzioni armoniche su Ω sono di classe C∞(Ω).

Un ulteriore conseguenza del Teorema 51 e del teorema della media e:

Teorema 53 (Teorema della media ) Sia u(x, y) armonica su Ω. Essa

verifica la proprieta della media : per ogni (x0, y0) ∈ Ω e per ogni cerchio diraggio r e centro (x0, y0) e contenuto in Ω vale la (1.25).

1.13.2 Zeri e estensioni di funzioni olomorfe

Le serie di potenze hanno una proprieta importante:

Teorema 54 Sia f(z) =∑+∞

n=0 an(z − z0)n una serie di potenze con raggio di

convergenza non nullo e non identicamente nulla. Il punto z0 non e punto diaccumulazione di zeri di f(z).

Dim. L’assero e ovvio se a0 6= 0 perche in tal caso f(z0) = a0 6= 0. Sia quindia0 = 0 e sia ak il primo coefficiente non nullo. Si puo scrivere

f(z) = (z − z0)kφ(z) , φ(z) =

+∞∑

n=k

an(z − z0)n−k .

Si ha φ(z0) = ak 6= 0 e φ(z) e continua. Dunque, in un intorno di z0 non siannulla. In tale intorno il primo fattore (z − z0) ha l’unico zero z0. Dunque,z0 non e punto di accumulazione di zeri.

Ricordando che le funzioni olomorfe sono analitiche, il teorema precedentepuo riformularsi come segue:

Corollario 55 Una funzione olomorfa su Ω, che ha una successione (zn) dizeri convergente a z0 ∈ Ω, e identicamente nulla in un intorno di z0.

In realta vale di piu:

Teorema 56 Sia f(z) olomorfa sulla regione Ω e sia (zn) una successione dizeri di f(z), convergente ad un punto z0 ∈ Ω. Allora, f(z) e identicamentenulla su Ω.

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1.13. ANALITICITA DELLE FUNZIONI OLOMORFE 65

Dim. Ricordiamo che una regione e un aperto connesso.Per il Corollario 55, esiste un intorno V di z0 su cui f(z) e nulla. Su

quest’intorno, ogni derivata di f(z) e nulla.Indichiamo con Z l’insieme

Z = z | ∂i

∂zif(z) = 0 ∀i .

L’insieme Z contiene V e quindi non e vuoto. Inoltre e chiuso perche ciascunadelle derivate parziali di f(z) e una funzione continua.

Mostriamo che Z e aperto, cosı che avremo Z = Ω. Sia per questo z ∈ Z.Mostriamo che tutto un intorno di z e contenuto in Z. Per questo, sviluppiamof(z) in serie di Taylor di centro z:

f(z) =+∞∑

n=0

1

n!f (n)(z)(z − z)n .

L’uguaglianza vale in un intorno W di z.Dato che z ∈ Z, tutti i coefficienti della serie sono nulli e quindi f(z) = 0

su W . Cio mostra che W ⊆ Z e completa la dimostrazione.

Notiamo che il teorema precedente non vieta che una successione di zeri diuna funzione olomorfa non nulla f(z) possa avere punti di accumulazione. Intal caso pero tali punti non sono interni alla regione su cui f(z) e olomorfa.

Il Teorema 56 ha conseguenze importanti.

Teorema 57 (principio di permanenza ) Siano f(z) e g(z) due funzioni

olomorfe sulla stessa regione Ω e supponiamo che f(z) = g(z) su un insiemedotato di punti di accumulazione appartenenti ad Ω. Il tal caso, f(z) = g(z) suΩ.

Dim. Perche, per il Teorema 56, f(z)− g(z) e identicamente nulla.

Il teorema precedente vale se, per esempio, f(z) e g(z) sono uguali sulsostegno di una curva in Ω. Ora, se z = x + i0, allora vale

sin2 z + cos2 z = 1

e le funzioni a destra e a sinistra dell’uguaglianza sono olomorfe su C. Dunquel’eguaglianza vale per ogni z in C.

Esempio 58 Torniamo ad esaminare la primitiva di 1/z, in una regione diJordan Ω come in figura.

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66 CAPITOLO 1. LE FUNZIONI OLOMORFE

Figura 1.12:

−2 −1.5 −1 −0.5 0 0.5 1 1.5 2−2

−1.5

−1

−0.5

0

0.5

1

1.5

2

y

x

Ω

La primitiva che si e indicata con L(z) al paragrafo 1.9.3 coincide con Logznel primo/secondo quadrante, e quindi ivi verifica

eL(z) = z .

Per il Principio di permanenza, tale uguaglianza vale ovunque L(z) e definitae quindi anche nel terzo quadrante. Dunque, nei punti del terzo quadranteessa e uguale a

log |z|+ i[Argz + 2kπ]

per un qualche valore di k che certamente non e 0, perche Logz e discontinuoquando z traversa l’asse reale negativo, mentre L(z) e continua. Dunque L(z)passa dai valori di una determinazione del logaritmo a quelli di un’altra.

L’applicazione del teorema precedente richiede una certa cautela. Suppo-niamo che f(z) e g(z) siano olomorfe su due regioni Ω1 ed Ω2 tra loro diverse,ma con intersezione non vuota e supponiamo che f(z) e g(z) siano ugualisul sostegno di una curva contenuta in Ω1 ∩ Ω2. Il Teorema precedente NONimplica che le due funzioni debbano essere uguali su Ω1 ∩ Ω2. Implica chedebbano essere uguali soltanto sulla componente connessa di Ω1 ∩ Ω2 che con-tiene il sostegno della curva. E’ importante notare questo nella dimostrazionedel teorema seguente che permette di chiarire una stranezza delle funzioni divariabile reale. Per illustrarla, consideriamo la serie di Taylor

log (1 + x) =+∞∑

n=1

(−1)n+1xn

n.

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1.13. ANALITICITA DELLE FUNZIONI OLOMORFE 67

Questa serie ha raggio di convergenza 1 e si capisce che il raggio non possasuperare 1 perche per x = −1 la funzione non e definita.

Consideriamo invece la serie di Taylor

1

1 + x2=

+∞∑

n=0

(−1)nx2n .

Anche questa serie ha raggio di convergenza 1 nonostante che la funzionesomma abbia estensione di classe C∞ su R e, guardando le cose soltanto sullaretta reale, non si capisce perche il raggio di convergenza non possa superare 1.Cio si capisce esaminando la funzione 1/(1+z2) sul piano complesso: essa none definita per x = ±i. Quest’osservazione ha una validita generale. Infatti, ilteorema seguente mostra che la convergenza di una serie di Taylor sul pianocomplesso trova solamente ostacoli nelle singolarita della funzione.

Per chiarire meglio questo punto, chiamiamo punto regolare per la funzio-

ne f(z) un punto z0 interno alla regione Ω su cui f(z) e olomorfa; diciamo che

z0 e una singolarita eliminabile se z0 appartiene alla chiusura di Ω e se f(z)ammette estensione olomorfa ad un intorno di z0 (il punto z0 stesso incluso).

Ogni altro punto della frontiera di Ω si dira punto singolare di f(z).

Si noti che un punto z0 che e una singolarita eleminabile per f(z) e unpunto regolare per l’estensione olomorfa di f(z). Per questo non useremo iltermine “singolarita” (senza aggettivo) per indicare le singolarita eliminabili.

Teorema 59 Sia f(z) =∑+∞

n=0 fn(z − z0)n una serie di Taylor con raggio di

convergenza R > 0. Esiste un punto singolare z tale che |z − z0| = R.

Dim. La dimostrazione si fa per assurdo. Sia D il disco di convergenza esia C la sua circonferenza. Sia w un punto di C. Se w non e singolare, sitrova un disco Dw di centro w e una funzione g(z) tale che g(z) e olomorfain Dw e coincide con f(z) in D ∩Dw. Se nessun punto della frontiera di D esingolare, si costruisce in questo modo una copertura della circonferenza C, chee compatta. Dunque, per il Teorema di Heine-Borel, si trova un numero finitodi dischi D1 = Dw1 , D2 = Dw2 ,. . . ,Dn = Dwn che coprono C. Ordiniamoli inmodo che i loro centri si susseguano per esempio in verso antiorario.

Sia gi(z) la funzione che abbiamo definita sul disco Di.

Due dischi consecutivi Di e Di+1 hanno una parte comune su cui sonodefinite sia gi che gi+1. Queste due funzioni coincidono ambedue con f(z) in(Di ∩Dj)∩D e quindi coincidono ovunqe su Di ∩Dj perche esso e un insiemeconnesso.

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68 CAPITOLO 1. LE FUNZIONI OLOMORFE

Sia ora φ(z) la funzione definita su Ω = D ∪ (∪Di) da:

φ(z) =

f(z) su Dgi(z) su Di.

Come abbiamo visto, la funzione φ(z) e olomorfa su Ω.Sviluppiamo questa funzione in serie di potenze di centro z0. Ovviamente,

si ritrova la stessa serie di potenze di f(z). Per il Teorema 48, il raggio diconvergenza della serie cosı ottenuta e maggiore di R e cio non puo darsi.Dunque, almeno uno dei punti di C e singolare per f(z).

1.14 Il teorema di Morera e il principio di

riflessione di Schwarz

Il Teorema di Morera inverte il teorema di Cauchy.

Teorema 60 (di Morera ) Sia Ω una regione qualsiasi e supponiamo chef(z) sia continua su Ω. Supponiamo che su ogni poligono P valga

Pf(z) dz = 0 . (1.28)

Allora, la funzione f(z) e olomorfa su Ω.

Dim. Si sa che se vale la condizione (1.28) allora la funzione f(z) ammetteuna primitiva F (z), ossia si sa che esiste una funzione olomorfa F (z) definitasu Ω e tale che

F ′(z) = f(z) .

Si sa che le derivate delle funzioni olomorfe sono esse stesse olomorfe (si vedail Teorema 49) e quindi f(z) e olomorfa.

Il principio di riflessione di Schwarz, la cui dimostrazione usa il Teoremadi Morera, permette di estendere funzioni olomorfe, in modo da conservarel’olomorfia, in presenza di opportune proprieta di simmetria. Noi presentiamola forma piu semplice di tale principio.

Se Ω e una regione, poniamo

Ω∗ = z | z ∈ Ω .

Dunque, Ω∗ e ottenuta da Ω mediante riflessione rispetto all’asse reale. Inparticolare, Ω = Ω∗ quando Ω e simmetrica rispetto all’asse reale.

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1.14. IL TEOREMA DI MORERA E IL PRINCIPIO DI RIFLESSIONE DI SCHWARZ 69

Sia f(z) olomorfa su Ω e sia

g(z) = f(z) .

Ovviamente, g(z) e continua su Ω∗. Mostriamo che e anche olomorfa, facendovedere che la sua derivata e funzione continua di z. Cio si vede come segue:sia z ∈ Ω∗, cosı che z ∈ Ω. Si ha:

limh→0

f(z + h)− f(z)

h= lim

h→0

[f(z + h)− f(z)

h

]= f ′(z) ,

funzione continua di z.Supponiamo ora Ω = Ω∗, che f(z) sia olomorfa su Ω e e che prenda valori

reali sull’asse reale. Allora,

g(z) = f(z)

e olomorfa e coincide con f(z) sull’asse reale e quindi coincide con f(z) ovun-que, si veda il Teorema 57. Dunque, f(z) gode della seguente proprieta disimmetria:

f(z) = f(z) .

Invertiamo questa costruzione per ottenere un teorema di estensione:

Teorema 61 (principio di riflessione di Schwarz ) Sia Ω una regione con-tenuta in Imz > 0 e sia f(z) olomorfa su Ω. Supponiamo che f(z) sia anchecontinua su Ω∪ z ∈ ∂Ω , Imz = 0 e che ivi prenda valori reali. In tal casola funzione

g(z) =

f(z) se z ∈ Ω ∪ z ∈ ∂Ω , Imz = 0f(z) se z ∈ Ω∗

e olomorfa.

Dim. Illustriamo l’idea della dimostrazione, senza entrare in tutti i dettaglidel calcolo. La funzione g(z) e definita e continua sulla regione

Ω ∪ Ω∗ ∪ z ∈ ∂Ω Imz = 0 .

Per ipotesi g(z) e olomorfa su Ω e si e gia notato che e olomorfa su Ω∗.Dobbiamo provare che essa e anche olomorfa sui punti interni all’insieme

z ∈ ∂Ω , Imz = 0 .

Page 71: Elementi della teoria delle funzioni analitichecalvino.polito.it/~lucipan/materiale_html/funzionianali...4 CAPITOLO 1. LE FUNZIONI OLOMORFE 1.1 Richiami sui numeri complessi E’ nota

70 CAPITOLO 1. LE FUNZIONI OLOMORFE

Figura 1.13:

−2 −1.5 −1 −0.5 0 0.5 1 1.5 2−2

−1.5

−1

−0.5

0

0.5

1

1.5

2

y

x

Pε+

Pε−

Per mostrare l’olomorfia, usiamo il teorema di Morera. Sia P un qualsiasipoligono nel dominio di g(z). Siano P+

ε , P−ε i due poligoni in figura,

ottenuti “tagliando” P a distanza ε, sopra e sotto l’asse reale. L’integrale dig(z) lungo P+

ε e lungo P−ε e nullo.

Quando ε tende a zero,

0 = limε→0

P+ε

g(z) dz +∫

P−εg(z) dz

=

Pg(z) dz

dato che gli integrali sui segmenti paralleli tendono ad elidersi.L’arbitrarieta di P prova che g(z) e olomorfa sul suo dominio.

1.15 Teoremi di Weierstrass e di Montel

I due teoremi di Weierstrass e di Montel riguardano successioni di funzioni.

Teorema 62 (di Weierstrass ) Sia (fn(z)) una successione di funzioni olo-morfe sulla medesima regione Ω e supponiamo che (fn(z)) converga ad unafunzione f(z) uniformemente sui compatti di Ω. In tal caso, f(z) e olomorfae inoltre vale

f ′(z) = lim f ′n(z) ,

anche tale limite essendo uniforme sui compatti.

Page 72: Elementi della teoria delle funzioni analitichecalvino.polito.it/~lucipan/materiale_html/funzionianali...4 CAPITOLO 1. LE FUNZIONI OLOMORFE 1.1 Richiami sui numeri complessi E’ nota

1.15. TEOREMI DI WEIERSTRASS E DI MONTEL 71

Dim. Per provare che f(z) e olomorfa basta lavorare localmente, nell’intornoD di ciascun punto z di Ω. In tale intorno si usa il teorema di Morera. Notiamoprima di tutto che f(z) e continua, come limite uniforme di una successionedi funzioni continue. Sia P un poligono in D. La successione (fn(z)) convergead f(z) uniformemente su P e quindi

Pf(z) dz = lim

Pfn(z) dz .

Ciascuno degli integrali a destra e nullo perche ciascuna funzione fn(z) eolomorfa e D e una regione di Jordan. Dunque

Pf(z) dz = 0

per ogni poligono P ed f(z) e olomorfa.Fissiamo ora un compatto K ⊆ Ω. Vogliamo provare che (f ′n(z)) converge

uniformemente a f(z) su K.Per il Teorema di Heine–Borel, il compatto K e coperto da un numero

finito di dischi, ciascuno dei quali e contenuto in Ω e quindi basta provare laconvergenza uniforme su ciascuno di tali dischi. Fissiamo l’attenzione su unodi essi, che indichiamo con D e sia D un disco con lo stesso centro di D eraggio maggiore, ancora contenuto in Ω. Sia C la circonferenza di D. Sapendogia che f(z) e olomorfa, per ogni z ∈ D vale

f ′(z) =1

2πi

C

f(ζ)

(ζ − z)2dζ = lim

1

2πi

C

fn(ζ)

(ζ − z)2dζ = lim f ′n(z) ,

il limite essendo uniforme per z ∈ D.

Osservazione 63 Applicando questo teorema alle serie di potenze ed alleserie di Laurent si trovano dimostrazioni dei teoremi 23 e 24. Si noti infattiche la catena di argomenti che conducono al teorema di Weierstrass non fa usone delle serie di Taylor ne delle serie di Laurent.

Il teorema di Montel e invece un teorema di compattezza. La dimostrazionesi basa sul Teorema di Ascoli-Arzela, che si assume noto dai corsi di topologia.1

1Conviene pero ricordare le definizioni: sia (fn(x, y) ) una successione di funzioni continuedefinite su K. La successione si dice uniformemente limitata se esiste un numero M tale

che |fn(x, y)| < M per ogni n e per ogni (x, y) ∈ K; si dice equicontinua se per ogni ε > 0

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72 CAPITOLO 1. LE FUNZIONI OLOMORFE

Teorema 64 Una successione di funzioni continue di due variabili reali che euniformemente limitata ed equicontinua su un insieme compatto K ammetteuna s.successione uniformemente convergente.

Usando questo risultato, possiamo provare:

Teorema 65 (di Montel ) Sia (fn(z)) una successione limitata di funzioniolomorfe sulla regione Ω. Essa ammette una s.successione che e convergenteuniformemente sui compatti di Ω.

Dim. Si sa dai corsi di topologia che esiste una successione (Kr) di s.insiemicompatti di Ω tali che

Kr ⊆ int Kr+1 , ∪Kr = Ω .

Mostreremo che per ogni r si puo estrarre dalla (fn(z)) una s.successione uni-formemente convergente su Kr. Accettiamo per un attimo questo fatto emostriamo come si costruisce la s.successione cercata: si applica questo proce-dimento a (fn(z)) e K1 e si costruisce una successione (fnk,1(z)) convergenteuniformemente su K1. Non si conosce il comportamento di questa successionefuori di K1. Si applica quindi di nuovo il procedimento a (fnk,1(z)) e K2, co-struendo la successione (fnk,2(z)) uniformemente convergente su K2 (e quindianche su K1).

Si itera il procedimento e si sceglie come s.successione quella diagonale,ossia quella delle funzioni (fnk,k(z)), si ricordi la dimostrazione del teorema diAscoli-Arzela.

Il procedimento descritto e riassunto dalla tabella seguente:

fn1,1(z) fn2,1(z) fn3,1(z) fn4,1(z) . . .fn1,2(z) fn2,2(z) fn3,2(z) fn4,2(z) . . .fn1,3(z) fn2,3(z) fn3,3(z) fn4,3(z) . . .

...

In questa tavola:

esiste δ > 0 tale che per ogni n e per ogni coppia di punti (x, y) e (x′, y′) che distano menodi δ si ha

|fn(x, y)− fn(x′, y′)| < ε .

Il teorema di Ascoli-Arzela e in realta condizione necessaria e sufficiente, ma per il seguitoa noi interessa solo la parte esplicitamente enunciata.

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1.16. IL PRINCIPIO DEL MASSIMO MODULO ED IL TEOREMA DI LIOUVILLE73

• alla prima riga c’e una s.successione della (fn(z)) e ciascuna riga riportauna s.successione di quella che figura alla riga precedente.

• dunque la “successione diagonale” (fnr,r) e s.successione della (fn).

• La successione che figura alla riga i–ma converge su Ki e quindi anchesu Kj, con j < i.

• la successione diagonale e s.successione di ciascuna (fni,j) (per ciascunj), alterata nei soli primi elementi. E quindi essa converge su ciascuninsieme Kj.

Per concludere, basta mostrare come estrarre dalla (fn(z)) una s.successioneconvergente su un assegnato compatto K. Per ipotesi, su K la successione(fn(z)) e limitata, |fn(z)| < MK . Se si prova che anche la successione (f ′n(z))e limitata allora la fn(z) e sia equilimitata che equicontinua e la s.successionecercata esiste per il teorema di Ascoli-Arzela.

La limitatezza di f ′n(z) si vede come segue. Sia P un poligono in Ω cheracchiude K. Per ogni z ∈ K vale

f ′n(z) =1

2πi

P

f(ζ)

(ζ − z)2dζ ≤

LP maxP |fn(z)|

· max

ζ∈P,z∈K

1

|ζ − z|2 < M .

1.16 Il principio del massimo modulo ed il teo-

rema di Liouville

Abbiamo visto che le funzioni olomorfe soddisfano al Teorema della media,

f(z0) =1

∫ 2π

0f(z0 + reit) dt

da cui segue

|f(z0)| ≤ 1

2π· 2π( max

|z−z0|=r|f(z)|) :

Il massimo del modulo di f(z) su una circonferenza e al piu uguale al numero|f(z0)|. In realta puo provarsi di piu:

Teorema 66 (Principio del massimo modulo ) Sia f(z) olomorfa su unaregione Ω. Se la funzione |f(z)| ammette un punto di massimo relativo z0 cheappartiene ad Ω, allora la funzione f(z) e costante su Ω.

Page 75: Elementi della teoria delle funzioni analitichecalvino.polito.it/~lucipan/materiale_html/funzionianali...4 CAPITOLO 1. LE FUNZIONI OLOMORFE 1.1 Richiami sui numeri complessi E’ nota

74 CAPITOLO 1. LE FUNZIONI OLOMORFE

Dim. Per il Lemma 12 basta provare che il modulo di f(z) e costante in unintorno di z0. Infatti in tal caso f(z) e costante in un intorno di z0 e quindianche su Ω. Se cio non accade, in ogni disco di centro z0 esiste z tale che

|f(z)| < |f(z0)| .

Sia z1 uno di tali punti e supponiamo che, inoltre, valga

z | |z − z0| < 2|z1 − z0| ⊆ Ω .

Sia γ la circonferenza parametrizzata da

z0 + |z0 − z1|eit , 0 ≤ t ≤ 2π .

Il punto z1 appartiene a questa circonferenza e quindi, per la continuita di|f(z)|, esiste ε > 0 ed esiste un arco della circonferenza su cui

|f(z0 + reit)| < |f(z0)| − ε , φ0 < t < φ1 .

Figura 1.14:

−2.5 −2 −1.5 −1 −0.5 0 0.5 1 1.5 2 2.5−2.5

−2

−1.5

−1

−0.5

0

0.5

1

1.5

2

2.5

x

y

z0

z1

Usiamo ora la formula della media come segue:

|f(z0)| =∣∣∣∣

1

∫ 2π

0f(z0 + reit) dt

∣∣∣∣

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1.16. IL PRINCIPIO DEL MASSIMO MODULO ED IL TEOREMA DI LIOUVILLE75

≤∣∣∣∣∣

1

∫ φ1

φ0

f(z0 + reit) dt

∣∣∣∣∣ +

∣∣∣∣∣1

t/∈[φ0,φ1]f(z0 + reit) dt

∣∣∣∣∣

≤ 1

[φ1 − φ0][|f(z0)| − ε] + [2π − (φ1 − φ0)]|f(z0)|

≤ |f(z0)| − εφ1 − φ0

2π< |f(z0)|

e, ricordiamo, ε > 0. Cio non puo darsi e dunque f(z) ha modulo costante inun intorno di z0, e quindi e essa stessa costante su Ω.

Si noti che l’asserto analogo per il minimo non vale. Infatti, il modulodella funzione f(z) = z ha minimo per z = 0, senza essere costante. Pero,applicando il principio del massimo modulo alla funzione g(z) = 1/f(z) si vedeimmediatamente

Corollario 67 Sia f(z) olomorfa non costante e priva di zeri in Ω. Allora,|f(z)| non raggiunge minimo in Ω.

Una conseguenza interessante di questi risultati e la seguente:

Teorema 68 Supponiamo che una curva di livello per |f(z)| sia una curvasemplice e chiusa. Allora f(z), se non e costante, ammette almeno uno zeronella regione interna a γ.

Dim. Sia γ la curva di livello. Su γ vale

|f(z)| = c

e, dal principio del massimo, nei punti della regione interna vale

|f(z)| ≤ c .

Se c = 0 allora f(z) stessa e nulla. Sia quindi c > 0. Se la funzione non siannulla nella regione interna a γ, anche il minimo del modulo viene assuntoso γ, ossia nella regione interna vale

c ≤ |f(z)| .Dunque, |f(z)| e costante e quindi f(z) stessa e costante, per il Lemma 12.

Il principio del massimo si trasferisce dalle funzioni olomorfe alle loro partireali, ossia alle funzioni armoniche, come segue:

Teorema 69 Sia u(x, y) armonica non costante su Ω. Allora, u(x, y) nonraggiunge ne massimo ne minimo su Ω.

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76 CAPITOLO 1. LE FUNZIONI OLOMORFE

Dim. Sia v(x, y) una funzione armonica coniugata di u(x, y) e consideriamola funzione olomorfa f(x + iy) = u(x, y) + iv(x, y).

Si applichi il principio del massimo modulo alla funzione olomorfa e mainulla

g(z) = ef(z) .

Si sa che |g(z)| non ammette ne punti di massimo ne punti di minimo e

|g(x + iy)| = eu(x,y) .

L’asserto segue per la monotonia dell’esponenziale su R.

Osservazione 70 Si noti che l’asserto relativo alle funzioni armoniche parladi massimo e minimo della funzione, e non del suo modulo.

Supponiamo ora che una funzione f(z) sia olomorfa su C. Una tale funzionesi dice intera . Ovviamente il principio del massimo vale anche per le funzioniintere, ma in tal caso puo anche dirsi di piu:

Teorema 71 (Teorema di Liouville ) Una funzione intera e limitata e co-stante.

Dim. Una funzione intera ammette sviluppo di Taylor, per esempio di centro0, e raggio di convergenza +∞,

f(z) =+∞∑

n=0

fnzn , ∀z ∈ C .

Si sa che

fn =1

2πi

CR

f(ζ)

ζn+1dζ

con CR circonferenza di centro l’origine e raggio R. Dunque su CR vale |ζ|n+1 =Rn+1. Di conseguenza, se |f(z)| < M per ogni z, vale

|fn| ≤ 1

2π· 2πR · M

Rn+1=

M

Rn.

Questa diseguaglianza vale per ogni R e quindi

|fn| ≤ infR>0

M

Rn.

Se n > 0 l’estremo inferiore e nullo e quindi fn = 0 per ogni n > 0. Vale cioef(z) = f0, costante.

Il teorema di Liouville e un teorema assai potente. Per esempio vedremopiu avanti come dedurne la conseguenza seguente:

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1.17. LE SINGOLARITA ISOLATE 77

Corollario 72 Sia f(z) una funzione intera. Supponiamo che f(z) non pren-da valori su un segmento. Allora, f(z) e costante.

Ora invece usiamolo per provare:

Teorema 73 (Teorema fondamentale dell’ algebra ) Sia p(z) un polino-mio. Se il suo grado e positivo esso ammette zeri.

Dim. Se p(z) ha grado almeno 1 allora

lim|z|→+∞

1

p(z)= 0 . (1.29)

Se p(z) non si annulla, la funzione

f(z) =1

p(z)

e intera e, per (1.29), limitata. Dunque costante. Il suo limite essendo nullo,anche la funzione e identicamente zero. Cio contrasta con la definizione di f(z),perche f(z)p(z) = 1. Dunque p(z), se ha grado almeno 1, deve annullarsi.

Concludiamo notando che anche il teorema di Liouville si estende allefunzioni armoniche, applicandolo alla funzione olomorfa

g(x + iy) = eu(x,y)+iv(x,y) .

Se la funzione armonica u(x, y) e definita per ogni (x, y) e limitata, la funzioneg(z) e intera e limitata e quindi costante; e quindi anche u(x, y) e costante:

Teorema 74 Una funzione u(x, y) armonica su R2 e limitata e costante.

1.17 Le singolarita isolate

Nella sezione 1.13 abbiamo definito i punti singolari di una funzione olomorfa.Niente vieta che l’insieme dei punti singolari abbia punti di accumulazione.Noi vogliamo ora studiare il caso in cui cio non avviene, caso che puo ridursial seguente: una funzione f(z) e olomorfa in un disco D, escluso il suo centro

z0. In tal caso diremo che z0 e una singolarita isolata di f(z).Caratterizziamo prima di tutto le singolarita eliminabili.Ricordiamo che z0 e singolarita eliminabile se f(z) ha estensione olomorfa

ad un intorno di z0.

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78 CAPITOLO 1. LE FUNZIONI OLOMORFE

Teorema 75 (di Riemann ) Sia z0 una singolarita isolata di f(z). Il puntoz0 e singolarita eliminabile se e solo se la funzione |f(z)| e limitata in un suointorno.

Dim. Se f(z) ammette estensione olomorfa anche in z0 allora |f(z)| e limitatoin un intorno di z0. Per provare il viceversa, introduciamo la funzione

h(z) =

0 se z = z0

(z − z0)2f(z) altrimenti.

Questa funzione e continua in un disco D contenente z0, incluso il punto z0

perche f(z) e limitata in un intorno di z0. Proveremo che h(z) e olomorfa.Accettando questo, notiamo che h(0) = 0 e che h′(0) = 0, perche f(z) elimitata e quindi h(z) e infinitesima, per z → z0, di ordine maggiore di 1.Dunque h(z) e sviluppabile in serie di Taylor di centro z0,

h(z) =+∞∑

n=0

hn(z − z0)n

con h0 = 0 e h1 = 0,

h(z) = (z − z0)2

+∞∑

n=2

hn(z − z0)n

Per z 6= z0 si trova quindi che

f(z) = g(z) , g(z) =+∞∑

n=2

hn(z − z0)n ,

e g(z) e analitica anche in z0. Dunque, il punto z0 e una singolarita eliminabiledi f(z).

Per completare la dimostrazione dobbiamo mostrare che h(z) e olomorfa2.Usiamo il Teorema di Morera: sia T un qualsiasi triangolo in D e mostriamoche ∫

Th(z) dz = 0 .

Cio e ovvio se T non racchiude z0. Altrimenti, decomponiamolo in tre triangolicon un vertice comune in z0 come nella figura 1.15 a sinistra.Basta provare che l’integrale e nullo su ciascuno di essi.

2non e difficile vedere che h(z) e ovunque derivabile, e quindi olomorfa per il Teorema 10.Non avendo pero provato questo risultato, non vogliamo usarlo.

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1.17. LE SINGOLARITA ISOLATE 79

Figura 1.15:

−2.5 −2 −1.5 −1 −0.5 0 0.5 1 1.5 2 2.5−2.5

−2

−1.5

−1

−0.5

0

0.5

1

1.5

2

2.5

x

y

x

y

Si consideri uno di essi, indentato vicino al vertice z0, come nella figura 1.15a destra, mediante un “piccolo” triangolo Tε. Sia ε il perimetro di Tε e sia Tε

il trapezio residuo. L’integrale di h(z) sul trapezio e nullo, e l’integrale sultriangolo Tε e maggiorato da

ε maxTε

||h(z)||

e questo tende a zero per ε → 0. Infatti, essendo f(z) limitata in un intornodi z0, anche h(z) lo e. Dunque,

Th(z) dz = lim

ε→0

h(z) dz +∫

h(z) dz

= 0 .

Cio completa la dimostrazione.

Il teorema precedente mostra in particolare che se z0 e un punto singolare(non una singolarita eliminabile) di f(z) allora

lim supz→z0

|f(z)| = +∞

e suggerisce di studiare separatamente i due casi

limz→z0

|f(z)| = +∞ ,

e in tal caso si dice che z0 e un polo di f(z), e il caso

limz→z0 |f(z)| non esiste.

In quest’ultimo caso si dice che z0 e singolarita essenziale di f(z).Esaminiamo prima di tutto il caso del polo.

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80 CAPITOLO 1. LE FUNZIONI OLOMORFE

Teorema 76 Un punto z0 e un polo per f(z) se e solo se esiste un intorno Ddi z0 su cui la funzione f(z) si rappresenta come

f(z) =+∞∑

n=−k

fn(z − z0)n , (1.30)

con k numero positivo.

Dim. E’ immediato verificare che se f(z) si rappresenta come richiesto, con knumero positivo, allora limz→z0 |f(z)| = +∞. Viceversa, se z0 e un polo,

g(z) =1

f(z)

tende a zero per z → z0 e quindi in z0 ha singolarita eliminabile. Si puo quindiscrivere, per z 6= z0,

g(z) =+∞∑

n=k

gn(z − z0)n

e k > 0 perche g(z) tende a zero per z → z0.Mettendo in evidenza (z − z0)

k,

g(z) = (z − z0)kφ(z)

con φ(z0) 6= 0 e quindi con 1/φ(z) olomorfa in un intorno di z0, incluso z0.Dunque

f(z) =1

(z − z0)k

1

φ(z)=

1

(z − z0)k

+∞∑

n=0

φn(z − z0)n

e questa e la rappresentazione richiesta.

Il numero k in (1.30) si chiama ordine del polo, se f−k 6= 0. Si confronti

con la nota definizione di ordine di uno zero, come quel numero k > 0 percui

f(z) =+∞∑

n=k

fn(z − z0)n

se fk 6= 0.Passiamo ora a studiare il caso della singolarita essenziale. Ovviamente in

questo caso f(z) ha un comportamento “assai disordinato” quando z → z0. Ilteorema seguente, di dimostrazione assai difficile, mostra che il comportamentoe il peggiore che si possa immaginare:

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1.17. LE SINGOLARITA ISOLATE 81

Teorema 77 (di Picard ) Sia z0 una singolarita essenziale di f(z) e sia Dun disco di centro z0. L’immagine di D mediante f(z) e uguale a tutto C,escluso al piu un numero.

Non possiamo provare questo teorema, ma possiamo provarne una versionepiu semplice:

Teorema 78 (di Casorati-Weierstrass ) Sia z0 singolarita essenziale dif(z) e sia D un disco di centro z0. L’immagine di D e densa in C.

Dim. Per assurdo, sia f(D) non denso in C. In tal caso esiste un punto wche non e di accumulazione per f(D). Il punto w puo appartenere o meno adf(D). Studiamo prima di tutto il caso in cui w ∈ f(D).

Se w = f(z1), z1 ∈ D, allora

w = lim f(zn)

per ogni successione (zn) tendente a z1. Ma, w non e di accumulazione perl’insieme dei numeri f(zn) e quindi si ha f(zn) = w per ogni n (escluso unnumero finito al piu). Dal teorema 57 segue che f(z) e costante e quindi chez0 e singolarita eliminabile.

Studiamo ora il caso in cui w /∈ f(D). In tal caso esiste r > 0 tale che

|f(z)− w| > r ∀z ∈ D

e quindi la funzione olomorfa

g(z) =1

f(z)− w

verifica

|g(z)| < 1

r.

Essa ha quindi una singolarita eliminabile in z0 e quindi

g(z) = (z − z0)k

+∞∑

n=0

gn(z − z0)n , g0 6= 0 ,

si veda il Teorema 75. Dunque,

f(z) = w +1

(z − z0)kφ(z)

con φ(z) olomorfa in D (incluso il punto z0). Dunque, f(z) ha in z0 unasingolarita eliminabile, se k = 0, oppure un polo.

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82 CAPITOLO 1. LE FUNZIONI OLOMORFE

Esempi di funzioni con singolarita essenziali sono forniti in particolare dal-le serie di Laurent convergenti in un disco privato del suo centro, come peresempio

e1/z =+∞∑

n=0

1

n!

1

zn.

Infatti, sappiamo che sia nel caso del polo che della singolarita eliminabileil corrispondente sviluppo in serie di potenze ha al piu un numero finito dipotenze negative. Mostreremo che questo caso e del tutto generale:

Teorema 79 Sia z0 una singolarita isolata di f(z). Se z0 e singolarita essen-ziale di f(z) allora vale

f(z) =n=+∞∑

n=−∞fn(z − z0)

n

e la serie converge in un intorno di z0, privato del punto z0.

Invece di provare direttamente questo teorema, e conveniente dedurlo dallostudio di un caso piu generale.

1.18 Formula di Laurent

Ricordiamo che la formula integrale di Cauchy e immediata conseguenza delteorema di Cauchy e che questo vale per funzioni olomorfe in regioni di Jor-dan. Abbiamo pero esteso il teorema di Cauchy a regioni di forma Ωγ1 −Ωγ2 ,delimitate da due curve di Jordan. Si ha in tal caso

γ1

f(z) dz =∫

γ2

f(z) dz (1.31)

se γ1 e γ2 sono come nella figura 1.16, a sinistra.Ricordiamo brevemente la dimostrazione, che poi useremo per estendere

la formula integrale di Cauchy. Si considera la curva γε della figura 1.16, adestra (per evitare complicazioni supponiamo che γ1 e γ2 siano semplici cosıche anche γε si puo segliere semplice). Per essa vale

γε

f(z) dz = 0 .

Al limite per ε tendente a zero si trova che vale (1.31).

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1.18. FORMULA DI LAURENT 83

Figura 1.16:

−1.5 −1 −0.5 0 0.5 1 1.5−1.5

−1

−0.5

0

0.5

1

1.5

γ1

γ2

x

y

−1.5 −1 −0.5 0 0.5 1 1.5−1.5

−1

−0.5

0

0.5

1

1.5

x

y

γε

Sia ora z un punto della regione interna a γε. Si puo scrivere la formulaintegrale di Cauchy

f(z) =1

2πi

γε

f(ζ)

ζ − zdζ

(si ricordi, curva semplice). Al limite per ε → 0 questa uguaglianza si riduce a

f(z) =1

2πi

γ2

f(ζ)

ζ − zdζ − 1

2πi

γ1

f(ζ)

ζ − zdζ . (1.32)

Osservazione 80 Si noti che abbiamo scritto un segno “−” di fronte al se-condo integrale perche per convenzione il simbolo

∫γ indica l’integrale sulla

curva percorsa in verso positivo, mentre il secondo integrale si calcola sulla γ1

percorsa in verso negativo.

Applichiamo la formula (1.32) al caso in cui f(z) e olomorfa in una coronacircolare di centro z0, come in figura 1.17.

In questo caso per γ1 e γ2 si scelgono due circonferenze concentriche dicentro z0 e la (1.32) mostra che

f(z) = f2(z)− f1(z)

con

f2(z) =1

2πi

γ2

f(ζ)

ζ − zdζ , f1(z) =

1

2πi

γ1

f(ζ)

ζ − zdζ .

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84 CAPITOLO 1. LE FUNZIONI OLOMORFE

Figura 1.17:

−1 −0.5 0 0.5 1

−1

−0.8

−0.6

−0.4

−0.2

0

0.2

0.4

0.6

0.8

1

Ω

La f2(z) si sviluppa in serie di Taylor, esattamente come si e gia visto alparagrafo 1.13:

f2(z) =1

2πi

γ2

f(ζ)

ζ − z0 + z0 − z=

1

2πi

γ2

1

ζ − z0

f(ζ)

1− z−z0

ζ−z0

dζ =1

2πi

γ2

f(ζ)

ζ − z0

+∞∑

n=0

(z − z0

ζ − z0

)n

=+∞∑

n=0

(1

2πi

γ2

f(ζ)

(ζ − z0)n+1dζ

)(z − z0)

n .

Si noti che questo calcolo si giustifica perche

∣∣∣∣∣z − z0

ζ − z0

∣∣∣∣∣ < 1

dato che ζ appartiene a γ2, la circonferenza il cui disco contiene la coronacircolare.

Un argomento analogo si applica all’espressione della f1(z), ma tenendoconto ora del fatto che ζ e sulla circonferenza γ1 che lascia fuori la coronacircolare e quindi ora ∣∣∣∣∣

ζ − z0

z − z0

∣∣∣∣∣ < 1 .

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1.18. FORMULA DI LAURENT 85

Dunque,

f1(z) =1

2πi

γ1

f(ζ)

ζ − z0 + z0 − z=

1

2πi

γ1

1

z0 − z· f(ζ)

1− ζ−z0

z−z0

=1

2πi

(− 1

z − z0

) ∫

γ1

f(ζ)+∞∑

n=0

(ζ − z0

z − z0

)n

= −+∞∑

n=0

1

(z − z0)n+1

(1

2πi

γ1

f(ζ)(ζ − z0)n dζ

)1

(z − z0)n+1.

Ora notiamo che, per la formula (1.31), il valore degli integrali non mutase γ1 e γ2 vengono sostituite da una qualunque circonferenza C di centro z0 econtenuta nella corona circolare. Tenendo conto di cio, scriviamo

−f1(z) =+∞∑

n=0

(1

2πi

γ1

f(ζ)(ζ − z0)n dζ

)1

(z − z0)n+1

=+∞∑

n=0

(1

2πi

Cf(ζ)(ζ − z0)

n dζ)

1

(z − z0)n+1

=+∞∑

n=1

(1

2πi

C(ζ − z0)

n−1f(ζ) dζ)

1

(z − z0)n

=−1∑

n=−∞

(1

2πi

C

f(ζ)

(ζ − z0)n+1dζ

)(z − z0)

n .

Sommando f2(z) e −f1(z) si trova infine

f(z) =+∞∑

n=−∞

(1

2πi

C

f(ζ)

(ζ − z0)n+1dζ

)(z − z0)

n . (1.33)

Questa formula, valida quando f(z) e olomorfa in una corona circolare, si

chiama formula di Laurent .Argomenti del tutto analoghi a quelli incontrati nella dimostrazione del

Teorema 59 mostrano che la funzione f(z) ha punti singolari sulla circonferenzaesterna della regione di convergenza e anche su quella interna, se essa non eridotta ad un solo punto. Se la corona di convergenza si riduce ad un discoprivato del suo centro z0 allora la formula di Laurent vale, ma il punto z0

potrebbe essere una singolarita eliminabile. Comunque sia, abbiamo provato:

Teorema 81 Una funzione olomorfa f(z) di cui z0 e singolarita isolata, am-mette una serie di Laurent di centro z0 il cui raggio di convergenza r vale 0.

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86 CAPITOLO 1. LE FUNZIONI OLOMORFE

Osservazione 82 Osserviamo che una funzione olomorfa ammette un’unicaserie di Taylor di centro un punto z0. Essa pero puo ammettere piu serie diLaurent convergenti in corone circolari diverse, ma con lo stesso centro. Peresercizio, si calcolino le serie di Laurent della funzione

f(z) =1

z(z − 1)(z + 2)

di centro z0 = 0.

Sappiamo gia che se la funzione ha in z0 una singolarita eliminabile, allorala serie e di Taylor, mentre se z0 e un polo allora la serie di Laurent e troncatada sotto. Dunque:

Teorema 83 sia z0 una singolarita isolata della funzione olomorfa f(z). Lasingolarita isolata z0 e punto singolare essenziale se e solo se la serie di Laurentdi f(z) che converge in un disco di centro z0 privato del centro ha infinititermini di esponente negativo.

Concludiamo con un’osservazione concernente il coefficiente f−1 della seriedi Laurent (1.33). Per esso vale

f−1 =1

2πi

Cf(ζ) dζ .

Quindi, se si riesce a sviluppare una funzione in serie di Laurent, allora eimmediato il calcolo di tale integrale, e anche di altri integrali ad esso correlati.

Esempio 84 Consideriamo funzione

f(z) =1

1− z,

che e gia in forma di serie di Laurent di centro z0 = 1. Se C e la circonferenzadi raggio 2 e centro 0 si trova:

Cf(ζ) dζ = −2πi .

Come altro esempio, consideriamo la funzione

f(z) = e1/z =+∞∑

n=0

1

n!

1

zn.

In questo caso si vede che f−1 = 1.

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1.18. FORMULA DI LAURENT 87

Sia C una circonferenza di centro z0, singolarita isolata di f(z). Il numero

f−1 =1

2πi

Cf(ζ) dζ

si chiama il residuo della funzione f(z) in z0.Il residuo di f(z) in z0 si indica col simbolo

Res(f, z0) .

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88 CAPITOLO 1. LE FUNZIONI OLOMORFE

1.19 Singolarita e zeri ad infinito

Nello studio del limite di una funzione olomorfa f(z) per z tendente a +∞conviene usare una terminologia analoga a quella che si usa per z → z0. Ciosi fa introducendo la funzione

g(z) = f(1/z)

e dicendo che f(z) ha ad infinito una singolarita isolata se cio accade per g(z)in z0 = 0; e parlando di singolarita eliminabile, polo o singolarita essenziale, aseconda del comportamento di g(z) in z0 = 0. La serie di Laurent di f(z) adinfinito si costruisce a partire dalla serie di Laurent di g(z) a 0. Se

g(z) =+∞∑

n=−∞gnzn

allora la serie di Laurent

+∞∑

n=−∞fnz

n , fn = g−n , (1.34)

si chiama la serie di Laurent di f(z) ad infinito. Dunque, se infinito e una

singolarita essenziale di f(z) allora la sua serie di Laurent ha infiniti termini

con esponente positivo. Se infinito e un polo allora la serie (1.34) ha solo unnumero finito di termini con esponente positivo. Si ha invece una singolaritaeliminabile ad infinito quando fn = 0 per n > 0.

Chiameremo residuo ad infinito il numero3

Res(f,∞) = − 1

2πi

Cf(ζ) dζ = −Res

(1

z2g(z), 0

).

In questo caso C e una circonferenza di centro 0 e raggio cosı grande daracchiudere tutte le singolarita “al finito” di f(z). Dunque,

Res(f,∞) = −f−1.

Si noti quindi che il residuo ad infinito puo essere non nullo anche se infinito euna singolarita rimuovibile.

Sia ora z0 ∈ C un polo di f(z). Si sa che si puo scrivere

f(z) =−1∑

n=−r

fn(z − z0)n + φ(z)

3come sempre il verso di percorrenza su C e quello positivo, ossia antiorario.

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1.19. SINGOLARITA E ZERI AD INFINITO 89

con φ(z) regolare in z0. La funzione razionale

−1∑

n=−r

fn(z − z0)n

si chiama la parte principale di f nel polo z0.

Se infinito e un polo, la funzione f(z) e in particolare olomorfa per |z| > Rcon R sufficientemente grande e quindi, per |z| > R,

f(z) =k∑

n=0

fnzn + ψ(z)

con ψ(z) olomorfa (e nulla) ad infinito. In questo caso, il polinomio

k∑

n=0

fnzn

si chiama la parte principale di f ad infinito.

Sia ora f(z) una funzione che ha solo singolarita polari sia al finito cheall’infinito. Allora i poli sono in numero finito N e se Pm(z) e la parte principaledell’m–mo polo,

f(z)−N∑

m=1

Pm(z)

e intera e nulla ad infinito, ossia, per il Teorema di Liouville, e identicamentezero. Si ha dunque:

Teorema 85 Una funzione analitica le cui singolarita, al finito ed all’infinito,sono poli, e razionale.

Sia quindi f(z) una funzione razionale e sia R un raggio cosı grande chela circonferenza CR di centro 0 e raggio R racchiuda tutti i poli al finito.Consideraimo i due integrali

1

2πi

CR

f(z) dz , − 1

2πi

CR

f(z) dz .

L’integrale di sinistra e la somma dei residui nei poli al finito mentre quello didestra e il residuo ad infinito. Dunque:

Teorema 86 La somma dei residui in tutti i poli (al finito e ad infinito) diuna funzione razionale e nulla.

Se la serie di potenze (1.34) non ha termini con esponente positivo, diremoche la funzione f(z) ha estensione olomorfa ad infinito, in particolare diremoche ha uno zero ad infinito se essa ha solamente termini con esponente negativo.E il primo di essi che e non nullo individua l’ordine dello zero.

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90 CAPITOLO 1. LE FUNZIONI OLOMORFE

1.20 Il metodo dei residui

Sia Ω una regione in cui f(z) e analitica, a parte che nei punti singolari isolatizn, in numero finito o meno. Sia γ una curva semplice e chiusa in Ω, che nonincontra punti singolari di f(z). Si noti che γ racchiude al piu un numero finitodi punti singolari perche questi, essendo isolati, possono solo accumularsi supunti di ∂Ω.

Una semplice iterazione della formula (1.31) mostra che vale∫

γf(z) dz =

∑ ∫

Ci

f(z) dz

ove Ci sono circonferenze centrate nei punti singolari zi ∈ Ωγ di f(z), cosıpiccole da non debordare da Ωγ e da non intersecarsi l’una con l’altra. Lasommatoria e estesa ai punti singolari zi ∈ Ωγ. Dunque:

Teorema 87 (dei residui) Sia γ una curva semplice e chiusa in Ω, che nonincontra i punti singolari di f(z). Alora vale

γf(z) dz = 2πi

∑Res(f, zi) ,

la somma essendo estesa ai soli punti singolari che sono racchiusi da γ.

Questo teorema e particolarmente importante per il calcolo di integraliimpropri di funzioni di variabile reale. E’ opportuna una premessa.

Premessa sugli integrali impropri

Sia f(z) una funzione di variabile reale che, per semplicita, assumiamo conti-nua. Per definizione,

∫ +∞

−∞f(x) dx = lim

S→−∞

∫ 0

−Sf(x) dx + lim

T→+∞

∫ T

0f(x) dx .

L’integrale improprio esiste quando ambedue i limiti esistono finiti.Si chiama valore principale dell’integrale improprio il numero

limT→+∞

∫ T

−Tf(x) dx .

E’ ovvio che se l’integrale improprio esiste allora esiste anche il suo valore principaleed essi coincidono; ma il valore principale puo anche esistere senza che esistal’integrale improprio, come si vede considerando la funzione

f(x) = sin x .

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1.20. IL METODO DEI RESIDUI 91

Essendo la funzione dispari il valore principale e nullo, mentre l’integraleimproprio non esiste.

Il metodo dei residui puo spesso usarsi per il calcolo del valore principaledi un integrale improprio, mentre frequentemente si richiede il valore dell’inte-grale improprio stesso. Dunque prima di usare il metodo dei residui per il calcolodi un integrale improprio, e necessario accertarsi che questo esista.

Un caso in cui nessuna verifica preliminare e richiesta e il caso di unafunzione pari,

f(x) = f(−x) .

In tal caso ∫ 0

−Tf(x) dx =

∫ T

0f(x) dx

e quindi l’integrale improprio esiste se e solo se esiste il suo valore principale.

1.20.1 Calcolo di integrali impropri

Mostriamo un esempio semplice:

Esempio 88 Sia f(x) = 1/(1 + x2). Si sa che questa funzione ammetteintegrale improprio e che ∫ +∞

−∞f(x) dx = π .

Mostriamo come si possa ritrovare questo valore usando il metodo dei residui.La funzione f(x) e la restrizione all’asse reale della funzione

f(z) =1

1 + z2= −1

2

i

z − i+

1

2

i

z + i

e quindi

Res(f, i) = − i

2.

Integriamo la funzione f(z) sulla curva in figura 1.18L’integrale e

∫ R

−R

1

1 + x2dx−

ΓR

1

1 + z2dz = 2πiRes(f, i) = π .

Passando la limite per R → +∞ si trova∫ +∞

−∞1

1 + x2dx = π + lim

R→+∞

ΓR

1

1 + z2dz .

Il risultato segue da qui se possiamo provare che l’ultimo limite e nullo.

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92 CAPITOLO 1. LE FUNZIONI OLOMORFE

Figura 1.18:

−1.5 −1 −0.5 0 0.5 1 1.5−0.4

−0.2

0

0.2

0.4

0.6

0.8

1

1.2

1.4

1.6

y

x

Questo semplice esempio mostra che, per poter usare facilmente il metododei residui per il calcolo di integrali impropri, dovremo dare metodi efficientiper il calcolo dei residui; e dovremo dare criteri che assicurano che gli integralisu opportune semicirconferenze tendono a zero quando il raggio tende a +∞.Al secondo problema rispondono i due risultati seguenti:

Lemma 89 (del grande cerchio ) Sia f(z) analitica su C salvo che neipunti singolari zn, in numero finito o meno. Se pero zn e infinito, sia

lim |zn| = +∞ .

Siano Rn raggi tali che Rn 6= |zk| per ogni n e per ogni k,

lim Rn = +∞ .

Se esistono numeri positivi M ed ε per cui

|f(z)| < M

|z|1+εper |z| = Rn ,

allora vale

lim∫

|z|=Rn

f(z) dz = 0 .

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1.20. IL METODO DEI RESIDUI 93

Dim. La dimostrazione e immediata, notando che

∣∣∣∣∣∫

|z|=Rn

f(z) dz

∣∣∣∣∣ ≤ 2πR · M

R1+ε

e il membro destro tende a zero.

Questo lemma si applica facilmente al caso dellEsempio 88.

Osservazione 90 Si noti:

• se il lemma del grande cerchio si vuol applicare per integrare per esempiosu una semicirconferenza nel semipiano superiore, allora basta supporreche le condizioni valgano per <e z > −σ con σ > 0;

• la disuguaglianza |f(z)| < [M/|z|1+ε] vale anche per ogni z = x reale equindi nelle ipotesi del Lemma del grande cerchio, l’integrale impropriodi f(x) esiste.

Il secondo risultato si applica quando si devono calcolare integrali di funzionidella forma

f(z)eiωz

lungo semicirconferenze nel semipiano Imz > 0 quando ω > 0, nel semipianoImz < 0 quando ω < 0.

Indicando con ΓR la semicirconferenza in figura 1.19, si ha

Lemma 91 (di Jordan ) Sia f(z) analitica con sole singolarita isolate inImz > 0. Supponiamo inoltre

lim|z|→+∞

f(z) = 0 , (1.35)

il limite essendo calcolato nel semipiano Imz ≥ 0. Sia ω > 0. Il tal caso,

limR→+∞

ΓR

eiωzf(z) dz = 0 .

La dimostrazione e posposta.

Osservazione 92 Si noti:

• Dalla condizione (1.35) segue che f(z) ha solamente un numero finito dipunti singolari in Imz > 0.

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94 CAPITOLO 1. LE FUNZIONI OLOMORFE

Figura 1.19:

−1.5 −1 −0.5 0 0.5 1 1.5−0.4

−0.2

0

0.2

0.4

0.6

0.8

1

1.2

1.4

1.6

y

x

ΓR

• Il lemma di Jordan permette di asserire che esiste il valore principale del-l’integrale improprio di f(x). Niente dice sull’integrale improprio stesso.Si confronti con l’Osservazione 90.

Esaminiamo ora il primo problema, di dare formule semplici per il calcolodei residui. Cio e possibile nel caso in cui il punto singolare z0 e un polo. Inquesto caso,

f(z) =+∞∑

n=−k

fn(z − z0)n , f−k 6= 0 .

Da questa formula dobbiamo ricavare il coefficiente f−1. E’ immediato vedereche, se il polo ha ordine k,

f−1 = Res(f, z0) = limz→z0

1

(k − 1)!

dk−1

dzk−1

[(z − z0)

kf(z)]

.

Nel caso del polo di ordine 1 si trova in particolare

limz→z0

(z − z0)f(z) .

Quest’ultima espressione assume un aspetto ancora piu semplice nel casoparticolare in cui la funzione e data in forma di quoziente,

f(z) =n(z)

d(z).

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1.20. IL METODO DEI RESIDUI 95

Sia z0 un polo di ordine 1 di f(z) e supponiamo n(z0) 6= 0, cosı che d(z) hauno zero semplice in z0. In questo caso,

limz→z0

(z − z0)f(z) = limz→z0

(z − z0)n(z)

d(z)=

n(z0)

d′(z0).

Dimostrazioni posposte

Dimostriamo il Lemma di Jordan.Parametrizziamo ΓR come

ΓR : z(t) = Reit , 0 ≤ t ≤ π

e sia Γ+R la circonferenza ottenuta per t ∈ [0, π/2], Γ−R quella ottenuta per

t ∈ [π/2, π]. Mostriamo

limR→+∞

Γ+R

eiωzf(z) dz = 0 , limR→+∞

Γ−Reiωzf(z) dz = 0 .

Consideriamo il primo limite (il secondo si tratta in modo analogo). Sia

M+R = max

Γ+R

|f(z)| .

Per ipotesi,lim

R→+∞M+

R = 0 .

Usando il lemma 28, stimiamo l’integrale come segue:∣∣∣∣∣∫

Γ+R

eiωzf(z) dz

∣∣∣∣∣ =

∣∣∣∣∣∫ π/2

0eiωReit

f(Reit)iReit dt

∣∣∣∣∣

≤∫ π/2

0R

∣∣∣eiωR cos t−ωR sin tf(Reit)∣∣∣ dt ≤ RM(R)

∫ π/2

0e−ωR sin t dt .

Ora notiamo che

− sin t ≤ −2t/π per 0 ≤ t ≤ π/2

e quindi

R∫ π/2

0e−ωR sin t dt ≤ R

∫ π/2

0e−ωRt/2π dt =

ω

[1− e−ωR/4

]

rimane limitato per R → +∞, perche ω > 0. Dunque,

limR→+∞

M(R)∫ π/2

0e−ωR sin t dt = 0

come si voleva.L’integrale su Γ−R si tratta in modo analogo.

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96 CAPITOLO 1. LE FUNZIONI OLOMORFE

1.20.2 Il Principio dell’argomento

Sia f(z) una funzione olomorfa in una regione Ω, nulla in un punto z0,

f(z) = (z − z0)kφ(z) , φ(z0) 6= 0 .

Essendof ′(z) = k(z − z0)

k−1φ(z) + (z − z0)kφ′(z)

si vede che f ′(z)/f(z) ha polo semplice, con residuo uguale a k, l’ordine dellozero.

In modo analogo si vede che se

f(z) = (z − z0)−kφ(z) , φ(z0) 6= 0

la funzione f ′(z)/f(z) ha ancora un polo semplice in z0, con residuo −k, es-sendo k l’ordine del polo di f(z) in z0. Dunque, se C e una circonferenza(semplice) di centro z0 che non racchiude altri zeri o punti singolari di f(z)oltre a z0, si ha

1

2πi

C

f ′(z)

f(z)dz =

k se z0 e uno zero di ordine k−k se z0 e un polo di ordine k.

Supponiamo ora che γ sia una curva semplice e chiusa in Ω, che non incon-tra ne zeri ne punti singolari di f(z). Supponiamo inoltre che i punti singolarisiano poli. In tal caso,

1

2πi

γ

f ′(z)

f(z)dz = Z − P (1.36)

ove Z e la somma delle molteplicita degli zeri racchiusi da γ e P e la sommadelle molteplicita dei poli racchiusi da γ. Quest’affermazione va sotto il nomedi Principio dell’ argomento perche, cambiando la variabile di integrazione,

1

2πi

γ

f ′(z)

f(z)dz =

1

2πi

γf

1

ζdζ

ove γf e l’immagine di γ mediante f ,

γf : ζ = f(z(t)) , t ∈ [a, b] .

Dunque, il membro destro di (1.36) rappresenta l’indice della curva γf rispettoall’origine ossia, intuitivamente, il numero dei giri che un punto mobile sullacurva γf compie intorno all’origine: detto in modo intuitivo, la “variazionedell’argomento” di ζ quando ζ percorre γf .

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1.20. IL METODO DEI RESIDUI 97

1.20.3 I teoremi di Hurwitz e Rouche e della mappaaperta

Il Principio dell’argomento e alla base di numerosi metodi grafici dell’ingegne-ria ed ha importanti conseguenze teoriche. Tra queste proviamo i teoremi diHurwitz e di Rouche.

Teorema 93 (Teorema di Hurwitz ) Sia (fn(z)) una successione di fun-zioni olomorfe su Ω, convergente ad f(z) uniformemente sui compatti di Ω.Supponiamo che la funzione f(z) non sia identicamente nulla e che z0 sia unozero di f(z). In ogni intorno di z0 si annullano tutte le funzioni fn(z), a parteun numero finito di esse. Inoltre, Sia D un intorno di z0 su cui f(z) si annullasolo in z0. Per n sufficientemente grande, il numero degli zeri di fn(z) in D,contati tenendo conto della molteplicita, e uguale alla molteplicita dello zeroz0 di f(z).

Dim. Sia D un disco, intorno di z0. Supponiamo che

D = z | |z − z0| < r .

Sia C la circonferenza di D.Si sa che gli zeri di f(z) sono isolati perche f(z) non e identicamente nulla

e quindi il raggio r si puo scegliere in modo che f(z) non si annulli su C.La convergenza di (fn(z)) ad f(z), uniforme su C, mostra che per n grandeanche fn(z) non si annulla su C. Dunque, il numero degli zeri puo calcolarsiapplicando il Principio dell’argomento su C:

limn

[1

2πi

C

f ′n(z)

fn(z)dz

]=

1

2πi

C

f ′(z)

f(z)dz = N ≥ 1 .

Dato che1

2πi

C

f ′n(z)

fn(z)dz

prende valori interi e il limite e N , la successione deve essere definitivamenteuguale a N . Cio completa la dimostrazione.

Osservazione 94 Si noti che l’ipotesi f(z) non identicamente nulla non puorimuoversi: la successione delle funzioni costanti

fn(z) = 1/n

converge uniformemente alla funzione nulla, e nessuna delle fn(z) ammettezeri.

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98 CAPITOLO 1. LE FUNZIONI OLOMORFE

Un secondo risultato importante mostra che gli zeri variano con continuitaperturbando la funzione.

Teorema 95 (Teorema di Rouche ) Siano g(z) ed h(z) funzioni olomorfein una regione di Jordan Ω e sia γ una curva semplice e chiusa in Ω.

Supponiamo che sul sostegno di γ valga la disuguaglianza stretta

|h(z)| < |g(z)| . (1.37)

In tal caso la somma delle molteplicita degli zeri di g(z) nella regione Ωγ

uguaglia la somma delle molteplicita degli zeri di g(z)− h(z), ancora in Ωγ.

Dim. Vediamo prima di tutto un argomento intuitivo, che pero sarebbe lungogiustificare completamente. Notiamo che

arg(g − h) = arg

(g

[1− h

g

])= arg g + arg

[1− h

g

].

La (1.37) mostra che ∣∣∣∣∣h(z)

g(z)

∣∣∣∣∣ < 1 ,

ossia che i punti

w = 1− h

g

hanno parte reale positiva. Dunque, la curva parametrizzata da (1−h/g) nongira intorno all’origine, e quindi, percorrendola, la variazione dell’argomento ezero. Dunque, si intuisce che percorrendo γg−h l’argomento debba variare ditanto quanto varia percorrendo γg. E quindi, le due funzioni g e g−h avrannoil medesimo numero di zeri racchiusi da γ.

Vediamo ora la dimostrazione rigorosa. Si noti che la disuguaglianza stret-ta (1.37) implica che ne g(z) ne

ψ(z) = g(z)− h(z)

hanno zeri sul sostegno di γ. Possiamo quindi usare il Principio dell’argomentoe provare ∫

γ

ψ′(z)

ψ(z)dz =

γ

g′(z)

g(z)dz

ossia ∫

γ

[ψ′(z)

ψ(z)− g′(z)

g(z)

]dz = 0 .

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1.20. IL METODO DEI RESIDUI 99

Ora,

ψ′(z)

ψ(z)− g′(z)

g(z)=

ψ′(z)g(z)− ψ(z)g′(z)

g(z)ψ(z)

=h(z)g′(z)− h′(z)g(z)

g(z)[g(z)− h(z)]=

φ′(z)

φ(z)

ove

φ(z) =ψ(z)

g(z)=

g(z)− h(z)

g(z)= 1− h(z)

g(z).

Va quindi provato che ∫

γ

φ′(z)

φ(z)dz = 0 . (1.38)

Di nuovo, quest’integrale ha senso perche ne g(z) ne h(z) si annullano su γ.Da (1.37) si ha

|1− φ(z)| < 1

sul sostegno di γ. Questa disuguaglianza ora mostra che la curva γφ ha sostegnonel disco di centro 1 e raggio 1: non gira intorno all’origine e quindi l’integralein (1.38) e effettivamente nullo, come dovevamo provare.

Si ricordi ora il teorema di Brower: una funzione h(z) dal disco chiusoz | |z| ≤ 1 in se che e continua, ammette un punto fisso; ossia, esiste unpunto z0 di norma minore o uguale ad 1, tale che h(z0) = z0. Ripetiamoche questo teorema vale sotto la sola ipotesi che f(z) sia continua, e la suadimostrazione e difficile. Se pero h(z) e olomorfa e inoltre trasforma il discochiuso nel disco aperto, una semplice dimostrazione puo dedursi dal Teoremadi Rouche:

Corollario 96 Sia h(z) olomorfa su una regione Ω che contiene z | |z| ≤ 1.Supponiamo che

|z| ≤ 1 =⇒ |h(z)| < 1 .

Allora, la funzione h(z) ha un punto fisso z0 e uno solo. Inoltre, |z0| < 1.

Dim. Si noti che se h(z0) = z0 allora

|z0| = |h(z0)| < 1 .

Dobbiamo provare l’esistenza di z0, ossia dobbiamo provare che che lafunzione h(z)− z ha un unico zero. Confrontiamo h(z) con la funzione

g(z) = z ,

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100 CAPITOLO 1. LE FUNZIONI OLOMORFE

che ha un unico zero. Vale

|z| = 1 =⇒ |h(z)| < |z| = |g(z)|e quindi g(z) = z e g(z)− h(z) = z − h(z) hanno il medesimo numero di zeri;ossia h(z) = z ha esattamente una soluzione.

Diamo ora un’ulteriore dimostrazione del teorema fondamentale dell’alge-bra.

Corollario 97 (Teorema fondamentale dell’ algebra ) Un polinomio digrado n > 0 ha esattamente n zeri complessi.

Dim. L’ipotesi e che il polinomio ha grado n e quindi puo scriversi come

zn + h(z) , h(z) = an−1zn−1 + · · ·+ a1z + a0 .

Il polinomio zn ha esattamente n zeri (si ricordi che nell’uso del principiodell’argomento gli zeri vanno contati tenendo conto delle molteplicita).

Vale

lim|z|→+∞

h(z)

zn= 0

e quindi|h(z)| < |zn|

su ogni circonferenza |z| = R, con R sufficientemente grande. Da qui l’asser-to.

Illustriamo ora una ulteriore differenza importante tra le funzioni “regolari”di una variabile reale, e quelle “regolari”, nel senso della variabile complessa.Consideriamo la funzione

f(x) = x2 ,

da R in se. Questa funzione, non costante, e analitica nel senso delle funzionidi variabile reale (e addirittura un polinomio). Il suo dominio e un apertomentre la sua immagine non e aperta. Proviamo che nel caso delle funzioniolomorfe cio non puo aversi:

Teorema 98 (della mappa aperta ) Una funzione olomorfa e non costan-te trasforma aperti in aperti.

Dim. Ricordiamo che i punti di accumulazione degli zeri di una funzioneolomorfa su Ω e non identicamente nulla non si accumulano su punti di Ω.Di conseguenza, anche l’insieme

z | f(z) = w

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1.21. TRASFORMAZIONI CONFORMI 101

non ha punti di accumulazione in Ω, salvo nel caso in cui f(z) e costante.Sia ora w0 un punto di f(Ω), z0 un punto per cui f(z0) = w0 e sia r > 0

tale cheD = z | |z − z0| < r ⊆ Ω .

Avendo notato che f−1(w0) non ha punti di accumulazione in Ω, si vede che,per r abbastanza piccolo, f(z) 6= w0 se z ∈ D.

Vogliamo mostrare che w0 e interno a f(Ω).Indichiamo con C la circonferenza |z − z0| = r, cosı che f(z) − w0 per

|z − z0| ≤ r si annulla solo per z = z0.Sia

m = minC|f(z)− w0| > 0 , Dm = w | |w − w0| < m/2 .

Proviamo che Dm ⊆ Ω. Sia per questo w1 ∈ Dm e studiamo l’equazione

f(z) = w1 .

Scrivendo

f(z)− w1 = [f(z)− w0] + [w0 − w1] = g(z)− h(z)

si vede che su C vale

|w0 − w1| = |h(z)| < m

2< m < |f(z)− w0| = |g(z)| .

Dunque, per il Teorema di Rouche, g(z) ed f(z)−w1 hanno il medesimo numerodi zeri racchiusi da C. Dato che per ipotesi g(z) = f(z)−w0 si annulla, anchef(z)−w1 si deve annullare; ossia esiste z1 ∈ D ⊆ Ω tale che f(z1) = w1, comesi voleva.

E’ conseguenza del teorema precedente che una trasformazione olomorfainvertibile ha inversa continua.

1.21 Trasformazioni conformi

Ricordiamo che una trasformazione olomorfa f(z) tra due regioni Ω ed Ω′ econforme diretta se la sua derivata non si annulla. Conviene rinforzare que-sta definizione, richiedendo che f(z) sia olomorfa, invertibile e con inversaolomorfa. Si noti che se g(z), inversa olomorfa di f(z), esiste allora

g(f(z)) = z da cui g′(f(z))f ′(z) = 1 (1.39)

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102 CAPITOLO 1. LE FUNZIONI OLOMORFE

e quindi f ′(z) non si annulla. Si e imposto in piu la biunivocita, proprieta chela condizione f ′(z) 6= 0 non assicura globalmente: la funzione f(z) = ez haderivata priva di zeri, pur essendo periodica.

Da ora in poi, parlando di trasformazione conforme tra due regioni Ω ed

Ω′ intenderemo sempre una trasformazione f(z) olomorfa e invertibile da Ω inΩ′, con inversa olomorfa e quindi con derivata non nulla.

Vogliamo prima di tutto studiare le trasformazioni conformi da D = z | |z| <1 in se. E’ facile trovare alcune di queste trasformazioni. Tra queste lerotazioni .

w = Rβ(z) = eiβz

con β numero reale fissato, e anche le trasformazioni che indichiamo con Ta,

w = Ta(z) =z − a

1− az

con |a| < 1.E’ facile vedere che Ta trasforma D in se notando che se |z| = 1 allora

|Taz| =∣∣∣∣z − a

1− az

∣∣∣∣ =1

|z|∣∣∣∣z − a

z − a

∣∣∣∣ = 1 .

Per il principio del massimo, |Taz| ≤ 1 su D. Dunque, Ta trasforma D in D.Per mostrare che e suriettiva e iniettiva, notiamo che essa e invertibile: sia|w| ≤ 1 e risolviamo l’equazione

z − a

1− az= w .

Questa e risolta da

z =w + a

1 + aw= T−aw

e| − a| = |a| < 1 .

Dato che T−1a = T−a, anche T−1

a e olomorfa e quindi, da (1.39), Ta haderivata non nulla, ossia e conforme.

Si noti che per a = 0 si ritrova il caso particolare della trasformazioneidentita, z → z.

Le trasformazioni Ta si chiamano trasformazioni di Mobius.Ricapitolando, abbiamo trovato due famiglie di trasformazioni conformi da

D in D, la famiglia R delle rotazioni e la famiglia T delle trasformazioni diMobius di parametro a, |a| < 1.

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1.21. TRASFORMAZIONI CONFORMI 103

Osservazione 99 Nel definire Ta abbiamo imposto la condizione |a| < 1. Perquesta ragione, trasformazioni di Mobius e rotazioni vanno considerate sepa-ratamente. Avessimo permesso invece |a| = 1 avremmo ritrovato le rotazionicome particolari trasformazioni di Mobius:

z − eiβ

1− e−iβz=

1

e−iβ

z − eiβ

eiβ − z= −eiβ .

Calcoliamo la composizione di due trasformazioni di Mobius,

w =z − a

1− az, z =

ζ − b

1− bζ.

La trasformazione composta e

w =1 + ab

1 + ab· ζ − [(a + b)/(1 + ab)]

1− (a + b)/(1 + ab)ζ

e ∣∣∣∣∣1 + ab

1 + ab

∣∣∣∣∣ = 1 ,

∣∣∣∣∣a + b

1 + ab

∣∣∣∣∣ < 1

(l’ultima disuguaglianza e immediata perche si sa che la trasformazione com-posta trasforma il disco in se). Dunque, TaTb = RβT(a+b)/(1+ab) per un certovalore di β ∈ R,

β =1 + ab

1 + ab.

Ossia, componendo trasformazioni di Mobius si trovano nuovamente trasfor-mazioni di Mobius, seguite da una rotazione. Equivalentemente, componendotrasformazioni di Mobius si trovano trasformazioni di Mobius precedute da unarotazione. Infatti,

eiρ z − a

1− az=

(eiρz)− aeiρ

1− [aeiρ](eiρz).

Vogliamo provare che tutte le trasformazioni conformi di D in se sono ditale forma. Per questo abbiamo bisogno di premettere:

Lemma 100 (di Schwarz ) Sia f(z) olomorfa su D a valori in D. Se f(0) =0 allora vale

|f(z)| ≤ |z| , |f ′(0)| ≤ 1. (1.40)

Se inoltre esiste z0 ∈ D per cui

|f(z0)| = |z0|

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104 CAPITOLO 1. LE FUNZIONI OLOMORFE

oppure se

|f ′(0)| = 1

allora f(z) e una rotazione.

Dim. Si noti che |f(z)| ≤ 1 per il principio del massimo modulo e che le duecondizioni f(0) = 0 e |f(z)/z| ≤ 1 implicano che |f ′(0)| ≤ 1. Dunque bastaprovare che |f(z)| ≤ |z|.

Introduciamo la funzione

F (z) =

f(z)/z z 6= 0

f ′(0) z = 0 .

Dal Teorema di Riemann, questa funzione e olomorfa perche f(z) si annullain z = 0.

Leggiamo la funzione F (z) nel disco di raggio 1 − ε. Sulla circonferenzavale

|F (z)| = |f(z)|1− ε

≤ 1

1− ε

perche, come si e notato, |f(z)| ≤ 1.Ancora per il principio del massimo modulo, la disuguaglianza |F (z)| ≤

1/(1− ε) vale per ogni ε ∈ (0, 1) e per ogni z tale che |z| < 1− ε. Dunque, perogni z ∈ D vale ∣∣∣∣∣

f(z)

z

∣∣∣∣∣ ≤ infε∈(0,1)

1

1− ε= 1 .

Cio prova (1.40).Supponiamo ora di sapere che per un certo z0 ∈ D vale

|f(z0)| = |z0|, ossia |F (z0)| = 1 .

Per il principio del massimo modulo, F (z) e costante, F (z) = a con |a| < 1 equindi

f(z) = az

e una rotazione.In modo analogo si procede se

|f ′(0)| = 1 ossia |F (0)| = 1 .

Proviamo ora:

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1.21. TRASFORMAZIONI CONFORMI 105

Teorema 101 Sia f(z) una trasformazione conforme da D = z | |z| < 1in se. Esiste a ∈ C, con |a| < 1 e β ∈ R tale che

f(z) = Ta(Rβ(z))

ossia, f = TaRβ.

Dim. Sia a = f(0) e consideriamo la trasformazione g(z),

g(z) = (Taf)(z) =f(z)− f(0)

1− f(0)f(z).

Questa funzione manda D in se, perche |a| = |f(0)| < 1 e inoltre g(0) = 0.Dunque, per il Lemma di Schwarz, |g′(0)| ≤ 1.

Consideriamo ora la trasformazione h(z) inversa di g(z). Anch’essa e unatrasformazione conforme da D in se e inoltre h(0) = 0 cosı che anche per essavale |h′(0)| ≤ 1.

Essendo

h′(z) =1

g′(w), w = h(z)

si ha, per z = 0,

h′(0) =1

g′(0)

e quindi valgono contemporaneamente le disuguaglianze

|g′(0)| ≤ 1 , |g′(0)| ≥ 1 .

Si ha dunque|g′(0)| = 1 .

Per la seconda parte del Lemma di Schwarz, g(z) e una rotazione, g(z) = Rβ(z)per qualche β ∈ R. Dunque,

f(z) =(T−f(0)Rβ

)(z) .

In modo piu esplicito, abbiamo provato che se f(z) e una trasformazioneconforme da D in se, esiste β ∈ C, |β| = 1 per cui

f(z) =(βz) + f(0)

1− f(0)(βz).

Un’ulteriore conseguenza del Lemma di Schwarz permette di rinforzaremoltissimo il teorema di Liouville. Indichiamo col simbolo Π+ il semipiano

Π+ = z | <e z > 0

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106 CAPITOLO 1. LE FUNZIONI OLOMORFE

e notiamo che la trasformazione S,

w = S(z) =z − 1

z + 1, (1.41)

trasforma Π+ in D ed e invertibile, la sua inversa essendo data da

z =w + 1

1− w

da D in Π+; ossia, S e una trasformazione conforme di Π+ in D.

Proviamo ora:

Teorema 102 Sia f(z) una funzione intera che non prende valori in unsegmento. La funzione f(z) e costante.

Dim. Non e restrittivo assumere che il segmento sia

x + i0 , x ∈ [0, 1] .

Dunque, f(z) 6= x + i0, x ∈ [0, 1], per ogni z.

Consideriamo la funzione

φ(z) =z

z − 1= 1− 1

1− z.

Notiamo che

φ(z) = −x + i0 , x > 0 se e solo se z ∈ [0, 1].

Dunque,

g(z) = φ(f(z))

non prende valori sull’asse reale negativo e dunque si puo definire la funzione

g1/2(z) ,

olomorfa su C, si veda il paragrafo 1.9.3. La funzione g1/2(z) prende valoriin Π+ e quindi componendola con la trasformazione S in (1.41) si trova unafunzione intera a valori in D, e quindi limitata. Per il Teorema di Liouvilleessa e costante e quindi f(z) stessa e costante.

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1.21. TRASFORMAZIONI CONFORMI 107

1.21.1 Il teorema di Riemann

Il Teorema di Riemann mostra una condizione topologica perche una regionesia conforme ad un disco. Prima di enunciarlo, e bene notare che non tutte leregioni possono essere trasformate biunivocamente su un disco mediante unatrasformazione olomorfa. Infatti:

Esempio 103 Nessuna funzione olomorfa trasforma in modo biunivoco C suuna regione limitata: infatti una tale funzione sarebbe intera e limitata e quindicostante, ossia non biunivoca.

E’ un po’ piu macchinoso vedere il caso seguente: sia D = z | |z| < 1 esia D0 il disco D privato dell’origine.

Nessuna funzione olomorfa f(z) puo trasformare in modo biunivoco D0 suD. Infatti, se cio accadesse, il punto 0 non sarebbe di accumulazione per lesingolarita di f(z), che non cadono in punti di D0, e la f(z) stessa e limitata;e quindi f(z) si estenderebbe in modo olomorfo a 0. Pero, f(0) non puo essereinterno a D, se si vuole che f(z) sia biunivoca; e quindi

|f(0)| = 1 = sup|z|<1

|f(z)| .

Per il principio del massimo modulo, f(z) viene ad essere costante, e quindinon biunivoca.

Enunciamo ora il Teorema di Riemann in generale. Il teorema verra quindiprovato in un caso particolare.

Teorema 104 (di Riemann ) Sia Ω una regione semplicemente connessache non e tutto il piano complesso. Esiste una funzione olomorfa che trasformaΩ su D in modo biunivoco.

Dim. (Il teorema si prova nel caso particolare in cui Ω e una regionedi Jordan Ωγ.)

Fissiamo un punto z0 ∈ Ωγ. Essendo Ωγ limitata, essa e contenuta in undisco DR di raggio R e centro 0. La trasformazione conforme z → z/(R + 1)trasforma DR in D = z | |z| < 1 e quindi Ωγ in D. Applicando una trasfor-mazione di Mobius, si trova una trasformazione da Ωγ in D, che trasforma z0

in 0. La trasformazione cosı costruita e inoltre iniettiva. Non e pero suriettiva.Sia F la famiglia delle trasformazioni olomorfe ed iniettive da Ωγ a D,

che trasformano z0 in 0. Il teorema e dimostrato se si riesce a provare che Fcontiene una trasformazione suriettiva.

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108 CAPITOLO 1. LE FUNZIONI OLOMORFE

Si noti che se f(z) ∈ F allora |f(z)| < 1 e quindi, per il teorema di Montel,ogni successione in F contiene s.successioni convergenti uniformemente suicompatti di Ωγ. Inoltre, se f(z) ∈ F ,

|f ′(z0)| = 1

∣∣∣∣∣∫

C

f(ζ)

(ζ − z0)2

∣∣∣∣∣ ≤1

r

se C e una circonferenza di raggio r e centro z0, contenuta in Ωγ. Dunque,

MF = sup|f ′(z0)| , f ∈ F < +∞ .

Sia (fn(z)) una successione in F , tale che

lim |f ′n(z0)| = MF .

Per il teorema di Montel, si puo supporre che essa converga ad una funzioneolomorfa f0(z), uniformemente sui compatti di Ωγ e quindi, per il teorema diWeierstrass e per la continuita della funzione modulo,

|f ′0(z0)| = lim |f ′n(z0)| = MF , f0(z0) = 0 .

Proviamo che la funzione f0(z) e iniettiva, e quindi che appartiene a F . Fis-siamo un punto z2 ∈ Ωγ e mostriamo che f(z1) 6= f(z2) per ogni altro puntoz1 6= z2 di Ωγ.

Sia s = |z1 − z2|/2. La funzione fn(z) e iniettiva e quindi

ψn(z) = fn(z)− fn(z2) , n > 0

non si annulla sul disco di centro z1 e raggio s. Cio vale per ogni indice n equindi nemmeno ψ0(z) si annulla, per il teorema di Hurwitz; ossia, f0(z1) 6=f0(z2).

Cio prova che f0(z) e iniettiva e quindi f0(z) appartiene ad F .Proviamo ora che la funzione f0(z) e anche suriettiva, completando cosı la

dimostrazione del teorema. Per assurdo supponiamo che non lo sia e sia a unodei valori di D che essa non assume.

Consideriamo la funzione

φ(z) =

√√√√ a− f0(z)

1− af0(z).

Dato che Ωγ e una regione di Jordan, e che il radicando non si annulla suΩγ, e possibile definire una determinazione della radice quadrata, in modo

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1.21. TRASFORMAZIONI CONFORMI 109

da avere φ(z) olomorfa su Ωγ, si veda il paragrafo 1.9.3. La φ(z) e quindiolomorfa e, essendo ottenuta applicando ad f(z) prima la trasformazione diMobius Ta e poi una determinazione della radice quadrata, e iniettiva. Essanon apparterra a F perche in generale φ(z0) 6= 0. Applichiamo dunque a φ(z)la trasformazione di Mobius che riporta φ(z0) in 0. Si trova

g(z) =φ(z)−√a

1−√aφ(z)

e la funzione g(z) e ora un elemento di F .Calcoliamo g′(z0). Procediamo in due passi:

g′(z) =φ′(z)

[1−√aφ(z)

]+ [φ(z)−√a]

√aφ′(z)

[1−√aφ(z)

]2

cosı che

g′(z0) =1

1− |√a|2φ′(z0) .

Ora calcoliamo

φ′(z) =1

2

√√√√1− af0(z)

a− f0(z)

−1 + |a|2[1− af0(z)]2

f ′0(z)

cosı che

φ′(z0) = − 1

2√

a

(1− |√a|2

) (1 + |√a|2

)f ′0(z) .

Combinando insieme queste uguaglianze si trova

g′(z0) = −[1 + |√a|2

2√

a

]f ′(z0) , |g′(z0)| = MF ·

[1 + |√a|2

2√

a

].

Ora, [1 + |a|2√

a

]> 1

perche 1 + |√a|2 − 2|√a| > 0, l’uguaglianza essendo stretta, dato che |a| < 1.Dunque, |g′(z0)| > MF , in contrasto con la definizione del numero MF .

La contraddizione trovata prova il teorema.

Abbiamo provato il teorema di Riemann in un caso particolare. In questocaso puo dirsi di piu:

Teorema 105 Sia Ωγ una regione di Jordan e sia f(z) una funzione olomorfache e conforme da Ωγ su D. La funzione f(z) puo estendersi con continuitaa ∂Ωγ.

Non proviamo questo teorema.

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110 CAPITOLO 1. LE FUNZIONI OLOMORFE

1.22 Monodromia e polidromia

Possiamo solo accennare informalmente a questo argomento, sui cui e perobene avere qualche nozione.

1.22.1 Punti di diramazione di funzioni olomorfe

Un punto z0 ∈ ∂Ω, Ω dominio di una funzione olomorfa f(z), si dice punto

di diramazione quando ogni suo intorno contiene una curva chiusa γ la cuiimmagine γf non e chiusa. Dunque, f(z) e discontinua in ogni intorno di z0.Vedremo piu avanti una definizione piu generale di punto di diramazione.

Si noti che z0 = 0 e punto di diramazione per le funzioni z → |z|1/nei(Arg z)/n

e z → Log z.I punti di diramazione si incontrano spesso trattando le funzioni inverse di

funzioni che non sono biunivoche e questo suggerisce un modo di trattare lefunzioni che e stato introdotto da Riemann. Accenniamo all’idea, considerandol’esempio della funzione Log z. Consideriamo prima di tutto la funzione

f(x + iy) = ex(cos y + i sin y)

che trasforma ogni striscia

(2k − 1)π ≤ y < (2k + 1)π

su tutto il piano complesso privato dell’origine.Fissiamo l’attenzione sulla striscia

−π ≤ y < π.

Quando si rappresenta l’immagine della striscia sul piano complesso in realtasi considera la trasformazione da R2 in R2 data da

(x, y) → (ex cos y, ex sin y) .

Consideriamo invece la trasformazione da R2 in R3

(x, y) → (ex cos y, ex sin y, y) = (ξ, η, ζ) . (1.42)

In questo modo l’immagine di y → (ξ, η, ζ) con x fissato e una spira di un’elica.La successiva striscia e caratterizzata da

π ≤ y < 3π

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1.22. MONODROMIA E POLIDROMIA 111

e la trasformazione (1.42) rappresenta ora y ∈ [π, 3π), con lo stesso valore dix, nella successiva spira; e la striscia π ≤ y < 3π ha immagine che ora non sisovrappone a quella calcolata prima.

In questo modo si ha una rappresentazione dell’esponenziale come funzionebiunivoca da C su una superficie di R3; e quindi la funzione inversa viene oraad essere univoca.

Figura 1.20:

−5

0

5

10−4 −2 0 2 4 6 8 10 12 14

0

2

4

6

8

10

12

14

x

y

z

La superficie che abbiamo costruito si chiama la superficie di Riemanndella funzione log x.

Costruzioni analoghe, ma un po’ piu complesse, possono farsi per le funzioniradice.

1.22.2 Funzioni analitiche

Sia f(z) una funzione olomorfa su una regione Ω. Si e gia notato che svilup-pando la funzione in serie di Taylor con centro un punto z1 di Ω, puo essereche la serie converga su un disco che fuoriesce da Ω. In tal caso usando la seriesi trova un’estensione di f(z). Per studiare meglio questo fenomeno, intro-

duciamo questo termine: chiamiamo elemento analitico (piu semplicementeelemento) la coppia di una regione Ω e di una funzione f(z) olomorfa su Ω.Se Ω e un disco e quindi f(z) e sviluppabile in serie di Taylor su Ω, l’elementosi chiamera canonico .

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112 CAPITOLO 1. LE FUNZIONI OLOMORFE

Due elementi (Ω1, f1(z)) e (Ω2, f2(z)) si dicono equivalenti se Ω1 ∩Ω2 6= ∅e se

f1(z) = f2(z) ∀z ∈ Ω1 ∩ Ω2 .

Se Ei, i = 1,. . . ,n sono elementi canonici e se ciascuno e equivalente al pre-cedente, l’insieme degli Ei si chiama una catena . L’elemento E1 si dira ilprimo elemento della catena ed En l’ultimo. Diremo anche che la catena e unafunzione analitica ottenuta da E1 per prolungamento lungo catene di cerchi.

In generale, chiameremo funzione analitica secondo Weierstrass l’insiemedi tutti gli elementi canonici che fanno parte di tutte le catene che si ottengonoprolungando per catene di cerchi un elemento dato.

La definizione di funzione analitica secondo Weierstrass dipende quindi dalprimo elemento che e stato scelto. Si prova pero che scegliendo come primoelemento un altro elemento della stessa funzione analitica, la funzione analiticanon cambia.

Esempio 106 Si consideri la funzione

f(z) =√|z|ei(Arg z)/2

che e olomorfa nella regione |Arg z| < π. Fissiamo z0 e sviluppiamo la funzionein serie di Taylor, di centro z0. Si trova

f(z) = [(z − z0) + z0]1/2 = f(z0)

+∞∑

n=0

(1/2n

)(z − z0)

n

e questa serie ha raggio di convergenza uguale ad 1.Sia z0 e il punto indicato in figura 106. La serie definisce una funzione

olomorfa anche attraverso un segmento dell’asse reale negativo. Dunque, l’e-stensione cosı ottenuta di f(z) coincide con la funzione data nei punti del terzoquadrante, ma non in quelli del quarto.

Si confronti con quanto detto ai paragrafi 1.9.3 e 1.13.2.

L’esempio precedente mostra che elementi diversi della medesima catenapossono prendere valori diversi nel medesimo punto. Cio suggerisce di definiremonodroma o univalente una funzione analitica secondo Weierstrass cheha la seguente ulteriore proprieta: siano (Di, fi) e (Dj, fj) elementi diversi.Se z0 ∈ Di ∩ Dj allora vale fi(z0) = fj(z0); altrimenti la funzione si dice

polıdroma .

Possiamo ora dare la seguente definizione generale di singolarita isolata :il punto z0 sia di accumulazione per il dominio Ω di un elemento (Ω, f(z)) .

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1.22. MONODROMIA E POLIDROMIA 113

Figura 1.21:

−8 −6 −4 −2 0 2 4 6 8−6

−4

−2

0

2

4

6 y

x

Diciamo che il punto z0 e una singolarita isolata se e possibile estendere f(z)ad un intorno di z0, escluso z0, mediante una catena di cerchi che pero noncoprono z0. Va osservato che questa definizione fa riferimento ad una catena.Niente vieta che una diversa catena produca un’estensione ad un intorno diz0, incluso il punto z0.

Esempio 107 Sia z0 = 1 e sia

f(z) =1

1 +√

z

ottenuta scegliendo √z =

√|z|ei[π+(Arg z)/2] . (1.43)

Si vede che il punto z0 = 1 e singolare per f(z) nonostante che

g(z) =1

1 +√|z|ei(Arg z)/2

sia regolare in z0 = 1, e sia un’estensione per catene di cerchi di (1.43).

Quest’osservazione suggerisce di estendere come segue la definizione dipunto di diramazione .

Sia z0 un punto singolare isolato di una funzione analitica secondo Weier-strass. Si dice che il punto z0 e un punto di diramazione se ogni intornodi z0 contiene una catena di cerchi della funzione i cui domini coprono unacirconferenza centrata in z0 e col primo elemento che e diverso dall’ultimo.

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114 CAPITOLO 1. LE FUNZIONI OLOMORFE

Esempio 108 La funzione

f(z) =√

z =√|z|ei(Arg z)/2

ha z0 = 0 come punto di diramazione, perche, come si e visto sopra, estendendoper catene di cerchi si passa dall’una all’altra determinazione della radice.Osservazione analoga vale per la funzione Log z.

Osservazione 109 I punti di diramazione non sono stati considerati nellostudio dei punti singolari di funzioni olomorfe. Infatti, con riferimento ad unsingolo elemento olomorfo (Ω, f), essi non sono punti singolari isolati: ogni lorointorno contiene punti nei quali la funzione f(z) e discontinua.

Mostriamo infine che una funzione analitica secondo Weierstrass, se non hapunti singolari in una regione di Jordan Ω coincide con un elemento olomorfo.

Teorema 110 (di monodromia ) Sia Ω una regione di Jordan contenutanel dominio di una funzione analitica secondo Weierstrass. La funzione eunivalente su Ω.

Dim. Illustriamo l’idea della dimostrazione. Si fissi un punto z0 ∈ Ω. Sela funzione non e univalente, e possibile trovare z1 ∈ Ω e due curve γa e γb

congiungenti z0 con z1, tali che l’estensione di f(z) da z0 a z1 lungo catene dicerchi centrati in γa, rispettivamente in γb, conduce a valori f1, f2, tra lorodiversi. Dobbiamo provare che cio non accade.

Non e restrittivo assumere che le due curve siano semplici e prive di punticomuni, a parte gli estremi.

Indichiamo con γ la curva di Jordan ottenuta connettendo γb a γa e sia dla distanza di γ da ∂Ω. Indichiamo con Ωγ la regione interna a γ e siano

γ0 = γa , γ1 , . . . , γn−1 , γn = γb

curve con γi ∈ Ωγ per i 6= 0 e i 6= n, distanti l’una dall’altra meno di d.Si noti che Ωγ ⊆ Ω perche Ω e regione di Jordan.Prolungando f(z) da z0 a z1 lungo γa = γ0 e lungo γ1, si trova in z1 il

medesimo valore f(z1) perche ciascun cerchio della catena centrato su punti diγ0 interseca il sostegno di γ1 e viceversa, dato che i raggi di convergenza delleserie che si ottengono sono almeno uguali a d.

Lo stesso accade per γ1 e γ2 e quindi anche prolungando lungo una catenadi cerchi centrati in γ1 si ritrova lo stesso valore di f(z1).

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1.22. MONODROMIA E POLIDROMIA 115

Dopo un numero n di passi si vede che il valore di f(z1) che si trovaprolungando lungo una catena di cerchi centrati su γb coincide con quelloche si trova prolungando con cerchi centrati su γa. E quindi la restrizione adΩ della funzione f(z) e univalente.

Osservazione 111 Il teorema precedente non vieta che seguendo curve checongiungono z0 con z1 e che escono da Ω, si trovi un valore diverso per f(z1).

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116 CAPITOLO 1. LE FUNZIONI OLOMORFE

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Capitolo 2

Funzioni armoniche

In generale si chiama funzione armonica una funzione u(x1, . . . , xn) di classe

C2 su un aperto Ω ⊆ Rn e che ivi verifica l’equazione di Laplace

ux1,x1 + · · ·+ uxn,xn = 0 .

La teoria delle funzioni armoniche e importantissima per le applicazioni, e ric-chissima di risultati. Noi ci limitiamo a presentare poche proprieta delle fun-zioni armoniche di due variabili, facendole discendere da quelle delle funzioniolomorfe.

2.1 Funzioni armoniche e funzioni olomorfe

Si e gia notato che le parti reali ed immaginarie di funzioni olomorfe sonofunzioni armoniche. Proviamo ora il viceversa:

Teorema 112 Sia Ω una regione di Jordan e sia u(x, y) armonica su Ω.Esiste una funzione armonica v(x, y) tale che

f(x + iy) = u(x, y) + iv(x, y) (2.1)

e olomorfa.

Dim. Se v(x, y) esiste, allora v(x, y) deve verificare

vx = −uy , vy = ux . (2.2)

Per costruire v(x, y) fissiamo (x0, y0) ∈ Ω e sia P(x,y) una poligonale in Ω checongiunge (x0, y0) con (x, y). Costruiamo v(x, y) ponendo

v(x, y) =∫

P(x,y)

[vx dx + vy dy]

117

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118 CAPITOLO 2. FUNZIONI ARMONICHE

Naturalmente, questa formula non puo usarsi direttamente, perche l’integran-do dipende da v(x, y); ma, le (2.2) suggeriscono di definire

v(x, y) =∫

P(x,y)

[−uy dx + ux dy] .

La funzione cosı costruita e univoca perche Ω e una regione di Jordan e laforma differenziale

−uy dx + ux dy

e esatta, dato che u(x, y) e armonica.Dunque la v(x, y) cosı costruita e di classe C1 e, con dimostrazione analoga

a quella del Teorema 1.9, si vede che verifica (2.2), come richiesto. Dunque,v(x, y) e la parte immaginaria della funzione olomorfa f(x + iy) = u(x, y) +iv(x, y).

Fissato un punto (x, y) ∈ Ω, il teorema precedente puo applicarsi in un suointorno e quindi:

Corollario 113 Ogni funzione armonica e localmente parte reale di una fun-zione olomorfa. Dunque, ogni funzione armonica e in particolare di classeC∞.

Di conseguenza, per le funzioni armoniche valgono i teoremi che abbiamoprovato per le parti reali di funzioni olomorfe,

• il teorema della media;

• Il principio sia del massimo che del minimo;

• il teorema di Liouville.

La funzione v(x, y) che si associa ad u(x, y) in modo che la funzione (2.1) siaolomorfa si chiama funzione armonica coniugata di u(x, y). Essa non e unica

(si vede dalla dimostrazione del Teorema 112 che v(x, y) muta cambiando(x0, y0)). Non e difficile provare che due funzioni armoniche su un regione Ω,coniugate della stessa funzione armonica u(x, y) hanno differenza costante.

Conviene ora elencare alcune funzioni armoniche. Naturalmente sono fun-zioni armoniche i polinomi di grado 0 oppure 1, e sono funzioni armoniche ipolinomi

u(x, y) = x2 − y2 , u(x, y) = xy .

Ma non tutti i polinomi sono funzioni armoniche: u(x, y) = x2 + y2 non lo e.Cio nonostante,

Log (x2 + y2) = 2<e Logz

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2.2. LA PROPRIETA DELLA MEDIA E IL TEOREMA DI GAUSS 119

e armonica sul complementare di arg z = −π. Sulla stessa regione e anchearmonica la funzione

u(x, y) = arctany

x.

Un calcolo diretto mostra che in realta queste funzioni sono armoniche suR2 − (0, 0).

2.2 La proprieta della media e il teorema di

Gauss

Si e visto che per le funzioni armoniche vale la proprieta della media

u(x0, y0) =1

∫ 2π

0u(x0 + r cos t, y0 + r sin t) dt . (2.3)

Naturalmente si intende che il disco di centro (x0, y0) e raggio r sia contenutoin Ω.

Vale anche il viceversa:

Teorema 114 Sia Ω una regione di Jordan e sia u(x, y) una funzione di classeC2(Ω). Se per ogni (x0, y0) ∈ Ω vale l’uguaglianza (2.3) almeno per ogni rsufficientemente piccolo, allora la funzione u(x, y) e armonica su Ω.

Dim. Dobbiamo provare che ∆u = 0 su Ω. Notiamo che e sufficiente provareche ∫

D∆u(x, y) dx dy = 0 (2.4)

per per ogni disco D ⊆ Ω con raggio abbastanza piccolo. Infatti se in un punto(x0, y0) fosse ∆u(x0, y0) > 0, per continuita si avrebbe anche ∆u(x, y) > 0 suun opportuno disco D, e quindi l’integrale (2.4) non potrebbe essere nullo.

Derivando rispetto ad r i due membri di (2.3). Si trova:

0 =∫ 2π

0[ux(x0 + r cos t, y0 + r sin t) cos t + uy(x0 + r cos t, y0 + r sin t) sin t] dt

=∫

Cr

∂u

∂nds ,

ove Cr indica la circonferenza parametrizzata da

t → (x0 + r cos t, y0 + r sin t) , t ∈ [0, 2π]

ed n = n(t), parametrizzata da

n(t) = (x0 + cos t, y0 + sin t) , t ∈ [0, 2π] ,

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120 CAPITOLO 2. FUNZIONI ARMONICHE

la sua normale esterna. Si usi ora il teorema di Gauss:

0 =∫

Cr

∂u

∂nds =

D∆u(x, y) dx dy .

Cio e quanto volevamo provare.

Nella dimostrazione precedente abbiamo usato il teorema di Gauss in uncaso particolare: il caso in cui la regione e una circonferenza. Si sa che essovale piu in generale e cio permette di provare:

Teorema 115 Sia Ω una regione di Jordan. Supponiamo u(x, y) ∈ C2(Ω),continua sulla chiusura di Ω. La funzione u(x, y) e armonica se e solo se

γ

∂nu ds = 0 (2.5)

per ogni curva di Jordan regolare a tratti, il cui sostegno e in Ω.

Dim. Nelle ipotesi che abbiamo detto, per il teorema di Gauss vale

Ωγ

∆u(x, y) dx dy =∫

γ

∂nu ds .

E quindi, se u(x, y) e armonica, vale

γ

∂nu ds = 0 ;

se, viceversa, la (2.5) vale per ogni γ, curva di Jordan con sostegno in Ω,scegliendo per γ le circonferenze, si trova

D∆u(x, y) dx dy = 0

per ogni disco in Ω e quindi ∆u = 0 in Ω.

2.3 Il problema di Dirichlet per l’equazione di

Laplace

Si chiama problema di Dirichlet per l’equazione di Laplace il problema seguen-te: e data una curva di Jordan γ (regolare a tratti) e una funzione g(x, y) con-tinua sul suo sostegno. Si vuole una funzione u(x, y) armonica in Ωγ, continuanella chiusura di Ωγ e tale che

u|γ = g ;

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2.3. IL PROBLEMA DI DIRICHLET PER L’EQUAZIONE DI LAPLACE121

Dunque, si vuole che la u risolva

∆u = 0 in Ωγ , u|γ = g .

Si parla di problema di Poisson quando e data anche una funzione continuah(x, y) in Ωγ e si vuol risolvere

∆u = h in Ωγ , u|γ = g . (2.6)

Piu avanti potremo studiare il problema dell’esistenza di soluzioni del pro-blema di Dirichlet. Per ora, limitiamoci a studiare alcune proprieta dellesoluzioni, se queste esistono. Proviamo:

Teorema 116 Se esiste una soluzione u(x, y) di (2.6), essa e unica.

Dim. Ricordiamo che, per la definizione che abbiamo dato di soluzione, lau(x, y) e continua nella chiusura di Ωγ.

Siano u1(x, y) e u2(x, y) due diverse soluzioni di (2.6)e definiamo

w(x, y) = u1(x, y)− u2(x, y) .

La w(x, y) e una soluzione del problema di Dirichlet

∆u = 0 in Ωγ , u|γ = 0 .

In particolare, e una funzione armonica. Essendo continua sulla chiusura di Ωγ,essa ivi raggiunge massimo e minimo; essendo armonica, massimo e minimosono raggiunti su γ = ∂Ωγ e quindi sono ambedue nulli: la funzione w(x, y) enulla e quindi u1(x, y) = u2(x, y).

Nello stesso modo si puo vedere che le soluzioni “dipendono con continuita”dal dato g. Consideriamo per questo i due problemi di Poisson

∆u = h in Ωγ , u|γ = g1 , (2.7)

∆u = h in Ωγ , u|γ = g2 . (2.8)

con la medesima funzione h(x, y). Supponiamo che esistano u1(x, y), soluzionedi (2.7) e u2(x, y), soluzione di (2.8). Sia ha:

Teorema 117 Le funzioni u1(x, y) e u2(x, y) verificano la diseguaglianza

supΩγ

|u1(x, y)− u2(x, y)| ≤ maxγ|g1(x, y)− g2(x, y)| .

Dim. Introduciamo ancora la funzione w(x, y) = u1(x, y) − u2(x, y). Questafunzione e armonica in Ωγ e continua sulla sua chiusura e inoltre su γ valew(x, y) = g1(x, y)− g2(x, y). Dunque, dal principio del massimo e del minimoper le funzioni armoniche, si ha

minγ

[g1(x, y)− g2(x, y)] ≤ w(x, y) ≤ maxγ

[g1(x, y)− g2(x, y)] .

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122 CAPITOLO 2. FUNZIONI ARMONICHE

2.3.1 La formula di Poisson

Ricordiamo che la formula della media permette di esprimere il valore u(0, 0)di una funzione armonica su un disco centrato in (0, 0), mediante i valoriu(R cos t, R sin t), che la funzione assume su una circonferenza di centro (0, 0).Chiediamoci ora se si riesce a trovare una formula che, per mezzo di tali valori,esprima anche u(x, y), per ogni (x, y) tale che

x2 + y2 < R2 .

In tal caso si trova una formula risolutiva per il problema di Diriclet nel disco.Si sa che questo puo farsi per la funzione olomorfa f(x + iy) di cui u(x, y)

e parte reale. Sia f(x + iy) = u(x, y) + iv(x, y) e scriviamo

u(x, y) + iv(x, y) =1

2πi

C

f(ζ)

ζ − (x + iy)dζ ,

C : t → Reit , t ∈ [0, 2π] .

Passando alle parti reali, a sinistra si trova u(x, y) ma a destra si trova un’e-spressione complicata, che fa intervenire sia i valori di u(x, y) che quelli div(x, y) perche il fattore

1

1

Reit − (x + iy)Reit

non prende valori reali se x 6= 0, y 6= 0. Allora, abbandoniamo un momento lostudio delle funzioni armoniche e torniamo a considerare la formula integraledi Cauchy che in particolare da

f(z) =1

∫ 2π

0f(Reit)

Reit

Reit − zdt .

Chiediamoci se sia possibile modificarla in modo da far comparire f(z) molti-plicata per un fattore reale. Per questo notiamo che

1

∫ 2π

0f(Reit)

zeit

zReit −R2dt =

1

2πi

Cf(ζ)

z

zζ −R2dζ = 0

dato che il denominatore e nullo soltanto per ζ = R2/|z|, punto esterno allacirconferenza. Dunque, vale anche

f(z) =1

∫ 2π

0f(Reit)

[Reit

Reit − z− zReit

zReit −R2

]dt

=1

∫ 2π

0f(Reit)

[R

Reit − z− z

zeit −R

]eit dt

=1

∫ 2π

0f(Reit)

R2 − |z|2R2 + |z|2 − 2<e [(Rz)e−it]

dt .

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2.3. IL PROBLEMA DI DIRICHLET PER L’EQUAZIONE DI LAPLACE123

Sia ora

z = reiθ ossia

x = r cos θy = r sin θ .

La formula precedente si scrive

u(x, y) + iv(x, y)

=1

∫ 2π

0[u(R cos t, R sin t) + iv(R cos t, R sin t)]

R2 − r2

R2 − 2Rr cos(θ − t) + r2dt .

Nella formula precedente l’integrando e la funzione f(z) moltiplicata peruna funzione a valori reali.

Prendendo ora le parti reali dei due membri si trova la formula di Poisson

u(x, y) =1

∫ 2π

0u(R cos t, R sin t)

R2 − r2

R2 − 2Rr cos(θ − t) + r2dt .

Osservazione 118 Si noti che se ζ = Reit e z = reiθ allora

R2 − 2Rr cos(θ − t) + r2 = |ζ − z|2 .

Esaminando i vari passi del calcolo precedente, si vede che questa formula egiustificata se u(x, y) e armonica in una regione Ω che contiene il disco |ζ| ≤ R,e vale se x2 + y2 < R. Di fatto, una volta trovata questa formula, e possibileprovare di piu:

Teorema 119 Sia g(x, y) una funzione continua sulla circonferenza x2+y2 =R2 e si definisca u(x, y) nel disco che essa delimita mediante la formula

u(x, y) =1

∫ 2π

0

R2 − r2

R2 − 2Rr cos(θ − t) + r2g(cos t, sin t) dt ,

x = r cos θy = r sin θ .

Allora, la funzione u(x, y) e armonica nel disco aperto, e continua nel discochiuso e la sua restrizione alla circonferenza restituisce la funzione g(x, y).

Ossia, u(x, y) risolve il problema di Dirichlet

∆u = 0 , per x2 + y2 ≤ R2 ,

u(x, y) = g(x, y) per x2 + y2 = R2 .

Vedremo che facendo uso di questo risultato sara possibile provare l’esi-stenza di soluzioni del problema di Dirichlet in casi molto piu generali.

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124 CAPITOLO 2. FUNZIONI ARMONICHE

Il problema di Dirichlet in regioni di Jordan

Proviamo ora che il problema di Dirichlet e risolubile in ogni regione di Jordan.Sia per questo γ una curva semplice e chiusa, regolare a tratti e sia g(x, y) unafunzione continua sul suo sostegno. Indicando con Ωγ la regione interna a γ,vale

Teorema 120 Esiste un’unica funzione u(x, y) ∈ C2(Ωγ) e tale che

∆u = 0 in Ωγ , u = g su γ . (2.9)

Dim. L’unicita si e gia provata nel Teorema 116. E’ da provare l’esistenza.Per questo si usa il Teorema di Riemann, Teorema 104 e del Teorema 105.

Indichiamo con z = x+ iy i punti di Ωγ e del sostegno di γ e con w = ξ+ iηquelli del disco

D = w | |w| < 1 .

Sia φ(z) una trasformazione olomorfa e biunivoca da Ωγ al disco. Per ilTeorema 105, questa funzione ha estensione continua su γ e trasforma γ sullacirconferenza. Indichiamo con G(w) la funzione

G(w) = g(φ−1(w)) .

Questa funzione e continua sulla circonferenza e quindi, per il Teorema 119,esiste una funzione armonica U(ξ, η) nel disco aperto, continua nel disco chiusoe che sulla circonferenza restituisce G.

Sia V (ξ, η) una funzione coniugata di U(ξ, η) e sia F (ξ, η) = U(ξ, η) +iV (ξ, η). Sia

f(x + iy) = F (φ(x + iy)) = u(x, y) + iv(x, y) .

La funzione u(x, y) e armonica su Ωγ e su γ restituisce U e quindi lafunzione g. E’ dunque la soluzione del problema (2.9).

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Capitolo 3

La trasformata di Laplace

La trasformata di Laplace e una trasformazione che associa a certe funzionidi una variabile reale, definite su R e nulle per argomento negativo una funzioneolomorfa. La trasformata di Laplace e uno strumento importante per esempionello studio delle equazioni differenziali.

Talvolta e necessario studiare la trasformata di Laplace di funzioni di nvariabili. Noi ci limiteremo a trattare il caso delle funzioni di una sola variabile.

Molto spesso nelle applicazioni la variabile da cui dipende la funzione f eil tempo e, per questa ragione, la indicheremo col simbolo t.

3.1 Definizioni

Descriviamo prima di tutto una classe di funzioni per le quali si puo definirela trasformata di Laplace. Questa non e la classe piu generale possibile, ma esufficiente per la maggior parte delle applicazioni.

Ripetiamo che a noi interessano funzioni f(t) definite su R, nulle per t < 0.Diciamo che una tale funzione f , a valori reali oppure complessi, e a crescitaesponenziale se e limitata su ogni intervallo [0, T ], T > 0, e inoltre esiste unnumero reale r tale che

limt→+∞ e−rtf(t) = 0 ;

Equivalentemente, una funzione e a crescita esponenziale se esistono numerireali M ed r tali che

|f(t)| ≤ Mert t > 0 . (3.1)

Si chiama ordine di esponenziale della funzione f il numero

αf = infr | ∃Mr per cui |f(t)| < Mrert .

123

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124 CAPITOLO 3. LA TRASFORMATA DI LAPLACE

Si noti che se r > αf allora esiste M per cui vale (3.1). Invece, se r = αf ,la (3.1) puo non valere, come si vede considerando la funzione f(t) = tet cheha ordine di esponenziale 1, ma e un infinito di ordine maggiore di 1.

La classe delle funzioni per cui definiremo la trasformata di Laplace e laclasse delle funzioni, a valori reali oppure complessi, ma di una variabile reale,continue a tratti, a crescita esponenziale e nulle per t < 0.

Osservazione 121 Nelle applicazioni e frequentemente necessario considera-re la trasformata di Laplace di funzioni che prendono per valori vettori di Cn

o addirittura matrici. La trasformata di Laplace si calcola elemento per ele-mento. Quello che va sottolineato e comunque che le funzioni di cui si calcolala trasformata di Laplace sono nulle per t < 0.

La trasformata di Laplace di f e la funzione

f(λ) =∫ +∞

0e−λtf(t) dt .

Il numero λ e complesso e il dominio di f(λ) e l’insieme dei numeri λ per cuil’integrale converge.

Per indicare la trasformata di Laplace si usa anche il simbolo L(f)(λ)o semplicemente la lettera maiuscola corrispondente a quella che si usa perindicare la funzione: F (λ).

3.2 Proprieta della trasformata di Laplace

Vale:

Teorema 122 La trasformata di Laplace e definita sul semipiano <e λ > αf

ed e ivi una funzione olomorfa.

Dim. L’esistenza degli integrali

∫ T

0e−λtf(t) dt

per ogni T > 0 e ovvia. L’esistenza di

limT→+∞

∫ T

0e−λtf(t) dt

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3.2. PROPRIETA DELLA TRASFORMATA DI LAPLACE 125

segue dal teorema del confronto. Per vederlo, non e restrittivo supporre chef prenda valori reali. In tal caso, posto λ = x + iy, va provata l’esistenza deidue integrali impropri

∫ +∞

0f(t)e−xt cos yt dt ,

∫ +∞

0f(t)e−xt sin yt dt

Sia <e λ = x > αf e sia r ∈ (αf , x). Sia M tale che

|f(t)| < Mert .

Allora,|e−λtf(t)| ≤ Me(−x+r)t

e l’esponente e negativo. Dunque ambedue gli integrali convergono e inoltre∣∣∣∣∫ +∞

0f(t)e−xt cos yt dt

∣∣∣∣ ≤M

x− αf

,

∣∣∣∣∫ +∞

0f(t)e−xt sin yt dt

∣∣∣∣ ≤M

x− αf

(3.2)Per provare che f(λ) e olomorfa, usiamo il teorema di Morera. Mostriamo

prima di tutto che la funzione f(λ) e continua per λ > αf . Fissiamo ε > 0 e

mostriamo che esiste δ > 0 tale che se |λ1− λ2| < δ allora |f(λ1)− f(λ2)| < ε.Per fissare le idee sia <e λ1 > <e λ2 > a + σ > a > αf . Dato che l’integrale edi variabile reale, usando il Lemma 28, si ha

|f(λ1)− f(λ2)| =∣∣∣∣∫ +∞

0

[e−λ1t − e−λ2t

]eat

[e−atf(t)

]dt

∣∣∣∣

≤ supt≥0

∣∣∣e−<e (λ1−a)t[1− e−<e (λ1−λ2)t

] ∣∣∣ · L(|f |)(a) .

Notiamo che <e (λ1 − a) > 0 e <e (λ1 − λ2) > 0 cosı che∣∣∣1− e−<e (λ1−λ2)t

∣∣∣ < 2 ∀t ≥ 0 ,∣∣∣1− e−<e (λ1−λ2)t

∣∣∣ ≤∣∣∣1− e−<e (λ1−λ2)T

∣∣∣ ∀t ≥ T .

Fissiamo T tale che per t > T valga

2e−<e (λ1−α)t < 1 .

Cio puo farsi perche <e (λ1 − a) > σ > 0. Fissato questo valore per T ,scegliamo δ tale che se <e (λ1 − λ2) < δ valga

∣∣∣1− e−<e (λ1−λ2)T∣∣∣ · L(|f |)(a) < ε .

Si ha quindi che se, in particolare, |λ1−λ2| < δ allora vale |f(λ1)− f(λ2)| < ε,ossia la continuita di f(λ).

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126 CAPITOLO 3. LA TRASFORMATA DI LAPLACE

Sia ora γ una curva chiusa di sostegno in <e λ > αf . Scambiando l’ordinedi integrazione, si ha:

γf(λ) dλ =

γ

[∫ +∞

0e−λtf(t) dt

]dλ =

∫ +∞

0

[∫

γe−λt dλ

]f(t) dt = 0 .

L’ultimo integrale e nullo perche la funzione λ → e−λt e olomorfa su C perogni valore di t.

In particolare, la formula (3.2) mostra che:

Corollario 123 Se f(λ) e una trasformata di Laplace allora

lim<eλ→+∞

f(λ) = 0 .

Osservazione 124 Abbiamo provato che la trasformata di Laplace esiste per<e λ > αf . In realta si potrebbe provare che la trasformata di Laplace esistein un semipiano <e λ > α, con α ≤ αf .

La trasformata di Laplace e lineare nel senso detto dal teorema seguente diovvia dimostrazione:

Teorema 125 Siano f e g due funzioni continue a tratti e a crescita espo-nenziale. Se <e λ > maxαf , αg ed a, b sono numeri, vale

L(af + bg)(λ) = af(λ) + bg(λ) .

Sia orag(t) = f(t− h) con h > 0 .

Allorag(λ) = e−λhf(λ) .

Osservazione 126 Si noti che, essendo f(t) = 0 per t < 0, allora f(t−h) = 0per t < h. Questo fatto e essenziale per provare la formula precedente.

Sia inveceg(t) = f(at) con a > 0 .

Allora vale

g(λ) =1

af(λ/a) .

Le semplici dimostrazioni sono omesse.

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3.3. TRASFORMATA DI LAPLACE, DERIVATA ED INTEGRALE 127

Sia ora f(t) una funzione periodica su R, continua a tratti e limitata:

f(t + T ) = f(t) .

La restrizione di f(t) a t ≥ 0 ammette trasformata di Laplace, definita su<e λ > 0:

f(λ) =∫ +∞

0e−λtf(t) dt =

+∞∑

n=0

∫ (n+1)T

nTe−λtf(t) dt

=+∞∑

n=0

∫ T

0e−λ(nT+s)f(nT + s) dt =

+∞∑

n=0

∫ T

0e−λ(nT+s)f(s) ds

+∞∑

n=0

e−λnT[∫ T

0e−λsf(s) ds

]=

[∫ T

0e−λsf(s) dt

]· 1

1− e−λT.

L’ultima uguaglianza e ottenuta sommando la serie geometrica, grazie al fattoche |e−λT | < 1, perche <e λ > 0.

E’ invece un po’ piu delicato provare:

Teorema 127 Vale

d

dλf(λ) =

∫ +∞

0e−λt[−tf(t)] dt = L(−tf(t)) .

Omettiamo la dimostrazione notando che, invece di scambiare una derivata conun’integrale improprio, si arriva piu facilmente al risultato mediante la formulaintegrale di Cauchy per rappresentare la derivata di una funzione olomorfa, equindi scambiando l’ordine di integrazione.

3.3 Trasformata di Laplace, derivata ed inte-

grale

Le relazioni della trasformata di Laplace con l’integrale si vedono meglio intro-ducendo la convoluzione di due funzioni. La convoluzione, nel caso particolareche interessa per la trasformata di Laplace, e definita da

(f ∗ g)(t) =∫ +∞

−∞f(t− s)g(s) ds .

In questa parte a noi interessano funzioni nulle per argomenti negativi e quindi

(f ∗ g)(t) =∫ t

0f(t− s)g(s) ds .

Dato che le funzioni si assumono continue a tratti, l’esistenza dell’integrale eovvia. Inoltre,

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128 CAPITOLO 3. LA TRASFORMATA DI LAPLACE

Lemma 128 Se f e g sono a crescita esponenziale lo stesso vale per f ∗ g.

Dim. Sia r tale che

|f(t)| < Mert , |g(t)| < Mert ∀t > 0

Allora,|f(t− s)g(s)| ≤ M2ert

e quindi

0 ≤ limt→+∞ e−(r+1)t

∣∣∣∣∫ t

0f(t− s)g(s) ds

∣∣∣∣ = 0 .

In particolare, se g(t) ≡ 1 per t ≥ 0 (ed e nulla per t < 0), f ∗g e una primitivadi f . Dunque:

Corollario 129 Ogni primitiva di una funzione a crescita esponenziale e essastessa a crescita esponenziale.

Proviamo ora:

Teorema 130 Vale:L(f ∗ g)(λ) = f(λ)g(λ) .

Dim. Si deve calcolare l’integrale iterato∫ +∞

0e−λt

[∫ t

0f(t− s)g(s) ds

]dt .

Scambiando prima l’ordine di integrazione e poi facendo la trasformazione divariabile t− s = r nell’integrale piu interno si trova:

∫ +∞

0e−λt

[∫ t

0f(t− s)g(s) ds

]dt =

∫ +∞

0

[∫ +∞

se−λtf(t− s) dt

]g(s) ds

=∫ +∞

0

[∫ +∞

0e−λ(r+s)f(r) dr

]g(s) ds

=∫ +∞

0

[∫ +∞

0e−λrf(r) dr

]e−λsg(s) ds = f(λ)g(λ) .

In particolare:

Corollario 131 Sia h(t) = 1 per t ≥ 0, h(t) = 0 per t < 0. La suatrasformata di Laplace e

h(λ) =1

λe quindi

L(∫ t

0f(s) ds

)(λ) =

1

λf(λ) .

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3.3. TRASFORMATA DI LAPLACE, DERIVATA ED INTEGRALE 129

Dim. La prima affermazione discende da

∫ +∞

0e−λt dt =

1

λ

per ogni <e λ > 0 mentre la seconda discende dal teorema 130, notando che

∫ t

0f(s) ds =

∫ t

0h(t− s)f(s) ds .

La funzione h(t) introdotta nel lemma precedente si chiama funzione di

Heaviside .Vediamo infine le relazioni tra la trasformata di Laplace e la derivazione.

Supponiamo f(t) continua per t ≥ 0, derivabile per t > 0 (e nulla per t < 0).La derivata basta che sia continua a tratti e che esista con l’eccezione di unnumero finito di punti. Supponiamo che f ′(t) sia a crescita esponenziale cosıche anche f(t) lo e, si ricordi il Corollario 129. Allora:

Teorema 132 Se <e λ > αf , αf ′ vale

L(

d

dtf

)(λ) = λf(λ)− f(0) .

Dim. Integrando per parti

∫ T

0e−λtf ′(t) dt = e−λT f(T )− f(0) + λ

∫ T

0e−λtf(t) dt .

L’asserto segue passando al limite per T → +∞, ricordando che <e λ > αf .

Esempio 133 Si consideri l’equazione differenziale

x′ = ax + f .

Si puo provare che se f ha crescita esponenziale lo stesso vale per x; e quindi,calcolando la trasformata di Laplace dei due membri,

x(λ) =x0

(λ− a)−1+

1

(λ− a)−1f(λ) .

In modo analogo puo trattarsi per esempio un’equazione integrale del tipo

x(t) =∫ t

0k(t− s)x(s) ds + f(t) .

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130 CAPITOLO 3. LA TRASFORMATA DI LAPLACE

Se sia k che f hanno crescita esponenziale, lo stesso avviene per x e quindi

x(λ) =1

1− k(λ)f(λ) .

Si noti pero che l’uso formale di questo metodo puo condurre a perdere solu-zioni, come si vede studiando l’equazione

tx′′ + x′ + tx = 0 . (3.3)

La trasformata di Laplace di tf(t) e − ddλ

f(λ) e

L(f ′′)(λ) = λL(f ′)(λ)− f ′(0) = λ2f(λ)− λf(0)− f ′(0)

cosı che

L(tf ′′)(λ) = − d

λ2f(λ)− λf(0)− f ′(0)

= −2λf(λ)− λ2 d

dλf(λ) + f(0) .

Dunque, trasformando, si trova che se x risolve (3.3) e inoltre se la sua derivataseconda ammette trasformata di Laplace, allora vale

[−2λx(λ)− λ2 d

dλx(λ) + x(0)

]+ [λx(λ)− x(0)]− d

dλx(λ) = 0

e quindi x(λ) risolve

(1 + λ2)x(λ) + λx(λ) = 0 .

Quest’equazione si risolve facilmente per separazione di variabili e le soluzionisono le funzioni

x(λ) =c√

1 + λ2, c ∈ C .

Dunque, le funzioni x(t) trovate sono tutte multiple una dell’altra. Pero,l’equazione (3.3) e del secondo ordine e quindi deve avere una seconda famigliadi soluzioni, linearmente indipendenti da quella che abbiamo trovato. Questafamiglia di soluzioni non si trova mediante la trasformata di Laplace perchesi tratta di funzioni illimitate per t → 0+, e non integrabili, e quindi prive ditrasformata di Laplace.

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3.4. ALCUNE TRASFORMATE FONDAMENTALI 131

3.4 Alcune trasformate fondamentali

Le due tabelle seguenti mostrano le regole di calcolo che abbiamo gia incontratoe alcune trasformate “fondamentali” nel senso che si incontrano piu frequen-temente nelle applicazioni. Si intende che le funzioni sono nulle per t < 0 enella tabella seguente se ne indica la restrizione a t ≥ 0.

funzione trasformata

af(t) + bg(t) af(λ) + bg(λ)

f ′(t) f(λ)− f(0)

(f ∗ g)(t) f(λ)g(λ)∫ t0 f(s) ds 1

λf(λ)

f(t− h) con h > 0 e−λhf(λ)

f(at) con a > 0 1af(λ/a)

−tf(t) ddλ

f(λ)

f(t) = f(t + T )[∫ T

0 e−λsf(s) dt]· 1

1−e−λT

funzione trasformata

11

λ

tnn!

λn+1

eat 1

λ− a

tneat n!

(λ− a)n+1

sin ωtω

λ2 + ω2

cos ωtλ

λ2 + ω2

sinh ωtω

λ2 − ω2

cosh ωtλ

λ2 − ω2

La verifica delle formule precedenti e immediata: si calcolano direttamentele 1) e 3) e si usa la formula di trasformazione dell’integrale per la 2) e per la4). Le regole 5) e 6) si ottengono dalla 3) mediante le formule di Eulero.

3.5 Il problema dell’antitrasformata

Notiamo che piu funzioni possono avere la medesima trasformata. Se peroimponiamo alle funzioni continue a tratti ed a crescita esponenziale di esserecontinue da sinistra (oppure da destra) allora la corrispondenza tra funzioni etrasformate e 1–1. Cio nonostante, il problema di caratterizzare quelle funzioniolomorfe che sono trasformate di Laplace e molto difficile e in realta trovauna soluzione accettabile aumentando lo spazio di “oggetti” per i quali puocalcolarsi la trasformata fino ad introdurre la trasformata di “distribuzioni”,come vedremo per la “trasformata di Fourier”.

Qui limitiamoci a dire che esiste una formula che talvolta permette dicalcolare l’antitrasformata di Laplace . Sia F (λ) una funzione olomorfa in un

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132 CAPITOLO 3. LA TRASFORMATA DI LAPLACE

semipiano <e λ > α e sia c > α. Consideriamo la funzione

f(t) =1

2πi

∫ c+i∞

c−i∞e+λtF (λ) dλ

(ossia, si intende di calcolare l’integrale sulla retta <e λ = c). Se |F (λ)| < M|λ|1+ε

con ε > 0, allora l’integrale converge e la trasformata di Laplace di f(t) eproprio F (λ). Pero, la condizione sul comportamento di F (λ) per |λ| →+∞ lungo una retta verticale e molto restrittiva e il calcolo dell’integrale e ingenerale macchinoso. Quindi per il calcolo dell’antitrasformata di Laplace siricorre all’uso delle tavole di trasformate, combinato con le regole di calcoloche abbiamo visto. C’e pero un caso importantissimo per le applicazioni, chee necessario conoscere, ed e il caso in cui F (λ) e una funzione razionale.

3.5.1 Antitrasformata di funzioni razionali

Sia F (λ) = n(λ)d(λ)

una funzione razionale, ossia il quoziente di due polinomi. Seessa deve essere una trasformata di Laplace, il grado del denominatore deveessere strettamente maggiore di quello del numeratore; in tal caso la funzionerazionale si chiama strettamente propria . Questa ovvia condizione necessariae anche sufficiente:

Teorema 134 Una funzione razionale e una trasformata di Laplace se e solose e strettamente propria.

Dim. Infatti, ogni funzione razionale strettamente propria si rappresenta come

n(λ)

d(λ)=

n∑

i=1

pi∑

j=1

Ai,j

(λ− λi)j

.

La tavola delle trasformate che abbiamo visto al par. 3.4 mostra che ciascunaddendo e una trasformata di Laplace.

In particolare, l’antitrasformata di Laplace delle funzioni razionali strettamenteproprie e combinazione lineare di polinomi, esponenziali e funzioni seno e cosenoe loro prodotti.

Un caso particolarmente importante e il caso in cui la funzione razionaleha solamente poli semplici. In questo caso

n(λ)

d(λ)=

n∑

i=1

Ai

(λ− λi)

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3.5. IL PROBLEMA DELL’ANTITRASFORMATA 133

ove n e il grado del denominatore ed Ai e il residuo del polo semplice λi. Nelcaso in cui n(λ) e d(λ) non hanno zeri comuni,

Ai =n(λi)

d′(λi)

e quindi l’antitrasformata e

n∑

i=1

n(λi)

d′(λi)eλit .