Egidio R. Duni-Duny

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3 4 5 Pierfranco Moliterni 6 Nella seconda metà del 700 nasce l’Opéra-Comique un genere nuovo in cui si susseguono e si alternano se- zioni recitate, canzoni e arie. Non a caso è proprio un italiano, Egidio Duni, che caratterizza i primi anni del nuovo corso dell’Opéra-Co- mique; e mentre va a compiere una sintesi fra lo stile napoletano e quello francese, conserva quella freschez- za, quell’equilibrio dinamico-melodico per le inflessioni 7 1 P. Artuso, ivi, pp. 9-10. Firma autografa di Duni 8 2

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PREFAZIONE

Quando la carriera di uno studente universitario termina felicemente con l’atto finale della pubblica di-scussione della propria tesi di laurea, in quel preciso momento si va a chiudere un cerchio che si era aper-to quando, molti anni addietro, quello stesso studente aveva timidamente varcato la soglia di un’aula di una scuola elementare. Al dunque, molti sono i volti, molte le emozioni, molte le sensazioni, molte le acquisizioni indotte dal piccolo-grande patrimonio dottrinale che egli si porta dentro e che egli ha costruito, paziente-mente e caparbiamente, lungo un itinerario conoscitivo partito dalla infantile sillabazione che ora termina nel-la matura compilazione d’un saggio critico.

Il docente universitario che celebra con la “bandie-ra” dottorale un traguardo di vita così importante, non fa altro che registrare (appunto, come una sorta di giu-dice di gara) una competizione che era cominciata in altro luogo e in altro contesto: sta adesso all’atleta-in-tellettuale affacciarsi alla ben più ardua competizione della vita che, puntalmente, gli chiederà di mettere sul tavolo del lavoro professionale le conoscenze e i saperi che nel tempo sedimentati nella sua intelligenza e nel-la sua conoscenza.

Il prodotto finale di questa “lunga marcia”, s’è detto, è una tesi di laurea che spesso affonda le sue radici nel-le predisposizioni mentali del suo attore. Predisposizio-ni e interessi che fatalmente allignano nel vissuto di ciascuno di noi, nel proprio habitat socio-cultuale, nel

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proprio piccolo “villaggio globale”. Come è il caso di una tesi di laurea che diventa saggio critico degno d’essere dato alle stampe, e proprio in virtù del profondo legame “antropologico” con il retroterra che lo ha ispirato gui-dandone esiti e risultati di ricerca.

La nobile terra lucana e la città di Matera stanno sullo sfondo di questo lavoro, e per loro tramite paral-lela alla storia personale, avventurosa ed esemplare quant’altre mai di Egidio Romualdo Duni, il musicista settecentesco figlio d’un oscuro maestro di cappella del-la sua città natale, ma ben presto diventato figlio del proprio tempo: figlio dell’Europa moderna e musicale del XVIII secolo e pertanto cittadino del mondo. Tra Napoli, Bari, Milano, Londra, Leyden, Firenze, Parma e infine Parigi, la parabola esistenziale e artistica di Duni si consuma in un intreccio sempre affascinante e emozionante di esperienze umane e musicali che gli fecero onore e che grazie a lui continuano a far onore ad una regione spesso negletta nei riconoscimenti della grande Storia della civiltà musicale dell’età dei Lumi.

A guardar bene, la svolta della vita del compositore Duni si consuma in due città italiane, Bari e Parma, simbolo di un destino che lo sceglie quand’anche esso parla la lingua di una sconfitta, di un insuccesso. Come è noto, a Bari, tra il 1743 e il 1746, Duni viene chiama-to a dirigere la piccola cappella musicale della basilica nicolaiana. Lì egli conosce la nutrita famigliola dei “Pi-cinno” con in testa il padre-violinista Onofrio; e tra tan-ti discepoli il materano s’imbatte nel piccolo Niccolò, il futuro protagonista francese della Querelle Célèbre, il rivale di Gluck. Ma nello stesso tempo egli ha modo di frequentare Gaetano Latilla il cui illustre nome già cir-

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cola da tempo tra Venezia, Milano e Parma. Probabil-mente, sarà proprio quest’ultimo a presentare il sodale materano all’avvocato Goldoni che era alle prese con la riforma teatrale esplicitata nella pièce di Pamela-Cecchina-Buona Figliola. Singolarmente, nel 1750, la intonazione parmense a cotanto libretto è un clamoroso “fiasco” teatrale, mentre di lì a dieci anni esatti la se-conda edizione di Cecchina del barese Piccinni trionfe-rà a Roma, al teatro Delle Dame: l’allievo Niccolò supe-rerà il maestro perchè saprà cogliere meglio gli aspetti larmoyantes che costituiranno la fortuna di un’opera e di un genere.

Ma da tale caduta, Duni saprà risorgere perchè proprio la corte “infranciosata” dell’infante don Filippo Borbone gli offrirà l’occasione della sua vita: mettere in musica, ma inventando un genere vero e proprio (opéra comique), le tenui e felici storie di Favart. Nel 1761 l’Egidio materano, a Parigi, è già chiamato a dirigere

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la Còmedie Italienne: armato, stimato, rispettato, per-sino vezzeggiato dagli enciclopedisti con in testa Denis Diderot. Diventerà d’ora in poi, per tutti, “père Duny”.

Dunque, di tutto questo e di altro ancora si occupa questo saggio che vuole ricostruire la vita e le fortune di un musicista che rappresenta, forse, qualcosa di più e di meglio d’un semplice e fortunato autore di bella musica. Il lavoro di documentazione e di ricerca messo in campo dal suo autore, gli fornisce la necessaria base di partenza per abbozzare ipotesi di studio e spunti per eventuali, future ricerche e approfondimenti. Spetterà alla competenza messa in atto fare il resto.

Per intanto, Duni-Duny oggi, al tempo presente, prenderà a viaggiare vestendo i panni di scena appron-tati dal conterraneo Leonardo Plasmati.

Pierfranco Moliterni

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INTRODUZIONE

“Amabile Duni”, “Papà Duni”… in tale guisa chia-mavano i francesi il compositore materano Egidio Ro-mualdo Duni, che meritò considerevole rispetto e osse-quiosi consensi grazie al suo savoir fair, grazie alla sua bonomia e alla sua arguzia, necessarie doti per soprav-vivere in quella “fossa di leoni” della musica, e dell’arte in genere, che era la Francia musicale del tempo.

Dal momento del suo trasferimento a Parigi nel 1757,

la singolare avventura artistica di Monsieur Duny diviene appannaggio esclusivo dei philosophes, del pubblico e della corte francese; in Italia, d’altro can-to, cade ben presto nell’oblio l’opera del Compositore meridionale1.

Nella seconda metà del 700 nasce l’Opéra-Comique un genere nuovo in cui si susseguono e si alternano se-zioni recitate, canzoni e arie.

Non a caso è proprio un italiano, Egidio Duni, che caratterizza i primi anni del nuovo corso dell’Opéra-Co-mique; e mentre va a compiere una sintesi fra lo stile napoletano e quello francese, conserva quella freschez-za, quell’equilibrio dinamico-melodico per le inflessioni

1 P. Artuso, Monsieur Egidio Romualdo Duni tra scuola napo-letana e opéra-comique, Roma, 1996, p. 9.

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della parola tipiche dello stile italiano. Duni si trovò d’un tratto

catapultato in un importante crocevia di querelles e tradizioni nel quale si scrutavano da sempre l’Italia e la Francia, giungendo talora a integrazioni, talora a campanilistiche affermazioni riguardo due modi di-stinti di concepire il rapporto tra parola e musica, tra melodia e armonia, tra ragioni del teatro e quelle del canto2.

Firma autografa di Duni

2 P. Artuso, ivi, pp. 9-10.

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PARMA E DUNI

L’eco dei suoi successi genovesi di Ipermestra e di Ciro Riconosciuto raggiunse molti centri italiani. Così racconta il Gattini:

Della sua musica piaceva il fatto che, in cambio dei tamburi, delle grancasse, e della musica rumorosa, tormento eterno degli orecchi, seguiva la naturalezza degli antichi greci1.

[È naturale che] un uomo che tanto prometteva non poteva certo rimanere lungamente rincantucciato in provincia2.

Il musicista, proveniente dal piccolo centro della Basilicata, Matera, cominciò una nuova esperienza di vita e musicale, forse la più importante, giungendo a Parma nel 1749. Egli venne catapultato nella fervida attività artistica e culturale parmense per volere di Filippo di Borbone, figlio di Filippo V e di Elisabetta Farnese e fratello del re Carlo III di Borbone, che lo assunse al suo servizio in qualità di precettore di sua figlia Isabella oltre che come Maestro di Cappella.

Parma viene considerata dalla coralità degli stori-ci l’anticamera di Parigi, un preludio di una esistenza

1 G. Gattini, Memorie dei compositori di Musica del Regno di Napoli, Napoli, 1840, p. 454.

2 G. Gattini, ivi, p. 455.

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diversa, fatta di agiatezza economica di appartenenza a correnti culturali che contano nei milieux parigini. Alla corte di Don Filipppo, Duni godette e usufruì delle simpatie di F. G. Du Tillot, suo ministro nonché soprin-tendente del teatro parmense.

Parma, nel quadro di una radicata tendenza france-sizzante dovuta alla parentela che univa i Borbone con i reali di Francia, dava in quel tempo inizio ad un lungo momento di splendore artistico e culturale, partecipan-do alla polemica sul futuro dell’opera seria italiana.

Furono interessati al dibattito eminenti personalità della cultura italiana, tra cui Algarotti, Ranieri de’ Cal-zabigi, Coltellini i quali affrontarono il problema del degrado dell’opera seria:

dovuto alla preminenza accordata al virtuosismo canoro e ai gusti del pubblico a scapito della coerenza scenica e drammaturgica. Un tale movimento di idee subì certamente l’influenza di tendenze riformistiche di più vasta portata, di matrice illuministica, volte alla ricerca di un riassetto dell’opera in musica3.

Il sovrintendente Du Tillot si inseriva in questo tessuto riformistico mirante a modificare la struttura dell’opera italiana col ricorrere all’introduzione di alcu-ni elementi propri della tragédie-lyrique, ossia danze, cori e declamati melodici francesi.

Suo modello rimane Rousseau, del quale fa rappre-sentare diverse tragédie-lyrique tra il 1757-58. Duni

3 P. Artuso, op. cit., pp.21-24.

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guarda al panorama teatrale e musicale parmense e nota la convivenza della tragédie-lyrique con il dram-ma metastasiano; e mentre diverse compagnie teatrali francesi portano in scena Racine, Corbeille e Voltaire, a Parma fanno il loro ingresso gli innovativi libretti di Carlo Goldoni, che danno nuova verve all’opera buffa.

Duni si appresta a sperimentare il nuovo genere musicale escludendo dalla sua attività operistica l’ope-ra seria, genere che lo aveva impegnato fino a quel mo-mento. I suoi primi tentativi però non furono fortunati. Incaricato dallo stesso Du Tillot, egli musicò la Buona Figliola, facendola rappresentare nel 1756.

“È nota la contrarietà dello stesso Goldoni per l’esi-to scarso dell’Opera, esito che sarebbe stato maggiore se per l’esecuzione si fossero utilizzati buoni e non pas-sionali attori”4.

Come è noto, fu Niccolò Piccinni a rendere veramen-te celebre il libretto goldoniano nel 1760. Invece due librettisti d’oltralpe, Louis Anseaume e Charles-Simon Favart, rilanciarono il talento compositivo del nostro Duni, affievolito dopo i fallimentari tentativi parmensi. Favart era il protagonista del teatro musicale francese; e Duni decise di attingere all’opera del commediografo francese accettando una tradizione totalmente diversa dall’italiana.

Attraverso La Chercheuse d’esprit e Ninette à la cour, libretto dello stesso Favart, Duni si immerge nell’universo della comédie-vaudeville. Esplora anche

4 E. Contillo, op. cit., p. 48.

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il mondo della parodia, del pasticcio, in cui Favart è un protagonista indiscusso grazie a quella poliedricità che lo porta ad essere commediografo, librettista, composi-tore e direttore teatrale.

La Chercheuse d’esprit fa parte di una serie di pie-ces en vaudeville scritte tra il 1732 e il 1751. Tali pieces si costruivano su una tipica mistione di parti cantate, parlate e danzate. Il ruolo del compositore è ancora in parte marginale; si limita ai soli divertissement e all’orchestrazione dei vaudeville (motivi popolari), “at-tori principali” di questa commedia musicale da cui vie-ne fuori lo spirito burlesco, triviale e satirico del popolo francese. Ninette à la cour, sarebbe una parodia di Ber-toldo Bertoldino e Cacasenno, un intermezzo italiano di V. Ciampi su testo di Goldoni.

L’opera di Favart ebbe due successive versioni: l’una del 1755 in tre atti, rappresentata a Parigi, l’altra in due atti, rappresentata nel 1756.

Parlando di parodia non si deve alludere ad un ri-ferimento caricaturale offensivo o burlesco, bensì “ad una semplice manipolazione testuale di arie piuttosto note, tratte da una o più opere diverse di cui, si deve supporre, la musica rimaneva pressoché immutata”5.

Alla luce di quanto detto, è chiaro che i ruoli del li-brettista e del compositore spesso erano complementa-ri, visto che Favart interveniva sulle partiture del mu-sicista. In qualunque modo siano andate le cose, Duni sembrò attratto dalle opere di Favart e di Anseaume, tanto che poco tempo dopo richiederà a Jean Monnet,

5 P. Artuso, op. cit., p. 26.

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direttore dell’Opèra-Comique, un altro testo da musi-care: Le Peintre amoureux de son modèle.

Questi partì alla volta di Parigi per far rappresen-tare l’opera. Incerto su come i parigini avrebbero accol-to il testo francese musicato da un italiano, lo presentò come un “arrangiamento” francese di un’opera buffa italiana. Il successo fu clamoroso e confermò la vocazio-ne artistica di Duni in questo particolare “sottogenere”. Il compositore materano decise allora di trasferirsi a Parigi dove vi giunse nel 1757.

Il 26 Luglio del 1757 viene rappresentato il suo pri-mo opéra-comique, Le Peintre amoureux de son modèle, al teatro della Foire St. Laurent; esso viene considerato un capolavoro tanto nell’ambito della sua produzione ar-tistica, quanto in quello della storia dell’opéra-comique.

Fino al 1770 Duni fu impegnato, insieme al suo amico Favart, a scoprire le potenzialità del nuovo ge-nere, cercando di evidenziare nella loro arte “una vena comica, leggera, naïve, all’interno di un contesto in cui la musica non è sovrana, ma trova le sue ragioni d’esistere, oltre che in se stessa, nel teatro e nella let-teratura.

Un inspiegabile senso del teatro porta la sua musi-ca verso una quasi totale identificazione con l’universo poetico di Favart, di Sedaine è di Anseaume e con quel-li che saranno i quadri d’ambiente, le paysanneries, tutto un mondo animato da figurine leggiadre, gentili, prive di spessore e profondità, ma non per questo meno charmants”6.

6 P. Artuso, ivi, pp. 26-27.

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Egli continuò a tenere rapporti cordiali e amiche-voli con la corte di Parma, inviando spesso a Du Tillot molte sue composizioni. Inoltre continuò a godere di una pensione, fino alla morte, in qualità di ex precetto-re di Isabella.