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SOMMARIO Editoriale 1/Contratto e Rsu aprono una stagione nuova Lo scrigno 2/ Notizie in breve A CURA DI LOREDANA FASCIOLO Mercurio 3/ Costituzione e cittadinanza: materia obbligatoria? ERMANNO DETTI Attualità 4/Tra rischi e certezze verso il nuovo contratto Aperta la trattativa del comparto Istruzione e Ricerca I NrERVISTA A FRANCESCO S tNOPOU DI ANNA MARIA VILLAR/ 8/La rivincita della democrazia Le prime Rsu del comparto "Istruzione e ricerca" GIUSTO ScoZZARO Sistemi 10/Tanto rumore per nulla Considerazioni sulla valutazione dei docenti PAOLO CARDONI 15/ La responsabilità di una scelta difficile L: università e i suoi concorsi FABIO MATARAZZO 18/Rilanciare l'associazionismo professionale l trent'anni di Proteo Fare Sapere SERGIO SoRELLA Strategie didattiche 20/La biblioteca zoppa Lettura e lett ori a scuola PAOLA PARLATO 23/Dalle regole alle Costituzioni L: insegnamento di Cittadinanza e Costituzione FRANCESCO M ELENDfZ 26/Tra storia e narrazioni Corso di formazione e autoformazione FRANCO QuERCIOU, PATRJZJA S<U.VADORI, GIOVANNA ScoPffANI 31/Quando una lingua ti apre gli occhi La comunicazione attraverso i segni LAURA MANTOVAN "' Oltollro • DJcombN 20J7 RIVOLUZlONE_! RIVOLUZI0NEI Pedagogie NUOVJ ARGOMENTI 33/l'i struzione subordinata al profitto Globalizzazione !iberista e crisi della cultura pedagogica E DOARDO PuGuELU 37/ La carica sovversiva del lavoro docente Critica dell'educazione competitiva e prassi libertaria IGOR PIOTTO Incontri 42./Attrazione pericolosa Donne e scienza ANNA 0UVERIO FERRARIS 45/Maria Bakunin/ (1873-1960) Tempi moderni 47/Miti e realtà della rivoluzione russa Riflessioni sull'ottobre 1917 DAVI D BALDINI 54 / Coscienza critica tedesca l protagonisti/ 100 anni fa nasceva Heinrich Boli AMADIGI DI GAU LA 56/Giuseppe Di Vittorio racconta La specola e il tempo/ Le leggi razziali fa sciste del1938 A CURA DI ORIOLO 58/Caporetto e la rivoluzione dello sport italiano l militari e la prestanza fisica DARIO R ICCI 60/La fine dell'intellettuale impegnato Teoria e prassi del disamore poli tico MASSIMO M ARI Studi e ricerche 63/Gii italiani leggono poco ISTAT/ La lettura in Italia DANIELA Pt ETRIPAOU Funzione educativa dell'arte 65/Affinità di visione e di poetica I NTERVISTA A SERGIO ANGEU E CORRADO DELF INI DI MARCO FtORAMANT I Teatro 69/La prospettiva della colpa Al nuovo Teatro Orione di Roma il De Profundis di Wilde M ARCO Ft ORAMANTI Cinema 70/Firenze parle français France Odeon 2017 VtNCENZA FANIZZA 71/Te absolvo Un film di carlo Senso, con Toni Garrani e Igor Mattei M ARTHA PAJNE 71 / Lievito madre Un docufi lm sulle ragazze del secolo scorso VINCENZA F,t..'JZZA Recens i on i 72/ Scbede A Cl.& D Gf.Rrw4 Articolo 33 mensile promosso dalla FLC Cgìl anno IX n. l 1- 1212017. AutorittazK>ne de!Tribu..ale d Rorm .&Sa :d i :. - 5a>oCa cooo. :a r..o - vio leopoldo Serra, 31/37 - 00 l 53 Roma -Te l. 06.5813173 • Fax 06.58 131 18 www.edizioniconoscenzo.rt .&.:>00< CD .5CclX =e- t .:scnm R. C CGit euro 35,00 - PREZZO UNI· TARÌO PER una copìa euro 10,00 - Versamento su dcp n. 63611008 - ntesa:o :a •"'-'cre Sad:: CDCP- :a.a:r.. responsabile: Ermanno Detti 0/r ez/on e: R enato Comanducci. Gennaro l opez.Anna Maria Vilbri Comit:an> sOemifiCix kiet:=. 5r.:ae:: Hxx:esco Cormi no. Massimiliano Fiorucci, Giuliano Franceschini, Caterina Gammaldi, Dario ""<>rem. =-..:.: '-=-.. Sonia.. S..:S.. Guodo Zaccagnini. Giovanna Zunino - In redozl one : David 831dinì. Paolo loredana Fasc:iolc>. ""anx> f>ono=.. Fax: f..eoyot:r_ .ia:P'"'& .._, l't:= f'cr.-=_..,_ Stompo;Tipolitografìa CSR, via di Pietralaca. l 57 • R oma - Hanno collaborato o quest.o numei'O' A ""'""'C' :.. a::ocec:::a :.:.a:r:r. &- "a!loo Francesco Melendez. Anna O live rio Ferraris, Oriolo. Paola Parino. Oal>-da p- .;.=.;. ?x:-=a Soioodcr. Gi::-=a Scooea::... G.Jsto Scozzaro. Sergìo Sorella

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SOMMARIO

Editoriale 1/Contratto e Rsu aprono una stagione nuova

Lo scrigno 2/ Notizie in breve A CURA DI LOREDANA FASCIOLO

Mercurio 3/ Costituzione e cittadinanza: materia obbligatoria? ERMANNO DETTI

Attualità 4/Tra rischi e certezze verso il nuovo contratto Aperta la trattativa del comparto Istruzione e Ricerca INrERVISTA A FRANCESCO S tNOPOU DI ANNA MARIA VILLAR/

8/La rivincita della democrazia Le prime Rsu del comparto " Istruzione e ricerca" GIUSTO ScoZZARO

Sistemi 10/Tanto rumore per nulla Considerazioni sulla valutazione dei docenti PAOLO CARDONI

15/ La responsabilità di una scelta difficile L: università e i suoi concorsi FABIO MATARAZZO

18/Rilanciare l'associazionismo professionale l t rent'anni di Proteo Fare Sapere SERGIO SoRELLA

Strategie didattiche 20/La biblioteca zoppa Lettura e lettori a scuola PAOLA PARLATO

23/Dalle regole alle Costituzioni L: insegnamento di Cittadinanza e Costituzione FRANCESCO M ELENDfZ

26/Tra storia e narrazioni Corso di formazione e autoformazione FRANCO QuERCIOU, PATRJZJA S<U.VADORI, GIOVANNA ScoPffANI

31/Quando una lingua ti apre gli occhi La comunicazione attraverso i segni LAURA MANTOVAN

"' Oltollro • DJcombN 20J7

RIVOLUZlONE_! RIVOLUZI0NEI

Pedagogie

NUOVJ ARGOMENTI

33/l'istruzione subordinata al profitto Globalizzazione !iberista e crisi della cultura pedagogica EDOARDO PuGuELU

37/ La carica sovversiva del lavoro docente Critica dell'educazione competitiva e prassi libertaria IGOR PIOTTO

Incontri 42./Attrazione pericolosa Donne e scienza ANNA 0UVERIO FERRARIS

45/Maria Bakunin/ ( 1873-1960)

Tempi moderni 47/Miti e realtà della rivoluzione russa Riflessioni sull'ottobre 1917 DAVID BALDINI

54/ Coscienza critica tedesca l protagonisti/ 100 anni fa nasceva Heinrich Boli AMADIGI DI GAULA

56/Giuseppe Di Vittorio racconta La specola e il tempo/ Le leggi razziali fasciste del1938 A CURA DI ORIOLO

58/Caporetto e la rivoluzione dello sport italiano l militari e la prestanza fisica DARIO RICCI

60/La fine dell'intellettuale impegnato Teoria e prassi del disamore politico MASSIMO M ARI

Studi e ricerche 63/Gii italiani leggono poco ISTAT/ La lettura in Italia DANIELA PtETRIPAOU

Funzione educativa dell'arte 65/Affinità di visione e di poetica INTERVISTA A SERGIO ANGEU E CORRADO DELFINI

DI MARCO FtORAMANTI

Teatro 69/La prospettiva della colpa Al nuovo Teatro Orione di Roma il De Profundis di Wilde M ARCO FtORAMANTI

Cinema 70/Firenze parle français France Odeon 2017 VtNCENZA FANIZZA

71/Te absolvo Un film di carlo Senso, con Toni Garrani e Igor Mattei M ARTHA PAJNE

71/ Lievito madre Un docufilm sulle ragazze del secolo scorso VINCENZA F,t..'JZZA

Recensioni 72/ Scbede A Cl.& D A~ Gf.Rrw4

Articolo 33 mensile promosso dalla FLC Cgìl anno IX n. l 1- 1212017. AutorittazK>ne de!Tribu..ale d Rorm .&Sa :d i :. ~ -~ 5a>oCa cooo. :a r..o - vio leopoldo Serra, 31/37 - 00 l 53 Roma -Te l. 06.5813173 • Fax 06.58131 18 • www.edizioniconoscenzo.rt • redozione@~u: - .&.:>00< CD ~ ~ .5CclX • =e- t .:scnm R. C CGit euro 35,00 - PREZZO UNI·

TARÌO PER una copìa euro 10,00 - Versamento su dcp n. 63611008 - ntesa:o :a •"'-'cre Sad:: CDCP- ~d. ~ ~ :a.a:r.. Ot~o~ responsabile: Ermanno Detti 0/rez/one: Renato Comanducci. Gennaro l opez.Anna Maria Vilbri Comit:an> sOemifiCix ~ kiet:=. ~ 5r.:ae:: ~ ~- Hxx:esco Cormi no. Massimiliano Fiorucci, Giuliano Franceschini, Caterina Gammaldi, Dario M~ Giov3n~Y ""<>rem. ~ ~"!re ~~ =-..:.: '-=-.. ~ Sonia.. ~ S..:S.. Guodo Zaccagnini. Giovanna Zunino -In redozlone: David 831dinì. Paolo Cardon~ loredana Fasc:iolc>. ""anx> f>ono=.. Fax: ~ f..eoyot:r_ .ia:P'"'& .._, ~w l't:= f'cr.-=_..,_ Stompo;Tipolitografìa CSR, via di Pietralaca. l 57 • Roma - Hanno collaborato o quest.o numei'O' A ""'""'C' :.. ~ a::ocec:::a ~S.:..:.~ :.:.a:r:r. ~ ~ &- "a!loo ~o. Francesco Melendez. Anna O live rio Ferraris, Oriolo. Paola Parino. Oal>-da ~ p- "'cc:..~ =-~ ~ ~ ~ .;.=.;. ?x:-=a Soioodcr. Gi::-=a Scooea::... G.Jsto Scozzaro. Sergìo Sorella

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ATTUALITÀAPERTA LA TRATTATIVA NEL COMPARTO ISTRUZIONE E RICERCA

Dopo un’attesa lunga 9 an-ni la stagione del rinnovodei contratti nei settoridella conoscenza si è uffi-cialmente aperta il 9 no-

vembre scorso con il primo incontrotra i sindacati e l’Aran. L’inizio del ne-goziato avviene dopo che il ministeroper la funzione pubblica, il 19 ottobre,ha emanato l’atteso atto di indirizzoche permette all’Aran di svolgere lasua funzione negoziale.

proposta sindacale, primo fra tutti il ri-lancio della contrattazione su materieche le erano state sottratte. Sei soddi-sfatto di questo primo incontro?

“Il primo incontro è stato, come ènormale, interlocutorio. Difficile capirefin da subito se sui nodi complicati diquesto contratto ci sarà effettiva di-sponibilità. Intanto il sindacato haespresso e reso noti i propri obiettivi, ilprimo dei quali è riconquistare lo spa-zio negoziale che negli anni è statotolto da innumerevoli interventi norma-tivi, a cominciare dal DLGS 150/2009,la cosiddetta Legge Brunetta, fino allalegge 107/2015, la cosiddetta “buonascuola”. In particolare, il contratto do-vrà modificare istituti importanti pro-prio di quest’ultima legge, dal bonusdocenti alla chiamata per competenza,tanto per fare qualche esempio. Lavo-reremo per ricostruire le condizioni dicollegialità e autogoverno che sono iltratto distintivo di tutti i settori della co-noscenza, non solo della scuola. Sonoistituzioni a cui è riconosciuta autono-mia e libertà – e non potrebbe esserediversamente – di insegnamento e diricerca. Gli spazi ampi che, secondonoi, dovranno essere affidati alla con-trattazione decentrata potranno con-sentire di mettere in pratica ancheinterventi riformatori che sono rimastisulla carta, penso all’AFAM e alla ri-forma del 1999 (la legge 508) mai ap-plicata in 18 anni o al più recente DLGS218 del 2016 che invita gli enti di ri-cerca a recepire la Carta europea deiricercatori… C’è un grosso lavoro dafare sul campo, in tutti i settori anche

Una trattativa densa tra aspettative alte, risorse scar-se, problemi complessi da affrontare. Per il sindacatol’occasione di riaccreditarsi nel ruolo negoziale e dirappresentante del mondo del lavoro. Le incertezzedella stagione politica e le votazioni per le RSU

TRA RISCHI E CERTEZZEVERSO IL NUOVO CONTRATTOIntervista a Francesco Sinopoli di ANNA MARIA VILLARI

È passato un anno da quel “mitico”30 settembre, quando i sindacati e ilgoverno firmavano un accordo che to-glieva il blocco alla contrattazione nelpubblico impiego. Ora si apre unastagione difficile, sulla quale abbiamoragionato con il segretario generaledella FLC CGIL, Francesco Sinopoli.

Finalmente di riparla di contrattoL’atto di indirizzo, a una prima lettura,sembra che colga diversi aspetti della

4www.edizioniconoscenza.it ARTICOLO 33

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5 www.edizioniconoscenza.itN.11-12 2017

APERTA LA TRATTATIVA NEL COMPARTO ISTRUZIONE E RICERCAATTUALITÀ

settore sarà trascurato, tutte le profes-sionalità saranno analizzate e valoriz-zate. Naturalmente faremo uno sforzoper trovare punti di convergenza tra isindacati che ci consentiranno di con-durre più speditamente la trattativa.

Data la complessità delle materie sultavolo, forse non sarà sufficiente unsolo contratto …

Direi che non sarà sufficiente ununico contratto per recuperare 10 annidi vuoto contrattuale. In questi 10 anninei nostri settori l’organizzazione dellavoro è cambiata e vi è stata una per-dita di potere di acquisto che non po-trà essere sanata solo con questorinnovo. Crediamo, però, che questasia l’occasione per porre le basi per ri-costruire una dimensione negoziale mi-nata dall’asimmetria di potere che si èdeterminata in questi anni con l’au-mento insostenibile dell’unilateralitàdel governo come datore di lavoro pub-blico su scelte nei confronti di istitu-zioni che, per loro natura, l’abbiamodetto, si caratterizzano per autogo-verno e partecipazione. Su questabase vanno aperte possibilità di svi-luppo professionale per il personale,

anche alla luce dei cambiamenti nel-l’organizzazione del lavoro.

Al tavolo negoziale peserà anche lagrande questione salariale, che certoriguarda tutto il mondo del lavoro in Ita-lia dopo 25 anni di depressione delleretribuzioni, e che ha investito tutto ilpubblico. Senza entrare in questa sedenel merito delle scelte di politica eco-nomica, di esigenze di risparmio sullaspesa pubblica, o delle scelte dell’im-prenditoria italiana di competere suibassi salari, oggi si tratta, per il sinda-cato, di riprendersi il ruolo di autoritàsalariale, perché il valore del lavoropassa anche dal suo riconoscimentoeconomico. Dico subito che l’avvio diuna nuova politica salaria non si esau-rirà in questo rinnovo. Le risorse chesono alla base dell’accordo del 30 no-vembre dello scorso anno, che, ricor-diamolo, ha consentito che in Italia siritornasse a parlare di contrattazionecollettiva, sono limitate. Ma aggiungoche non ci troviamo in una situazioneordinaria. Siamo arrivati all’accordo del30 novembre e adesso all’aperturadelle trattative per il contratto dopoanni di lotte e mobilitazioni e sappiamobenissimo che dobbiamo fare i conticon l’ostilità di una parte della politica

sugli ordinamenti e sulla governance,ridando fiato e competenze alle partisociali e agli organi collegiali e di auto-governo.

Questa tornata contrattuale presentauna novità assoluta. Il primo contrattodi comparto e poi una serie di “areespeciali”. La FLC è già pronta da al-meno un decennio a lavorare con spi-rito di “filiera” nei settori dellaconoscenza. Ma certo si tratterà di unaprova impegnativa, visto che moltesono le specificità dei diversi settori, al-cune difficilmente omologabili. I sinda-cati confederali hanno già stilato dellelinee guida unitarie. Questo è un buoninizio. Ma quali pensi saranno le mag-giori difficoltà? È già emerso qualcosadal primo incontro?

La CGIL per prima ha costituito unafederazione che rappresenta tutta la“filiera” della conoscenza, la FLC, equesto è, per noi, indubbiamente unvantaggio. Ma comporta anche unamaggiore responsabilità. Abbiamo di-feso con convinzione le specificità con-trattuali dei diversi settori. Ci sarà nelnuovo contratto di comparto una partecomune, ma non accetteremo forza-ture per omologare istituti non omolo-gabili. Intendiamo valorizzare solo itratti effettivamente comuni, che sonoquelli cui accennavo prima, dell’auto-nomia, della libertà e dell’autogoverno.Questi elementi fanno dell’Istruzione eRicerca un comparto molto speciale. Isingoli settori avranno aree molto spe-cifiche e, come abbiamo chiaramentedetto all’Aran, questo comparto avràdelle vere e proprie sezioni contrat-tuali. Abbiamo presentato delle lineecontrattuali unitarie per la scuola. Pergli altri settori è in corso una discus-sione con le altre organizzazioni sinda-cali, su cui non vedo particolari punti dicontrasto. Vorrei anche tranquilizzaretutti che nella trattativa non vi sarà unpredominio della scuola, che è l’areanumericamente più pesante. Nessun

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6www.edizioniconoscenza.it ARTICOLO 33

ATTUALITÀ

APERTA LA TRATTATIVA NEL COMPARTO ISTRUZIONE E RICERCA

mantenuti e in parte recuperati. Nonsiamo disponibili a rimetterli in discus-sione. C’è semmai il problema di rico-noscere anche negli altri settori delcomparto l’esperienza come dato pro-fessionale. L’assenza di questo mecca-nismo – l’esperienza e l’anzianitàcome elemento di riconoscimento pro-fessionale –, eliminato da oltre 30anni, per incrementare il salario ha fi-nito per piegare istituti contrattuali natiper altri fini all’obiettivo della valoriz-zazione professionale. Penso che que-sto contratto dovrà finalmente sanarela situazione, ripristinando laddove nonci sono gli scatti di anzianità, assiemealla creazione di meccanismi di ricono-scimento della professionalità e dellaproduttività collettiva anche in base adaltri indicatori. Ma tutto questo è pos-sibile solo con risorse aggiuntive.

Voglio che sia chiaro una volta pertutte. Il finanziamento previsto per que-sta tornata contrattuale andrà tutto sultabellare, non c’è spazio per altro.

Insisto sulla questione delle risorsefinanziarie. Il contratto di comparto de-manderà molte materie alla contratta-zione decentrata. In carenza di risorsenon pensi che sarà difficile trovare unequilibrio virtuoso tra i sue livelli con-trattuali?

Ci sono tante risorse che oggi la con-trattazione decentrata può gestire,molte di più che nel passato, in parti-colare nella scuola. Negli altri settoripesano le norme del Dlgs 150/09 chel’hanno fortemente limitata, special-mente con il blocco dei fondi per il sa-lario accessorio. A questo propositoabbiamo preparato un emendamentoalla legge di stabilità che riguarda l’uni-versità e gli enti di ricerca, proprio perl’alimentazione dei fondi sulla contrat-tazione decentrata. La questione, con-trariamente alle nostre aspettative,non è affrontata nell’atto di indirizzo equindi abbiamo fatto ricorso diretta-mente al Parlamento. Ma un punto su

cui daremo battaglia, anche per recu-perare le nostre prerogative contrat-tuali, è porre un argine alle continueincursioni del Ministero dell’economia,che avvengono anche attraverso inter-venti spropositati e oltre i limiti delleloro competenze dei revisori dei conti,sui contenuti della contrattazione de-centrata. Siamo quasi al commissaria-mento! Io capisco lo sforzo di conte-nimento e di revisione della spesa pub-blica, l’Italia ha anche obblighi interna-zionali, ma non accetto la forteconnotazione politica e ideologica cheha questa operazione. Sembra che lariduzione della spesa passi solo attra-verso l’eliminazione della contratta-zione collettiva, oltre che attraverso iltaglio degli investimenti su istruzione ericerca. Non mi pare proprio che il pro-blema della spesa pubblica italiana di-penda dalla contrattazione. E del resto,il problema più grosso per il nostroPaese non è, come diciamo da anni, laspesa pubblica tout court, ma gli inve-stimenti. Gli interventi che hanno bloc-cato i contratti in questi anni con lascusa del risparmio sono stati ispiratialla volontà politica e ideologica di col-pire il sindacato e punire i lavoratoripubblici.

Questa stagione contrattuale ridise-gnerà il modello contrattuale. Tantimeccanismi e istituti che riguardano lavalorizzazione delle professionalità, laridefinizione dei profili, le modalitàdella valutazione andranno necessa-riamente affrontate nella contratta-zione di secondo livello…

Questo rinnovo contrattuale dovràconfrontarsi con l’organizzazione dellavoro attuale, ma anche puntare, at-traverso il contratto, a modificarla va-lorizzando e riconoscendo le diverseprofessionalità che sono emerse inquesti anni. C’è un rapporto profondotra contrattazione e organizzazione dellavoro. Uno degli obiettivi del contratto,per come lo intendiamo noi, non è ade-

che non vuole assolutamente che sifacciano i contratti, in particolarequello della scuola.

La parte forse più complessa è infattiquella retributiva. Lo stanziamento dicirca 1 miliardo e 400 milioni è troppobasso per rendere giustizia degli sti-pendi troppo bassi (almeno rispettoalle medie europee) nei nostri settori.

Le risorse stanziate non sono suffi-cienti per far ripartire la dinamica sa-lariale e soddisfare le legittime aspet-tative dei lavoratori. Per noi sono labase per contrattare, tant’è che ab-biamo chiesto che nella legge di stabi-lità sia previsto un investimento ag-giuntivo. Tutte le risorse disponibili de-vono essere messe sul tavolo nego-ziale, comprese quelle, per quantoriguarda la scuola, previste nella L.107. Questo perché le risorse an-dranno tutte sul tabellare.

Nell’atto di indirizzo c’è scritto chel’aumento andrà spalmato su tutte levoci della retribuzione. Immagino che isindacati daranno battaglia su questopunto

L’atto di indirizzo è la piattaformadella controparte, che propone di de-stinare una parte dei fondi sull’au-mento della produttività. Ma fran-camente la loro esiguità non consentedi fare operazioni complesse. Ribadi-sco, per il sindacato tutte le risorse de-vono necessariamente andare sullostipendio tabellare, proprio per l’emer-genza salariale di cui dicevo prima. Noinon siamo contrari a introdurre mec-canismi intelligenti di riconoscimentodella produttività collettiva, ma pen-siamo che questi debbano tenereconto del valore anche dell’esperienzache si esprime anche attraverso l’an-zianità di servizio. Questo è un tema sucui si è molto discusso in questi anni:devo ricordare il blocco degli scatti dianzianità nella scuola? Lì poi sono stati

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guarsi a un modello lavorativo dato, masoprattutto di modificarlo, migliorarlo.Il contratto nazionale dovrà predi-sporre tutti gli strumenti affinché a li-vello dei singoli settori si possalavorare proprio sulle professioni, sulloro riconoscimento, considerando chela professione è l’espressione dellapersona sul lavoro. Rimettiamo al cen-tro del lavoro la persona. Sono obiettivitradizionali per il sinda-cato, ma che, nel vuotodecennale di contratta-zione, diventano straordi-nari. E tuttavia vorreiricordare che noi an-diamo a rinnovare con-tratti già in scadenza,parliamo infatti della sta-gione 2016-2018. Que-sto ci costringe a lavorareprima di tutto sulle emer-genze, a partire da quegliistituti che sono statimortificati e compro-messi dagli interventinormativi e porre le basisu cui innestare il rin-novo contrattuale delsuccessivo triennio. Que-sto non significa chesiamo disponibili a uncontratto purchessia, tut-t’altro, pretendiamo ri-sposte e soluzionitangibili.

In sintesi, bisognerà fare presto ebene. Una combinazione difficile.

Il grande nodo politico che pesa suquesto contratto e sui suoi tempi sichiama legge 107. Nonostante l’espe-rienza di questi due anni, si stenta a ri-conoscere il fallimento dell’impianto diquella riforma e la sua disfunzionalitàsulla gestione delle scuole. È un nodotanto importante che potrà incideresulla nostra firma al contratto. Nonpossiamo pensare che il contratto si

c’è. C’è da ricostruire un contesto di re-lazioni sindacali e un ambiente nego-ziale certo, cominciare a dare rispostecredibili ai lavoratori anche sulla lorodignità. Non sto qui a ripercorrere lecampagne di stampa sui dipendentipubblici…

I lavoratori vi osservano e con leprossime votazioni per il rinnovo delle

Rsu giudicheranno “in di-retta” i sindacati.

Noi crediamo all’impor-tanza delle Rsu, lo ab-biamo sempre detto e leabbiamo sempre soste-nute perché crediamoche il voto e la rappre-sentanza diretta dei lavo-ratori siano una linfafondamentale anche peril sindacato e per il suorapporto col mondo dellavoro. È evidente che leaspettative sul contrattosono altissime e una de-lusione potrebbe avereconseguenze sul voto.Ma noi faremo di tuttoper portare a casa unbuon contratto e cerche-remo di informare i lavo-ratori su tutte le fasidella trattativa, spie-

gando anche le difficoltà del contesto.Abbiamo già organizzato un calendariodi assemblee in tutti i posti di lavoro, incui presentare, nei diversi settori, le li-nee guida delle proposte sindacali.Nelle assemblee il confronto è su que-stioni concrete, i lavoratori ci parlanocon competenza delle situazioni che vi-vono e sanno riconoscere se il sinda-cato merita fiducia. Per quanto ciriguarda è in questo confronto che noitraiamo forza al tavolo contrattuale. In-fine, per noi della Cgil, la firma di uncontratto è sottoposta al voto dei lavo-ratori, ai quali spetta l’ultima parola.

adegui alla 107. Su questo si gioca unapartita politica impegnativa, su cui èdifficile fare previsioni. Anche negli al-tri settori, la cartina da tornasole saràla capacità di ridare alla contrattazionequanto con atto autoritario le è statosottratto.

Abbiamo indubbiamente bisogno ditempi stretti, ma questi nodi vannosciolti.

Questo governo è alla fine della legi-slatura. Se il contratto non si chiudeprima delle elezioni, non c’è il rischioche una nuova maggioranza blocchitutto?

La scadenza elettorale ravvicinata eil suo esito ci pone in una condizionedi maggiore incertezza ed esistono deirischi. Questo ci suggerisce di accele-rare i tempi, ma, per tutte le ragioni chedicevo prima, questo non può essereun contratto “prendi i soldi e scappa”.Non ci possiamo permettere di accon-tentarci e portare a casa quello che

7 www.edizioniconoscenza.itN.11-12 2017

APERTA LA TRATTATIVA NEL COMPARTO ISTRUZIONE E RICERCAATTUALITÀ

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ATTUALITÀLE PRIME RSU DEL COMPARTO UNICO ISTRUZIONE E RICERCA

Con l’assemblea nazionaledei segretari generali del 3ottobre scorso, la FLC CGIL

ha avviato la campagnaper rinnovare le rappre-

sentanze sindacali unitarie in tutti iluoghi di lavoro della conoscenza pub-blica nel nostro Paese.

tanza, sono espressione di tutti i lavora-tori, iscritti e non ai sindacati, li rappre-sentano nel loro luogo di lavoro e sonolinfa del consenso per il sindacato, dannoforza alle azioni contrattuali e di tutelacollettiva. Sono il cuore di una democrazia del la-voro e nel lavoro che nell’ultimo decenniosi è tentato in tutti i modi di scardinare,restringendone il campo d’azione a fa-vore di una gestione autoritaria e buro-cratica che sta dimostrando tutta la suainefficienza e inefficacia.

Il nuovo comparto di contrattazione col-lettiva nazionale, fortemente voluto dallaFLC CGIL e dalla CGIL, include Scuo-la, AFAM, Università e Ricerca; un’intui-zione politica che nasce agli inizi deglianni 2000 e poi diventata idea culturalee progetto sindacale di rappresentanzanel 2004 con la costituzione della fede-razione di II livello e con il primo con-gresso del nuovo sindacato (FLC) nel2006.

Le RSU che saranno elette nel 2018 re-cupereranno quel ruolo di rappresen-tanza e la funzione negoziale, che il Dlgs150/2009 (dell’allora ministro Brunetta)aveva mortificato e indebolito, e l’IntesaGoverno-sindacati CGIL, CISL e UIL sul rin-novo dei contratti pubblici del 30 novem-bre 2016 ha loro restituito.

Fiducia e partecipazione

L’appuntamento elettorale è oltremodorilevante perché rappresentativo della ca-tegoria che nella passata tornata eletto-rale del 2015 ha partecipato con il74,74% degli addetti.

L’inedita coincidenza tra elezioni RSU e rinnovo con-trattuale. Le ripercussioni degli esiti dell’una sull’al-tra. L’occasione per un nuovo protagonismo neiluoghi di lavoro e per riprendersi la parola

LA RIVINCITADELLA DEMOCRAZIAGIUSTO SCOZZARO

La novità di questa tornata è che perla prima volta si eleggeranno le primerappresentanze sindacali unitarie delcomparto unico “Istruzione e Ricerca”, ilcui CCNQ è stato sottoscritto tra i sinda-cati e l’ArAN il 13 luglio 2016. Le RSU sono un anello indispensabiledella catena sociale della rappresen-

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LE PRIME RSU DEL COMPARTO UNICO ISTRUZIONE E RICERCAATTUALITÀ

L’esito del contratto dipen-de anche dai lavoratori

La coincidenza delle scadenze è unfatto inedito che potrà condizionare i ri-sultati e avere sviluppi imprevedibili siasul versante della trattativa contrattualeche su quello elettorale. Già da alcunimesi la FLC, in attesa dell’Atto di Indirizzoall’ArAN per l’avvio del negoziato nel com-parto “Istruzione e Ricerca” e per la rela-tiva area dirigenziale (emanato final-mente il 19 ottobre scorso), ha elaboratole linee di piattaforma sulla parte comunee sui singoli settori – AFAM, Ricerca,Scuola e Università. Significativo è il leit-motiv della campagna: “SU LE TESTE”.Un richiamo all’orgoglio di professioni esettori strategicamente prioritari per losviluppo di un paese, ma incomprensibil-mente sacrificati da una politica miopeche “risparmia” dove dovrebbe investire.La trattativa contrattuale che è iniziata uf-ficialmente il 9 novembre non sarà facilee deve necessariamente partire dalla ri-chiesta di risorse aggiuntive per tutto ilcomparto nella legge di stabilità 2018, ilcui iter parlamentare si avvia in questigiorni. Bisognerà sostenere i sindacati nelcorso di questa trattativa all’ArAN con unamobilitazione nei luoghi di lavoro. Nellescuole, nelle università, negli EPR e nelleaccademie e conservatori bisognerà farvivere questa trattativa, discutendo contutti e con tutte i punti di avanzamento eanche le difficoltà che si presenterannoper dare forza alla dele- gazione trattanteFLC CGIL.

Sarà anche la trattativa che le “sirenestonate” di alcuni sindacati autonomi cer-cheranno di bloccare con proposte de-magogiche e strumentali con cui hannoimpostato la loro campagna elettoraleper le RSU. Già ora questa campagna ri-vela comportamenti e fatti eticamentescorretti; i “professionisti delle vertenze”che si arricchiscono con la condizione diprecarietà dei docenti, e degli aspirantidocenti e del personale ATA, offrono gra-tuitamente “bonus-vertenza” per raccat-

tare candidati, anziché impegnarsi su pro-grammi e lotte sindacali evitando di ap-propriarsi di risultati conseguiti dalla FLCCGIL alla Corte di Giustizia Europea per lastabilizzazione dei precari della scuola.Come se la professionalità, la realizza-zione di un buon lavoro, di buone relazionitra colleghi e anche dell’affermazione deidiritti si risolvesse solo nelle aule dei tri-bunali. Chi lavora nei settori della cono-scenza sa bene quanto conta l’impegnoquotidiano, il lavoro collettivo, la solida-rietà tra colleghi che non sono certo de-legabili agli avvocati.

In questo contesto si inquadrano leprossime elezioni RSU 2018, un momentodi democrazia partecipativa per stringerei legami collettivi tra le lavoratrici e i lavo-ratori e tra loro e la FLC CGIL. Per noi “Es-sere RSU” significa stare con i colleghi einterpretarne e rappresentarne i bisognie le istanze, forti di un’organizzazione allespalle in grado, in qualunque momento difare pesare la sua forza.

Mentre scriviamo non è ancora statofirmato all’ArAN il protocollo con i sindacatiper mettere in calendario i tempi e le pro-cedure delle elezioni. Speriamo lo siaquanto leggerete questo articolo.

L’occasione per mettersi in gioco

Dobbiamo riuscire a motivare verso ilvoto, riaccendere interesse e voglia dipartecipare anche in quelli che sonospenti dalla disillusione delle molte bat-taglie combattute e dei troppi pochi risul-tati raggiunti.

L’esito della trattativa contrattuale di-pende anche da ognuno di noi; da quantisaremo impegnati per dare forza allarappresentanza della FLC CGIL.

Siamo già in campo per questa nuovasfida, abbiamo forza e passione per vin-cerla, ancora una volta.

Una platea molto ampia, che certificaun collegamento dei lavoratori con i sin-dacati, anche quando a essi non ci siiscrive, e le cui dimensioni appaiono si-curamente invidiabili, specie se si guardaalla crescita costante dell’astensionismoelettorale nella sfera politica.

Non solo. Una parte significativa di la-voratori non iscritti partecipa ad attivitàsindacali di vario tipo: riunioni, assem-blee, mobilitazioni. Insomma, un circuitopartecipativo potenzialmente ampio.Dunque, elementi che compongono unquadro, sicuramente in movimento, maallo stato, ragguardevole della presenzasindacale nella società italiana. Una soli-dità che andrebbe validata con la certifi-cazione anche dei dati associativi e dellarappresentatività.

La misurazione della rappresentativitàattraverso la media tra iscritti e voti èun’equilibrata sintesi, oltre che una posi-tiva contaminazione delle diverse culturesindacali, peraltro positivamente speri-mentata già da diciotto anni nel pubblicoimpiego.

Stesso discorso vale per la soglia di ac-cesso alla contrattazione fissata al 5% edel criterio di maggioranza (50 più uno)per la validità dei contratti.

Sarà la prima volta di una campagnaelettorale che si svolgerà in contempora-nea con la trattativa per il primo contrattocollettivo nazionale Istruzione e Ricerca.

Una trattativa conquistata dalla FLCCGIL, dopo nove anni di blocco, dopo lamessa in mora del Governo con un ri-corso in Tribunale. La stessa Consulta hasancito l’illegittimità costituzionale del re-gime di sospensione della contrattazionecollettiva.

Nelle scuole continuare nell’opera dicontrasto alla legge 107/2015, con lasua deriva autoritaria, si può fare con unanuova e legittimata rappresentanza sin-dacale unitaria che attraverso gli spaziche il contratto nazionale dovrà riconqui-stare, smonti pezzi della legge, a partiredalla chiamata diretta e dal “bonus do-centi”, attraverso la ricontrattualizzazionedi quelle risorse.

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SISTEMII TRENT’ANNI DI PROTEO FARE SAPERE

La professionalità dei lavoratorinei settori della conoscenza èstata progressivamente morti-ficata nel corso degli ultimi de-cenni. Con misure che, se non

fossero fortemente ideologiche, sareb-bero poco comprensibili.

Da una parte sentiamo affermazioni diprincipio che richiamano la necessità diinvestire nei settori della conoscenza peraffrontare il declino della società post in-dustriale contemporanea, dall’altra, ri-scontriamo, in particolare nel nostro

sitario di diritti costituzionalmente garan-titi, qual è quello all’istruzione, e respon-sabile dei propri doveri civici, si tende aformare un consumatore e un individuoche deve arrangiarsi nella giungla delleridotte opportunità. Si tratta, come docu-mentano le ricerche sul successo forma-tivo e sull’occupazione dei giovani, dellacertificazione delle diseguaglianze socia-li perché lo Stato che non si impegna arimuoverne le cause. Sono temi, questi,ben approfonditi nelle pagine che seguo-no. La declinazione nella scuola di similiscelte politiche ha trovato una piena ap-plicazione nella legge 107/15 che ha,tra le altre cose, accentrato i poteri nellemani del dirigente scolastico e ha tra-sformato la formazione del personaledocente in obbligatoria, strutturale e per-manente, sulla base delle priorità nazio-nali stabilite dal MIUR nel piano naziona-le di formazione. Anche l’alternanzascuola-lavoro, che avrebbe dovuto esse-re una modalità didattica, con le sue rigi-de prescrizioni sugli orari, senza controllisulla progettazione e sulla realizzazione,nei fatti consegna gli studenti alle impre-se per farli lavorare gratis. Dunque, prov-vedimenti che spesso fanno della scuolaun’azienda funzionale a interessi di entie imprese i quali utilizzano di frequentegli alunni in alternanza per abbattere icosti o per non fare assunzioni.

In un contesto del genere ci è sembratoutile riprendere le fila di un ragionamentoche rimettesse al centro dell’attenzione glistudenti e le studentesse, la formazionedi cui hanno bisogno in un mondo sem-pre più complesso. Partendo dal lavorodei docenti, del personale Ata, dei diri-genti scolastici. Riprendendo il discorso

A Bologna il 12 e 13 dicembre riflessioni e analisisulla professionalità e sulle prospettive future. 20 anni di legislazione scolastica non hanno saputo/voluto interpretare i bisogni formativi e rinnovare lemodalità di apprendimenti e il parco dei saperi

RILANCIARE L’ASSOCIAZIONISMOPROFESSIONALESERGIO SORELLA

paese, una drastica riduzione delle risor-se messe a disposizione ma, soprattut-to, veniamo messi di fronte a scelte frut-to di impostazioni fortemente gerarchi-che e autorita Il modello ideologico di ri-ferimento, ormai imperante, è quelloneoliberista che, adattato al contestoscolastico, mortifica, di fatto, la collegiali-tà, le scelte condivise e il lavoro in team.

La conseguenza è far avanzare l’indivi-dualismo e la competizione per giustifi-care il ritiro dello Stato nell’erogazione diservizi e nel riconoscimento dei diritti. Inquesto modo, più che un cittadino depo-

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sugli obblighi normativi, che richiamanoad adempimenti e a prescrizioni, ma an-che aggiornando il bagaglio culturale delpersonale della scuola, a partire dalle ri-flessioni pedagogiche che ne delineano ilprofilo. Ecco il senso della conferenza pro-grammatica promossa a dicembre (neigiorni 12 e 13 a Bologna) da Proteo FareSapere, che compie i suoi primi 30 annidi vita. La nostra Associazione in questidecenni si è consolidata come strutturaformativa di livello nazionale, ramificata inquasi tutte le province (forse come nes-sun’altra associazione), con una storiaricca di esperienze professionali e orga-nizzative, animate da una comune idea discuola, con un sindacato fondamentalepunto di riferimento. Lo è anche sul pianoorganizzativo, territoriale e nazionale, non-ché su quello editoriale, grazie alla suaCasa editrice. Negli ultimi vent’anni sisono avute tante incursioni normativesulla scuola (da ultimo la legge 107/15con la formazione obbligatoria). Esse im-pongono una riflessione sul ruolo stessodell’associazionismo professionale e sullasua capacità di rappresentare una risorsaper i professionisti della scuola. Per farquesto bisogna essere in grado di capirele trasformazioni in atto sia sul piano dellaricerca pedagogica, didattica, metodolo-gica, sia su quello antropologico dellenuove generazioni. Sempre più spesso sisente parlare di crisi delle professionalitànella scuola, si assiste a volte a un deficitdi soggettività e di protagonismo dei do-centi, che, spesso, non si vivono comeprofessionisti, ripiegando sul lavoro di rou-tine; analoghe considerazioni valgono peri dirigenti scolastici, oberati da incom-benze amministrative che li portano asmarrire la loro funzione di leader educa-tivi; fenomeni simili riguardano il perso-nale ATA, indotto spesso a sentirsi estra-neo a quella scuola che per noi resta una“comunità educante”. Queste criticità rap-presentano un elemento di riflessione peruna proposta programma- tica efficace.L’associazionismo professionale non puòpiù interpretare lo stesso ruolo e svolgerele stesse funzioni di trent’anni fa, sia per i

reversibile e che l’integrazione tra tecno-logia e scienza determina radicali cam-biamenti sia sul terreno cognitivo sia, piùin generale, su quello dell’agire umano.

Le tecnoscienze non riducono, ma evi-denziano e amplificano la complessitàdell’esistente: in questo sta probabil-mente la sfida più ardua da affronta- re.Conseguenza abbastanza ovvia delle ra-dicali innovazioni in atto è l’accentuarsidella frattura generazionale, da un lato, edelle diseguaglianze cognitive, dall’altro,(il passaggio all’era digitale ha compor-tato e comporta forme inedite di analfa-betismo di massa). Un’educazione per-manente come diritto-dovere universale(reinterpretando e attuando lo stesso art.3 della Costituzione) dovrebbe perciò rap-presentare il pilastro portante di ogni se-rio progetto relativo all’istruzione, allaformazione, e, in definitiva, a una peda-gogia di massa che non trova più risposteadeguate nelle tradizionali agenzie for-mative (partiti, sindacati, chiesa, televi-sione) e nella stessa famiglia.

Più in profondità, sarebbe necessariomettere in discussione un certo, perdu-rante, “ordine gerarchico” dei saperi di-sciplinari, ridefinirne le epistemologie ericomprenderli nella prospettiva di un“umanesimo possibile” per il XXI secolo.Sono sfide che si riflettono sul ruolo delleassociazioni professionali ma anche delsindacato in questo nuovo contesto. Allespinte accentratrici occorre risponderecon una rielaborazione culturale chetenga conto della fase che stiamo attra-versando.

Gli aspetti professionali incrociano l’ela-borazione politica necessaria alla ridefini-zione dei profili professionali dei lavoratori– in molti casi profondamente modificati– in vista dell’auspicato rinnovo contrat-tuale nei settori della conoscenza. Un im-pegno di rilievo, dunque, che assume unafunzione di prospettiva perché solo cam-biando il presente possiamo fare in mododi non mandare in fumo il futuro.

L’autore è presidente nazionale di Proteo Fare Sapere

cambiamenti intervenuti nei settori dellaconoscenza, sia perché l’associazionismodemocratico – così come, in generale,tutti i processi di partecipazione demo-cratica – è entrato in crisi da tempo. Perguardare alla siepe, prima di allungare ealzare lo sguardo verso l’orizzonte (comeabbiamo scritto nel nostro documentod’ingresso alla conferenza programma-tica), c’è da riflettere sul fatto che la FLCCGIL, il nostro sindacato di riferimento, nonorganizza esclusivamente il sistema sco-lastico, ma agisce sull’intero, vario e arti-colato mondo della conoscenza.

Università ed enti di ricerca devono ne-cessariamente diventare nuovi settorid’intervento: non con adeguamenti bu-rocratici, che risulterebbero abbastanzasterili, ma inaugurando un nuovo modod’essere che consenta, ad esempio, diintervenire sui curricula universitari epost-universitari destinati alla forma-zione dei docenti di scuola; un campo diattività ancora più interessante può es-sere quello relativo alla ricerca (scienti-fica, umanistica, pedagogica), intesa nelsenso più ampio, con proposte, percorsie progetti capaci di mettere in relazionela scuola con università ed enti di ricerca,diffondendo la pratica del laboratoriopermanente, della sperimentazione edella innovazione didattica.

Uno sguardo sull’interomondo della conoscenza

Il nostro nuovo e più avanzato orizzonteè quello di una politica che guardi alle pro-fessionalità di tutti i settori della cono-scenza, il cui adeguamento alle caratteri-stiche attuali dei saperi (nella loro produ-zione, diffusione e gestione) richiede lacostruzione di identità e profili culturaliinediti, unita alla capacità di restituirepiena dignità e orgoglio alle diverse pro-fessioni del mondo della conoscenza ele-vandone i livelli di qualità e prestigio.Occorre, a questo proposito, prendereatto che la separazione tra teoria e pra-tica attraversa una crisi probabilmente ir-

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I TRENT’ANNI DI PROTEO FARE SAPERESISTEMI

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ARTICOLO 33 | N.11-12 2017

PEDAGOGIE

CRITICA DELL’EDUCAZIONE COMPETITIVA E PRASSI LIBERTARIA

LA CARICA SOVVERSIVA DEL LAVORO DOCENTEIGOR PIOTTO

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Nel sottosuolo della L. 107/15e del percorso che ha ac-compagnato la sua appro-vazione traspare un indiriz-zo che fa sorgere il quesito

circa la presenza di una pedagogia neo-liberista che ne supporta ideologica-mente l’impianto. In altri termini, esisteo ha fondamento l’ipotesi di una peda-gogia neoliberista?

Il profilo della pedagogia neoliberista

A partire dalla metà degli anni ’90prende consistenza un approccio altema educativo incardinato sul principiodi efficienza dei processi di apprendi-mento. Hargreaves, in un saggio del1997, avanza un’ipotesi, apparente-mente ristretta alla sfera metodologica,finalizzata a sperimentare in ambitoeducativo la prospettiva di analisi utiliz-zata nella ricerca medica. Non si trattadi una proposta isolata. Piuttosto, que-sta è la traduzione nella ricerca peda-gogica di una contestazione che haavuto come epicentro il dibattito statu-nitense sulle politiche educative a par-tire dagli anni ‘80, in piena espansionedell’offensiva reaganiana. Possiamo,per brevità, collocare nel rapporto Na-tion at risk (1983), elaborato dalle isti-tuzioni governative statunitensi, nellospecifico dalla “National Commissionon Excellence in education”, il punto diavvio di un orientamento che si sviluppòsu diversi percorsi tematici ma struttu-rato attorno a due principi distintivi.

Il primo riguardava la necessità di unade-regolazione della professionalità del-l’insegnante (cui faceva da comple-mento il rafforzamento del profilomanageriale di chi aveva la responsabi-lità della direzione scolastica); il se-condo concerneva il primato del prin-cipio di efficienza assegnato alla per-formance di apprendimento da realiz-zarsi attraverso il ricorso a “teststandardizzati”, attraverso i quali “mi-surare” la competitività dell’economiaamericana sul panorama mondiale. Un

Da un ventennio si sta diffondendo l’ideologia dellacompetizione e dell’evidenza anche nelle politichescolastiche. Il tentativo di affossare la cooperazioneeducativa. La resistenza si è espressa con l’elabo-razione di strategie educative nel lavoro quotidianoper imporre una pedagogia critica

Questo contributo prova a risponderea questo interrogativo ripercorrendol’asse attorno al quale ruota l’offensivaculturale che fornito la base argomen-tativa del percorso legislativo: la culturadell’evidenza e quella competizione. Ilcontributo si conclude con un passag-gio sulla prassi libertaria che il lavorovivo ha mantenuto, in controtendenza almainstream neoliberista.

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PEDAGOGIECRITICA DELL’EDUCAZIONE COMPETITIVA E PRASSI LIBERTARIA

inequivocabile cambiamento di dire-zione rispetto all’esperienza degli anniprecedenti che guardava alla forma-zione pubblica quale istituzione centralenella costruzione di una cittadinanzademocratica (Lessard, 2006). Il citatorapporto del 1983 semina un approccioeconomico ai temi educativi che troveràsuccessivi riscontri, i quali converge-ranno sulla necessità di individuare in-dicatori oggettivi, misurabili, derivantimetodologicamente dalla sperimenta-zione scientifica per valutare la perfor-mance educativa e su questa basare lepolitiche pubbliche in materia di istru-zione. In questa cornice ancora si col-loca l’impianto statunitense del No childbehind act, 2012). L’approccio di Har-greaves è proprio di questo contesto dicolonizzazione della materia educativada parte delle discipline economiche:l’autore fornisce in tal modo una spon-da metodologica a un’indicazione poli-tica sorretta dalla volontà di riappro-priazione egemonica dell’ordine deldiscorso in materia di pedagogia.

È qui che prende forma la prospet-tiva dell’Evidence Based Education(EBE): la ricerca medica, secondo l’au-tore, può fornire quelle prove scientifi-che in grado di rispondere positiva-mente al vincolo dell’oggettività. Taliprove vanno ricercate nell’adatta-mento/trasferimento degli schemi diindagine dall’ambito medico a quelloeducativo, avviando così un percorso dilegittimazione del “paradigma clinico-terapeutico di stampo comportamen-tale cognitivistico” (Goussot, 2015).

Le caratteristiche di questo para-digma vertono su tre aspetti interrelati.In primo luogo il criterio dell’evidenza:elaborazione teorica finalizzata all’indi-viduazione di una misura statistica ca-pace di valutare la dimensione di unintervento pedagogico. Ne discende lastrutturazione di procedure sistemati-che finalizzate a riprodurre nei pro-grammi e nelle attività educative quegliinterventi risultati più efficaci, suppor-

dei programmi didattici. L’offensiva egemonica neoliberista

non si è grossolanamente mossa sulterreno della legittimazione delle disu-guaglianze sociali. Piuttosto, ha avviatouna colonizzazione dell’impianto peda-gogico per riprodurle, secondo un ca-none ispirato all’efficienza e allacompetizione.

La medicalizzazione nell’istruzionepubblica rappresenta pertanto la ma-trice generativa dei fondamenti di unapedagogia neoliberista.

In una relazione educativa il saltodalla predittività delle conoscenze allaprescrittività dei comportamenti, speciese validati scientificamente, è breve. Ilprocesso di aziendalizzazione dellascuola pubblica contenuta nella legge107/15 (managerializzazione della diri-genza scolastica, de-regolazione dellacontroprestazione economica e dellecondizioni di lavoro, indebolimento dellacontrattazione dell’organizzazione dellavoro, individualizzazione della presta-zione di lavoro) concerne aspetti nor-mativi e organizzativi complementariall’offensiva ideologica in campo peda-gogico.

Pedagogia critica e violenza simbolica

Al di fuori dei concetti di interazione erelazione, la pedagogia perde la sua va-lenza disciplinare, quindi i suoi fonda-menti epistemologici. Diventa undispositivo tecnologico finalizzato a in-staurare meccanismi di apprendimentostratificati in base alla conformità omeno a procedure standardizzate. Untale indirizzo produce un’intrinsecaespropriazione di soggettività, nellaquale “istruire” concerne il trasferi-mento di modelli di comportamento ca-talogati come socialmente accettabili(Massa, 1981), secondo il più tradizio-nale binomio di normalità/devianza. Ilprofilo dei progetti personalizzati per

tati da conoscenze valide e misurabili.Infine, i metodi empirici, basati su os-servazione e sperimentazione, seguonoun percorso di validazione scientifica:monitoraggio delle ipotesi dichiarate eargomentazione giustificata dei risultatiottenuti. Il ricorso al termine “clinico”viene ampiamente ribadito nelle prati-che in uso in certi filoni di psicologia chefanno esplicito riferimento al concetto di“trattamento empiricamente validato”(Vivanet, 2013); qui il termine perde laconnotazione critica e di denuncia cheinvece ritroviamo nella riflessione diGoussot (2015) quando individua pro-prio nella tendenza a catalogare e clas-sificare in base a procedure standardiz-zate il nucleo di una metodologia incar-dinata sulla segmentazione delle sog-gettività di tipo “sintomatologico”.

La prospettiva clinico-terapeuticasulla quale converge l’approccio Evi-dence based cambia completamentel’epistemologia della pedagogia tradi-zionale, ovvero la natura e le strutturelogiche della conoscenza pedagogica.L’implicito riferimento al comportamen-tismo cognitivistico focalizza l’atten-zione sulla performance dell’appren-dimento assegnando alla natura dei li-velli di interazione che attraversano l’ac-cesso al sapere e alla conoscenza unruolo residuale. A questo si aggiungel’apparente distanza dalla dimensioneassiologica, lo schema valoriale che pre-siede il percorso educativo: nei testi èsignificativo il richiamo a spostare l’at-tenzione sulla misurabilità dei datiquale alternativa a un approccio ideolo-gico che avrebbe dato forma alla peda-gogia tradizionale, per sua natura criticae riflessiva. La scienza supporta la di-dattica in contrapposizione all’ideologia(richiamata con il termine evocativo dididatticismo) che, invece, distorce l’in-dirizzo educativo. Il ricorso al tecnicismoprocedurale dei programmi scientifica-mente validati veicola una cultura dellaperformance largamente compatibilecon i valori della efficienza competitiva

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CRITICA DELL’EDUCAZIONE COMPETITIVA E PRASSI LIBERTARIAPEDAGOGIE

ruoli (interiorizzazione/distanziamentodai ruoli). Gli studi di Goffman (1983)hanno evidenziato quanto l'apprendi-mento relativo agli aspetti strategici del-l'interazione sociale sia parte integrantedi una strutturazione consapevole dellapersonalità.

Il lavoro educativo non può prescin-dere da un’attività ermeneutica, inter-pretativa, nella quale è lo stessoinsegnante a essere sottoposto a unprocesso di apprendimento e speri-menta- zione. Una sorta di “ermeneu-tica del profondo” (Habermas, 1984),quale approccio dinamico e multidisci-plinare alla formazione di una coscienzacritica. L’impronta della ricerca-azione inchiave riflessiva è largamente incompa-tibile con l’impianto della EBE e, nellospecifico, con la proceduralizzazione delmomento educativo sulla base di valu-

tazioni comportamentali e strettamentecognitivistiche.

La pedagogia neoliberista è un campovettoriale che procede intersecando l’ad-destramento alla competizione (una vi-sione ossessiva del ricorso a unastratificazione dei livelli di apprendi-mento), e promuovendo la marginalizza-zione dei contesti sociali di riferimento eil condizionamento dell’azione educa-tiva, l’enfatizzazione della stratificazionequale rappresentazione sociale del suc-cesso individuale, la spersonalizzazionedel lavoro educativo, da cui discende l’af-fermazione implicita della riproduzionedella disuguaglianza come responsabi-lità individuale. Questa procede per sot-trazione di soggettività.

La visione antiautoritaria e libertariadella pedagogia guarda, al contrario, aun soggetto critico e riflessivo che si co-stituisce per ricomposizioni permanenti.Questa visione agisce sull’insegnante-ri-cercatore, fornendo nuovi elementi dielaborazione, e restituisce all’alunno oc-casioni di indagine autoriflessiva, cen-trali nella produzione della propriasoggettività.

La dimensione intersoggettiva è ilcampo vettoriale della pedagogia an-tiautoritaria, così come espressa dalleesperienze riconducibili a Freinet, DonMilani, Freire: un processo di coscientiz-zazione (Freire, 1971), quale presa di co-scienza dei vincoli e della violenzasimbolica contenuta negli habitus socialiincorporati dai singoli a partire dalla so-cializzazione primaria, dai contesti socialie amicali, dall’apparato educativo me-desimo. L’uomo è un blocco storico, scri-veva Gramsci. In esso sono annodate lediverse tracce del contesto sociale. Perquesto la pedagogia critica è sovversionecognitiva di habitus mentali; procede at-traverso la messa in discussione propriodi quelle categorie e quei criteri di valu-tazione della condizione di vita. L’habitusconcerne l’incorporazione dei modi diagire di un determinato campo sociale: èuna struttura strutturata (dal contesto di

Bes e Dsa, così come i nuovi indirizzi inmateria di insegnamento di sostegnovanno nella direzione di una prospettivaclinico-terapeutica, con rischi di stigma-tizzazione della condizione di criticità odi diversabilità.

Una prima differenza centrale tra edu-care e istruire proviene dal concetto ditatonnement experimental sviluppatoda Freinet: la prassi educativa è tale inquanto “restituisce soggettività” (per ri-prendere una suggestiva espressione diBasaglia). Si configura come una attivitàdi ricerca-azione la cui finalità è quelladi inserire l'alunno in un percorso espe-rienziale capace di fornire strumenti diriflessività critica: socializzazione delleconoscenze e dei saperi di tipo curricu-lare, ma anche alfabetizzazione emo-tiva, la dimensione valoriale dell'agiresociale, l'interpretazione autonoma dei

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PEDAGOGIECRITICA DELL’EDUCAZIONE COMPETITIVA E PRASSI LIBERTARIA

riferimento) ma è anche strutturante,produce scelte, decisioni, azioni a par-tire dalle disposizioni e dalle categorieincorporate (Bourdieu, 1997). Compitodella pedagogia è interrompere questocircuito generativo, rovesciare questoapproccio e guardare criticamente a ciòche si dà per scontato. Non addestrareall’azione conforme.

Senza una dimensione critica, l’interoprocesso di morfogenesi educativa di-venta un dispositivo di violenza simbo-lica, ovvero di riproduzione di forme didominio e di disuguaglianza sociale, at-traverso la certificazione dell’apparatoeducativo: il soggetto in apprendimentoassume la consistenza di una mercestoccata lungo gli scaffali della stratifi-cazione sociale riprodotta nel percorsoeducativo. Qui si misurano non solo ap-procci pedagogici ma concezioni dellavita sociale.

Il percorso educativo è l’esito di unprocesso circolare, nel quale il lavoropedagogico va a rafforzare o destruttu-rare habitus sociali in riferimento al-l’autorità pedagogica che fornisce lalegittimazione di un discorso educativo,a sua volta espressione di rapporti so-ciali dominanti o emergenti (Bourdieu,Passeron, 1970). Il lavoro educativo èsempre un’attività di produzione simbo-lica di significati e il conflitto si giocasulla loro determinazione.

La resistenza dei docenti

In questo scenario di colonizzazionedel mondo vitale pedagogico da partedella cultura neoliberista non è stato ir-rilevante il ruolo di resistenza e contra-sto svolto da una parte significativadegli insegnanti. Nonostante l’aggressi-vità del discorso competitivo e la pro-fonda svalutazione del loro lavorosociale, gli insegnanti hanno perseve-rato nel concretizzare una prassi edu-cativa improntata a criteri di liberazionee riflessività critica. Il lavoro educativo,

progetto medicalizzante e mercificantenell’istruzione pubblica, nel contesto diuna generalizzazione della logica delloscambio. Questi produttori di cultura cri-tica hanno contrastato un’ideologia chevoleva la scuola come una istituzione“tacitata” e luogo di legittimazione dinuove forme di dominio e sfruttamento.A partire dal loro lavoro quotidiano essihanno implicitamente indicato unasfida per il movimento sindacale: lariappropriazione in chiave egemonica diuna pedagogia critica, una componenteessenziale di una strategia complessivadi controllo sull’organizzazione dellaprestazione e sul senso del lavoro edu-cativo. Il respiro, ampio, di una culturacritica che coniuga libertà di insegna-mento con emancipazione sociale.

BIBLIOGRAFIA

Bourdieu P., J.C. Passeron, La reproduction,Editions de Minuit, Paris 1970.

Bourdieu P., Meditazioni pascaliane, Feltrinelli,Milano 1997.

Freire P., La pedagogia degli oppressi, Monda-dori, Milano 1971.

Goffman E., La vita quotidiana come rappre-sentazione, Il Mulino, Bologna, 1983.

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quadro storico”, Form@re, n.2, vol.13, 2013.

nella sua parte più consapevole, ha con-tinuato a costruire nella prassi del vis-suto quotidiano una modalità tendentea mettere in discussione i rapporti so-ciali di esclusione e disuguaglianza affi-dandosi ad “autorità pedagogiche”fortemente indebolite dalla legge ap-provata, ma soprattutto dalla tendenzapervasiva della pedagogia neoliberista.Un dissenso militante del lavoro vivoche si è debolmente espresso nelleforme tradizionali della contestazione,ma che ha continuato a esercitare unruolo nell’elaborazione delle strategieeducative. È una visione libertaria diascolto, mediazione, alfabetizzazionecritica ed emotiva che si è posta nellaprassi del quotidiano in alternativa allaminiaturizzazione del sapere (separa-zione del sapere in blocchi componibilifunzionale a una logica di misurazione),alla classificazione dei comportamentidevianti nella versione clinico-terapeu-tica. Una visione contrastante gli ap-prodi funzionali alla reiterazione eriproduzione di habitus che agisconosulla percezione dei soggetti subalternipiù deboli, nel segno della competizionee dell’annichilimento del valore dellacooperazione educativa con finalità diemancipazione.

Questo è stato l’impegno culturale dimigliaia di insegnanti. La posta in giocodi un conflitto tra visioni pedagogiche,in un corpo a corpo quotidiano che haattraversato e attraversa il lavoro edu-cativo nei collegi docenti, consigli diclasse, dipartimenti, nel confronto conle famiglie e con il territorio. In tutte leoccasioni in cui l’ideologia della compe-tizione si esprime con la maschera delsenso comune, del dato acquisito comeoggettivo e naturale.

La produzione pedagogica di questa“comunità educante” frastagliata e di-stribuita in maniera eterogenea ha fattoemergere il carattere intrinsecamenterivoluzionario del lavoro educativo: ha ri-badito nella prassi una visione critica eriflessiva strutturalmente alternativa al

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TEMPI MODERNI

La storia è un’avventura spirituale in cui la personalità dello storico è completamente coinvolta.

(H. I. Marrou, La conoscenza storica, il Mulino, Bologna 1997)

“Rivoluzione”, dal latino revolutio, è termine polisenso. Usato originaria-mente in astronomia per indicare il movimento degli astri, è stato suc-cessiva- mente adoperato, sempre nel mondo antico, per designare leazioni di quanti tramavano contro lo Stato (res novas moliri).1

Nonostante interpretazioni storiche profondamentecontrastanti, la rivoluzione russa, al pari di quellafrancese, resta uno dei massimi avvenimenti del XXsecolo. Il mistero dello stalinismo. L’attuale assenzadi utopie e il rischio di cadere nella “retrotopia”

MITI E REALTÀDELLA RIVOLUZIONE RUSSADAVID BALDINI

Solo verso la fine del XVIII secolo il ter-mine, perduta la sua accezione “nega-tiva”,2 mutava ancora una volta di se-gno, passando a indicare l’esigenza diintrodurre nella società mutamenti ra-dicali, in discontinuità con il passato.Con riferimento agli ultimi due secoli, opoco più, ha scritto Theda Skocpol: “Lerivoluzioni sociali sono state avveni-menti rari ma importanti nella storiamoderna. Dalla Francia della fine delXVIII secolo al Vietnam della metà delXX, queste rivoluzioni hanno trasfor-mato organizzazioni statali, strutture diclasse e ideologie dominanti”.3 Dalpunto di vista del metodo storico, rite-niamo tuttavia utile partire da due puntidi vista, tra di loro contrastanti, en-trambi riguardanti la Rivoluzione fran-cese. Essi, nonostante il secolo e mezzoche li separa, appaiono ancor oggi em-blematicamente “attuali”, data l’incon-ciliabilità delle rispettive posizioni,rispetto in particolare alla genesi e allosviluppo del fenomeno rivoluzionario.

Una parola, un’idea, tanti significati

Il primo è di Alexis de Tocqueville, ilquale, già nella prima metà dell’Otto-cento, a proposito del 1789, osservò:“Meno che mai la Rivoluzione fu un av-venimento fortuito. Essa colse, è purvero, il mondo all’improvviso, e tuttavianon fu che il compimento di un travagliolunghissimo, la conclusione subitaneae violenta di un’opera cui avevano col-laborato dieci generazioni di uomini”.4

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cese, è questo ormai un luogo comune, l’ordine feudale si èestinto, e il governo della borghesia ha preso il suo posto. Conquesta semplice frase si può esprimere il mito che ha domi-nato la seria ricerca sulla storia della Rivoluzione francesenel corso di questo secolo”.

Un lustro dopo – quasi a ridosso dell’“indimenticabile”1956, anno contrassegnato da eventi “epocali” quali il XXCongresso del PCUS in URSS e la repressione della rivolta inUngheria da parte delle truppe sovietiche – gli farà da con-trocanto Robert Palmer, il quale, nel suo libro L’era delle ri-voluzioni democratiche,10 faceva riferimento all’esistenza diuna “civiltà atlantica”, il cui antecedente sarebbe stato rap-presentato sì dalla Rivoluzione del 1789, però solo quelladi ispirazione “democratica”. Ricordiamo, per la cronaca,che, all’epoca, la Russia sovietica, da tempo attraversatada contrasti interni pressoché insanabili, aveva nonostantetutto inaugurato una stagione di “disgelo”, che, durata lospazio di un mattino, sarebbe però ben presto rifluita, sottoil ferreo controllo del potere brežneviano, in una nuova fasedi “rigelo”.

A gettare nuova esca sul fuoco provvedevano François Fu-ret e Denis Richet, i quali, nello stesso torno di tempo, da-vano alle stampe un’opera che in qualche modo avallaval’interpretazione del Cobban, arricchendola di nuovi elementipolemici. Questi si riassumevano tutti in un termine, déra-page (slittamento), con il quale i due storici tentavano di spie-gare come la Rivoluzione francese – il cui volto autentico erada considerare solo quello della Dichiarazione dei diritti del-l’uomo e del cittadino (1789) – avesse poi successivamente“deragliato”, sotto la spinta di quelle pulsioni viscerali checulmineranno poi nel Terrore giacobino.11 In realtà, con il con-cetto di dérapage, Furet e Richet, rompendo l’unità degli av-venimenti – frazionati, pur nel riconoscimento della loroappartenenza a una stessa unità temporale, ma non inter-pretati come “blocco unico” –,12 finivano, per quanto riguardala faccenda del Terrore robespierrista, per revocare in dubbiole memorabili parole di Karl Marx,13 il quale ragionevolmenteaveva affermato che “gli uomini fanno la propria storia, manon la fanno in modo arbitrario, in circostanze scelte da lorostessi, bensì nelle circostanze che essi trovano immediata-mente davanti a sé, determinate dai fatti e dalla tradizione”.

Un tornante decisivo per il “revisionismo”, la cui vera pietrad’inciampo rimaneva quella del rifiuto della Rivoluzione come“blocco unico”, sarà tuttavia rappresentato dal 1989, annonel quale gli studiosi di tutto il mondo, in procinto di celebraresolennemente il bicentenario della rivoluzione francese, si vi-dero costretti a fare i conti, non di rado nello smarrimento piùcompleto, con gli avvenimenti che si stavano svolgendo inUrss. Non così Furet che, dopo aver scritto un decennio primaPenser la Révolution française,14 tornerà di lì a poco sulla

Il secondo è di Francois Furet, il quale, un secolo e mezzodopo, avendo “sott’occhio il mito, l’ascesa e la caduta o il de-stino di più una rivoluzione”,5 ha argomentato: “A partiredall’89, la coscienza rivoluzionaria è quest’illusione di rove-sciare uno Stato che non esiste più, in nome di una coalizionedi buone volontà e di forze che prefigurano l’avvenire. Sin dal-l’origine, essa è un continuo rilancio dell’idea sulla storiareale, come se avesse la funzione di ristrutturare attraversol’immaginario l’insieme sociale in sfacelo. […] La Rivoluzioneè uno spazio storico che separa un potere da un altro potere,e in cui all’istituto si sostituisce un’idea dell’azione umanasulla storia”.6

Il “revisionismo” di Furet, come si può evincere dalle suestesse parole, non riguarda però solo la Rivoluzione del 1789:esso viene esteso alle rivoluzioni in generale, non esclusa –come si vedrà in seguito – quella bolscevica, la quale pre-senta più di una analogia con la francese.

Con intenti ben diversi aveva studiato comparativamentele due Rivoluzioni Albert Mathiez, il quale aveva inaugurato ilsuo metodo di lavoro proprio mentre in Russia imperversavala guerra civile. Nel 1920, in due magistrali articoli, Le bol-chévisme et le jacobinisme e Lénine et Robespierre, egli in-fatti non solo “riabilitava” il “Terrore” giacobino – che percirca un secolo era stato abbandonato alla damnatio memo-riae – ,7 ma stabiliva un nesso tra i giacobini e i bolscevichi.Occorre aggiungere che, già all’epoca, i temi trattati nonerano prerogativa dei soli addetti ai lavori: concetti quali quellidi rivoluzione e reazione, conservazione e cambiamento,identità nazionale e cosmopolitismo non lasciavano insensi-bili le grandi masse popolari. Tali problematiche afferivanoinsomma a quell’uso “pubblico della storia”, che sarebbestato destinato a divenire sempre più pervasivo, man manoche veniva rafforzandosi il rapporto tra ricerca storica e co-municazioni di massa.

Molti sono gli esempi che si potrebbero fare in tal senso. Adesempio, nel clima della “guerra fredda”, si assistette a unareviviscenza di interpretazioni “revisionistiche”, in materia dirivoluzione,8 in larga parte determinate dall’acuirsi, a livellointernazionale, dello scontro tra Usa e Urss. Non a caso, nel1954, Alfred Cobban, nel corso di una conferenza tenuta aLondra – il cui titolo era Il mito della Rivoluzione francese -confessava di aver pensato, in prima istanza, a una intitola-zione diversa, che recitava così: Vi fu una Rivoluzione fran-cese?9 Ebbene, nella domanda retorica era già contenuta larisposta. Di più: mettendo in dubbio l’evento rivoluzionario,Cobban chiariva al tempo stesso in che senso egli intendesseil termine di “mito”, che faceva parte del titolo originario. Delresto, si sarebbe fatto carico di precisarlo egli stesso, allor-ché, nel corso della citata conferenza londinese, ebbe a dire:“Passando dal generale al particolare, nella Rivoluzione fran-

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questione, dando alle stampe, nel giro di pochi anni, altre dueimportanti opere, nelle quali il destino della Rivoluzione fran-cese veniva ancora una volta associato a quello della Rivolu-zione russa: Il passato di un’illusione. L’idea comunista del XXsecolo e Le due Rivoluzioni. Dalla Francia del 1789 alla Rus-sia del 1917.15 Se nella prima egli si spingeva a sostenere, inpretto stile pamphlettistico, che il comunismo era finito “inuna sorta di nulla”, avendo fatto “tabula rasa” delle sue inizialipremesse, nella seconda giungeva a ripudiare l’idea stessadi “rivoluzione”, in quanto incapace di dar vita a reali “possi-bilità di cambiamento”. Del resto, era stato sempre lo stessoFuret a ribadire, in un articolo del 26 aprile 1990, non solol’interdipendenza esistente tra le Rivoluzioni francese e russa,ma anche la loro natura essenzialmente “mitica”: “Di fatto –egli scrive –, l’esperienza sovietica è stata ampiamente fil-trata dall’opinione pubblica francese attraverso la storia dellaRivoluzione francese, che si è trovata a essere prolungata,riattualizzata, dotata di una mitologia più presente che mai”.16

I “miti” della rivoluzione russa e le sue interpretazioni

A proposito dell’Unione Sovietica, il tema del “mito” ricom-parve in Italia, negli anni cruciali 1990 e 1992, in due saggicomparsi sulla rivista “Storia contemporanea”.17 Il primo è diGiorgio Petracchi, il quale, ne Il mito della rivoluzione sovie-tica in Italia,18 chiariva innanzitutto come egli, nelle sue scelteterminologiche, si fosse ispirato a Ernst Cassirer, “il quale ciha insegnato a considerare il mito non quale ‘apparenza’ dacui la riflessione filosofica debba prendere le distanze, nétanto meno un’‘illusione’ priva di ogni consistenza oggettiva.E neppure a considerarlo nell’accezione di menzogna, allastregua di come veniva interpretato da quei pensatori del Set-tecento, i quali non sapevano scorgere in esso ‘altro che unacongerie delle più grosse superstizioni, un miscuglio delle ideepiù oscure e fantastiche’. […] Il compito della conoscenza nonè […] quello di escluderlo dai propri confini, quanto piuttostoquello di riconoscerlo ‘per il suo dominio, per ciò che è e perciò che può da un punto di vista spirituale”.

Il secondo saggio, Sul mito dell’URSS, scritto quando ormaila perestrojka gorbacioviana mostrava le prime crepe, è diMaurizio Serra. In esso l’autore riprendeva il tema della na-tura “mitologica” della società sovietica, accentuandone ul-teriormente il carattere rispetto a Petracchi: “Solo in questianni, che coincidono con la disgregazione della vecchia URSS,ci si è finalmente resi conto che il fenomeno del comunismosovietico non risiede – o non risiedeva – nella componentestorica, politica, ideologica, ma in quella mitica. Lenin e Sta-

lin potranno apparire sempre più, alla distanza, nelle vesti dispietati Realpolitiker, pragmatici e astuti ogni volta che le cir-costanze lo richiedevano.”19

Il fatto è che il “mito” della “contropropaganda”, come sievince dai due saggi appena citati, trovava una sponda obiet-tiva nella “propaganda” di parte sovietica. Per comprenderlo,basterebbe ricordare le formule encomiastiche utilizzate percelebrare Stalin, di volta in volta “padre dei popoli”, “corifeodella scienza”, “scienziato di tipo nuovo”, “bolscevico di gra-nito”, “uomo d’acciaio”, “macchinista della locomotiva dellastoria”, nonché – formula quest’ultima che afferiva più di-rettamente alla sfera affettiva – “l’uomo che amiamo di più”.E tuttavia, di recente, una sintesi equilibrata del complessorapporto che intercorre tra “realtà” e “mitologia”, con riferi-mento all’Urss, ci è stata ad esempio offerta da AntonelloVenturi, il quale, svolgendo la sua anamnesi sui “tempi lun-ghi” della storia, ci ricorda che “il mito della rivoluzione è an-zitutto il mito della Rivoluzione russa, che appare all’iniziodel secolo come l’ultima e più conseguente incarnazione diun modello di lunga durata, nato in Francia e divenuto defi-nitivamente paneuropeo dopo il 1848. Se il rapporto di filia-zione è di per sé evidente, le sue forme e i suoi processi sonoperò tutt’altro che chiari. La forza, la semisecolare capacitàdi durata del mito della Rivoluzione russa è anzi direttamenteproporzionale alla complessità delle sue componenti. Sitratta in effetti di un mito ‘sporco’, nato e cresciuto portandocon sé tronconi di altre credenze, contraddittoriamente le-gate alla realtà dello stato sovietico e in parte destinate a fi-nire con esso: mito dell’eguaglianza comunista e brutaleridefinizione delle classi, passione per la volontà e volontàdi razionalizzarla, sogno universalistico e rivendicazioni na-zionali, discorso sulla modernità economica e fede nel co-mando militarizzato”.20

Ma al di là delle molteplici attese secolari, confluite tuttenella Rivoluzione d’Ottobre, c’è anche da considerare, sulpiano politico, che il “mito” appare il frutto dinamico di unaconvenienza biunivoca, in virtù della quale il “capo”, in-tuendo il bisogno di mitizzazione presente nelle masse, ma-chiavellicamente lo asseconda, piegandolo ai propri fini. Atale proposito, è stato non a caso osservato: “La mitologiapolitica non può funzionare al di fuori della coscienza dimassa: si costruisce intuitivamente in una società definita ein quel senso agisce come inconscio collettivo della massache vede nel mito il fondamento della giustizia delle proprietensioni, dei propri desideri e odi. La mitologia politica deveessere comprensibile e vicina alla massa”.21

Nel caso di specie, il bisogno di “mitizzazione” era a talpunto diffuso in Urss, da indurre il popolo a credere che Sta-lin fosse all’oscuro delle malefatte che venivano compiute aidanni degli stessi cittadini sovietici, attribuendole in buona

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e il fanatismo delle fasi iniziali della rivoluzione”. In terminiweberiani, egli osservava, “questo sviluppo costituisce la ‘Ve-ralltaglichung des Charisma’, vale a dire la ‘routinizzazionedel carisma’, che risponde ai moderni bisogni economici, econduce inevitabilmente alla ‘burocratizzazione’”.

E tuttavia, quale che siano le categorie cui si ispirano le va-rie scuole di pensiero, un dato appare certo: la Rivoluzioned’Ottobre, come ha osservato circa un quarantennio fa lo sto-rico inglese Edward Hallet Carr, ha costituito “una grandesvolta storica e sarà probabilmente considerata dagli storicifuturi come il massimo avvenimento del XX secolo. Come laRivoluzione francese, essa continuerà ancora a lungo a es-sere oggetto di giudizi nettamente contrastanti: salutata daalcuni come una pietra miliare dell’emancipazione umanadall’oppressione passata, e denunciata da altri come un cri-mine e una catastrofe”.25 Se si accetta questo giudizio, allorala questione con la quale oggi dobbiamo fare i conti è quelladi riuscire a rendere compatibili i due paradigmi antipodiciindicati da Carr: quello di “emancipazione” e quello di “cata-strofe”. Come infatti negare che, rispetto allo zarismo, la so-cietà sovietica abbia compiuto, in pochi anni, un enormebalzo in avanti, seppure al prezzo di enormi sacrifici? Comenon riconoscere i mutamenti qualitativi avvenuti nell’Urss,che, da paese agricolo e feudale, è divenuto un paese indu-strialmente avanzato, in grado di sconfiggere la potente mac-china militare nazista?26

fede alla protervia, al servilismo, alla corruttela dei burocratidi regime. Era questo un luogo comune talmente condiviso,che – per lungo tempo – aveva offuscato lo sguardo anche dimolti intellettuali, anch’essi sedotti dal carisma del “capo”.Ne fa fede, per tutti, Konstantin Simonov, autore del romanzoSoldati non si nasce.22 In esso si racconta come uno dei pro-tagonisti, il generale Serpilin, recatosi in visita da Stalin conl’idea di perorare la causa di un suo amico innocente, dete-nuto in un Gulag, entrato nello studio del “capo” con l’ideache egli “non sapesse”, ne sarebbe uscito – dopo averlo guar-dato negli occhi – con la certezza che egli “sapeva” benis-simo; anzi, con la convinzione che, di quelle malefatte, eglifosse l’artefice e l’ispiratore.

L’Unione Sovietica tra emancipazione e catastrofe

Su un tema storiografico così divisivo, quale è quello delrapporto tra realtà e “mito”, è intervenuto circa un trenten-nio fa anche Andrea Graziosi,23 il quale, nella sua Prefazioneall’opera di Moshe Lewin, Storia sociale dello stalinismo, haaffrontato la questione ripartendo da considerazioni di ordinemetodologico. Egli osservava infatti che “anche la storia so-vietica non sfugge alla legge che vuole la realtà molto più in-teressante e complessa dei miti con cui vengono ricoperte lesue ‘macchie bianche’, e insieme molto più credibile e ‘vera’delle rappresentazioni ideologiche, nel cui rozzo semplicismoquasi ci si vergognerebbe poi di aver creduto se le dimensionistesse di questa ‘grande illusione’ non ci ricordassero subitoquanto potenti e complessi fossero i fattori all’opera per pro-durla”.

Tale interpretazione ci dà modo di comprendere più a fondoquanto, nello stesso torno di tempo, avrebbe poi affermatoRobert V. Daniels, per il quale il concetto di “evento” avrebbedovuto essere sostituito da quello di “processo”, ben piùadatto a rappresentare la rivoluzione non come “un atto sog-gettivo dei rivoluzionari”, ma come “la risposta obiettiva diuna società a condizioni di profonda trasformazione sto-rica”.24 Ciò ovviamente non significava che, parlando di “tra-sformazione”, lo storico americano intendesse negare il ruoloesercitato dal “soggetto”: voleva indicare al contrario la suc-cessione di due fasi, di cui la seconda, quella della “dittaturapost-rivoluzionaria”, costituirebbe – a suo dire – il vero spar-tiacque che distinguerebbe Lenin da Stalin. La formula usatagli consentiva, insomma, di distinguere la “restaurazione del-l’autorità” sovietica non solo nel senso della “continuità”, maanche della “maniera più sistematica, dispotica e ‘moderna’”in cui essa si poneva rispetto all’ancien régime, “dopo il caos

[…]

Ma se davvero abbiamomal compreso il dovere che incombevasu di noi, e la nostra missionenon era di serbare il nome antico,la dignità nobile,con l’uso della caccia,i banchetti fastosi e ogn’altro lusso,e di vivere col lavoro altrui,perché non ce l’han detto in precedenza?Che cosa ho mai imparato?Che cosa ho visto intorno a me?Ho solo vegetato,portato la livrea del mio sovrano,ho sfruttato il tesoro dello Statoe pensavo così di viver sempre.

(Da N. Nekrasov, Chi vive bene in Russia?, De Donato,Bari 1968)

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A proposito della ricaduta di quest’ultimo aspetto, in ter-mini di “mito”, Elena Zubkova, nel suo libro Quando c’era Sta-lin, ha osservato: “La vittoria [di Stalin nella seconda guerramondiale, n.d.r.] fece aumentare in misura senza pari nonsolo il prestigio internazionale dell’Unione Sovietica, ma an-che l’autorità del regime all’interno del paese”.27 La studiosa,a conferma di questo suo giudizio, cita un passo dello scrit-tore Fëdor Abramov, il quale, sottolineando la particolare liai-son che si era venuta a stabilire tra Stalin e il suo popolo,aveva scritto: “Ebbri dell’idea di vittoria, decidemmo che il no-stro regime era quello ideale […] e non solo tralasciammo dimigliorarlo, ma anzi diventammo ancor più dogmatici al suoriguardo”.

Dunque, anche sul rapporto contraddittorio tra totalitari-smo e “vita privata”, al di là degli stereotipi esistenti, abbiamoancora molto da imparare. Ce lo ha ricordato di recente Wal-ter Laquer, il quale, con riferimento alla Germania hitleriana,ha scritto: “Nella Germania nazista, come nella Russia stali-niana, la maggioranza della popolazione non era oppressada una paura paralizzante, ma cercava di divertirsi. Le per-sone si innamoravano, andavano a concerti, frequentavano imusei e le mostre d’arte, viaggiavano e facevano le vacanzein montagna o al mare; si ubriacavano, festeggiavano le ri-correnze e gli anniversari, si godevano le partite di calcio ealtri eventi sportivi. […] Che cosa significa questo? Che nontutti vivevano nel terrore, che parecchie persone godevano

dei vantaggi offerti dal regime e che molte altre lo sopporta-vano in qualche misura, cercando di attingere il meglio. Lavita quotidiana era politicizzata, ma c’erano limiti che i nuovipadroni non volevano superare, o ritenevano poco saggio su-perare”.28

Dai “miti” del passato all’attuale assenza di utopie

Questa dualità si ripresenta, e non avrebbe potuto esserealtrimenti, anche nella società sovietica post-staliniana,come ci dimostra il lavoro pionieristico di Svetlana Aleksie-vič, premio Nobel per la letteratura nel 2015. L’autrice infatti,fornendoci “in presa diretta” una mole davvero imponente ditestimonianze, soprattutto nel suo libro Tempo di secondamano,29 non manca di rilevare le difficoltà di adattamentoincontrate dall’homo sovieticus,30 nella drammatica fase dipassaggio dal comunismo al capitalismo inaugurato dallaperestrojka nella versione eltsiniana. Processo tanto più ar-ticolato e complesso per la presenza nell’ex-Urss di varie “na-zionalità” che, partendo dall’uomo russo, riguardavano altempo stesso il “bielorusso, turkmeno, ucraino, kazako etc.”

Comprendere questo processo non vuol dire ovviamentegiustificare il “comunismo realizzato”, il cui clamoroso falli-

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nismo, pur esprimendo severe critiche nei confronti del pas-sato regime staliniano, finiva poi per confessare: “Possiamoesserne orgogliosi, ora. Certo, ci sono stati problemi. Chi nonne ha?”.38

Guai dunque se la “nostalgia” del passato facesse aggiosulla visione del futuro: la conseguenza sarebbe quella di pre-cipitare in una visione disperante che Zygmunt Bauman, in-terpretando i segni dei tempi, ha di recente definito, nel suoultimo libro, come “retrotopia”.39 In virtù di essa l’angelo dellastoria – che, dipinto da Paul Klee era stato metaforizzato daWalter Benjamin40 – è rappresentato mentre “cambia rotta”,venendo catapultato, dalla bufera rapinosa, non più verso ilfuturo, bensì verso il passato. Un passato “deprecato perchéinaffidabile e ingestibile”, dove le speranze non sono ancorascreditate”.

La “retrotopia”, dunque, altro non sarebbe che la rispostaregressiva e raggelante di un mondo, quale è il nostro, che,in assenza di grandi utopie,41 è incapace di dare risposte disenso riguardanti il suo presente prima ancora che il suo fu-turo.

Ma è ineluttabile che il processo oggi in atto debba essererivolto all’indietro? Ci auguriamo proprio di no, se non altroperché il secolo scorso, definito come “tragico”,42 attende diessere ancora, in larga parte, interpretato e compreso. Ra-gione di più, quindi, sia per non eleggerlo, in modo anacroni-stico, a punto di riferimento per il futuro, sia per non relegarlo,a cuor leggero,tra i ciarpami del passato.

NOTE

1 Per l’espressione res novas moliri, si veda, tra gli altri, Tacito (Ann., 2,27).

2 Con riferimento alla Francia, scrive a tale proposito Paul Hazard:“quasi tutte le idee che parvero rivoluzionarie intorno al 1760, o ma-gari verso il 1789, si erano già manifestate verso il 1680”. Si veda Lacrisi della coscienza europea, il Saggiatore, Milano 1968.

3 T. Skocpol, Stati e rivoluzioni sociali. Un’analisi comparata di Francia,Russia e Cina, il Mulino, Bologna 1981.

4 A. de Tocqueville, Scritti politici, vol. I, Utet, Torino 1969.5 Così Salvatore Veca, Rivoluzione, in Enciclopedia, vol. 12, Einaudi, To-

rino 1981.6 F. Furet, Pensare la rivoluzione, ed. orig. 1978, trad it., Laterza, Bari

1980.

mento è apparso in tutta la sua evidenza.31 Significa al con-trario volerne interpretare le contraddizioni profonde, primafra tutte quella dello scarto esistente tra le utopie – quali adesempio quelle della liberazione dei proletari dalle loro ca-tene, o quella della realizzazione del “paradiso in terra” – erealtà. Con il suo tracollo, il comunismo sovietico aveva in-fatti finito per ri-legittimare la rappresentazione kantiana del-l’uomo, “legno storto” dell’umanità, che da sempre hatarpato le ali a ogni reale istanza di cambiamento. Non acaso, il Furet sferrerà il suo attacco più pesante e deciso pro-prio su questo versante, allorché equiparava la Russia di Le-nin, più che a una “realtà”, a un “simbolo”, essendo essastata il luogo “delle passioni, più che delle idee”.32

Tale liquidatorio giudizio non ci sembra però rendere giu-stizia al bisogno di chiarezza e di verità tanto più che lo stali-nismo, come ci avverte Michail Gefter, “è uno dei fenomenipiù grandiosi, terribili ed enigmatici del XX secolo. Non èun’esagerazione dire che questo secolo che volge alla finenon può essere compreso nella sua interezza e, di conse-guenza, ‘trasmesso’ in eredità al XXI secolo, sino a che nonsarà svelato il segreto dello stalinismo, non sarà reso mani-festo il suo superamento”.33

Il fatto è che i bolscevichi avevano a lungo coltivato una vi-sione escatologica e palingenetica della storia eccedente lamisura dell’uomo. Facendosi interpreti di nobili spinte, chevenivano da lontano – quale quella di risollevare la classe de-gli oppressi dall’“umiliazione” per “farla giungere allo zenitdella storia, al pari del ‘sole che sorge’ dal basso di un rossoorizzonte per innalzarsi verso un radioso avvenire”–, avevanopresunto troppo da se stessi e dal popolo.34 Il dramma è chequeste pulsioni passionali erano costitutive dell’immaginariodi intere masse di proletari, che si riconoscevano in un verso“della più straordinaria canzone di speranza mai scritta fi-nora, nonché primo inno nazionale della Russia sovietica, l’In-ternazionale”: “Costruiremo un mondo nuovo, il nostromondo, / Chi era nulla, diventerà tutto”.35

Il tentativo di far collimare “mito” e “realtà”, democraziaprogressiva e “mentalità autoritaria” nell’“età di Stalin”, e ne-gli anni immediatamente successivi, è dunque, oggi, il veroterreno di ricerca sul quale si dovrebbero esercitare gli sto-rici. Essi sono infatti chiamati ad attuare una vera opera di“revisione”, che poi significa saper “entrare in sintonia con ilmodo di pensare di coloro che tali fenomeni hanno vissuto, alfine di capire come essi si ponevano nei confronti del mondoin generale”.36

Tale impostazione, peraltro, appare tanto più giustificataquanto più, sul passato sovietico, ha cominciato a operare lasorda lima del tempo, che sta già riplasmando i fatti, riadat-tandoli fatalmente alle leggi, spesso fallaci, della memoria.37

Ce lo conferma quel personaggio russo che, in epoca di puti-

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RIFLESSIONI SULL’OTTOBRE DEL 1917

TEMPI MODERNI

7 Ricordiamo che solo nel 1889 sarà istituita, in Francia, la prima cat-tedra di Storia della rivoluzione. Essa fu affidata al “dantonista” F. Aulard.

8 Il termine “revisionismo”, in realtà, non ha in sé nulla di “ideolo-gico”, se inteso nel senso di semplice “revisione” storica . Esso, in talsenso, è presente nel dibattito storiografico fin dagli anni Settanta, ri-guardante i rapporti Usa-Urss. Dopo che tuttavia J. Habermas comin-ciò a parlare, a proposito della Germania, di “neorevisionismo”, iltermine è stato interpretato in senso politico-ideologico, come dimo-stra, nella Germania degli anni Ottanta, la cosiddetta Historikerstreit (di-sputa tra storici), sorta nell’ambito della Neue Sozialgeschichte (nuovastoria sociale riguardante il nazismo), avente per oggetto “il passatoche non passa”.

9 La conferenza in oggetto, Il mito della Rivoluzione francese, fu tenutada Cobban presso l’University College, il 6 maggio 1954. Il testo vennepoi pubblicato, con il titolo Aspect of the French Revolution, a Londra, nel1968. Ora si può trovare nell’opera collettanea Il mito della Rivoluzionefrancese, a cura di M. Terni, il Saggiatore, Milano 1981.

10 R. Palmer, The Age of the Democratic Revolution, 2 voll., ed. Orig. 1959e 1964, trad. it. L’era delle rivoluzioni democratiche Rizzoli, Milano 1971.

11 F. Furet-D. Richet, La rivoluzione francese, ed. orig. 1965-66, trad. it.Laterza, Bari 1974.

12 Ricordiamo che la storiografia di “sinistra” è sempre stata a favoredella tesi del “blocco unico”, pur riconoscendo all’interno di esso, comeha fatto G. Lefebvre, “tre Rivoluzioni”: la parlamentare, l’urbana e lacontadina. È tuttavia significativo che un antesignano della Rivoluzionecome “blocco” sia stato, nel 1914, G. Clemanceau, il quale risentì delclima di “Union sacrée” venutosi a creare in Francia alla vigilia del Primoconflitto mondiale.

13 K. Marx, Il 18 brumaio di Luigi Bonaparte, Editori Riuniti, Roma 1974.Ricordiamo che era opinione di Lenin che le rivoluzioni arrivano perdesiderio di qualcuno, ma per ragioni intrinseche agli stessi processistorici.

14 F. Furet, Penser la Révolution française, ed. orig 1980, trad. it. Criticadella rivoluzione francese, Laterza, Bari 2004.

15 Si veda F. Furet, Il passato di un’illusione, Mondadori, Milano 1995 e F.Furet, Le due Rivoluzioni. Dalla Francia del 1789 alla Russia del 1917, Utet,Torino 2002.

16 F. Furet, Le foglie morte dell’utopia, 26 aprile 1990, in Gli occhi dellastoria. Dal totalitarismo all’avventura della libertà, Mondadori, Milano 2001.

17 Come giustamente ci ricorda V. Strada, se il 1989 segna il crollo delmuro di Berlino, il crollo vero e proprio del comunismo in Urss va fattorisalire al 12 giugno 1991, anno delle prime votazioni democratiche. Siveda V. Strada, La questione russa. Identità e destino, Marsilio, Venezia 1991.

18 G. Petracchi, Il mito della rivoluzione sovietica in Italia 1917-1920, in“Storia contemporanea”, n. 6, Anno XXI, dicembre 1990.

19 M. Serra, Sul mito dell’URSS, “Storia contemporanea”, n. 2, AnnoXXIII, p. 295, Aprile 1992.

20 A. Venturi, Mito della Rivoluzione, in Dizionario del comunismo nel XXsecolo, vol. II, a cura di S. Pons e R. Service, Einaudi, Torino 2007.

21 G. P. Piretto, Gli occhi di Stalin. La cultura visuale sovietica nell’età sta-liniana, Cortina, Milano 2010.

22 K. Simonov, Soldati non si nasce, Editori Riuniti, Roma 1968.23 A. Graziosi, Prefazione a M. Lewin, Storia sociale dello stalinismo, Ei-

naudi, Torino 1988.24 Così R. V. Daniels, Lo stalinismo come dittatura postrivoluzionaria, in

L’età dello stalinismo, a cura di A. Natoli e S. Pons, Editori Riuniti, Roma1991.

25 E. H. Carr, La Rivoluzione russa. Da Lenin a Stalin (1917-1929), ed.orig. The Macmillan Press Ltd, London 1979, trad. it. Einaudi, Torino1980. Il giudizio dello storico inglese si riferisce ovviamente alla rivo-luzione dell’Ottobre, in quanto quella del Febbraio – di stampo “bor-ghese” – è considerata solo come propedeutica a quella successiva,come ci ha ricordato Isaac Deutscher, ne La rivoluzione incompiuta.1917-1967, Longanesi, Milano 1968.

26 A confermare che tale “passaggio” sia realmente avvenuto, si po-trebbero anche citare, oltre al processo di industrializzazione, l’alfabe-tizzazione di massa, la creazione di uno stato sociale gratuito, etc. Vasempre ricordato che la servitù feudale fu abolita in Russia solo nel1862.

27 E. Zubkova, Quando c’era Stalin. I russi dalla guerra al disgelo, op. cit.28 W. Laquer, Fascismi. Passato, presente e futuro, Tropea, Milano 2008,

cit. in G. P. Piretto, Gli occhi di Stalin. La cultura visuale sovietica nell’età sta-liniana, Raffaello Cortina Editore, Milano 2010.

29 S. Aleksievič, Tempo di seconda mano, Bompiani, Milano 2014. Il me-todo della raccolta di testimonianze in presa diretta caratterizza anchele altre opere della Aleksievič.

3 Così A. Zinoviev, Homo sovieticus, Jaka Book, Milano 1983.3 A parte il crollo del muro di Berlino (1989), Vittorio Strada segnala

giustamente che il crollo del comunismo in Urss data dalle prime vo-tazioni democratiche, avvenute il 12 giugno 1991 Si veda V. Strada, Laquestione russa. Identità e destino, Marsilio, Venezia 1991.

32 Così F. Furet, in Il passato di un’illusione. L’idea comunista nel XX se-colo, Mondadori, Milano 1995.

33 Michail Gefter, Stalin e lo stalinismo: il problema del soggetto, in L’etàdello stalinismo, a cura di A. Natoli e S. Pons, p. 5, Editori Riuniti, Roma1991.

34 R. Bodei, Il rosso, il nero, il grigio: il colore delle moderne passioni poli-tiche, in AA VV., Storia delle passioni, Laterza, Bari 1995.

35 G. P. Piretto, Il radioso avvenire. Mitologie culturali sovietiche, Einaudi,Torino 2001.

36 Così G. l. Mosse, Fascismo e Nazionalsocialismo: l’approccio revisioni-sta, in “Nuova Storia Contemporanea”, Anno III, numero 5, Settem-bre-Ottobre 1999.

37 Si ricorda ancora quanto ebbe a dire il leader cinese Ciu-en-Laisulla Rivoluzione francese. A un intervistatore che gli chiedeva – agliinizi degli anni Settanta del secolo scorso – un suo personale pareresu di essa, aveva lapidariamente risposto che “era ancora troppo pre-sto”. Ciu-enLai è stato ex-Presidente del Comitato nazionale dellaConferenza politica consultiva del popolo cinese nonché ex-Ministrodegli Affari esteri nella prima metà degli anni Settanta.

38 S. Boym, Nostalgia e memoria postcomunista, in Nostalgia. Saggi sulrimpianto del comunismo, Bruno Mondadori, Milano 2003.

39 Z. Bauman, Retrotopia, Laterza, Bari 2017.40 W. Benjamin, Angelus novus, Einaudi, Torino 1962.41 Un segno dei tempi lo si è avuto nel 2016, anno nel quale al 500°

anniversario della pubblicazione dell’Utopia di Thomas More è statamessa la sordina. Esso non ha avuto infatti la risonanza che obiettiva-mente meritava.

42 Si veda T. Todorov, Memoria del male, tentazione del bene. Inchiestasu un secolo tragico, Garzanti, Milano 2001.