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Tiratura: 458.614 Diffusione: 381.915 Lettori: 2.835.000 Dir. Resp.: Ezio Mauro Servizi di Media Monitoring Sezione: EUROPA E MONDO Foglio: 1/ 2 Estratto da pag.: 13 Edizione del: 15/06/15 Peso: 72% 106-142-080 Il presente documento è ad uso esclusivo del committente.

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21/6/2015 Il SSN è un bene di tutti, difendiamolo insieme

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“D

Il SSN è un bene di tutti, difendiamoloinsieme

obbiamo anche continuare ad essere unproblema, un pungolo che rompe gli equilibri.Dobbiamo continuare a stanare ciò che non

funziona ledendo diritti, dobbiamo fare pressioneper allargare l’orizzonte degli stessi, in piena sintonia con ciò che

l’evoluzione dei tempi impone”. Con queste parole, uno deifondatori del ostro Movimento, Giovanni Moro, ha emozionato lafolta platea che ha assistito alle celebrazioni del trentacinquennaledel Tribunale per i diritti del malato di Cittadinanzattiva lo scorso

14 giugno in Campidoglio.

Una manifestazione che ha visto la partecipazione di decine edecine di volontari del Tribunale, che quotidianamente offrono la

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18 Giugno 2015

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21/6/2015 Il SSN è un bene di tutti, difendiamolo insieme

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vera forza su cui si basano le nostre attività. L’imponenza dellastoria, dei numeri, dei fatti e dei risultati raggiunti dal Movimento è

stata il frutto di forze, coscienze, sensibilità, storie, competenze,pensieri, azioni di persone, cittadini attivi, che hanno fondato,

animato, sviluppato e sostenuto giorno dopo giorno il Tribunale e idiritti dei cittadini.

Non posso non approfittare di questa occasione per volgere unpensiero e un ringraziamento a tutti coloro che hanno contribuito arealizzarlo, in particolare a chi come Francesco Marabotto, AmosAlbertini, Gabriele Ideo, Annamaria Tempesta, Aldo Sardoni tanto

si sono spesi per i diritti delle persone malate, hanno lasciato unsegno tangibile, ma non sono più qui con noi.

Noi ci siamo, e continueremo ad esserci, perché vogliamo rispostechiare e incisive per una realtà che i cittadini vivono così: difficoltà

crescenti ad accedere alle prestazioni di cui si ha bisogno enecessità di compensare mettendo mano al portafoglio, come

dimostrano le segnalazioni che gestiamo; costi privati perprestazioni e servizi, oltre che ticket sempre più pressanti ed alti,

tanto da rendere le prestazioni offerte nel pubblico più costose delprivato in alcuni casi. E intanto il 9,5% della popolazione rinunciaa curarsi (dati ISTAT 2015), mentre i ticket sono aumentati del25% tra il 2010 e il 2013 e ancora continuano a crescere (+1,1%

nel 2014). Non dobbiamo soffocare in nome della crisi economicae del rigore dei conti la domanda forte che c’è oggi, come ieri, divecchi e di nuovi diritti e di un servizio sanitario pubblico forte,

efficiente ed efficace. Anzi la prima azione concreta che chiediamoa Governo e Regioni è l’abrogazione del super-ticket di 10 euro

sulla ricetta. La sfida per il nostro Paese è quella di riuscire amantenere in perfetto equilibrio l’esigenza del pareggio di bilanciocon il rispetto, la tutela e il riconoscimento dei diritti dei cittadini

tenendo presente che non vi è alcuno standard su quanto un Paesedovrebbe spendere per la salute. La scelta riflette la storia, i valorie le priorità di ciascuno e il sistema è tanto sostenibile quanto noi

vogliamo che lo sia.

Gli assi per rilanciare e ammodernare il Servizio SanitarioNazionale pubblico sono sintetizzabili in tre parole chiave:

1. Servizi. Devono essere garantiti tutti i servizi necessari edessenziali (i LEA) per soddisfare le esigenze di salute dei cittadini,garantendo qualità e accessibilità universale e tempestiva, secondo

principi di appropriatezza, efficienza ed efficacia che evitinosprechi e ridondanze intollerabili da un punto di vista etico prima

che economico.

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21/6/2015 Il SSN è un bene di tutti, difendiamolo insieme

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2. Bisogni. Il SSN deve essere centrato sui bisogni di salute eassistenza dei cittadini che cambiano, in un’ottica non solo

individuale, ma di comunità.

3. Risorse. Non sono solo quelle economiche, ma anche ilpatrimonio strutturale, il parco tecnologico, la ricerca, i sistemi

informativi, e soprattutto le risorse umane e professionalinecessarie per garantire servizi. Questa dimensione sottolinea, fral’altro, la rilevanza del lavoro di cura, il ruolo della trasparenza e

dell’integrità del sistema, l’importanza della qualità dei luoghi dovesono assistiti e vivono i cittadini, il valore dell’innovazione e della

ricerca, la centralità della formazione e dell’aggiornamentoprofessionale, il riconoscimento del merito.

Tutto questo si traduce in un rinnovamento dell’attività del TDMper essere all’altezza delle nuove sfide. Vuol dire quindi guidarenelle regioni, con le regioni, e con le aziende sanitarie, la corretta

implementazione del nuovo Regolamento sugli standardospedalieri, sostenendo in particolare l’implementazione del

modello ad intensità di cura, centrato sulla persona, non primariatio altre esigenze; sostenere e far attuare lo sviluppo di reti cliniche.Vuol dire anche pretendere e presidiare che sia garantita la giustacontropartita in termini di risposte sicure nei casi di emergenza-

urgenza e nell’assistenza territoriale, che veda nelle cure primarieun sistema all’altezza dei bisogni di integrazione, assistenza e presa

in carico.

Vuol dire spingere tutti gli attori a superare il proprio “orticello”,per la tutela e il rilancio del SSN, attuando uno dei principi che ha

animato i cittadini attivi del TDM: “ciascuno sa che non puòottenere niente per sé, senza ottenere qualcosa per tutti”.

Questa giornata ha rappresentato non solo la celebrazione ditrentacinque anni di impegno del Tribunale per i diritti del malatonell’affermazione e nella tutela dei diritti delle persone, ma unaripartenza per proteggere, rilanciare ed ammodernare il Servizio

Sanitario Pubblico al fine di renderlo più forte, più accessibile e piùvicino ai bisogni dei cittadini.

In occasione di questo importante compleanno, Cittadinanzattiva èuscita con la campagna itinerante “Sono malato anch’io – La mia

salute è un bene di tutti”, che sta attraversando tutto il nostroPaese, facendo tappa in 23 diverse città, a partire dal 18 aprile2015 e fino alla fine del mese di ottobre, ed è realizzata con il

sostegno non condizionato di Abbvie. La campagna èrappresentata nelle principali piazze per due giorni da una “mostra

fotografica” sui diritti dei cittadini, ispirata ai 14 diritti contenuti

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21/6/2015 Il SSN è un bene di tutti, difendiamolo insieme

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nella Carta Europea dei Diritti del Malato promossa daCittadinanzattiva nel 2002, e un grande gazebo personalizzato.

Tutte le informazioni sono disponibili sul sitowww.sonomalatoanchio.org.

Bolletta 2.0:

Cittadinanzattiva ha

partecipato alla1 commento • 24 giorni fa

mauro ciccarelli — un'altra

cosa insopportabile è la

penalità da pagare ai gestori

per recesso dal contratto. Se

Vitalizi aboliti per i

parlamentari condannati

2 commenti • un mese fa

Cittadinanzattiva Onlus —

Buongiorno, può spiegarci

meglio per favore a quale

sentenza della Consulta faDifensori d’ufficio, nuove

regole in vigore dal 20

febbraio2 commenti • 4 mesi fa

Cittadinanzattiva Onlus —

Buongiorno, la preghiamo di

contattare il nostro Pit

Giustizia, non ci è possibile

Cure odontoiatriche e

Servizio Sanitario Nazionale

4 commenti • 4 mesi fa

Cittadinanzattiva Onlus —

Buongiorno, purtroppo non

possoaimo fornirle una

consulenza attraverso il sito.

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Tonino Aceti

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“Sono malato anch’io. La mia salute è un bene di tutti”. Festeggiato in Campidoglio il 35ennale del Tribunale per i Diritti del Malato - Cittadinanzattiva.

La crisi economica non sia l’alibi per soffocare diritti e Servizio Sanitario Pubblico. Via il Super ticket.

“Questa giornata rappresenta non solo la celebrazione di trentacinque anni di impegno del Tribunale per i diritti del malato nell’affermazione e nella tutela dei diritti delle persone, ma una ripartenza per proteggere, rilanciare ed ammodernare il Servizio Sanitario Pubblico al fine di renderlo più forte, più accessibile e più vicino ai bisogni dei cittadini. La prima richiesta che poniamo al Governo è quella di abrogare il super ticket di 10 euro sulla ricetta, una vera e propria tassa sulla salute”. Queste le dichiarazioni di Tonino Aceti, coordinatore nazionale del Tribunale per i diritti del malato-Cittadinanzattiva, durante la relazione di apertura delle celebrazioni dei 35 anni dalla fondazione dell’organizzazione, in corso oggi al Campidoglio, aperte da una manifestazione simbolica sui 14 diritti della Carta europea dei diritti del malato, come sostegno del SSN bene comune. L’evento ha ottenuto il Patrocinio del Ministero della Salute, Senato della Repubblica e Conferenza delle Regioni.

Durante la mattinata si sono susseguiti interventi di molte personalità che hanno ricordato le battaglie condivise in questi anni, il cambiamento impresso dal TDM nel ruolo dei cittadini nella sanità, e le sfide future per l’associazione e per il SSN.

La relazione di Aceti ha ripercorso appunto i principali risultati conseguiti in questi anni, dalla prima “carta dei 33 diritti del malato” sancita nel 1980, alla prima legge quadro sui diritti del malato presentata nel 1986 grazie a un vasto sostegno parlamentare, nonché alle prime azioni dei volontari del TDM che, armati di macchina fotografica, testimoniavano lo stato di un nascente SSN in cui i cittadini erano percepiti come “ospiti” e non “padroni di casa”.

Il discorso ha anche ricordato altri importanti risultati ottenuti a favore di tutti: la legge 80/2006 per escludere dalle visite di controllo annuali per l’invalidità civile chi ha una patologia cronica, ingravescente e non regredibile; la 38/2010 sulla terapia del dolore e le cure palliative, con cui si è riconosciuto che “non soffrire è un diritto di tutti”; l’audit civico, una metodologia di valutazione dei servizi sanitari in cui i cittadini hanno un ruolo diretto, e che è stato riconosciuto dal Ministero della Salute e dall’AGENAS; la 210/92 che ha riconosciuto il diritto all’indennizzo per le persone che avevano contratto malattie in seguito a trasfusioni da sangue infetto; le battaglie per la lotta alle liste di attesa e il diritto ad ottenere prestazioni in intramoenia, senza costi aggiuntivi per i cittadini, quando i tempi sono troppo lunghi; l’art. 14 del dlgs 502/92 con cui si ribadisce il diritto alla partecipazione come parte integrante della riforma sanitaria e le organizzazioni dei cittadini come attore nella governance del sistema. Ancora: la creazione di una fonte di informazione stabile basata sui cittadini: la relazione PiT Salute, giunta alla 18ma edizione; la creazione di un Osservatorio civico sul federalismo in sanità, con un Rapporto che annualmente fotografa il SSN dal punto di vista dei cittadini e gli effetti di un federalismo sanitario senza guida.

Aceti ha poi lanciato le linee guida della sfida per i prossimi anni: la difesa del SSN. “Esiste una responsabilità dell’attuale generazione della classe dirigente - politica, amministrativa, professionale, civica, delle imprese - di consegnare alle generazioni future un bene comune, una conquista irrinunciabile e una necessità qual è il SSN, integro nei suoi principi fondamentali, e ci auguriamo migliore. Non dobbiamo soffocare in nome della crisi economica e del rigore dei conti, la domanda impellente di vecchi e nuovi diritti e di un Servizio Sanitario Pubblico più forte, efficiente ed efficace. E facciamo nostre le conclusioni alle quali giunge la Commissione Igiene e Sanità del Senato in una sua recente Indagine Conoscitiva sulla sostenibilità del SSN: non vi è alcuno standard su quanto un paese dovrebbe spendere per la salute. La scelta riflette la storia, i valori e le priorità di ciascuno. Il Sistema è tanto sostenibile quanto noi vogliamo che lo sia. In altre parole stiamo parlando di

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una scelta che è prima di tutto politica. L’ammodernamento e la riorganizzazione del SSN deve essere guidata da un principio semplice ma allo stesso modo rivoluzionario come la centralità del malato, dei suoi bisogni e non di altri interessi, che nulla hanno a che vedere con il servizio di cura e assistenza e produzione di salute che al SSN è affidato”.

La realtà dei cittadini di oggi è che hanno spesso bisogno di compensare di tasca propria per ottenere i servizi: costi privati crescenti e ticket che spesso rendono più conveniente rivolgersi al privato, creando un danno al SSN e minandone ancora una volta la sua esistenza e sostenibilità.

Quasi un quarto dei cittadini, secondo i dati del Rapporto PiT Salute 2014 del TDM-Cittadinanzattiva, ha difficoltà di accesso alle prestazioni sanitarie, e questa percentuale nel 2013 (23,7%) è cresciuta del + 2,7% rispetto al 2009 (21%) e di ben il 5,3% rispetto al 2012. È quanto emerge dalle oltre 24 mila segnalazioni che ogni anno giungono al nostro servizio di consulenza, tutela ed informazione PIT Salute e alle sedi territoriali del Tribunale per i diritti del malato. Ad allontanare sempre più i cittadini dalle cure e dalla sanità pubblica sono le liste di attesa (problema segnalato dal 58,5%) ed i ticket, visto che quasi un terzo dei cittadini (31,4%) nel 2013 ne ha lamentato il peso eccessivo (+21% rispetto al 2012). Sui tempi di attesa, basta segnalare che per una mammografia nel 2013 si attendeva in media 14 mesi, contro i 13 mesi del 2012 e gli 11 mesi del 2011; per una colonscopia si è passati dagli 8 mesi di attesa nel 2011 ai 9 mesi del 2012 agli 11 mesi del 2013; tempi di attesa quasi raddoppiati per l’ecodoppler, dai 6 del 2011 ai 10 del 2013.

Dopo le difficoltà di accesso, i cittadini lamentano le carenze dell’assistenza territoriale (15,6%) di cui un quarto fanno riferimento all’assistenza ricevuta da medici di base e pediatri (+2,3% rispetto al 2012). In crescita anche le segnalazioni sull’assistenza ospedaliera che passano dal 9,9% del 2012 al 13,1% del 2013; in questo ambito crescono soprattutto le segnalazioni sull’area della emergenza-urgenza (dal 40 al 47,7%).

Anche il Rapporto Annuale Istat 2015 mostra che il 9,5% della popolazione (9% nel 2014) non ha potuto fruire di prestazioni garantite dal Servizio sanitario pubblico per motivi economici o per liste di attesa troppo lunghe, con difficoltà crescenti nel mezzogiorno dove la quota di chi rinuncia è del 13,2%.

“La stagione dei tagli lineari è tutt'altro che terminata e la si tenta di mascherare con stravaganti definizioni come “mancato aumento del Fsn”, che offendono l'intelligenza di tutti, specie di chi ha a cuore il SSN. Le evidenze sono l'Intesa Stato-Regioni febbraio 2015 e il DEF 2015 che sanciscono il taglio di 2,5 mld di euro al Fondo Sanitario nel 2015 e 2016, e portano il rapporto spesa sanitaria-Pil al 6,6% nel 2020 (6,8% nel 2015). I ticket continuano a crescere: +25% dal 2010 al 2013 ed un ulteriore +1,1% nel 2014”, commenta Aceti. Il Ministero della Salute, dal canto suo, certifica il calo dei posti letto (meno 9000 tra 2011 e 2012) e degli ospedali pubblici ed evidenzia l’incremento delle strutture private accreditate per attività residenziale e semi residenziale.

Gli assi portanti su cui fondare la riorganizzazione ed ammodernamento del SSN lanciati oggi sono riassumibili in tre punti:

- servizi: devono essere garantiti tutti (e solo) i servizi necessari ed essenziali (i Lea) per soddisfare le esigenze di salute dei cittadini, garantendo qualità e accessibilità universale e tempestiva, secondo principi di appropriatezza, efficienza ed efficacia che evitino sprechi e ridondanze intollerabili da un punto di vista etico prima che economico.

- bisogni: il SSN deve essere centrato sui bisogni di salute e assistenza dei cittadini che cambiano, in un’ottica non solo individuale, ma di comunità. E questo sfida il sistema a migliorarsi continuamente nelle performance e nell’organizzazione.

- risorse: non sono solo quelle economiche, ma anche il patrimonio strutturale, il parco tecnologico, la ricerca, i sistemi informativi, e soprattutto le risorse umane e professionali necessarie per garantire servizi. Questa dimensione sottolinea fra l’altro, la rilevanza del lavoro di cura, il ruolo della trasparenza e dell’integrità del sistema, l’importanza della qualità dei luoghi dove sono assistiti i cittadini, il valore dell’innovazione e della ricerca, la centralità della formazione e dell’aggiornamento professionale, il riconoscimento del merito.

(Ufficio stampa Cittadinanzattiva onlus - sede nazionale)

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Trentacinque anni di diritti e di partecipazione Quest’anno ricorrono i 35 anni dalla fondazione del Tribunale per i diritti del malato (TDM) di Cittadinanzattiva (ex Movimento Federativo Democratico - MFD) e dalla presentazione a Roma, il 29 giugno 1980 in Piazza del Campidoglio, della prima Carta dei 33 diritti del cittadino malato. La lettura attenta in queste settimane dei documenti storici del Movimento, non lo nascondo, mi ha emozionato e mi ha fatto ripercorrere situazioni, pensieri, confronti, battaglie di tutti quei cittadini protagonisti della Rivoluzione Copernicana attuata dal TDM, dal 1980 in poi, per l’affermazione dei diritti del cittadino malato e per la costruzione del Servizio Sanitario Nazionale. Essere poi qui nello stesso luogo in cui tutto questo è nato è un vero e proprio privilegio per me che ho tanti anni quanti il TDM e il Servizio Sanitario Nazionale! L’imponenza della storia, dei numeri, dei fatti e dei risultati raggiunti dal Movimento è stata il frutto di forze, coscienze, sensibilità, storie, competenze, pensieri, azioni di persone, cittadini attivi, che hanno fondato, animato, sviluppato e sostenuto giorno dopo giorno il Tribunale e i diritti dei cittadini. E permettetemi di rivolgere un pensiero e un ringraziamento a tutti coloro che hanno contribuito a realizzarlo, in particolare a chi come Francesco Marabotto, Amos Albertini, Gabriele Ideo, Annamaria Tempesta, Aldo Sardoni tanto si sono spesi per i diritti delle persone malate, hanno lasciato un segno tangibile, ma non sono più qui con noi. L’idea di un Tribunale per i diritti del malato ha origine con il libro “L’Uomo Negato” di Giancarlo Quaranta, all’epoca leader del Movimento Federativo Democratico, che sostanzialmente afferma: quando un uomo si ammala non è solo il suo corpo a subire un’alterazione, ma sono la sua identità personale e il suo ruolo nella società a essere rimessi in discussione. Il malato, soprattutto se ospedalizzato, sfugge alle norme del controllo sociale ordinario: non lavora, non ha obblighi familiari, non ha relazioni sociali normali. E per questo, specialmente se “il malato” sono i tanti malati di una società di massa, diventa un pericolo. Per ristabilire su di lui il controllo sociale, si crea un sistema di norme, di significati e di valori, cioè un’istituzione, che sostituisce quelle della vita ordinaria. È la malattia-istituzione a presiedere il funzionamento delle strutture sanitarie, secondo una logica che non ha niente a che fare con la malattia fatto biologico. In forza di questa logica, l’ospedale diventa un carcere, ogni procedimento terapeutico contiene tratti di spersonalizzazione, i malati sono una casta, il malato diviene una malattia e quindi, appunto, un uomo negato. Per questo suggeriva un programma incentrato su una gestione della salute in nome degli interessi popolari, interessi che non erano contrapposti a quelli di medici e paramedici - così si chiamavano all’epoca - e che costituivano anzi una riserva di energie per una profonda riforma della sanità in Italia. La lotta che veniva proposta era condotta sul piano delle istituzioni e non contro di esse. Viene quindi per la prima volta avanzata l’idea di costituire un “Tribunale per la difesa dei diritti dell’ammalato”. In quegli anni accadeva: letti gettati dalle finestre degli ospedali dai degenti in segno di protesta per le loro condizioni; mense ospedaliere gestite dall’esercito a causa degli scioperi del personale sanitario; bambini legati ai letti per mancanza di personale; mance estorte per servizi dovuti; orari di visita al di fuori di ogni ragionevolezza, anche per i bambini degenti; abbandono dei degenti; restrizione di ogni collegamento con il modo esterno; soprusi, offese e piccole violenze; costante violazione della riservatezza e del senso del pudore; sporcizia ovunque; malati abbandonati negli escrementi; mancanza di medicine, garze, ecc… Accade anche che diventa operativa la Legge 833 del 1978 che riforma la sanità del nostro Paese istituendo il Servizio Sanitario Nazionale e che fissa questi principi: “la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività mediante il Servizio Sanitario Nazionale. La tutela della salute fisica e psichica deve avvenire nel rispetto della dignità e della libertà della persona umana. Il Servizio sanitario nazionale è costituito dal complesso delle funzioni, delle strutture, dei servizi e delle attività destinati alla promozione, al mantenimento ed al recupero della salute fisica e psichica di tutta la popolazione senza distinzione di condizioni individuali o sociali e secondo modalità che assicurano l’uguaglianza dei cittadini nei confronti del Servizio. L’attuazione del SSN compete allo

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Stato, alle Regioni e agli enti locali territoriali, garantendo la partecipazione dei cittadini. Le Associazioni di volontariato possono concorrere ai fini istituzionali del SSN…” Le difficoltà e la domanda di giustizia dei cittadini che entrano in contatto con i servizi sanitari di quegli anni, oltre che la necessità/maturità da parte del Movimento di guidare politicamente, nell’ottica dell’interesse delle persone (all’epoca si diceva popolare), l’attuazione del SSN e quindi l’implementazione della legge 833/1978 , portarono lo stesso Movimento a decidere di lanciare il 1° gennaio del 1980 il Tribunale per i diritti del malato. Da quel momento tantissime persone, alle “radici dell’erba” e “dai tetti in giù”, armati di registratori e di macchina fotografica danno il via a quella rivoluzione sanitaria e civica, a quella mobilitazione diffusa che ha come messaggio il riscatto dei cittadini malati. Insomma i cittadini iniziano ad “impicciarsi”. L’uomo malato prende il posto della malattia, delle esigenze del personale sanitario o delle procedure organizzative sino al quel momento al centro della vita degli ospedali. “Tutti possono fare qualcosa, tutti devono fare qualcosa” perché è possibile, con la collaborazione di tutti, razionalizzare, modernizzare e umanizzare uno dei settori più importanti per la vita delle persone e del Paese. Il messaggio del Tribunale si diffonde velocemente tra le persone “di bocca in bocca” aggregando migliaia e migliaia di cittadini, che iniziano a raccogliere segnalazioni ed inviarle al TDM. Tra le prime ricordiamo quella di Maria Grazia Carbone che racconta l’assistenza disumana ricevuta da sua figlia, poi deceduta, al Policlinico Umberto I di Roma. Il motivo della segnalazione, dice Maria Grazia, è “perché non accada ad altri” e questa frase ha segnato per sempre l’attività del TDM e di ciascuno che in esso si è impegnato. Maria Grazia stessa si è impegnata successivamente per anni all’interno del TDM del San Camillo di Roma e sono tanti i cittadini attivi che, come Maria Grazia, ieri come oggi, dopo esperienze personali hanno deciso di impegnarsi nella tutela dei diritti e nel TDM. Per sostenere maggiormente le segnalazioni spontanee dei cittadini, il Movimento in collaborazione con la Regione Lazio promuove un’indagine sulle condizioni dei degenti negli ospedali romani: vengono raccolte 1.100 interviste. La fotografia che ne esce è agghiacciante. All’indomani del 29 giugno del 1980 in Piazza del Campidoglio viene proclamata la prima Carta dei 33 diritti del cittadino malato, e negli anni 80 ne seguiranno altre 90 a livello locale. Sulle prime pagine dei giornali si leggeva “Il Malato ha 33 Diritti”. Con la Carta si affermano la centralità del malato con diritti concreti e l’assunzione di responsabilità da parte dei cittadini. Questi ultimi esercitano di fatto, poteri, diritti e responsabilità per promuovere l’interesse generale: si afferma nella pratica una sovranità sussidiaria (da padroni di casa della Repubblica). Tra i 33 diritti sanciti voglio ricordarne alcuni. Il diritto a non dover dare mance per ricevere un servizio o un posto letto; il diritto ad essere assisti da personale sanitario identificabile con cartellino; il diritto da parte dei malati a disporre di organi che li rappresentino (i Centri per i diritti del malato); il diritto del malato alla parità e all’eguaglianza di trattamento assistenziale; il diritto del malato anziano a non essere ricoverato in ospedale su richiesta dei parenti; il diritto della donna degente ad esercitare liberamente scelte di valori e comportamenti; il diritto dei bambini degenti ad essere assistiti senza limitazioni di tempo, soprattutto da parte dei genitori; il diritto dei bambini a non essere trattati con mezzi di contenzione; il diritto del bambino al gioco; il diritto del malato a dettare brevi osservazioni da inserire in cartella clinica; il diritto di ogni malato ad usufruire, durante la degenza, di lenzuola, federe, cuscini, coperte, posate, sedie a rotelle, forniti dall’amministrazione ospedaliera; il diritto del cittadini ad ottenere cibo di buona qualità; il diritto di tutti i malati ad usufruire di servizi igienici puliti; il diritto dei malati a vivere le giornate di degenza secondo gli orari medi della vita civile; il diritto dei malati a partecipare tramite propri rappresentanti o attraverso il Tribunale per i diritti del malato alle contrattazioni collettive tra Governo, Regioni, Sindacati; e tanti altri diritti ancora. Il messaggio politico del Tribunale, la proclamazione della Carta dei 33 diritti e le Giornate nazionali dei diritti del malato che hanno inizio a partire dal 14 giugno 1981, portano il numero delle sezioni del TDM da 50 a 150 in un solo anno, dal 1982 al 1983. Oggi siamo ad oltre 300 sezioni in tutta Italia. L’esperienza del Tribunale non è stata vista da tutti bene. Nel 1980, ad esempio, l’Ordine dei Medici di Roma invia una ingiunzione, convocando i medici che collaborano con il Tribunale per i diritti del malato e richiamandoli ai loro doveri professionali, ma nessuno dei medici che opera nel TDM si presenta all’appello dell’Ordine. Anzi, uno di loro, Giovanni Berlinguer, scrive all’Ordine dicendo che non vede la

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ragione della convocazione, dal momento che egli ha aderito al TDM proprio perché pensa che un medico non possa fare a meno di garantire in concreto la dignità delle persone malate. Quelli che condividono l’impegno del TDM e i contenuti della Carta dei 33 diritti in quegli anni sono moltissimi: cittadini comuni, medici, operatori, amministratori, professori universitari ma anche politici. Il 14 novembre del 1986, 89 deputati di partiti diversi depositano in Parlamento la proposta di Legge-Quadro sui diritti del cittadino malato, elaborata dal Movimento Federativo Democratico dopo anni di lotte all’interno delle strutture sanitarie. Il Disegno di legge riconosce finalmente alle carte dei diritti del malato e quindi ai cittadini il potere di determinare i grandi diritti alla dignità, all’informazione e alla salute sanciti dalla Costituzione. Accanto alle leggi sanitarie, accanto al codice civile e penale, viene riconosciuto alle Carte dei diritti del malato il valore di raccolte di usi e consuetudini e quindi vere e proprie fonti del diritto. Un noto costituzionalista e deputato dell’epoca, Franco Bassanini, sostiene che la proposta di legge quadro sui diritti del malato è un esempio di come si debba fare la riforma istituzionale e definisce la proposta del Movimento Federativo Democratico come una legge di attuazione costituzionale. Tra i parlamentari che sostengono fortemente il Progetto di Legge c’è il nostro Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. I diritti dopo essere stati proclamati e inseriti nelle Carte, in occasione del decennale del TDM (1990) vengono monitorati dal Tribunale attraverso il lancio di un’indagine che mobiliterà 16.000 volontari e documenterà analiticamente la situazione del Servizio Sanitario Nazionale: è il primo Rapporto sullo stato dei diritti dei cittadini. Nel 1994 il Tribunale tenta di fare una lista dei diritti contenuti in tutte le carte dei diritti di livello locale. Il frutto di questo lavoro sarà un elenco di 100 diritti, sintetizzabili in 15 gruppi. L’esperienza del Tribunale per i diritti del malato viene messa a disposizione dell’elaborazione della Carta Europea dei Diritti del Malato, presentata da Cittadinanzattiva - Active Citizenship Network - a Bruxelles nel 2002. La Carta verrà poi successivamente monitorata nella sua attuazione in 13 Paesi dell’Unione e a partire dal 2007 si celebrerà la Giornata Europea dei diritti del malato. La Carta Europea riceverà dal 2007 in poi vari riconoscimenti dal Comitato Economico e Sociale Europeo e dal Senato della Repubblica Italiana. Molti dei diritti in essa contenuti sono stati recepiti nella “Direttiva 2011/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 marzo 2011, concernente l'applicazione dei diritti dei pazienti relativi all'assistenza sanitaria transfrontaliera”. È stata inoltre recepita in Carte dei servizi, delibere regionali oltre che fonte per manifesti e carte dei diritti, in Italia e oltre confine, arrivando fino in Colombia, dove abbiamo fondato e attivato, con un gruppo di cittadini attivi locali e l’UNDP, il Tribunale per i diritti del malato colombiano a Cartagena il 25 Aprile 2011. Nel 2006, con Decreto del Presidente della Repubblica, il Tribunale per i diritti del malato ottiene la Medaglia d’Oro al Merito della Sanità Pubblica. Molti sono stati i risultati raggiunti, e vorrei ricordarli, per render merito al lavoro di decine di migliaia cittadini e cittadine attivi (e tra questi ci sono professionisti sanitari, giuristi, cittadini comuni, imprese, amministratori, politici…). Ne cito alcuni, tradendo un po’ l’emozione del momento. Abbiamo fatto in modo che le persone malate, i cittadini malati, soprattutto quelli più fragili come bambini e anziani, fossero riconosciuti come persone: diritto al gioco e allo studio per i bambini, poter avere l’amore e la presenza dei familiari costantemente, abbattendo limitazioni di orari di visita ridottissimi (non era infrequente la pratica della contenzione fisica e che per ricoveri lunghi per malattie infettive i bambini non vedessero i genitori anche per mesi), lavorato per avere geriatrie personalizzate. E ancora, su questo, lavoro da fare ce n’è, e molto: contenzione fisica e farmacologica ancora sono presenti soprattutto per gli anziani; uso di cateteri e pannoloni dove non ce ne sarebbe bisogno per supplire carenze organizzative o di organico, dimissioni forzate. E lo ricordo non al fine di scoraggiarci, ma per ripartire con determinazione in battaglie che devono andare nella direzione dell’umanizzazione delle cure. Su questo fronte, quello dell’umanizzazione, molto abbiamo ottenuto. Il miglioramento del confort, che ha trasformato gli stanzoni da 6/10 e più letti, bagni promiscui per uomini e donne, in stanze a due posti, dotate di armadietto, bagno dotato di chiave; orari di visita

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familiari più ampi; orari dei pasti più consoni. Il riconoscimento della pratica del culto religioso, quanto mai attuale nella nostra società multiculturale, con la realizzazione di stanze del silenzio o del culto. Abbiamo raccolto, catalogato, premiato e valorizzato buone pratiche, grazie al Premio Andrea Alesini per le buone pratiche in sanità e l’umanizzazione delle cure intitolato ad un direttore generale illuminato, prematuramente scomparso: migliaia i progetti raccolti, decine quelli premiati. Continue le battaglie per la semplificazione, per contrastare le odiose e incomprensibili vessazioni burocratiche, le sofferenze inutili, che aggravano la condizione di malattia. Ne sono un esempio la necessità per le persone affette da patologie croniche e ingravescenti di doversi sottoporre a visita di controllo per la conferma dell’invalidità civile e accompagnamento, o la necessità di rivedere l’esenzione per patologia. Battaglie in parte vinte, con l’approvazione della l. 80 del 2006 e del decreto Semplifica-Italia, ma ancora da far applicare pienamente. Proseguendo sulla scia delle sofferenze e il dolore non necessari, anni e anni di battaglie hanno portato ad avere non solo una legge che sancisce che non soffrire è un diritto di tutti (persona malata e familiari), in ogni luogo di cura (casa, ospedale, strutture residenziali), in ogni momento dell’assistenza (quando il dolore è acuto, cronico o si è nella fine della vita). È la legge 38/10, un punto di arrivo importante per il riconoscimento della dignità della persona e per superare affermazioni come “tanto di dolore non si muore” o “bisogna sopportare”. Anche grazie al TDM oggi la terapia del dolore e le cure palliative sono un Livello Essenziale di Assistenza. Ma ancora questo non è sufficiente per garantire l’attenzione e la riduzione del dolore in tutti i casi in cui ciò è possibile e necessario: dopo interventi chirurgici, al pronto soccorso, al momento del parto, etc. Ma su questo, anche da componenti della Sezione terapia del dolore e cure palliative del Comitato Tecnico Sanitario del Ministero della Salute, con il programma IN-DOLORE e con il lavoro quotidiano delle sedi del TDM lavoreremo per migliorare le cose e far sì che, ad esempio, la parto-analgesia diventi LEA e garantita per legge. Abbiamo reso misurabile l’umanizzazione delle cure, mettendo a punto la metodologia e lo strumento di rilevazione e intervento per migliorare le cose, in collaborazione con Agenas che ha interessato 278 strutture. Un grande valore aggiunto nella valutazione dei servizi, aspetto questo troppo spesso formale e non fedele alle esperienze dei cittadini, quindi sostanziale. Migliaia i cittadini coinvolti e istruiti perché mettessero il naso e quindi bocca sui servizi, capitalizzando l’esperienza dell’AUDIT CIVICO avviato nel 2001. L’AUDIT CIVICO, sulla base di standard e indicatori definiti a partire dalle Carte dei diritti del malato, vede un processo di analisi dei dati e valutazione condotto pariteticamente tra responsabili civici e responsabili aziendali, e piani di miglioramento condivisi. Insomma i cittadini in Italia hanno conquistato ed esercitato il diritto a controllare di persona la qualità dei servizi offerti. Fino ad oggi sono stati realizzati 411 cicli di AUDIT CIVICO, 15 programmi regionali e 6 rapporti nazionali e la sperimentazione in ambiti come la rete dell’emergenza-urgenza, i dipartimenti per le dipendenze e i SERT, l’assistenza protesica e integrativa, l’assistenza domiciliare. Abbiamo lavorato perché il diritto elementare, ma non scontato, a ricevere le informazioni su servizi, prestazioni, modalità di accesso, fosse riconosciuto e concretizzato: abbiamo lavorato alla stesura del decreto che ha istituito le Carte dei Servizi. Abbiamo realizzato numerose campagne di informazione ed empowerment, nelle piazze, negli ospedali, nei centri commerciali, per spiegare servizi e diritti: dal consenso informato, alla prevenzione di patologie importanti come quelle oncologiche, di cuore e cervello, sul dolore, sui ticket, sulla procreazione medicalmente assistita, etc. Esperienze tragiche come le morti avvenute nella camera iperbarica della clinica Galeazzi di Milano e i trapianti di cornee infette al Policlinico Umberto I di Roma hanno trovato immediata risposta con la messa a punto di Ospedale sicuro, il programma che ha evidenziato l’inesistenza di governi di sicurezza, come hanno dimostrato i monitoraggi di 150 ospedali e i risultati che ogni anno sono stati resi pubblici, in una classifica che rilevava gli ospedali con situazioni più critiche e allarmanti. L’impegno per la sicurezza è stato forte e determinato: imparare dall’errore, la carta della sicurezza nella pratica medica hanno fatto da apripista alla messa a punto di strumenti di controllo degli errori negli ospedali e nei contratti del personale sanitario. La battaglia per un consenso davvero informato, scritto, proposto per tempo ha prodotto alcuni risultati, come la realizzazione di consensi scritti insieme al Tribunale per i diritti del malato, la formalizzazione scritta, ma ancora molto c’ è da fare. Sul fronte della sicurezza, poi, non possiamo dimenticare il lavoro fatto attraverso azioni legali vinte per malpractice: cause per la mancanza del consenso informato, per lesioni da decubito, per infezioni ospedaliere, per morti sospette, sulla nota vicenda del sangue infetto, etc.

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Sulla vicenda sangue infetto abbiamo fatto pressioni e ottenuto l’approvazione della l. 210/92, che riconosce il diritto all’indennizzo ai danneggiati da sangue infetto per epatite e HIV, oltre che aiutato migliaia di persone a compilare e presentare la domanda nei tempi dovuti. Grazie ad azioni legali pilota abbiamo ottenuto che la legge 40 sulla Procreazione Medicalmente Assistita abbattesse limitazioni incomprensibili, come quelle che colpivano persone affette da malattie genetiche. E ancora, in merito al diritto al rispetto del tempo del paziente, non possiamo dimenticare le battaglie storiche sulle liste d’attesa, messe nell’agenda politica anche grazie alle nostre pressioni, per una maggiore trasparenza, la cancellazione di quelle pratiche che vedevano persone accampate fuori dall’ospedale sin dalla notte per prendere il numeretto e avere accesso alle prestazioni, attraverso l’istituzione dei centri unici di prenotazione (CUP) e i codici di priorità. Ma anche su questo ancora molto c’è da fare per unificare le agende di prenotazione, renderle davvero trasparenti, soprattutto per gli interventi chirurgici. Sul fronte dell’emergenza-urgenza il TDM ha accompagnato la realizzazione di strutture fondamentali come l’istituzione della centrale operativa 118, l’introduzione del triage e la recente Carta dei diritti al pronto soccorso. Ci siamo battuti per l’accesso ai farmaci, ottenendo che fossero erogati a carico del SSN decine di farmaci per persone affette da malattie croniche, rare, oncologiche; che le procedure per la prescrizione dei farmaci oppioidi fossero semplificate (prescrizione in triplice copia e necessità di procedure di sicurezza ostacolavano la prescrizione e l’accesso per le persone che ne avevano bisogno, in particolare quelle nella fase terminale della vita). Sempre sul fronte della partecipazione dei cittadini, non si può dimenticare l’impegno e il successo ottenuto nel D.Lgs 502/92, che all’art. 14 riconferma il diritto alla partecipazione come parte integrante della riforma sanitaria e le organizzazioni di cittadini come attori nella governance del sistema sanitario. Il TDM ha sostenuto il cambiamento dell’assetto istituzionale del SSN attuato con il 502/92 che ha previsto la cessazione della poco gloriosa storia dei comitati di gestione e l’affermazione dell’aziendalizzazione: la scelta non è stata facile, anche per l’ancora pressante ingerenza partitica. Per questo fu promossa e sostenuta, anche dal TDM, la nascita della Federazione Italiana Aziende Sanitarie e Ospedaliere (FIASO) che avrà la prima sede proprio presso il Movimento Federativo Democratico. Per far contare di più la voce dei cittadini, in particolare di quelli affetti da patologie croniche e rare, istituisce il Coordinamento nazionale delle Associazioni dei Malati Cronici (CnAMC), che conta oggi oltre 100 tra associazioni e federazioni di associazioni di pazienti. Obiettivo: portare avanti politiche unitarie sul tema delle cronicità, anche attraverso il Rapporto Annuale sulle politiche delle cronicità. Il lavoro svolto ha portato alla messa a punto del primo Piano nazionale della cronicità, al quale stiamo lavorando, insieme alle associazioni, alle società scientifiche e al Ministero della salute. Abbiamo tutelato centinaia di migliaia di cittadini. E continuiamo a farlo gratuitamente, ogni giorno, attraverso le sezioni del TDM e i servizi PIT. Diamo voce alle esperienze dei cittadini ed alle difficoltà che incontrano con i servizi sanitari attraverso il Rapporto PIT Salute, giunto alla sua 18esima edizione. E i loro occhi e le loro storie ci raccontano di un’Italia stretta e lunga, nella quale i diritti cambiano spostandosi da un confine amministrativo ad un altro: tra le regioni, ma anche all’interno della stessa regione, tra aziende sanitarie e distretti. Per questo, per restituire la fotografia più compiuta della realtà e avere interventi più mirati alle esigenze del territorio, il TDM si è dotato nel 2011 dell’ Osservatorio Civico sul Federalismo in Sanità, che produce ogni anno un Rapporto apprezzato tanto dalle Istituzioni italiane, quanto da quelle europee, che ne hanno tradotto alcune parti per documenti ufficiali sullo stato dell’arte dei servizi in Italia. Il primo e fondamentale risultato tangibile raggiunto con l’Osservatorio civico è quello di aver fatto fare un balzo in avanti alle Istituzioni, in particolare passando da un controllo formale dei LEA ad un controllo sostanziale, come prevede il recente Patto per la salute. Siamo impegnati nel monitoraggio del rispetto dei diritti delle persone con disabilità sanciti nella Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, attraverso la partecipazione all’ Osservatorio nazionale istituito presso il Ministero del lavoro e politiche sociali. Stiamo lavorando insieme a tanti amici per il superamento reale degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari (OPG): grazie alla campagna STOPOPG, nella quale siamo tra i promotori, la chiusura degli OPG è una prescrizione di legge. Ma soprattutto abbiamo inciso nel cambiamento della mentalità del sistema, della politica sanitaria e di tanti operatori. Abbiamo dato coraggio ai cittadini: se non ci fossimo stati noi, forse, sarebbero rimasti a

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casa con la loro rabbia e rassegnazione, invece abbiamo aggregato energie positive e voglia di fare “perché non accada ad altri”. Anche grazie all’ attività pressante del TDM, il nostro Servizio Sanitario Nazionale pubblico è considerato uno dei migliori sistemi al mondo nelle classifiche internazionali, ma sul quale, tutti sappiamo bene che dobbiamo lavorare e molto, per proteggerlo, migliorarlo e rilanciarlo. Il SSN è una conquista irrinunciabile e una necessità per i cittadini: questo come affermavamo già nel 1985 può funzionare meglio e a costi minori per la collettività, solo a condizione di assumere come punto di vista portante quello degli utenti di tale servizio. La centralità del malato, assunta sin dall’inizio come asse portante del messaggio e delle azioni del TDM, oggi come ieri, rappresenta non soltanto il principio guida sulla base del quale organizzare o ri-organizzare il SSN, ma anche il faro per definire la road map per la sua sostenibilità. Ma intendiamoci bene sul significato di sostenibilità: finora l’unica sostenibilità affrontata è stata quella di carattere economico che si è tradotta in tagli lineari alle risorse economiche, umane e strumentali, con razionamento di servizi e compressione di tutele e diritti, sacrificando i principi fondanti del SSN: equità, universalismo e solidarietà. E invece proviamo a partire dal concetto di sviluppo sostenibile, vale a dire “uno sviluppo che soddisfa i bisogni del presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri bisogni” come afferma la Commissione mondiale sull’ambiente e lo sviluppo. Traslando questo assunto al nostro SSN, è evidente che esiste una responsabilità dell’attuale generazione della classe dirigente -e non solo- politica, amministrativa, professionale, civica, delle imprese, di consegnare alle generazioni future, e quindi ai nostri figli e nipoti, un bene comune, conquista irrinunciabile e necessità qual è il SSN, integro nei suoi principi fondamentali, e possibilmente migliore dell’attuale. Questa responsabilità non pensiamo possa essere esercitata proponendo, come unica soluzione alla sostenibilità, le forme integrative di finanziamento privato, che lascerebbero fuori ad esempio disoccupati, anziani, precari. Invece illuminanti sono le conclusioni alle quali giunge la Commissione Igiene e Sanità del Senato della Repubblica nell’indagine conoscitiva sulla sostenibilità del SSN, che fa proprie le conclusioni del Rapporto di Roy Romanow, della Commissione sul futuro del servizio sanitario in Canada (2002) che afferma “Non vi è alcuno standard su quanto un Paese dovrebbe spendere per la salute. La scelta riflette la storia, i valori e le priorità di ciascuno e – aggiunge – il sistema è tanto sostenibile quanto noi vogliamo che lo sia”. In altre parole stiamo parlando di una scelta che è prima di tutto politica. E la scelta per noi è chiara e indiscutibile: continuare a garantire un Servizio Sanitario Pubblico, migliorandolo e rilanciandolo. Non dobbiamo soffocare in nome della crisi economica e del rigore dei conti, la domanda forte che c’è oggi, come ieri, di vecchi e di nuovi diritti e di un servizio sanitario pubblico forte, efficiente ed efficace. Anzi la prima azione concreta che chiediamo a Governo e Regioni è l’abrogazione del super-ticket di 10 euro sulla ricetta. La realtà oggi per i cittadini è questa: difficoltà crescenti ad accedere alle prestazioni di cui si ha bisogno e necessità di compensare mettendo mano al portafoglio, come dimostrano le segnalazioni che gestiamo; costi privati per prestazioni e servizi, oltre che ticket sempre più pressanti ed alti, tanto da rendere le prestazioni offerte nel pubblico più costose del privato in alcuni casi. E intanto il 9,5% della popolazione rinuncia a curarsi (dati ISTAT 2015), mentre i ticket sono aumentati del 25% tra il 2010 e il 2013 e ancora continuano a crescere (+1,1% nel 2014). La sfida per il nostro Paese è quella di riuscire a mantenere in perfetto equilibrio l’esigenza del pareggio di bilancio con il rispetto, la tutela e il riconoscimento dei diritti dei cittadini. Questo, dal nostro punto di vista, è possibile per quanto riguarda il SSN, attraverso un suo vero ed effettivo ammodernamento, funzionale al suo rilancio. E l’ammodernamento parte dallo stesso mandato del TDM e cioè riorganizzare il SSN a partire dalla centralità del malato, dei suoi bisogni e non di altri interessi, che nulla hanno a che vedere con il servizio di cura, assistenza e produzione di salute che al SSN è affidato. Gli assi per rilanciare e ammodernare il Servizio Sanitario Nazionale pubblico, ispirandoci a quanto affermato da Romanow, sono sintetizzabili in tre parole chiave:

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1. Servizi. Devono essere garantiti tutti -e solo- i servizi necessari ed essenziali (i LEA) per

soddisfare le esigenze di salute dei cittadini, garantendo qualità e accessibilità universale e tempestiva, secondo principi di appropriatezza, efficienza ed efficacia che evitino sprechi e ridondanze intollerabili da un punto di vista etico prima che economico.

2. Bisogni. Il SSN deve essere centrato sui bisogni di salute e assistenza dei cittadini che cambiano, in un’ottica non solo individuale, ma di comunità. E questo sfida il sistema a migliorarsi continuamente nelle performance e nell’organizzazione; a promuovere politiche integrate per la salute: nell’ambiente, nelle politiche industriali, nell’istruzione, nella scelte di mobilità pubblica, etc.

3. Risorse. Non sono solo quelle economiche, ma anche il patrimonio strutturale, il parco tecnologico, la ricerca, i sistemi informativi, e soprattutto le risorse umane e professionali necessarie per garantire servizi. Questa dimensione sottolinea, fra l’altro, la rilevanza del lavoro di cura, il ruolo della trasparenza e dell’integrità del sistema, l’importanza della qualità dei luoghi dove sono assistiti e vivono i cittadini, il valore dell’innovazione e della ricerca, la centralità della formazione e dell’aggiornamento professionale, il riconoscimento del merito.

Dobbiamo quindi guardare all’erogazione e alla garanzia dei Livelli Essenziali di Assistenza e non all’esistenza di contenitori, magari vuoti e costosi, come strutture che esistono, ma di fatto non funzionano, sono insicure e mettono a rischio i cittadini. Tutto questo si traduce in un rinnovamento dell’attività del TDM per essere all’altezza delle nuove sfide. Vuol dire quindi guidare nelle regioni, con le regioni, e con le aziende sanitarie, la corretta implementazione del nuovo Regolamento sugli standard ospedalieri, sostenendo in particolare l’implementazione del modello ad intensità di cura, centrato sulla persona, non primariati o altre esigenze; sostenere e far attuare lo sviluppo di reti cliniche. Vuol dire anche pretendere e presidiare che sia garantita la giusta contropartita in termini di risposte sicure nei casi di emergenza-urgenza e nell’assistenza territoriale, che veda nelle cure primarie un sistema all’altezza dei bisogni di integrazione, assistenza e presa in carico. Vuol dire pretendere e definire standard nazionali dell’assistenza territoriale, a partire da quella domiciliare, che ancora oggi in molte realtà è un lusso per pochi e a pagamento. Vuol dire “impicciarsi” al livello nazionale e regionale dei contratti collettivi, orientandoli ai bisogni dei cittadini, a partire da quelli dei Medici di Medicina Generale e Pediatri di Libera Scelta, in discussione. Vuol dire investire di più in prevenzione, in un’ottica integrata come indica l’Europa che sostiene “la salute in tutte le politiche”. Vuol dire sostenere la vera innovazione tecnologica e selezionare quella utile attraverso processi partecipati di Health Technology Assessment (HTA). Vuol dire lavorare, promuovere e implementare Percorsi Diagnostico-Terapeutici Assistenziali, e mi permetto di aggiungere che dovremmo iniziare a parlare di PPDTA, dove la seconda P sta per prevenzione. Vuol dire investire nella salute mentale e nel ruolo delle comunità e delle persone–risorsa per la comunità. Vuol dire per i cittadini esserci e presidiare i processi di centralizzazione e accorpamento in corso, a partire dagli acquisti e dalla riorganizzazione delle ASL, per salvaguardare qualità, accessibilità, personalizzazione, innovazione, efficienza, trasparenza e partecipazione. Vuol dire accompagnare e sostenere una nuova politica del personale sanitario che risponda meglio ai bisogni dei cittadini, alla ri-organizzazione del SSN, e che riconosca e valorizzi le competenze degli uomini e delle donne professionisti sanitari. Vuol dire promuovere la cultura del merito nelle nomine di direttori generali, sanitari, amministrativi, primari, amministratori… e contrastare clientelismi e corruttele. Vuol dire promuovere e realizzare davvero un sistema trasparente nella definizione delle scelte e nella gestione dei servizi, a partire dalla questione più importante per i cittadini: le liste d’attesa. Vuol dire lavorare insieme ad una nuova normativa sulla responsabilità professionale che mantenga fermo il diritto al risarcimento del danno sofferto dal cittadino, ma contestualmente restituisca serenità ai professionisti in modo da contribuire a ridurre l’alibi dell’iper-prescrizione e le spese inutili per medicina difensiva. Vuol dire continuare a rimuovere le sofferenze inutili, l’aggravio della burocrazia e della cattiva organizzazione dei servizi, come il “palleggio tra professionisti” per la prescrizione.

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Vuol dire spingere tutti gli attori a superare il proprio “orticello”, per la tutela e il rilancio del SSN, attuando uno dei principi che ha animato i cittadini attivi del TDM: “ciascuno sa che non può ottenere niente per sé, senza ottenere qualcosa per tutti”. Sto parlando di un Movimento di persone che rinnova il suo impegno, che ha a cuore il SSN pubblico e i diritti dei cittadini malati, dei principi di solidarietà, equità, universalità che lo caratterizzano. Il messaggio che stiamo portando in giro per l’Italia con un tour che rimette al centro i diritti vuole dimostrare vicinanza e solidarietà alle persone malate, non importa la patologia che hanno. Vogliamo parlare in modo nuovo della malattia, come condizione possibile e comune, che può essere affrontata anche col sorriso se vengono rimossi quegli ostacoli che portano sofferenze inutili e ne limitano la dignità. Ma vuole anche riportare al centro il valore della salute, come bene comune, per la persona, per la collettività, per lo sviluppo economico e sociale del Paese. Prima di concludere vorrei ringraziare uno a uno i volontari del Tribunale per i diritti del malato di ieri e di oggi e gli attivisti del Movimento tutti; gli amici delle associazioni di pazienti che lavorano con noi; i numerosi compagni di viaggio. Grazie di cuore a tutti! Voglio concludere con il motto della campagna:

“Sono malato anch’io. La mia salute è un bene di tutti”.

E io aggiungo, il Servizio Sanitario Nazionale anche! Difendiamolo insieme!

Tonino Aceti Coordinatore nazionale Tribunale per i diritti del malato Responsabile Coordinamento nazionale Associazioni Malati Cronici

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21/6/2015 Emergenza accesso alla sanità: una nuova priorità per il governo - Pair - Piccole Associazioni in RetePair – Piccole Associazioni in Rete

http://www.associazioniinrete.it/blog/2015/06/19/emergenza-accesso-alla-sanita-una-nuova-priorita-per-il-governo/ 1/3

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Emergenza accesso alla sanità: una nuova priorità per il

governo

2015-06-19 By Agostino Posted in Notizie PAIR, Notizie Varie

Cresce la paura degli italiani per la copertura sanitaria nel futuro. Siallungano le attese nel pubblico e si amplia il ricorso al privato, che ormaicoinvolge anche i redditi bassi: complessivamente 33 miliardi di euro dispesa sanitaria «out of pocket» nel 2014, un miliardo in più in un anno. Ecresce la richiesta per un intervento rapido sulle liste di attesa, la prioritànumero uno secondo le famiglie.

Ansia crescente per la salute. Un miliardo di euro in più in un anno uscito dalle tasche degli italiani, per un

totale di 33 miliardi nel 2014 (+2% rispetto all’anno precedente). A tanto ammonta la spesa sanitaria «out of

pocket». Mentre la spesa sanitaria pubblica supera i 110 miliardi di euro. Ma tutto ciò non cura l’incertezza degli

italiani sulla salute. Il 63,4% si dichiara insicuro rispetto alla copertura sanitaria futura (il 77,1% al Sud, il 74,3%

delle famiglie monogenitoriali, il 67% delle coppie con figli). E il 54% degli italiani indica come priorità del welfare la

riduzione delle liste di attesa (il 62,6% dei 29-44enni, il 59,1% dei residenti al Sud). È quanto emerge da una

ricerca Censis-Rbm Salute.

Peggiorano le liste di attesa. Mentre cresce la paura, il servizio sanitario pubblico è sempre più intasato.

Nell’ultimo anno si sono allungate le liste di attesa: 20 giorni in più per una risonanza magnetica al ginocchio (da

45 a 65 giorni), 12 giorni in più per una ecografia dell’addome (da 58 a 71 giorni), 10 giorni in più per una

colonscopia (da 69 a 79 giorni).

Perché il privato diventa conveniente. Una colonscopia senza biopsia nel pubblico costa mediamente 56 euro

di ticket e richiede 3 mesi di attesa (fino a un massimo di 6 mesi nel Centro Italia) oppure costa 224 euro nel

privato con una settimana di attesa: il costo a carico del cittadino è di 28 euro per ogni giornata in meno di attesa.

Una risonanza magnetica al ginocchio nel pubblico richiede un ticket di 63 euro e 74 giorni di attesa, 142 euro di

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21/6/2015 Emergenza accesso alla sanità: una nuova priorità per il governo - Pair - Piccole Associazioni in RetePair – Piccole Associazioni in Rete

http://www.associazioniinrete.it/blog/2015/06/19/emergenza-accesso-alla-sanita-una-nuova-priorita-per-il-governo/ 2/3

costo nel privato con soli 5 giorni di attesa. Sono 22 milioni gli italiani che nell’ultimo anno hanno fatto almeno un

accertamento specialistico (radiografia, ecografia, risonanza magnetica, Tac, elettrocardiogramma, pap-test, ecc.):

5,4 milioni hanno pagato per intero la prestazione (1,7 milioni di questi sono persone a basso reddito). E sono 4,5

milioni gli italiani (di cui 2,8 milioni a basso reddito) che hanno dovuto rinunciare ad almeno una prestazione.

Pagare diventa per tutti, anche per le persone con redditi bassi, la condizione per accedere alla prestazione in

tempi realistici.

Il costo sociale ed economico delle liste di attesa. Oltre 9 milioni di italiani hanno effettuato visite

specialistiche nell’ultimo anno nel privato a pagamento intero (2,7 milioni di questi sono persone a basso reddito).

Puglia e Campania sono le due regioni in cui è più alto il ricorso agli specialisti privati. È questo uno degli esiti

della lunghezza delle liste di attesa: 69 giorni in media per una visita oculistica con ticket di 42 euro nel pubblico

contro 6 giorni di attesa nel privato con pagamento intero per 102 euro, 58 giorni di attesa per una visita

cardiologica nel pubblico e 5 giorni nel privato (con un costo di 42 euro nel pubblico e di 108 euro nel privato), 48

giorni per una visita ortopedica nel pubblico e 5 giorni nel privato (32 euro di ticket e più del triplo nel privato), 38

giorni per una visita ginecologica nel pubblico e 5 giorni nel privato (31 euro di ticket e 103 euro nel privato). Chi

riesce ad andare dallo specialista è soddisfatto: assegna un voto medio di 8,2 su 10 (e il 72,4% degli utenti dà una

voto pari ad almeno 8).

Riabilitazione in tempi rapidi? Solo nel privato. Oltre 4 milioni di italiani si sono sottoposti a trattamenti di

riabilitazione nell’ultimo anno. Con riferimento all’ultimo ciclo terapeutico, il 54% ha pagato per intero, il 16% ha

pagato il ticket e il 30% era esentato. Anche tra le persone a basso reddito il 27,3% ha pagato per intero la

prestazione. Il costo medio è di 37 euro per una prestazione di riabilitazione motoria nel privato (con soli 4 giorni di

attesa) e di 7 euro di ticket (ma con un mese di attesa). Stando così le cose, 1,5 milioni di italiani hanno

rinunciato a fare la riabilitazione (di questi, 934.000 perché costava troppo).

Dove le differenze tra pubblico e privato si stemperano. Per le analisi di laboratorio, pubblico o privato pari

sono, perché comunque si paga e si aspetta più o meno lo stesso tempo. Per l’analisi dell’emocromo completo i

tempi di acceso e i costi sono ormai quasi equivalenti: 7 euro di ticket e 10 euro di costo nel privato. Insomma, si

paga sempre, ma l’accesso è molto rapido, come hanno constatato i 29,6 milioni di italiani che hanno fatto esami

del sangue nell’ultimo anno.

E l’intramoenia non aiuta. Il servizio privato all’interno delle strutture pubbliche ha costi di solito superiori al

privato puro e tempi di attesa più lunghi. Una visita cardiologica costa in media 113 euro con 7 giorni di attesa in

intramoenia, 108 euro e 5 giorni di attesa nel privato. Una risonanza magnetica del ginocchio senza contrasto

costa in intramoenia 152 euro con 11 giorni di attesa, 142 euro con 5 giorni di attesa nel privato puro. Una prima

visita oculistica costa 105 euro con 12 giorni di attesa in intramoenia, 102 euro con 6 giorni di attesa nel privato

puro.

Questi sono i principali risultati della ricerca di Censis-Rbm Salute «Oltre l’attuale welfare integrativo: rinnovare la

previdenza complementare e la sanità integrativa», promossa in collaborazione con Previmedical, presentata oggi

a Roma al V «Welfare Day», in cui sono intervenuti, tra gli altri, Giuseppe De Rita e Carla Collicelli del Censis,

Roberto Favaretto, Presidente di Rbm Salute e di Previmedical, e Marco Vecchietti, Amministratore Delegato di

Previmedical.

Censis

http://www.censis.it/7?shadow_comunicato_stampa=121019

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21/6/2015 Badanti, lavoro irregolare e diritti negati: ma curano un milione di anziani - Pair - Piccole Associazioni in RetePair – Piccole Associazioni in Rete

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Segreteria :

Benvenuti nel nostro sito !

Badanti, lavoro irregolare e diritti negati: ma curano un

milione di anziani

2015-06-19 By Agostino Posted in Notizie PAIR, Notizie Varie

Soleterre e Irs hanno condotto una ricerca che è scaturita inun rapporto sul lavoro domestico di cura. In Italia si stimanooltre 830 mila badanti, soprattutto dell’Est Europa: numeroconsiderevole se paragonato a quello dei dipendenti del Ssn(646 mila unità)

Sempre più famiglie in Europa affidano la cura dei propri cari – minori, anziani, disabili – e della propria casa a

lavoratori domestici e di cura. Si tratta per la maggior parte di migranti, soprattutto donne, spesso vittime di

discriminazioni multiple sul fronte dei diritti e della protezione sociale. Si tratta di un fenomeno sempre più

rilevante: per questo Soleterre, in collaborazione con IRS – Istituto per la Ricerca Sociale, ha condotto un progetto

di ricerca-azione finanziato dal Fondo Europeo per l’Integrazione che – a partire da una ricognizione su quantità,

modalità di lavoro e condizioni di vita di queste lavoratrici – ha recensito, analizzato e sperimentato

buone pratiche e politiche riguardanti le lavoratrici domestiche e di cura migranti in Italia ed Europa. Da

questa indagine è scaturito il rapporto “Lavoro domestico e di cura: Buone pratiche e benchmarking per

l’integrazione e la conciliazione della vita familiare e lavorativa”.

I risultati. Dall’indagine emerge una sostanziale differenza a livello europeo: nei Paesi con migrazione fortemente

regolata e servizi di cura pubblici ben strutturati, i lavoratori domestici e di cura – anche stranieri – sono occupati

prevalentemente in forma regolare (ad es. in Danimarca, Regno Unito e Francia); in quelli con un’offerta più

debole di servizi assistenziali e regimi migratori meno gestiti, l’assunzione è invece a titolo individuale e

spesso irregolare (ad es. Spagna, Grecia e Italia). “Anche se – si afferma -, a fronte di una crescente domanda

sociale, si stanno moltiplicando le iniziative di enti locali e del privato sociale”.

Nel nostro Paese si stimano oltre 830 mila badanti, un numero considerevole se paragonato a quello dei

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21/6/2015 Badanti, lavoro irregolare e diritti negati: ma curano un milione di anziani - Pair - Piccole Associazioni in RetePair – Piccole Associazioni in Rete

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dipendenti del Servizio sanitario nazionale che si attesta intorno alle 646 mila unità. “La maggior parte delle

badanti è di origine straniera (ben il 90%) elavora senza contratto – si sottolinea -. Sul totale, infatti, il 26% è

costituito da lavoratrici che non hanno un regolare permesso di soggiorno, il 30,5% da lavoratrici con permesso

regolare senza contratto mentre solo il 43,5% lavora in regola”. La stragrande maggioranza delle assistenti familiari

(badanti) che lavorano nelle case degli italiani proviene dall’Europa dell’Est (in particolare Ucraina, Romania e

Moldavia) e dal Sud-America (soprattutto Ecuador e Perù). Negli ultimi anni si registra un aumento delle

provenienze dai paesi dell’Est, in particolare dalla Romania, e una contestuale riduzione del peso delle

sudamericane, i cui flussi sono stati consistenti all’inizio degli anni Duemila per poi degradare. Si tratta in larga

parte di donne ultraquarantenni, madri, i cui figli risiedono perlopiù nel Paese d’origine.

Ed ancora: “La condizione di irregolarità (nei permessi di soggiorno e nel contratto di lavoro),

il riconoscimento solo parziale dei diritti e la difficoltà a conseguire l’autonomia abitativa sono i tre

fattori che incidono maggiormente sulla qualità di vita e sulla possibilità di conciliazione vita/lavoro di queste

lavoratrici. In particolare, incidono sulla possibilità di attuare un ricongiungimento proprio con i figli: troppo

spesso ci si dimentica, infatti, che la maggior parte delle assistenti familiari ha dovuto lasciare il Paese d’origine

per mantenere se stesse e le proprie famiglie ed è costretta a vivere lontana dai propri figli (i c.d. orfani bianchi).

Una situazione che crea profondo disagio psicologico nelle donne (dal 2006 nei paesi dell’Est si è cominciato a

parlare di “sindrome Italia” per definire lo stato depressivo di molte badanti rientrate dopo anni di lavoro nel nostro

Paese) e anche nei loro bambini/ragazzi favorendo l’insorgenza di comportamenti a rischio sociale ed educativo”.

Il fenomeno, negli ultimi anni, ha rallentato la corsa e risulta meno dinamico. Nel corso del 2013 i

lavoratori domestici che hanno ricevuto almeno un versamento contributivo erano 944.634, di cui solo il 38%

occupati in qualità di badante (361.517). Secondo il rapporto “si tratta, evidentemente, di dati che sottostimano la

reale diffusione del lavoro privato di cura, per diversi motivi: sono esclusi dal computo i lavoratori impiegati

irregolarmente, quelli cioè a cui il datore di lavoro non versa gli oneri contributivi; alcuni dei lavoratori classificati

come colf possono in realtà svolgere anche attività di cura e assistenza alle persone anziane. La stima del numero

di tutte le assistenti familiari (badanti), anche irregolari, si basa su una procedura, affinata negli anni, che unisce

fonti ufficiali e fonti informali. Si basa su un calcolo che utilizza i dati Inps relativi ai lavoratori domestici, i dati sui

cittadini stranieri residenti (Istat) e su quelli irregolarmente soggiornanti (Ismu), nonché la testimonianza di molti

interlocutori – nei Centri di ascolto della Caritas, nei sindacati, nelle associazioni, nel volontariato, nella

cooperazione sociale, nei servizi impegnati nell’orientamento e accompagnamento all’inserimento lavorativo – che

ci aiutano a mettere a fuoco le dimensioni del fenomeno”.

Delle 830 mila assistenti familiari che si stimano lavorare in Italia, molte stanno nel cosiddetto sommerso. Infatti,

si calcola che: oltre un quarto (26 per cento) lavora e, trattandosi di straniere senza permesso di

soggiorno valido, risiede irregolarmente in Italia (216 mila lavoratrici); circa un terzo (30,5 per cento), pur

risiedendo in maniera regolare perché italiana o straniera con permesso valido, lavora senza contratto (253 mila);

infine, vi è chi lavora in regola con un contratto, che rappresenta il 43,5% del totale (361 mila). Complessivamente,

quindi, l’irregolarità contrattuale riguarda quasi due terzi delle assistenti familiari operanti nel nostro Paese”.

Tenendo presente che una parte di queste 830 mila lavoratrici può assistere anche due persone, in

maniera più o meno intensa, il numero di anziani assistiti da una badante si può ragionevolmente

stimare intorno al milione.

Si tratta di circa il doppio degli anziani che beneficiano dell’Assistenza domiciliare integrata, quasi cinque volte gli

ultra 65enni non autosufficienti ricoverati in strutture residenziali e quasi sei volte il numero di persone anziane

seguite a domicilio dai servizi di assistenza domiciliare comunali. Nonostante la crisi e la perdita di potere

d’acquisto delle famiglie, il lavoro privato di cura rimane quindi una risposta essenziale alla non autosufficienza.

“In Italia gli occupati in questo settore – dice Alessandro Baldo, responsabile del Programma Migrazioni di

Soleterre – sono quintuplicati in meno di 10 anni, soprattutto per via dell’aumento delle lavoratrici straniere. Un

contributo fondamentale e preziosissimo al fabbisogno di servizi di cura e di assistenza familiare che la nostra

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21/6/2015 Badanti, lavoro irregolare e diritti negati: ma curano un milione di anziani - Pair - Piccole Associazioni in RetePair – Piccole Associazioni in Rete

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i cui soci sono altre associazioni

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società – in costante invecchiamento – denota. Eppure è un’occupazione ancora percepita come qualcosa di

diverso dal lavoro ‘regolare’, quasi un ‘non lavoro’: culturalmente si fatica ad evolversi dalla considerazione di

un’attività caratterizzata da rapporti informali e totalizzanti. Per questo – conclude -, oltre che all’adozione di

normative che garantiscano le tutele di queste lavoratrici, occorre sensibilizzare gli enti locali e le

famiglie che si avvalgono del loro servizio a riconoscerne e tutelarne le condizioni di benessere psico-sociale

e di conciliazione dei tempi di vita, famiglia e lavoro. Oltre a riconoscere l’impatto sociale e il debito di cura che

tale sistema genera come ricaduta sulle società di partenza”. Il rapporto e i risultati del progetto verranno

presentati e discussi oggi 15 giugno e il 16 giugno a Roma, nel corso di due incontri organizzati in occasione della

“Giornata Internazionale dei lavoratori domestici”

Redattore Sociale

http://www.redattoresociale.it/Notiziario/Articolo/485192/Badanti-lavoro-irregolare-e-diritti-negati-ma-curano-un-

milione-di-anziani

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21/6/2015 Tema XV edizione - Le Giornate di Bertinoro

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L’Economia della Coesione nell’era della

vulnerabilità

I cambiamenti in corso nelle modalità di produzione di valore

esigono l’implementazione di nuovi modelli di sviluppo che

facciano del perseguimento del ben-essere il loro obiettivo

primario. Il tradizionale modello dicotomico, che riduce e confina

la generazione di ricchezza all’interno del mercato e l’attuazione di

policy per l’equità e la coesione sociale all’interno della sfera

statuale, costituisce un freno allo sviluppo. Sempre più stringente

è, infatti, la necessità di uscire da modelli di produzione del valore

che contemplano una logica verticale secondo cui i soggetti for

profit producono valore economico, i soggetti della società civile

producono beni relazionali e le istituzioni pubbliche producono

beni pubblici.

Lo scenario economico e sociale in mutamento ha messo in crisi

questi tradizionali sistemi, costringendo sempre più gli attori della

società a trovare nuovi meccanismi di produzione del valore .

Se il mercato è inteso non meramente come luogo di scambio di

beni e servizi, bensì come fattore di umanizzazione in quanto

istituzione che consente ad una pluralità di soggetti di

sopravvivere ed esprimersi secondo il principio della libertà di

impresa, allora la fiducia, elemento fondamentale per il corretto

funzionamento del mercato così inteso, va alimentata attraverso la

Tema XV edizione

¹

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21/6/2015 Tema XV edizione - Le Giornate di Bertinoro

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promozione di relazioni tra singoli ma ancor più tra istituzioni

(economiche e non) al fine di rinsaldare quel legame tra società

civile, società politica e società commerciale in grado di produrre

valore per la società ai diversi livelli.

Per ricostruire i legami di fiducia tra persone che vivono

nell’attuale passaggio d’epoca è urgente ripartire dal

riposizionamento del discorso economico sulla categoria di bene

comune . Beni comuni oggi sono l’ambiente, l’acqua, il territorio,

ma anche la conoscenza, la biodiversità, la cultura e l’identità. Tali

beni, per le loro caratteristiche proprie, necessitano di una

modalità di gestione che si basi su puntuali pratiche di

condivisione. In particolar modo, il modello cooperativo, che sta

attraversando un momento di passaggio che ne vede

l’applicazione in nuovi ambiti di attività, costituisce il modello alla

base di quella che oggi va sotto il nome di economia della

collaborazione (sharing economy). I beni della comunità, in quanto

tali, devono essere gestiti attraverso modelli di governance che

includano diverse categorie di “portatori di interesse”

(multistakeholdership), che oltre ad organizzare l’offerta siano in

grado anche (e soprattutto) di prestare attenzione al lato della

domanda intercettandone il senso a partire dai bisogni delle

comunità in cui quei beni sono inseriti. Per questa ragione le

organizzazioni dell’Economia Civile, che basano il loro agire sul

principio di reciprocità, si candidano come principali soggetti in

grado di ripensare il rapporto tra economia e società, basato sulla

creazione di legame sociale.

La rilevanza delle organizzazioni dell’Economia Civile all’interno dei

meccanismi di produzione di valore e il crescente ruolo che queste

hanno nella gestione dei beni comuni si traduce in una crescente

attenzione rispetto all’impatto sociale che tali soggetti generano

con il proprio operato nei confronti delle comunità di riferimento. Il

tema dell’impatto, ovvero delle ricadute e dei cambiamenti prodotti

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21/6/2015 Tema XV edizione - Le Giornate di Bertinoro

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PROGRAMMA ISCRIVITI

nel lungo periodo, si lega – anche all’interno della Riforma del

Terzo Settore in corso – con il tema della misurazione dello

stesso e pone le organizzazioni dell’Economia Civile davanti a

sfide ed opportunità che esse non possono non cogliere. In

particolar modo, la questione della misurazione dell’impatto

generato si colloca nella prospettiva del passaggio da un welfare

redistributivo ad un welfare generativo e, specialmente, all’interno

della riflessione sull’individuazione di una modalità di

finanziamento dei servizi sociali che tenga conto dei crescenti tagli

della spesa pubblica e dell’ampliamento costante della platea dei

vari portatori di bisogni.

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Del Giugno 2015

Estratto da pag. 34/38

Del Giugno 2015

Estratto da pag. 37/38

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DANIELE MARINI 22/06/2015

REUTERS

Viviamo una metamorfosi inconsapevole, una stagione segnata da trasformazioni

sociali ed economiche radicali. Ciò nonostante, fatichiamo a comprenderne la

portata reale. Siamo immersi in un «presente continuo» generato dalle nuove

tecnologie che fondono passato e futuro in qualcosa che appare tutto

contemporaneo. Senza rendercene conto, stiamo riscrivendo i paradigmi dello

sviluppo. L’occasione di Expo sotto questo profilo è emblematica. Una

molteplicità di Paesi espone non solo architetture o cibi, ma le idee di progresso

che li connotano. Un’evoluzione diversa da quella che ha originato le nostre

società, e che ancora fatichiamo a prefigurare in modo compiuto. Quel che è

certo, è che non è più destinata a una crescita lineare e progressiva, ma

molteplice e multidimensionale; non può più contare su una disponibilità

illimitata di risorse e deve immaginarsi più equa e sostenibile.  

 

Diversi progressi  

Tutto ciò, all’interno di un quadro complicato dal fatto che alcune parti

(minoritarie) del globo hanno già conosciuto lo sviluppo industriale, mentre

altre (maggioritarie) si stanno affacciando in questi anni. Proprio per questi

motivi, le teorie sul progresso stanno conoscendo rivisitazioni profonde.

Studiosi come Senn, Attali, Latouche propongono prospettive diverse per lo

sviluppo, passando dal considerare fondamentali la crescita delle capabilities

individuali, fino all’idea di una decrescita felice. La stessa misura della ricchezza

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In Italia la qualità della vita è più importante deiconsumiSecondo la ricerca di Community Media Research per “La Stampa” il 70% dellapopolazione è attenta a equilibrio e sostenibilità del progresso

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di una nazione, attraverso il Prodotto interno lordo (Pil) è da anni messa in

discussione e si cercano nuovi indicatori. Di considerare come la ricchezza non

sia solo frutto della produzione materiale, ma anche della salute, dell’istruzione,

del benessere psico-fisico di una popolazione. 

 

 

 

La ricerca  

Su questi temi, la ricerca di Community Media Research in collaborazione con

Intesa Sanpaolo, per La Stampa, ha interpellato gli italiani per comprendere

quale sviluppo economico ritengano auspicabile. Un elemento svetta in modo

netto e coinvolge circa i tre quarti (72,0%) della popolazione, in particolare fra

gli abitanti del Nord-Est e del Centro-Sud. Non è pensabile fermare il progresso

e la crescita economica, è necessario continuare a produrre e lavorare, ma

mutandone il carattere: bisogna prestare attenzione soprattutto alla

sostenibilità e alla qualità dello sviluppo. Dunque, è diffusa l’idea che il progresso

abbia traiettorie non arginabili. Pur tuttavia, è urgente indirizzarlo all’insegna di

un maggiore equilibrio con l’ambiente e nei confronti delle diverse aree del

pianeta. Soprattutto, che metta al centro la qualità della vita. All’opposto,

troviamo quanti ritengono non si debba uscire dalla strada fin qui percorsa, che

si debba continuare a lavorare e produrre come abbiamo fatto finora perché

altrimenti rischieremmo di perdere la ricchezza costruita. È una quota

marginale (5,0%) e con una particolare concentrazione nel Mezzogiorno. Fra

queste posizioni, si collocano due punti di vista diversi, ma prossimi fra loro. Da

un lato, quanti esprimono in modo manifesto l’idea che la qualità della vita sia

determinata da una riduzione drastica di ritmi di produzione e consumi. Anche

questo caso annovera un nucleo di persone contenuto (17,6%), ma non

marginale soprattutto al Nord-Ovest, dove lo sviluppo industriale di matrice

fordista ha avuto la maggiore presenza. D’altro lato, si osserva un orientamento

difensivista. Il benessere attuale può bastare: l’importante è difenderlo (5,4%). 

 

I profili  

Volendo offrire una misura di sintesi, abbiamo costruito il profilo degli

orientamenti verso lo sviluppo economico. Il gruppo più cospicuo è formato dai

«sostenibili» (72,0%) che mettono l’accento sull’equilibrio e la qualità del

progresso. Tale posizione è particolarmente presente presso la componente

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19/08/2013

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Convivere con i limiti

maschile, dei 60enni e degli studenti. Molto distante troviamo il gruppo dei

«declinisti felici» (23,0%). È una quota minoritaria, ma non esigua e che trova

diffusione in particolare presso donne, 50enni, laureati e abitanti nelle aree di

più antica industrializzazione (Nord-Ovest). Infine, i «conservativi» (5,0%) che

propongono di non mutare il modello di sviluppo fin qui perseguito. È una quota

marginale, diffusa tra gli ultra 65enni, casalinghe, abitanti nel Mezzogiorno e

con basso titolo di studio. Sostenibilità ambientale, equilibrio dello sviluppo

globale, centralità della qualità della vita costituiscono le aspettative verso lo

sviluppo economico per la grande maggioranza degli italiani.  

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