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Foglio di formazione e informazione per i volontari dell’Associazione Maria Immacolata Anno IX - n.28 GIUGNO 2009 Sped. Abb. Post. D.L. 353/2003, conv. L. 46/2004, art.1, c.1 DCB Milano Reg. Tribunale Milano N.941 del 16 dicembre 2005 In caso di mancato recapito restituire al mittente C.M.P. Roserio - Milano, detentore del conto editoriale L a comunicazione è l’atto di trasmettere e ricevere qualcosa di sé all’altro. La storia della comunicazione è talvolta percepita, credo da ognuno di noi, come pos- sibilità di strumentalizzare gli altri al fine di dominare, prevaricare, imporre, sfruttare. Non è il mondo dell’immagine e della parola in cui viviamo? E l’interpretazione dei fatti e degli eventi non subisce l’enfasi o la diminu- zione di un pensiero che ne influenza il giudi- zio etico? Il mondo della comunicazione, oggi, sembra senza regole etiche, conosce solo il diritto di comunicare. Eppure c’è un comandamento, iscritto nel cuore dell’uomo e codificato in una delle dieci parole di liber- tà, che mette in guardia dal manipolare la verità. Da sempre penso che la storia in generale sia una disciplina difficile, complessa, perché l’applicazione del suo metodo di ricerca esige letture successive alla luce di nuovi elementi interpretativi. Il giudizio storico non è mai un giudizio chiuso, definitivo. La massima lati- na “Historia magistra vitae” non sottende questo pensiero? Questo, intendo per ‘comu- nicazione come purificazione della storia’. Ma al centro della storia sta l’uomo come per- sona con i suoi limiti, intrisi di pregiudizi e deformazioni, e incancreniti poi nel tempo. Quando riconosciamo la ricchezza di costumi e tradizioni di un popolo, dovremmo anche rilevare quei condizionamenti che hanno causato mortificazione e umiliazione a chi non si sentiva incluso nelle categorie comuni. Oggi, al contrario, quasi con spavalderia si afferma la propria autonomia dagli altri, anche da chi ti è padre, maestro e non ti accorgi dei plagi anche peggiori di quelli ere- ditati. Se ci spostiamo poi sul piano del processo di globalizzazione dei popoli e delle nazioni vediamo emergere il problema dell’inseri- mento, dell’integrazione e dello sviluppo del- le identità personali e di popolo che devono armonizzarsi con le altre realtà. Per questa ragione occorrono figure ( siano esse genitori, insegnanti, amministratori, comandanti, diri- genti, magistrati, uomini politici…) di spes- sore educativo, capaci di offrire criteri di discernimento a riguardo di ciò che veramen- te conta nella vita per il bene personale e comune. “Sopra l’odierno bisogno di ‘distinguersi’, di far valere (…) il proprio accento, aleggia l’an- tica indistinzione che rende armonica la plu- ralità, che ‘intona’ le differenze, come Dante canta in ‘Paradiso VI 124-126’: “Diverse voci fanno dolci note; / così diversi scanni in nostra vita / rendon dolce armonia tra queste rote”. Ciò che vien meno oggi è la ‘dolce armonia’ dell’impercettibile, quell’intimo far silenzio, quella sapienza del cuore… “che elegge gli indotti e tormenta i venditori di dottrina”. (Carlo Ossola in “Avvenire”). Par di sentire, in queste ultime parole, echeg- giare il nome del bambino, presente alla sto- ria con sguardo disincantato, aperto, disponi- bile senza preconcetti, modello, in senso evangelico, per il mondo adulto: “Se non vi convertite e non diventate come fanciulli, non entrerete nel Regno dei Cieli” (Cfr Mt 18,1-5). Il bambino è potenza inconsapevole, ma vera potenza di quell’uguaglianza che va al di là di ogni cosa. Lì succedono i miracoli. Il bimbo “conosce la musica che stordisce gli ammaestramenti e incanta le diversità” (da “Doppiosguardo” di Marco Missiroli) La diversità è la vita stessa, è la nota che scor- re lungo tutto il rigo dell’esistenza per creare una musica armonica. È la ricca mistura, il sorprendente mixage delle relazioni quoti- diane. Ecco, se la diversità e la disabilità abi- tano nel nostro quotidiano, questo è parame- tro di specifici diversi e disabili. Vorrei dire: è una forma mentis che abita il cuore. don Carlo Stucchi In questo numero La diversità: la comunicazione COMUNICAZIONE E PREGIUDIZI COME PURIFICARE LA STORIA Educazione “L’incuria educativa imbratta di menzogna la sto- ria, anche se questa ci mette sull’avviso, ci obbli- ga a ripartire dagli adulti preparati, disposti al confronto, al rispetto della reciprocità” (Vincenzo Andraous).

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Foglio di formazione e informazione per i volontari dell’Associazione Maria Immacolata

Anno IX - n.28 GIUGNO 2009

Sped. Abb. Post. D.L. 353/2003, conv. L. 46/2004, art.1, c.1 DCB Milano Reg. Tribunale Milano N.941 del 16 dicembre 2005In caso di mancato recapito restituire al mittente C.M.P. Roserio - Milano, detentore del conto

editoriale

La comunicazione è l’atto di trasmetteree ricevere qualcosa di sé all’altro. Lastoria della comunicazione è talvolta

percepita, credo da ognuno di noi, come pos-sibilità di strumentalizzare gli altri al fine didominare, prevaricare, imporre, sfruttare.Non è il mondo dell’immagine e della parolain cui viviamo? E l’interpretazione dei fatti edegli eventi non subisce l’enfasi o la diminu-zione di un pensiero che ne influenza il giudi-zio etico? Il mondo della comunicazione,oggi, sembra senza regole etiche, conoscesolo il diritto di comunicare. Eppure c’è uncomandamento, iscritto nel cuore dell’uomoe codificato in una delle dieci parole di liber-tà, che mette in guardia dal manipolare laverità.Da sempre penso che la storia in generale siauna disciplina difficile, complessa, perchél’applicazione del suo metodo di ricerca esigeletture successive alla luce di nuovi elementiinterpretativi. Il giudizio storico non è mai ungiudizio chiuso, definitivo. La massima lati-na “Historia magistra vitae” non sottendequesto pensiero? Questo, intendo per ‘comu-nicazione come purificazione della storia’.

Ma al centro della storia sta l’uomo come per-sona con i suoi limiti, intrisi di pregiudizi edeformazioni, e incancreniti poi nel tempo.Quando riconosciamo la ricchezza di costumie tradizioni di un popolo, dovremmo ancherilevare quei condizionamenti che hannocausato mortificazione e umiliazione a chinon si sentiva incluso nelle categorie comuni.Oggi, al contrario, quasi con spavalderia siafferma la propria autonomia dagli altri,anche da chi ti è padre, maestro e non tiaccorgi dei plagi anche peggiori di quelli ere-ditati.Se ci spostiamo poi sul piano del processo diglobalizzazione dei popoli e delle nazionivediamo emergere il problema dell’inseri-mento, dell’integrazione e dello sviluppo del-

le identità personali e di popolo che devonoarmonizzarsi con le altre realtà. Per questaragione occorrono figure ( siano esse genitori,insegnanti, amministratori, comandanti, diri-genti, magistrati, uomini politici…) di spes-sore educativo, capaci di offrire criteri didiscernimento a riguardo di ciò che veramen-te conta nella vita per il bene personale ecomune.“Sopra l’odierno bisogno di ‘distinguersi’, difar valere (…) il proprio accento, aleggia l’an-tica indistinzione che rende armonica la plu-ralità, che ‘intona’ le differenze, come Dantecanta in ‘Paradiso VI 124-126’: “Diverse vocifanno dolci note; / così diversi scanni innostra vita / rendon dolce armonia tra questerote”. Ciò che vien meno oggi è la ‘dolcearmonia’ dell’impercettibile, quell’intimo farsilenzio, quella sapienza del cuore… “cheelegge gli indotti e tormenta i venditori didottrina”. (Carlo Ossola in “Avvenire”).Par di sentire, in queste ultime parole, echeg-giare il nome del bambino, presente alla sto-ria con sguardo disincantato, aperto, disponi-bile senza preconcetti, modello, in sensoevangelico, per il mondo adulto: “Se non viconvertite e non diventate come fanciulli,non entrerete nel Regno dei Cieli” (Cfr Mt18,1-5). Il bambino è potenza inconsapevole,ma vera potenza di quell’uguaglianza che vaal di là di ogni cosa. Lì succedono i miracoli.

Il bimbo “conosce la musica che stordisce gliammaestramenti e incanta le diversità” (da“Doppiosguardo” di Marco Missiroli)

La diversità è la vita stessa, è la nota che scor-re lungo tutto il rigo dell’esistenza per creareuna musica armonica. È la ricca mistura, ilsorprendente mixage delle relazioni quoti-diane. Ecco, se la diversità e la disabilità abi-tano nel nostro quotidiano, questo è parame-tro di specifici diversi e disabili. Vorrei dire: èuna forma mentis che abita il cuore.

don Carlo Stucchi

In questo numero

La diversità:la comunicazione

COMUNICAZIONEE PREGIUDIZICOME PURIFICARE

LA STORIA

Educazione

“L’incuria educativa imbratta di menzogna la sto-ria, anche se questa ci mette sull’avviso, ci obbli-ga a ripartire dagli adulti preparati, disposti alconfronto, al rispetto della reciprocità”

(Vincenzo Andraous).

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ASCOLTami n.28 - giugno 2009 - pag. 2

parliamo di...

In principio era il Verbo. E il Verbo era pressoDio. E il Verbo era Dio. ( GV. )

Parole… : cosa sono le parole? Un mezzoper comunicare, per relazionarci con glialtri, per esprimere sentimenti di affetto,odio, disperazione, misericordia, speranza,insomma tutto ciò che fa di ognuno uomoun essere capace di donare e ricevere emo-zioni. Pensiamo ai miliardi di persone chesono state conquistate da un piccolo “SemeVerbale” e all’influenza che tutto ciò ha avu-to su movimenti e ideologie diversissime.La meraviglia del linguaggio, la sua potenzanella comunicazione e nelle relazioni con glialtri hanno permesso all’uomo di progredirenel cammino della conoscenza al fine dicogliere, in tutti i tempi, le sfide dellamodernità; ma quali sono i meccanismi bio-logici e culturali che hanno permesso all’uo-mo di entrare in relazione con gli altri,ossiadi comunicare? Come parlano i nostri geniossia come si esprime il nostro DNA (macro-molecola depositaria del nostro patrimoniogenetico), una struttura estremamente spe-cializzata che si trova nel nucleo di tutte lecellule e che, operando con meccanismi rela-tivamente semplici, fa di ciascuno di noiesseri unici ed irripetibili. L'uomo è un ani-male genetico o culturale? L’uomo è entram-be le cose. Sorge subito un problema: quan-do è un animale genetico e quando un ani-male culturale? Di solito è ambedue, affer-ma il genetista Luca Cavalli Sforza, in unaricerca durata parecchi anni di studio: “noipossediamo una misura quantitativa, il QI(quoziente di intelligenza) che ci permettedi valutare le capacità intellettive di ogniindividuo, la mia risposta è: circa 1/3 dellevariazioni sono di origine genetica, un altroterzo è di origine culturale (famiglia di pro-venienza e società) ed il restante terzo ècomposto degli accadimenti che avvengononella vita delle persone. Il QI cambia moltonel tempo, con il sesso e con l’educazioneche riceviamo; le donne hanno un QI piùalto di quello degli uomini. È interessante anche la definizione data daDouglas Hofstadter per intelligenza: ”lacapacità di individuare strutture, ossia per-corsi ideativi ricchi ed articolati in connes-

LA COMUNICAZIONE: L’UOMO È UN ANIMALE

GENETICO O CULTURALE?

sione fra di loro”.Il linguaggio umano si è evoluto troppovelocemente perché si manifestassero pro-cessi coevolutivi con i geni, suggerendo cheesso sia formato e diretto dalla cultura emeno dalla biologia. Il linguaggio si sareb-be quindi evoluto culturalmente non geneti-camente: lo afferma una ricerca condotta dastudiosi dell'University College di Londrache hanno sviluppato un modello sullemodalità con cui eventuali geni del linguag-gio avrebbero potuto evolversi in paralleloal linguaggio stesso. Dallo studio, pubblica-to sui Proceedings of the National Academyof Sciences (PNAS), risulta che l'adattamen-to genetico al linguaggio sarebbe estrema-mente improbabile dal momento che le con-venzioni culturali cambiano molto più rapi-damente dei geni. L'ambiente linguistico èinvece in continuo cambiamento, a unavelocità di gran lunga troppo rapida per icambiamenti genetici. Così, l'intero gruppolinguistico indoeuropeo si è differenziato inmeno di 10.000 anni (Chater.) Questa con-clusione è rafforzata dall'osservazione chese un simile adattamento fosse avvenuto nelcorso della storia evolutiva dell'uomo, ilprocesso avrebbe operato indipendente-mente sulle popolazioni umane moderne daquando si sono diffuse dall'Africa nel restodel mondo 100.000 anni fa. In tal caso lediverse popolazioni avrebbero dovuto coe-volvere con i loro propri gruppi linguistici

portando a moduli del linguaggio differentie incompatibili. Ma le popolazioni australa-siane rimaste notevolmente isolate per50.000 anni non mostrano difficoltà adapprendere i linguaggi europei. "Il linguag-gio è unicamente umano. Ma questa unicitàderiva dalla biologia o dalla cultura? Laquestione è centrale per la nostra compren-sione di ciò che significa essere umani, e haimplicazioni fondamentali sui rapporti frageni e cultura. Il nostro lavoro svela unparadosso al cuore delle teorie sull'origineevolutiva e sulle basi genetiche del linguag-gio: anche se è evidente che abbiamo unapredisposizione genetica per il linguaggio,il linguaggio umano si è evoluto decisamen-te troppo velocemente perché i nostri genipotessero recepirlo, suggerendo che esso siaformato e diretto dalla cultura e non dallabiologia", ha osservato Chater.Cerchiamo ora di capire invece come fun-ziona la trasmissione dell’informazionegenetica partendo dalla molecola del DNAil cui funzionamento fu decodificato da emi-nenti ricercatori e la cui scoperta costituisce,con quella della relatività di Albert Einstein,la più importante ed esclusiva del secoloscorso,aprendo scenari di ricerca inaspettatie applicazioni sempre più ricche di possibi-lità .Il DNA (acido desossiribonucleico) (fig. 1) èil principale archivio delle istruzioni eredita-rie contenute nelle cellule ed è formato da ungran numero di piccole molecole organiche,strutture formate da atomi chimicamenteindicate come basi azotate, che fanno partedi molecole più ampie che si chiamanonucleotidi. Indicheremo le basi azotate condelle lettere maiuscole T-A-C-G (iniziali deiloro nomi chimici Adenina - Timina- Citosi-na -Guanina ). ll DNA ha una struttura adoppia elica con i due filamenti avvolti adelica destrorsa. Questa molecola venne indi-viduata nel nucleo delle cellule nel 1869 daMiescher e la sua composizione chimica fuindividuata negli anni 20 del 1900 dal biochi-mico Levene ma non si conosceva molto sul-la sua struttura e sulla sua funzione.James Watson e Francis Crick assieme aRosalind Franklin, nel 1953, per spiegare le

Fig. 1Il DNA è una doppia elica situata nelnucleo delle cellule delle forme viventi

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ASCOLTami n.28 - giugno 2009 - pag. 3

immagini ai raggi X del DNA, proposero lastruttura a doppia elica e un modello sullemodalità di replicazione della molecola.Questa ipotesi permetteva di spiegare comee perché gli organismi viventi possonoriprodurre se stessi. (Fig 1) Se srotoliamouna molecola di DNA umano i filamentiraggiungono anche la lunghezza di unmetro lineare. Figuriamoci quindi comequesta struttura sia nelle nostre cellule forte-mente condensata e impacchettata tale daessere vista distintamente solo al microsco-pio elettronico.È sul DNA che sono posizionati i geni atti-vi,circa 30.000 mentre i non attivi sono circa100.000. Come si è potuto osservare daglistudi del sequenziamento (= posizione deisingoli geni in loci specifici sul DNA) di tuttoil genoma umano poco si conosce sui genispenti che potrebbero essere stati disattivatida condizioni ambientali mutate o potrebbe-ro anche costituire un supporto per la espres-sione dei geni attivi, come punteggiatura ocome attivatori a distanza di geni attivi.

I NUCLEOTIDII nucleotidi del DNA sono:* strutturalmente simili l'uno all'altro, ma:* T e C sono molecole più piccole * A e G sono più grandi * sono presenti nel DNA in quantità relativee variano a seconda della specie di organi-smo considerato però* il numero di molecole A è uguale a quellodi T (A = T)* il numero di molecole di G è uguale alnumero di C (G = C)

L'APPAIAMENTO DELLE BASI AZOTATEL'accoppiamento delle basi azotate tra i duefilamenti del DNA è uguale in tutte le spe-cie. A si accoppia con T e G con C (A-T, G-C) (fig.2)A ---------T C---------G

La duplicazione del DNA e il trasferimentodella informazione geneticaPrima della divisione cellulare, la molecola adoppio filamento (doppia elica) del DNA sisrotola e viene copiata attraverso un proces-so di duplicazione semiconservativa. Cia-scuno dei due filamenti originario, restaintatto e su di esso viene montato un nuovofilamento complementare(fig.2) le basi azo-tate di ciascun filamento servono quindi dastampo su cui viene costruito un nuovo fila-mento complementare. La sequenza dellebasi azotate (l’alfabeto biologico) e quindidella sequenza A-T-C-G costituiscono unalfabeto, (Fig 2) un codice che trasmette ilmessaggio del gene ( costituito da un seg-mento di DNA) ad altre strutture biologichequali gli RNA (acidi ribonucleici) che si tro-vano nella cellula e funzionano da traspor-tatori della informazione per la formazionedi proteine (sequenza di aminoacidi) checostituiscono il nostro soma ossia ciò che noivediamo (aspetto fisico, organi, tessuti,malattie, carattere) insomma il prodotto delgene che si chiama fenotipo. Siamo quindipassati dalla informazione racchiusa nelgene sul DNA, mediante Il codice geneticodelle basi azotate, alla formazione della pro-teina che costituisce il prodotto del geneossia la realizzazione del progetto uomo,animale, vegetale.

IL CODICE GENETICO Siamo passati quindi, attraverso un alfabetobiologico iscritto sul DNA, alla produzionedi una proteina che esprime il fenotipo, ciòche i nostri occhi vedono, ossia il prodottodel gene. Un’ importante osservazione è cheil codice genetico è universale, vale per l’uo-mo ma anche per tutte le specie viventi,compreso quelle del mondo vegetale.Tutto ciò è stato molto semplificato evitandodi descrivere alcuni passaggi importanti macon lo scopo di fare arrivare a ciascuno unmessaggio semplice, sostanzialmente cor-

retto scientificamente che costituirà perognuno momenti di riflessione e di appro-fondimento. I singoli meccanismi semprefinalizzati all’evoluzione della specie, per larealizzazione del progetto finale non sonoancora stati tutti evidenziati, ma hanno fattointuire un microcosmo ricco di possibilitàche sicuramente permetterà all’uomo didomani uno stile di vita diverso ma soprat-tutto, se ne saprà cogliere il senso, una cono-scenza sapienziale.

LA MUTAZIONE Come regola generale la sequenza di basiazotate presente nel DNA si mantiene inva-riata da una generazione all'altra. Ciò nono-stante capita che si verifichino variazioni nelDNA. Tali variazioni si chiamano mutazionie sono dovute a diverse cause a noi cono-sciute o ignote, l’ambienta ha sicuramenteun’influenza a volte negativa a volte positivanel mutare il linguaggio genetico del DNA, ivirus possono pure modificare la correttainformazione del DNA alterando la sequen-za delle basi e quindi modificando il signifi-cato corretto oppure una congenita indivi-duale fragilità del gene o degli enzimi ripa-ratori possono far aumentare gli errori di tra-smissione battendo un messaggio errato.Tutte le cellule del nostro corpo contengonogli stessi geni. Al tempo stesso ciascun tipodi cellula, proprio perché ha funzioni diver-se, utilizza una piccola parte dei suoi geni inmodo del tutto particolare; tutte le celluledeterminano:* quali geni devono essere attivi* quali prodotti genici devono essere presenti* quando devono essere presenti* in che quantità devono essere presentiL’uomo riesce solo ad intuire e verificareriproducendo sperimentalmente i meccani-smi che stanno alla base della vita ma in aiu-to alla ragione, che cerca di capire la grandeincognita di chi siamo, da dove veniamo,dove andiamo, l’intelligenza del mistero èforse racchiusa nella convinzione che nessu-no è indifferente alla verità del suo sapere,da qui il motivo di tante ricerche nel campodelle scienze che hanno portato negli ultimianni a così significativi risultati favorendoil progresso in molti campi del sapere. Perquanto riguarda il linguaggio, l’uomopotrebbe essere un animale con predisposi-zione genetica e culturale modulata dal-l’ambiente, (Luca Cavalli Sforza) oppureesclusivamente culturale come affermanoalcuni ricercatori; la risposta la daranno glistudi che sono in continuo progresso e cheindicano una conoscenza del mondo e delmicrocosmo cellulare ancora solo parzial-mente esplorata, ma “la parola è come pioggiache scende e non ritorna senza avere primafecondato la terra” (Isaia).

Ersilia DolfiniDocente Università degli Studi di Milano

Facoltà di Medicina e [email protected]

Fig. 2Dal DNA alla proteina (il fenotipo)

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ASCOLTami n.28 - giugno 2009 - pag. 4

il volontariato racconta

L’ORRORE, LA TV E I GIOVANI

Da decenni la televisione è entrata nel-la nostra vita, non si può negare. Ma

cosa succede quando uno strumento dicomunicazione così potente veicola mes-saggi senza che siano rispettate delle rego-le? Ma soprattutto che cosa succede quan-do a ricevere la raffica di immagini e con-tenuti sono adolescenti o giovani immatu-ri, incapaci di filtrare, elaborare, riflettere?“La televisione ha ripetuto all’infinitoquelle immagini rendendole sempre piùirreali e sempre più banali (…)”. Sembraimpossibile ma troppo spesso “la morte,per i bambini fa parte dello spettacolo,non della realtà”. La famiglia e la scuolagiocano un ruolo indispensabile per met-tere in grado le nuove generazioni diacquisire e far propri in modo corretto icontenuti dei media.I miei nipoti, dodici e sette anni, rientran-do da scuola alle 16 di martedì 11 settem-bre, per il loro primo momento di ricrea-zione hanno acceso la televisione pervedere, come ogni giorno, il loro program-ma di cartoni animati giapponesi. Inaspet-tatamente si sono trovati di fronte a unospettacolo inusuale, trasmesso da tutti icanali, e mi hanno chiamata per cercare di

capire come mai la tv stesse trasmettendoaltro. E’ attraverso questa loro contrarietàche mi sono trovata ad assistere all’orroreche si stava consumando negli Stati Uniti.Dopo le prime ore e dopo il primo terrore,mi sono chiesta cosa avessero provatoPablo e Camilla che con me avevano vistoogni immagine, seguito i telegiornali eascoltato i discorsi che sono stati fatti incasa. Ho cercato di farli parlare per ren-dermi conto dell’impatto che quelleimmagini potevano aver avuto. Non misono sembrati attoniti come me. Nei giorniseguenti ho insistito per sapere se a scuolane avessero parlato fra i compagni, sequello era stato un argomento trattato daiprofessori e come era stato affrontato. Tut-ti e due mi hanno risposto che avevanoosservato i tre minuti di silenzio. E nel dir-lo si intuiva che si erano sentiti importanti.Niente altro, non sapevano fare altri com-menti. Allora ho capito che per loro erastato un orrore equivalente a quello cheabitualmente vivono attraverso i cartonianimati giapponesi. Pokemon che combat-tono in spazi irreali o kamikaze che si ucci-dono per uccidere migliaia di personevere: la stessa cosa. Scindere la realtà dalla

fantasia, per i bambini cresciuti con questatv, cresciuti con i videogames e con i giochisul computer, dove il senso di onnipoten-za è totale perché sono comunque loro acondurre il gioco, è pressoché impossibile.“Le ragioni dell’odio” di cui si è tanto sen-tito palare, non li hanno toccati. Le emo-zioni, di fronte a una sciagura come quel-la, non sono riuscite a penetrare perché ibambini assistono tutti i giorni, per alme-no un’ora a battaglie, rivalità, giochi cru-deli che loro sanno essere finti. Anzi, piùsono mostruosi i protagonisti, più sonoaccanite le lotte, più il debole ha l’aria isoccombere e il cattivo l’aria di vincere epiù loro sono interessati e il video è affa-scinante. Come poteva essere vera la sce-na di un aereo che entrava in un grattacie-lo con quelle suggestive immagini delleesplosioni? E se gli adulti continuavano aripetere che erano assolutamente vere,come potevano i bambini, usi ad assisterea finte scene apocalittiche, rimanerneimpressionati? La televisione ha ripetutoall’infinito quelle immagini rendendolesempre più irreali e sempre più banali,anche per noi adulti. Anche per noi l’effet-to “ ripetizione “ ha “normalizzato” quelloche proprio normale non era. Come nor-male non era vedere le tante e tante autoparcheggiate davanti alle stazioni dai pen-dolari: quelle auto non sarebbero mai piùstate riprese da chi le aveva portate lì almattino. Questa immagine, più di qualun-que altra, è riuscita a darmi angoscia per lasua sinistra, umana realtà. Ho pensato aigesti quotidiani, alla normalità che sisarebbe infranta subito dopo l’attentato.Ho cercato di dire ai bambini che tantiuomini erano morti per quegli aereiimpazziti. Anche quei morti, solo un’idea?Credo di sì, perché la morte, per i bambinifa parte dello spettacolo, non della realtà.Inevitabilmente ho ricordato la magia el’ingenuità delle immagini della primatelevisione in Italia, alla fine degli anni ’50,in contrasto con la crudeltà delle immaginidella televisione di oggi. Dico crudeltà perl’assuefazione che portano, per la perditadi valori che provocano, per i danni, a mioavviso irreparabili alle emozioni. Ho lettoche molti produttori stanno rivedendovelocemente i programmi per adulti ebambini. Solo adesso, su ventimila vitti-me, si accorgono dei danni che la violenzae l’orrore producono? E per quanto tempoil mercato riuscirà a rinunciare all’enorme,cinico profitto che quelle immagini procu-rano? I nostri bambini subiscono lo spetta-colo a tutti i costi, sia esso costruito, siaesso reale. Ma per capirne la differenzadovranno far parte delle vittime?

( Tratto da “Pastorale Italiana”Maria Grazia Cofano,

Idea Studio Officine editoriali, 2006, Milano)

a cura di Michela Alborno

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ASCOLTami n.28 - giugno 2009 - pag. 5

UNA COMUNICAZIONE SENZA PAROLE

Avrete certamente provato a comunicarecon un malato affetto da demenza o da

morbo di Alzheimer.Sono modalità del tutto diverse da quelleche abitualmente usiamo tra persone con uncervello integro. Eppure sono modalitàassolutamente valide che si attuano versopersone con cui, attraverso metodi semplici,si riesce a trasmettere comunque pensieri,fiducia e, talvolta, anche serenità.Soprattutto occorre un recupero della fisici-tà. Tenere le mani, accarezzare il viso,abbracciare delicatamente, imboccare conattenzione e senza fretta, né forzare, muo-versi con lentezza e, qualche volta, se ci siriesce, massaggiare delicatamente il capo, ipiedi, il dorso come in una lunga carezzaaffettuosa, sono tutte azioni che trasmettonoamore, comprensione, fiducia.Ascoltare insieme della buona musica classi-ca, qualche canzone semplice, non ritmata,abbassare il tono della voce, parlare con dol-cezza, tutto serve a tranquillizzare, a lenire.Scorrere insieme immagini lievi e soffusedella natura, dai colori teneri e mai violenti,guardare insieme foto di familiari cari, averenella propria camera dei fiori, guardarequalche quadro tranquillo, uscire all’apertonei giorni di sole percorrendo strade silen-ziose, questo calma e addolcisce davvero.Nulla è più nocivo per un malato mentaledelle stupide, chiassose ‘animazioni’ che sitengono nelle case di riposo o di cura, dove

ancora si suona e si canta sgangheratamentecanzoni rimbombanti e sguaiate e gli assi-stenti si producono in balli e trenini.Ho visto malati piangere, urlare e disperarsiper il frastuono. Incapaci di comprendere edi accettare. Non è quella la comunicazioneadatta a loro. Il loro cervello, così tragica-mente ridotto, capisce solo la gestualità, l’ac-coglienza. Ogni altra cosa è sentita comeaggressività. Ogni gesto, al di fuori delle giàdifficilissime e a loro incomprensibili azioniche riguardano le attività quotidiane come ilpulire, curare, gestire il loro inconsapevolecorpo, è sentito come una violenza.Ho visto malati agitarsi convulsamente perun pasto rifiutato e per un boccone cacciatoa forza in bocca, ho visto gridare e divinco-larsi per i toni alti o l’urlo di una caposala odi un parente nervoso.E’ vero, esistono malati con cui relazionarsiappare difficile, se non impossibile. Maanche per questi c’è una via. A una’anzianamalata di Alzheimer che ripeteva incessan-temente il nome della figlia in toni semprecrescenti, bastava recitarle sottovoce un’avemaria o una ninna nanna e la terribile neniacessava all’istante.Lo so, è difficile mantenere la calma, speciecon i più agitati, ma da una lunga esperien-za ho capito che solo con la tranquillità e ladolcezza la comunicazione può riattivarsi. O forse è solo questione d’amore.

Adriana Giussani K.

visti e letti per voi

“Comunicare è anzitutto ‘donare’, renderecomune, condiviso da altri, ciò che è proprio,disponendosi a propria volta a ricevere dal-l’altro. In effetti, comunicare non è un movi-mento unidirezionale, ma circolare, reciprocoe interattivo fra partner che si scambianosegni e messaggi al fine di una comprensione,di un accordo. Tale scambio non può lasciareimmutati: l’identità è modellata nella comu-nicazione [...]Essa è un’arte, non una tecnica, e un’arte cheesige umiltà: la comunicazione infatti nonnasce da un ‘di più’, da un ‘troppo’, da un‘pieno’, ma da un ‘vuoto’, dalla coscienza diuna mancanza, di un bisogno: comunicaresignifica affermare il proprio bisogno dell’al-tro, riconoscere che siamo sempre debitori edipendenti da altri per la nostra vita”.(Da: Enzo Bianchi, “Le parole della spirituali-tà. Per un lessico della vita interiore”, Rizzoli,1999)

Tra i tentativi di raffigurare l’altro, il diverso,ricordo il film realizzato nel 1980 da DavidLynch, The Elephant Man, l’uomo-elefante,repellente nel corpo mostruosamente defor-me, ma lucido di mente e sensibile d’animo.L’opera offre molti spunti di riflessione, chelascio a voi scoprire; vorrei qui sottolinearel’aspetto che maggiormente interessa il temadi questo numero del giornale e cioè la gam-ma di atteggiamenti con cui le persone si met-tono in relazione con il diverso e che il registaha saputo cogliere e rappresentare con moltaacutezza nei vari personaggi che si muovonoattorno al protagonista: curiosità, scherno,pietà, disprezzo, cinismo.

Infine vi segnalo il delizioso racconto di Lyn-ne Cox, nuotatrice di fondo americana,“Oceano con ragazza e cucciolo di balenasmarrito” (Salani, 2008), che narra la storiavera del suo incontro, durante un allenamen-to nell’oceano, con un cucciolo di balenarimasto indietro lungo la rotta migratoriaverso l’Alaska. Il cucciolo rischia di arenarsisulla spiaggia e Lynne, che all’epoca hadiciassette anni, deve inventarsi un modo perallontanarlo dalla riva e aiutarlo a ritrovare lasua mamma. Ma come si fa a comunicare conuna balena?

Sara Esposito

l’ascolto della sofferenza

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ASCOLTami n.28 - giugno 2009 - pag. 6

Aun ragazzino di quattordici anni vie-ne ordinato dal padre di andare a

riconoscere il corpo della madre che havoluto annegarsi nel fiume. Maggiore ditre fratelli, questo ragazzino ne sarà trau-matizzato per tutta la vita.È una violenza che pochi potrebberosubire senza esserne marcati.Si chiamava René quel ragazzino, e ilmodo che trovò di comunicare la suaangoscia e il suo dolore per quell’abban-dono, per lui incomprensibile, fu di met-tersi a dipingere.Diventò un grandissimo pittore: RenéMagritte.I suoi dipinti sono pura poesia, poesia

nata dalla sofferenza, da un’infanzianegata, da un dolore mai sopito. Uno deisuoi pensieri conduttori è: cosa vediamoe cosa non vediamo in ogni oggetto,anche il più banale?La mela quotidiana, per esempio, la melaverde che addentiamo e gustiamo. Macosa si nasconde veramente in una mela?Mascherata, esprime il concetto di

Magritte: ogni cosa nasconde un’altracosa. La famiglia, che a un adolescentesembrava serena, nascondeva invece unatale tragedia, da portare la madre al suici-dio. E forse, il ragazzino non ne aveva maiavuto la percezione. È solo quel cadavere,in camicia da notte, con il volto nascostoda un lembo della camicia, a mettereMagritte di fronte a una realtà che nonaveva potuto e saputo considerare.Quello che si vede e si crede essere la real-tà nasconde invece altro. Ma cosa? È unadelle domande che l’artista si pose tuttala vita.La casa, l’intimità di una casa in cui ci siidentifica, è veramente intima chiusa neltronco di un albero, in stretto rapportocon la Natura? Ma quel macigno sfericoche la sovrasta potrebbe piombarleaddosso in ogni attimo e schiacciarla persempre. Come la madre che non cova più i suoi trepiccoli perché ha scelto di morire. Vola, informa di colomba serena in un cielo tur-bato da nuvole leggere, ma abbandona le

sue uova. Cosa ne sarà di loro? E cosa farà quella mano forte, amputata,che non dovrebbe più avere forza, ma checontinua a tenere ferma una colomba e aimpedirle di volare? E la donna imprigionata in un armadio,stretta in un busto e con la museruola èun forte rimprovero per i comportamentidel padre e una giustificazione per l’attodistruttivo della madre?Quella figura di donna dal corpo perfet-to, armonioso, che si colora in mododiverso e che diventa carne solo dalla vitain giù, è l’ambiguità che l’artista vede nel-la donna? È Natura innocente o è solo lacarne la sua realtà? Fa parte dei sogni neiquali si confina la paura di un ragazzinodiventato uomo che deve misurarsi conuna donna?Tutto è simbolismo in Magritte.Come tutto nella nostra vita: possiamodare una interpretazione diversa a ogniparola, ogni espressione, ogni sofferenzache vediamo intorno a noi. È la superfi-cialità che spesso ci guida, è la fretta, è ladistrazione.Entriamo con l’anima nei rapporti cheteniamo con gli altri? O preferiamo met-terci una maschera, come la mela verde,per non svelarci e non avere le responsa-bilità che svelarci comporta?È difficile, è tanto difficile controllare irapporti e interpretare i bisogni di coloroa cui vogliamo dedicarci.Non avere una chiave di lettura impedi-sce di entrare nel fascino e nella poesiadella pittura di Magritte, come, senzaslanci di generosità, non si può entrare inun reale contatto con i figli, con gliammalati, con gli anziani, con la solitudi-ne di tanti. Davanti a un quadro di Magritte, potrem-mo limitarci ad ammirane quel segno cosìpreciso, netto, che può far pensare, a unprimo impatto, a un segno freddo, distac-cato, mirato solo alla perfezione del dise-gno. E invece ogni segno nasconde unmistero, nasconde un’angoscia, nascondeun ricordo. Grande, grandissimo Magritte. Grande,grandissima metafora della nostra vita.

Maria Grazia Mezzadri

LA DIVERSITÀ: LA COMUNICAZIONE

SENTIVAMO BATTERE IL CUORE DEGLI ALBERI PRIMA DI QUELLO DEGLI UOMINI

la voce dei familiari

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ASCOLTami n.28 - giugno 2009 - pag. 7

il punto di vista

ASPETTI COMPORTAMENTALINELLA RELAZIONE

E NELLA COMUNICAZIONEL’articolo che segue fa parte di un estratto

del corso “Dall’Io al Noi” Tenuto dal dott.Frustaglia presso il PAT nel gennaio di que-st’anno, nell’ambito del volontariato, delladiversità e della comunicazione

“La presenza concreta e il ruolo dell'azionevolontaria sono più che mai cruciali in proble-matiche complesse come quelle legate allasalute mentale. E' importante che ci siano occa-sioni come queste per presentare le buone pra-tiche attive sul territorio e soprattutto per far sìche riescano a svilupparsi e diffondersi”. L’efficacia dei gruppi di auto mutuo aiuto sibasa sul riconoscimento, alle persone che nefanno parte, del ruolo di protagonisti del pro-prio benessere attraverso la condivisione deiproblemi comuni, il miglioramento delle capa-cità relazionali, la sperimentazione di capacitàprogettuali, l’apertura alla comunità civile.Prevedono, nella maggioranza dei casi, la pre-senza sul totale dei partecipanti di una metà dioperatori della salute mentale, con lo scopo difacilitare la comunicazione e favorire lo scam-bio orizzontale di esperienze, obiettivi, inizia-tive.

Luigi Russo, presidente del Centro Servizi Volontariato Salento

I NOSTRI ATTEGGIAMENTI RELAZIONALI FONDAMENTALIAbbiamo parlato dell’importanza della comu-nicazione e di come rapportarsi con gli altribasati sulla capacità di “sentirsi e viversi”La qualità della comunicazione con il mondo èin rapporto alla consapevolezza di come si rie-sce a percepire il proprio essere positivo onegativo, in equilibrio o sbilanciato rispettoagli altri (ciò è riscontrabile, ad esempio nelgruppo, nella famiglia, comunità, società,ecc.).Ciò determina un conseguente comportamen-to positivo o negativo rispetto alla vita. Ogniuomo, nel mondo, si comporta secondo quat-tro posizioni di vita.

- aggressivo (io sono + tu sei - )- passivo (io sono – tu sei +)- depressivo (io sono – tu sei - )

Chi si trova nella 1° posizione pensa: "Vale lapena di vivere". Chi si trova nella 2° posizione pensa "La tuavita non vale molto".Chi si trova nella 3° posizione pensa "La miavita non vale molto".

Chi si trova nella 4° posizione pensa "La vitanon ha nessun valore".

IL COMPORTAMENTO SECONDO LO STATO DELL’IO GENITORE,ADULTO, BAMBINOIl nostro comportamento e la nostra personali-tà si possono strutturare secondo alcuni modidi essere detti stati. Ognuno di noi presenta trestati di "se stesso" e di consapevolezza ecoscienza detto "io". Ognuno ha il proprio "io"cosciente che si comporta secondo lo stato del-l'io Genitore, dell'io Adulto e dell'io Bambino.Questi stati sono fonti separate e diverse dicomportamento che agiscono sul nostro mododi essere.Lo stato dell'io Genitore contiene gli atteggia-menti e il comportamento incorporati da fontiesterne, principalmente dai genitori. Esterna-mente si esprime si esprime in comportamentipregiudiziali, critici o protettivi; internamenteè vissuto come vecchi messaggi Genitoriali checontinuano ad influenzare il Bambino interno.

Lo stato dell'io Adulto non ha alcun rapportocon l'età della persona. E' orientato alla realtàattuale e alla raccolta obiettiva d’informazioni.E' organizzato, adattabile, intelligente e fun-ziona esaminando la realtà, facendo una stimadelle probabilità e un calcolo spassionato deifatti.

Lo stato dell'io bambino contiene tutti gli istin-ti che in un bambino sono naturali e inoltre leregistrazioni delle prime esperienze di vita,delle reazioni e delle "posizioni" che il bambi-no ha assunto verso se stesso e verso gli altri.Si manifesta come vecchi comportamenti del-l'infanzia. Quando si agisce, si pensa, si sentecome si è visto fare dai propri genitori si è nelproprio stato dell'io Genitore.Quando si affronta la realtà attuale, si raccol-gono i fatti e se ne dà una stima obiettiva, si ènel proprio stato dell'io Adulto.Quando si tenta di comportarsi come si faceva"da bambino" , si è nel proprio stato dell'ioBambino.

Esempi di fronte all'odore di cavolo:

Genitore: Il cavolo è un cibo sano.Adulto: Il cavolo ha un alto contenuto divitamina C.Bambino: Nessuno mi farà mangiare quellaroba puzzolente.

Di fronte all'esplosione di musica rock:

Genitore: Che roba orrenda ascoltano i ragaz-zi oggi!Adulto: E' difficile pensare o parlare quandola musica è così alta.Bambino: Mi fa venir voglia di ballare.

RINFORZO POSITIVOE’ fondamentale per ogni essere umano riceve-re dei consensi sul proprio operato. Il problemaè evidente nell’infanzia ma anche nell’ambitodella fede religiosa questo principio è evidente.Infatti l’uomo sa amare solo se ha fatto l’espe-rienza di essere amato e Dio, rappresenta, per ilcredente, l’atto d’amore primordiale iniziatocon il creato e proseguito fino alla creazione diognuno di noi. Se comprendiamo il principioche siamo nati come atto d’amore siamo in gra-do di concepire “la risposta” all’amore con lagratitudine. Sappiamo amare nella misura incui siamo stati amati. Per sostenere nella vitaquotidiana il senso di amore per il creato ognu-no di noi ha bisogno di essere “nutrito” e soste-nuto con delle conferme che possiamo definire“carezze positive”. Le “carezze positive” sonoqualsiasi atto che implichi il riconoscimentodella presenza dell'altro. Può essere una parola,un gesto o una qualsiasi azione che significhi"so che ci sei". Per formare persone emotiva-mente sane sono necessarie le carezze positive.L'ascolto attivo (detto riflessivo) comporta unritorno di ciò che è stato detto o fatto insieme aparole od azioni. Ascoltare non significa esseresempre d'accordo, significa soltanto chiarire ecapire i sentimenti ed i punti di vista dell'altrapersona.

DEFINIZIONE DI CAREZZAPOSITIVALe carezze positive (carezze relazionali edemozionali) alla persona (propria ed altrui) =leva per migliorare (rendere più positivo) icomportamenti propri e altrui.

Tradotto al nostro quotidiano:perché passaredall’io al noi?Partiamo da un concetto fondamentale. Anco-ra oggi si verificano discriminazioni razziali enon prendiamo in considerazione soprattuttoil fatto che ci sono dei popoli che vivono in unostato di degradazione totale, i popoli del terzomondo, malgrado sia cambiata la cultura.Oggi in occidente ci avviamo verso una cultu-ra globale uniforme che potrebbe essere larisoluzione a queste ostilità politiche economi-che su altri popoli più bisognosi.L’occidente o l’oriente non sono fuori di noima anche dentro di noi.

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Comunicare, relazionarci con l’altro: èsempre difficile. Ma se lo è con chi

riteniamo “uguale” a noi, quanto maggior-mente lo è con chi consideriamo, a variotitolo, “diverso”! Occorre allora capirecome poter avvicinare l’altro, chiunqueesso sia, come cercare di superare le barrie-re che impediscono una reciproca e veracomunicazione.“Reciproca”: forse questa potrebbe essereconsiderata una parola chiave. E’ quelloche mi viene da pensare leggendo le paroledi E. Bianchi (vedi: Letti e Visti) dove ilcomunicare è considerato non come unmovimento unidirezionale ma circolare,reciproco e interattivo. Addirittura un

memorandun

fototeca

LE NOSTRE SEDISEDE CENTRALE: Milano, Volontariato AMI , via Trivulzio 15, 20146,tel. e fax 02 4035756, e-mail: [email protected], [email protected] http://volontariatoami.altervista.orgVIMODRONE: Istituto Redaelli, via Leopardi, 3, tel. 02 25032361MILANO: Ospedale San Raffaele, Via Olgettina 60,tel. 02 26432460, fax 02 26432576,MILANO Associaz.Aurlindin: Viale Murillo 46 - 20149 - Tel. e Fax 0248100757 MERATE Istituto Frisia: Via Don Carlo Gnocchi 4 - 23807, Tel. 0399900141 - Fax 0395981810MILANO Residenza Bicchierai: Via Mose Bianchi, 90 - 20149, Tel. 0261911 - Fax 02619112204

Direttore responsabile don Carlo StucchiDirettore di redazione Michela AlbornoGruppo redazionale Marina di Marco, Ersilia Dolfini, Sara Esposito, Adriana Giussani K., Maria Grazia MezzadriFoto Arch. AMI, pag. 8 e Vetrina Tiberio MavriciEditing Adriana Giussani K.Impaginazione e Grafica Raul MartinelloStampa NAVA SpA, Via Breda 98, 20136 MilanoChiuso in redazione il: 5 maggio 2009

GIUGNO

“donare”, un condividere con altri ciò cheè proprio, disponendoci nello stesso tempoa ricevere dall’altro. La comunicazionediventa così un’arte che esige l’umiltà dicapire che occorre prendere coscienza diuna mancanza, riconoscere il proprio biso-gno dell’altro. E’ forse proprio questol’aspetto più difficile da accettare: l’esseredipendenti da altri. Possiamo affermareche la qualità della comunicazione è inrapporto al come noi percepiamo il nostroessere positivo o negativo, in equilibrio ono rispetto agli altri.

Ho trovato interessante ne “L’ascolto dellasofferenza” la “Comunicazione senzaparole” che offre suggerimenti importantialla relazione con un malato affetto dademenza o da morbo di Alzheimer. E’ pre-sente un’attenzione alla persona, delicata eprofonda, che non ha nulla di improvvisa-to ed istintivo. E’ la comunicazione che

nasce dall’intelligenza del cuore e raggiun-ge la persona nel suo bisogno di pace.

Una pagina intensa, percorsa da un graveinterrogativo, è quella che ho letto ne “Lavoce del volontario”. Riguarda la TV da unpunto di vista educativo. E’ vero la TV ciporta direttamente in casa in tempi realifatti che accadono nel mondo. E’ un servi-zio tanto apprezzato, ma altrettanto peri-coloso perché non tiene presente evidente-mente le capacità di elaborazione e di valu-tazione degli uditori. E’ l’esempio descrittoin questo articolo: due ragazzini che difronte alla mostruosità dell’evento annun-ciato e accaduto realmente rimangonodistaccati come davanti a un film, confon-dendo la finzione con la realtà.

Il personaggio, a cui attinge il racconto ne“La voce dei familiari” fa emerge come leforme espressive di vita nascono da unmacinato interiore. Il pittore Renè Magritteinterpreta la vita con forme che partonodalla sua sofferenza. L’immagine rimandaa qualcosa d’altro. E’ qui rappresentatal’azione del volontario AMI che attraversol’ascolto cerca di identificare il reale statoin cui si trova l’interlocutore malato oanziano. A ogni sofferenza, che vediamo intorno anoi, deve essere data una interpretazionediversa per raggiungere l’uomo nel suovero stato di malessere.

Tutti noi sappiamo quanto la comunicazio-ne sia indispensabile perché un uomo pos-sa vivere in relazione con gli altri, ma sap-piamo pure quanto i pregiudizi abbianodistorto o falsato la comunicazione soprat-tutto là dove la diversità ha rappresentatodelle problematiche. Mi è sembrato inte-ressante cogliere nell’Editoriale come lacomunicazione obblighi a rileggere la sto-ria e ad aggiornarla in base alle nuoveacquisizioni. Questo atteggiamento è indi-spensabile per evitare i dogmatismi dellastoria e a coglierla invece per quel tantoche di insegnamento ci offre

Marina Di Marco

Nel prossimo numero

La diversità:la profezia

Uuuuuuuna giornaaaaata al mare!

Foto

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