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STAFF BENDA BILILI DePRODUCERS MATTEO GUARNACCIA L’arte della psichedelia MATTEO GUARNACCIA L’arte della psichedelia MTV 30 anni di videomusica FABRIZIO DE ANDRE’ La Mostra “Vuoi capire la musica dei Nirvana? Vai ad Aberdeen…”. Così mi aveva detto un amico di Seattle quando, agli inizi degli anni 90, la città più fred- da e piovosa del nordovest americano era diventata d’improvviso la Mecca del nuovo rock. Mi voleva far capire che il grunge non era soltanto un mix di punk e metal o la divi- sa dei ragazzi di fine millen- nio. Ricordate? Capelli lun- ghi, camice di flanella, stiva- loni Dr. Martens… Non solo: con quel “vai ad Aberdeen” (per la cronaca, cittadina natale di Kurt Cobain e Krist Novoselic) lui intendeva dire “vai alle radici di quel suono, di quell’attitu- dine, di quell’immaginario”. E’ proprio quello che faccia- mo noi, al Master in Giorna- lismo e Critica Musicale con- vinti che il rock sia un even- to culturale che ha influenza- to la vita di miliardi di perso- ne sul pianeta e, al tempo stesso, una forma d’espressio- ne artistica assoluta che ha elevato lo spirito degli esseri umani. Per questo lo studiamo in maniera seria e rigorosa, andando oltre le apparenze. Ma senza tralasciare le emo- zioni. C P M M U S I C I N S T I T U T E Periodico di informazione musicale del Centro Professione Musica a cura del Master di Giornalismo Musicale - Anno IX, Numero 12, giugno 2011 12 EDITORIALE M ASTER DI G IORNALISMO M USICALE Direttore: Ezio Guaitamacchi Docenti: Ezio Guaitamacchi, Roberto Monesi Corsisti: Mauro Alesso, Lorenzo Badia, Giulia Brivio, Simona Carletti, Carlo Andrea D’Alessandro, Alessandro De Michele, Lorenzo Gandolfi, Piero Pellizon, Melissa Siano, Cristina Valentini, Simone Villani, Alice Elena Ziveri GRUNGE : 20 ANNI DOPO GRUNGE : 20 ANNI DOPO FABRIZIO DE ANDRE’ La Mostra OPEN WEEK Intervista a Luciano Ligabue IMPERDIBILI - Hugh Laurie - Ben Harper - AC/DC - Roger Waters - Vinicio Capossela MTV 30 anni di videomusica DePRODUCERS STAFF BENDA BILILI

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MATTEO GUARNACCIAL’arte della psichedelia

MATTEO GUARNACCIAL’arte della psichedelia

MTV30 anni di videomusica

FABRIZIO DE ANDRE’La Mostra

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“Vuoi capire la musica deiNirvana? Vai ad Aberdeen…”.Così mi aveva detto un amicodi Seattle quando, agli inizidegli anni 90, la città più fred-da e piovosa del nordovestamericano era diventatad’improvviso la Mecca delnuovo rock.Mi voleva far capire che ilgrunge non era soltanto unmix di punk e metal o la divi-sa dei ragazzi di fine millen-nio. Ricordate? Capelli lun-ghi, camice di flanella, stiva-loni Dr. Martens…Non solo: con quel “vai adAberdeen” (per la cronaca,cittadina natale di KurtCobain e Krist Novoselic) luiintendeva dire “vai alle radicidi quel suono, di quell’attitu-dine, di quell’immaginario”.E’ proprio quello che faccia-mo noi, al Master in Giorna-lismo e Critica Musicale con-vinti che il rock sia un even-to culturale che ha influenza-to la vita di miliardi di perso-ne sul pianeta e, al tempostesso,una forma d’espressio-ne artistica assoluta che haelevato lo spirito degli esseriumani.Per questo lo studiamo inmaniera seria e rigorosa,andando oltre le apparenze.Ma senza tralasciare le emo-zioni.

C P M M U S I C I N S T I T U T E

Pe r iod ico d i i n fo rmaz ione mus i ca le de l Cen t ro P ro fe s s ione Mus ica a cu ra de l Mas te r d i Gio rna l i smo Mus ica le - Anno IX , Numero 12, g iugno 2011

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E D I T O R I A L E

M A S T E R D I G I O R N A L I S M O M U S I C A L EDirettore: Ezio GuaitamacchiDocenti: Ezio Guaitamacchi, Roberto MonesiCorsisti: Mauro Alesso, Lorenzo Badia, Giulia Brivio, Simona Carletti, Carlo Andrea D’Alessandro, Alessandro De Michele,

Lorenzo Gandolfi, Piero Pellizon, Melissa Siano, Cristina Valentini, Simone Villani, Alice Elena Ziveri

GRUNGE: 20 ANNI DOPOGRUNGE: 20 ANNI DOPO

FABRIZIO DE ANDRE’La Mostra

OPEN WEEKIntervista aLuciano Ligabue

IMPERDIBILI - Hugh Laurie - Ben Harper - AC/DC - Roger Waters - Vinicio Capossela

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A ventotto anni, Jeff Ament andava in giro anche d’inverno con i pan-taloni corti, faceva tre lavori per mantenersi e, dato che non aveva

la macchina, era sempre in bicicletta. In bici, con il basso sulle spalle,andava anche alle prove con Eddie Vedder e gli altri Pearl Jam. Al suostile di vita si sarebbe ispirato il regista Cameron Crowe per il protago-nista di Singles – L’amore è un gioco, film con l’intento di fotografa-re lo spirito dei ragazzi di Seattle tra la finedegli anni ’80 e gli inizi degli anni ’90.

Anche il più giovane Kurt Cobain si arran-giava per arrivare a fine mese, lavorandocome cameriere in tre ristoranti diversi, e nelfrattempo inviava demo alle case discografi-che nella speranza di poter incidere un lp conil suo gruppo. “I Nirvana sono un trio chesuona hard rock con sfumature punk –scriveva –. Normalmente non hanno unposto di lavoro, quindi possono iniziare untour in qualsiasi momento. I Nirvana stan-no cercando la possibilità di registrare lapropria musica o di avere un prestito di2000 dollari”.

Come loro, a quei tempi, a Seattle eranoin tanti a suonare in una band. E spesso ilcomponente di un gruppo strimpellava ancheinsieme ad altri. In una città che non avevanulla a che fare con le più moderne realtàamericane, caratterizzata da una certa chiu-sura mentale da parte delle vecchie generazio-ni e delle istituzioni, con un alto tasso di dis-occupazione, e dove per la maggior parte deltempo pioveva, non restava che il rock a fareda collante tra i giovani. Così, anche se la

sperduta cittadina dello stato di Washington era lontana ed esclusa dalcircuito mainstream della musica americana, proprio lì è nata lanuova rivoluzione musicale che avrebbe contagiato il globo, spazzandovia alcuni dei lati frivoli propri degli anni ’80 e dando voce all’angosciae al disagio di una generazione intera: la generazione X, ovvero, degliinvisibili giovani americani (ed europei) non più in prima linea nel

difendere i diritti civili e nel condurre batta-glie pacifiste, ma impegnati a fronteggiarel’insicurezza dell’avvenire. A condurre larivolta sonora, assieme a una decina di altrigruppi, i Pearl Jam di Eddie Vedder e iNirvana di Kurt Cobain con due dischi, cheescono nel giro di un anno, nel 1991. Il 27agosto i Pearl Jam pubblicano per la EpicRecords l’album d’esordio Ten, messo in ven-dita in Italia nel febbraio dell’anno successivo.Undici tracce arrabbiate, su temi forti e terre-ni, quali la solitudine e il suicidio. L’lp, con-tenente canzoni che ancora oggi sono tra lepiù note del gruppo, da Alive a Jeremy, avreb-be raggiunto nel 1992 la seconda posizionenella graduatoria di Billboard e sarebbe rima-sto in classifica per oltre due anni ottenendoun disco d’oro e dodici di platino. A distanza dicirca un mese, di preciso il 24 settembre, insie-me alla Geffen Records i Nirvana lanciano sulmercato il loro secondo album, Nevermind(successore di Bleach, pubblicato con la SubPop). Un lavoro dai suoni energici e vigorosie dai testi sibillini, contenente quella che abuon diritto potrebbe dirsi la canzone-simbo-lo degli anni ’90, Smells Like Teen Spirit. Nel

1991-2011QUEL CHE RESTA DEL GRUNGE

Sono trascorsi vent’anni dall’esplosione delSound of Seattle e dei sui dischi simbolo:

“Nevermind” e “Ten”

Alcuni dicono sia stata l'ultima vera stagione del rock. Ma cosa ne è stato di quei ragazzi con gli anfibi, i jeans strappati,

le magliette consumate e i capelli lunghi, che si sono fatti portavoce dell’inquieta generazione X?

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giro di pochi mesi, Nevermind avrebbe spodestato il disco Dangerousdel re del pop Michael Jackson dal primo posto delle classifiche Billboard.

22001111.. Che è successo poi? Oggi Seattle non è più la capitale dellamusica come è stata tra la fine degli anni 80 e la prima metà dei 90.Piuttosto è la città della Microsoft, di Amazon e dei cappuccini diStarbucks. Un luogo industrializzato e a corto di turisti, dove soloqualche amante del rock si reca per provare a respirare ancora quelfermento creativo di un tempo, ormai conclusosi. I gruppi che avevanoreso grande il grunge e famosa la città, si sono trovati nei primi anni90 a dover fare i conti con lo strapotere delle major, che hanno com-prato, assoggettato, metabolizzato e commercializzato quella musica,stemperandone la carica eversiva. I Mudhoney sono stati assoldati dallaReprise/Warner, i Soundgarden dalla A&M, i Nirvana dalla GeffenRecords; e nel frattempo la piccola e indipendente etichetta Sub Pop,che agli inizi aveva messo sotto la sua ala protettiva diverse “alternati-ve band”, ha rischiato più volte di chiudere i battenti.Tanto che airagazzi di oggi non rimane che il lato mediatico e mitizzato della scena

rock targata 90 e dei suoi protagonisti. Il termine grunge ha addirit-tura oltrepassato i confini musicali per diventare l’aggettivo distintivodi una certa moda lanciata da stilisti avveduti come Christian FrancisRoth e Marc Jacobs, che hanno copiato in toto il look delle band dialternative rock, facendo sfilare sulle passerelle quei maglioni larghi equei jeans consumati che per i giovani di Seattle non erano altro cheun look quotidiano, dettato da situazioni climatiche e portafogliovuoto.

La nuova rivoluzione musicale dai suoni sporchi, nata quasi aiconfini del mondo e finita con la misteriosa morte di Cobain il 5 apri-le del 1994, è stata anche l’ultimo grande momento del rock; così, oggi,è ancora forte la voglia di celebrarla, nonostante siano trascorsi duedecenni e nonostante il fatto che chi è rimasto non faccia più musicagrunge (i Pearl Jam, per esempio, si sono da tempo svincolati dallacittà di Seattle e dalle sue tematiche). Proprio per ricordare quel perio-do, il noto fotografo Michael Lavine - che tra gli anni 80 e i 90 era aSeattle - ha appena pubblicato “Grunge”, libro che raccoglie le piùbelle immagini da lui scattate ai ragazzi dell’alternative rock.“Ragazzi così uncool da essere oltre il concetto di coolness. Ragazziche hanno ostentato il modo in cui venivano chiamati al liceo:loser, perdenti” scrive Thurston Moore dei Sonic Youth nella prefazio-ne del libro. A quei ragazzi ai margini, oggi, va riconosciuto il meritodi aver rimesso il rock al centro della cultura giovanile, di essere stati iprimi della scena indipendente a travolgere le classifiche e di aver per-messo al pubblico di scoprire il panorama della musica in controten-denza, facendo da viatico all’odierno fenomeno indie.

Canzoni con l’ukuleleMentre il grunge spegne 20 candeline, Eddie Vedder pubblica il secondo lavoro solista.

Protagonisti solo la sua voce e l’ukulele.

Che il frontman dei Pearl Jam si divertisse a suonare l’ukulele era chiaro da tempo. Basti pensare a Soon Forget (da Binaural) e Rise(da Into the Wild, il suo primo disco solista), ma anche alle innumerevoli volte in cui il cantante californiano si è servito dello stru-mento durante i concerti. Senza dimenticare che Vedder nutre un forte amore per le isole Hawaii, dove va spesso a fare surf e dovel’ukulele è nato. Si spiega così la nascita di Ukulele Songs, un album di 16 canzoni molto semplice e intimo, in cui l’artista si aprecome non aveva mai fatto prima. Con brani come Sleepless Nights (degli Everly Brothers, cantata con la collaborazione di GlenHansard), Goodbye, Broken Heart o Sleeping By Myself, Eddie esprime i sentimenti di soli-tudine e di dolore per l’amore che non conosce mai la propria profondità se non nell’oradella separazione (“Forever be sad and lonely / Forever never be the same”, dice il testodi Sleeping By Myself). Tracce come Tonight You Belong To Me (una cover cantata con CatPower) o You’re True esaltano la forza dell’amore che tutto può (“Nothing ever goes my way/ But with you here, that will change / Suddenly I’m new born child / And I’m ready to livea while with you”). La versione ritmata di Can’t Keep, già pubblicata con i Pearl Jam, e lacover Dream A Little Dream sono i pezzi di apertura e chiusura dell’album. Dato l’uso di unsolo strumento, il disco potrà apparire musicalmente monocorde, fatta eccezione per LongingTo Belong, che si distacca in parte dalle altre canzoni in quanto caratterizzata dalla pre-senza di un violoncello che conferisce più profondità al suono. Si tratta comunque di un lavo-ro coraggioso e nello stesso tempo delicato e poetico, dove i testi romantici si sposano per-fettamente con le dolci sonorità dello strumentino esotico.

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A ffascinato tanto dal folk americano quanto dalla chansonfrancese, Fabrizio De André è stato per quarant’anni la

voce degli emarginati, dell’Italia ai limiti, del disagio e delleperiferie sociali, esprimendosi in modo colto eppure popolare.Ancora oggi le sue canzoni influenzano nuove generazioni diartisti e sono amate dai più giovani. Nel 2008 la FondazioneFabrizio De André Onlus ha allestito una mostra a Genova,città natale dell’artista, con l’intento di celebrarne vita emusica a 10 anni dalla scomparsa: «Ora Fabrizio è di tutti. Losono le sue canzoni, i suoi ideali, riproposti attraverso la suaviva voce», si è detto all’inaugurazione. Dopo Genova, la ras-segna dal semplice titolo “Fabrizio De André: la mostra” haraggiunto Nuoro, Roma e Palermo, attirando oltre 140.000visitatori. Ora finalmente è Milano ad ospitarla come tappa dichiusura dall’11 marzo al 15 maggio alla Rotonda dellaBesana. Il successo dell’iniziativa non è solo merito della por-tata del soggetto, ma anche di un allestimento originale einterattivo, attraente sia per appassionati che per semplicicuriosi. «L’intenzione», sostiene il fotografo e curatore GuidoHarari, «è di evitare la classica mostra documentaristica, epuntare invece sulla creazione di un percorso multimediale.

La vita, l’opera e soprattutto il pensiero di Fabrizio devonoessere intuitivamente fruibili a tutti senza essere enciclopedi-ci o, peggio, cadere nella monumentalizzazione del caroestinto. La sfida è quella di strappare Fabrizio al passato econsegnarlo al futuro utilizzando linguaggi di oggi quali ilweb, il blog e l’interattività. In Italia solo Studio Azzurroavrebbe potuto contribuire con la sua esperienza».

L’allestimento comprende cinque sale che raccontanoognuna un aspetto dell’artista come la poetica, la musica o labiografia. Entrando nella prima stanza il visitatore è accoltoda grandi tarocchi virtuali che rappresentano, a rotazione, ipersonaggi di De André, da Bocca di rosa a Geordie, conrispettivo brano in filodiffusione. Accanto alla riproduzione sitrovano i tarocchi originali usati per la scenografia dellatournée dell’album Le nuvole. Grazie a due lavagne touchscreen è possibile creare una propria carta da inviare per e-mail a chi si desidera. Lungo il perimetro della sala si trova-no in teche di vetro documenti originali appartenuti a DeAndré, tra i quali fotografie, lettere e appunti. Le altre saletematiche sono disposte attorno a quella appena descritta inmodo che il visitatore possa scegliere il proprio percorso e la

CON GLI OCCHI DI FABERSbarca a Milano la mostra dedicata a Fabrizio De André

Un percorso multimediale dedicato a opere, vita e pensiero del cantautore genovese.

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propria esperienza. Le sale sonoinsolitamente buie per unamostra, ogni stanza è divisa dal-l’altra da pareti e tende nere, maè facilmente comprensibile se sipensa che la maggior parte delmateriale è in formato videoproiettato. La sala dedicata allapoetica ospita sei grandi scher-mi che si attivano ad alternan-za. I filmati proiettati hannocome titolo L’Amore, LaLibertà, Genova, La Morte, LaGuerra e Gli Ultimi. Si creacosì un’ideale galleria di argo-menti cari a Fabrizio affrontatiattraverso immagini, interviste el’analisi di alcuni testi emble-matici. La sala della musicatratta invece di tutte le curiositàrelative alla discografia. Comein un negozio di dischi usati,alcune scatole sparse per lastanza contengono facsimili dei33 giri del cantautore.

Posizionando uno di questisopra un apposito tavolo sensi-bile si attiva una proiezioneinterattiva che fornisce informa-zioni accurate sull’album con ilcommento dei protagonisti e lacontestualizzazione storicacurata da Riccardo Bertoncelli.

Nella sala successiva il visitato-re è invitato a scoprire la vita diDe André. La raccontano unaserie di fotografie e alcuneistantanee riprodotte su lastre diplexiglass. Tali lastre, simil-mente alla sala della musica,possono essere scelte da unabacheca e inserite in banchiottici posti su cavalletti dilegno: in questo modo vengonoproiettati sulla parete videoin-terviste a famigliari, amici ecollaboratori stretti. Infine, inun’ultima sala allestita comeun piccolo cinema è possibileassistere a un filmato di oltre 4ore di riprese televisive RAI inversione integrale, concerti einterviste curate da VincenzoMollica.

Come si sarà intuito, lamostra necessita di tempo peressere visitata ed è rivolta inmodo particolare a coloro chegià conoscono, anche se superfi-cialmente, la vita dell’artista.Uno solo è l’aspetto negativo: avolte risulta difficile seguire conattenzione i video perché dis-tratti dal suono di quelli accan-to o dalla musica provenientedalla sala centrale.

No al denaro non all’amore né al cielo... 1971-2011Nel 1971 con l’album Non al denaro non all’amore né al cielo Fabrizio De Andrétrasporta in musica nove epitaffi estratti dal libro di Edgar Lee Masters “Antologiadi Spoon River”. Il cantautore utilizza le voci di coloro che “parlano come da vivinon sono stati capaci di fare”, per rappresentare con triste schiettezza la realtà alui vicina. Con l’aiuto di Giuseppe Bentivoglio per quanto riguarda la stesura delleliriche e grazie al genio compositivo di un allora giovanissimo Nicola Piovani,Faber scrive uno degli album più significativi della sua carriera che, a quarant’an-ni di distanza dalla sua pubblicazione sembra aver mantenuto intatta la sua grandeforza comunicativa. L’invidia come specchio della competitività fra uomini e l’incog-nita della scienza come prodotto del progresso sono i due temi di straordinariaattualità che pervadono l’album. Il brano che chiude l’opera e veicola il messag-gio di fondo del disco è Il suonatore Jones e rappresenta e l’affermazione della lib-ertà dell’individuo come unica via per godere appieno della propria esistenza.Non al denaro non all’amore né al cielo è ancora in grado di colpire profondamente le nuove generazioni di pubblico

e di artisti, tanto che Morgan, spinto dal desiderio di Dori Ghezzi di tenere in vita il ricordo del marito scomparso nel1999, incide nel 2005 il primo re-make discografico della storia della musica italiana reinterpretando il capolavoro diFaber. “Un’opera popolare” come viene definita da Morgan “ nel senso più profondo del termine, in quanto rappresen-tazione della società stessa”.

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«S gombriamo subito il campodagli equivoci: MTV non è nata

per diffondere musica o divulgare cultu-ra, ma per fare soldi».Responsabile per l’Italia del dipar-timento talent & music del colossotelevisivo, Luca De Gennaro è diuna sincerità disarmante nel riper-correre i trent’anni di vita di quel-lo che i detrattori ritengono unasorta di «McDonald’s della musi-ca». Niente di più sbagliato. Che cipiaccia o no, dalle ore 12.01 di quel1° agosto 1981, quando con il filmato di Video Killed The RadioStar dei Buggles partono ufficialmente le trasmissioni di MTV, ilmondo della musica non è più stato come prima. «Rivoluzione sulpiccolo schermo», l’ha definita il critico statunitense Jim Farber.Difficile dargli torto. Non a caso, il brano del duo inglese che“apre le danze” canta (ironicamente, certo, ma fino a un certopunto) del tramonto della musica pre-televisiva. Unarivoluzione che stava comunque nell’aria. «Il rap-porto sempre più stretto tra musica e immagineviene sdoganato anche grazie all’avvento deiBeatles, in pratica una delle prime boy band dellastoria, da cui i ragazzi dell’epoca riprendono look,atteggiamenti e mode», spiega De Gennaro. Neglianni ’70 l’importanza dell’immaginenella musica diventa ancora più evi-dente. Il fiume del rock comincia adividersi in tanti rigagnoli di genere:progressive, hard rock, metal, discomusic, punk. E ogni genere è, percosì dire, “visivamente” connotatoda un look ben definito. «Il punksegna un momento di svolta, allor-ché l’immagine diventa quasi piùimportante della musica», spiegaDe Gennaro. Logico quindi il passo

successivo: far vedere la musica.Questo deve essersi detto RobertWarren Pittman, allorché decise dicreare un jukebox televisivo: MTV,appunto. L’investimento necessa-rio non era di quelli spropositati.In fin dei conti, si trattava di tra-smettere video forniti gratuita-mente dalle major discografiche ascopo promozionale.

È questo uno dei motivi chehanno decretato il successo di MTV(prima) e la sua capacità di espan-

sione (poi). Tanto che ora conta la bellezza di oltre 130 canali intutto il mondo (in italiano dal 1997). Una “rete” che ha letteral-mente cresciuto un’intera generazione con i videoclip musicali, alpunto che s’è cominciato a parlare di «MTV generation». E ancheuna tappa pressoché obbligata per quanti vogliono scalare il

music business. «Non a caso, le più grandi pop star degli ultimitrent’anni hanno messo l’immagine al centro del loro

progetto di comunicazione. Basti pensare a Madonna,Prince o Michael Jackson», precisa De Gennaro.«Proprio quest’ultimo ha rivoluzionato il concettostesso di videoclip, facendolo diventare un prodotto

cinematografico a tutti gli effetti». Non solo. «Vaanche ricordato che quello di Billie Jean

(uscito nel gennaio del 1983, ndr) èstato il primo video di un artista dicolore a venire trasmesso su MTV, chefino a quel momento era accusata dipassare solo musica bianca». Unascelta che ha comunque poco a chefare con l’integrazione razziale.Per lo meno, non solo. Così comenon ha nulla a che fare con lavolontà di diffondere un preciso

modello culturale la direzioneintrapresa da MTV negli ultimi

BUON COMPLEANNO MTVLa TV più famosa al mondo compie 30 anni

Il 1° agosto 1981 partono le trasmissioni della prima televisione musicale nel mondo.Ne parliamo con Luca De Gennaro, responsabile per l’Italia del dipartimento Talent & Music.

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anni, che mette in secondo piano la fun-zione di jukebox per dare sempre più spa-zio a reality show e trasmissioni che pocoo nulla hanno a che fare con la musica.«Non bisogna dimenticare che MTV è unarete commerciale», dice De Gennaro. «Perquesto ci basiamo molto sulle ricerche dimercato, per capire cosa piace ai giovani,che sono il nostro pubblico di riferimen-to». Bisogna comunque dire che molti deiprogrammi di maggior successo degli ulti-mi anni, pur non trattando propriamentedi musica, hanno in un certo qual modoun “sostrato” musicale. Gli Osbourne,per esempio, sorta di reality incentratosulla vita famigliare di una rock star bol-lita come Ozzy. «Certo è che la necessità diavere ascolti sempre quanto più alti possi-bile ha fatto sì che, a cominciare dagliStati Uniti, la presenza della musica siaprogressivamente calata sui canali princi-pali di MTV». Con la conseguente riduzio-ne del numero degli amati-odiati vj. «Allostesso tempo, però, abbiamo lanciato

molte altre reti che continuano a trasmet-tere sempre e soltanto musica». Una mol-tiplicazione, quella dei canali, cui ha con-tribuito enormemente l’avvento dellenuove tecnologie: Internet, telefoni cellu-lari, tv digitale. Tanto che MTV oggi non èpiù soltanto una televisione, ma unagalassia di piattaforme tecnologiche chediffondono musica e programmi per untarget di giovani con qualsiasi mezzo dicomunicazione attualmente disponibile eche si presti allo scopo. «Quando abbiamodei videoclip in esclusiva, prepariamo l’e-vento per tutti i mezzi su cui operiamo».Del resto, MTV non è più solo una televi-sione: con il tempo è diventata una speciedi “bollino” di qualità. «Un marchio digaranzia», conclude De Gennaro. «Lademocrazia tanto sbandierata da Internetè un concetto fasullo: sul web hai tuttoquello che vuoi a disposizione, ma è inu-tile se non sai dove partire. Ebbene, MTVfavorisce una sorta di selezione della pro-posta musicale».

Quando il video “ha ucciso” la radioLa clip che ha tenuto a battesimo la nascita di MTV

Il brano è di quelli che entrano subito nelle orecchie. Una miscela perfetta di sintetizzatori, drum machine e coretti ammiccanti(chi non ricorda il mitico “aua-aua”?). Eppure, prima ancora di essere un riuscito tormentone sinth pop, Video Killed The RadioStar è la fotografia di un’epoca. Non a caso, tiene a battesimo la nascita di Mtv. È infatti il video della hit del duo ingleseBuggles (al secolo Trevor Horn e Geoff Downes) ad aprire le trasmissioni del primo network musicale della storia. Sono le 12:01del primo agosto 1981 quando John Lack, co-fondatore dell’emittente, apre le danze con un annuncio diventato celebre (“Ladiesand gentlemen, rock and roll”) seguito dall’immagine, altrettanto famosa, dell’astronauta che pianta la bandierina di Mtv sullaluna e infine dalla clip dei Buggles, diretta dal regista Russell Mulcahy. Il brano non è nuovo. E’ uscito il 7 settembre 1979 e bazzica le classifiche da quasiun anno ma rappresenta alla perfezione il momento storico della musica popolare checoincide con la nascita di Mtv. La canzone parla infatti di una stella della radio cheperde popolarità con l’avvento della “musica da vedere”; concetto sottolineato, nelvideo, dall’esplosione di alcune radio. Insomma, i tempi stanno cambiando e la televi-sione pare aver vinto la partita.A ben vedere, quello tra i due media era un braccio di ferro che durava da decenni.Era iniziato alla fine degli anni Cinquanta nella periferica Italia, dove alcuni bar ave-vano cominciato a dotarsi di una specie di video-jukebox prodotto da un’azienda diCologno Monzese: si chiamava cinebox e visualizzava su uno schermo filmati legati allecanzoni (i cosiddetti “musicarelli”). Negli anni Sessanta erano poi arrivati gli esperimenti su grande schermo dei Beatles,seguiti da “pionieri” del videoclip come Subterranean Homesick Blues di Bob Dylan(1965), The Jean Genie di David Bowie (1972), Waterloo degli Abba (1974) eBohemian Rhapsody dei Queen (1975). Per non parlare di quello che è accaduto dopo la “profezia” dei Buggles. Nel 1983il video di Thriller di Michael Jackson, per esempio, oltre a sdoganare definitivamente i musicisti di colore sulle frequenze di Mtv,altro non è che un cortometraggio d’autore: lungo quasi 14 minuti, è diretto dal mitico John Landis, reduce da successi comeAnimal House e The Blues Brothers. Addirittura, quello stesso anno, il singolo Union Of The Snake dei Duran Duran viene tra-smesso da Mtv una settimana prima di essere dato in pasto alle radio.

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C orrente artistica e culturale dirilievo nella California degli anni

’60, la psichedelia tutt’oggi fatica atrovare spazio nel nostro paese. Ce lodice Matteo Guarnaccia, pittore, illu-stratore, scrittore e “psicoartista” ita-liano per eccellenza. Attivo sin daiprimi anni ’70, le sue opere sono espo-ste in tutto il mondo e i suoi saggicostituiscono una fedele rappresenta-zione della controcultura. L’abbiamoincontrato nella coloratissima reda-zione di JAM, che ospita un grannumero di quadri e opere a temamusicale. È proprio attraverso lamusica che Guarnaccia s’è avvicinatoall’arte psichedelica.

«Non fu grazie ai musei o ailibri», ci spiega, «ma alle copertine degli album. Allora, erano l’unicomezzo di comunicazione attraverso il quale certe immagini potevanopassare. Entrare in un negozio di dischi e guardare in quei pochi scaf-fali dedicati alla musica d’importazione poteva essere qualcosa di visi-vamente sconvolgente, più del cinema o della televisione. Ci si accor-geva subito dell’enorme differenza con le scarne copertine italiane,spesso raffiguranti solo il nome e la foto dell’artista. Oggi è difficilecapire cosa significava trovarsi davanti a un disco dei Grateful Dead.Era così ricco di particolari che si potevano passare ore a fissarlo». Ildisco in questione era Aoxomoxoa (Warner Bros., 1969) che presentauna elaborata e vivace copertina ispirata alla cultura indiana.«L’influenza dell’Oriente e della tradizione tribale è stata fondamenta-

le nella corrente psichedelica deglianni ’60. In queste società è da semprepresente la ricerca di un punto di vistadiverso da cui osservare la realtà».

Guarnaccia è uno dei pionieridella ricerca psichedelica in Italia, maè conosciuto anche come attento osser-vatore e divulgatore della cultura alter-nativa e underground.Nell’immaginario collettivo la psiche-delia è spesso associata alla controcul-tura, al misticismo e alle sostanze stu-pefacenti, ma «non si deve cadere infacili stereotipi», ammonisce lo psi-coartista. «Albert Hofmann, il padredell’LSD, aveva capito che la sostanzada lui sintetizzata poteva essere d’aiutoa studiosi e intellettuali per sbloccare

un certo tipo di pensiero. Ad esempio il ricercatore inglese che scoprì lastruttura del DNA concepì la forma del nastro elicoidale mentre erasotto l’effetto di acidi. Anche Fellini fu ispirato dall’LSD per alcuni deisuoi film più visionari. Questi personaggi avevano poco a che fare conla ribellione, il movimento hippy e l’uso ricreativo della droga».

Ad alimentare lo stereotipo, ci dice l’esperto, si aggiunge anche lalontananza culturale che ha portato l’Italia a relegare la psichedeliatra le correnti di nicchia. Ma il fenomeno non è sempre stato troppolontano da noi. «È una concezione presente anche nella cultura clas-sica, andata via via perdendosi con l’avvento del cristianesimo che nonla apprezzava perché propria dei culti pagani. Nella società anglosas-sone, invece, l’accoglienza è stata migliore perché questi culti sonomaggiormente radicati».

Nonostante una delle tante definizioni di psichedelia sia «ciò cherende divina la realtà», non deve per forza avere un’attinenza con lareligione o l’esoterismo, anzi, l’approccio di Guarnaccia a questo argo-mento è decisamente scientifico. «Senza la ricerca psichedelica nonavremmo avuto lo sviluppo della matematica dei frattali e del pensierolaterale. Raggiungere uno stato di coscienza alternativo fa parte di talericerca. L’arte, ad esempio, non è solo una decorazione puramente este-tica, ma può essere un mezzo per entrare in questo tipo di stato già pre-sente a livello biologico in ognuno di noi. L’uso di sostanze psicoattiveè quindi solo uno dei modi per accedervi e non una necessità».

Pare inoltre che per la piena comprensione del mondo psichedeli-co sia sì opportuno allargare la propria coscienza e cercare strade alter-native, ma senza perdere contatto con il mondo reale. Il concetto èespresso forse nel modo migliore dal giornalista e musicologo ingleseIan MacDonald.

«MacDonald diceva che il vero spirito della psichedelia consiste nelriacquistare lo sguardo dei bambini: il bambino sa come viaggiare conl’immaginazione e crearsi mondi tutti suoi, ma sa anche quando è ilmomento di tornare alla realtà».

MATTEO GUARNACCIAL’arte psichedelica

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E’ una storia strabiliante.Accade nel cuore dell’Africa

nera e racconta le vicende di ungruppo di mendicanti paraplegiciche adorano suonare e che diven-tano star internazionali. Unaspecie di Corte dei Miracoli che,con ottimismo illimitato edenorme forza di volontà, realizzaun sogno: registrare un album eportare una musica sgangheratama affascinante in giro per ilmondo. Due cineasti francesi(Renaud Barret e Florent De LaTullay) ne hanno fatto un film, undocumentario/racconto che han-no portato sui grandi schermi delFestival di Cannes. Il tutto comin-cia dieci anni fa quando questimusicisti erano solo dei disabiliabbandonati a loro stessi in unamegalopoli africana, Kinshasa, nelCongo. Lì, il motto è “arrangiarsi”con i pochissimi mezzi a dispo-sizione. Le giornate trascorronosulla strada, respirando polveresollevata da autobus malridotti, inun vortice di disperazione assoluta.Uniche fonti di sostentamento: ele-mosinare cibo e denari o scam-biare piccoli “favori”. In questedrammatiche circostanze nasce ilsogno: Benda Bilili, una band(come dicono loro) Très Très Fort,fortissima. Formata da sei anzianie da alcuni ragazzini che, come“lavoro”, spingono tricicli arti-gianali cigolanti su cui i parplegi-ci sono sistemati, Benda Bilili ha

una filosofia di vita davvero spe-ciale: tutto può essere superato sec’è la musica. E’ la musica che fascaturire il sorriso sui loro volti edà loro la forza di sperare che ildomani sarà migliore. Mendicantidi giorno, musicisti di notte, imembri di Benda Bilili alternanoquotidianamente espedienti per lasopravvivemza a lunghe prove nelcortile della Terrasse GentilsGentils o nel giardino zoologicodella città. Un giorno, qualcuno siincuriosisce, li ascolta e crede inloro. Il film è un viaggio crudonell’inferno della loro vita, nelletravagliate vicende legate alla reg-istrazione dell’album consacratopoi dal successo del successivo toureuropeo. Oggi, il capo dello staffRicky, Koko, Djunana, Theo,Randy, e il giovane e talentuosoRoger (già soprannominato il JimiHendrix del Congo), calcano ipalchi di tutto il mondo. All’iniziodi ogni concerto, quando dal grup-po si alza al grido “Benda Bilili” ilpubblico risponde entusiasta: “ trestres fort!”. Come appunto il signi-ficato di Benda Bilili, che in lingualingala vuol dire al di là delleapparenze, ecco la dimostrazionedi un valore artistico che va benoltre l’immagine. Nessuna icono-grafia, nessun glitter, niente starsystem, ma una musica che nascedal cuore, dalla gioia di vivere.Anche nella disperazione.

Una favola africanaDePRODUCERS

La musica incontra la scienzaal Planetario di Milano

A lexis Roland-Manuel, com-positore e critico francese,

diceva che la musica commuovein quanto muove. Muove l’animadell’uomo, e come tutte le formed’arte è in grado di suscitare emo-zioni uniche, spiegabili soloattraverso la scienza.

Sono le 19:30 di mercoledì 2marzo, questa sera il PlanetarioUlrico Hoepli di Milano ospita, inanteprima, un progetto che abbi-na musica e astronomia. Il viag-gio, al quale hanno il privilegio diassistere circa 200 persone tragiornalisti, membri di case disco-grafiche e amici, ha il nome diDePRODUCERS. L’idea coinvolgecinque musicisti contemporanea-mente stimati anche come pro-duttori: Vittorio Cosma, RiccardoSinigallia, Gianni Maroccolo,Max Casacci e Howie B. Sulla basedel loro rapporto di stima e ami-cizia hanno deciso di condividereil primo capitolo di un progetto diricerca: «Per quanto riguarda itesti delle nostre canzoni abbia-mo pensato a qualcosa d’inopi-nabile. In un momento di grandeapparenza e dominio della formaabbiamo cercato di mettere alcentro dei contenuti che fosseroin un certo senso incontestabili: idati scientifici. La scienza come

nuova poesia». Così spiega il pro-getto Vittorio Cosma, e continua:«Una mattina passando in moto-rino ho visto il planetario e hoavuto l’idea di entrare. Qui hotrovato il nostro vero leader cari-smatico, il direttore del planetarioFabio Peri». Peri è il frontmanideale del gruppo, la voce narran-te della serata, colui che comandail planetario Zeiss e che ha il pote-re di spegnere tutte le luci dellacittà. La serata ha inizio.

Proiezioni suggestive di stelle,galassie e costellazioni sono scan-dite dalla musica live del quartet-to, accompagnato a sua voltadalle trame percussive di DodoNKishi dei Mouse On Mars. È unmuro sonoro dalle tinte elettroni-che, composto da tastiere e sinte-tizzatori, chitarre ricche di effettidi modulazione e linee di bassoritmate e precise. L’atmosfera chesi crea è interessante e i brani, perquanto derivativi, sono di qualità.Lo spettacolo, che porterà la bandad esibirsi nei teatri e nei planeta-ri d’Italia, è una curiosa anticipa-zione del disco. L’uscita è previstaper giugno 2011 e metterà ilgruppo di fronte alla prova piùdura: il plauso della critica e delpubblico senza l’appoggio dell’e-lemento visivo.

STAFF BENDA BILILI

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G L I I M P E R D I B I L Idischi, video, libri, concerti da non mancare

DISCHI: Hugh Laurie - Let Them Talk (Warner Bros, 2011)

Dr. House stringe la mano a Dr. John. Da buon inglese appassionato di blues, Hugh Laurie onora il suoesordio discografico scavando nel repertorio della musica afroamericana, rispolverando brani classici etradizionali insieme al produttore Joe Henry. Ma le scelte non sono affatto scontate per un album di cover.In St. James Infirmary emerge il gusto per il jazz e gli arrangiamenti raffinati; prendono alla sprovvista ilsaltellante boogie Swanee River e la ritmica sincopata di Tipitina; trovano spazio anche tracce più ruralicome Police Dog Blues e They’re Red Hot. La preferenza cade insomma sulle perle meno conosciute delSud, con un occhio di riguardo alla scena di New Orleans. Anzi, più che un occhio di riguardo: il pro-getto vede la partecipazione di vere e proprie leggende della Louisiana come il già citato Dr. John in AfterYou’ve Gone, Irma Thomas in John Henry e Allen Toussaint alla conduzione dei fiati. Il ventaglio di inter-venti illustri è completato da Sir Tom Jones, protagonista in Baby Please Make A Change. Laurie, dal cantosuo, dimostra di possedere una buona personalità interpretativa, offrendo una vocalità espressiva e colo-rata, priva di tecnicismi; si cimenta anche con chitarra e percussioni, ma determinante per il sound è lasua abilità al piano, chiave di volta della title track e della maggioranza dei brani. Dopo questo debutto si attendono concerti all’infuoridel circuito promozionale e magari l’affermazione necessaria a impedire che l’ascoltatore vada a pensare: «Niente male per un attore».

DISCHI: Ben Harper - Give Till If’s Gone (Virgin Records, 2011)

È un Ben Harper intimo e personale, ma con il freno a mano tirato, quello che emerge da Give Till It’sGone. Diciamolo subito: questo decimo album del cantautore californiano non fa certo gridare al mira-colo, ma neppure delude i fan. Un pubblico che, come del resto invita a fare il primo singolo Don’t GiveUp On Me Now, resterà di certo al suo fianco. È un disco valido ma interlocutorio, arrivato a 5 anni dalprecedente lavoro da solista, il discreto Both Sides Of The Gun, e ad appena 2 dal più riuscito WhiteLies For Dark Times, firmato insieme ai Relentless7. In verità, la band che negli ultimi tempi si è divisa congli Innocent Criminals il compito di accompagnare Harper è presente anche nel nuovo album. «Poichéscrivo io gran parte dei brani, di solito scelgo se firmare un disco come solista o meno in base alle can-zoni. E questa volta ci sono tracce troppo personali», ha dichiarato Harper in una recente intervista. Eccoallora sfilare in scaletta 11 canzoni energiche e malinconiche allo stesso tempo, in cui il rocker si rac-conta a cuore aperto, mescolando i sentimenti di padre e uomo a quelli di un eterno ragazzino che sidiverte ancora a fare le acrobazie con lo skateboard. Soprattutto, Give Till It’s Gone è un album sincero,dove le pulsioni private si fondono con riflessioni di carattere generale, fino a sfiorare il concetto di esistenza in senso lato. E sono quasidelle lezioni di vita quelle che emergono dai testi. Come nella toccante I Will Not Be Broken, un invito a non arrendersi nonostante imomenti no, malgrado il dolore. Mentre la coinvolgente Rock n’ Roll Is Free, che pare uscita da un album di Neil Young della fine deglianni ’80, racchiude l’invito a osservare il mondo da prospettive diverse, evitando le angolazioni prestabilite, dietro la lode di un gene-re musicale i cui protagonisti hanno cercato, sempre e comunque, di tenersi lontano dagli schemi. Tante, e pure di un certo peso, le col-laborazioni. A cominciare da quella con Jackson Browne, che ha prestato la sua voce calda alla malinconica Pray That Our Love SeesThe Dawn. Hanno invece un piglio più sereno Spilling Faith e Get There From Here, che vedono alla batteria, in veste di ospite d’ono-re, l’amico Ringo Starr. A conti fatti, è un Ben Harper che si mette sotto i riflettori quello che emerge da Give Till It’s Gone. Senza guiz-zi, certo, ma con estrema onestà.

DISCHI: AC/DC - Live At River Plate (Columbia/Sony Music, 2011)

È una delle migliori live band in attività e come il buon vino migliora col passare del tempo. Sulle scenedalla prima metà dei ’70, autori del disco hard rock più venduto della storia (Back In Black), gli AC/DCconservano tutta l’energia che da sempre contraddistingue le loro esibizioni. Il regista David Mallet immor-tala i 3 concerti sold out tenutisi il 2, 4 e 6 dicembre 2009 all’Estadio de River Plate di Buenos Aires,durante il Black Ice Tour e 13 anni dopo l’ultima esibizione del gruppo in Argentina. 32 telecamere adalta definizione trasportano il telespettatore fra i 200.000 paganti che occupano ogni centimetro di spa-zio a loro disposizione, offrendo un colpo d’occhio spettacolare. La sezione ritmica composta dalla chi-tarra di Malcolm Young, dal basso di Cliff Williams e dalla batteria di Phil Rudd è come al solito impec-cabile, e funge da struttura portante su cui si innestano le evoluzioni chitarristiche di un Angus Young incontinuo movimento, e il cantato rauco ma senza sbavature di un Brian Johnson in forma smagliante. Lascaletta include qualche brano estratto da Black Ice, ultimo album della band, e l’immancabile serie diclassici che hanno reso il quintetto australiano uno dei più celebri gruppi rock del pianeta. Più che unDVD, una scarica di adrenalina pura che anche attraverso il teleschermo vi farà battere il piede a tempo,senza che nemmeno ve ne accorgiate.

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Martedì 26 aprile presso la libreria Feltrinelli Express di Milano si è svolta la presentazione del nuovodisco di Vinicio Capossela che fra parole, musica e balenottere di pezza ha dato una piccola antici-pazione di quello che lui stesso definisce una “marina commedia ciclopedica”. Fin dalla notte dei tempi l’uomo è stato affascinato e attirato dal mare, dai suoi misteri e leggende.Così il cantautore ci accompagna in questo viaggio sfidando l’ignoto e di conseguenza la sorte diognuno di noi. Un viaggio attraverso un oceano di carta, come dichiara il cantautore: l’album è ispi-rato dalla letteratura, con testi provenienti dal Moby Dick di Melville, dall’Odissea e dalla Bibbia. Unlavoro maestoso, 86 minuti in tutto, quasi proporzionato alle dimensioni della bianca balena. Un percorso che il “marinaio” Capossela ha intrapreso partendo da Ischia, toccando Berlino, Creta,per poi tornare a Milano. Un viag-gio dove il marinaio ha incontratoostacoli e difficoltà, ma anche pre-ziosi amici e collaboratori come i

musicisti Vincenzo Vasi e Alessandro “Asso” Stefana, le guest starMarc Ribot e Greg Cohen, l’artista cretese Psarantonis, detto lo “Zeuscon la lira”, e molti altri. Particolarità del disco è l’utilizzo di strumentiinsoliti come il santur, il theremin, l’Onde Martenot e l’uso di cori chesottolineano la solitudine del protagonista, donando al tutto un melo-dioso suono epico, perfetto per quest’opera caposseliana. Il lavoronon può essere spiegato più di tanto con le parole, ma dovrebbe esse-re ascoltato e “navigato” in solitudine, per poi giungere alla cono-scenza di noi stessi e dei limiti che l’essere umano ha per sua natura.E come nel film L’attimo fuggente, dovremmo alzarci in piedi e grida-re: «Oh capitano, mio capitano!».

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CONCERTI: Roger Waters - THE WALL LIVE - Assago (Milano), Mediolanum Forum - Aprile 2011

G L I I M P E R D I B I L Idischi, video, libri, concerti da non mancare

DISCHI: Vinicio Capossela - Marinai, profeti e balene (La Cupa-Warner, 2011)

L’ultimo dei 31 spettacoli del tour di The Wall si tenne nell’arena londinese di Earl’s Court,il 17 giugno 1981. Una data storica: è stata l’ultima volta che Roger Waters è salito sulpalco con i Pink Floyd per i successivi ventiquattro anni. Oggi, trent’anni dopo, il bassi-sta, co-fondatore e mente creativa del gruppo londinese decide di riproporre una ver-sione aggiornata di quei concerti. Non mancheranno strabilianti effetti scenici, gigante-schi pupazzi gonfiabili (firmati da Gerald Scarfe) e ovviamente un enorme muro. Alto 10metri, sarà costruito davanti alla band usando scatole rettangolari fissate a un’animametallica. La direzione dello spettacolo è affidata a Mark Fisher.Sono le 21 quando si spengono le luci e dagli spalti s’innalza un boato assordante. Lenote esplosive di In The Flesh? sono accompagnate da fuochi d’artificio accecanti, men-tre al termine della canzone un bombardiere Stuka schizza sopra le nostre teste, si infran-ge aldilà del muro costruito solo nei lati dell’arena, e svanisce in una palla di fuoco.L’accompagnamento alle tastiere, suonate dal fidatissimo Jon Carin e dal figlio di Roger,Harry Waters, introduce The Thin Ice, in cui si presenta anche il californiano RobbieWyckoff, che canterà le parti vocali di David Gilmour. Dirige l’orchestra delle chitarreDave Kilminster seguito da G.E. Smith e Snowy White. Quando The Happiest Days OfOur Lives sfocia in Another Brick In The Wall Part 2, la costruzione del muro ha ufficial-mente inizio e il Mediolanum Forum s’improvvisa corista insieme a Jon Joyce, Michael,Mark e Kipp Lennon. Goodbye Blue Sky è il brano dai contenuti politici più forti: in cuile colombe del filmato si trasformano in bombardieri che sganciano simboli religiosi emarchi d’importanti multinazionali. Con i tristi e rassegnati versi di Goodbye Cruel Worldil muro è completato e nella seconda parte dello spettacolo accoglie filmati (particolar-mente toccanti in Vera) e disegni animati. Il sound devastante della crew di Waters rag-giunge le sue vette più alte nell’attesissima Comfortably Numb (suonata con DavidGilmour in un’unica data del tour, il 12 maggio all’arena O2 di Londra). The Trial, rin-vigorita dai disegni di Scarfe, culmina in un catastrofico crollo del muro. È il preludio alla

conclusiva Outside The Wall, in cui i musicisti si esibiscono, l’uno accanto all’altro, in veste folk, con Roger Waters alla tromba.Uno spettacolo di qualità assoluta che ha dato la possibilità ai 10.000 fan presenti di perdersi in profondità emozionali senza tempo.Lo stesso Waters, avvolto da uno sciame di applausi, lascerà il palco commosso. Miracoli della musica.

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D al 18 al 21 aprile si è svolta laseconda e ultima Open Week

dell’anno accademico 2010/2011. Una quattro giorni d’incontri,seminari e concerti che ha permessoagli studenti di “viaggiare” in diversedimensioni musicali grazie a dueappuntamenti: “Da Milano aDublino, CPM Connections” con imusicisti Ray Heffernan, Bill Colemane il duetto Jezzebelle, e “Da Milanoall’India, musicando sul Gange” conArup Kanti Das e Azaan Khan.L’evento prevedibilmente più accla-mato è stato tuttavia l’incontro con ilcantautore/rocker emiliano LucianoLigabue. Originariamente fissato perla giornata del 21 aprile, e rinviatoa causa di un improvviso impegnodell’artista di Correggio, l’incontro siè svolto il 4 maggio, in un tiepidopomeriggio primaverile.

Impaziente di trovare un postonel teatro del CPM, una piccola follasi raduna davanti all’entrata dellascuola già 2 ore prima dell’arrivo diLigabue. L’atmosfera all’interno ècarica d’entusiasmo. L’attesa, soprat-tutto quella delle giovanissime fanaccorse, diviene sempre più palpa-bile man mano che si avvicinano le17:30, l’ora in cui dovrebbe entrarel’ospite. I 10 canonici minuti di ritar-do vengono rispettati. Ligabue entranel teatro in un clima trionfale, scor-tato da alcune guardie del corpo,mentre cinque studenti del CPM,scelti con un apposito casting, glirendono tributo suonando nota pernota alcuni dei suoi brani più famosicome La forza della banda e Ilmeglio deve ancora venire. Il benve-nuto ufficiale gli viene dato dal pre-sidente del CPM, Franco Mussida,in veste d’intervistatore. Lo scopo del-l’incontro è l’analisi dei due aspetti

principali della forma canzone: leparole e la musica. Il chitarrista emembro fondatore della PFM ha ilmerito, grazie alle sue domande, difar giungere ai giovani musicisti pre-senti alcuni consigli sull’approccioalla scrittura. La classica leggendasull’ispirazione, come elementoimprescindibile nel processo di crea-zione di un’opera, viene sfatataanche dal Liga che sottolinea inveceil lato professionale, quello delcostante lavoro quotidiano. «Certo,nel mio paese vanno ancora dicen-do che io canto invece di lavorare,e mi piace pensare che sia così»,afferma ironico l’artista emiliano sof-fermandosi un po’ sul suo metodocompositivo: «Se parliamo del fattodi fare solo musica, tutto può finireanche in un assolo di chitarra. Iospesso e volentieri ho la necessità discrivere testo e musica di getto,dopo di che c’è un lavoro di cesello.Atto di fede risente molto di questamia attitudine, è una dichiarazioneimportante e in un racconto di vitac’è il bisogno di essere sintetici. Aigiovani cantautori consiglio di evita-re la prolissità. D’altro canto, unadelle maggiori doti che un artistapossa avere è l’incoscienza, pur-troppo spesso destinata a svanire nelcorso della carriera». I 20 minutifinali sono un botta e risposta fraLigabue e i fan, contenti di poter par-lare con il proprio beniamino.

Il CPM si occuperà ora dellaselezione dei gruppi che aderisconoal contest “Quando canterai la tuacanzone”. I quattro finalisti avranno ilpiacere, l’onore e la responsabilitàdi suonare sul palco dell’unico e atte-sissimo concerto che Ligabue terrà inestate. L’appuntamento è alCampovolo, 16 luglio 2011.

CPM NEWS

Chi volesse inviare materiale audio/video o comunicare annunci e segnalazioni di ogni genere,può farlo scrivendo alla redazione di “CPMagazine” al seguente indirizzo: [email protected]

IL CPM INCONTRA LUCIANO LIGABUEL’artista di Correggio è l’ospite

dell’appuntamento finale dell’Open Week di aprile.

Novanta minuti dal sapore tutto italiano: dai consigli per i musicisti in erba all’attesissimo concerto del Campovolo del prossimo 16 luglio.