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Edilizia 2007 Edifici in Muratura A cura di BibLus-net: Antimo Bencivenga Gerardo Masciandaro Domenico Mastroianni Prima edizione - ottobre 2006 ACCA

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Edilizia 2007

Edifici in Muratura

A cura di BibLus-net:

Antimo Bencivenga Gerardo Masciandaro Domenico Mastroianni

Prima edizione - ottobre 2006

ACCA

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Premessa

Il patrimonio edilizio italiano è caratterizzato da una percentuale rile-vante di costruzioni realizzate prima del 1945 (oltre il 30%) e da un’altra grande percentuale realizzate prima del 1960 (12% circa). È fa-cile presumere come la gran parte sia costituita da edifici realizzati in muratura: basti pensare alla conformazione dei centri storici, ai beni monumentali, per arrivare fino ai manufatti ad uso rurale di cui è dis-seminato il territorio del nostro paese.

La costruzione ex novo di edifici realizzati con questo materiale è dimi-nuita moltissimo, per motivi facilmente comprensibili. Infatti, limita-zioni architettoniche, costi elevati dei materiali, mancanza di manodo-pera specializzata, hanno fatto sì che oggi ci si limiti ad interventi loca-lizzati, per fini spesso puramente estetici, in edifici con tipologia strut-turale diversa, come, ad esempio, in cemento armato.

A causa di eventi sismici, ma anche semplicemente per motivi di riat-tamento, è diventato un mercato fiorente quello legato al recupero di ta-li edifici. Nuove tecniche e nuovi materiali consentono oggi il pieno ri-pristino di edifici in muratura danneggiati dal sisma o dalle offese del tempo, e ciò stimola tra l’altro la rivalutazione e la rivitalizzazione dei centri storici, invertendo la tendenza della popolazione ad allontanarsi da essi. D’altra parte la muratura presenta caratteristiche di “longevità” elevate, ancora non riscontrabili nel calcestruzzo armato. Tuttavia, sono i particolari costruttivi ad essere particolarmente carenti, solai e coper-ture in primis.

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Rifacendoci alle normative vigenti (D.M. 16/01/1996), col termine “re-cupero” si possono intendere due grandi categorie di interventi:

Miglioramento, allorquando si effettua “l’esecuzione di una o più opere riguardanti i singoli elementi strutturali dell’edificio con lo scopo di conseguire un maggior grado di sicurezza senza, peraltro, modifi-carne in maniera sostanziale il comportamento globale”;

Adeguamento, allorquando si effettua “l’esecuzione di un complesso di opere sufficienti per rendere l’edificio atto a resistere alle azioni si-smiche …”.

Il primo tipo di intervento è obbligatorio qualora si intenda effettuare interventi locali atti a rinnovare o sostituire elementi strutturali dell’edificio (ad esempio sostituzione di un solaio in legno con altro di diversa tecnologia), mentre il secondo è obbligatorio in caso di amplia-mento, sopraelevazione, variazioni di destinazione che comportino un incremento dei carichi originari superiori del 20%, ecc.

Parallelamente, si assiste ad un rinnovato sforzo nello sviluppo di tecni-che di calcolo che si rifanno a modelli sempre più sofisticati, al fine di simulare al meglio ciò che avviene o potrebbe avvenire nella realtà. Non si dimentichi l’alto tributo di vite umane pagato dalla nostra nazione nell’ultimo trentennio a causa di eventi ben noti e di cui ancora oggi si pagano le conseguenze, dovute in gran parte ad un patrimonio edilizio de-gradato, falsamente rassicurante (quest’edificio sta in piedi da oltre cento anni …) e che invece può rivelarsi una trappola mortale per gli occupanti.

Il quadro normativo, in forte evoluzione, si può dire che sia tristemente cadenzato dall’accadere di tali eventi. Oggi esso è teso fortemente alla prevenzione, ma si è convinti che a ciò debba accompagnarsi una “spin-ta” da parte dei tecnici del settore tesa alla sensibilizzazione della parte committente a questo tipo di problematiche.

Scopo di questa pubblicazione è di fornire un quadro panoramico com-pleto sull’intrecciarsi delle normative e del loro riflesso dal punto di vi-sta tecnico, evitando di ripetere trattazioni che sono facilmente reperibi-li, ed addentrandosi nei dettagli matematici solo quando la trattazione del problema lo richieda per motivi di chiarezza.

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Capitolo 1 Il Quadro Normativo

Come già accennato nella premessa, un po’ a causa del succedersi di eventi sismici, un po’ a causa dell’avanzare delle conoscenze dei mate-riali e delle metodologie di calcolo, si è assistito ad una “stratificazio-ne” delle normative che sono state emanate progressivamente e che so-no comunque interconnesse fra loro. Alle normative nazionali si sono affiancate anche normative regionali, intese ad ottimizzare le risorse economiche disponibili per il recupero di zone danneggiate da eventi si-smici e di cui bisogna tenere conto contemporaneamente alle altre.

In questo capitolo si esaminerà tale successione, riportandone i punti sa-lienti in ordine alla trattazione della muratura ed evidenziando le con-nessioni esistenti fra loro.

1.1 L. 2 febbraio 1974, n. 64 - Provvedimenti per le costruzioni con particolari prescrizioni per le zone sismiche

La Legge n. 64 del 2 febbraio 1974, che, per brevità, sarà indicata con “L. 64/74”, è stata la prima a regolamentare organicamente la materia, occupandosi tra l’altro dei “Criteri generali tecnico-costruttivi per la progettazione, esecuzione e collaudo degli edifici in muratura e per il loro consolidamento”. Essa, infatti, annovera, fra i criteri costruttivi, la possibilità di edificare in muratura ex-novo (art. 5 e 6).

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Più in generale, essa si occupa di regolamentare alcuni degli aspetti non previsti dalla L. 1086/71 riguardante le opere in c.a. e metalliche, come è ben noto. Infine, volendo fare un passo ancora più indietro, essa coordina quanto era rimasto in vigore nel R.D. 2229 del 1939, che era stato derogato per la parte che riguardava il c.a. e le strutture in acciaio dalla L. 1086/71.

La L. 64/74 prevedeva all’art. 3 l’emanazione, mediante Decreti Legge, di normative tecniche che sono state per molti anni le direttive di rife-rimento di tutti i tecnici.

All’art. 4 vengono elencate le indicazioni che tali norme avrebbero do-vuto contenere in relazione al grado di sismicità: le massime altezze raggiungibili, le azioni orizzontali, le distanze minime, le dimensioni minime delle membrature, i criteri di verifica e così via.

Essa introduce l’indicazione, valida ancora oggi, che l’edificio deve es-sere progettato per resistere ad azioni orizzontali agenti secondo due di-rezioni ortogonali fra loro e che tali azioni dovranno essere ripartite fra le membrature esistenti (e resistenti) nelle due direzioni principali.

Regolamenta, inoltre, la possibilità di sopraelevazione, indicando per la muratura la possibilità di sopraelevare un piano “purché il complesso della struttura sia conforme alle norme della presente legge” ed indica espressamente che “le riparazioni di edifici debbono tendere a conse-guire un maggior grado di sicurezza alle azioni sismiche”.

La L. 64/74, alla lett. b dell’art. 3, elimina anche la rigida distinzione fra due categorie sismiche, la I e la II e quindi dà una maggiore flessibi-lità all’elenco delle zone sismiche, oggetto tra l’altro di modifiche da parte della Legge 25 novembre 1962 n.1684, del D.M. 10/3/1969 (Sici-lia) ed ancora del D.M. 15/9/1976 (Friuli).

Come si può ben vedere, quindi, tali norme rappresentano un insieme di regole, di molto buon senso, che oggi sono connaturate in ogni tecnico. Se si è raggiunto questo importante risultato lo si deve a questa fonda-mentale Legge, che sfociò nei contenuti tecnici del D.M. 3/3/1975.

In questo importantissimo decreto legge, le famose “Norme tecniche per le costruzioni in zone sismiche”, si trovano praticamente tutti i con-cetti per il calcolo in zona sismica che fanno parte oggi del bagaglio cul-

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Capitolo 1 - Il Quadro Normativo

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turale di base di ogni tecnico del settore. In esse vengono esattamente e-lencate le azioni orizzontali minime di cui tener conto nelle due zone, le masse impegnate, il calcolo in analisi statica o dinamica a seconda del pe-riodo di vibrazione, le altezze massime a seconda del sistema costruttivo e tutta una serie di cose ben note che non vale la pena di ricordare.

In particolare, al capo C.5 “Edifici in muratura”, dalla lettera a) alla n) vengono elencate una serie di prescrizioni (cui si rimanda), che conten-gono in nuce tutte le norme del buon costruire, che sono validissime an-cora oggi, poiché tendono a realizzare la scatola muraria che è l’essenza della struttura sismo-resistente, come si vedrà meglio nel seguito.

1.2 L. 14 maggio 1981 n.219 ed Istruzioni Circ. 30/7/81 - Interventi in favore delle popolazioni colpite dagli eventi sismici del novembre 1980 e del febbraio 1981

A seguito degli eventi sismici in Campania ed in Basilicata del 23 no-vembre 1980 e del febbraio 1981, fu emanata la Legge 14 maggio 1981 n. 219 (indicata in seguito L. 219/81) che recava interventi in aiuto del-le popolazioni colpite da quell’evento sismico. In osservanza dell’art. 10 di questa Legge furono emanate una serie di istruzioni: la prima (Circolare LL. PP. 30/07/1981 n. 21745, in seguito indicata brevemente con Circolare ‘81) per “… la riparazione ed il rafforzamento degli edi-fici in muratura danneggiati dal sisma” e la seconda (Circolare LL. PP. 12/12/1981 n. 22120) “… per la riparazione ed il rafforzamento di edi-fici in c.a. ed a struttura metallica danneggiati dal sisma”.

È doveroso ricordare a chi non ha vissuto “sul campo” quel triste perio-do, lo stato di concitazione, per non dire di confusione, in cui si era co-stretti ad operare. Per questo motivo lo spirito della Legge era quello di fornire un ausilio di rapida attuazione ai tecnici che dovevano fronteg-giare un’emergenza di dimensioni enormi.

Soffermando la nostra attenzione sulla prima delle due circolari, in essa venivano puntualizzate indicazioni di carattere generale, su come do-vesse essere stilato il progetto cartaceo a partire dal rilievo della situa-zione di fatto, le indagini da effettuare e via discorrendo con un accento

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particolare su due punti: l’accertamento dell’effettiva capacità dei solai di possedere un’elevata rigidezza nel proprio piano al fine di ripartire la forza sismica fra gli elementi resistenti (cosa questa non necessaria ai fini della ripartizione, come si vedrà poi più avanti) e di essere questi efficacemente ammorsati alla muratura (al fine di prevenire pericolosi meccanismi di ribaltamento).

In quest’ottica, al p. 3.1.1. venivano date delle indicazioni orientative, successivamente dettagliate in Appendice, sulla conduzione della veri-fica sismica e sui valori orientativi delle tensioni di compressione e ta-glio caratteristiche. Viene introdotto il coefficiente di struttura, con un valore molto alto (β = 4 in considerazione delle caratteristiche della mu-ratura), per il calcolo delle azioni orizzontali, che risultano, pertanto, esaltate di parecchio rispetto ad esempio ad un edificio in c.a. avente pari massa; ciò trova spiegazione nella scarsa duttilità della muratura.

Vengono esplicitamente indicati i metodi di verifica delle pareti riguar-do alle azioni agenti sia nel loro piano che nel piano ortogonali ad esse, ed i controlli ed eventuali provvedimenti da adottare sulle fondazioni.

Nei punti successivi si elencano i provvedimenti da adottare per il con-solidamento delle varie membrature: solai, scale, archi, volte e così via.

Una vera pietra miliare per il calcolo degli edifici in muratura è rappre-sentato dal contenuto dell’Appendice, in cui vengono esplicitati i passi per effettuare la verifica sismica degli edifici secondo il metodo POR, col quale è possibile calcolare agevolmente la resistenza dell’edificio (sia pu-re con tutta una serie di limitazioni concettuali), partendo dall’ipotesi di comportamento elasto-plastico dei pannelli in muratura, fino alla modali-tà di ripartizione delle forze orizzontali in campo post-elastico.

Il metodo POR ha poi conosciuto dei perfezionamenti (PORFLEX) che tengono conto non solo del taglio ma anche della flessione presente nei pannelli, specialmente per edifici nuovi, ovvero alti e snelli.

Successivamente, si è poi giunti al procedimento di calcolo in campo non lineare noto come pushover, di cui il POR rappresenta un precurso-re nel campo delle murature, grazie anche al fatto che si sono resi di-sponibili, su qualunque computer odierno, dei software di calcolo agli elementi finiti a basso costo.

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Capitolo 1 - Il Quadro Normativo

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1.3 D.M. LL.PP. 20 novembre 1987 - Norme tecniche per la progettazione,

esecuzione e collaudo degli edifici in muratura e per il loro consolidamento

Il D.M. LL.PP. 20 novembre 1987, in seguito indicato con D.M. ‘87, è stato emanato in forza della L. 64/74 ed è tuttora vigente. Esso racchiu-de una serie di concetti per il calcolo della muratura talmente importanti che sono stati riproposti tal quali nel Testo Unico per l’Edilizia di re-cente pubblicazione.

È importante precisare che esso si riferisce ad edifici nuovi di fabbrica in muratura non armata, ma non vi è nessuna controindicazione affinché si adottino le stesse metodologie anche per edifici esistenti, anche in consi-derazione del fatto che spesso questi ultimi vengono consolidati con l’inserimento/sostituzione di pannelli evidentemente di muratura nuova.

Nel D.M. ‘87 vengono innanzitutto elencate le malte ed i blocchi che si possono utilizzare.

Le malte vengono classificate in funzione della loro resistenza (da M1, la più resistente, alla M4).

I blocchi, invece, vengono distinti in elementi artificiali o naturali. I primi sono classificati in funzione del materiale e dell’eventuale foratu-ra, mentre i secondi vengono distinti in pietra squadrata e non.

Per ciascuna tipologia di blocchi vengono indicati gli spessori minimi ed è possibile ricavare anche la resistenza caratteristica a compressione ed a taglio in funzione della resistenza dell’elemento e del tipo di malta da apposita tabella.

Altra importante innovazione è stata l’introduzione della possibilità di effettuare le verifiche agli stati limite oltre che alle tensioni ammissibili. È possibile, infine, omettere del tutto le verifiche nel caso in cui l’edificio abbia determinati requisiti geometrici (Titolo I, Cap. 3, p. 3.1 cui si rimanda) e sia costituito da elementi resistenti naturali.

Sono ancora indicati gli accertamenti da effettuare per il collaudo stati-co e le norme tecniche per il consolidamento di edifici esistenti, che è

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reso obbligatorio (Titolo II, Cap. 1, p. 1.1) quando si apportino modifi-che sostanziali all’organismo strutturale, come sopraelevazioni, varia-zioni di destinazioni che comportino incrementi di carico notevoli, ecc.

Un allegato finale chiarisce le prove da effettuare in laboratorio per la determinazione sperimentale della resistenza a compressione. A questo proposito si pone l’accento su un fatto importantissimo: pur essendovi nella normativa ed in letteratura tecnica moltissime indicazioni al ri-guardo, le prove di laboratorio sono determinanti per la corretta indivi-duazione delle caratteristiche meccaniche che sono evidentemente alla base di un corretto calcolo. Soprattutto nel caso di edifici esistenti co-struiti con materiali naturali e malte di difficile classificazione, sono tantissimi i fattori che influenzano i parametri di resistenza e, conse-guentemente, la correttezza del calcolo.

Appare, infine, utile citare la Circolare 4/1/1989 n. 30787, cui si riman-da. In essa sono riportati “… (omissis) … una serie di chiarimenti per una corretta applicazione delle norme stesse” ovvero del D.M. ‘87.

1.4 D.M. 16 gennaio 1996 - Norme tecniche per le costruzioni in zone sismiche Le metodologie indicate dalla L. 64/74 sono state adottate per circa cin-que lustri e, pur subendo piccole variazioni, sono rimaste praticamente immutate fino al 5 febbraio 1996, data in cui sulla G.U. furono pubbli-cati tre importantissimi Decreti del Ministero dei LL. PP.:

D.M. 9/1/1996 “Norme tecniche per il calcolo, l’esecuzione ed il col-laudo delle strutture in cemento armato, normale e precompresso e per le strutture metalliche”.

D.M. 16/1/1996 “Norme tecniche relative ai criteri generali per la veri-fica di sicurezza delle costruzioni e dei carichi e sovraccarichi”.

D.M. 16/1/1996 “Norme tecniche per le costruzioni in zone sismiche”.

Nel seguito si farà riferimento ad essi indicandoli brevemente come D.M. ‘96, anche se ci si riferirà quasi sempre al terzo dei tre decreti ministeriali.

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Capitolo 1 - Il Quadro Normativo

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In questi decreti importantissimi concetti venivano ripresi dagli Euro-codici, che venivano così imposti all’attenzione dei tecnici italiani. Ad esempio, nel primo dei tre D.M. sopra elencati viene trattato il calcolo (le verifiche, per meglio dire) agli Stati Limite e le azioni di calcolo (combinazioni) di tipo semiprobabilistico da adottare in alternativa al calcolo alle tensioni ammissibili per le strutture in c.a./metalliche. In verità essi erano stati introdotti anche in precedenti disposizioni norma-tive, ma non in maniera così incisiva e particolareggiata, e con coeffi-cienti di combinazione diversi da quelli riportati negli Eurocodici.

Il secondo dei tre D.M. si occupa di definire le azioni sulle costruzioni (per qualsiasi tipologia costruttiva) quali sovraccarichi agenti in funzio-ne della destinazione, il carico neve e vento in funzione della posizione geografica, le variazioni termiche.

Il terzo D.M. riprende alcuni concetti già introdotti dalla L. 64/74 ed esplicitamente dichiara la possibilità di effettuare le verifiche anche agli Stati Limite, indicando la modalità di combinazione del sisma con le al-tre azioni.

Al capo C.5, dedicato agli edifici in muratura, viene esplicitamente in-dicato il rispetto del D.M. ‘87 e date tutta una serie di prescrizioni (ma-teriali da impiegarsi, particolari costruttivi, spessori minimi, ecc.) che se rispettati tutti consentono di omettere la verifica sismica, similmente a quanto già visto nel caso del D.M. ‘87. In caso contrario, la verifica si-smica è obbligatoria ed è indicata al p. C.9.5. Tutto ciò è ovviamente riferito agli edifici di nuova realizzazione.

Per gli edifici esistenti, si è già visto, in premessa, cosa intenda il D.M. ‘96 con i termini “miglioramento” ed “adeguamento”; nel caso di ade-guamento, anche per gli edifici esistenti nasce l’obbligo di effettuare la verifica sismica.

Anche se non indicato esplicitamente, le modalità con cui effettuare la ve-rifica possono essere quelle contemplate dal metodo POR, ma, evidente-mente, si vuol lasciare al tecnico la possibilità di considerare modalità di calcolo più sofisticate, sia pur rispettando certi principi basilari.

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Il valore del coefficiente di struttura β viene calcolato come prodotto di due fattori:

β1 = 2, coefficiente che tiene conto delle caratteristiche di duttilità delle costruzioni in muratura;

β2 = 2, coefficiente che tiene conto delle modalità di verifica a rottura. È importante notare che nella verifica delle fondazioni vanno assunte azioni calcolate con β2 = 1. In seguito, nella Circolare n. 65/97 (v. par. seguente) è stato indicato di assumere anche per edifici nuovi il valore β2 = 1.

Al p. C.5.3 vengono date indicazioni in merito agli edifici con muratura armata mentre al p. C.5.4 vengono date indicazioni in merito alle strut-ture miste, per le quali viene indicato chiaramente come l’azione sismi-ca debba essere affidata al 100% alla sola parte in muratura, oltre ad al-tre indicazioni (p. C.9.8) riguardanti gli interventi di miglioramento.

1.5 Circ. Min. LL.PP. 10 aprile 1997 n.65 - Istruzioni per l’applicazione delle norme tecniche per le costruzioni in zone sismiche di cui al D.M. 16 gennaio 1996

Nella premessa della Circolare del Ministero dei LL.PP. 10 aprile 1997, n.65, in seguito indicata con Circolare n. 65/97, vengono indicati alcuni concetti base di cui tener conto. Viene, ad esempio, prescritto di tenere in debito conto, nel calcolo, la presenza di pareti in muratura nell’ambito di strutture in c.a. o acciaio che ne possono perturbare in maniera sostanzia-le il comportamento. Si accenna, inoltre, anche alla possibilità di inseri-mento degli isolatori sismici al piede degli edifici, tanto che oggi questi si iniziano ad intravedere anche nel recupero di beni monumentali, per i quali però si richiede la preventiva approvazione del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici.

Al p. C.5.1 si ribadisce l’osservanza del D.M. ‘87, soprattutto per quan-to riguarda i materiali.

Al p. C.5.2 viene indicato che la metodologia di verifica sismica, di cui al p. C.9.5 del D.M. ‘96, è valida (ed obbligatoria) per edifici esistenti e per edifici nuovi che non rispettino le indicazioni del p. C.5 del D.M. ‘96.

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Viene chiaramente specificato che, al fine del calcolo delle azioni si-smiche, il coefficiente β2 debba essere posto pari ad 1 (e non a 2) poi-ché “… (omissis) … la norma specifica (D.M. 20.11.87), già per pro-prio conto, distingue i valori da attribuire alla resistenza del materiale a seconda del metodo adottato per il controllo della sicurezza (γm= 3 nel caso di verifica col metodo agli stati limite ultimi)…(omissis)… In conclusione quindi il livello di sicurezza di calcolo richiesto per gli edi-fici di nuova costruzione soggetti a “verifica” è del 50% circa superio-re a quello richiesto per gli edifici esistenti.”

Nella stessa Circolare n. 65/97 è riportato questo passo molto importan-te, relativamente al modello di calcolo: “Quando l’altezza supera il va-lore ammesso per un edificio in muratura non armata è sempre obbli-gatorio effettuare il calcolo delle sollecitazioni indotte dall’azione si-smica, sulla base di un modello della struttura che ne rappresenti il suo carattere tridimensionale. Nei casi comuni tale modello sarà costituito da un insieme di pareti disposte in pianta secondo due direzioni orto-gonali e collegate ai piani da diaframmi assunti come rigidi. Le pareti comprendenti aperture regolarmente disposte lungo l’altezza potranno essere schematizzate con modelli a telaio, con le pareti piene costituenti i montanti e con le fasce sovraporta e sovrafinestra costituenti le travi.”

Al p. C.5.4, cui si rimanda, viene trattato il problema delle strutture mi-ste, mentre il p. C.9.5.3 recita: “Come già evidenziato nel precedente paragrafo C.5.2, per i “vecchi” edifici in muratura non deve applicarsi il coefficiente γE di cui al punto B.8. delle norme, in quanto l’azione si-smica risulta compiutamente definita dal presente paragrafo.”.

Vale la pena ricordare che il coefficiente γE vale 1.5; ciò vuol dire che il coefficiente β contiene in sé tutti gli elementi necessari alla definizione dell’azione sismica. Infine, al p. C.9.10, viene indicato come procedere nel caso molto frequente di edifici contigui: “… (omissis) … aumentan-do convenzionalmente le forze orizzontali di progetto, facendo gravare sulle strutture resistenti dell’edificio in esame una quota parte delle masse relative agli edifici adiacenti”.

Per quanto riguarda l’applicazione della Circolare n. 65/97 si fa rilevare la sua non-cogenza stante la natura delle Circolari Ministeriali. È im-

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portante sottolineare, però, che in essa sono già riportati una serie di concetti, soprattutto relativamente alla duttilità delle strutture in c.a., che poi sono stati ripresi in modo esteso e dettagliato dall’O.P.C.M. 3274 e successive modifiche ed integrazioni.

Si ricorda, inoltre, l’importantissimo “Commentario al D.M. 16.1.1996 e alla Circ. 65/AA.GG. del 10.4.1997 del Ministero LL. PP.” redatto a cura dell’ANIDIS-SSN (Servizio Sismico Nazionale) che rappresenta una vera e propria miniera di informazioni per quanto riguarda la cor-retta interpretazione delle modalità con cui effettuare un calcolo di un edificio in zona sismica.

Ad esso ci si riferirà brevemente indicandolo con “Commentario ‘96”.

1.6 L. 30 marzo 1998, n. 61 - Conversione in legge, con modificazioni, del D.L. 30 gennaio 1998, n. 6, recante ulteriori interventi urgenti in favore delle zone terremotate delle regioni Marche e Umbria e di altre zone colpite da eventi calamitosi

A seguito del terremoto che colpì i territori dell’Umbria e delle Marche fu emanato il D.M. 30/01/98 n. 6 poi convertito in Legge 61/98, che è stata recepita dalle due regioni con delle direttive tecniche per la loro attuazione (Delib. Giunta Reg. Umbria 5180/98 - D.G.R. Marche 2153/98). Essa è rivolta agli edifici che devono subire degli interventi di miglioramento sismico, nell’accezione del D.M. ‘96.

Al fine di valutare il rapporto costi/benefici in maniera rapida, occorre-va uno strumento in grado di determinare, mediante opportune verifi-che, il grado di sicurezza prima dell’intervento, e quello conseguito do-po l’intervento di miglioramento.

Si è individuato perciò un percorso nel quale convivono la Circolare ‘81, il D.M. ‘87 e D.M. ‘96 con alcuni punti fermi:

1. Calcolo semiprobabilistico agli stati limite.

2. Azioni sismiche come al p. C.6 del D.M. ‘96, con β1 × β2 = 4 e coef-ficiente di fondazione ε come da microzonazione sismica.

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3. Resistenza delle murature da prove sperimentali; in assenza come da Circolare ‘81.

4. Stessa modalità di verifica sia prima che dopo l’intervento. A discre-zione del tecnico la possibilità di operare la verifica secondo quanto prescritto dal D.M. ‘87 o dalla Circolare ‘81.

Lo scopo delle verifiche è evidentemente quello di ottimizzare i costi degli interventi e di ridurre il rischio. Per gli edifici sottoposti a miglio-ramento, l’obiettivo, in termini di sicurezza, è stato fissato in un mini-mo del 65% rispetto all’adeguamento. Questo valore è scaturito da una “calibrazione” che assicura un buon compromesso tra sicurezza e con-servazione del patrimonio edilizio. Da notare che per eventi sismici passati, tali obiettivi sono stati talora posti uguali a quelli di edifici nuo-vi (Friuli ‘76) o al 50% (Abruzzo-Umbria ‘84). In questo caso il livello scelto nelle D.G.R. prima citate è un valore minimo. Occorre pertanto dimostrare che l’edificio sia globalmente che in tutte le sue parti sia in grado di resistere ad un’azione sismica avente un coefficiente sismico C pari al 65% del coefficiente sismico della zona Crif . A tal fine il proget-tista calcolerà prima Co, coefficiente sismico che porta a collasso la struttura in condizioni originarie e non danneggiata, e poi Cfin, analogo a Co ma calcolato dopo gli interventi progettati. Dovrà verificarsi che Cfin > 0.65 Crif ed ovviamente Cfin > Co.

Sono, inoltre, espressamente indicate le seguenti verifiche:

• ribaltamento di una parete;

• collasso per pressoflessione del pannello murario per azioni sia nel piano che fuori dal piano;

• crisi dei collegamenti;

• rottura a taglio della muratura.

L’importanza di tale Legge risiede nel fatto che in essa viene dettata una formulazione semplificata per il calcolo del coefficiente sismico C da impiegare per la determinazione della cosiddetta “soglia di vulnera-bilità”. In questo modo, il tecnico può rapidamente inquadrare l’edificio in funzione di questa soglia di vulnerabilità determinata. Poiché l’applicazione della formula è immediata ed ha una sufficiente rispon-

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denza con la realtà, si ritiene che essa possa rappresentare un criterio che verrà applicato magari con qualche lieve modifica anche in futuro, nel caso che se ne dovesse ripresentare la necessità (cosa che evidente-mente nessuno si augura).

1.7 Ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri 20/3/2003 n. 3274 - Primi elementi in materia di classificazione sismica del territorio nazionale e di normative tecniche per le costruzioni in zona sismica

Tantissimo è stato detto e scritto circa l’O.P.C.M. 3274 e della sua tra-vagliata storia. Essa rappresenta una vera rivoluzione della normativa sismica nel nostro paese (basti ricordare la sua natura prestazionale e non prescrizionale). Non si ripeteranno cose che sono state oggetto di innumerevoli pubblicazioni, corsi e seminari di aggiornamento, ma sa-ranno riepilogati i punti salienti riguardanti, in maniera generale o spe-cifica, la problematica della muratura.

Essa, come è noto, è stata oggetto di molte correzioni ed integrazioni fino all’ultima stesura, passando per l’O.P.C.M. n. 3316 dell’8/5/2003, per ar-rivare nella forma indicata dall’O.P.C.M. n. 3431 del 3/5/2005. In seguito sarà indicata brevemente con O.P.C.M. 3431, comprendendo implicita-mente tutte le modifiche, correzioni ed integrazioni ad essa apportate.

Da un punto di vista generale, la cosa più importante è che tutto il territo-rio nazionale viene classificato come sismico. Va menzionata la possibili-tà di analizzare, dal punto di vista sismico, con l’analisi statica lineare so-lo strutture regolari o anche irregolari con determinate condizioni, impo-nendo invece come metodi preferibili di soluzione l’analisi dinamica in campo lineare e l’analisi statica in campo non lineare (metodo pushover, di cui si parlerà nei prossimi capitoli) descritta al p. 4.5.4. Al p. 4.9 viene descritta una metodologia diversa per la valutazione della resistenza di pannelli murari non portanti, che può rappresentare un metodo di calcolo per pannelli murari sottoposti ad azioni di natura sismica ortogonali al proprio piano (verifica fuori piano).

Nel p. 4.11.2 viene specificato il limite alla deformabilità laterale a se-guito di azioni orizzontali (Stato Limite di Danno). Il capitolo 10 è in-

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Capitolo 1 - Il Quadro Normativo

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vece tutto dedicato ai metodi di calcolo degli isolatori sismici, venuti in tal modo a diventare uno strumento in più nel bagaglio del tecnico im-pegnato nel campo del recupero edilizio.

I capp. 8 ed 11 sono invece quelli dedicati agli edifici in muratura, ri-spettivamente nuovi ed esistenti, che saranno ora esaminati in sintesi.

Nel cap. 8 (edifici nuovi) viene innanzitutto ribadita la validità del con-tenuto del D.M. ‘87 e quindi la necessità del rispetto di tale norma, re-stringendolo al solo campo del calcolo agli Stati Limite ed imponendo un coefficiente di sicurezza del materiale γm pari a 2 anziché a 3. Ven-gono citate alcune prescrizioni aggiuntive per quanto riguarda i blocchi costituenti la muratura (tra l’altro le murature in elementi naturali non squadrati/listati sono esplicitamente esclusi dalla possibilità di impiego) ed ai fini del calcolo sono enumerati i valori da adottare per i fattori di struttura q. Vengono date indicazioni da tenere in conto a seconda del metodo di calcolo impiegato, ed al p. 8.1.9 vengono dettati dei requisiti che se soddisfatti (edifici semplici) consentono di evitare di effettuare le verifiche di resistenza (p. 8.1.6).

Le verifiche previste dall’Ordinanza per i setti sono: pressoflessione e taglio nel piano della parete, flessione fuori dal piano. Invece, per le travi di accoppiamento in muratura vengono dettati dei criteri a seconda che sia noto o meno lo sforzo assiale. In maniera del tutto analoga si procede per le murature armate.

Al p. 8.4 vengono date delle indicazioni costruttive che consentono di evitare la verifica sismica per edifici in zona 4, considerandoli cioè co-me in zona non sismica.

Al p. 8.5 vengono trattate le metodologie di calcolo per le strutture mi-ste, imponendo che le azioni sismiche siano affidate agli elementi aven-ti la medesima tecnologia, e le condizioni necessarie per effettuare una sopraelevazione di un edificio in muratura con una tecnologia differente (cemento armato, acciaio, legno, …).

Il cap. 11 tratta diffusamente degli edifici esistenti, ed è pertanto di grande interesse.

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Da un punto di vista generale, ossia validi per ogni tipologia costruttiva, vengono ripresi gli stessi punti elencati nel D.M. ‘96 al p. C.9.1 che ren-dono obbligatoria l’esecuzione della verifica sismica e l’eventuale ade-guamento. In linea di massima viene ribadito il principio che le indica-zioni valide per gli edifici nuovi sono valide anche per gli edifici esistenti. Per questa tipologia viene definito un ulteriore stato limite. Oltre a quelli denominati stato limite di collasso (CO) e stato limite di danno severo (DS), viene aggiunto anche lo stato limite di danno limitato (DL).

Ai fini delle verifiche di sicurezza (p. 11.2.2) gli elementi strutturali vengono distinti in duttili e fragili. Nei successivi paragrafi (11.2.2.1 e 11.2.2.2) vengono distinti due differenti metodi di verifica:

Verifica con lo spettro di risposta (p. 11.2.2.1): la verifica di sicurezza degli edifici viene eseguita con riferimento all’azione sismica di pro-getto data dallo spettro elastico (non ridotto). Secondo questo meto-do, la verifica degli elementi duttili viene eseguita confrontando gli effetti indotti dalle azioni sismiche in termini di deformazione con i rispettivi limiti di deformabilità, mentre la verifica di quelli fragili viene eseguita confrontando gli effetti indotti dalle azioni sismiche in termini di forze con le rispettive resistenze.

Verifica con l’impiego del fattore di struttura q (p. 11.2.2.2): la verifica di sicurezza degli edifici può essere eseguita con riferimento all’azione sismica di progetto data dallo spettro elastico ridotto del fattore di struttura q, il cui valore è scelto fra 1.5 e 3 sulla base della regolarità nonché dei tassi di lavoro dei materiali per effetto dei cari-chi statici. Secondo questo metodo, la verifica degli elementi duttili è soddisfatta qualora la sollecitazione indotta dall’azione sismica ridot-ta sia inferiore o uguale alla corrispondente resistenza, mentre la ve-rifica di quelli fragili è soddisfatta qualora la sollecitazione indotta dall’azione sismica ridotta per q = 1.5 sia inferiore o uguale alla cor-rispondente resistenza.

Al p. 11.2.3 vengono elencati i documenti e gli accertamenti necessari, in funzione dei quali si consegue un Livello di Conoscenza della strut-tura (limitato, adeguato, accurato), ed in base al quale è possibile otte-nere un Fattore di Confidenza più o meno penalizzante nella definizione delle resistenze dei materiali (p. 11.2.4).

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Al p. 11.5 vengono specificatamente trattati gli edifici in muratura. In particolare è specificato che oltre alla verifica di staticità globale, devo-no essere obbligatoriamente effettuate delle particolari verifiche locali tese a prevenire possibili meccanismi di collasso locali, come il ribal-tamento di intere pareti (v. Allegato 11.C) che è sempre possibile in e-difici di vecchia concezione, nei quali manca un adeguato collegamento fra le strutture verticali e gli orizzontamenti.

Per il conseguimento di un Fattore di Confidenza (FC) adeguato (più è basso e meno è penalizzante), è importante eseguire prove in situ appro-fondite secondo determinati dettami (p. 11.5.2.3). Dal Livello di Cono-scenza (LC) ottenuto è possibile ricavare il Fattore di Confidenza (FC).

È importante qui notare come il legislatore, nell’Allegato 11.D, abbia voluto fornire un ausilio al tecnico, elencando i parametri meccanici minimi e massimi delle murature più diffuse in funzione del livello di conoscenza acquisito.

Oltre a varie indicazioni di carattere tecnico sulla modellazione e sulla conduzione della verifica sismica di cui al p. 11.5, nel p. 11.6 viene specificato che per gli edifici in zona 4 è possibile applicare le regole per la zona non sismica se vengono rispettate determinate condizioni. I già citati allegati 11.C, 11.D ed 11.E completano il quadro tecnico di questa importantissima Ordinanza.

1.8 Norme tecniche per le costruzioni - “Testo Unico” D. M. 14 settembre 2005 - Supplemento Ordinario n.159

È ben nota la polemica intercorsa tra la Protezione Civile ed il Ministe-ro dei LL. PP. al riguardo dell’emanazione dell’Ordinanza. È bene ri-cordare che la Protezione Civile, sostanzialmente, può emettere prov-vedimenti d’urgenza ma non legiferare in maniera così profonda su un settore vitale quale l’edilizia.

Ciononostante, dal Ministero veniva riconosciuta la grande validità dei concetti racchiusi nell’O.P.C.M. 3274 e successive integrazioni, per cui, di concerto con la Protezione Civile, si provvedeva alla stesura del Te-

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sto Unico, approvato nella sua prima forma dal Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici il 30 aprile 2005 e poi via via modificato fino all’ultima stesura conosciuta ad oggi, pubblicata sul Supplemento alla G.U. del 23/9/2005. In quest’ultima stesura, la dicitura “Testo Unico” è sparita, rimanendo solo “Norme Tecniche per le Costruzioni”, ma nella premes-sa esso viene definito come “Testo Unitario”. Per brevità, nel prose-guimento di questo libro, si userà la sigla “T.U.” magari impropriamen-te, ma tali disposizioni vengono così familiarmente indicate nel lessico comune, sicuramente più scorrevole dal punto di vista discorsivo.

Il T.U. è suddiviso in 12 capitoli di cui, ai fini della presente trattazione, sono di particolare interesse il n.2 (Sicurezza e prestazioni attese), il n.3 (Azioni ambientali e naturali), il n.4 (Azioni accidentali), il n.5 (Norme sulle costruzioni), il n.9 (Edifici esistenti) ed infine il n.11 (Materiali).

La prima cosa che balza all’evidenza nel T.U. è la quasi totale assenza di formule matematiche, ovvero di prescrizioni, avendo esso una imposta-zione di tipo prestazionale quasi al 100%. Viene data massima libertà an-che sui modelli di calcolo adottati, purché ben documentati.

Nel Capitolo 2 viene specificato il significato di Stato Limite Ultimo (SLU), di Esercizio (SLE) e di Danno (SLD) e viene sottolineato il con-cetto di durabilità, funzione della bontà dei materiali impiegati e dei modelli di calcolo adottati. A seconda della “vita utile” supposta, gli e-difici vengono suddivisi in due classi di importanza: Classe 1 (vita utile di 50 anni) e Classe 2 (vita utile di 100 anni), con differenti gradi di si-curezza richiesti. Segue una classificazione delle azioni a seconda della natura, della durata, della variabilità nel tempo e vengono indicate le modalità di combinazione fra esse ai fini delle verifiche allo SLU/SLE.

Nel Capitolo 3 si trova questa frase che sintetizza la filosofia del T.U.: “Attraverso i procedimenti di analisi strutturale, il Progettista avrà il modo di esplorare in modo adeguato la risposta strutturale, assicuran-do la capacità prestazionale dell’opera sia in termini di sicurezza e di funzionalità, che in termini di robustezza. In questo modo, il Progettista può assicurare sia il corretto funzionamento dell’opera nella sua confi-gurazione nominale, sia un comportamento almeno soddisfacente in

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Capitolo 1 - Il Quadro Normativo

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condizioni di danneggiamento anche estreme”. La parte concernente la definizione dell’azione sismica (spettri di risposta, combinazione delle a-zioni col sisma, ecc.) è quasi coincidente con l’O.P.C.M. 3431. Nel capi-tolo 3 viene anche trattato, in maniera dettagliata, il calcolo delle azioni dovute al vento, alle variazioni di temperatura ed alla neve.

Nel Capitolo 4 vengono trattate le “azioni accidentali”, quali incendio (con la definizione delle classi di resistenza al fuoco), esplosioni, urti.

Il Capitolo 5 entra nel vivo delle norme sulle costruzioni, a seconda delle varie tipologie strutturali (c.a. normale e precompresso, solai, acciaio, le-gno, elementi misti). Chi si attendesse novità di rilievo resterà però delu-so. Al p. 5.4 si giunge alla trattazione degli edifici in muratura, nei quali si ritrova, praticamente, il D.M. ‘87 agli stati limite, con qualche varia-zione circa le combinazioni di carico, mentre solo un piccolo cenno viene dato alla muratura armata. Al p. 5.7.4 vengono dettati una serie di criteri cui preferibilmente devono rispondere le strutture: semplicità, regolarità, simmetria, …, che sono stati in buona misura trattati già dall’Ordinanza. Vengono dati alcuni suggerimenti in merito alla modellazione, all’analisi strutturale (si cita praticamente la sola analisi modale, non escludendo pe-rò altri metodi), e vengono fatte anche alcune considerazioni sugli ele-menti non strutturali.

L’indicazione del fattore di struttura riprende i concetti già esplicitati nell’O.P.C.M. 3431 ma senza darne indicazione numerica, potendosi evidentemente ritenere buoni quelli dell’Ordinanza. Viene indicato il contenimento delle deformazioni allo SLD e, per le varie tipologie co-struttive, vengono dati dei criteri costruttivi cui attenersi. Per le muratu-re, sia ordinarie che armate, sono di nuovo citati i criteri di regolarità, simmetria, allineamento delle aperture, particolari costruttivi, fondazio-ni, ecc., ben chiariti anche nelle normative precedenti. Poco viene detto riguardo alla modellazione ed alle verifiche. Per ulteriori dettagli sulle verifiche da effettuare secondo il T.U. per gli edifici in muratura si ri-manda al paragrafo 5.4.6.

Il Capitolo 9 definisce varie possibilità d’intervento sugli edifici esi-stenti: oltre all’adeguamento e al miglioramento, è prevista la possibili-

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tà di “consolidamento”, di “riparazione” e di “declassamento”. L’adeguamento ed il miglioramento, come visto nella premessa, sono conseguenti ad una trasformazione dell’edificio, mentre gli altri tipi di intervento comportano solo un aumento della sicurezza. In particolare, il declassamento è da adottare qualora si evidenzino carenze strutturali tali da indurre cautelativamente a ridurre il “cimento statico” cui è sot-toposta la struttura.

Nel Capitolo 11 vengono trattati, oltre che le varie tipologie di materiali impiegati nelle costruzioni, anche i requisiti che debbono possedere gli isolatori sismici e (p. 11.9) la classificazione degli elementi per la mura-tura (blocchi e malte). Il tutto viene fatto richiamando le norme UNI a ciò deputate.

Vengono, inoltre, dettate le regole per la determinazione sperimentale delle resistenze delle murature.

Infine, si rimarca come al Capitolo 10, tra l’altro, vengano indicati i re-quisiti che devono essere soddisfatti dal codice di calcolo adottato. Al Capitolo 12 sono riportati i Codici Internazionali e la Letteratura Tecni-ca Consolidata, tra cui l’O.P.C.M. 3431.

1.9 I terreni e le opere di fondazione

È doveroso concludere questa panoramica sulla normativa, citando an-che la parte relativa ai terreni ed alle opere di fondazione.

Tralasciando disposizioni precedenti, il primo Decreto da esaminare è il D.M. 11/3/1988: “Norme tecniche riguardanti le indagini sui terreni e sulle rocce, la stabilità dei pendii naturali e delle scarpate, i criteri gene-rali e le prescrizioni per la progettazione, l’esecuzione e il collaudo delle opere di sostegno delle terre e delle opere di fondazione”.

L’obiettivo di queste disposizioni è di fornire indicazioni in merito, ol-tre che sulle indagini da effettuare sui terreni oggetto di costruzioni (an-che in zona sismica), anche sullo studio delle opere di fondazione, di sostegno e di stabilità dei pendii, al fine di permettere un’agevole studio dell’interazione terreno-struttura.

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Capitolo 1 - Il Quadro Normativo

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Come fatto generale, questo Decreto, che s’indicherà d’ora in poi con D.M. ‘88, impone che opportune indagini geotecniche accompagnino sempre ogni tipo di progetto, influenzandolo direttamente. A causa del-la grande variabilità che si incontra in questa disciplina, vengono indi-cati i controlli da eseguire durante l’esecuzione dell’opera ed eventuali correzioni da apportare in caso di non rispondenza tra la caratterizzazio-ne geotecnica assunta in progetto e quanto si è riscontrato effettivamente in fase di esecuzione.

Al capo B vengono indicate le indagini da eseguire, ribadendo il concetto innanzi esposto: “La validità delle ipotesi di progetto dovranno essere controllate durante la costruzione considerando, oltre ai dati raccolti in fase di progetto, anche quelli ottenuti con misure ed osservazioni nel corso dei lavori per adeguare, eventualmente, l’opera alle situazioni ri-scontrate”. Sono, inoltre, date indicazioni sull’estensione delle prove da effettuare, sulla stesura della relazione e sui mezzi da impiegare.

Al capo C invece sono elencati i criteri di progetto. Vale la pena di ri-cordare fra essi il fatto che il calcolo dei cedimenti in zona sismica non può essere omesso.

In tale capo viene anche stabilito il coefficiente di sicurezza da assume-re per la determinazione del carico ammissibile del complesso terreno-fondazione e fornita l’indicazione che il calcolo delle membrature va fatto tenendo conto delle reazioni del terreno, della spinta dell’acqua e delle pressioni esercitate da manufatti circostanti.

Inoltre “Nella valutazione degli stati di sollecitazione degli elementi strutturali di fondazione si deve tener conto dell’interazione terreno-struttura di fondazione-struttura in elevazione”.

Seguono, sempre nel capo C, indicazioni per le fondazioni su pali, opere di sostegno, pendii ed altre tipologie non di interesse in questa trattazione.

Direttamente correlata con il D.M. ‘88 è la Circolare Min. LL. PP. 24/9/88, n. 30483, recante le Istruzioni per l’applicazione del suddetto D.M. ‘88. Vengono dettati infatti i criteri per la stesura della relazione, il dettaglio delle indagini geotecniche, ampiezza e svolgimento, ecc.,

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raggruppando in una tabella le finalità ed i principali mezzi di indagine correlati. Infine, per ogni tipologia di fondazione sono elencati i parametri geotecnici da ottenere tramite prove di laboratorio.

Altre indicazioni sono state emanate al capo D del D.M. ‘96, in cui vengono fornite le formulazioni matematiche per tener conto dell’incremento di spinta dei terreni dovuti al sisma.

Nella tormentata storia dell’O.P.C.M. 3431 c’è da rilevare un fatto sin-golare: nelle prime stesure (O.P.C.M. 3274 e 3316) c’era un capitolo dedicato agli aspetti geotecnici: “Norme tecniche per il progetto sismico di opere di fondazione e di sostegno dei terreni”. Nell’ultima stesura, invece, tale capitolo è scomparso, a favore di un Allegato 4 che avrebbe dovuto sostituirlo ma che in realtà non è mai stato emanato. Per tale motivo si ritiene di non riportare nessun elemento, in quanto potrebbe risultare fuorviante.

1.10 Le Normative vigenti ad oggi

Per il prosieguo della lettura di questo libro occorre tenere presente che, al momento della sua redazione (settembre 2006), l’unica normativa vi-gente è il D.M. 14 settembre 2005 “Norme Tecniche per le Costruzioni” (abbreviato con la sigla TU).

Poiché il T.U. richiama all’O.P.C.M. 3431 per indicazioni di dettaglio, sono riportati stralci dell’Ordinanza che hanno interesse applicativo: non è possibile, naturalmente, eseguire un calcolo completo seguendo solo ed esclusivamente le indicazioni dell’Ordinanza stessa.

Transitoriamente, per 18 mesi e quindi fino al 14 aprile 2007, sarà possibile ancora applicare, in alternativa al TU, il DM ‘96 e le normative previgenti.

Per quanto riguarda, quindi, gli accenni al DM ‘87, essi sono ancora va-lidi qualora si operi in questa seconda modalità, mentre, se si opera col TU, essi hanno ancora validità tecnica, sia pure con le differenze che sono state evidenziate nel paragrafo apposito.

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Capitolo 2 Il Materiale “Muratura”

2.1 Caratteristiche generali

Con il termine “muratura” viene comunemente indicato l’aggregato di malta e inerti di grosse dimensioni e di forma più o meno regolare. Questo materiale è noto sin dall’antichità ed esiste in un’innumerevole varietà di forme e materiali.

Questa grande variabilità ha una notevole influenza sui parametri mec-canici, e ciò introduce un’alea di grande incertezza, potendo inficiare anche il calcolo più sofisticato che si riesca a svolgere. Solo eseguendo prove di laboratorio si possono avere dei valori attendibili, anche se, già nell’ambito dello stesso edificio, è frequente notare la coesistenza di materiali molto eterogenei, realizzati in epoche diverse e con stati di conservazione e malte diverse fra loro.

È facile immaginare, quindi, che anche i parametri meccanici possano variare. E se a ciò si aggiunge che in una stessa parete, a causa di rin-forzi, sarciture, ecc., si possono avere variabilità di muratura “a mac-chia di leopardo”, si capisce bene quale sia la grossa difficoltà di valu-tazione cui si va incontro.

Pertanto, i valori proposti in tabelle molto note, come quella della Circolare ‘81 o quella dell’Allegato 11.D dell’O.P.C.M. 3431 (vedi tabelle 2.1 e 2.2) o di pubblicazioni in materia, sono da ritenersi puramente orientativi.

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Edilizia 2007 - Edifici in Muratura

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Tipologia di Muratura (fonte: Circolare 21745 30 luglio 1981)

fm (N/mm2)

τo (N/mm2)

E (N/mm2)

G (N/mm2)

w (N/m3)

Murature Non Consolidate e Non Lesionate

Mattoni pieni e malta bastarda 3 0.12 792 132 18000 Blocco modulare e malta bastarda 2.5 0.08 528 88 15000 Blocchi in argilla espansa/calcestruzzo e malta bastarda 3 0.18 1188 198 13500 Muratura in pietrame in cattive condizioni 0.5 0.02 132 22 19000 Muratura in pietrame grossolanamente squadrato e ben organizzato 2 0.07 462 77 20000

Muratura in pietrame a sacco in buone condizioni 1.5 0.04 264 44 19000 Blocchi di tufo di buona qualità 2.5 0.1 660 110 18000

Murature Nuove

Mattoni pieni con fori circolari e malta cementizia 5 0.2 1320 220 14000 Forati doppio UNI 40% 5 0.24 1584 264 12500

Murature Consolidate

Mattoni pieni, pietrame squadrato consolidato con due lastre in calcestruzzo armato da cm 3 (min) 5 0.18 1188 198 20000

Pietrame iniettato, muratura in pietra a sacco consolidata con due lastre in calcestruzzo armato da cm 3 (min) 3 0.11 726 121 21000

Tabella 2.1

Nella tabella della Circolare ‘81 non sono riportati i valori dei moduli di Young (E) e di elasticità tangenziale (G). Tuttavia viene indicato come calcolarli in assenza di dati sperimentali mediante le seguenti relazioni:

kG τ⋅= 1100 ; GE ⋅= 6

Il peso specifico w è stato, invece, ricavato dalla letteratura tecnica.

Alcune semplici regole consentono di ottenere una buona muratura. Bi-sogna innanzitutto avere presente che, a giocare un ruolo preponderante è la disposizione e la regolarità delle dimensioni degli elementi, per cui occorre sistemare i blocchi ben allineati ed in modo che ingranino fra loro, collegando i due paramenti con elementi trasversali (diatoni) ed usando la quantità di malta appena necessaria per il circondamento de-gli elementi e per il livellamento dei piani di posa a mano a mano che aumenta l’altezza.

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Capitolo 2 - Il Materiale “Muratura”

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fm (N/mm2)

τo (N/mm2)

E (N/mm2)

G (N/mm2)

w (N/m3) Tipologia di Muratura

(fonte: Allegato 11.D - Ord.3431) min-max min-max min-max min-max

Muratura in pietrame disordinata (ciottoli, pietre erratiche e irregolari)

0.60 0.90

0.02 0.032

690 1050

115 175 19000

Muratura a conci sbozzati, con paramento di limitato spessore e nucleo interno

1.10 1.55

0.035 0.051

1020 1440

170 240 20000

Muratura in pietre a spacco con buona tessitura 1.50 2.00

0.056 0.074

1500 1980

250 330 21000

Muratura a conci di pietra tenera (tufo, calcarenite, ecc.) 0.80 1.20

0.028 0.042

900 1260

150 210 16000

Muratura a blocchi lapidei squadrati 3.00 4.00

0.078 0.098

2340 2820

390 470 22000

Muratura in mattoni pieni e malta di calce 1.80 2.80

0.060 0.092

1800 2400

300 400 18000

Muratura in mattoni semipieni con malta cementizia (es.: doppio UNI)

3.80 5.00

0.24 0.32

2800 3600

560 720 15000

Muratura in blocchi laterizi forati (perc. foratura < 45%) 4.60 6.00

0.30 0.40

3400 4400

680 880 12000

Muratura in blocchi laterizi forati, con giunti verticali a secco (perc. foratura < 45%)

3.00 4.00

0.10 0.13

2580 3300

430 550 11000

Muratura in blocchi di calcestruzzo (perc. foratura tra 45% e 65%)

1.50 2.00

0.095 0.125

2200 2800

440 560 12000

Muratura in blocchi di calcestruzzo semipieni 3.00 4.40

0.18 0.24

2700 3500

540 700 14000

Tabella 2.2

2.2 I Fattori che influenzano le caratteristiche meccaniche

Dalle precedenti tabelle può già evincersi quali siano le caratteristiche meccaniche delle murature necessarie per lo svolgimento del calcolo. È importante notare che, quando la muratura è costituita da pietrame non regolare, le resistenze sono basse e crescono man mano che migliora la regolarità ed il materiale dei blocchi. Inoltre, le caratteristiche meccani-che della muratura crescono in funzione della qualità della malta, seb-bene in misura inferiore alla regolarità ed al materiale dei blocchi.

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2.3 Le caratteristiche meccaniche delle murature nuove

Per quanto riguarda le murature nuove, il D.M. ‘87, permette di deter-minare “a tavolino” le presumibili caratteristiche meccaniche della mu-ratura in funzione della resistenza delle malte e degli elementi resistenti. Le malte vengono classificate in M1, M2, M3, M4 (in ordine decre-scente con la resistenza).

Gli elementi resistenti sono classificati in naturali ed artificiali.

Gli elementi resistenti artificiali, poiché possono avere fori in direzione normale o parallela al piano di posa, sono a loro volta distinti in base al-la loro percentuale di vuoti (foratura). Essi possono essere in laterizio o in calcestruzzo normale o alleggerito, ed a causa dei fori, le resistenze secondo i tre assi principali possono essere diverse. In funzione della percentuale di foratura, i blocchi in materiale artificiale (laterizio o cal-cestruzzo) vengono distinti in pieni, semipieni o forati.

Gli elementi resistenti naturali, invece, sono costituiti da pietra naturale e vengono classificati in muratura in pietra non squadrata, listata o in pietra squadrata.

In base a questa classificazione, nel D.M. ‘87 vengono indicati gli spes-sori minimi dei muri e, in funzione della resistenza a compressione del blocco (fbk) e del tipo di malta, sono riportate in apposite tabelle le resi-stenze caratteristiche a compressione fk ed a taglio fvko in assenza di compressione.

In ogni caso tali resistenze possono essere determinate mediante prove di laboratorio su campioni di muro (muretti preparati secondo precise indicazioni) secondo le modalità descritte negli allegati del D.M. ‘87. Ciò va fatto sempre e comunque qualora si richieda una resistenza fk maggiore o uguale ad 8 N/mm2.

Con le semplici relazioni di derivazione sperimentale (riportate nel D.M. ’87, Allegato 2 - p. 2.1) si possono ricavare i moduli di elasticità tramite le seguenti relazioni:

kfE ⋅= 1000 ; EG ⋅= 4.0

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Capitolo 2 - Il Materiale “Muratura”

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È, inoltre, opportuno menzionare che il coefficiente di Poisson oscilla tra i valori:

ν = 0.15 ÷ 0.30 per ff kk 80.030.0 ≤≤ σ

e che esso aumenta al crescere della sollecitazione. Nel calcolo dei mo-duli E e G, si è pertanto assunto per ν un valore pari a 0.25. Ciò è im-portante quando si adopera un programma ad elementi finiti, per il qua-le è necessario che i moduli di elasticità E e G siano legati dalla seguen-te relazione, nota dalla teoria dell’elasticità:

( )ν+=

12GE con 0<ν<0.5

Per quanto riguarda il coefficiente di dilatazione termica, in media si assume che:

6106 −⋅=tε [ ]1−°C

Volendo operare per via sperimentale, si deve tener presente che essen-doci grande variabilità nelle resistenze offerte anche da murature com-poste da elementi artificiali, è opportuno che le resistenze vengano va-lutate statisticamente.

2.4 Le caratteristiche meccaniche delle murature esistenti

Un procedimento semidistruttivo che consente la determinazione in situ sia delle caratteristiche di sollecitazione che di deformazione, viene rea-lizzato con l’uso di martinetti piatti.

Con tale metodologia occorre eseguire un taglio ortogonalmente al mu-ro ed inserire, simmetricamente alla posizione di taglio, due estensime-tri. Dopo l’esecuzione del taglio i due estensimetri tenderanno ad avvi-cinarsi. Inserendo, allora, un martinetto piatto nel taglio praticato, si in-crementa gradualmente la pressione nel circuito idraulico fino ad annul-lare lo spostamento relativo fra i due punti di comparazione. Questa procedura permette di risalire alla tensione di esercizio esistente prima del taglio nella muratura.

Praticando un secondo taglio parallelo al primo ed operando in maniera del tutto analoga a quanto visto prima, si sarà in grado di stimare la re-

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sistenza a compressione della muratura, in quanto il materiale compreso fra i due martinetti risulta sottoposto ad uno stato di compressione mo-noassiale. Eseguendo dei cicli di carico e scarico si può ricavare la cur-va carico-deformazione spingendosi fino alla rottura del materiale.

Opportune formulazioni matematiche tengono conto del fatto che la porzione di muro su cui si sta operando è vincolata su due lati o addirit-tura tre, se il taglio non è da parte a parte.

La valutazione della resistenza a taglio è invece valutata inserendo un terzo martinetto ortogonalmente ai due precedenti e misurando lo scor-rimento che così si produce.

Terminata la prova i martinetti vengono estratti e si procede al ripristino della zona di muratura esaminata.

Altra metodologia di prova in situ è quella della compressione diagona-le. Questa prova è più delicata, in quanto prevede innanzitutto un pun-tellamento della zona dove verrà effettuata tale prova.

Si procede con l’esecuzione di un taglio praticato nella muratura col quale si isola un blocco quadrato di m 1,20 per lato e si inseriscono dei trasduttori per la misura della distanza sulla diagonale. Su due vertici opposti si pratica uno scasso in cui vengono inseriti due martinetti incli-nati a 45°, i quali vengono caricati fino a provocare la rottura della zona di muro. Questa prova consente di misurare le caratteristiche meccaniche, in particolare quella di taglio, con maggior semplicità e precisione, aven-do però dei costi più elevati rispetto alle prove viste in precedenza.

2.5 Il comportamento del materiale muratura

È opportuno approfondire il tipo di comportamento della muratura, che, in realtà, ha delle caratteristiche tutt’altro che isotrope ed un comporta-mento duttile piuttosto limitato.

Un primo approccio è quello fornito dalla Circolare ‘81. Il valore del taglio ultimo, suffragato da approfondite campagne sperimentali, che è possibile affidare ad un pannello a cui siano state impedite di ruotare le estremità, è pari a:

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Capitolo 2 - Il Materiale “Muratura”

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k

oku AT

τστ

⋅+⋅⋅=

5.11

dove: A = l’area della sezione normale del pannello;

σo = la tensione normale al centro del pannello dovuta ai carichi ver-ticali agenti;

τk = la resistenza tangenziale caratteristica del materiale.

In alternativa si può avere una formula leggermente più complessa nel caso di precompressioni indotte da tirantature orizzontali e/o verticali.

La caratteristica di taglio-spostamento può essere ben rappresentata dal diagramma di cui in figura 2.1.

Fig. 2.1

In questo diagramma, sull’asse delle ascisse sono rappresentati gli spo-stamenti subiti dal pannello, mentre sull’asse delle ordinate sono ripor-tati i valori del taglio. Il comportamento reale, riportato nel primo dia-gramma T-ε, viene assimilato ad una bilatera, tipica di un comporta-mento elastoplastico, da cui è immediato notare come il comportamento si mantenga lineare per un certo tratto fino ad un valore εo (limite ela-stico), oltre il quale il pannello entra in campo plastico. Poiché il pan-nello è dotato di una certa duttilità, per un valore dello spostamento massimo (limite ultimo) pari a oεµ ⋅ , il valore massimo del taglio resi-stente Tu viene mantenuto costante fino al punto di rottura. Il coeffi-ciente µ viene detto “coefficiente di duttilità” ed assume valori compre-si tra 1.5 e 2. Il valore oε⋅2.1 viene indicato come “limite di fessura-zione” e rappresenta il valore dello spostamento oltre il quale si manife-stano le prime lesioni nel pannello.

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La muratura è un materiale complesso da trattare a causa dei seguenti motivi:

• è costituita da due materiali accoppiati (mattoni e malta);

• ai materiali che la costituiscono possono apportarsi rinforzi (fibre, pannelli) e/o iniezioni (resine, boiacca);

• i materiali componenti sono soggetti a grande disomogeneità, essendo di provenienza naturale o creati senza nessun controllo di resistenza come avviene ad esempio per il cemento armato;

• il degrado del tempo può agire in maniera determinante oltre che im-prevedibile;

• in una stessa parete muraria si possono avere stratificazioni di mate-riali molto diversi fra loro;

• non presenta caratteristiche di resistenza uguali nelle due (o tre) direzioni;

• il comportamento non è certamente né elastico né lineare, e presenta molte diversità tra trazione e compressione. La resistenza a trazione è infatti molto bassa, così come quella a taglio in assenza di compres-sione (generalmente queste due resistenze vengono poste uguali fra loro). La resistenza di taglio è, a causa dell’attrito interno, funzione della tensione di compressione.

Ciò non toglie che si dovranno necessariamente determinare i valori delle caratteristiche fisiche e meccaniche del materiale (peso specifico, moduli elastici, ecc.) per poter effettuare le necessarie calcolazioni.

Il diagramma del legame costitutivo σ-ε, che nella realtà è una curva, può essere semplificato come rappresentato in figura 2.2, in cui si è adottato una bilatera (modello elastoplastico a compressione, elastofragile a tra-zione), in cui il tratto orizzontale schematizza la fase duttile, peraltro ab-bastanza ridotta.

Fig. 2.2

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Capitolo 2 - Il Materiale “Muratura”

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In caso di carichi ciclici, per maggiore sicurezza, si suppone nulla la resi-stenza a trazione della muratura. In tal caso, pertanto, si fa riferimento ad un diagramma simile a quello della figura 2.2, ma privo del ramo inferiore.

Il modulo elastico viene determinato (vedi D.M. ‘87 all. 2 p. 2.1) consi-derando il modulo secante riferito all’intervallo kk ff ⋅−⋅ 4.01.0 sulla curva ε−f della prova di carico, come riportato nella figura 2.3.

Fig. 2.3

2.6 Tensioni di progetto

Per le tensioni di progetto si analizzerà solo quanto specificato per il cal-colo agli Stati Limite, ritenendo i concetti legati a questo tipo di calcolo sicuramente più attuali e proiettati verso il futuro. Inoltre nell’O.P.C.M. 3431 tale metodo è stato reso obbligatorio.

Resistenza di calcolo a compressione fd

Nel D.M. ‘87 la resistenza di calcolo a compressione fd è posta pari a:

m

kd

ffγ

=

laddove il coefficiente di sicurezza γm è posto pari a 3.

Occorre subito rilevare che invece nel T.U., in cui, come si è detto ven-gono riprese quasi totalmente le disposizione del D.M. ‘87, la resistenza di calcolo a compressione fd viene posta pari a:

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Rdm

kd

ffγγ ⋅

=

dove: γm = coefficiente parziale di sicurezza pari a 2, se gli elementi sono di

Categoria I, oppure 2.5 se gli elementi sono di Categoria II ovvero in elementi naturali (l’appartenenza alla Categoria I e II è in funzione della rispondenza ai parametri dettati al p. 11.9 dello stesso T.U.);

γRd = ulteriore coefficiente parziale di sicurezza, che tiene conto delle incertezze nel modellare la resistenza; è concordato da Committen-te e Progettista, ed in ogni caso deve risultare maggiore o al più u-guale ad 1.2 per le verifiche allo SLU.

Nell’O.P.C.M. 3431 viene stabilito che il coefficiente di sicurezza γm venga assunto pari a 2.

Resistenza di calcolo a taglio fvd

Si fa notare che la resistenza di calcolo a taglio fvd, dipende da diversi fattori. Innanzitutto, occorre determinare la resistenza caratteristica a taglio misurata in assenza di compressione, indicata con fvko.

Per i motivi innanzi elencati (essenzialmente dovuti all’attrito interno), va considerata anche la presenza di uno sforzo di compressione, per cui la resistenza caratteristica a taglio è data da:

nvkovk ff σ⋅+= 4.0

laddove con σn si indica la tensione normale media dovuta ai carichi verticali nella sezione di verifica.

In ogni caso deve risultare:

bkvkvk fff ⋅=≤ 4.1lim,

essendo fbk il valore caratteristico della resistenza degli elementi in di-rezione orizzontale e nel piano del muro. Nel caso di calcolo con l’O.P.C.M. 3431 sussiste l’ulteriore limite:

mmNfvk 25.1≤ .

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Capitolo 3 Il Modello Strutturale e i Metodi di Calcolo

È di fondamentale importanza chiarire quale possa essere il comporta-mento ideale di un edificio in muratura al fine di concepire un modello at-tendibile per il calcolo.

La modellazione rappresenta un’ulteriore incertezza nel compito del tec-nico progettista, il quale si trova spesso davanti ad edifici che sono “cre-sciuti” nel tempo con materiali e tecniche approssimative, con strutture sovrapposte e/o affiancate le une con le altre, su situazioni planoaltimetri-che talvolta di elevata complessità.

3.1 La concezione strutturale dell’edificio

Al p. 1.3 del D.M. ‘87 si suggerisce una schematizzazione dell’edificio come “una struttura tridimensionale costituita da singoli sistemi resi-stenti collegati tra di loro e le fondazioni e disposti in modo da resistere alle azioni verticali ed orizzontali. Detti sistemi sono:

a) Muri sollecitati prevalentemente da forze verticali; b) Muri sollecitati prevalentemente da forze orizzontali; c) Solai piani.”

Nella figura 3.1 i muri sollecitati prevalentemente da forze verticali (muri portanti) sono indicati in colore più chiaro rispetto a quelli solle-citati prevalentemente da azioni orizzontali (muri di controvento).

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fig. 3.1

Ai fini di un adeguato comportamento statico dell’edificio, tutti i muri devono avere, per quanto possibile, sia la funzione portante che di con-troventamento.

Ai solai è invece affidato il compito di ripartire le azioni orizzontali do-vute principalmente al sisma ed al vento, mediante la loro rigidezza nel piano ed il corretto ancoraggio alle murature tramite cordoli di colle-gamento. Prescrizioni particolareggiate sulle dimensioni e l’armatura minima dei cordoli, al fine di assicurare tale funzione ai solai, sono ri-portate al p. 1.3.1.1 del D.M. ‘87, cui si rimanda.

In ogni caso, il concetto guida posto alla base di una corretta concezio-ne strutturale di un edificio in muratura è legato alla cosiddetta “scato-larità”: gli elementi resistenti, costituiti da due sistemi verticali di pareti disposti generalmente secondo due direzioni mutuamente ortogonali e da un sistema di elementi orizzontali (per lo più solai piani), devono es-sere efficacemente connessi, in modo da dar luogo ad un comportamen-to statico di natura scatolare, atto a resistere a sollecitazioni provenienti da qualsiasi direzione. Tale concezione strutturale deve essere assicura-ta a tutti i piani e fornisce al fabbricato un’ottima resistenza d’insieme, comprovata dal buon comportamento che hanno gli edifici in muratura, anche in zona sismica, se correttamente costruiti.

Altra peculiarità richiesta ad una corretta progettazione è la simmetria planimetrica dell’organismo. Infatti, essa, se correlata alla esistenza di azioni orizzontali derivanti da un sisma, conduce alla eliminazione di ogni moto torsionale, ottimizzando la risposta del fabbricato. È inoltre opportuno eliminare le spinte di quegli elementi (volte, coperture, ecc.)

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Capitolo 3 - Il Modello Strutturale e i Metodi di Calcolo

37

che per effetto dell’azione sismica potrebbero provocare il ribaltamento delle murature, specie quelle perimetrali.

Un’analoga osservazione può essere prodotta per la distribuzione alti-metrica degli elementi resistenti. Questi devono garantire l’uniformità della capacità reattiva dell’edificio ai vari piani: l’interruzione di una parete ad un livello inferiore è tale da indurre sollecitazioni aggiuntive sui rimanenti elementi resistenti.

Questi concetti sono riproposti dalle varie normative in forma più o meno simile; si veda ad esempio quanto esposto ai punti C.5.1, C.5.2, C.9.5.1 del D.M. ‘96.

3.2 Elementi strutturali e loro modellazione Si esamina ora in dettaglio la composizione della struttura ai fini di ot-tenere l’opportuna modellazione per trasmettere le necessarie informa-zioni ai codici di calcolo.

Un primo tipo di modello è quello che si adotta nel cosiddetto “dimen-sionamento semplificato” di calcolo. È stato introdotto col D.M. ‘87, ed è possibile adottarlo per gli edifici per cui siano soddisfatti opportuni requisiti geometrici. Questo modello è piuttosto semplice. Infatti, una volta determinati i pesi delle strutture murarie e dei solai con i relativi sovraccarichi, si può procedere alla calcolazione di una tensione di compressione media da confrontare con la tensione ammissibile della muratura, ridotta del 65%, anche per tener conto delle forze orizzontali dovute al vento. In tal modo si possono così evitare le verifiche proprie del D.M. ‘87 di cui si parlerà in seguito.

Questo semplice criterio, con delle prescrizioni maggiormente restritti-ve, lo si ritrova al p. C.5.2 del D.M. ‘96. Anche in questo caso è con-sentito omettere la verifica (sismica, in questo caso), mentre restano obbligatorie le verifiche ai sensi del D.M. ‘87 e delle fondazioni.

Il modello di calcolo previsto per il metodo del “dimensionamento semplificato” è piuttosto semplice e ridotto all’osso. Infatti, vengono considerati solo sforzi di compressione ridotti per tenere in qualche modo conto delle azioni orizzontali e confidando nelle regole tese alla

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realizzazione della scatola muraria. Per l’applicazione di questo metodo non è necessaria una definizione del modello strutturale e quindi gli e-lementi che lo caratterizzano sono piuttosto sfumati.

Partendo dall’elemento resistente denominato “maschio murario”, sono stati sviluppati dei metodi via via più complessi per arrivare alla deter-minazione della resistenza dell’edificio alle forze orizzontali.

Vale la pena allora di soffermarsi bene sulla definizione di questo im-portante elemento strutturale che si è gia intravisto in figura 3.1.

fig. 3.2

Il modo più semplice per definire i maschi consiste nel prendere in consi-derazione le porzioni di muratura esistenti tra un’apertura e l’altra, la cui altezza è pari all’altezza di interpiano. Si osservino le parti evidenziate in figura 3.2. Tali elementi vengono schematizzati in modo d’avere rotazio-ne impedita alla testa ed al piede e potendo subire solo una traslazione o-rizzontale, come si è già esaminato al paragrafo 2.5 in figura 2.1.

Questo schema può andare bene per edifici nuovi, nei quali le parti in muratura sottostanti le finestre (fasce sottofinestra) o sovrastanti ad esse (fasce soprafinestra) sono in genere di spessore più sottile per consenti-re l’alloggiamento dei radiatori e dei cassonetti degli avvolgibili.

Quando non ci si trova in presenza di queste situazioni, è sicuramente più corretto valutare l’altezza del maschio come la parte compresa tra il netto dell’apertura (vedi figura 3.3).

fig. 3.3

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Capitolo 3 - Il Modello Strutturale e i Metodi di Calcolo

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In figura 3.3 sono riportati in grigio più scuro le fasce ed in grigio più chiaro le porzioni di muratura (i maschi) effettivamente resistenti.

Un caso più complesso, potrebbe essere la situazione in figura 3.4.

fig. 3.4

Un modo più raffinato per schematizzare una struttura in muratura parte dalla schematizzazione a telai piani fatta nella Circolare 65/97. Infatti, la Circolare ‘97 suggerisce di assimilare i maschi a dei pilastri, le fasce sopra/sottofinestra a delle travi e le zone d’intersezione fra maschi e fa-sce a dei nodi a comportamento infinitamente rigido (vedi figura 3.5).

Questa schematizzazione è largamente suffragata anche dall’esperienza. Si è notato, infatti, nella realtà, come, a seguito di eventi sismici di no-tevole entità, le zone dei “nodi” non vadano soggette a fessurazione che invece si riscontrano sempre nelle zone dei maschi o delle travi.

fig. 3.5

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La schematizzazione di cui in figura 3.5 ha sì il pregio della semplicità e dell’immediatezza della soluzione matematica (basti pensare al calco-lo in analisi modale o in campo non lineare), ma presenta anche molte limitazioni, di seguito elencate.

• Trattare degli elementi estesi su due dimensioni come monodimen-sionali non permette di mettere in luce quelle concentrazioni di ten-sioni che possono portare a crisi locali dei materiali. Ciò avviene ad esempio in corrispondenza delle piattabande delle aperture, oppure in corrispondenza di vani, nicchie e variazioni di spessore della parete. Inoltre le imprecisioni di modellazione provocano una sovrastima delle sollecitazioni così ottenute.

• Le “aste” usate nella modellazione devono essere di materiale omogeneo. Ciò non consente di esaminare il caso molto frequente in cui in un pan-nello vi sono diversità di materiali dovute a riquadrature, sarciture, ecc.

• Molto spesso in telai ortogonali fra loro, i nodi, definiti come visto in precedenza, non coincidono. Ciò obbliga a considerare un insieme di tanti telai piani separati, mentre è oggi prassi comune servirsi di codi-ci di calcolo che considerano un unico telaio spaziale. Inoltre si veri-fica spesso che la disposizione in pianta dei telai non è su maglie or-togonali ma generiche e che i telai non sono piani.

• L’ultima limitazione, e probabilmente anche la più importante, è quella dovuta al fatto che i casi presenti nella realtà degli edifici esi-stenti sono spesso impossibili da schematizzare a telai. Solo in edifici nuovi (progettati tenendo conto di allineamenti fra le aperture, solai piani non sfalsati, fondazioni aventi lo stesso piano di posa, ecc.), si riesce a fare una corretta schematizzazione. Nel semplice caso di cui in figura 3.4, ad esempio già ci si troverebbe in forte difficoltà nell’applicare una schematizzazione a telaio.

• Se a quanto finora visto si aggiungono tutta una serie di elementi che possono essere presenti negli edifici anche di modesta importanza, come nell’esempio di figura 3.6, ci si rende conto che una schematiz-zazione a telaio, quando possibile, comunque non fornisce nessuna informazione su queste parti strutturali.

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Capitolo 3 - Il Modello Strutturale e i Metodi di Calcolo

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Fig. 3.6

Per ovviare alle limitazioni esaminate, proprie di una modellazione a telaio, si può pensare di adoperare un solutore ad elementi finiti che consenta di trattare anche elementi bidimensionali tipo “shell”. In tal modo tutto il pro-blema viene sempre correttamente modellato, quale che sia la geometria, consentendo di superare tutti i limiti precedentemente evidenziati.

fig. 3.7

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In figura 3.7 viene proposta, a scopo puramente indicativo, una possibi-le schematizzazione di una facciata di un edificio a struttura muraria. I tratti più marcati sono elementi “beam”, che sono connessi nei nodi ai quali sono collegati anche gli elementi “shell”. Ogni elemento può ave-re caratteristiche di materiale, spessore, carico, ecc., completamente di-verso dall’elemento ad esso contiguo.

Questa schematizzazione presenta vantaggi e svantaggi che ora si esa-mineranno.

• È possibile conoscere le tensioni in ogni punto della struttura a scapito, però, di una maggiore onerosità di calcolo rispetto ad un semplice telaio.

• Occorre ricondurre il calcolo dei maschi ad elementi “beam” per po-ter effettuare le verifiche secondo quanto previsto dal D.M. ‘87 oppu-re dall’O.P.C.M. 3431, dal momento che esse sono formulate in que-ste ipotesi. In altre parole, occorre integrare opportunamente le ten-sioni su delle sezioni predefinite (vedi figura 3.8) per poter risalire ai valori delle caratteristiche della sollecitazione interna M, T, N con cui effettuare le verifiche. Ciò è evidentemente oneroso, e potrebbe sem-brare “antieconomico” effettuare calcoli così complessi per ritornare di nuovo a valori che si sarebbero potuti calcolare per altra via. Non si deve dimenticare però che ora si conoscono localmente i valori del-le tensioni in ogni punto della struttura ed anche in zone che altrimen-ti si sarebbero dovute considerare come “rigide” (i nodi), ma che rigi-de non sono. Inoltre, sono ora noti i valori delle sollecitazioni anche nelle piattabande, nei cordoli, ecc. Ciò automaticamente implica che è possibile inserire nella struttura anche elementi “beam” (travi e pila-stri portanti), presenti in strutture miste.

• Il calcolo della struttura viene ristretto alla fase elastica, trascurando le riserve plastiche che invece nella muratura possono fare realmente la differenza. In altre parole, per effettuare un calcolo in cui la struttu-ra viene spinta in fase plastica (come si fa nel POR per intendersi, o più in generale nell’analisi non lineare), occorre avere a disposizione un solutore ad elementi finiti, che tenga conto del comportamento e-lastoplastico del materiale muratura e la sua limitata resistenza a tra-zione. Queste limitazioni restringono realmente la possibilità di effet-tuare tale tipo di calcolo in quanto pochi solutori, per giunta di costo elevato, possono affrontare questo problema. Fortunatamente, comin-

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Capitolo 3 - Il Modello Strutturale e i Metodi di Calcolo

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ciano ad affacciarsi sulla scena solutori a costo accessibile che im-plementano queste prestazioni, per cui è auspicabile che, in un futuro non troppo lontano, tali performance siano a disposizione di tutti i tecnici. È evidente che tale tipo di calcolo rappresenta lo stato dell’arte in materia. Infatti, applicare un calcolo tipo pushover ad un edificio in muratura ridotto a telaio può essere fuorviante.

fig. 3.8

3.3 Le azioni sugli edifici

La determinazione delle azioni da considerare su una struttura dipendo-no da fattori obiettivi, quali ad esempio i carichi agenti, e da altri fattori discrezionali, quali la normativa adottata e il modello strutturale (consi-derare o meno la presenza di un solaio infinitamente rigido nel proprio piano porta a risultati differenti).

Ai fini delle verifiche da effettuare ai sensi del D.M. ‘87 occorre valuta-re i carichi agenti con le loro eccentricità.

I carichi verticali agenti possono derivare dall’appoggio dei solai, dall’appoggio dei balconi, dalla soletta di una scala o da altri carichi verticali di natura generica (parapetti, scarichi di coperture in legno, ecc.). Ognuno di essi è dotato di una propria eccentricità. Ad esempio i carichi da strutture orizzontali avranno eccentricità pari ad 1/6 della lar-ghezza del muro (vedi figura 3.9), mentre, per quelli di natura generica dipende da caso a caso.

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fig. 3.9

Nella figura 3.9 si vede come il carico vada considerato “ricentrato” al piede del muro, e come si distribuisce la pressione dei solai sul muro in sommità. Ciò è stabilito anche al p. 2.2.1.2 del D.M. ‘87. Naturalmente, in caso di appoggio simultaneo di più solai (vedi figura 3.10) va calco-lata l’eccentricità risultante.

fig. 3.10

L’eccentricità totale dei carichi verticali vale:

21 sss eee += dove: es1: eccentricità dovuta alla posizione del muro del piano superiore ri-

spetto al piano medio del muro da verificare:

∑+⋅

=21

111 NN

dNes ;

es2: eccentricità delle reazioni di appoggio dei solai soprastanti la sezio-ne di verifica:

∑+⋅

=21

222 NN

dNes .

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Capitolo 3 - Il Modello Strutturale e i Metodi di Calcolo

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Un’altra eccentricità da considerare è quella dovuta a tolleranze di ese-cuzione, indicata con ea, che viene assunta pari a:

200Hea = .

L’eccentricità da vento ev, dovuta alla pressione che agisce ortogonal-mente al piano medio della parete è data dal rapporto Mv/Nv, laddove Mv è il momento massimo dovuto al diagramma delle pressioni e Nv è lo sforzo normale nella sezione in cui si attinge Mv. Se si suppone co-stante il diagramma delle pressioni e si considera il muro articolato a cerniera ai due estremi (vedi figura 3.11), il momento massimo si veri-ficherà al centro del muro e sarà pari a:

8

2hpv ⋅ .

Si fa qui notare che lo schema dell’articolazione, cioè dei setti murari incernierati alla testa ed al piede, è espressamente previsto dal D.M. ‘87 per motivi di semplicità operativa.

Con queste eccentricità parziali si possono calcolare quelle definitive e1 ed e2 da adottare per le verifiche, la prima nelle sezioni di estremità e la seconda per la sezione in cui è massimo Mv:

ee ase +=1 eee ν+=21

2

fig. 3.11

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Per l’applicazione del metodo agli Stati Limite, occorre considerare tre combinazioni di carico:

1. Combinazione A: azione di base + carichi variabili ( )kkkd WQGF ⋅+⋅⋅+⋅= 75.05.15.1 ψ

2. Combinazione B: azione di base + vento ( )kkkd QWGF ⋅+⋅+⋅= 60.05.15.1

3. Combinazione C: azione di base + vento senza carichi variabili

kKd WGF ⋅+= 5.1 dove:

Gk: carichi permanenti; Qk: carichi variabili; Wk: forza orizzontale dovuta al vento; ψ: coefficiente che vale 1 per le coperture ed i primi due solai più ca-

ricati, 0.9, 0.8, …, 0.5 per i solai successivi (e che cautelativamen-te può porsi sempre pari a 1).

Con queste azioni si effettuano le verifiche nelle sezioni di sommità e di mezzeria, tralasciando quella al piede in quanto in essa le eccentricità si suppongono nulle in virtù dello schema dell’articolazione.

Oltre al vento si possono avere altre azioni orizzontali quali ad esempio la spinta di un terrapieno, che può essere trattata in maniera analoga a quella del vento, e le spinte esercitate da parti strutturali quali tetti e volte. È forse superfluo ricordare come dette spinte debbono essere eli-minate con opportuni sistemi costruttivi.

Altra importante famiglia di azioni sono, evidentemente, quelle di natura si-smica. È abbastanza noto il processo con cui esse vengono calcolate (si ri-corda che esse sono legate alle masse dei vari impalcati ed alla loro quota). Si rimanda il lettore ai volumi precedenti di questa stessa collana, dove la problematica del calcolo delle forze sismiche è stata trattata diffusamente.

Si vogliono qui, invece, trattare gli aspetti legati alla ripartizione di tali forze orizzontali in funzione delle peculiarità delle strutture in muratura.

Ad esempio al p. C.5.1 c), del D.M. ‘96 viene indicato come i solai debbano assolvere alla funzione di ripartizione delle azioni orizzontali (vento, sisma) tra i muri maestri ricordando che i solai devono avere ca-

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Capitolo 3 - Il Modello Strutturale e i Metodi di Calcolo

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ratteristiche tali da comportarsi come dei diaframmi infinitamente rigidi nel proprio piano. Tale circostanza, soprattutto per le vecchie costruzio-ni, può risultare lontano dal vero. Infatti, solai in legno oppure realizzati in putrelle con voltine, con caldane inesistenti e soprattutto in assenza di cordoli di collegamento, si incontrano frequentemente nelle ristruttu-razioni, per cui se nel modello di calcolo è stato previsto il comporta-mento a diaframma rigido (come ad esempio nel modello POR), il tec-nico dovrà adottare i provvedimenti costruttivi atti ad assicurare questo tipo di comportamento. Del resto, come indicato al p. C.9.5.1 del D.M. ‘96, qualora non vi fosse un’adeguata rigidezza ed un buon collegamen-to, si opererà senza tener conto dell’effetto di ripartizione del solaio fra le strutture di controvento. Ciò vuol dire semplicemente distribuire in maniera diversa le forze orizzontali fra gli elementi (ad esempio in pro-porzione alle masse) senza avere, per altro, nessuna influenza sul valore della forza stessa. In questo caso, sempre con riferimento al metodo POR, non potendo contare sull’effetto di ripartizione del solaio, la verifi-ca si dovrà arrestare non appena il primo setto andrà in crisi. Naturalmen-te, l’assenza di determinate caratteristiche può rendere come più appro-priato un metodo di soluzione anziché un altro: deve essere infatti chiaro che l’infinita rigidezza dei solai è un’ipotesi semplificativa, in quanto consente di esaminare un piano in maniera indipendente dagli altri.

Sempre per rimanere nello stesso p. C.9.5.1, dovranno essere effettuate del-le verifiche alle forze ortogonali al piano del muro, considerando ad ogni livello una forza sismica proporzionale al peso gravante su ogni parete per il coefficiente sismico, come in seguito specificato. L’ultimo comma del p. C.9.5.1 recita: “le pareti potranno essere considerate vincolate ai solai se è accertata l’efficacia dei collegamenti”; in caso contrario dovrà essere considerata l’ipotesi molto più penalizzante di pareti a tutta altezza per le quali la verifica a ribaltamento risulta difficilmente soddisfatta.

Anche per la trattazione dei solai infinitamente rigidi o meno nel pro-prio piano si rimanda agli altri volumi di questa collana.

Al p. B.8.2 viene riportata l’espressione per il calcolo delle sollecitazio-ni dovute ai carichi verticali combinati con le azioni sismiche. Poiché il problema è stato trattato diffusamente in altro volume di questa collana, si ricorderà semplicemente la formula, in cui le sollecitazioni dovute ai

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carichi verticali α‘p si sommano a quelle sismiche α moltiplicate per il coefficiente γE (che viene posto pari a 1 nel caso della muratura come chiarito al p. C.5.2 della Circolare 65/97):

αγα ⋅± Ep'

in cui: ( )[ ]∑ ⋅+⋅+⋅+⋅= kikqkpkgp QQPG 101

' ψγγγα

con il noto significato attribuito ai vari simboli.

Nel caso si adotti l’O.P.C.M. 3431, (si ricorda che l’osservanza del D.M. ‘87 permane) le azioni verticali vanno combinate con quelle sismiche se-condo le indicazioni di cui al p. 3.3. Al p. 4.4, riguardante la modellazio-ne, si ritorna sul concetto del modello strutturale costituito da pareti col-legate da un piano infinitamente rigido. In questo caso è ancora più im-portante assicurarsi l’effettivo funzionamento di questa membratura, dal momento che dovranno essere considerate azioni torcenti aggiuntive do-vute all’eccentricità accidentale in aggiunta a quella effettiva.

3.4 La verifica sismica globale degli edifici in muratura

Tornando allo schema scatolare già illustrato, si approfondirà ora il comportamento globale dell’edificio con riferimento alla sua risposta sismica. Successivamente si esamineranno i meccanismi locali.

Il comportamento degli elementi resistenti (maschi) costituenti gli edi-fici in muratura sottoposti ad azioni orizzontali, nell’ipotesi di solai in-finitamente rigidi, come già visto, è di tipo prevalentemente tagliante: l’azione è affidata prevalentemente alle pareti di controvento, disposte cioè nel verso dell’azione orizzontale. Il meccanismo fondamentale è quello esaminato al p. 2.5, e le ipotesi di base in esso riportate hanno consentito di mettere a punto una serie di procedimenti matematici più o meno complessi per la determinazione della resistenza dell’edificio alle forze orizzontali e che ora verranno descritti.

La verifica consisterà pertanto nel calcolare le azioni sismiche ad ogni livello e controllare che, piano per piano, esse siano inferiori alla resi-stenza che può sviluppare l’edificio al limite ultimo.

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Fra i vari metodi che si illustreranno, si sceglierà quello più appropriato, in funzione della geometria dell’edificio. Ad esempio, nel caso di edifi-cio basso e tozzo, la metodologia più indicata non sarà la stessa da adot-tare in caso di edifico alto e snello.

3.5 Il metodo VeT – Verifica a Taglio semplificata

Se si è in presenza di un edificio regolare con pareti disposte simmetri-camente in pianta rispetto alle due direzioni principali, e che hanno uno sviluppo regolare anche in altezza (altezza di interpiano e pesi di piano costanti), caricato in maniera pressoché uniforme, si può supporre con sufficiente probabilità che non vi saranno rotazioni degli impalcati. Se questi ultimi sono, inoltre, sufficientemente rigidi, si può ricorrere ad un metodo estremamente semplificato (metodo VeT), secondo il quale la resistenza totale di un piano in una certa direzione sarà pari alla somma delle resistenze (valutate come indicato al p. 2.6) dei setti orientati se-condo la direzione in esame.

In realtà, si preferisce calcolare il coefficiente d’intensità sismico “C” dato dal rapporto tra la forza sismica agente ad un certo livello (calcola-ta anch’essa in maniera semplificata ipotizzando solai uniformemente caricati) e la resistenza del piano calcolata come sopra. Questo metodo diventa pertanto la misura del massimo coefficiente sismico che è in grado di sopportare la struttura. Poiché tale valore varia piano per pia-no, il coefficiente “C” dell’edificio sarà assunto pari al minore fra quelli determinati per i vari piani.

Si sottolinea che questo metodo fornisce solo un ordine di grandezza della resistenza dell’edificio, per cui è sempre consigliabile impiegare altre metodologie più attendibili. Tale metodo è stato qui citato poiché è stato introdotto nell’applicazione delle Direttive Tecniche per l’attuazione della L. 61/98 ed è stato usato ampiamente per calcolare il cosiddetto coefficiente “C convenzionale”, che è alla base per la defini-zione della classe di vulnerabilità degli edifici danneggiati.

Le stesse Direttive restringono l’applicabilità di questo metodo alla progettazione di edifici con due piani al massimo, con maschi murari

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aventi continuità in elevazione, con irregolarità in pianta contenute en-tro determinati limiti.

È infine opportuno sottolineare che con questo metodo non si tiene in conto in alcun modo del comportamento globale dell’edificio, proprio per le ipotesi di regolarità che stanno alla base della sua applicabilità.

3.6 Il metodo POR

Alla base della formulazione di questo metodo vi sono, al solito, una se-rie di osservazioni sul comportamento elasto-plastico dei pannelli mura-ri come visto al p. 2.5; ciò comporta un procedimento di tipo iterativo per tenere conto della non-linearità del materiale.

Questo metodo è valido assumendo l’ipotesi di piano infinitamente ri-gido, per cui è possibile studiare un impalcato in maniera indipendente dagli altri, fatta eccezione, beninteso, per le azioni verticali trasmesse dai piani soprastanti a quello in esame.

Si veda ora l’applicazione del metodo POR ad un impalcato con una di-sposizione in pianta dei maschi murari generica ma paralleli alle due di-rezioni principali X e Y (vedi figura 3.12).

La rigidezza del singolo pannello nel suo piano è calcolata con la se-guente relazione:

⋅+⋅

⋅⋅=

+

⋅⋅

=

⋅⋅

+⋅⋅

=223

2.12.11

12.1

12

1

th

EGh

tLG

Gth

EtLh

AGh

IEh

K

dove: G, E: moduli elastici del materiale; A, I: rispettivamente, area ed inerzia della sezione; h, t, L: rispettivamente, altezza, spessore e lunghezza della parete.

Si noti che nella relazione di cui sopra, il termine flessionale prevale su quello tagliante a seconda del rapporto h/t.

Si applichi ora nel baricentro delle masse G, una forza F orizzontale cre-scente, ad esempio parallela all’asse X, e si misuri la deformazione di ogni

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pannello di controvento (contrassegnati con i numeri 1, 2, 3, 4 in figura 3.12). Se si trascura la rigidezza offerta dai pannelli ortogonali alla forza, si avrà che per valori bassi di F tutti i maschi si troveranno in campo elastico.

fig. 3.12

A causa della disposizione generica dei setti in pianta e delle dimensioni (e quindi delle rigidezze) diverse fra loro, l’impalcato ruoterà intorno al baricentro delle rigidezze R. Si riscontrerà che non tutti i pannelli avranno lo stesso spostamento e lo stesso grado di impegno della loro resistenza. In altre parole, alcuni di essi potranno trovarsi più prossimi allo snerva-mento rispetto ad altri, finché, per un determinato valore di F, uno di essi raggiungerà il limite elastico (talvolta, ma è raro, anche più di uno con-temporaneamente). Ad esempio, nello stesso istante, per i quattro setti in direzione X dell’edificio in esame, si potrà avere un andamento del tipo in figura 3.13, dove sulle ascisse sono riportate le deformazioni dei ma-schi e sull’ordinata le reazioni esplicate. Come si può ben vedere dalla fi-gura 3.13, il maschio n. 4 ha raggiunto per primo il limite elastico.

fig. 3.13

Il valore di F misurato in questo istante, somma dei contributi dei vari maschi, rappresenta la resistenza (reazione) dell’edificio al Limite Ela-stico. Gli altri pannelli non hanno però ancora sviluppato la loro mas-

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sima resistenza, trovandosi al disotto della soglia plastica. Se si conti-nuasse quindi a far crescere la forza F, il pannello già plasticizzato con-tinuerà a fornire lo stesso contributo di resistenza ma nel contempo si attingerà alle riserve di resistenza degli altri pannelli ancora in campo elastico. Incrementando ancora la forza si arriverà alla crisi del primo pannello, con conseguente decadimento della resistenza offerta dall’edificio, per cui il procedimento si arresta. Si dice che a questo punto si è raggiunto il Limite Ultimo e quindi si è determinata la mas-sima reazione esplicabile dall’impalcato in esame.

Riportando in un diagramma quanto ora esposto si otterrà un andamen-to analogo a quello riportato in figura 3.14.

fig. 3.14

Nel diagramma in figura 3.14, sull’asse delle ascisse sono riportati gli spostamenti δ subiti dal baricentro G dell’edificio (preso come punto di riferimento), mentre sulle ordinate è possibile leggere la misura della forza reattiva al Limite Elastico δe ed al Limite Ultimo δu.

Per completezza di trattazione, si menziona l’esistenza anche di un limi-te intermedio, detto Limite di Fessurazione, che sopravviene non appe-na un pannello raggiunge lo spostamento ef δδ ⋅= 2.1 che coincide con

la formazione delle prime fessure.

Il procedimento previsto dal metodo POR, schematicamente esposto per la direzione X, va ripetuto anche per la direzione Y. Se lo si reitera per una se-rie di direzioni intermedie, ad esempio ogni 15°, si possono ottenere una se-rie di punti che rappresentati in un diagramma di tipo polare forniscono il dominio di resistenza dell’edificio, come mostrato in figura 3.15.

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Capitolo 3 - Il Modello Strutturale e i Metodi di Calcolo

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fig. 3.15

Per ogni direzione e per ciascun impalcato, la forza reattiva così ottenu-ta al Limite Ultimo va confrontata con il tagliante di piano agente al li-vello dell’impalcato considerato. Se la reazione è sempre maggiore del tagliante, il livello è verificato, e ciò deve essere vero per tutti i livelli dell’edificio. Di norma tale verifica va effettuata solamente nelle due direzioni principali X ed Y.

Nel caso la verifica non fosse soddisfatta, si provvederà a consolidare con opportuni provvedimenti (iniezioni, pannellatura sandwich, tiranti, FRP, ecc.) i pannelli che per primi vanno in crisi e quindi si reitererà il calcolo con i nuovi valori della resistenza dei pannelli migliorati.

Occorre ora specificare i limiti di tale procedimento. Oltre al fatto che i solai devono presentare caratteristiche di grande (infinita) rigidezza nel proprio piano, l’edificio deve essere anche basso e tozzo. Si è notato in-fatti che per questi edifici, la crisi avviene per i maschi, nell’accezione definita in precedenza, che sono sollecitati prevalentemente da sforzi di taglio. Edifici alti e snelli sono invece caratterizzati dalla crisi delle fa-sce piuttosto che dei maschi, per cui occorre un algoritmo di risoluzione che tenga conto di questa eventualità. Quanto appena detto si verifica, spesso, per edifici nuovi, nei quali c’è un assottigliamento delle fasce so-pra e sottofinestra per l’alloggiamento delle tapparelle e dei radiatori. A tal proposito, la Circolare ‘81 al p. 3.1.1 suggerisce, per quest’ultima tipo-logia di edifici, di calcolare le pareti assimilandole a telai piani (oppure secondo una modellazione ad elementi shell) limitandosi alla sola fase e-lastica, trascurando così le riserve post-elastiche a vantaggio di sicurezza.

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Altra osservazione è che limitando l’analisi piano per piano, si perde di vista quello che potrebbe accadere all’edificio nella sua interezza, cioè, al limite, un ribaltamento.

Dato che i maschi possono andare in crisi anche per altri tipi di mecca-nismo, occorrerà prendere in considerazione nelle verifiche anche le al-tre possibilità di rottura, per taglio-scorrimento ed al ribaltamento, oltre che quella per fessurazione diagonale richiamata al p. 2.6. Di ciò se ne parlerà diffusamente nel capitolo dedicato alle verifiche.

3.7 Il metodo PORFLEX

Al paragrafo precedente si sono visti i punti critici del metodo POR, che può essere fuorviante per determinati tipi di edifici. Per superare tali li-mitazioni dovute all’applicazione del metodo POR, si sono introdotte alcune ipotesi, quali la deformabilità a flessione e taglio delle strisce e la possibilità di collasso dei maschi anche per flessione e non solamente per taglio. Si immagini infatti di avere una parete di un edificio abba-stanza snella, sottoposta ad azioni orizzontali per ogni impalcato, come quella in figura 3.16.

fig. 3.16

Si comprende facilmente come la componente flessionale sia notevole e come i “pilastri” estremi siano sottoposti a notevoli variazioni di sforzo normale.

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Capitolo 3 - Il Modello Strutturale e i Metodi di Calcolo

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L’applicazione del metodo PORFLEX è step by step e prevede una serie di ipotesi alla base. Innanzitutto la struttura viene schematizzata conside-rando quali zone deformabili sia le strisce che i maschi, collegati fra loro da zone rigide (in pratica le parti deformabili sono quelle a contatto delle aperture). La schematizzazione è molto simile a quanto esaminato in figu-ra 3.5, con la differenza che il procedimento viene eseguito piano per pia-no e solo per la striscia in testa ai maschi. È da notare che la presenza del piano infinitamente rigido è ancora necessaria per la trattazione matema-tica del problema. Le strisce vengono comunque considerate infinitamen-te rigide a compressione, anche se non infinitamente resistenti.

Inizialmente il vincolo dei maschi si suppone sia l’incastro scorrevole, analogamente a quanto visto per il metodo POR.

Il procedimento si articola nei seguenti passi:

• Si impone uno spostamento prefissato al baricentro delle rigidezze.

• In funzione dello spostamento impresso, si calcolano le sollecitazioni nelle strisce; se la striscia va a collasso il vincolo che essa esercita sul maschio diverrà una cerniera.

• Si calcolano le sollecitazioni nei maschi e si effettua la verifica. Qua-lora fosse cambiato il vincolo del maschio, la deformazione di esso non coinciderà più con lo spostamento calcolato precedentemente e sarà cambiata anche la posizione del baricentro delle rigidezze. Oc-correrà allora in tal caso incrementare lo spostamento e reiterare il procedimento.

• Ad ogni passo del procedimento è necessario riverificare tutti gli e-lementi, fino a quando non si verifica una situazione di collasso per un maschio murario.

Il maschio potrà quindi collassare per:

• taglio, se non vengono superate le tensioni massime di compressione;

• flessione (compressione/trazione), se le tensioni massime di compres-sione vengono superate prima delle tensioni di scorrimento.

Il metodo PORFLEX, considerando dei meccanismi che nel POR ven-gono trascurati, risulta più cautelativo, ma presenta pur sempre il limite di operare impalcato per impalcato.

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3.8 L’analisi modale

Al p. 8.1.5.3 dell’O.P.C.M. 3431, riprendendo quanto già esposto in maniera generale al p. 4.5.3, si sancisce che “l’analisi modale, associa-ta allo spettro di risposta di progetto, è da considerarsi il metodo nor-male per la definizione delle sollecitazioni di progetto”.

Da un punto di vista teorico la metodologia è stata esaminata in altri vo-lumi di questa collana, per cui essa non sarà ripetuta; si discuterà invece del modello di calcolo da esaminare.

Un primo modello è quello in cui l’edificio viene assimilato ad un insie-me di telai equivalenti, come in figura 3.5. Intorno ai pregi ed ai difetti di questa modellazione si è ampiamente discusso al precedente p. 3.2. Il problema nasce soprattutto, quando si debba esaminare l’edificio nella sua tridimensionalità, come nel caso che si sta esaminando.

Si vuole allora proporre una modellazione diversa, che ha il pregio di essere molto semplice ed allo stesso tempo consente, con buona preci-sione, la schematizzazione di edifici aventi qualsiasi configurazione.

In particolare, si è immaginato che ogni parete muraria possa essere schematizzata come una mensola incastrata al piede. I solai, pensati come infinitamente rigidi, collegano spazialmente tali mensole. In altre parole, si sono fatte due ipotesi: l’esistenza di solai infinitamente rigidi nel proprio piano e fasce anch’esse infinitamente rigide, analogamente a quanto ipotizzato nel metodo POR.

Con questo modello, sicuramente migliorabile, ma piuttosto ben ap-prossimato, è possibile effettuare un calcolo con un solutore ad elementi finiti in analisi dinamica come richiesto dall’O.P.C.M. 3431.

Si passa ora ad esaminare con maggiore dettaglio la modellazione di tali mensole (vedi figura 3.17). Si traccia l’asse della parete e si creano su di esso dei nodi in corrispondenza dei solai. Mediante dei bracci rigidi si possono collegare le estremità superiori/inferiori dei maschi murari ricavati dal pannello.

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Capitolo 3 - Il Modello Strutturale e i Metodi di Calcolo

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fig. 3.17

Lo schema di un edificio, utilizzando tale modellazione potrà essere qualcosa di simile a quanto rappresentato in figura 3.18.

fig. 3.18

Sia con la schematizzazione a telai che con la schematizzazione propo-sta, viene chiaramente considerata la spazialità del problema, come ad esempio le interazioni di tipo torsionale.

3.9 L’analisi statica non lineare

Finora sono stati trattati i metodi precedentemente esposti in maniera de-scrittiva perché è molto facile reperire informazioni approfondite al tal ri-guardo. Per quanto riguarda invece l’analisi statica non lineare, si preferisce qui trattarla compiutamente, per far sì che si acquisti familiarità con essa nel più breve tempo possibile, configurandosi essa come “il POR del domani”, nel senso che presto essa sarà a disposizione di tutti i tecnici grazie alla dif-fusione di strumenti software ed hardware potenti e a basso costo.

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3.9.1 Gli aspetti normativi

L’O.P.C.M. 3431 indica al p. 4.5.4.1 il calcolo in analisi statica non-lineare come una delle possibili strade, e recita: “L’analisi statica non lineare consiste nell’applicare all’edificio i carichi gravitazionali ed un sistema di forze orizzontali che, mantenendo invariati i rapporti relativi fra le forze stesse, vengano tutte scalate in modo da far crescere mono-tonamente lo spostamento orizzontale di un punto di controllo sulla struttura (ad esempio un punto in sommità dell’edificio), fino al rag-giungimento delle condizioni ultime”.

Gli scopi del calcolo non-lineare possono essere:

• valutare i rapporti di sovraresistenza αu/α1 di cui ai punti 5.3.2, 6.3.3, 7.3.3 e 8.1.3;

• verificare l’effettiva distribuzione della domanda inelastica negli edi-fici progettati con il fattore di riduzione q;

• come metodo di progetto per gli edifici di nuova costruzione sostituti-vo dei metodi di analisi lineare;

• come metodo per la valutazione della capacità di edifici esistenti.

Gli ultimi due punti sono di maggior interesse per questa trattazione. Allo stesso p. 4.5.4.1 viene indicato sinteticamente il procedimento, che si articola nei passi seguenti: • determinazione di un legame forza-spostamento generalizzato tra la

risultante delle forze applicate (“taglio alla base” Fb) e lo sposta-mento dc di un “punto di controllo”, usualmente scelto come il bari-centro dell’ultimo piano;

• determinazione delle caratteristiche di un sistema ad un grado di li-bertà a comportamento bi-lineare equivalente;

• determinazione della risposta massima in spostamento di tale sistema con utilizzo dello spettro di risposta elastico;

• conversione dello spostamento del sistema equivalente determinato come sopra nella configurazione deformata effettiva dell’edificio e verifica della compatibilità degli spostamenti (elementi/meccanismi duttili) e delle resistenze (elementi/meccanismi fragili).

In particolare, sempre al p. 4.5.4.1, per la muratura viene specificato che:

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Capitolo 3 - Il Modello Strutturale e i Metodi di Calcolo

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“Per gli edifici in muratura il metodo prevede solo una verifica globale in spostamento, e non le verifiche nei singoli elementi. Le proprietà degli elementi possono essere basate, salvo diversa indicazione, sui va-lori medi delle proprietà dei materiali”.

In altre parole, si ritengono superflue alcune delle verifiche che verranno esaminate nel prossimo capitolo 4, anche se dovranno essere sempre effet-tuate quelle ai sensi del D.M. ‘87 quali verifiche locali in fase non sismica.

Al p. 4.5.4.2 si indica che all’edificio devono essere applicate almeno due distinte leggi di distribuzione delle forze orizzontali, applicate ai baricentri delle masse di ciascun piano, di cui: • una distribuzione di forze proporzionali alle masse; • una distribuzione di forze proporzionali al prodotto delle masse per la

deformata corrispondente al primo modo di vibrazione.

Tutti i passi dell’analisi devono essere eseguiti per entrambe le distribu-zioni di forze eseguendo le verifiche di duttilità e di resistenza di cia-scun elemento/meccanismo per la distribuzione più sfavorevole.

L’analisi deve essere spinta fino al superamento dello stato limite og-getto della verifica. In tal modo, allo SLU l’analisi dovrebbe procedere fino al collasso della struttura, mentre allo SLD l’analisi deve essere fi-nalizzata a controllare i “drift” di piano (spostamenti di interpiano).

Il diagramma risultante ha nelle ascisse lo spostamento del nodo di con-trollo e nelle ordinate il taglio alla base.

In realtà, per la muratura si procederà secondo quanto indicato al p. 8.1.5.4, in seguito riportato.

Questi punti ora elencati saranno esaminati in dettaglio, essendo abba-stanza “ricchi” di contenuti tecnici.

3.9.2 Il modello strutturale e l’applicabilità dell’Analisi Statica non Lineare

Si passa ora ad esaminare quanto indicato al capitolo 8 dell’O.P.C.M. 3431 che riguarda in maniera specifica la muratura.

Il p. 8.1.5.4 recita: “Il modello geometrico della struttura potrà essere conforme a quanto indicato nel caso di analisi statica lineare ovvero utiliz-zando modelli più sofisticati purché idonei e adeguatamente documentati”.

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Per quanto riguarda l’analisi statica lineare, ci si riferisce al p. 8.1.5.2 in cui si parla di modelli con piano infinitamente rigido ed altre caratteri-stiche, anche se, evidentemente, il legislatore non ha voluto escludere modelli più sofisticati.

Il p. 8.1.5.2, che si consiglia di leggere per intero, recita: “(L’analisi sta-tica lineare) è applicabile nei casi previsti al punto 4.5.2, anche nel ca-so di edifici irregolari in altezza, purché si ponga il coefficiente λ = 1 …(omissis)”.

In sostanza, dunque, va considerato un coefficiente λ pari a 1 anziché 0.85. Il senso di questa indicazione è che si può estendere l’analisi stati-ca lineare anche agli edifici non regolari a patto che si applichi una di-stribuzione di forze più elevata.

A questo punto però viene lecito chiedersi se questa disposizione può applicarsi anche per l’analisi statica non lineare. È importante, come prima cosa, far notare che nella prima stesura dell’Ordinanza (Bozza 3274) ciò veniva esplicitamente consentito, tramite un passo al p. 4.5.4.1, che poi è stato omesso nello stesso punto della stesura definiti-va della 3431, e che recitava:

“Le prescrizioni contenute nelle presenti norme si applicano agli edifici che soddisfino le condizioni di regolarità in pianta ed in altezza di cui al p. 4.3. Il metodo (analisi statica non lineare) può essere esteso ad edi-fici non regolari purché si tenga conto dell’evoluzione della rigidezza e corrispondentemente delle forme di vibrazione conseguenti allo svilup-po delle deformazioni inelastiche (metodi evolutivi). Le modalità di tale estensione, che dipendono dalla configurazione geometrica e meccani-ca specifica dell’edificio in esame, devono essere adeguatamente do-cumentate”.

Si paventava, in altre parole, un procedimento del tipo:

• si assegna una distribuzione di forze proporzionale al primo modo di vibrazione e la si fa crescere fino alla formazione della prima cerniera plastica;

• si calcola una nuova distribuzione delle azioni funzione della nuova geometria e dell’evoluzione della rigidezza della struttura;

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Capitolo 3 - Il Modello Strutturale e i Metodi di Calcolo

61

• si fa crescere la distribuzione di forze fino alla formazione di una se-conda cerniera;

• si procede come visto in precedenza fino al collasso della struttura.

Nell’O.P.C.M. 3431 la tabella 11.5.1 consente, per gli edifici esistenti in muratura, la possibilità di adozione del metodo dell’analisi statica non lineare in tutti i casi, a prescindere dal Livello di Conoscenza, e nulla indica in merito alla regolarità strutturale.

3.9.3 La costruzione delle distribuzioni di forza da considerare

Al p. 8.1.5.4 (che riprende integralmente il p. 4.5.4.2) si legge:

“…(omissis). L’analisi dovrà essere effettuata utilizzando almeno due distinte distribuzioni di forze orizzontali, applicate ai baricentri delle masse a ciascun piano: una di forze proporzionali alle masse ed una di forze proporzionali alla distribuzione delle forze modali corrispondenti al primo modo di vibrazione nella direzione considerata; quest’ultima potrà essere approssimata dalla distribuzione da utilizzarsi per l’analisi statica lineare (punto 4.5.2)”.

La parola “almeno” che compare nel testo appena citato, nasconde un concetto importante: il calcolo è molto influenzato dalla distribuzione di forze che si sceglie.

Questo comporta che, soprattutto quando la struttura sia non regolare, l’opportunità di scegliere ulteriori distribuzioni di forze che rispecchia-no le distribuzioni risultanti da modi di vibrazione superiori al primo.

Del resto ciò è vero anche per l’analisi statica lineare; è per questo mo-tivo che, ad esempio, per strutture in cemento armato non regolari si opera con l’analisi modale.

Si passa ora ad esaminare come si costruiscono tali distribuzioni di forze.

Innanzitutto, occorre calcolare le masse mi dei singoli impalcati. Ripren-dendo un esempio riportato nel testo “Criteri di Progettazione Antisismica degli edifici” [L. Petrini, R. Pinho, G.M. Calvi - Ed. IUSS Press 2004], si suppone che le masse siano pari a 55 t, 54 t e 54 t rispettivamente per il 3°, 2° e 1° impalcato. La massa totale dei vari impalcati è pari a 163 t.

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La I distribuzione di forze dovrà essere proporzionale a tali masse omo-geneizzate rispetto alla massa totale. Per cui la distribuzione di forze da far crescere monotonamente dovrà essere proporzionale ai coefficienti calcolati come nella seguente tabella 3.1:

Tab. 3.1

Piano i Massa mi [t] mi/∑mi

3 55 0.3374

2 54 0.3313

1 54 0.3313

∑ 163 1

La II distribuzione dovrà essere invece proporzionale ai coefficienti Φ, rappresentativi del primo modo di vibrazione della struttura normalizzati (vedi 1° comma p. 4.5.4.3), calcolati come prodotto delle masse per la de-formata corrispondente al primo modo di vibrazione (vedi tabella 3.2).

Tab. 3.2

Piano i Massa mi [t] Φi iii mm Φ⋅=* ∑i ii mm ** /

3 55 1 55 0.465

2 54 0.78 42.1 0.356

1 54 0.39 21.1 0.179

∑ 163 118.2 1

3.9.4 Costruzione della curva di capacità

Si è accennato in precedenza come la curva di capacità sia costruita ri-portando in un diagramma, sulle ordinate le caratteristiche del taglio Fb alla base e sulle ascisse lo spostamento d del punto di controllo dell’ultimo piano, che in genere è scelto coincidente col baricentro. Le due distribuzioni di forza ora calcolate dovrebbero essere applicate alla struttura aumentandole in maniera graduale fino al collasso dell’edificio (al superamento dello stato limite oggetto della verifica, p. 4.5.4.2). In realtà, però, l’O.P.C.M. 3431, al p. 8.1.5.4 indica quando può essere ar-

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Capitolo 3 - Il Modello Strutturale e i Metodi di Calcolo

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restato il procedimento allo SLU, ossia fino a quando, a seguito di un decadimento, si raggiunge uno “spostamento corrispondente ad una ri-duzione della forza (al piede) non superiore al 20% del massimo”.

fig. 3.19

Il legame (vedi figura 3.19) sarà inizialmente di tipo lineare, fino a quando non inizia la formazione di cerniere plastiche che degradano la struttura con un’amplificazione degli spostamenti e con una diminuzio-ne del taglio al piede.

Ulteriori informazioni vengono riportate sempre al p. 8.1.5.4 laddove:

1) si ribadiscono le distribuzioni di forze da considerare, come visto precedentemente;

2) si indica il comportamento dei pannelli murari ed di altre opere (cor-doli, ecc.);

3) il risultato dell’analisi consisterà in un diagramma, denominato cur-va di capacità;

4) si specifica come misurare sia allo SLU che allo SLE la capacità di spostamento:

La capacità di spostamento relativa agli stati limite di danno e ulti-mo verrà valutata sulla curva forza-spostamento, in corrispondenza dei punti seguenti: Stato Limite di Danno: dello spostamento minore tra quello corrispon-

dente al raggiungimento della massima forza e quello per il quale lo spostamento relativo fra due punti sulla stessa verticale appartenenti a piani consecutivi eccede i valori riportati al punto 4.11.2;

Stato Limite Ultimo: dello spostamento corrispondente ad una ridu-

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zione della forza (N.B. si parla di forza tagliante al piede) non su-periore al 20% del massimo.

L’O.P.C.M. 3431, al p. 4.5.4.3, cui si rimanda, richiede la definizione di una curva di capacità bi-lineare di un sistema equivalente ad un unico grado di libertà (SDOF – Single Degree Of Freedom).

La costruzione del sistema equivalente è necessaria in quanto consente di determinare il periodo con il quale calcolare lo spostamento massimo ri-chiesto dal sisma in funzione degli spettri di cui al p. 3.2.3 dell’O.P.C.M. 3431. Si rimanda al successivo paragrafo per la costruzione della curva di capacità bilineare. Al p. 4.11.1.2 si accenna, in maniera generale, alla “capacità” ed alla “domanda” di spostamento:

“Dovrà essere verificato che i singoli elementi strutturali e la struttura nel suo insieme possiedano una duttilità coerente con il fattore di strut-tura (q) adottato. Questa condizione si potrà ritenere soddisfatta appli-cando le regole di progetto specifiche e di gerarchia delle resistenze indicate per le diverse tipologie costruttive.

Alternativamente, e coerentemente con modello e metodo di analisi uti-lizzato, si dovrà verificare che la struttura possieda una capacità di spostamento superiore alla domanda”.

Al p. 8.1.6 vengono discusse le verifiche di sicurezza. Si indica che la veri-fica è soddisfatta se il q*, calcolato come al p. 4.5.4.4 (rapporto fra forza di risposta elastica e forza di snervamento), sia minore o al più uguale di 3.

3.9.5 Costruzione del sistema equivalente ad un grado di libertà Si espone ora il procedimento generale (valido cioè per qualunque tipo-logia strutturale) per passare da un sistema a molti gradi di libertà (MDOF - Multiple Degrees Of Freedom) ad un sistema ad un singolo grado di libertà bilineare ad esso equivalente (SDOF).

Se si indica con Φ il vettore rappresentativo del primo modo di vibra-zione della struttura di interesse per la direzione considerata dell’azione sismica, normalizzato al valore unitario della componente relativa al punto di controllo, la massa m* del sistema bilineare equivalente vale:

∑ Φ⋅= iimm* .

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Capitolo 3 - Il Modello Strutturale e i Metodi di Calcolo

65

Il “coefficiente di partecipazione” Γ è definito dalla seguente relazione:

∑∑

Φ⋅=

Φ⋅

Φ⋅=Γ 2

*

2iiii

ii

mm

mm .

La forza F* e lo spostamento d* del sistema SDOF equivalente sono le-gati, in campo elastico, alle corrispondenti grandezze Fb e dc di un si-stema MDOF (ovvero dell’edificio in esame) dalle seguenti relazioni:

Γ= bFF* ; Γ= cdd* .

Detta Fbu la resistenza massima dell’edificio letta sulla curva di capacità (vedi figura 3.20), le coordinate del punto di snervamento *

yF e *yd del si-

stema bi-lineare equivalente possono essere definite nel modo seguente:

Γ= buy FF* ; *** kFd yy = ;

dove k* è la rigidezza secante del sistema equivalente ottenuta impo-nendo l’eguaglianza delle aree come indicato nella figura 3.22.

fig. 3.20

Nell’esempio in esame si vede che la curva relativa alla I distribuzione di forze (quella proporzionale alle masse) raggiunge un valore massimo della resistenza Fbu pari ad 840 kN in corrispondenza dello spostamento dc pari a 0.348 m. Il coefficiente di partecipazione vale, pertanto:

23.196

2.11839.05478.054155

39.05478.054155222 ==

⋅+⋅+⋅⋅+⋅+⋅

=Γ .

A questo punto è possibile “scalare” la curva di capacità precedente del sistema MDOF riducendo le ascisse e le ordinate per il coefficiente Γ:

kNFF buy 681

23.1840* ==

Γ= (forza allo snervamento);

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Edilizia 2007 - Edifici in Muratura

66

mdd cm 283.0

23.1348.0* ==

Γ= (spostamento corrispondente ad *

yF ).

Così facendo è possibile tracciare la curva di capacità del sistema equi-valente (SDOF) (vedi figura 3.21).

fig. 3.21

Si calcola ora una retta di compenso che eguagli le aree sottese (vedi fi-gura 3.22). Detta Em (pari a 139.5 nell’esempio in esame) l’area sottesa dalla curva di capacità fino al punto *

md , poiché le aree sottese devono

essere uguali, sarà:

myymy

y EFddd

F =⋅−+⋅ ****

* )(2

.

Dalla relazione precedente si ricava l’incognita *yd :

mFEdd

y

mmy 156.0

6815.139283.022 ** =

−⋅=

−⋅= .

fig. 3.22

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Capitolo 3 - Il Modello Strutturale e i Metodi di Calcolo

67

La rigidezza del sistema equivalente (rigidezza secante) sarà dunque:

mkN

dF

ky

y 4362*

** == ;

mentre la sua massa è stata calcolata in precedenza al p. 3.9.3 (m* = 118.2). Il periodo T* del sistema equivalente vale, dunque:

sec03.12 *

** =⋅⋅=

kmT π .

3.9.6 Risposta massima in spostamento del sistema equivalente

Come indicato al p. 3.2.3 dell’O.P.C.M. 3431, si può passare dall’ac-celerazione ricavata dallo spettro elastico allo spostamento, tramite l’espressione (3.5):

2

2)()(

⋅⋅=

πTTSTS eDe .

Come descritto al p. 4.5.4.4, “se il periodo T* dell’oscillatore equiva-lente è maggiore o al più uguale di Tc dello spettro, la risposta in spostamento del sistema anelastico è assunta pari a quella di un sistema elastico di pari periodo (v. espressione 4.9)”:

cTT ≥*2*

***

max,*max 2

5.2)(

⋅⋅⋅⋅===

πη T

TTSaTSdd c

gDee .

Nel caso che T* sia minore di Tc, la risposta in spostamento del sistema anelastico è maggiore di quella di un sistema elastico di pari periodo e si ottiene da quest’ultima mediante l’espressione:

cTT <* ( ) *max,*

**

*max,

max* 11 e

ce dTTq

qd

d ≥

⋅−+=

dove Fm ye TSq **** )( ⋅= rappresenta il rapporto tra la forza di rispo-sta elastica e la forza di snervamento del sistema equivalente.

Se risulta q* < 1 allora si ha *max,

*max edd = .

A questo punto è possibile effettuare le due verifiche richieste dal p. 8.1.5.4 dell’O.P.C.M. 3431:

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1) Allo SLU deve risultare che: udd ≤*

max ,

dove du è lo spostamento misurato in corrispondenza di una riduzio-ne della forza di taglio del 20% rispetto al valore massimo (vedi fi-gura 3.20). Inoltre, detto q* il rapporto tra la forza di risposta massima e la forza di snervamento del sistema equivalente, calcolato come indi-cato al p. 4.5.4.4, deve risultare, come indicato al p. 8.1.6, che:

3* ≤q .

2) Allo SLD deve risultare che:

SLDSLD dd ≤*max, ,

dove d*max,SLD ha lo stesso significato di d*

max, ma è calcolato per un’accelerazione ag,SLD pari a ag/2.5 (p. 3.2.6), mentre dSLD è lo spo-stamento minore fra: dSLDm = spostamento letto in corrispondenza del raggiungimento del-

la massima forza; dSLDr = spostamento letto in corrispondenza della forza che provoca

uno spostamento relativo fra due punti posti sulla stessa verticale appartenenti a piani consecutivi (drift di piano) maggiore dei valo-ri riportati al p. 4.11.2. Si ricorda che il massimo spostamento re-lativo è pari a h⋅003.0 per la muratura ordinaria e h⋅004.0 per quella armata, dove h è l’altezza del piano.

3.9.7 Edifici in muratura nuovi

Al p. 8.1.6, nel caso di edifici nuovi e di analisi statica non lineare, la ve-rifica di sicurezza è del tutto analoga a quella vista nel precedente p. 3.9.6. Infatti, essa consisterà nel confronto tra la capacità di spostamento ultimo dell’edificio e la domanda di spostamento. In ogni caso, per gli e-difici in muratura ordinaria oppure in muratura armata in cui non si sia applicato il criterio di gerarchia delle resistenze, qualora il valore di q* ec-ceda il valore 3.0, la verifica di sicurezza dovrà ritenersi non soddisfatta.

Viene ancora indicato come costruire il sistema bilineare equivalente, seguendo una strada leggermente diversa da quella indicata al p. 3.9.5:

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Capitolo 3 - Il Modello Strutturale e i Metodi di Calcolo

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“La rigidezza elastica del sistema bilineare equivalente verrà indivi-duata tracciando la secante alla curva di capacità nel punto corrispon-dente ad un taglio alla base pari a 0.7 volte il valore massimo (taglio massimo alla base). Il tratto orizzontale della curva bilineare verrà in-dividuato tramite l’uguaglianza delle aree sottese dalle curve tracciate fino allo spostamento ultimo del sistema”.

Si passa ora a mostrare in dettaglio come si traduce graficamente quest’ultima indicazione.

fig. 3.23

Nella figura 3.23 si nota che il tratto elastico, che consente di definire k*, è stato tracciato in corrispondenza di un valore del taglio pari al 70% del taglio massimo alla base, mentre il tratto orizzontale compensa le aree al disopra ed al disotto della curva.

Se allora si indica con Em l’area sottesa dalla curva di capacità e con k* la tangente dell’inclinazione del tratto elastico, la retta orizzontale avrà un valore *

yF tale che:

( ) my

yuy EF

kFkdF =⋅+⋅−⋅2

2****** .

La relazione così ottenuta è un’equazione di II grado da cui si può rica-vare l’incognita *

yF .

Sempre allo stesso p. 8.1.6 viene data un’altra importante indicazione, che costituisce uno snellimento della procedura: “come vettore rappre-

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Edilizia 2007 - Edifici in Muratura

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sentativo del primo modo di vibrazione Φ potranno essere assunti gli spostamenti prodotti dalla distribuzione di forze utilizzate per l’analisi statica lineare (p. 4.5.2)”.

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Capitolo 4 Le Verifiche Locali

Finora sono stati esaminati i metodi di calcolo e di verifica globali, os-sia di tutto l’edificio, tenendo in considerazione i vari meccanismi che avvengono mutuamente fra le diverse membrature che lo costituiscono.

In questo capitolo, invece, ci si occuperà delle verifiche locali, che si possono effettuare a prescindere dalla conoscenza delle sollecitazioni agenti sulle diverse membrature che compongono la struttura.

Si vedranno, adesso, in dettaglio le diverse verifiche locali a seconda delle varie disposizioni normative vigenti.

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4.1 Le verifiche locali secondo il DM ‘87

Al par. 3.3 si è già esaminata la valutazione dei carichi e delle loro ec-centricità secondo quanto prescritto dal D.M. ‘87.

Una volta stabiliti i maschi murari che costituiscono la struttura resi-stente, occorre schematizzarli come illustrato nella figura 4.1.

fig. 4.1

Si considera l’altezza h del maschio al netto della presenza del cordolo. Inoltre, deve essere definita anche l’altezza netta del maschio in corri-spondenza dei vani laterali, che ricorre nel caso si indichi quest’ultima come altezza di calcolo.

La snellezza λ di un maschio murario (p. 2.2.1.3 del D.M. ‘87) è data dal rapporto ho/t (rapporto tra la luce libera di inflessione e lo spessore), calcolato così come di seguito indicato:

1. Si calcola il coefficiente p (fattore laterale di vincolo, talora indicato anche con il simbolo ρ) in base al grado di vincolo del muro stesso. Se il muro è isolato esso vale 1, mentre se il muro non ha aperture ed è irrigidito da muri trasversali di spessore non inferiore a 20 cm posti a distanza a, detta hi l’altezza interna d’interpiano, in funzione del rapporto r = hi/a si ottiene:

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Capitolo 4 - Le verifiche locali

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Valori di p 5.0≤r 1

15.0 ≤< r r−23

1>r 211r+

Se il generico muro trasversale ha delle aperture (porte o finestre), si ritiene convenzionalmente che la sua funzione d’irrigidimento possa essere espletata quando lo stipite delle aperture disti dalla superficie del muro irrigidito almeno un 1/5 dell’altezza del muro stesso; in ca-so contrario si assumerà p = 1.

2. Si calcola la lunghezza libera ho di inflessione del muro, ottenuta come prodotto fra il fattore laterale di vincolo p e l’altezza netta h del muro:

hpho ⋅= . 3. Si calcola, infine, la snellezza λ, ottenuta come rapporto fra la lun-

ghezza libera d’inflessione ho e lo spessore t del muro:

tho=λ .

Le verifiche si effettuano adottando il metodo agli stati limite. Al p. 2.4.2 si specifica che vanno condotte solo le verifiche allo SLU poten-dosi omettere quelle allo SLE poiché le elevate rigidezze in gioco dan-no luogo a deformazioni molto piccole, in quanto le strutture portanti non sono travi (in c.a. o acciaio) ma muri.

In base al valore della snellezza λ ed al valore del coefficiente di eccen-tricità tem ⋅= 6 , è possibile calcolare il coefficiente di riduzione delle

resistenze del muro Φ utilizzando la tabella di cui al p. 2.2.1.4. Tale co-efficiente è stato calcolato nell’ipotesi dell’articolazione a cerniera.

Verifica dei muri soggetti ai carichi verticali

La prima verifica che si esaminerà è quella dei muri soggetti a carichi verticali con eccentricità nello spessore del muro (verifica fuori piano). Tale verifica si esegue accertando che il carico verticale di calcolo Nd rispetti la seguente condizione:

AfN dd ⋅⋅Φ≤

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Edilizia 2007 - Edifici in Muratura

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dove: Nd = carico verticale agente nella sezione di verifica; A = area della sezione orizzontale del muro al netto delle aperture; Φ = coefficiente di riduzione della resistenza; fd = resistenza di calcolo della muratura, pari a fk/γm (ove fk è la resi-

stenza caratteristica della muratura e γm è pari a 3).

Questa verifica dovrebbe essere condotta sia alla testa che al piede del muro, ma quest’ultima la si può omettere poiché il carico al piede si considerata ricentrato. Infatti, a causa dell’eccentricità nulla le tensioni sono sicuramente più basse anche se lo sforzo normale è più alto.

La determinazione del carico verticale di calcolo Nd viene effettuato per le tre combinazioni di carico fondamentali A, B e C.

Nelle verifiche ai carichi verticali si impiegherà il valore più sfavorevo-le tra A e B; per le verifiche alle forze orizzontali si impiegherà anche la combinazione C (p. 2.4.2.1).

Verifica a pressoflessione (nel piano della parete)

La verifica a pressoflessione nel piano del muro (p. 2.4.2.3.1) è la secon-da verifica da effettuare. Occorre, a tale scopo, definire oltre alle azioni verticali Nd anche i momenti flettenti Mb nel piano del muro dovuti alle azioni orizzontali. Pertanto, sarà possibile calcolare anche l’eccentricità longitudinale eb (nel piano del muro) del carico verticale Nd:

d

bb N

Me = .

Tale eccentricità al massimo può essere pari a:

3Leb ≤ .

Se si supera tale valore la verifica non può essere effettuata.

La verifica, generalmente, viene eseguita solo nella sezione al piede del muro in quanto più sollecitata. Affinché la verifica risulti soddisfatta occorre che risulti:

AfN dbtd ⋅⋅Φ⋅Φ≤ dove:

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Capitolo 4 - Le verifiche locali

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Φt = coefficiente di riduzione della resistenza valutato per l’eccentricità trasversale e2 (p. 2.2.1.4);

Φb = coefficiente di riduzione della resistenza valutato per l’eccentricità longitudinale eb; si ricava (p. 2.2.1.4) tramite il coef-ficiente di eccentricità

teb⋅6 e ponendo λ=0.

Poiché i valori di Nd sono tre (combinazione A, B e C) come visto in precedenza ed i valori di Wk sono quattro per le quattro possibili dire-zioni del vento, occorre ripetere la verifica 12 volte.

fig. 4.2

Nella figura 4.2 viene riportato lo schema di calcolo del momento Mb. Esso nasce a causa della presenza di una forza orizzontale sulla testa del pannello e provoca l’eccentricità eb del carico verticale Nd. La causa di questa forza è quasi sempre il vento.

Generalmente si ipotizza che la forza esercitata dal vento sui pannelli ad esso ortogonali si scarichi completamente sui pannelli di controvento. Da ciò si evince che si deve pensare ad un qualche meccanismo di ri-partizione, in base ad esempio alle aree dei maschi in direzione del ven-to o ad un criterio leggermente più complesso che tenga conto anche dell’eccentricità in pianta delle forze orizzontali.

Si noti, inoltre, che tale criterio può essere anche impiegato quando le forze siano di altra natura, come ad esempio di derivazione sismica.

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Verifica a taglio (nel piano della parete)

La terza verifica da eseguire è quella a taglio nel piano del muro, con il muro soggetto alle forze viste in precedenza.

Si dovrà innanzitutto valutare la resistenza a taglio caratteristica del pan-nello murario che è funzione del carico verticale. Si ricorda, infatti, che:

nvkovk ff σ⋅+= 4.0 ,

mentre la resistenza di calcolo sarà pari a:

3vk

vdff =

La verifica risulta soddisfatta se: AfV vdd ⋅⋅≤ β

dove: Vd = sforzo di taglio agente nella sezione di verifica; β = coefficiente di parzializzazione della sezione; tiene conto

dell’eventuale zona di muro soggetta a trazione e assume i valori:

1=β per 16≤

⋅Leb

Leb⋅

−=3

23β per 3.161 ≤

⋅<

Leb

Alcuni autori, quando 3.16 >⋅ Leb , propongono una formulazione leg-germente più complessa:

+

⋅⋅

=

32

1

n

vkL

hfσ

β

Tale espressione è valida fino a che 26 ≤⋅ Leb .

Si noti che fvk va calcolata tenendo conto della parzializzazione della sezione.

4.2 Le verifiche locali alle azioni ortogonali al piano principale

Al punto C.9.5.3 del D.M. ‘96 è riportato quanto segue: “L’azione sismi-ca ortogonale alla parete è rappresentata da un carico orizzontale distri-buito pari a β×C volte il carico trasmesso dagli orizzontamenti che si

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Capitolo 4 - Le verifiche locali

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appoggiano su di essa, se questi non sono efficacemente collegati a muri trasversali. Si terrà conto dei vincoli della parete con i muri trasversali e con i solai solo in quanto efficaci. L’effetto flessionale dell’azione sismi-ca ortogonale alla parete può essere valutato nell’ipotesi di comporta-mento lineare a sezione interamente reagente”.

La verifica alle forze ortogonali è pertanto obbligatoria, per cui suppo-nendo di avere effettuato una verifica globale col metodo POR, restano da osservare le indicazioni di cui al punto precedente.

È affidata alla sensibilità del tecnico dove effettuare tale verifica locale. Se in tutto il fabbricato si hanno pareti efficacemente ammorsate a muri trasversali, sembrerebbe il caso di non doverla effettuare mai. Ma anche se una parete è ammorsata efficacemente a due muri trasversali posti però a distanza notevole fra loro, è sicuramente consigliabile eseguire tale verifica per una “fetta” verticale di parete posta nella zona centrale, dove si potrebbe non risentire più dell’effetto di contrasto delle pareti poste trasversalmente.

Mentre si può affermare che il punto precedente sia chiaro nel suo si-gnificato, la sua applicazione presenta ancora qualche punto da chiarire in merito allo schema statico da considerare rifacendoci alle indicazioni del Commentario ‘96. Occorre, infatti, distinguere il caso di solai effi-cacemente ammorsati nella muratura, dal caso in cui questi non lo sia-no, come accade per i solai in legno.

Nel caso di solai efficacemente ammorsati nella muratura, lo schema statico da considerare è quello riportato nella figura 4.3.

fig. 4.3

In esso si vede come la parete sia investita, nel suo piano ortogonale, da un “vento” sismico pari al peso W della parete stessa per il coefficiente

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β×C (con β = coefficiente di struttura e C = coefficiente di intensità si-smica). Si può pertanto operare in maniera identica a quanto visto per il D.M. ‘87, in cui l’azione del vento è sostituita da quella sismica, ritor-nando così allo schema proposto in figura 3.11.

Nel caso di solai non efficacemente ammorsati nella muratura, oltre al carico distribuito occorre considerare anche il peso trasmesso dagli o-rizzontamenti moltiplicato per il coefficiente β×C. A causa del mancato ammorsamento dei solai il vincolo di piano è trascurabile o inesistente, per cui si può creare più di un meccanismo possibile di ribaltamento a causa della formazione di cerniere plastiche al piede dei muri dei vari impalcati. Ad esempio per un edificio di due impalcati possono verifi-carsi i meccanismi di cui in figura 4.4.

fig. 4.4

La verifica locale alle azioni fuori dal piano della parete deve effettuarsi considerando l’equilibrio fra i momenti stabilizzanti e ribaltanti intorno ad ogni possibile punto di rotazione, in genere in corrispondenza del piede di ogni parete.

Nel caso di riattamento, ai sensi della L. 61/98 il progettista deve di-mostrare che, sia l’edificio globalmente che le singole parti che lo co-stituiscono, siano in grado di sopportare un’azione sismica di intensità C = 0.65⋅Crif e che comunque si consegua un grado di sicurezza mag-giore di quello precedente al riattamento.

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Capitolo 4 - Le verifiche locali

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Detto allora Co il valore del coefficiente di intensità sismico C che porta a collasso la struttura o, come nel nostro caso, parte di essa prima degli interventi di miglioramento, e Cfin l’analogo coefficiente conseguito do-po gli interventi (ad esempio eliminazione di spinte, ammorsamento so-lai, catene, ecc.) dovrà risultare che:

riffin CC ⋅> 65.0 e ofin CC > .

La verifica a pressoflessione fuori dal piano dei singoli pannelli murari potrà essere effettuata sia secondo i dettami del D.M. ‘87 che secondo quelli della Circolare ‘81.

In ambedue i casi si dovranno valutare i carichi orizzontali e verticali che agiscono con le loro eccentricità, in funzione delle combinazioni di carico indicate al p. B.8.2 del D.M. ‘96.

Nel caso di verifica secondo il D.M. ‘87, per ognuno dei valori del cari-co verticale si calcola coefficiente Φ per il quale si raggiunge la resi-stenza fk caratteristica a compressione, dato dalla seguente relazione:

AfNk

d⋅

Noto il coefficiente Φ, tramite le tabelle del D.M. ‘87, si ricava il coef-ficiente di eccentricità tem ⋅= 6 e da quest’ultimo si ricava il valore dell’eccentricità e. A questo punto è possibile calcolare i valori dei co-efficienti Co e Cfin.

Nel caso di verifica secondo la Circolare ‘81, si considera la sezione li-nearmente reagente anche a trazione con una resistenza caratteristica massima pari a fvko. Il calcolo di Co e Cfin si effettua imponendo il rag-giungimento della tensione caratteristica di compressione e/o di trazio-ne agli estremi della sezione trasversale, calcolati con la nota formula:

WM

AN

±=σ .

Nell’O.P.C.M. 3431, al p. 8.2.2.3 viene suggerito: “Il valore del mo-mento di collasso per azioni ortogonali al piano della parete sarà cal-colato assumendo un diagramma delle compressioni rettangolare, un valore della resistenza pari a 0.85⋅fd e trascurando la resistenza a tra-zione della muratura”.

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Edilizia 2007 - Edifici in Muratura

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Quanto sopra specificato può essere implementato nella maniera seguente.

Il momento resistente ultimo dipende anch’esso dallo sforzo normale medio σc esistente sul pannello. Si ricorda a tal proposito che deve esse-re trascurata la resistenza a trazione (ciò penalizza i muri meno caricati) e che lo sforzo normale medio si ricava dalla Combinazione A del D.M. ‘87 (assenza di vento).

Occorre calcolare allora il momento di decompressione Md che provoca la stessa tensione σc. Esso è pari a:

6

2tLM cd

⋅⋅=

σ .

Sovrapponendo i due diagrammi (vedi figura 4.5), quello costante e quello a farfalla, si ottiene un diagramma triangolare in cui da un lato il valore della tensione è nullo e dall’altro è pari a 2⋅σc.

A questo punto possono presentarsi due casi:

1. se m

kdc

ffγ

σ ⋅=⋅≤⋅

85.085.02 6

2tLMM cdu

⋅⋅==

σ momento ultimo

2. se m

kdc

ffγ

σ ⋅=⋅>⋅

85.085.02 il momento ultimo va calcolato tenendo presente che vi è una zona plasticizzata in cui la tensione massima è proprio pari a kf⋅85.0 :

( )

−⋅−−

⋅⋅=

3285.0

26

2 XtfXtLM dcc

u σσ

con: ( )dcc

ftX ⋅−= 85.0σσ

fig. 4.5

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Capitolo 4 - Le verifiche locali

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4.3 Le verifiche locali alle azioni complanari

Un pannello murario sollecitato nel proprio piano da un’azione tagliante può essere soggetto a tre modalità di crisi, che dipendono dalla sua ge-ometria, dal grado di vincolo e dai carichi verticali agenti su di esso. Queste modalità di rottura sono:

1. Per taglio-scorrimento, quando, a seguito della presenza di un carico verticale basso, si attiva uno scorrimento dei blocchi in corrispon-denza della malta.

2. Per fessurazione diagonale, quando si supera la tensione caratteristi-ca di trazione lungo le isostatiche.

3. Per flessione-ribaltamento, quando si supera la tensione caratteristica di compressione alla base della parete.

Una rappresentazione dei tre possibili meccanismi di collasso è riporta-ta nella figura 4.6.

fig. 4.6

È chiaro che dovrà essere calcolato, per le tre possibili modalità di rot-tura, il corrispondente valore ultimo della forza tagliante e di questi considerare il valore minore ai fini delle verifiche.

4.3.1 Rottura per taglio-scorrimento

La resistenza a taglio del maschio murario conseguibile da tale mecca-nismo è pari a:

sus tLV ,τ⋅⋅=

dove:

Lhc

co

o

osu

⋅⋅

+

⋅+⋅=

σ

σµτ31

5.1,

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con: L, t = rispettivamente, lunghezza e spessore del maschio; c, µ = rispettivamente, coesione e coefficiente d’attrito relativi alla rot-

tura per taglio-scorrimento; σο = tensione normale media; hο = distanza del punto di momento nullo dalla sezione considerata.

4.3.2 Rottura per fessurazione diagonale

La resistenza a taglio del maschio murario conseguibile da tale mecca-nismo è pari a:

t

ott fb

tLfV σ+⋅

⋅⋅= 1

con: b = coefficiente correttivo dipendente dalla snellezza del pannello (so-

litamente compreso fra 1.5 per pareti snelle e 1.1 per pareti tozze); ft = resistenza tangenziale per fessurazione diagonale.

4.3.3 Rottura per flessione-ribaltamento

La resistenza a taglio del maschio murario conseguibile da tale mecca-nismo è pari a:

⋅⋅⋅

−⋅⋅

==tLf

Nh

LNhMV

uoo

ur 85.0

12

con: fu = resistenza a compressione della muratura; N = azione assiale nel maschio.

Dovrà, inoltre, verificarsi che la deformazione dei maschi sia non supe-riore, o al limite di elasticità (se si vuole conservare un certo margine di sicurezza) oppure al limite ultimo.

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Capitolo 4 - Le verifiche locali

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4.3.4 Verifiche secondo l’O.P.C.M. 3431

L’O.P.C.M. 3431 fa riferimento nel p. 8.2.2.1, per la verifica a presso-flessione nel piano della parete, ad una formula del tutto analoga a quel-la di cui al precedente p. 4.3.3. Infatti, si prescrive che il momento di calcolo risulti inferiore o al più uguale al momento ultimo resistente, calcolato con la seguente formula:

⋅⋅⋅

−⋅⋅

=tLf

NLNMd

u 85.01

2

in cui: fd = mkf γ , è la resistenza a compressione di calcolo della muratura;

N= azione assiale nel maschio (se N è di trazione Mu=0).

Al punto 8.2.2.2 si prescrive che la resistenza a taglio di una parete nel proprio piano venga calcolata con la seguente relazione:

m

vkt

ftLVγ

⋅⋅′=

dove L′ in questo caso indica la lunghezza della parte compressa della sezione, mentre fvk è stata definita al p. 2.6 del presente testo.

Il valore di fvk comunque non potrà essere maggiore di bkf ′⋅4.1 (dove

bkf ′ indica la resistenza caratteristica a compressione degli elementi nella direzione di applicazione della forza) né maggiore di 1.5 N/mm2.

Il valore di γm è indicato al p. 8.1.1 ed è posto pari a 2 per gli edifici nuovi, mentre per gli edifici esistenti occorrerà definire i valori delle re-sistenze con prove in situ e dividerle per il Fattore di Confidenza, che dipende dal Livello di Conoscenza raggiunto.

4.4 Le verifiche locali secondo le prescrizioni del T.U. Il T.U. riprende per buona parte le indicazioni contenute nel D.M. ‘87, con delle variazioni che si andranno ora ad evidenziare, facendo una sorta di “parallelo” fra le due norme.

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Edilizia 2007 - Edifici in Muratura

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4.4.1 Resistenza della muratura

Innanzitutto, la classificazione fatta degli elementi artificiali pieni, se-mipieni e forati è identica, così come gli spessori minimi dei muri in funzione del materiale che li costituisce. Manca però la muratura in pie-tra naturale non squadrata.

Riguardo alle malte, al posto delle M1, …, M4 del D.M. ‘87, vengono ora indicate le nomenclature M2.5 – M5 – M10 – M15 – M20 – Md, esplicitando cioè il valore della resistenza della malta in N/mm2 (Md è una malta la cui resistenza “d” è dichiarata dal produttore). Anche se non esattamente, si può dire che sussiste la seguente equivalenza: M4 = M2.5, M3 = M5, M2 = M10 ed infine M1 = M15.

La tabella del T.U. da cui si possono ricavare le resistenze a compres-sione della muratura, risultante dall’assemblaggio di mattoni (elementi artificiali) e malta, risulta così identica a quella del D.M. ‘87, pur es-sendo stata richiesta una maggior prestanza alle due malte più resistenti.

Per gli elementi naturali, sussistendo ancora l’indicazione che la resi-stenza caratteristica fbk è pari al 75% di quella media a compressione, sussiste anche l’equivalenza delle tabelle delle resistenze a compressio-ne delle murature in pietra naturale squadrata.

Di conseguenza continuano ad essere identiche le tabelle per la determi-nazione della resistenza a taglio in assenza di compressione (fvko), della resistenza caratteristica a taglio ( nvkovk ff σ⋅+= 4.0 ) e l’indicazione del valore dei moduli di elasticità normale (E = 1000⋅fk) e tangenziale (G = 0.4⋅E).

Una volta note le resistenze caratteristiche a compressione ed a taglio (dalle tabelle o anche in via sperimentale), le resistenze di progetto si ottengono dividendo le resistenze caratteristiche per un coefficiente γm ed ancora per un coefficiente γRd.

Il coefficiente parziale di sicurezza γm a compressione vale 2 se gli ele-menti sono di Categoria I (vedi di seguito), oppure 2.5 se gli elementi sono di Categoria II ovvero in elementi naturali.

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Capitolo 4 - Le verifiche locali

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Gli elementi appartenenti alla Categoria I sono quelli dotati di certifica-zione di produzione in fabbrica, conformi alle norme europee EN 771, mentre quelli appartenenti alla Categoria II posseggono autodichiara-zione del produttore, come specificato all’art. 7 del DPR 246/93.

L’ulteriore coefficiente parziale di sicurezza γRd, che tiene conto delle incertezze nel modellare la resistenza, è concordato da Committente e Progettista, ed in ogni caso deve risultare maggiore o al più uguale ad 1.2 per le verifiche allo SLU, e a 2 per le verifiche alle Tensioni.

4.4.2 Le combinazioni di carico

A differenza delle tre combinazioni fondamentali A, B e C del D.M. ‘87, nel T.U. si prendono in considerazione le combinazioni di tipo se-miprobabilistico indicate al p. 5.4.5.1, che sia allo SLU che allo SLE ri-chiamano la tipologia già indicata a suo tempo nel D.M. ‘96. Occorre dire che a proposito delle verifiche allo SLE, esse possono essere omesse (p. 5.4.6), eccezion fatta per i casi in cui sia necessario limitare l’ampiezza delle fessure e nel caso in cui l’edificio sia più alto di 4 piani, per il quale occorre verificare che il “drift” di piano, per la combinazione frequente, sia minore o al più uguale al 3 °/oo dell’altezza di interpiano.

4.4.3 Valutazione della snellezza e delle eccentricità di calcolo

La snellezza del setto murario e la valutazione delle eccentricità dovute ai carichi del solaio, vengono valutate in maniera perfettamente identica nelle due norme, ma nel T.U., al I comma del p. 5.4.5.2 è specificato che le formulazioni proposte sono valide nel caso dello “schema dell’articolazione”, lasciando così intendere che è possibile pervenire per altre vie a tali valori.

Nel caso, infatti, si sia operata una modellazione strutturale più com-plessa, ad esempio basata sull’uso estensivo di elementi finiti bidimen-sionali e con una valutazione accurata delle sollecitazioni trasmesse dal solaio alle pareti portanti, i valori delle eccentricità risultano diretta-mente dal calcolo stesso.

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Edilizia 2007 - Edifici in Muratura

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4.4.4 Le verifiche

Le verifiche prescritte sono: 1. Pressoflessione per carichi laterali (fuori piano); 2. Pressoflessione per azioni nel piano; 3. Taglio per azioni nel piano; 4. Verifica per carichi concentrati.

La prima delle verifiche indicate coincide con la prima di quelle viste al precedente p. 4.1 del D.M. ‘87, mentre la seconda viene effettuata con una formula analoga alla 8.2 dell’O.P.C.M. 3431, con la quale viene cal-colato il momento ultimo applicabile alla sezione in muratura sottoposta ad un certo sforzo normale, nell’ipotesi di assenza di resistenza a trazione.

La terza verifica viene effettuata in maniera simile al D.M. ‘87 ma con una formulazione più dettagliata per il coefficiente di amplificazione β×C nel caso di muratura di Categoria I.

Altre indicazioni specifiche sono fornite nel caso di carichi concentrati, nel cui caso è necessario definire l’area d’appoggio e la sua posizione rispetto al muro. Quest’ultima verifica può essere necessaria nel caso di piastre capochiave, di tiranti di precompressione, oppure per appoggi di putrelle o travi di spina e via discorrendo.

Al p. 5.4.6.3 vengono esplicitate le verifiche alle Tensioni, stavolta del tutto identiche alle omologhe del D.M. ‘87. Esse, ai sensi del p. 2.8, possono (debbono ?…) essere applicate per gli edifici in Classe I (con vita utile di 50 anni) come specificato al p. 2.5 o in caso di materiale e-lastofragile (come la muratura ?…).

4.5 Le indicazioni contenute nell’EC6 Tra le altre indicazioni contenute nell’Eurocodice 6, in particolare alla parte 1-1, p. 4.4.3, viene indicata una metodologia più dettagliata per la determinazione del coefficiente di parzializzazione Φ della sezione, va-lido per condizioni di vincolo all’estremità che siano diverse dallo schema dell’articolazione, con cui è possibile calcolare la cosiddetta “altezza effettiva” che ricorda all’incirca la luce libera di inflessione.

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Capitolo 4 - Le verifiche locali

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Senza entrare nei dettagli, si determina “l’eccentricità di calcolo”, che tiene conto delle varie eccentricità prodotte da: carichi applicati (calcolata come rapporto tra momento agente e sforzo normale), carichi orizzontali (vento, spinta terreno), imperfezioni costruttive e scorrimento viscoso.

Si determina, inoltre, lo “spessore effettivo”, funzione della tipologia costruttiva del muro (ad esempio a cassa vuota) e della presenza even-tuale di nicchie ed incassature.

In base a tali valori si calcolano due parametri:

• il rapporto tra eccentricità di calcolo e spessore del muro; • il rapporto tra altezza effettiva e spessore effettivo.

Una volta noti tali parametri è possibile utilizzare un abaco da cui de-sumere il valore di Φ.

4.6 Analisi dei meccanismi locali di collasso – All. 11.C O.P.C.M. 3431

È questo un importantissimo capitolo, ancora dedicato alle verifiche cosid-dette “locali” per sottolineare il fatto che, mentre la verifica globale dell’edificio potrebbe essere soddisfatta, alcune parti di esso potrebbero es-sere soggette in tutto o in parte a dissesti (ad esempio le facciate che hanno solai che poggiano solo da un lato e magari non efficacemente ammorsati).

Si ricorda che l’O.P.C.M. 3431, al p. 11.5.4.3.1, impone l’obbligo di eseguire tale tipo di verifiche per gli edifici esistenti.

Abbiamo già visto come queste verifiche siano state richieste da altre normative a partire dalla Circolare ‘81, che già imponeva la verifica a ribaltamento nel piano ortogonale ai muri.

Successivamente, nel Commentario ‘96, sono state riportate indicazioni più specifiche, parlando esplicitamente di:

1. verifica al ribaltamento di un’intera parete o di una sua parte, in pre-senza di vincoli di piano inefficaci;

2. verifica per rottura orizzontale della generica tesa tra due orizzonta-menti vincolanti successivi.

Il Commentario ‘96 recita a tal proposito (Cap. 13):

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Edilizia 2007 - Edifici in Muratura

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“La prima circostanza è da prendere in considerazione quando, in as-senza di vincolo di piano o con vincolo insufficiente, un’intera parete o una sua parte perdono l’equilibrio. In questo caso la modellazione di calcolo che sembra più opportuno seguire è quella che considera le va-rie tese di muratura, soggette ai carichi verticali stabilizzanti e alle for-ze d’inerzia ribaltanti, come blocchi rigidi sovrapposti, vincolati tra-sversalmente alle eventuali connessioni esistenti.”

Il Capitolo 11.C dell’O.P.C.M. 3431 prende le mosse da questo punto, ri-badendo che la validità delle verifiche che si vanno ad esporre hanno si-gnificato se “… è garantita una certa monoliticità della parete muraria, tale da impedire collassi puntuali per disgregazione della muratura”. La differenza con l’approccio del Commentario ‘96, visto al p. 4.2, consiste nel fatto che stavolta l’approccio è di tipo cinematico ed è riferito sia ai meccanismi di danno che di collasso. Ciò vuol dire che il tecnico deve prevedere un possibile meccanismo di collasso in funzione della tecnolo-gia costruttiva e, da questo, valutare l’azione orizzontale che mobilita il meccanismo. È importante, quindi la valutazione dei quadri fessurativi (indice di questi possibili meccanismi), dell’efficacia delle connessioni fra i vari elementi della scatola muraria (fra orizzontamenti e muri, fra muri e muri), della presenza di catene e via discorrendo. Pur essendovi una grande varietà di meccanismi, si è comunque rilevata una certa ricor-renza di alcuni. È importante, quindi, chiarire i concetti su cui si fonda ta-le analisi per poterla estendere ai vari casi che si possono presentare.

Per ogni possibile meccanismo locale ritenuto significativo per l’edificio, il metodo si articola nei seguenti passi, come ben sintetizzato nella parte iniziale del p. 11.C: 1. trasformazione di una parte della costruzione in un sistema labile (catena

cinematica), attraverso l’individuazione di corpi rigidi, definiti da piani di frattura ipotizzabili per la scarsa resistenza a trazione della muratura, in grado di ruotare o scorrere tra loro (meccanismo di danno e collasso);

2. valutazione del moltiplicatore orizzontale dei carichi αo che compor-ta l’attivazione del meccanismo (stato limite di danno);

3. valutazione dell’evoluzione del moltiplicatore orizzontale dei carichi α al crescere dello spostamento dk di un punto di controllo della ca-tena cinematica, usualmente scelto in prossimità del baricentro delle masse, fino all’annullamento della forza sismica orizzontale;

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Capitolo 4 - Le verifiche locali

89

4. trasformazione della curva così ottenuta in curva di capacità, ovvero in accelerazione a* e spostamento d* spettrali, con valutazione dello spostamento ultimo per collasso del meccanismo (stato limite ulti-mo), definito in seguito;

5. verifiche di sicurezza, attraverso il controllo della compatibilità degli spostamenti e/o delle resistenze richieste alla struttura.

Per l’applicazione del metodo di analisi si ipotizza, in genere: • resistenza a trazione della muratura nulla; • assenza di scorrimento tra i blocchi; • resistenza a compressione della muratura infinita.

Per una simulazione più realistica del comportamento è possibile consi-derare, anche in forma approssimata: • gli scorrimenti tra i blocchi, considerando la presenza dell’attrito; • le connessioni, anche di resistenza limitata, tra le pareti murarie; • la presenza di catene metalliche (che esercitano un’azione fortemente

stabilizzante); • la limitata resistenza a compressione della muratura, considerando le

cerniere adeguatamente arretrate rispetto allo spigolo della sezione; • la presenza di pareti a paramenti scollegati.

L’analisi cinematica può essere eseguita sia in campo lineare che non lineare. Nel primo caso ci si limita alla scelta dei meccanismi di collas-so ed alla valutazione delle azioni che li attivano, mentre nel secondo caso si va oltre, calcolando anche l’evoluzione del meccanismo, ossia la progressione della forza orizzontale che la parte di struttura in esame è in grado di sopportare al variare dello spostamento.

4.6.1 Analisi cinematica lineare

Per ottenere il moltiplicatore orizzontale αo dei carichi che porta alla at-tivazione del meccanismo locale di danno, è necessario applicare ai blocchi rigidi che compongono la catena cinematica le seguenti forze: • i pesi propri dei blocchi, applicati nel loro baricentro; • i carichi verticali portati dagli stessi (pesi propri e sovraccarichi dei

solai e della copertura, ecc);

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Edilizia 2007 - Edifici in Muratura

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• un sistema di forze orizzontali proporzionali ai carichi verticali porta-ti, se queste non sono efficacemente trasmesse;

• eventuali forze esterne (ad esempio quelle dovute alla presenza di catene);

• eventuali forze interne (ad esempio le azioni dovute all’attrito ed all’ingranamento tra i conci murari).

Assegnata una rotazione virtuale θk al generico blocco k, è possibile de-terminare gli spostamenti delle diverse forze nella rispettiva direzione.

Il moltiplicatore αo si ottiene dall’applicazione del Principio dei Lavori Virtuali, uguagliando il lavoro totale eseguito dalle forze esterne ed in-terne applicate al sistema in corrispondenza dell’atto di moto virtuale:

fiho

hhiy

n

iijx

mn

njjix

n

iio LFPPP =−−

+ ∑∑∑∑

==

+

+==δδδδα

1,

1,

1,

1

dove: n: numero di tutte le forze peso applicate ai diversi blocchi della catena

cinematica; m: numero di forze peso non direttamente gravanti sui blocchi le cui

masse, per effetto dell’azione sismica, generano forze orizzontali su-gli elementi della catena cinematica, in quanto non efficacemente trasmesse ad altre parti dell’edificio;

o: numero di forze esterne, non associate a masse, applicate ai diversi blocchi;

Pi: generica forza peso applicata (peso proprio del blocco, applicato nel suo baricentro, o un altro peso portato);

Pj: generica forza peso, non direttamente applicata sui blocchi, la cui massa, per effetto dell’azione sismica, genera una forza orizzontale sugli elementi della catena cinematica, in quanto non efficacemente trasmessa ad altre parti dell’edificio;

δx,i: spostamento virtuale orizzontale del punto di applicazione dell’i-esimo peso Pi, assumendo come verso positivo quello associato alla di-rezione secondo cui agisce l’azione sismica che attiva il meccanismo;

δx,j: spostamento virtuale orizzontale del punto di applicazione dell’j-esimo peso Pj, assumendo come verso positivo quello associato alla di-rezione secondo cui agisce l’azione sismica che attiva il meccanismo;

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Capitolo 4 - Le verifiche locali

91

δy,i: spostamento virtuale verticale del punto di applicazione dell’i-esimo peso Pi, assunto positivo se verso l’alto;

Fh: generica forza esterna (in valore assoluto), applicata ad un blocco; δh: spostamento virtuale del punto dove è applicata la h-esima forza esterna,

nella direzione della stessa, di segno positivo se con verso discorde; Lfi: lavoro di eventuali forze interne.

Ad esempio, nel caso elementare di un blocco murario di altezza h e spessore t sottoposto al solo peso proprio G, che possa ruotare intorno al polo P come in figura 4.7, lo spostamento orizzontale δx da considerare sarebbe quello del baricentro (evidenziato dalla crocetta prima e dopo la rotazione θk). La stessa rotazione θk provoca un innalzamento δy del bari-centro, per cui in questo semplice caso, applicando il P.L.V., si ha:

ht

h

t

GG

k

k

x

y

x

yo ===

⋅=

θ

θ

δδ

δδ

α

2

2

Pertanto, maggiore è lo spessore del muro e maggiore sarà il moltiplica-tore dei carichi orizzontali necessari per il suo ribaltamento.

fig. 4.7

Si fa notare che lo stesso risultato si sarebbe conseguito uguagliando di-rettamente il momento ribaltante con quello stabilizzante:

ht

hG

tGo =

⋅=

2

Il tutto è solo un po’ più complesso se si considera anche l’azione F di un solaio che poggiasse (a puro titolo di esempio) sul bordo interno, come indicato dalla freccia in alto a destra della figura 4.7:

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Edilizia 2007 - Edifici in Muratura

92

hFhG

tFtGo

⋅+⋅

⋅+⋅=

2

Ottenuto il moltiplicatore αo che attiva il meccanismo, occorre ricercare lo spostamento dko di un punto di controllo (in genere il baricentro del blocco) oltre il quale il ribaltamento del muro diventa irreversibile (collasso).

Se le forze in gioco vengono mantenute costanti, il legame tra il moltipli-catore orizzontale dei carichi e lo spostamento sarà di tipo lineare, per cui il diagramma dk-α è rappresentato da una retta, la cui equazione è:

−=

ko

ko d

d1αα .

Noto l’andamento del moltiplicatore orizzontale α dei carichi, in fun-zione dello spostamento dk del punto di controllo della struttura, deve essere definita la curva di capacità dell’oscillatore equivalente, come re-lazione tra l’accelerazione a* e lo spostamento d*.

La massa partecipante al cinematismo M* può essere valutata conside-rando gli spostamenti virtuali dei punti di applicazione dei diversi pesi, associati al cinematismo, come una forma modale di vibrazione:

2,

1

2

,1*

ixmn

ii

ixmn

ii

Pg

PM

δ

δ

+

=

+

=

=

dove: g = accelerazione di gravità; n+m = numero delle forze peso Pi applicate le cui masse, per effetto

dell’azione sismica, generano forze orizzontali sugli elementi della catena cinematica;

δx,i = spostamento virtuale orizzontale del punto di applicazione dell’i-esimo peso Pi.

L’accelerazione sismica spettrale a* si ottiene moltiplicando per l’accelerazione di gravità il moltiplicatore αo e dividendolo per la fra-zione di massa partecipante al cinematismo.

L’accelerazione spettrale di attivazione del meccanismo vale quindi:

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Capitolo 4 - Le verifiche locali

93

**1*

eg

M

Pa o

mn

iio

α==

∑+

=

dove ∑+

==

mn

iiPgMe

1

** / è la frazione di massa partecipante della struttura.

Lo spostamento spettrale d* dell’oscillatore equivalente può essere otte-nuto come spostamento medio dei diversi punti nei quali sono applicati i pesi Pi, pesato sugli stessi. In via approssimata, noto lo spostamento del punto di controllo dk è possibile definire lo spostamento spettrale equivalente con riferimento agli spostamenti virtuali valutati sulla con-figurazione iniziale:

+

=

+

=⋅= mn

iikx

ixmn

ii

kP

Pdd

1,

,1*

δ

δ

dove n, m, Pi, δx,i sono definiti come sopra e δx,k è lo spostamento vir-tuale orizzontale del punto k, assunto come riferimento per la determi-nazione dello spostamento dk.

Nel caso in cui la curva presenti un andamento lineare, fatto che, riba-diamo, si verifica quando le diverse azioni vengono mantenute costanti, la curva di capacità assume la seguente espressione:

−= *

*** 1

oo

ddaa

dove *od è lo spostamento spettrale equivalente corrispondente allo

spostamento dko. In figura 4.8 si osserva una curva ad andamento linea-re, ed un’altra tratteggiata in cui l’andamento non è lineare a causa di azioni che per un certo spostamento vengono meno.

La resistenza e la capacità di spostamento relative agli stati limite di danno e ultimo verranno valutate sulla curva di capacità, in corrispon-denza dei punti seguenti:

• Stato Limite di Danno: dall’accelerazione spettrale *oa , corrisponden-

te all’attivazione del meccanismo di danno;

• Stato Limite Ultimo: dallo spostamento spettrale *ud , corrispondente

al minore fra gli spostamenti così definiti: a) il 40% dello spostamen-

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to per cui si annulla il moltiplicatore α, valutato su una curva in cui vanno considerate solamente le azioni di cui è certa la presenza fino al collasso; b) lo spostamento corrispondente a situazioni localmente incompatibili con la stabilità degli elementi della costruzione (ad e-sempio putrelle che si sfilano dalla loro sede, catene che si snervano), nei casi in cui questo sia valutabile.

fig. 4.8

4.6.2 Verifiche di sicurezza allo SLD ed allo SLU in analisi lineare A questo punto è possibile effettuare le verifiche, sia allo stato limite di danno (SLD) che ultimo (SLU) in analisi lineare.

La verifica di sicurezza nei confronti dello SLD è soddisfatta se l’acce-lerazione spettrale d’attivazione del meccanismo è superiore all’accele-razione dello spettro elastico definito al punto 3.2.6 dell’O.P.C.M. 3431, valutata per T=0, opportunamente amplificato per considerare la quota della porzione di edificio interessata dal cinematismo:

+≥

HZSa

a go 5.11

5.2*

dove: ag, S sono definiti ai punti 3.2.1 e 3.2.3 dell’O.P.C.M. 3431 (Spettro

di risposta elastico); Z è l’altezza, rispetto alla fondazione dell’edificio, del baricentro delle

forze peso le cui masse, per effetto dell’azione sismica, generano for-ze orizzontali sugli elementi della catena cinematica del meccanismo, in quanto non efficacemente trasmesse ad altre parti dell’edificio;

H è l’altezza della struttura rispetto alla fondazione.

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Capitolo 4 - Le verifiche locali

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La verifica di sicurezza nei confronti dello SLU è soddisfatta se l’accelerazione spettrale *

oa che attiva il meccanismo soddisfa la se-guente disuguaglianza:

+≥

HZ

qSa

a go 5.11*

dove ag, S, Z e H sono definiti come sopra e q è il fattore di struttura.

Quest’ultima verifica è la cosiddetta “verifica semplificata”, che impie-ga il fattore di struttura q.

4.6.3 Verifica di sicurezza allo SLU in analisi non lineare

In alternativa al metodo precedente, la verifica allo SLU può essere ef-fettuata in analisi non lineare, mediante lo spettro di capacità.

In tal caso, la verifica di sicurezza consisterà nel confronto tra la capaci-tà di spostamento ultimo *

ud del meccanismo locale e la domanda di spostamento ∆d, valutata attraverso uno spettro simile a quello impiega-to al p. 4.9 per la valutazione della forza agente su elementi non struttu-rali, in corrispondenza del periodo secante Ts. Il calcolo procede per i seguenti passi:

1. si definisce lo “spostamento secante” ** 4.0 us dd ⋅= ; 2. si individua sulla curva di capacità l’accelerazione *

sa corrisponden-te allo spostamento *

sd ;

3. si calcola il periodo secante come: *

*2

s

ss

adT π= ;

4. si calcola la capacità di spostamento ∆d, che a seconda del valore di Ts vale (p. 11.C.9):

15.1 TTs ⋅< ( ) ( )( )

−++⋅

=∆ 5.01113

4 21

2

2

TTHZTSaT

s

sgsd π

Ds TTT <≤⋅ 15.1 ( )

+

⋅⋅=∆

HZTTSaT s

gsd 4.29.14

5.12

Ds TT ≥ ( )

+

⋅⋅=∆

HZTTSaT D

gsd 4.29.14

5.12

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Edilizia 2007 - Edifici in Muratura

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in cui: ag, S e TD sono definiti ai punti 3.2.1 e 3.2.3 dell’O.P.C.M. 3431

(Spettro di risposta elastico); T1 è il primo periodo di vibrazione della struttura nella direzione

considerata; Z ed H sono definite come per lo SLD.

La verifica è soddisfatta se lo spostamento ultimo rispetta la condizione: *ud d≤∆ .

4.6.4 Conclusioni In definitiva, per ogni facciata dell’edificio, dove lo si ritenesse neces-sario, dovranno essere effettuate le verifiche locali con la metodologia sopra esposta ipotizzando i possibili meccanismi.

Per una corretta definizione della catena cinematica occorre fare le se-guenti considerazioni.

Nel caso che le murature della facciata siano bene ammorsate con i mu-ri trasversali, è possibile la formazione di porzioni di muratura che ri-baltano insieme ad essa (cunei di distacco). Il peso proprio di tali cunei (vedi figura 4.9) è evidentemente stabilizzante, così come l’eventuale carico agente su essi dovuto a solai, ecc.

fig. 4.9

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Capitolo 4 - Le verifiche locali

97

Nel caso la facciata non risulti verificata, occorrerà inserire ai vari livel-li delle catene, per cui il calcolo va rifatto tenendo conto di tali forze.

L’azione della catena da considerare è pari ad Af×fyd, ossia all’area della sezione moltiplicata per la tensione di progetto dell’acciaio. Ciò comporta che le piastre capochiave siano sufficientemente dimensionate, altrimenti il limite è rappresentato dalla resistenza che queste possono offrire.

Per questo motivo è norma posizionare le catene in prossimità di muri ad esse paralleli, in modo da lavorare a contrasto e quindi assicurarsi la collaborazione di questi, scongiurando nel contempo la possibilità di rottura per punzonamento della parete. La loro dimensione deve essere inoltre tale da evitare schiacciamenti localizzati della muratura. Poiché i valori che così si ottengono sono molto alti, anche con tondini di mode-sto diametro (comunque ≥φ 16 mm per evitare allungamenti eccessivi), spesso sono necessarie piastre di elevate dimensioni. Si può calcolare, invece, il tiro da affidare alla catena in corrispondenza di un coefficien-te moltiplicativo dei carichi orizzontali α pari 1 e dimensionare le pia-stre in base a quest’ultimo valore.

Se sono state inserite catene ad un certo livello, oppu-re si è certi del buon ammorsamento dei solai, occorre verificare che le pareti siano verificate anche allo “sganciamento” (verifica a rottura interna), meccani-smo che si verifica con la formazione di due cerniere in corrispondenza del vincolo e con la formazione di una cerniera ad un’altezza intermedia, secondo lo schema indicato anche nel Commentario ‘96. Tale ve-rifica deve essere effettuata tra ogni coppia di vincoli efficaci, come indicato nella figura 4.10.

In casi semplici esistono formule per calcolare diret-tamente la quota della sezione in cui presumibilmen-te si formerà la cerniera cilindrica. In casi più com-plessi occorre reiterare il calcolo più volte in corri-spondenza di varie sezioni e scegliere quella in cui il valore di α è minimo.

fig. 4.10

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Edilizia 2007 - Edifici in Muratura

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Deve essere, inoltre, verificato il meccanismo che si oppone al tiro della catena che collabora con il muro. Tale meccanismo può essere schema-tizzato come indicato in figura 4.11, in cui si ipotizza la formazione di una fessura diagonale, per cui i blocchi soggetti a cinematismo sono triangolari e possono ruotare intorno al vertice in basso.

Per ogni blocco sono state evidenziate solo alcune delle forze possibili che agiscono su di esso quali il peso proprio del blocco, la forza sismica orizzontale agente nel baricentro, l’aliquota del tiro della catena, il peso della struttura sovrastante.

fig. 4.11

Inoltre, può essere talora importante verificare che piccole porzioni della facciata stessa non subiscano collassi, come ad esempio (vedi figura 4.12) il maschio murario compreso tra due aperture consecutive che potrebbe essere vulnerabile a ribaltamento, non avendo adeguati collegamenti tra-sversali. In questo caso ed in casi analoghi, è bene effettuare una verifica al ribaltamento parziale, ristretta cioè solo a quella porzione di muratura. Ancora più importanza assume tale verifica se si è in presenza di un tetto spingente e si teme che il cordolo di sommità sia inefficace.

fig. 4.12

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Capitolo 4 - Le verifiche locali

99

Per la corretta applicazione di questa semplice metodologia di calcolo (almeno, nelle sue linee generali), sono opportune alcune considerazio-ni finali.

È di fondamentale importanza un’adeguata schematizzazione del pro-blema, tenendo conto degli elementi sempre presenti anche in edifici semplici, quali variazioni di spessore, aperture, aggetti, altrimenti si ri-schia di falsare il calcolo. Va tenuto conto, per quanto possibile, di a-spetti quali la resistenza del materiale, attriti, possibilità di scorrimento e presenza di catene.

Da quanto esposto si deduce come i meccanismi che possano formarsi siano innumerevoli, per cui l’intuito del tecnico resta di fondamentale importanza. A puro titolo di esempio, si menziona qualche altro meccanismo di collasso:

• distacco di angoli di muratura all’ultimo piano, per la spinta di punto-ni spingenti di colmo in posizione diagonale;

• spanciamento a “V”, con formazione di una cerniera cilindrica verti-cale al centro della V stessa, per inefficacia e/o inesistenza del cordo-lo di coronamento e/o per la presenza di strutture spingenti;

• ribaltamento di corpi di fabbrica aggiunti (ampliamenti e simili) per cattivo ammorsamento con la muratura preesistente;

• espulsione dell’estremità superiore di un timpano a causa della pre-senza di una grossa trave di colmo poggiante su di esso;

• meccanismi generati dalla differenza di altezza fra porzioni di fabbri-ca, ad esempio con fabbricati contigui;

• meccanismi dovuti a cattivo collegamento fra i due paramenti di mu-ratura a sacco.

4.7 Fondazioni Occorre evidenziare che non esistono particolari prescrizioni normative in merito alle fondazioni. È fortemente consigliato da vari autori un buon collegamento con cordoli tale da evitare spostamenti relativi fra i vari e-lementi resistenti. La fondazione può essere pensata come composta da vari plinti isolati sottoposti a sforzo normale centrato, eventualmente in-

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Edilizia 2007 - Edifici in Muratura

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crementato per effetto dei momenti ribaltanti (da vento/sisma) cui l’edificio è sottoposto. Se si vuole, si può considerare il momento tra-smesso dalla muratura in elevazione per effetto del vento/sisma. Se però si pensa all’edificio come un unico blocco rigido, tale ipotesi viene meno per cui il momento può essere trascurato. Se, invece, questo momento non lo si vuole trascurare, occorre includerlo nella verifica, anche se tale tipo di verifica non ha un buon riscontro dal punto di vista geotecnico, dovendosi preferire una verifica a carico limite (tipo Terzaghi).

Per quanto attiene il calcolo del carico limite, ci si può riferire all’EC7, come indicato dal p. 3.4.7, laddove, in sintesi, ci si riferisce a tre situa-zioni progettuali A, B e C per le quali sono definiti i coefficienti di ri-duzione dei parametri geotecnici (angolo di attrito, coesione, ecc.) con i quali calcolare per l’appunto il carico limite che va considerato tal quale per la verifica, cioè senza ulteriori riduzioni.

Il p. 8.1.8 dell’O.P.C.M. 3431 impone che le fondazioni siano in c.a. e siano prive di interruzioni. Se il piano interrato o cantinato di un edifi-cio è costituito da pareti in c.a. esso può essere pensato come struttura di fondazione, nel rispetto dei requisiti di continuità delle fondazioni, e non va computato nel conteggio del numero di piani.

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Indice

Premessa.......................................................................................... pag. 3

1 Il Quadro Normativo...........................................................................” 5

1.1 L. 2 febbraio 1974, n. 64 - Provvedimenti per le costruzioni con particolari prescrizioni per le zone sismiche .......................................” 5

1.2 L. 14 maggio 1981 n.219 ed Istruzioni Circ. 30/7/81 - Interventi in favore delle popolazioni colpite dagli eventi sismici del novembre 1980 e del febbraio 1981 ....................................................” 7

1.3 D.M. LL.PP. 20 novembre 1987 - Norme tecniche per la progettazione, esecuzione e collaudo degli edifici in muratura e per il loro consolidamento..................................................................” 9

1.4 D.M. 16 gennaio 1996 - Norme tecniche per le costruzioni in zone sismiche .......................................................................................” 10

1.5 Circ. Min. LL.PP. 10 aprile 1997 n.65 - Istruzioni per l’applicazione delle norme tecniche per le costruzioni in zone sismiche di cui al D.M. 16 gennaio 1996 ............................................” 12

1.6 L. 30 marzo 1998, n. 61 - Conversione in legge, con modificazioni, del D.L. 30 gennaio 1998, n. 6, recante ulteriori interventi urgenti in favore delle zone terremotate delle regioni Marche e Umbria e di altre zone colpite da eventi calamitosi ................................................” 14

1.7 Ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri 20/3/2003 n. 3274 - Primi elementi in materia di classificazione sismica del territorio nazionale e di normative tecniche per le costruzioni in zona sismica ..................................................................” 16

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1.8 Norme tecniche per le costruzioni - “Testo Unico” D.M. 14 settembre 2005 - Supplemento Ordinario n.159 .............................. pag. 19

1.9 I terreni e le opere di fondazione......................................................... ” 22

1.10 Le Normative vigenti ad oggi .............................................................. ” 24

2 Il Materiale “Muratura” ...................................................................... ” 25

2.1 Caratteristiche generali ........................................................................ ” 25

2.2 I Fattori che influenzano le caratteristiche meccaniche ...................... ” 27

2.3 Le caratteristiche meccaniche delle murature nuove .......................... ” 28

2.4 Le caratteristiche meccaniche delle murature esistenti....................... ” 29

2.5 Il comportamento del materiale muratura ........................................... ” 30

2.6 Tensioni di progetto ............................................................................. ” 33 Resistenza di calcolo a compressione fd.............................................. ” 33

Resistenza di calcolo a taglio fvd .......................................................... ” 34

3 Il Modello Strutturale e i Metodi di Calcolo .................................... ” 35

3.1 La concezione strutturale dell’edificio ................................................ ” 35

3.2 Elementi strutturali e loro modellazione ............................................. ” 37

3.3 Le azioni sugli edifici .......................................................................... ” 43

3.4 La verifica sismica globale degli edifici in muratura.......................... ” 48

3.5 Il metodo VeT - Verifica a Taglio semplificata .................................. ” 49

3.6 Il metodo POR ..................................................................................... ” 50

3.7 Il metodo PORFLEX ........................................................................... ” 54

3.8 L’analisi modale .................................................................................. ” 56

3.9 L’analisi statica non lineare ................................................................. ” 57

3.9.1 Gli aspetti normativi ............................................................................ ” 58

3.9.2 Il modello strutturale e l’applicabilità dell’Analisi Statica non Lineare ................................................................................................. ” 59

3.9.3 La costruzione delle distribuzioni di forza da considerare ................. ” 61

3.9.4 Costruzione della curva di capacità..................................................... ” 62

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Indice

3.9.5 Costruzione del sistema equivalente ad un grado di libertà ............. pag. 64

3.9.6 Risposta massima in spostamento del sistema equivalente.................” 67

3.9.7 Edifici in muratura nuovi .....................................................................” 68

4 Le verifiche locali ...............................................................................” 71

4.1 Le verifiche locali secondo il DM ‘87.................................................” 72

Verifica dei muri soggetti ai carichi verticali ......................................” 73

Verifica a pressoflessione (nel piano della parete)..............................” 74

Verifica a taglio (nel piano della parete) .............................................” 76

4.2 Le verifiche locali alle azioni ortogonali al piano principale..............” 76

4.3 Le verifiche locali alle azioni complanari ...........................................” 81

4.3.1 Rottura per taglio-scorrimento.............................................................” 81

4.3.2 Rottura per fessurazione diagonale......................................................” 82

4.3.3 Rottura per flessione-ribaltamento.......................................................” 82

4.3.4 Verifiche secondo l’O.P.C.M. 3431 ....................................................” 83

4.4 Le verifiche locali secondo le prescrizioni del T.U. ...........................” 83

4.4.1 Resistenza della muratura ....................................................................” 84

4.4.2 Le combinazioni di carico....................................................................” 85

4.4.3 Valutazione della snellezza e delle eccentricità di calcolo..................” 85

4.4.4 Le verifiche ..........................................................................................” 86

4.5 Le indicazioni contenute nell’EC6 ......................................................” 86

4.6 Analisi dei meccanismi locali di collasso - All. 11.C O.P.C.M. 3431...” 87

4.6.1 Analisi cinematica lineare....................................................................” 89

4.6.2 Verifiche di sicurezza allo SLD ed allo SLU in analisi lineare ..........” 94

4.6.3 Verifica di sicurezza allo SLU in analisi non lineare ..........................” 95

4.6.4 Conclusioni...........................................................................................” 96

4.7 Fondazioni ............................................................................................” 99

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E. 1 R. 1 - 04/10/2006