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ECONOMIA PUBBLICA E PIANO PER IL LAVORO: TEORIE A CONFRONTO Valeria Talevi 1

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ECONOMIA PUBBLICA E PIANO PER IL LAVORO: TEORIE A CONFRONTO

Valeria Talevi

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Sommario PREMESSA ..........................................................................................................................................................4

1. INTRODUZIONE...........................................................................................................................................6

2. TEORIE A CONFRONTO ...............................................................................................................................7

2.1 LE DETERMINANTI ..............................................................................................................................7

2.2 SPESA PUBBLICA E CRESCITA ECONOMICA ........................................................................................8

2.3 UNA CLASSIFICAZIONE DELLE TEORIE ................................................................................................8

2.4 MODELLI SOCIETARI ...........................................................................................................................9

2.4.1 WAGNER .....................................................................................................................................9

2.4.2 NITTI..........................................................................................................................................10

2.4.3 MUSGRAVE ...............................................................................................................................10

2.4.4 ROSTOW ...................................................................................................................................12

2.5 IL PASSAGGIO DAI MODELLI SOCIETARI A QUELLI POLICI: PEACOCK E WISEMAN...........................13

2.6 MODELLI POLITICI LIBERAL-DEMOCRATICI.......................................................................................17

2.6.1 TOCQUEVILLE............................................................................................................................17

2.6.2 MELTZER E RICHARD.................................................................................................................17

2.6.3 PELTZMAN ................................................................................................................................19

2.7 SCHUMPETER....................................................................................................................................21

2.8 MODELLO MARXISTA........................................................................................................................21

2.8.1 O'CONNOR................................................................................................................................21

3 LA STRUTTURA DELLA SPESA PUBBLICA: SOGGETTI E STRUTTURA CONTABILE ......................................23

3.1 SOGGETTI..........................................................................................................................................23

3.2 STRUTTURA CONTABILE .........................................................................................................................24

3.3 LA CLASSIFICAZIONE ECONOMICA...................................................................................................25

3.3.1 LA SPESA IN CONTO CORRENTE ...............................................................................................25

3.3.2 LA SPESA IN CONTO CAPITALE..................................................................................................26

3.3.3. LA CLASSIFICAZIONE FUNZIONALE ...........................................................................................27

4 SIMULAZIONI DI IMPATTO DI POLITICHE FISCALI ALTERNATIVE..............................................................27

4.1 SIMULAZIONE SULLA BASE DEL MODELLO MACROECONOMICO DEL CER PER L’ITALIA .................27

4.2 UN'ANALISI DEGLI EFFETTI SULLA CRESCITA DELLA SPESA PUBBLICA CLASSIFICATA IN BASE ALLE FUNZIONI ......................................................................................................................................................35

4.2.1. L'ANALISI DEI DATI DI BASE ............................................................................................................36

4.2.2.2. LA SPESA PER FUNZIONI ..............................................................................................................37

4.3. I RISULTATI DELL'ANALISI EMPIRICA......................................................................................................41

4.3.1. L'IMPATTO DELLE FUNZIONI DI SPESA SULLA CRESCITA REALE .....................................................41

4.3.2. LA RELAZIONE TRA CRESCITA., OCCUPAZIONE E FUNZIONI DI SPESA............................................42

5 CONCLUSIONI ...........................................................................................................................................45

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PREMESSA

Sulle dinamiche della spesa pubblica e sulla relazione tra tali dinamiche e la crescita economica, cosi come sul rapporto Stato-mercato, il dibattito è rimasto acceso da almeno due secoli, seguendo la storia del pensiero economico e il confronto sull’intervento pubblico in economia. Questo lavoro intende analizzare le teorie della spesa pubblica, la sua struttura e infine verificarne la sua efficacia sulla crescita attraverso simulazioni macroeconomiche di iniezione di spesa . Abbiamo studiato il punto di vista del CER che ha adottato un approccio in due tappe:

1) sono state simulate le elasticità macroeconomiche associabili al Piano del Lavoro nel breve periodo, attraverso i moltiplicatori della domanda aggregata del modello econometrico del CER. Queste simulazioni hanno dato una prima informazione relativa agli effetti sulle dinamiche del ciclo economico. rispetto a uno scenario di riferimento in cui siano assenti gli impulsi di policy. Contestualmente allo svolgimento di queste prime simulazioni, sono state modellate, attraverso apposite stime in linea con la letteratura esistente in materia, le relazioni fra spesa pubblica ,qualificata» e produttività e valutato l'effetto teorico del Piano del Lavoro sul sentiero di sviluppo dell'economia italiana.

La crisi che stiamo attraversando nei fatti ripropone molte questioni che nella discussione politica e, perfino, accademica sono state messe troppo spesso in secondo piano. Per citarne alcune: sostenibilità del modello di sviluppo e instabilità del capitalismo, nesso fra equità e crescita economica, legame fra democrazia e sviluppo. Tutti argomenti che riportano spesso alla dialettica o, addirittura, alla dicotomia fra politica ed economia. Non a caso dalla nascita dell' economia politica e della politica economica in senso moderno gli storici del pensiero economico valutano in modi diversi il succedersi delle singole scuole di pensiero, privilegiando un punto di vista .competitivo, secondo il quale l'esistenza stessa di diverse scuole mostra i possibili approcci diversi allo studio e al governo dei fenomeni economici, rispetto al punto di vista .cumulativo, secondo il quale si è avuto e continua un progressivo avvicinamento alle verità economiche (Roncaglia, 2006). Il punto, dunque, e quanto l'economia deve essere governata dalla politica, dalle istituzioni, dallo Stato.

Un'economia incontrollata e, a oggi, difficilmente controllabile, frutto di un'impostazione ultraliberista che si affida al mercato e non prevede crisi e che finora ha eluso i meccanismi democratici subissando le politiche economiche e redistributive dei governi nazionali, non e in grado di garantire da sola la stabilizzazione dei cicli economici, la corretta allocazione e l'equa distribuzione delle risorse (Musgrave, 1959), attraverso cui consentire la piena occupazione e l'incremento del reddito nazionale (Keynes, 1936). In altre parole, in questa crisi insorge l'esigenza di una nuova economia pubblica e, più in generale, di nuovi lineamenti di politica economica riaccendendo il lungo dibattito sul ruolo economico dello Stato e sull'intervento pubblico in economia.

Su questa convinzione la CGIL propone un nuovo Piano del Lavoro: un progetto di medio e lungo termine i cui obiettivi sono lo sviluppo e la piena occupazione, in Italia e in Europa. II Piano deI Lavoro, infatti, oltre a essere al centro di una grande battaglia culturale, vuole essere un grande progetto politico che recuperi senso del pensiero economico e della stessa economia pubblica. L’analisi da cui parte la CGIL si fonda sulla consapevolezza che la grande crisi, che insiste ormai da cinque anni, non sta esaurendo la sua spinta recessiva e depressive, in Italia come in Europa. L'architettura e la governance economica dell'Area euro

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attualmente non sono in grado di arginare la crisi, ne tanto meno di risolvere gli squilibri strutturali alla radice della debolezza dell'economia e della costituzione materiale europea. In tale contesto, emerge tutta l'inefficacia delle politiche di euro-austerità. L'Europa, infatti, a oggi resta divisa tra paesi in stagnazione e paesi in recessione (vedi ultime previsioni economiche del FMI, GCSE e Commissione Europea).

E in questo scenario che l'Italia sta vivendo una crisi nella crisi. Le misure economiche in nome dell’ austerità hanno provocato solo l'allontanamento della ripresa, forti iniquità e dissesto sociale, senza risolvere i problemi strutturali all'origine del declino dell'economia italiana — anche a detta di tutti i maggiori istituti nazionali e internazionali — generando una spirale recessiva talmente forte da far registrare in Italia la maggiore intensità della crisi in Europa in termini di flessione del PIL e dell'occupazione, senza peraltro condurre al risanamento delle finanze pubbliche. In effetti, in Italia si é verificato ciò che l'evidenza empirica e la teoria economica (purtroppo non dominanti) avevano già rilevato e rivelato , ovvero che l'austerità nella crisi fosse distruttiva, non espansiva, nonostante gli annunci del governo. La “fiducia”- inseguita dalle politiche di contenimento della spesa pubblica e di aumento generalizzato delle tasse non si e dimostrata l'elemento di ripresa auspicato e, anti, consumi e investimenti si sono ridotti ben oltre le stesse aspettative del governo e dei mercati (Corte dei Conti, 2012).

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1. INTRODUZIONE

IL SIGNIFICATO DELLA SPESA PUBBLICA

Per spesa pubblica si intende l'impiego da parte dello stato, secondo finalità diverse da quelle di mercato, di risorse economiche per la produzione di servizi pubblici e, più in generale, per la realizzazione di obiettivi di intervento nella attività economica privata.

Il soggetto erogatore, lo Stato, è in concreto costituito da una molteplicità di operatori, solitamente raggruppati in tre grandi insiemi: le amministrazioni centrali, di cui fa parte l'operatore più importante, il governo centrale, insieme ad altri enti (per es. CNR); i livelli inferiori di governo, costituiti principalmente da regioni, province, comuni; gli enti previdenziali, ai quali fa capo l'erogatore della quasi totalità delle prestazioni monetarie di sicurezza sociale. In una visione allargata dell'attività finanziaria pubblica vengono incluse anche le spese effettuate da aziende pubbliche .

Le spese pubbliche, sotto un profilo prevalentemente contabile, possono essere classificate secondo la natura economica o secondo la destinazione funzionale. Seguendo il primo criterio, la spesa si distingue in spesa corrente, e spesa in conto capitale destinata ad allargare la capacità produttiva del settore pubblico. Nell’ambito della spesa corrente, che è la parte più ampia della spesa complessiva, si trovano spese per consumi collettivi (retribuzioni erogate per servizi forniti dai pubblici dipendenti e acquisti di beni e servizi), spese per trasferimenti alle famiglie (come: pensioni, assegni familiari, ecc.) e alle imprese (come: contributi alla produzione, concorso dello Stato negli interessi per crediti agevolati) e spese per interessi passivi, a favore dei sottoscrittori dei titoli di Stato.

Nella spesa in conto capitale si distinguono le spese relative a opere pubbliche, realizzate direttamente dallo Stato e i trasferimenti ad altri soggetti, solitamente imprese, erogati perché destinati a investimento.

Seguendo il secondo criterio, la spesa pubblica viene, nei documenti contabili, articolata per funzioni dello Stato; amministrazione generale, difesa, pubblica sicurezza, interventi in campo sociale, ecc.

Nella teoria finanziaria, l'attività pubblica e invece solitamente studiata sotto tre diversi profili, quasi sempre presenti in ogni concreta attività di spesa: il profilo allocativo, redistributivo, e di stabilizzazione.

Nell'ambito della teoria dell'economia del benessere l'intervento pubblico può trovare spiegazione nei casi in cui si verifica il fallimento del mercato. Questa teoria parte dal concetto di benessere economico, definito in termini di scelta individuale, con essa si cerca di specificare le attività di spesa e di tassazione del governo che condurrebbero alle condizioni ideali di tale benessere. Ciò conduce, a sistemi di finanza pubblica in cui il governo provvede solo ai servizi che gli individui pagherebbero direttamente, se questo fosse possibile, e impone solo delle tasse che gli individui pagherebbero per ricambiare i servizi ricevuti. In alternativa, il governo è visto da questa teoria come un soggetto unico, con gusti e preferenze come gli altri soggetti. Le entrate e le spese possono essere esaminate come quelle degli altri individui e la forma e il carattere del settore pubblico possono essere studiate dall'applicazione del criterio marginale simile a quelli impiegati generalmente, nello studio dei consumi

Il caso più significativo che ci interessa parlando di fallimento di mercato, è l'esistenza di un bene pubblico (si pensi alla difesa) che ha la caratteristica di poter essere usato, senza possibilità di

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esclusione, da tutti i soggetti di una collettività e per la quale il prezzo di mercato non può costituire uno strumento di allocazione tra gli individui. E' tuttavia largamente riconosciuto che l'esistenza della spesa pubblica, che si estende invece anche a settori in cui il mercato non necessariamente sarebbe destinato al fallimento (si pensi all'istruzione e alla sanità) per ragioni che in ultima istanza sono di natura politica.

L'aspetto redistributivo della spesa pubblica è legato fondamentalmente alla crescita dei sistemi di sicurezza sociale che svolgono, insieme all'attività di prelievo, un ruolo importante di redistribuzione tra classi di reddito; non si è riusciti a verificare con certezza se i sistemi di sicurezza sociale svolgono una redistribuzione significativa a favore delle classi di reddito più basse.

La funzione di stabilizzazione dell'economia ha assunto un ruolo fondamentale con l'affermazione del pensiero keynesiano. L'uso della spesa con finalità anticicliche fa ormai parte dei tradizionali obiettivi di attività del governo centrale. Nell'ottica keynesiana le variazioni della spesa pubblica influiscono, anche se in misura differenziata, sulla domanda aggregata e mettono in moto il meccanismo del moltiplicatore dell'attività economica. L'efficacia di questa funzione stata tuttavia criticata dal pensiero monetarista, che attribuisce scarsa probabilità di successo all'azione dei governi, viene invece sottolineato il rischio di interventi parziali e mal dosati, cause di fluttuazioni ancora più intense di quello che potrebbero derivare da comportamenti dello autorità di politica economica ispirati a regole costanti e preannunciate. Si sottolinea inoltre, che nel medio e lungo periodo la spesa pubblica non sia in grado di fornire uno stimolo reale alla domanda in quanto essa stessa promuoverebbe effetti di spiazzamento della spesa privata.

Il nostro lavoro tenterà di analizzare alcuni dei fenomeni che caratterizzano la spesa pubblica. e come questa possa, in un periodo di crisi eccezionale e profonda, cambiare i paradigmi stessi dell’attuale modello di sviluppo, con riflessi ancora più pesanti in un paese come l’Italia ,caratterizzato da specifici e gravi problemi nella struttura economica e sociale

Il primo capitolo riguarda le varie teorie che sono state formulate per interpretare la spesa e la sua crescita.. Il secondo ne esamina la struttura. Il terzo si propone una simulazione di impatto macroeconomico, con il merito in particolare , di evidenziare che esistono alternative efficaci e praticabili alle politiche imposte da un pensiero e da interessi oramai inadeguati ad affrontare la crisi , ma ancora prevalenti nel senso comune economico e politico.

2. TEORIE A CONFRONTO

2.1 LE DETERMINANTI

Si preferisce classificare i fattori principali in grado di influire sulla spesa pubblica in due fattori principali.

primo fattore è denominate struttura societaria ed è composto da variabili quali : il livello di sviluppo economico, il grado di industrializzazione, la struttura di classe, il grado di apertura di un paese agli scambi con l'estero, le :caratteristiche della base imponibile . I collegamenti :con la spesa, molto evidenti, possono operare in direzioni diverse. Ad esempio, l'industrializzazione richiede infrastrutture pubbliche di trasporto e di comunicazione e forza lavoro scolarizzata. Al tempo stesso aumentando i redditi individuali, lo sviluppo industriale aumenta la domanda di Beni pubblici. In definitiva sono comprese in questo fattore le caratteristiche che definiscono il grado di sviluppo economico e sociale di un Paese.

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Dalla struttura societaria si origina un fattore secondario: la domanda sociale. Esso è formato da variabili, quali la distribuzione personale dei redditi, la struttura per età della popolazione, il grado di istruzione e di conoscenza dei processi politici, il carico fiscale, quale percepito dai cittadini. Abbiamo dunque un insieme di, elementi specifici, da cui si origina la domanda di spesa che fanno gruppi e cittadini singoli.

Il secondo fattore primario, in grado di esercitare un'influenza rilevante sulla spesa, è costituito dal "contesto politico-istituzionale". E' determinato dall'estensione del diritto di voto, dalle regole costituzionali in materia di bilancio, dai rapporti fra legislativo e esecutivo, dalle forme di riconoscimento istituzionale dei gruppi di pressione.

II terzo fattore che discende dal precedente, è costituito dalle azioni e dai comportamenti degli organi politici, che hanno competenza diretta e istituzionale in materia di spesa (dai membri dello assemblee elettive ai pubblici funzionari incaricati dell'esecuzione delle decisioni di spesa).

Si aggiungano le azioni e i comportamenti degli organismi che hanno, fra i loro compiti, quello di esercitare un’azione informale, ma non per questo meno efficace, sovente, nelle decisioni di spesa ad esempio le varie lobbies economiche, o i vari organismi di rappresentanza sociale.

I rapporti di causazione di questi fattori sono chiari cosi come è chiaro che la spesa influisce su questi fattori. Ad esempio, la crescita della spesa pubblica è suscettibile di influire sullo sviluppo del reddito, positivamente, tramite i meccanismi keynesiani, ma anche negativamente per effetto della minore produttività, che normalmente caratterizza le produzioni pubbliche. Un settore pubblico importante influisce certamente sulla domanda sociale. L'aumento del livello di istruzione, ad esempio, rende più regolare il funzionamento del sistema democratico, aumentando la partecipazione, accrescendo la coscienza dei cittadini.

2.2 SPESA PUBBLICA E CRESCITA ECONOMICA

Lo sviluppo delle teorie keynesiane sulla stabilità economica, come abbiamo appena detto, hanno incoraggiato considerazioni sulla spesa di governo.

Il più recente e crescente interesse sui problemi di dinamica e crescita economica, è una caratteristica degli studi economici, sin dalla Seconda Guerra Mondiale, ciò ha suscitato ulteriore interesse nella spesa pubblica.

Per dare valore al nostro lavoro, è necessario che i modelli delle teorie di crescita incorporino alcuni assunti plausibili e reali come la relazione tra l'evoluzione della spesa e altri fattori importanti di interesse economico. Possiamo usare una teoria di crescita economica che incorpora alcune spiegazioni del ruolo del settore pubblico nella più generale spiegazione della crescita del processo economico.

2.3 UNA CLASSIFICAZIONE DELLE TEORIE

Come abbiamo appena detto, le varie teorie possono essere classificate sulla base dell'importanza che esse assegnano ai fattori elencati sopra e alle relazioni intercorrenti.

La prima classificazione è fra i modelli di tipo societario e quelli di tipo politico.

I primi fanno discernere l'evoluzione del spesa da quella della struttura della società nel suo complesso, in maniera piuttosto deterministica.

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La seconda grande categoria comprende i modelli "politici". La crescita del settore pubblico è spiegata con riferimento ai processi e ai meccanismi politico istituzionali, quali scontri fra classi, pressioni della burocrazia, competizioni tra partiti, ecc. All'interno di questa categoria, bisogna fare un'ulteriore distinzione in due filoni che hanno radici ideologiche contrapposte. Le prime è di orientamento liberal-democratico, con frequenti sottolineature anti-statalistiche, il secondo è dichiaratamente marxista.

2.4 MODELLI SOCIETARI

2.4.1 WAGNER

La teoria più famosa che tratta della crescita della spesa pubblica è legata al nome di A. Wagner, un modello che continua ha influenzare molti studiosi del settore pubblico.

L'analisi di Wagner parte dalla costatazione che le spese di governo crescono in maniera più che proporzionale alla produzione della comunità, e che lo sviluppo della spesa pubblica è determinato dal livello del reddito.

In un suo scritto leggiamo: "La legge di espansione crescente del settore pubblico il risultato di osservazioni empiriche su paesi in via di sviluppo, soprattutto nelle comunità dell'Europa Occidentale; la spiegazione di questa teoria e la rapidità dei cambiamenti e dei progressi sociali nell'economia. Il rigore finanziario può ostacolare l'espansione dell'attività statale, facendo si che le sue dimensioni siano condizionate dalle entrate ma nel lungo periodo il desiderio di sviluppo e quindi la domanda di servizi pubblici e consumi sociali soppianterà le difficolta finanziarie".

In altre parole, la legge di Wagner e una legge di espansione crescente delle attività statali, che sono la conseguenza del progresso sociale e solo a questa condizione l'aumento della spesa è inevitabile. Il nostro, prende in considerazione il comportamento di lungo periodo della spesa piuttosto che cambiamenti di breve periodo, affermando l'impossibilita di fissare a priori la misura della spesa pubblica.

La tesi di Wagner si fonda su un'analisi perspicace del ruolo del settore pubblico, in particolare sulle interrelazioni che esistono fra la crescita della attività private e quelle pubbliche. Con il procedere dello sviluppo, le relazioni di mercato diventano pia complesse e i rapporti fra gli operatori pia controversi, si richiede la predisposizione di un sistema di controllo più pesante. Il processo di industrializzazione crea, dal canto suo, esternalità negative che è chiamato a correggere e a compensare. Wagner fa riferimento, ad esempio, al processo di urbanizzazione, ai fenomeni di congestione e di deterioramento dell'ambiente. Per contro, la crescita dei servizi sociali secondo l'autore è da ascrivere al fatto che essi permettono la soddisfazione di bisogni superiori. Nella misura in cui l'elasticità di questi consumi rispetto al reddito è superiore all'unità non si può che prevedere un'espansione continua dei servizi sociali.

Per spiegare l'esistenza della legge, l’autore fa una distinzione fra tre tipi di attività statali.

1- Il rafforzamento e il mantenimento della legge e degli ordini;

2- La partecipazione nella produzione materiale;

3- La disposizione di servizi economica e sociali (come quello postale, bancario, ecc.)

Il primo gruppo prende origine dal bisogno di crescente partecipazione entro lo Stato dei cittadini, dalla centralizzazione dell'amministrazione dall'automazione della vita economica e sociale, dalla divisione del lavoro; tutto ciò moltiplica la complessità dei rapporti di forza generando frizioni, che finiranno per aumentare il carattere repressive e preventive del governo.

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Il secondo gruppo, la maggiore partecipazione dello Stato nella produzione materiale, si sviluppa perché i nuovi processi tecnologici (Wagner pensava alla macchina a vapore) fanno della azienda statale la sola alternativa necessaria e indispensabile per evitare che le società per azioni possano non essere in grado di sostenere grandi capitali cosi efficacemente come un'impresa pubblica.

Infine le attività del terzo tipo, la disposizione di servizi economici e sociali, aumentano quando i progressi tecnologici producono condizioni favorevoli alla formazioni di monopoli pubblici, i cui i benefici sociali non sono suscettibili di valutazioni economiche (ad esempio, istruzione).

Wagner non ritiene che la sua legge sia eterna ed immutabile, come la legge di gravità. D'altro canto, pensa che sia qualcosa di più di un semplice incidente storico.

Di parere contrario sono due economisti inglesi, Peacock e Wiseman. Essi accusano Wagner di non aver fatto altro che riportare delle osservazioni statistiche. Per loro, accettare la legge di Wagner significa accettare la sua concezione di stato, cioè un entità politica organica, monolitica.

" Come tutti i socialisti della cattedra a cui appartiene, Wagner fa riferimento a una teoria organica dello Stato. Lo Stato, che ha una propria esistenza indipendentemente dai suoi cittadini , è l'interprete delle loro volontà e prende le decisioni perseguendo un interesse che per definizione è collettivo perché promana dalla volontà statale". (Brosio-Marchese, Il potere di spendere,' ed. Mulino 1986).

Brosio ritiene che l'interpretazione della "legge" ha generato negli studiosi anglosassoni incertezze e confusioni. Soprattutto sul fatto se Wagner pensasse ad un aumento assoluto della spesa pubblica, o invece ad un 'aumento della sua incidenza sul reddito nazionale, secondo Brosio, la lettura di "Fondamenti di economia politica" non fascia adito a dubbi, è la seconda ipotesi che Wagner aveva in mente.

2.4.2 NITTI

La scuola italiana ha dato un contributo importante a questo prime filone interpretativo con l'opera di Saverio Nitti. La tesi di Nitti è molto simile a quella enunciata da Wagner: "il progredire della civiltà accresce l'opera di prevenzione dello Stato e ne aumenta l'importanza sociale ed economica". Nitti fa un elenco dettagliato dei fattori in grado di spiegare l'evoluzione della spesa, includendovi componenti di ordine tecnologico e di ordine politico-sociale. Facendo qualche esempio, l'espansione delle spese militari e delle opere infrastrutturali determinata negli Stati moderni dalle scelte tecnologiche, mentre la partecipazione crescente delle masse popolari alla vita politica, determinata dall'ampliamento del diritto di voto, ha accresciuto la domanda di servizi pubblici e di interventi redistributivi tramite la spesa pubblica.

2.4.3 MUSGRAVE

Modelli più generali, in grado di fornire visioni di lungo periodo dell'evoluzione della spesa, sono rappresentati dalle opere di Musgrave e Rostow, che puntano l'attenzione su fattori sia di tipo tecnico che sociale.

Nell'opera di Musgrave "Fiscal System", c’è il tentativo di spiegare l'evoluzione della spesa pubblica.

Data la divisione della produzione totale fra la formazione di capitale e il consumo, la quota di capitale pubblico nella produzione totale dipenderà, dice Musgrave, da una dotazione adeguata di beni capitali. Questi che sono esternalità intensive devono essere forniti pubblicamente, mentre gli altri beni possono essere forniti privatamente (benefici interni). Egli sostiene, che la lettura sullo sviluppo economico suggerisce che la formazione di capitale pubblico è di particolare importanza al primo stadio di sviluppo. I mezzi di trasporto devono essere forniti per aprire il paese, e

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collegarlo ai mercati di altri Stati: strade, porti, ferrovie sono strutture indispensabili per favorire la formazione di capitale privato. Le tecniche agricole perfezionate richiedono l'irrigazione. L'impiego di macchinari nelle fabbriche necessita di una minima ‘professionalità, ecc.

Tutti questi tipi di investimenti i cui benefici sono più che altro esterni, e devono essere forniti pubblicamente dal governo centrale e locale. Cosi l’economia si sviluppa e un più ampio flusso di risparmio diventa disponibile, lo stock di capitale si rafforza nell'industria e nell'agricoltura.

Le infrastrutture per la formazione di capitale privato sono 'imitate al primo stadio di sviluppo come è attitudine imprenditoriale.

Ad uno stadio ulteriore, le istituzioni per la creazione di capitale privato divengono sviluppate e la fornitura di tali beni capitali può essere lasciata al settore privato. Questa ipotesi, ragionevole, interessa il periodo che va dai primi ai medi stadi, sempre secondo la teoria dello sviluppo di Musgrave. Quando il reddito pro-capite cresce, sono cambiati i modelli del bilancio pubblico. I beni privati che domandano finanziamenti pubblici possono venire alla ribalta e aumentare la quota degli investimenti pubblici.

Lo sviluppo delle concentrazioni urbane in coincidenza con l'industrializzazione richiederà programmi municipali che comportano nuovi investimenti. Il bisogno crescente di manodopera specializzata esigerà maggiori investimenti nell'educazione.

In breve, Musgrave, sosteneva che il rapporto tra l'intervento pubblico e la formazione di capitale è alto ai primi stadi di sviluppo per declinare poi provvisoriamente dopo che il decollo è stato raggiunto. Allo stesso tempo ci possono essere dei periodi all'ultimo stadio in cui il suddetto rapporto cresce (motto dipende dal livello del reddito e dal bisogno di capitale).

Volgendo l'attenzione ai beni di consumo, Musgrave, fa un ragionamento simile alla formazione di capitale. Affermando che quando il reddito pro-capite aumenta, i beni di consumo prodotti dal settore pubblico, tendono a diminuire perché divengono spese private; bisogna sottolineare che si tratta di bisogni fondamentali come: cibo, vestiario, beni di sussistenza; crescono invece i beni pubblici secondari (educazione, servizi sanitari, assistenza agli handicappati). Quindi il modello di consumo privato che si sviluppa a un livello crescente di reddito pro-capite, include una quota crescente di beni, l'utilizzazione dei quali richiede servizi pubblici complementari. Nella society ricca, una porzione di spesa per consumi fluisce nei "giocattoli per adulti", utilizzati nel tempo libero (macchine di grossa cilindrata, motoscafi, beni di lusso) che richiedono servizi complementari o forme di investimento pubblico (autostrade, porti, parcheggi, ecc..). In forma di servizi: controllo del traffico, notizie sul tempo,ecc.

La crescita economica determina anche, le concentrazioni economiche che generano servizi pubblici "riparatori" come le leggi antitrust, organismo di controllo. L'industrializzazione richiede misure di purificazione dell'aria, dell'acqua e così via.

In termini di distribuzione, Musgrave sottolinea l'importanza della spesa pubblica per ridurre le disuguaglianze, o per assicurare un livello di vita minimo, determinato da un criterio oggettivo ( per esempio, il fabbisogno alimentare), attraverso la combinazione tasse-trasferimenti.

E' evidente, senza ulteriore spiegazioni, che il rapporto tra la quota di trasferimenti e il livello di reddito pro-capite dipende dagli obiettivi di aggiustamento distributivo, ovviamente quando il livello di vita minimo non sarà più un problema, la quota di trasferimenti diminuirà al crescere del reddito. il bisogno di redistribuzione può cambiare con lo sviluppo economico. L'industrializzazione l'interdipendenza fra i fattori economici aumentano rischi sociali del sistema , provocando un bisogno crescente di sicurezza sociale (indennità di disoccupazione, pensioni).

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Musgrave non ha parlato solamente delle forze economiche come uniche determinanti dell'evoluzione della spesa pubblica, ma inserisce anche del fattori non controllabili, almeno nel breve periodo, quali fattori demografici, cambiamenti tecnologici, fattori sociali, politici e culturali fattori demografici I fattori demografici, sono importanti determinanti del livello di spesa pubblica. E cambiamenti nel numero degli abitanti e nella struttura di età, rappresentano gli aspetti pia rilevanti di questa discussione. Partendo dall'incremento assoluto di popolazione, si può dire che esso richiederà un'espansione assoluta dei servizi pubblici fondamentali e quindi un livello di spesa pubblica superiore. Gli effetti sulla spesa dipenderanno dal modelli di locazione della popolazione, dalla densità, e dalla presenza di economie o diseconomie di scala, ecc.

La crescita del numero di abitanti influenzerà anche sulle strutture della popolazione e cambiamenti nelle fasce di età richiederanno una diversa allocazione dei servizi pubblici, si terrà conto quindi del rapporto tra la popolazione e bambini in età scolare.

Una alta percentuale di anziani avrà bisogno di una più estesa assistenza pensionistica.

Non c’è dubbio che la natura del cambiamento tecnologico può cambiare l'importanza relative delle esternalità-intensive o Beni sociali. L'invenzione e la diffusione dell'automobile ne è una dimostrazione.

La costruzione di autostrade in risposta alla crescita delle automobili è uno dei fattori più importanti della spesa.

Musgrave, considera anche altri fattori sociali, politici e cultural., che sono stati trattati più estesamente da altri autori, che analizzeremo in seguito.

2.4.4 ROSTOW

Tra e modelli societari, bisogna menzionare anche Rostow che assieme a Musgrave ha parlato dell'importanza della trasformazione societaria dovuta alla tecnologia e all'aumento demografico come causa della crescita della spesa pubblica.

Nel suo libro "Politic and stages of growth", sostiene che tutte le società si possono identificare in cinque stadi di sviluppo dell' economia, che sono: 1 - la society tradizionale; 2 - le condizioni preliminari per il decollo; 3 - il take off; 4 -verso la maturità; 5 - l'età dell'elevato consumo di massa.

Introduciamo che cosa si intende per society tradizionale, è una society la cui struttura si è sviluppata entro limitate funzioni produttive, basate sulle scienze e tecnologie prima di Newton. Il concetto di society tradizionale non è statico, non esclude a priori aumenti nella produzione. Resta il fatto che esiste un limite alle potenzialità che emergono dalla scienza e tecnologia moderna.': Anche il commercio è un'attività discontinua a causa delle guerre, dalla inefficienze del potere centrale e della scarsa manutenzione delle strade. La popolazione aumenta e diminuisce non solo a causa dei raccolti scarsi e abbondanti ma anche per l'incidenza delle calamità naturali e della guerre. La gamma di possibilità di miglioramento per un individuo e molto ristretta. Rostow racchiude in questo stadio numerose società antiche e le definisce pre-newtoniane secondo stadi di crescita abbraccia la society nel momento di transizione in cui si sviluppano le condizioni per il decollo. Nel terzo stadio si verifica il "take off" o per meglio dire il decollo, cioè quando superate le antiche resistenze, la crescita economica diviene una condizione normale e la tecnologia gioca un ruolo preponderante. In generale il decollo avviene perché si forma un capitale sociale, un tipo di sviluppo tecnologico nell'industria e nell'agricoltura, ma anche perché emerge l'attenzione dei

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governi a considerare la modernizzazione dell'economia, di qui maggiori investimenti che fanno da 'supporto all'iniziativa privata.

Secondo Rostow, dopo sessant'anni dal decollo si raggiunge la maturità. In genere la maturità definita come lo stadio in cui un paese dimostra la capacità di andare oltre le industrie originarie. L'ultimo stadio (quello che ci interessa di più parlando di spesa pubblica) è quello dell’età dell'elevato consumo di massa dove il settore trainante si sposta verso i consumi durevoli: beni e servizi. Bisogna dire che in questo stadio, il reddito pro-capite aumenta modificando la domanda dei consumatori; essi non hanno più bisogno di cibo alloggio e vestiario, ma chiedono beni superiori.

La struttura della forza lavoro cambia cosi da aumentare non solo la porzione di popolazione urbana rispetto a quella totale, ma la quota di popolazione lavoratrice impiegata nell'industria passa al terziario. In questo stadio di post-maturità, attraverso il processo politico, la società decide di destinare le sue risorse al benessere sociale e alla sicurezza. L'emergere dello stato di benessere è una manifestazione di una società che si muove al di la della maturità tecnologica.

In questo ultimo stadio, l'autore sposta l'attenzione dalla produzione al consumo o per meglio dire al benessere, sostenendo che esistono tre obiettivi che lo Stato deve perseguire affinché il benessere si accresca. il primo è l'affermazione internazionale di un paese che cerca di allocare le proprie risorse all'estero. II secondo obiettivo possiamo chiamarlo ii welfare state, cioè l'uso dei poteri dello stato, compresa la redistribuzione dei redditi attraverso la tassazione progressiva, per compiere fini umani e sociali (compreso il tempo libero) che il processo del mercato libero, nella sua forma fallimentare, non ha prodotto.

Durante le fasi di decollo e di avvio alla .maturità questi elementi non venivano considerati, prevaleva l'utilitarismo individualista, con la maturità questi obiettivi si rafforzano. Il terzo è quello di espandere il livello di consumi al di la di quello di base come il cibo e il vestiario, in modo che la società possa usufruire di beni e servizi forniti da un'economia matura.

Ogni governo compie delle scelte in merito, precisando quale fine vuole perseguire primariamente. Ogni paese ha una propria cultura e politica ciò determina scelte diverse.

In sintesi, gli stadi avanzati di una società possono chiedere maggiori sforzi da parte dei governo che se in un primo momento hanno utilizzato la spesa pubblica per fornire le infrastrutture alto sviluppo, ora ad esempio devono correggere le distorsioni del mercato, redistribuire i redditi attraverso il meccanismo tasse-trasferimenti, ed aumentare la spesa per consumi sociali nati da una domanda crescente di consumi meno elementari.

Inoltre Rostow, sostiene che possono intervenire fattori non previsti come il Baby Boom degli anni .sessanta, responsabile di un'accresciuta domanda di istruzione.

2.5 IL PASSAGGIO DAI MODELLI SOCIETARI A QUELLI POLICI: PEACOCK E WISEMAN

La spiegazione avanzata da Peacock e Wiseman in quello che è ormai considerato un "classico" dello studio sulla crescita economica costituisce l'anello di congiunzione fra i moderni societari e quelli politici moderni. Abbandonando la legge di Wagner, senza sottovalutare gli apporti che essa ha dato allo studio della spesa pubblica, Peacock e Wiseman ritengono che sia più importante esaminare lo sviluppo della spesa di governo anno per anno senza andare alla ricerca di leggi secolari. L'analisi condotta dai due fa riferimento a dei periodi storici precisi nei quali sono avvenuti dei cambiamenti decisivi. L'aspetto pin interessante è che le spese di governo sono chiaramente cresciute in tutti i paesi europei (in termini monetari) nel lungo periodo, ma il

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campione riferito al tempo di crescita è meno regolare e differente del corrispondente campione di crescita nella misura del PIL.

Nell'opera " The Growth of Public Expenditure in the U.K." leggiamo: " Wagner aveva come obiettivo la direzione secolare della spesa e non credeva che questa potesse essere influenzata da problemi fiscali di breve periodo".

I due autori partono da alcuni concetti riguardanti la natura e il comportamento dei governi, in modo da avere una teoria di governo che descrive il carattere delle spese pubbliche e i processi di sviluppo della spesa. Ne deriva che le spese di governo dipendono dalle entrate fiscali, sono influenzate dalle scelte politiche che emergono dalle elezioni, e usano criteri diversi da quelli di mercato.

In sintesi, Peacock e Wiseman sostengono che i governi amano aumentare la spesa, ai cittadini non piace pagare maggiori tasse e i governi sono obbligati a prestare attenzione ai desideri dei cittadini. Vi è cioè una spinta, interna al sistema politico e all'amministrazione, verso l'aumento della spesa, cui si contrappone il confronto, che fanno cittadini, fra i benefici arrecati dalle spese e sacrifici connessi alle imposte. Ogni nuova proposta di spesa fatta dal governo deve vincere l'opposizione dei cittadini all'aumento delle imposte.

In definitiva, il livello di imposizione fiscale agisce come limite all'aumento della spesa pubblica, da qui l'introduzione del concetto: di "livello tollerabile di imposizione fiscale", cioè il prelievo che i cittadini sono costretti a sopportare, tenuto conto del benefici ricevuti dalla spesa e del loro livello di reddito.

Questo è ciò che avviene in tempi normali, cioè quando le società non sono soggette ad insolite e violente pressioni, e l'idea dei cittadini in merito alla tollerabilità delle tasse tende ad essere piuttosto stabile. I governi effettuano delle spese su programmi desiderati dalla maggior parte dei cittadini e la percentuale di crescita dipenderà dalla capacità di aumentare le tasse.

In periodi di crisi, (guerre, calamità naturali, crisi economiche) i cittadini accetteranno livelli di tassazione superiore per accrescere le entrate statali 'cosa che in periodi normali. avrebbero ritenuto intollerabile; nella maggior parte dei casi, gli effetti di questo aumento rimangono anche dopo che si è superata la crisi.

Le statistiche dimostrano che, le entrate aumentate in seguito alla crisi non regrediscono quando si torna alla normalità, i motivi possono essere diversi tra cui quello della necessità di imporre nuovi obblighi al governo. Ad esempio, la corresponsione di pensioni di guerra dopo il II conflitto mondiale.

In breve, periodi di crisi profonda, determinati da guerre, calamità naturali, depressioni economiche richiedono un grande impegno da parte del governo e un aumento della pressione fiscale. L'eccezionalità della crisi sposta verso l'alto il livello di tollerabilità alle imposte; passata la crisi non si torna più al livello originario, o perché i cittadini si sono ormai abituati al nuovo sistema di tassazione, o perché non possono rinunciare ai servizi pubblici entrati nel lord sistema di vita.

La spesa riprende il suo cammino normale di crescita, ma ad un livello più elevato di prima, il settore pubblico ha spiazzato in modo permanente il settore privato aumentando il prelievo fiscale e la spesa dei suoi proventi.

La tesi di Peacock e Wiseman è schematicamente riportata nel grafico di figura 1.5, in cui sono illustrati tre possibili comportamenti della spesa dopo un periodo di crisi. La figura 1.5(a) illustra l'effetto spiazzamento: la guerra sposta stabilmente verso l'alto la linea della spesa senza peraltro modificare la pendenza. Nella figura 1.5(c) lo spiazzamento e gradualmente riassorbito dopo

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l'evento bellico, mentre nella figura 1.5(b) si ha un immediato ritorno ai livelli prebellici. La tesi dei due economisti inglesi è stata sottoposta a verifica da molti autori per molti paesi, con risultati contrastanti anche per la difficoltà di stabilire quali, dopo una guerra o un grave evento, il livello di tassazione tollerabile che può essere confrontato con quello antecedente.

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2.6 MODELLI POLITICI LIBERAL-DEMOCRATICI

2.6.1 TOCQUEVILLE

Per parlare dei modelli liberal-democratici bisogna iniziare da un capostipite di questa ideologia, A. Tocqueville, che associava la crescita del settore pubblico, misurata dalle tasse e dalle spese, a due fattori principali: l'estensione del diritto di voto e la distribuzione della ricchezza. In un suo scritto leggiamo: "Se si volesse stabilire un parallelo fra una democrazia ed una monarchia assoluta, si troverebbe che le spese pubbliche, sono più elevate nella prima che nella seconda". L'elemento fondamentale di spiegazione è la distribuzione del potere nel sistema politico rispetto al mercato. In una democrazia, cioè, il potere di fare le leggi è nelle mani delle classi non abbienti, più numerose.

Meltzer e Richard hanno criticato Tocqueville, sostenendo che egli esagera nel dire che non esistono limiti alla redistribuzione in un sistema democratico; che secondo i due autori porterebbe alla perdita di incentivi a lavorare da parte degli individui perché le tasse diverrebbero cosi elevate da modificare il rapporto lavoro-tempo libero (a favore del secondo).

2.6.2 MELTZER E RICHARD

L'impostazione di Tocqueville è stata ripresa e approfondita da parecchi autori moderni fra cui Meltzer e Richard, in un loro articolo sulla rivista "Journal of Political Economy" dal titolo " The Growth of Government", affermano che in un modello di equilibrio generale di un'economia da lavoro, la dimensione del governo misurata dalla quota di reddito redistribuito, è determinata dalle regole di maggioranza. Gli elettori razionalmente anticipano gli effetti disincentivanti della tassazione sulle scelte di lavoro e tempo libero degli altri individui e li tengono in considerazione quando votano. Sotto il governo di maggioranza le tasse finanziano il bilancio e la redistribuzione.

Le ragioni principali della accresciuta spesa pubblica sono da attribuire, all'estensione del diritto di voto e ai cambiamenti nella distribuzione della ricchezza. Meltzer e Richard partono dal presupposto che il bilancio sia in pareggio, usando la quota di reddito redistribuito, in servizi e trasferimenti, come misura delle dimensioni del governo. Sviluppano una teoria in cui la quota di spesa pubblica è regolata dalle scelte razionali degli individui che vogliono massimizzare la loro utilità, questi sono perfettamente informati sullo stato dell'economia e sulla redistribuzione dei redditi. 1 due autori affermano:" Noi differiamo da molta della recente letteratura su tre punti fondamentali:

1 – i votanti non soffrono di illusione fiscale essi non sono miopi, sanno che i governi devono trovare le risorse per pagare la redistribuzione;

2 – concentriamo la nostra attenzione sulla domanda di redistribuzione;

3 – torniamo alla vecchia tradizione democratica.

Usando un modello di equilibrio generale nel quale le sole attività di governo sono la redistribuzione e la tassazione, il bilancio in pareggio, e i votanti sono pienamente informati, Meltzer e Richard mostrano come lo sviluppo del settore pubblico è determinate dalla scelta di massimizzare il benessere da parte di un elettore decisivo.

L'identità di questo elettore decisivo varia a seconda del sistema politico in cui ci troviamo, se è una dittatura, l'elettore mediano sarà il dittatore, responsabile delle decisioni di spesa e di imposte. Se il sistema politico è una democrazia acquisterà importanza il votante con reddito mediano, tra i cittadini che hanno ottenuto il diritto di voto egli è decisivo. Infatti gli elettori con

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reddito inferiore a quello del votante mediano desidereranno una più elevata tassazione e redistribuzione, mentre coloro che hanno un reddito superiore vogliono tasse più basse e minore spesa per la redistribuzione.

Ma non solo il votante decisivo sceglie il livello di imposizione. Quando il reddito medio cresce rispetto al reddito dell'elettore mediando le tasse salgono e viceversa. L'estensione del diritto di voto nel XIX e XX secolo ha accresciuto il numero dei votanti con reddito relativamente basso.

Negli ultimi anni sono aumentate le persone che ricevono servizi e sicurezza sociale, aumentando le tasse sul salario o meglio sul reddito da lavoro due autori considerano solo questa ipotesi, tralasciando i redditi da proprietà.

Il carattere distintivo della loco analisi, non è il sistema di voto ma il rapporto tra scelte collettive ed individuali; ogni persona sceglie consumo e tempo libero cercando di massimizzare questa combinazione. Ciò spiega perché la dimensione del governo e l'aliquota di imposta possono rimanere costanti ed essere tuttavia criticate, proprio perché tutti preferiscono una diversa aliquota (tranne l'elettore mediano). In altre parole, ogni individuo se non costretto dal sistema di voto sceglierebbe una diversa combinazione di consumo e tempo libero, ma è solo l'elettore decisivo che assicura la maggioranza.

Ora daremo una spiegazione dettagliata del modello dell'elettore mediano (vedi figura).

Come vediamo nella figura 1., uno solo dei votanti, D, ottiene il risultato esattamente preferito. Per la quantità, infatti, la valutazione marginate è uguale al costo e l'utilità che egli trae da questa decisione è massima. Tutti i votanti si devono accontentare di risultati meno soddisfacenti la quantità X e infatti superiore o inferiore a quella preferita da loro.

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La caratteristica di questo elettore, sono diverse: egli occupa la posizione mediana nella scala delle quantità desiderata, e cioè l'elettore divide a meta la distribuzione della preferenze circa la quantità del bene da produrre.

Nona figura 1.è notiamo the tre individui non formano una maggioranza, il consenso dell'elettore mediano è indispensabile ed egli ha quindi la possibilità di esprimere le proprie preferenze.

Qualsiasi sistema di voto che fornisce un incentivo alla redistribuzione del reddito è finanziato dalle tasse sui redditi . L'estensione del diritto di voto amplia la base politica anche alle classi non abbienti, a quelle classi cioè che si trovano al di sotto del reddito medio, che accrescono le preferenze a favore della redistribuzione (responsabile dell'aumento della spesa pubblica).

Come ultimo argomento tratteremo l'analisi degli effetti disincentivanti della tassazione.

Il votante decisivo sceglie l'aliquota di imposta massimizzando la sua utilità. Nel fare la sua scelta e consapevole che essa influenzerà le decisioni di lavoro e di tempo libero di tutta la collettività.

La crescita dell'aliquota ha due effetti:

1 - ogni unità in più di reddito guadagnato accresce le entrate ma diminuisce alto stesso tempo il reddito perché aumentano le tasse.

2 - ognuno sceglie più tempo libero sempre meno persone sceglieranno di lavorare; quindi l'individuo è costretto a scegliere un livello di imposte di equilibrio.

In sintesi, i due autori pongono in evidenza l'essenza redistributiva della spesa e il calcolo razionale fatto dai contribuenti fra i vantaggi delle spese e gli oneri delle imposte. Essi adottano un modello di elettore mediano. In sostanza le svelte fiscali sono determinate in una democrazia, che adotta un voto a maggioranza, da un elettore decisivo, quello mediano appunto. Se tale elettore ha un reddito inferiore a quello medio, si trova cioè nella parte più povera di redistribuzione dei redditi, egli cercherà di usare a suo vantaggio la posizione che detiene votando leggi di spesa e di entrata che gli danno un risultato netto positivo. La spesa cresce fino al punto in cui lo sfruttamento dei ricchi non è più conveniente, perché disincentiva la creazione di nuova ricchezza.

2.6.3 PELTZMAN

Peltzam come anche Demsetz, Murrel e Mueller adottano un impostazione modellistica diversa, che fa riferimento, non al ruolo decisivo dell'elettore mediano, ma a quello dei gruppi di interesse. Accanto all'asimmetria fra potere di mercato e potere politico di Tocqueville, questi autori pongono come fattore fondamentale di crescita l'asimmetria degli interessi. Le società moderne percorse da innumerevoli linee di divisione, o di articolazione se si vuole dire, secondo ruoli economici, condizioni sociali e anagrafiche, localizzazioni geografiche, che frazionano in un numero elevatissimo di gruppi. Ognuno di essi è portatore di un interesse specifico a favore di interventi di spesa che lo avvantaggino in modo particolare. Questo interesse è di intensità assai più elevata di quella dell'interesse della generalità dei cittadini, non avvantaggiati da quei provvedimenti a non vedere aumentato il livello di imposte da pagare.

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Il sistema rappresentativo agevola la formazione di queste coalizioni; gli uomini politici e i partiti, infatti, provvederanno a costituire coalizioni di gruppi in numero sufficiente a raggiungere i voti necessari a coordinare l'azione. In tutto questo processo politico è insito un fenomeno di illusione finanziaria. Il singolo cittadino, crede, quando propone un provvedimento di spesa che lo favorisce di scaricarne il casto sulla collettività. Poiché tutti tendono a comportarsi allo stesso modo, il

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vantaggio netto tratto da ognuno tende a ridursi a zero e l'unico risultato sicuro e l'aumento della spesa pubblica, ma non il preciso andamento di quest'ultima nel tempo.

L'asimmetria del potere politico e quella degli interessi possono essere la causa della crescita del settore pubblico.

Demsetz, sosteneva che bisogna tenere conto della riduzione dei costi di partecipazione alla vita politica, resa possibile dallo sviluppo dei moderni sistemi di comunicazione di massa. Essa ha permesso l'organizzazione e la rappresentanza politica di gruppi di interesse più ampi e meno specializzati. Basti pensare ai pensionati, agli anziani, alle donne, tutti gruppi che precedentemente erano assenti dal mercato. Egli ritiene ugualmente importante l'istruzione, che ha ridotto i costi di informazione e di partecipazione. Ora esaminiamo pia in dettaglio Peltzam. Egli sostiene che i governi crescono quando i gruppi con comuni interessi divengono pia numerosi e richiedono una determinata spesa pubblica. La visione che forti differenze sono o dovrebbero essere causa di redistribuzione finanziata dal governo, sembra aver minor peso in Peltzam, il quale afferma che le sue ricerche hanno rivelato un ruolo stimolante della disuguaglianza solo dove vi sono gruppi meno capaci di articolare la spesa di governo, appena questa capacità cresce, gli interessi omogenei divengono importanti determinanti dello sviluppo del settore pubblico.

In un suo articolo dal titolo "The Growth of Government" egli dice: " I nostri risultati, implicano che negli ultimi cinquant'anni il livellarsi delle differenze di reddito, nella maggior parte ,della popolazione (nascita della classe media), è stato in effetti causa della crescita della spesa pubblica, allo stesso tempo, i gruppi divengono più capaci di percepire il proprio interesse, ciò è in gran parte dovuto all'aumento della scolarizzazione". Peltzam ritiene che la crescita di questa abilità (percepire e articolare il proprio interesse) è servita a catalizzare politicamente l'estendersi dell'interesse economico alla redistribuzione.

Un risultato apparentemente non accettabile a cui arriva l'autore è che più uguaglianza determina una domanda politica di maggiore spesa pubblica, tale convinzione è emersa dai suoi studi, secondo Peltzman vi sono numerosi esempi che la confermano : in Gran Bretagna la spesa pubblica è diminuita ai primi dell'ottocento per aumentare nel novecento; la Svezia ha un'elevata spesa pubblica nonostante che ci sia un alto livello di reddito pro capite. E' da rilevare, dunque, l'importanza dell'abilità come catalizzatore di crescita della spesa indotta dall'uguaglianza. Questo ha contribuito a spiegare le differenze che esistono nei collegi elettorali. E' necessario precisare che non tutti i cittadini che contribuiscono a sostenere la spesa pubblica ne beneficiano ;benessere delle società occidentali ha ampliato la base politica per cui molti programmi particolari sono a vantaggio di un sottogruppo. Se ne deduce che la minoranza della popolazione riceve grandi benefici netti pro capite, a spese della maggioranza.

Da ciò ne deriva che un'assemblea di votanti ritarda la crescita della spesa pubblica, perché ogni membro tende a sostenere il proprio punto di vista .

In conclusione, si può dire che lo sviluppo economico ha condotto a una livellamento di reddito all'interno dei gruppi beneficiari della redistribuzione e questo ha permesso di raggiungere pia facilmente degli accordi. In altre parole, la spesa redistributiva è aumentata non solo in relazione al grado di diseguaglianza fra i beneficiari e coloro che ne sopportano il carico, anzi questa distanza si è progressivamente ridotta, ma anche e soprattutto in relazione inversa al grado di diseguaglianza interno al gruppo dei beneficiari.

Dal canto suo, l'incertezza del risultato finale della redistribuzione tende a ridurre il potere di pressione dei gruppi organizzati a favore della spesa, poiché diventa più agevole l'organizzazione politica dei contribuenti come gruppi di pressione, come i partiti anti-imposte. Per concludere la

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dimensione del governo risponde agli interessi articolati di coloro che stanno a guadagnare o a perdere dalla politicizzazione dell'allocazione.

2.7 SCHUMPETER

Il primo tentativo di analizzare il ruolo del settore pubblico e la dinamica della spesa usando le categorie marxiane è stato di Schumpeter, nonostante che facesse parte di quella parte di economisti di orientamento moderato, egli fu anche fondatore della sociologia finanziaria.

Nel suo libro "Capitalismo, socialismo e democrazia" sostiene che vi sono due categorie di attori: gli elettori e i politici, o membri dei partiti, che cercano di essere eletti al governo. Tutti gli attori sono mossi esclusivamente dalle proprie decisioni, dalla considerazione del proprio interesse. Gli elettori votano il partito che offre loro combinazioni politiche di spesa e di entrata che permettano di ottenere la massima utilità. In altre parole, votano per il partito che permette di curare meglio i loro interessi. Gli uomini politici hanno come obiettivo diretto l'ottenimento della carica, quindi la vittoria elettorale e non il soddisfacimento degli interessi dei cittadini. Più precisamente, i politici vogliono massimizzare i voti, che permettono loro di rimanere al governo, se già vi sono, o di accedervi se sono all'opposizione. L'ottenimento della carica permette di ottenere prestigio, potere e reddito, se si vuole anche la possibilità di realizzare le proprie politiche, ma questa e una possibilità esterna al modello. Egli arriva a questo modello tracciando un parallelismo fra uomini, politici e imprenditori. Allo stesso modo in cui gli imprenditori mirano a massimizzare i profitti sforzandosi di capire i gusti dei consumatori ed offrendo loro prodotti che li soddisfano, cosi i politici massimizzano i voti offrendo agli elettori piattaforme politiche in grado di soddisfare i loro interessi. Vincerà il partito in grado di formare una piattaforma politica, in grado di offrire spese pubbliche e sgravi fiscali - capace di soddisfare le preferenze di una maggioranza almeno elettorale.

2.8 MODELLO MARXISTA

2.8.1 O'CONNOR

"Ciascun gruppo di interesse fa delle richieste al governo: le grandi società per azioni vogliono che il governo costruisca più autostrade; i banchieri e gli investitori vogliono che il governo garantisca più prestiti e investimenti; i piccoli imprenditori e gli agricoltori più sovvenzioni; i sindacati più assicurazioni sociali, i gruppi per il diritto all'assistenza sociale vogliono maggiori integrazioni dei redditi, più case e migliori servizi sanitari pubblici; i dipendenti pubblici migliori salari; e gli enti governativi più stanziamenti.

E inoltre le society per azioni e i ricchi investitori vogliono che siano i lavoratori e le piccole imprese a pagare ii conto per quanto riguarda la modernizzazione degli aeroporti , l'ampliamento della rete stradale, i trasporti rapidi urbani, gli investimenti per il rifornimento idrico, il controllo dell'inquinamento. Le piccole imprese e coloro che abitano in una casa di Toro proprietà vogliono meno imposte sugli immobili.

I salariati e gli stipendi a medio reddito vogliono meno imposte sul reddito. I poveri vogliono semplicemente meno tasse. Gli abitanti dei sobborghi non vogliono pagare imposte nella città madre dove lavorano, ne vogliono che le imposte pagate nei sobborghi vengano usate a beneficio dei residenti della città.

La formulazione più moderna dell'approccio marxista è di O'Connor. Secondo l'autore ogni classe o gruppo economico chiede al governo maggiore spesa pubblica a suo favore, evitando per di pagare

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nuove imposte o aliquote più elevate su quelle vecchie. Al contrario, tutti o quasi vogliono meno imposte, e molti gruppi hanno ottenuto degli sgravi.

Le richieste che la società rivolge ai bilanci locali e statali sembrano illimitate e evidente che la disponibilità e la capacità del pubblico di sopportare gli oneri relativi sono strettamente limitate.

Per " crisi dello stato fiscale" egli intende quella tendenza delle spese governative ad aumentare più rapidamente delle entrate. Svariati fattori, isolatamente o combinati possono alleviare questa crisi. Come l'ignorare coloro che dipendono dal servizi pubblici e quindi non soddisfare le loro esigenze; oppure che lo stipendio dei dipendenti pubblici non tenga il passo con il reddito del settore privato, o addirittura con il costo della vita, ciò non significa che i lavoratori otterranno aumenti automatici. Anzi, il governo può persistere nel congelare i salari e gli stipendi nel tentativo di alleviare la crisi.

Secondo O'Connor né il volume, né la componente delle spese pubbliche, né la ripartizione del carico tributario sono determinati dalle leggi del mercato; piuttosto, essi riflettono i conflitti economici e sociali fra le classi e i gruppi, e ne sono strutturalmente determinati. Egli sostiene che in USA il benessere individuale, i rapporti di classe, la ricchezza e il potere nazionale sono inestricabilmente legati al travaglio delle città, alla povertà e al razzismo, ai profitti dei grandi e dei piccoli affaristi, all' inflazione, alla disoccupazione, al problema della bilancia dei pagamenti, all'imperialismo, alla guerra, e altre crisi che egli definisce quotidiane. Critica poi, gli studiosi che sostengono che la spesa pubblica sia determinata da forze esogene ovvero determinate da forze esterne al sistema economico (ricordiamo Musgrave e Rostow).

O'Connor parte dalla considerazione che la spesa governativa rappresenta una quota sempre maggiore della spesa totale nei paesi capitalistici avanzati, prende in esame i fattori determinati reali e cerca di elaborare una teoria dello sviluppo economico radicata nei basilari fenomeni economici, politici delle società tardo capitalistiche.

La prima premessa è che lo state capitalistico deve espletare due funzioni fondamentali, spesso contraddittorie: l'accumulazione e la legittimazione. Ciò significa, che lo state deve sforzarsi di creare o di conservare condizioni in cui è possibile l'accumulazione di capitale. D'altra parte lo stato deve cercare di creare o di conservare le condizioni idonee all'armonia sociale. Uno stato capitalistico che utilizzasse apertamente forze di coercizione per aiutare una classe ad accumulare capitale a spese di altre classi, perderebbe legittimità e minerebbe le proprie basi di lealtà e di consenso. Ma uno stato che ignorasse la necessità di stimolare il processo di accumulazione del capitale correrebbe il rischio di inaridire la fonte del proprio stesso potere; la capacita dell'economia di generare un sovrappiù e le imposte prelevate su questo sovrappiù.

Il secondo assunto da cui l'autore parte è che si può comprendere la crisi fiscale soltanto applicando le fondamentali categorie economiche marxiane, adattarle ai problemi in esame. Gli esborsi statali hanno duplice carattere - spesa sociale e capitale sociale - in corrispondenza con le due fondamentali funzioni dello state capitalistico.

Il capitale sociale consiste nelle spese necessarie per una redditizia accumulazione privata, ed è indirettamente produttivo (in termini marxisti, il capitale sociale incrementa indirettamente il plusvalore). Vi sono due tipi di capitale sociale: l'investimento sociale e il consumo sociale. L'investimento sociale consiste invece in progetti e in servizi che diminuiscono il costo di riproduzione del lavoro e che, ceteris paribus, incrementano il saggio del profitto. Un esempio, parchi industriali costruiti grazie a finanziamento statale. consumo sociale consiste invece in progetti e in servizi che diminuiscono il costo di riproduzione del lavoro e che, ceteris paribus, incrementano il saggio di profitto. Un esempio, sono le assicurazioni sociali, che migliorano le

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capacità riproduttive della forza-lavoro, diminuendo nel contempo il costi di lavoro. La seconda categoria, le spese sociali, è formata dai progetti e dai servizi indispensabili al mantenimento dell'armonia sociale, affinché lo stato possa svolgere la funzione di legittimazione. Questi esborsi non sono produttivi, neppure indirettamente. migliore è la pubblica assistenza che ha soprattutto lo scopo di conservare la pace sociale fra disoccupati.

Dato che lo stato capitalistico possiede questo carattere duplice e contradditorio, quasi tutti gli enti statali assolvono in qualche misura ciascuna delle due funzioni (accumulazione a legittimazione); e alto stesso modo, quasi tutte le spese statali hanno un duplice aspetto. Per esempio, alcuni esborsi per l'istruzione rappresentano un capitale sociale (attrezzature e insegnanti necessari per produrre e migliorare il livello tecnico e la qualificazione della forza-lavoro); altri invece rappresentano erogazioni sociali improduttive (stipendi degli agenti di polizia nei campus universitari). Cosi pure, alcuni trasferimenti (le assicurazioni sociali) hanno lo scopo di produrre forza-lavoro, altri (i sussidi sul reddito dei poveri), quello di pacificare e controllare la popolazione eccedente.

La prima ipotesi fatta da O'Connor è che, in misura sempre maggiore, la crescita del settore pubblico assolve la funzione di porre le basi per la crescita del settore monopolistico e della produzione totale. Al contrario, sostiene che la crescita della spesa e dei programmi statali è il risultato della crescita delle industrie monopolistiche.

In altri termini, lo sviluppo dell'attività economica dello stato è in pari tempo causa ed effetto dello sviluppo del capitale monopolistico. La seconda ipotesi che fa l'autore è che l'accumulazione del capitale sociale e delle spese sociali e un processo contradditorio, che genera tendenze economiche, sociali, e politiche.

Sebbene lo stato venga socializzando costi di capitali sempre maggiori, il sovrappiù sociale continua ad essere oggetto di appropriazione privata. La socializzazione dei costi e l'appropriazione privata dei profitti creano una crisi dello stato fiscale, ossia una "lacuna strutturale" fra le entrate e le uscite dello Stato. Ne consegue che le spese statali tendono ad aumentare più rapidamente del mezzi atti a finanziarle. In secondo luogo O'Connor sostiene che la crisi fiscale viene esasperata dall'appropriazione privata del potere statale a fini particolaristici.

Una miriade di "interessi speciali" esercitano pressioni sul bilancio, affinché siano effettuati vari tipi di investimenti sociali.

3 LA STRUTTURA DELLA SPESA PUBBLICA: SOGGETTI E STRUTTURA CONTABILE

3.1 SOGGETTI

L'attività della Amministrazione pubblica, articolata nei diversi settori della vita economica e sociale, svolge una funzione centrale nel processo di formazione e di redistribuzione del prodotto nazionale. Per avere un'idea sommaria del peso dell'attività delle Amministrazioni pubbliche nel sistema economico, basti dire che, nei Paesi industrializzati avanzati, il volume della spesa pubblica in rapporto al PIL, è attestato oggi In base ai dati del quadro generale è possibile osservare come, considerando la graduatoria secondo l’ordine crescente della spesa pubblica complessiva in rapporto al PIL, l’Italia, con un valore pari al 50,4%, nel 2010 risulta il sedicesimo Paese e soltanto undici Paesi presentano livelli di spesa più elevati di quella italiana (vedi figura I-2010). Nel 2011, tale rapporto pur diminuendo al 49,9% colloca l’Italia al diciannovesimo posto della graduatoria crescente della spesa pubblica in rapporto al PIL soltanto 8 paesi presentano livelli di spesa più elevati (vedi figura I-2011) . Nel 2013 la spesa pubblica totale , avrà un incidenza del 51,10% del PIL nel 2013, e alcune stime dicono che sarà 50,5% nel 2017. Per attuare le finalità istituzionali che ad

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esse competono, le Amministrazioni pubbliche prelevano imposte e contributi, producono servizi collettivi, forniscono prestazioni sociali, trasferiscono redditi, effettuano investimenti. Nei conti economici nazionali il settore dell'Amministrazione pubblica comprende tutte le istituzioni che producono servizi non destinabili alla vendita e si finanziano mediante entrate tributarie (imposte, tasse e contributi sociali).

Sono pertanto "Amministrazioni pubbliche" :

lo Stato; gli Enti territoriali (Regioni, Province, Comuni) gli altri Enti centrali e locali che assolvono compiti di interesse (nel campo dell'assistenza,

della sanità, della previdenza, della ricerca, ecc.).

Non rientrano invece nella categoria delle Amministrazioni pubbliche le aziende autonome dello Stato (eccettuate l'ANAS e le Foreste Demaniali), le imprese pubbliche e quelle a partecipazione statale, che figurano nel settore delle imprese.

3.2 STRUTTURA CONTABILE

I conti economici delle istituzioni sopra indicate, opportunamente consolidati, confluiscono nel conto generale delle amministrazioni pubbliche. Il quale riassume le entrate e le uscite che hanno avuto luogo nel corso dell'anno solare.

Il conto è diviso in due sezioni: la prima si riferisce alle entrate ed alle uscite correnti, riguarda cioè tutte le operazioni il cui significato economico si esaurisce nel corso dell'esercizio considerato, la seconda considera le uscite e le entrate in conto capitale, vale a dire tutte le operazioni che

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modificano la consistenza e la composizione del patrimonio (come ad esempio, gli investimenti). Per quanto ci riguarda tratteremo solamente le spese in maniera analitica.

La spesa pubblica da un punto di vista prettamente contabile, può essere classificata secondo la natura economica o per la destinazione funzionale.

Seguendo il primo criterio la spesa si distingue in spesa conto corrente erogata per consentire l'ordinario livello di attività pubblica; e spesa in conto capitale destinata ad allargare la capacità produttiva del settore pubblico.

3.3 LA CLASSIFICAZIONE ECONOMICA

3.3.1 LA SPESA IN CONTO CORRENTE

Sul fronte delle spese correnti esistono numerose voci tra queste la più importante sono i consumi collettivi, che assorbono circa un terzo delle risorse complessivamente impiegate dalle Amministrazioni pubbliche, sono i servizi resi alla collettività per soddisfare fondamentali bisogni sociali (ordine pubblico, giustizia, difesa, istruzione, salute, previdenza, assistenza, sanità ecc.) o per il raggiungimento di obiettivi di crescita economica e di benessere sociale. Si tratta di beni e servizi che non passano per il mercato, e che sono definiti come "non destinabili alla vendita". Essi non hanno perciò un prezzo, o se lo hanno, questo ha piuttosto la natura di partecipazione marginale alla spese sostenute per l'erogazione del servizio (il caso delle tasse scolastiche, dei biglietti di ingresso ai musei, ecc.). Tra i consumi collettivi vi sono le retribuzioni erogate per i servizi forniti dai pubblici dipendenti; acquisti di beni e servizi.

L'Amministrazione pubblica produce in misura appena significativa servizi destinati alla vendita analoghi a quelli forniti dalle imprese (locazione di fabbricati, servizi del lotto, ecc.); Il prodotto complessivo delle Amministrazioni pubbliche sono costituite dunque, dai consumi collettivi, e dal valore dei servizi venduti.

Come si vede, il valore aggiunto delle Amministrazioni pubbliche è costituito Il prodotto complessivo delle Amministrazioni pubbliche costituite dunque, dai consumi collettivi, e dal valore dei servizi venduti.

Poiché i consumi collettivi non hanno un prezzo di mercato, il valore delle produzioni si calcola dal lato dei costi, sommando il valore aggiunto ai consumi intermedi. Il valore aggiunto delle Amministrazioni pubbliche è costituito per la quasi totalità da redditi da lavoro dipendente e in piccola parte, da ammortamenti, mentre l'esistenza di un'attività commerciale, sia pure marginale, giustifica un'utile di gestione e delle imposte indirette.

Il valore complessivo del prodotto del settore pubblico risulta dalla somma del valore aggiunto e dei consumi intermedi. Inoltre tra le spese correnti esistono altre voci rilevanti che andiamo ad analizzare:

spese per trasferimenti alle famiglie (essi consistono in trattamenti di disoccupazione, e di integrazione guadagni, gli assegni familiari, i trattamenti per infortuni sul lavoro e malattie professionali e pensioni);

spese per trasferimenti alle imprese (contributi alla produzione, concorso dello stato per crediti agevolati);

Le spese finali del bilancio dello Stato previste per il 2013 ammontano a circa 526 miliardi di euro con un incremento di circa 26 miliardi rispetto alle previsioni del 2012. Per gli anni successivi si

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prevede un ulteriore incremento della spesa finale rispetto al valore del 2013: in particolare è atteso un aumento di 2 miliardi nel 2014 e di circa 10 miliardi nel 2015.

Nel 2013, tra le spese correnti, gli incrementi interessano principalmente i trasferimenti correnti alle amministrazioni pubbliche (+10 miliardi di euro) e i consumi intermedi (+2,7 miliardi). Tali aumenti derivano, in gran parte, dalle richiamate operazioni di incorporazione e razionalizzazione di taluni enti. Tra le altre voci di spesa si segnalano le poste correttive e compensative che registrano un incremento nel 2013 di circa 5 miliardi rispetto al 2012 per effetto dell’accorpamento dell’AAMS con l’Agenzia delle Dogane e la conseguente imputazione al bilancio dello Stato di tutte le spese relative ai giochi, in particolare di quelle necessarie al pagamento delle vincite. La spesa per interessi, soprattutto per effetto delle tensioni sui mercati finanziari, evidenzia un incremento nel primo anno di circa 800 milioni rispetto alla previsione del 2012 e mostra un andamento crescente anche negli esercizi successivi (+5,5 miliardi nel 2014 e +4,5 miliardi nel 2015), fino a raggiungere nel 2015 circa 100 miliardi di euro. Una riduzione di circa 1,3 miliardi è attesa nel 2013 per i redditi da lavoro dipendente che risentono delle misure

Il prodotto complessivo delle Amministrazioni pubbliche costituite dunque, dai consumi collettivi, e dal valore dei servizi venduti.

3.3.2 LA SPESA IN CONTO CAPITALE

Nell'ambito delle spese in conto capitale si distinguono le spese relative ad opere pubbliche realizzate direttamente dallo stato e i trasferimenti ad altri soggetti, solitamente imprese, erogati perché destinati all'investimento . Di opera pubblica si danno due definizioni una di tipo giuridico istituzionale cioè per opera pubblica si intende qualsiasi specie di modificazione dell'aspetto fisico del mondo esterno e qualsiasi specie di costruzione a cui provvedono i pubblici poteri, con un contributo finanziario, parziale o totale.

La seconda definizione quella economica indica come caratteristica di questi beni il fatto di essere beni capitali che producono tutti quei servizi di base senza i quali le attività produttive primarie, secondarie non possono funzionare. Più che di opere pubbliche si parla in questo di infrastrutture pubbliche e di capitale fisso sociale. Oltre che le opere pubbliche di tipo tradizionale, come le strade, porti, gli acquedotti, le fognature esse comprendono opere come i sistemi di irrigazione e bonifica, le istallazioni e le reti elettriche e telefoniche, le reti di trasmissioni dati e le reti internet, wifi; vi si può includere al limite anche il patrimonio di conoscenze di base ed applicate della popolazione, come forme immateriali di capitale.

I trasferimenti ad altri soggetti solitamente imprese, erogati perché siano destinati ad investimento.

Se si considerano i diversi tipi di spese, che dai bilanci pubblici affluiscono alle imprese, possibile dividerle in due grandi categorie.

La prima, che comprende gli acquisti di beni e servizi, gli investimenti pubblici e parte della spesa per interessi, può essere considerata, almeno in prima approssimazione, come spesa che, pur diretta alle imprese, ha come finalità quella di garantire il funzionamento dello Stato. Lo Stato compra merci dalle imprese per produrre e fornire "beni pubblici". La seconda, comprende invece i trasferimenti alle imprese, sia correnti che di parte capitale (o, nella terminologia della contabilità nazionale, contributi alla produzione e agli investimenti), ossia quella parte della spesa che, trasferendo reddito da un soggetto all'altro dell'economia, erogata senza una controprestazione di mercato, ovvero non al fine di acquistare beni e servizi, ne di remunerare lavoro e capitale. "Tale spesa persegue tuttavia come scopo dichiarato, non tanto quello di ridistribuire reddito a favore di

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certe classi di imprese, quanto quello di condizionare l'attività delle imprese verso obiettivi di tipo produttivo che sono ritenuti di interesse generale. In linea di principio il trasferimento alle imprese è infatti erogato per alterare, attraverso le modificazioni che produce nei prezzi relativi, l'impiego delle risorse nel settore privato dell'economia. A differenza della maggior parte degli altri strumenti fiscali che, nel raggiungimento delle finalità, possono incidentalmente modificare l'allocazione delle risorse nel settore delle imprese, un tratto distintivo dei trasferimenti di essere primariamente ed esplicitamente erogati a questo scopo. La spesa in conto capitale presenta nel triennio 2013-2015 un trend discontinuo, con un incremento di 8 miliardi nel 2013, una riduzione di 7 miliardi nel 2014 e un ulteriore decremento di circa 0,5 miliardi nell’ultimo anno. Determinano questa evoluzione l’andamento degli stanziamenti delle categorie di spesa

3.3.3. LA CLASSIFICAZIONE FUNZIONALE

La classificazione funzionale si differenzia da quella economica perché prende in considerazione le principali funzioni dello Stato (difesa nazionale, giustizia e ordine pubblico, istruzione e cultura), e le considera di primo grado; poi divide ciascuna attività in funzioni di secondo grado (settori di attività ) , e poi ancora di terzo grado, nelle quali si pone in evidenza la finalità specifica della spesa, e che sono organizzate in distinte sezioni, a loro volta distinte in capitoli e rubriche.

Le sezioni sono :I – Amministrazione generale; II Difesa Nazionale- III Giustizia IV . Sicurezza V Relazioni Internazionali . VI Istruzione e Cultura VII Azioni ed interventi nel campo delle abitazioni: VIII Azioni ed interventi nel campo sociale. – IX Azioni ed interventi nel campo economico: X – Oneri non ripartibili.

In sintesi quando analizziamo le spese dobbiamo tenere conto di questa distinzione e delle diverse classificazioni. Per esempio, nel bilancio statale gli acquisti di armamenti ecc. sono classificati, corrispondentemente al loro trattamento in contabilità nazionale, tra le spese correnti; mentre gli acquisti di abitazioni per il personale sono classificati tra le spese in conto capitale. Ma, nella classificazione funzionale della spesa del nostro bilancio statale questi ultimi sono attribuita alla sezione VII Azioni ed interventi nel campo delle abitazioni, invece che alle sezioni II- Difesa Nazionale.

4 SIMULAZIONI DI IMPATTO DI POLITICHE FISCALI ALTERNATIVE

4.1 SIMULAZIONE SULLA BASE DEL MODELLO MACROECONOMICO DEL CER PER L’ITALIA

Simulazioni di impatto di impatto di politiche fiscali alternative.

In questo capitolo analizzeremo uno studio fatto da un gruppo di lavoro del CER (Centro Europa Ricerche) formato da Carlo Milani e Petya G. Garalova. Questi ricercatori hanno prodotto un modello econometrico italiano che è uno strumento attraverso cui è possibile effettuare delle simulazioni degli impatti macroeconomici di breve-medio termine di alcune potenziali politiche fiscali, sia sul lato delle entrate sia su quelle delle uscite.

Nello specifico, il Modello e costituito da 5 blocchi:

a) il conto delle risorse e degli impieghi,

b) i redditi,

c) il mercato del lavoro,

d) i rapporti con l'estero,

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e) la finanza pubblica.

Le relazioni tra le variabili sono stimate sia attraverso stime econometriche su dati a frequenza annuale, sia attraverso equazioni contabili. Nel complesso, il Modello e composto da oltre 550 variabili, con serie storiche in alcuni casi molto lunghe (fino agli anni cinquanta), di cui circa 70 stimate mediante metodologie econometriche.

Utilizzando l'ultima previsione elaborata dal CER, per il periodo 2012-2015. come scenario di base e possibile valutare quali sarebbero gli effetti attesi, sulla base delle relazioni stimate dal Modello, delle seguenti politiche fiscali espansive:

1. un taglio di 10 miliardi dell'IRPEF nel 2013; 2. un taglio di 10 miliardi dell'IRAP nel 2013; 3. un taglio di 10 miliardi dell'IVA nel 2013; 4. un taglio di 10 miliardi dei contributi sul lavoro nel 2013; 5. un taglio di 10 miliardi dei contributi alle imprese in c/corrente e in c/capitale con Ia

contestuale riduzione dell'IRAP nel 2013; 6. un taglio di 10 miliardi dei contributi alle imprese in c/corrente con la contestuale riduzione

dell'IRAP nel 2013; 7. un incremento degli investimenti pubblici, a valori nominali, di 10 miliardi di euro nel 2013;

8. un incremento dei dipendenti pubblici di 175 mila unita nel 2013, pari a 10 miliardi di maggiore spesa pubblica;

9. un miglioramento dell'efficienza nella gestione della spesa pubblica, misurato attraverso la riduzione di mezzo punto percentuale del deflatore dei consumi collettivi a partire dal 2013.

Gli Scenari 1-4 riguardano, quindi, politiche di riduzione delle imposte, gli scenari 5 e 6 la ricomposizione dei rapporti tra lo Stato e le imprese, gli Scenari 8 politiche di aumento della spesa pubblica, mentre l'ultimo Scenario ipotizza miglioramenti dell'efficienza della macchina burocratica che non necessitino incrementi di spesa in termini nominali.

I risultati delle simulazioni dei 9 scenari sopraindicati sono riassunti nella tabella 1. Nella tavola sono riportati sia lo scenario di base, quello che sconta gli effetti delle politiche fiscali a normativa vigente, sia gli scostamenti attesi, dei principali indicatori macroeconomici e di finanza pubblica, qualora si applicassero Ie 9 proposte di politica fiscale.

Lo Scenario 1, in cui si simulano gli effetti di un taglio di 10 miliardi di euro dell’ Irpef nel 2013, evidenzia un impatto positivo sulla crescita reale di 2 decimi di punto nei 2013, un effetto nullo nel 2014 e una restrizione di 2 decimi di punto nel 2015. II maggior reddito a disposizione delle famiglie sarebbe infatti utilizzato solo in parte per aumentare i consumi di beni e servizi domestici. Una parte rilevante sarebbe destinata al consumo di beni importati, mentre un'altra fetta di reddito verrebbe risparmiata. Di conseguenza, la propensione al consumo nel 2013 si ridurrebbe di quasi mezzo punto percentuale. Sui conti pubblici l'effetto sarebbe inizialmente positivo, con un miglioramento del disavanzo di 6 decimi di punti di PIL nel 2013. Nel 2015 ci sarebbe però un'inversione tendenza con un peggioramento pari ad un decimo di PIL. Il debito pubblico subirebbe un incremento di circa mezzo punto di PIL nell'intero triennio di simulazione. Sul fronte del mercato del lavoro, l'impatto sarebbe solo modesto ,una flessione del tasso di disoccupazione di un decimo di punto nel 2013 e nel 2014, mentre l'effetto sarebbe nullo nel 2015.

Con riferimento alto Scenario 2, che stima l'impatto di un taglio IRAP sempre pari a 10 miliardi nel 2013, si riscontra un effetto positivo sulla crescita reale di 2 decimi di punto nel primo anno di implementazione della manovra. L’ effetto atteso sull'inflazione e sul deflatore del PIL, entrambi in discesa posta minore traslazione delle imposte sui prezzi finali, avrebbe pero paradossalmente

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effetti negativi sulle scelte di investimento per l'anno successivo a seguito del più alto livello del tasso d'interesse reale. Tale effetto sarebbe solo transitorio. tant'è che nel 2015 l'impatto atteso della manovra in oggetto sarebbe positivo per 2 decimi di punto. Il mercato del lavoro troverebbe un certo beneficio da questa politica: l'occupazione avrebbe un profilo migliore di circa 2 decimi punto, cosi come la disoccupazione sarebbe più contenuta. Sulla finanza pubblica l'effetto sarebbe leggermente negativo nel 2015, con un maggior indebitamento di circa 2 decimi di PIL e un debito pubblico più elevato di 4 decimi di PIL.

Passando ad analizzare lo Scenario 3, che considera un taglio dell'IVA nelle stesse modalità viste in precedenza, si osserva che l'impatto sulla crescita reale sarebbe molto modesto (appena un decimo di punto solo nel 2013). Va rilevato, comunque, che questa manovra esplicherebbe i suoi effetti soprattutto sul livello dei prezzi domestici, con conseguente importante flessione dell'inflazione. In termini reali, quindi, la crescita cumulata del PIL reale sarebbe in ogni caso positiva per quasi 6 miliardi nel 2015, mentre il PIL nominale vedrebbe una flessione di quasi 20 miliardi di euro. Gli effetti sul mercato del lavoro sarebbero trascurabili, mentre sui conti pubblici si osserverebbe un peggioramento sia dell'indebitamento the del debito (quest’ ultimo aumenterebbe di quasi un punto di PIL nel 2015).

Lo Scenario 4, che ipotizza un taglio dei contributo sul lavoro di 10 miliardi di euro nel 2013, evidenzia l'impatto più rilevante di breve termine sulla crescita reale del PIL: ben 7 decimi di punto net 2013. Come già visto nello Scenario 2, anche in questo quadro inflazione giocherebbe un ruolo determinante: il diminuire dei costi del lavoro farebbe infatti scendere in modo consistente sia i prezzi al consumo che il deflatore del PIL. Di conseguenza, il tasso d'interesse reale subirebbe un peggioramento nel successivo biennio facendo perdere parte della maggiore crescita osservata nel 2013. Complessivamente, comunque, il PIL cumulato in termini reali osserverebbe un incremento consistente (circa 17 miliardi di euro nel 2013). Importanti sarebbero anche gli effetti sul mercato del lavoro, con un incremento degli occupati di 2 e 3 decimi di punto, rispettivamente nel 2013 e nel 2014, e una flessione del tasso di disoccupazione compresa tra i 2 e i 4 decimi in tutto il triennio di simulazione. L'indebitamento netto subirebbe solo un leggero peggioramento nel 2015, mentre l'incremento del debito pubblico ammonterebbe a circa 3 decimi di PIL.

Analizzando i quattro Scenari relativi al taglio delle imposte si può concludere the l'azione più efficace, per il miglioramento della crescita reale, e quella che riguarda la riduzione del cuneo fiscale. In questo quadro, massimi sono i benefici anche dal punto di vista occupazionale. II miglior contesto in termini inflazionistici determinerebbe comunque un peggioramento dei saldi di finanza pubblica, anche se più contenuto rispetto alle manovre che coinvolgono l'IRPEF, l'IRAP o IVA. Quest'ultima manovra e quella che, dopo quella sul cuneo fiscale, ha il maggior impatto sulla crescita reale. Tale risultato e però ottenuto essenzialmente per un effetto monetario legato alla minore inflazione osservabile qualora si abbassassero le aliquote IVA. Come conseguenza, il mercato del lavoro e quello che avrebbe minori benefici da questa manovra, così come anche i saldi di finanza pubblica.

Nello Scenario 5 e 6 sono stati valutati gli effetti di una potenziale manovra sui contributi alle imprese, nell'ottica del cosiddetto piano Giavazzi,. Nello specifico lo Scenario 5 ipotizza, per il 2013, una riduzione di 5 miliardi del contributi alla produzione in conto corrente destinati alle imprese e di pare importo per quelli in conto capitale. A fronte di questo taglio dei contributi l'IRAP subirebbe una flessione di importo corrispondente, cioè 10 miliardi. Nello Scenario 6 si sono valutati gli effetti di tale manovra qualora si concentrasse esclusivamente sui contributi in conto corrente. Si rileva che da queste ricomposizioni gli effetti sulla crescita reale sarebbe abbastanza modesti.

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In entrambi gli scenari, la riduzione attesa del livello dei prezzi determinerebbe un incremento del livello cumulato del PIL reale, mentre quello nominale subirebbe una contrazione rilevante. Il mercato del lavoro potrebbe trarre benefici da questa manovra, soprattutto se concentrata solo sui contributi in conto corrente, che meno effetti avrebbero sugli investimenti. Va segnalato, però, che sui conti pubblici questa manovra non sarebbe a saldi invariati. Sia l'indebitamento che il debito subirebbero un peggioramento, seppur contenuto. Con riguardo alto Scenario 7, quello relativo all'incremento della spesa per investimenti pubblici, si osserva che l'aumento di 10 miliardi nominali, pari ad incremento di quasi il 40% rispetto al valore atteso nello scenario di base, terminerebbe un impulso sulla crescita reale del PIL, nel 2013, di 3 decimi di punto, trainata soprattutto dal contributo degli investimenti fissi lordi. L'anno successivo. l'impatto sarebbe comunque positivo ma meno rilevante (1 decimo punto), mentre nel 2015 il tasso di crescita reale del PIL sarebbe più basso la baseline di un decimo di punto. Complessivamente, comunque, questa politica fiscale determinerebbe un aumento cumulato del PIL nominale. al 2015, circa 19 miliardi di euro (16 miliardi in termini reali). L'occupazione trarrebbe vantaggio da un siffatto scenario con un tasso di disoccupazione più basso di circa mezzo punto percentuale nel 2013 e di quasi un punto percentuale nel 2015. La crescita occupazione determinerebbe però l'incremento del costo del lavoro per unità di prodotto (clup), da cui una perdita di competitività sui mercati internazionali, con le conseguenze negative sull'export che sono alla base del rallentamento degli effetti propulsivi sulla crescita della manovra in oggetto. In termini di saldi di finanza pubblica, la politica in oggetto avrebbe un effetto positivo sia sull'indebitamento, che nel 2015 migliorerebbe di 3 decimi di PIL, sia soprattutto sul debito pubblico, che si abbasserebbe di 7 decimi di PIL.

Tabella 1- Gli impatti delle politiche fiscali sull’economia Italiana

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I

LEGENDA

- Scenario 1 : -10 mid E di Irpef nel 2013;

-Scenario 2 -10 mid E di Irap nel 2013

- Scenario 3 : -10 mid € di IVA nel 2013

- Scenario 4 : -10 mid E di contributi sul lavoro nel 2013

- Scenario 5 : -10 mid E di contributi alle imprese in c/corrente a in di capitale a contestuale riduzione dell'Irap nel 2013;

- Scenario 6 : -10 mid E di contributi imprese in c/corrente a contestuale riduzione nel 2013

- Scenario 7 : + 10 mid € di investimenti pubblici nominali nel 2013

- Scenario 8 : + 10 mid € circa di retribuzioni pubbliche nel 2013, equivalenti a 175 mila nuovi dipendenti pubblici

- Scenario 9 : -0,5 p.p. di deflatore consumi pubblici nel periodo 2013-2015

Con riguardo allo Scenario 8, in cui si ipotizza un incremento del numero dei dipendenti pubblici per circa 175 mila unita nel 2013, pari ad una maggiore spesa per circa 10 miliardi di euro), si riscontra un impatto ampiamente positivo nel 2013, con un tasso di crescita del PIL reale più elevato rispetto alla baseline per 6 decimi di punto. Questa crescita sarebbe solo marginalmente erosa nel 2015,tant'e the il PIL reale cumulato nel 2015 sarebbe più elevato di circa 25 miliardi, mentre quello nominale di ben 50 miliardi di euro. L'occupazione avrebbe evidentemente un impulso positivo, con ii tasso di disoccupazione che scenderebbe di quasi un punto percentuale in tutto il triennio di simulazione. Meno scontato, per certi versi, sono le conseguenze sui conti

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pubblici: nonostante la maggiore spesa pubblica, sia l'indebitamento che il debito subirebbero un miglioramento. In definitiva, gli Scenari di aumento della spesa collettiva, sia a seguito dell’-incremento degli investimenti che dell'occupazione pubblica, hanno effetti meno rilevanti sia sulla crescita che sul mercato del lavoro. Rispetto agli Scenari di riduzione dell'imposizione fiscale, o di una sua rimodulazione, le politiche espansive sul lato della spesa hanno anche il vantaggio di migliorare i saldi di finanza pubblica. In un'ottica strettamente keynesiana, difatti, la maggiore spesa pubblica che è attesa produrre una maggiore crescita che rende sostenibile, da un punto di vista finanziario, l'operazione di politica fiscale.

Lo Scenario 9 simula gli effetti attesi da un'auspicata maggiore efficienza nella gestione delle risorse pubbliche. Essendo molto difficile determinare in termini macroeconomici, i riflessi dell'efficienza abbiamo ipotizzato in questo quadro gli effetti di una riduzione, rispetto allo scenario di base, del deflatore i consumi pubblici di mezzo punto percentuale. In altri termini, abbiamo simulato che la maggiore efficienza della Pubblica Amministrazione dovrebbe ∎portare alla riduzione del costo unitario dei servizi pubblici, sintetizzati appunto I deflatore dei consumi collettivi. In questo contesto, il PIL reale avrebbe un impulso positivo in tutto il triennio di simulazione, con effetti cumulati pan a miliardi di euro in termini reali e 15 miliardi a valori nominali. Benefici, seppure modesti, si avrebbero anche sul mercato del lavoro, mentre più ragguardevoli sarebbero i risultati in termini di finanza pubblica. In particolare, il debito pubblico osserverebbe una flessione di 7 decimi di PIL nel 2015.

Un quadro di sintesi degli impatti sulla crescita cumulata del PIL reale, sul tasso di disoccupazione e sul debito pubblico, in percentuale del PIL, è rappresentato nei grafici 1-3.

Mediante l'ausilio del Modello è ulteriormente possibile valutare gli effetti deIla combinazione di più di una manovra di politica economica tra quelle esaminate in precedenza. Uno dei mix che è utile considerare, con un certo grado approssimazione, è quello auspicato dal Nuovo Piano del Lavoro della CGIL. Nello specifico possono essere considerate le seguenti manovre, da mettere in atto nel triennio 2013-15:

a) incremento di 5 miliardi di euro all'anno degli investimenti pubblici (Progetti Prioritari); b) una maggiore spesa per retribuzioni pubbliche pari a 15 miliardi di euro l’ anno, che

equivarrebbe all'assunzione di circa 600 mila lavoratori nel triennio considerato (Programmi del Piano Straordinario di Creazione Lavoro);

c) taglio di 10 miliardi di euro all'anno dei contributi sul lavoro (sostegno all'occupazione); d) riduzione di 15 miliardi di euro all'anno dell'IRPEF (restituzione fiscale); e) miglioramento dell'efficienza della Pubblica Amministrazione the determini una riduzione

del deflatore dei consumi pubblici di mezzo punto percentuale in tutto il periodo considerato (Piano per un Nuovo Welfare)

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Grafico 1 Crescita cumulate del Pil reale

(differenze rispetto allo scenario di base - dati in miliardi di euro a prezzi del 2005)

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Complessivamente, iI mix delle cinque azioni di politica economica appena

descritte implicherebbe una manovra pari a circa 50 miliardi di euro all’ anno nel triennio 2013-15.

In percentuale del PIL.

1. Nuovo Piano del Lavoro include le seguenti misure: Progetti Prioritari (5 miliardi all’anno dal 2013 al 2015) Programmi dei Piano straordinario di creazione lavoro (15 miliardi all’anno dal 2013 al

2015)

-Sostegno occupazione (10 miliardi all’'anno dal 2013 al 2015) Piano per un nuovo Welfare (mezzo punto di deflatore dei consumi pubblici dal 2013 al

2015, non quantificabile in ammontare)

Restituzione fiscale (15 miliardi all'anno dal 2013 al 2015)

I risultati della simulazione degli effetti del Nuovo Piano del Lavoro, espressi termini di scarto rispetto allo scenario di base riportato nella tavola 1, sono presentati nella tavola 2. L'effetto sul tasso di crescita reale del PIL sarebbe particolarmente consistente: l'effetto cumulato nel triennio sarebbe pari a circa 3 punti percentuali, con un impatto particolarmente e rilevante nel primo anno applicazione. In termini cumulati, il PIL nominale crescerebbe nel 2015 di quasi 100 miliardi di euro, con un effetto ancora più consistente sul PIL reale dato l'effetto calmierante sui prezzi della manovra complessivamente attuata. Tra le componenti della domanda aggregata gli investimenti fissi lordi segnerebbero il maggior incremento, con una variazione cumulata che supererebbe i 10 punti percentuali. Importante poi sarebbe l'effetto sul mercato del lavoro:

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l'occupazione avrebbe un impulso positivo misurabile in circa 3,5 punti percentuali di maggiore crescita in termini cumulati, mentre la disoccupazione sarebbe più bassa di quasi 3 punti percentuali nell'ultimo anno della simulazione. Il miglior contesto macroeconomico e del mercato del lavoro farebbe poi invertire la tendenza negativa del reddito disponibile delle famiglie.

Analizzando l'impatto sui conti pubblici, si osserva che sia l'indebitamento sia il debito tenderebbero a peggiorare, ma in misura sufficientemente contenuta (2 punti in più' nel 2015 per il rapporto debito/PIL), tanto da non rendere troppo arduo il reperimento delle risorse necessarie al finanziamento di questo gap.

4.2 UN'ANALISI DEGLI EFFETTI SULLA CRESCITA DELLA SPESA PUBBLICA CLASSIFICATA IN BASE ALLE FUNZIONI

I risultati delle simulazioni effettuate mediante l'utilizzo del modello macro-econometrico del CER hanno posto in evidenza come le politiche fiscali più efficaci per stimolare la crescita siano quelle basate sull'incremento della spesa, piuttosto che quelle derivanti dalla riduzione delle tasse. I redditi delle famiglie sono infatti così compressi che negli anni più recenti si e riusciti a mantenere un livello di consumo soddisfacente solo attingendo ai risparmi. Ne consegue che ogni maggiore disponibilità di risorse, derivante ad esempio dal taglio delle tasse, si trasferisce, almeno in parte, verso una più elevata propensione al risparmio al fine di ricostituire il risparmio de-cumulato .

Stante questo contesto, il Modello, però, non e in grado di fornire indicazioni su quali siano i capitoli di spesa su cui convenga concentrarsi di più. Per risolvere questo vincolo è stata condotta un'analisi che ha utilizzato come fonte informativa i dati sulle singole regioni italiane. Nello specifico, è stato costruito un database panel sulla base dei dati ISTAT su PIL e occupazione, e di fonte Ministero dell'Economia e delle Finanze con riferimento ai pagamenti, in conto corrente e in conto capitale, del bilancio dello Stato classificati in base alla loro funzione'. II periodo di analisi preso in considerazione e quella compreso tra il 2006 e il 2009.

Per ogni funzione di spesa è stato testato l'impatto sulla crescita reale regionale. Più precisamente è stato valutato l'effetto della variazione percentuale, nell'anno t-1, delle diverse funzioni di spesa sulla crescita reale del PIL nell'anno t. Nel valutare questo impatto si è tenuto inoltre conto della dinamica dell'occupazione totale, sempre nell'anno t-1, e del divario territoriale.

Le funzioni di spesa considerate, di cui per ognuna si è presa in analisi la distinzione in conto corrente e in conto capitale, con l'ulteriore dettaglio sugli investimenti pubblici, sono le seguenti:

nell'ambito della funzione degli Affari economici sono state considerate le sotto voci relative al settore: Agricoltura; Combustibili ed Energia; Trasporti; Comunicazioni;

Protezione ambientale, che include le spese per il trattamento rifiuti, delle acque reflue, per la riduzione inquinamento , per la protezione della bio diversità e dei beni paesaggistici:

Assetto Territoriale; Sanità ; Cultura; Istruzione;

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Protezione sociale, in cui sono comprese le spese per il sociale in tema di malattia e invalidità, vecchiaia. superstiti, famiglia, disoccupazione, abitazioni , esclusione sociale.

4.2.1. L'ANALISI DEI DATI DI BASE

4.2.1.1 PIL E OCCUPAZIONE

I grafici 4 e 5 riportano Ia distribuzione territoriale della crescita reale del PIL, su base annua, nel 2006, anno antecedente alla crisi finanziaria globale, nel 2009 (ultimo dato disponibile). Nel 2006 l'area che ha vissuto la crescita .più vigorosa è stata quella del Centro (con l'eccezione del Lazio), del Nord-est e alcune regioni del Sud (Basilicata, Molise e Puglia). L'attività economica in tutte queste regioni ha registrato un tasso di crescita superiore alla media (grafico 4). Le regioni la cui crescita si colloca al di sotto del dato nazionale sono quelle del nord-ovest e il Lazio (attorno aIl'1,7 per cento). La crescita più bassa invece ha interessato il resto del Sud (attorno all' 1 per cento).

La recessione del 2008-2009 ha colpito tutto il territorio italiano anche se con impatto diverso (grafico 5). Le regioni dove la contrazione dell'attività è minore corrispondono alle regioni con la crescita più bassa prima della crisi , tranne il Trentino Alto Adige. Gli effetti maggiori della recessione si sono verificati in tutto il Centro-Nord.

Fonte: Conti economici territoriali. ISTAT.

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La situazione occupazionale si presenta meno eterogenea rispetto alla media nazionale. Le regioni dove la crescita degli occupati e stata maggiore nel 2006 (tra il 2,5 e il 3 per cento) sono Friuli Venezia Giulia, Puglia, Liguria e Umbria (grafico 6). La minor crescita degli occupati 6 stata invece registrata in Campania (con il dato peggiore dello 0,8 per cento), Piemonte, Abruzzo e Valle d'Aosta.

La caduta più forte dell'occupazione nel 2009 si osserva in Abruzzo, Campania e Puglia, dove il calo degli occupati e stato il doppio della media nazionale grafico 7). L'unica regione dove il numero gli occupati ha avuto una crescita positiva e stato il Trentino Alto Adige.

4.2.2.2. LA SPESA PER FUNZIONI

I dati regionali della spesa pubblica sono fomiti dalla Ragioneria dello Stato La spesa statale regionalizzata, anni 2005-2008). La scomposizione territoriale si basa sulla ripartizione dei pagamenti del bilancio dello Stato e la spesa totale regionalizzata e al netto del rimborso per le passività finanziarie. Come mostra tavola 3 la regionalizzazione della spesa copre circa il 50 per cento del totale.

Per il restante 50 per cento dei pagamenti la ripartizione non è effettuabile in quanto si tratta di pagamenti non regionalizzabili (circa it 25 per cento) oppure di erogazioni a Enti e Fondi (circa it 25 per cento).

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Tavola 3. Spesa statale totale

2005 2006 2007 2008

Spesa totale (milioni di euro) 452.581 459.802 475.961 524.021

Spesa regionalizzata (milioni di euro) 214.556 218.452 235.467 249.331

Spesa regionalizzata (% della spesa totale) 47% 48% 49% 48%

Fonte: La Spesa Statale regionalizzata (anni 2005-2008) Ministero dell’economia e delle finanze Ragioneria dello Stato

In seguito sono presentati i dati sulla dinamica e sulla composizione delle voci di spesa utilizzate nelle stime. I grafici 8, 9 e 10 riportano le variazioni percentuali della spesa per capitolo. Nel periodo 2006-2008 la crescita media della spesa corrente a stata del 5,5 per cento. A livello territoriale si nota una tendenza al ribasso nel Centro-Sud, mentre il Nord presenta una variabilità più elevata. Il tasso di crescita a sceso dal 5,5 al 3,5 per cento nel Centro-Sud tra il 2006 e il 2009. La crescita della spesa corrente del Nord e stata superiore alla media nazionale nel 2006 e nel 2008.

Gli investimenti pubblici si sono contratti sull'intero territorio nel 2006 e nel 2008 mentre i12007 e stato un anno di crescita positiva (grafico 9).

Quanto alla spesa complessiva in conto capitale, questa ha sperimentato dei tassi di crescita negativi nel 2006. La crescita positiva nell'anno successivo è stata più sostenuta nel Nord che nel Centro-Sud.

Per contro, nel 2008 la spesa in conto capitale nazionale si e espansa per effetto del dato positivo del Centro-Sud mentre quello del Nord e stato negativo (grafico 10).

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Il peso complessivo delle funzioni di spesa dei settori oggetto della nostra analisi ammonta all'incirca al 30 per cento della spesa corrente totale (grafico 11). Il contributo complessivo dei settori e del 3 per cento inferiore nel Nord rispetto al Centro-Sud. La composizione settoriale presenta un elevato grado di similitudine tra le due aree geografiche. La componente piu rilevante e la spesa per l'istruzione (20 per cento) seguita dalla spesa per sanita (3 per cento), prestazioni sociali (2 per cento) e trasporti (1,5 per cento).

I settori in esame pesano per la meta degli investimenti pubblici totali e a livello territoriale mostrano una differenza dell'8 per cento a favore del Nord (grafico 12). Le componenti più importanti in ordine di grandezza sono gli investimenti in protezione ambientale (20 per cento), cultura (10 per cento), trasporti (7 per cento) e agricoltura (4 per cento). Le differenze territoriali sono riconducibili alle quote maggiori degli investimenti in trasporti e agricoltura nel Nord.

La spesa totale in conto capitale e composta per il 35 per cento dei settori da noi esaminati. Analogamente a quanto osservato per gli investimenti pubblici, esiste una notevole differenza all’ interno del territori: il peso sul totale è del 51 per cento nel Nord e del 28 per cento net Centro-Sud (grafico 13). Questo divario e determinato dalle quote maggiori delle voci trasporti e protezione ambientale nel Nord.

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4.3. I RISULTATI DELL'ANALISI EMPIRICA

4.3.1. L'IMPATTO DELLE FUNZIONI DI SPESA SULLA CRESCITA REALE

I risultati delle stime circa l'impatto delle diverse funzioni di spesa classificate in base alla natura stessa della spesa, sulla crescita reale regionale sono riportati nella tavola 4.

Le spese pubbliche destinate al settore dell’agricoltura risultano avere un impatto positivo e statisticamente significativo sulla crescita solamente quando effettuate nella forma degli investimenti pubblici. Né il più ampio aggregato della spesa in conto capitale, né la spesa corrente sembrano incidere sulla crescita.

II capitolo di spesa legato al settore dei combustibili e dell'energia ha un impatto significativo per tutte e tre le tipologie di spese considerate, con un effetto maggiore per la spesa in conto corrente.

I trasporti risultano avere un'incidenza positiva e statisticamente significativa quando si considerano le spese in conto capitale, mentre le spese pubbliche effettuate per il settore delle comunicazioni non sembrano incidere in alcun modo sulla crescita.

Le spese nella protezione dell'ambiente hanno un impatto positivo e ampiamente significativo solo qualora ci si concentri sulle spese in conto corrente.

Tavola 4. Coefficienti stimati dell'impatto delle diverse funzioni di spesa sulla

crescita reale del PIL regionale (Periodo di riferimento: 2006-2009)

Spese c.orrenti Investimenti pubblici Spese in c/capitale

Agricoltura 0.010 0.000** 0.002

Combustibili ed energia 0.013* 0.002* 0.003***

Trasporti 0.006 0.001 0.008"

Comunicazioni 0.006 -0.002 0.000

Protezione ambiente 0.052*** -0.001 -0.010

Assetto territoriale -0.020*** 0.000* 0.025***

Sanita 0.001 0.000 0.000'**

Cultura -0.039* -0.013** -0.006

Istruzione -0.018 0.005** -0.038'"'

Protezione Sociale 0.037 ***- 0.000- 0.000***-

Note: ***,**,* significatività statistica al 1%, 5% e 10% rispettivamente

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Le spese destinate all'assetto territoriale offrono invece dei segnali contrastanti. Risultano infatti avere un impatto positivo e statisticamente significativo sia qualora siano attuate nella forma degli investimenti pubblici sia nell’ aggregato della spesa in conto capitale. Prendendo a riferimento la spesa corrente, invece, l'impatto risulta essere negativo e statisticamente significativo. Una possibile interpretazione di questo risultato può essere attribuita agli effetti nefasti dei dissesti idro-geologici che, in occasioni climatiche particolarmente avverse, creano dei danni ingenti sui territori che devono essere riparati primariamente con spese correnti. Le Regioni che più spendono per questo capitolo di spesa, nella sua componente ordinaria, sono quindi quelle che presumibilmente hanno accumulato maggiori ritardi nella gestione del territorio e si trovano ora a pagarne i costi, anche in termini di crescita.

Con riguardo alle spese nella sanità, queste hanno un effetto positivo e statisticamente significativo solo nel caso in cui si considerino le spese in conto capitale.

Il settore della cultura è quello dell'istruzione offrono invece delle indicazioni non attese.

In particolare. le spese destinate alla cultura, sia in conto corrente che nella forma degli investimenti pubblici, hanno un impatto negativo e statisticamente significativo sulla crescita reale regionale. Una possibile interpretazione di questo risultato può essere connessa, da un Iato, al fatto che tali spese agiscono soprattutto sul capitale umano della popolazione residente, per cui esplicano i loro effetti soprattutto nel lungo termine. Dall'altro lato, questa evidenza può segnalare una certa inefficienza nella gestione della spesa pubblica destinata a questa importante funzione. Una maggiore spesa in cultura, se ben realizzata, dovrebbe essere un volano, anche nel breve termine, per il settore del turismo. Un'evidenza a supporto e offerta dalla relazione positiva esistente tra ii numero pro capite di rappresentazioni teatrali e musicali, un indicatore misurabile di offerta culturale, e la crescita. Ciò sembrerebbe indicare che ii capitolo di spesa destinato alla cultura dovrebbe essere oggetto di una spending review, nella sua accezione originale, cioè di una ricomposizione per favorire quelle iniziative che abbiano una effettiva valenza per l'intera collettività.

Sul fronte dell'istruzione, le stime segnalano un impatto positivo e statisticamente significativo di questo capitolo di spesa solo con riferimento agli investimenti pubblici. Di converso, il più ampio aggregato della spesa in conto capitale ha .un effetto negativo e statisticamente significativo sulla crescita. Questa evidenza sembrerebbe indicare l'inefficienza degli enti locali nella gestione dei trasferimenti a loro destinati, tanto da determinare una riduzione delle crescita piuttosto che un suo incremento, nonostante la cruciale importanza che la letteratura economica affida al capitale umano. Ciò potrebbe essere dovuto al fatto che le risorse in conto capitale vengono destinate in misura non congrua alle scuole più meritevoli, cioè a quelle che formano adeguatamente i loro studenti, e che .,,sfornano.. giovani in grado sia di trovare un'occupazione coerente con le loro competenze sia di approfondire ulteriormente la loro formazione come per-corsi universitari. Questa tesi ha però bisogno di ulteriori verifiche empiriche che esulano dagli obiettivi di quest'analisi.

Infine, le spese per la protezione sociale risultano avere un impatto positivo e significativo sia con riguardo alla spesa corrente sia per quella in conto capitale.

4.3.2. LA RELAZIONE TRA CRESCITA., OCCUPAZIONE E FUNZIONI DI SPESA

Per determinare quale sia l'effetto della spesa pubblica regionalizzata sull'occupazione totale è necessario valutare la relazione esistente tra occupazione e crescita. Sempre sulla base del

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database regionale e possibile stimare quanto la crescita, osservata nell'anno precedente, incida sulla dinamica occupazionale. e stime segnalano una relazione positiva e ampiamente significativa: ad ogni incremento del PIL reale di un punto percentuale. nell'anno 1-1, l'impatto diretto vede una crescita dello 0,75% circa nell'anno t.

Sulla base di questa relazione tra occupazione e PIL e possibile poi valutare l’impatto indiretto sull'occupazione derivante dalle diverse funzioni di spesa. Considerando esclusivamente quelle voci che sono risultate statisticamente significative a possibile valutare l’impatto sia nel breve termine che nel lungo termine, di politiche fiscali che vedano l'incremento di alcuni specifici capitoli spesa.

Nel grafico 14 sono riportate le evidenze con riferimento alla spesa corrente. capitolo di spesa che più riesce ad incidere sull'occupazione nel breve termine quello relativo alla protezione dell'ambiente: un incremento dell' 1% determina incrementi occupazionali di breve termine tra 0,02 e 0,04 punti percentuali. Posto che dai dati regionalizzati emerge che la spesa corrente per l'ambiente incide sul totale per appena lo 0,3% in media, con un ammontare complessivo di circa 400 milioni di euro nel 2008, raddoppiandone la dotazione si potrebbe avere un impulso sulla crescita dell'occupazione compreso tra i 2 e i 4 punti percentuali, con effetti ancora più intensi nel lungo termine. Sotto quest'ultimo profilo, la spesa corrente destinata alla protezione sociale e quella che esplica i più ampi .benefici. Un suo incremento dell'1% porta ad una maggiore crescita occupazionale compresa tra lo 0,18 e 0,45 punti percentuali. Posto che il peso di questa voce sul totale della spesa corrente e in media pari al 2,1%, con una spesa totale di circa 4,3 miliardi di euro, un incremento di 400 milioni, pan ad una variazione circa il 10%, produrrebbe un effetto propulsivo sulla crescita, nel lungo termine, compreso tra i 2 e i 4,5 punti percentuali circa.

Nel grafico 15 sono rappresentati gli effetti sull'occupazione della spesa investimenti i pubblici. Gli investimenti nel settore dei combustibili e dell'energia sono quelli che offrono i maggiori benefici occupazionali nel breve termine. Nel lungo termine, però, tali effetti si ribaltano divenendo negativi.

Positivi sia nel breve che nel lungo termine risultano essere gli effetti degli 'investimenti pubblici nell'istruzione. Questo capitolo di spesa ammonta a circa 3% degli investimenti pubblici complessivi, che sulla base dei dati regionalizzati si attestano a 2,1 miliardi di euro secondo i dati deI 2008. Un incremento di400 milioni di questo capitolo di spesa, pari ad una variazione del 20%, avrebbe un effetto positivo sull'occupazione stimabile, nel lungo termine, tra i 5 e i 25 decimi di punto percentuale.

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Nel grafico sono rappresentate solo le funzioni di spesa che risultano avere un impatto statisticamente significativo sul PIL. L'ampiezza dell'effetto è stata determinata sulla base dell'intervallo di confidenza al 10% di significatività Per valutare l'effetto sull'occupazione si e utilizzata la stima della relazione tra PIL e occupazione totale. L'effetto nel lungo periodo calcolato sulla base del coefficiente stimato della variabile ritardata sull'occupazione.

Considerando infine la spesa in conto capitale, emerge come l'impatto maggiore sulla crescita occupazionale derivi dalle spese per l'assetto territoriale (grafico 16). Queste spese, pari a poco più di mezzo miliardo di euro secondo i dati regionalizzati relativi al 2008, sono pari a circa 1-'1,5% della spesa in conto capitale complessiva. Un incremento di 400 milioni di euro, pari ad una variazione

percentuale di circa il 75%, avrebbe un effetto propulsivo sulla crescita occupazionale tra 0,8 e 1,1 punti percentuali nel breve termine, mentre l'effetto del lungo periodo sarebbe ancora più elevato. Considerando proprio il lungo termine, un impatto ancora più ampio, in termini percentuali, è stimabile con riferimento alla spesa in conto capitale nel settore dei trasporti. Questo capitolo di spesa, pari a circa 4,3 miliardi di euro secondo la scomposizione su base regionale per il 2008, ha un peso sul totale di circa il 18%. Un incremento di spesa per 400 milioni, pari ad una variazione di poco meno del 10%, determinerebbe nel lungo termine un incremento occupazionale compreso tra i 2 e i 3 decimi di punto percentuale.

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5 CONCLUSIONI

Bisogna porre rapidamente l'attenzione sui veri spread che caratterizzano la crisi italiana: la dinamica dell'occupazione e della disoccupazione, della disoccupazione giovanile, della disoccupazione di lunga durata, dell' inattività, dell'inoccupazione, della sottoccupazione, ecc. Tutti riflessi delle debolezze strutturali del sistema-paese, tanto sul versante della domanda. (quantità e qualità degli investimenti, scarsa produttività “di sistema”, dinamica salariale piatta,, iniquità nella distribuzione del reddito e della ricchezza, ecc.), quanto su quello dell’offerta (scarsa innovazione dell'industria, dei servizi e della PA, micro dimensione media d'impresa, specializzazione produttiva a bassa intensità tecnologica e contenuto di conoscenza, inefficienza dei mercati e della finanza, scarso sostegno alla ricerca, soprattutto di base, inefficienza energetica, diseconomie di scala per assetti proprietari e management; ecc.).

Tutto questo, poi, va considerato anche in ordine ai 110 miliardi di tagli alla spesa pubblica cumulati negli ultimi quattro anni, che hanno interessato molti aspetti dello Stato sociale: sanità, servizi pubblici locali, non autosufficienza, contrasto della povertà, istruzione, infanzia, ecc. Dal 2013 al 2015, inoltre, sono previsti — in nome del pareggio di bilancio e del Fiscal Compact — ulteriori 80 miliardi di tagli della spesa o di aumento generalizzato delle tasse, malgrado il record già raggiunto da questo governo a Luglio per maggiore aumento della pressione fiscale in nome dal austerità tra i paesi GCSE'`'.

La CGIL ritiene necessaria una politica economica espansiva, per un nuovo Piano del Lavoro in grado di fondare in nuova crescita proprio sulla creazione di buona e sicura occupazione, superando la logica della svalutazione competitiva sui costi della produzione e, in particolare, del lavoro; in Iinea con gli obiettivi europei di sviluppo, di innovazione, di sostenibilità e di coesione sociale.

La CGIL afferma dunque la necessità di un cambio di rotta nella politica industriale, fiscale, ambientale e sociale del paese. Le direttrici di questa politica economica sono l'innovazione e i beni comuni, che si intrecciano attraverso tre linee di intervento:

1)Progetti prioritari,, elaborate e condivisi tra istituzioni e parti sociali, fondati su nuovi investimenti e una nuova regolazione, fino al livello territoriale, per una politica di attivazione, moltiplicazione e accelerazione della domanda agendo sulla riqualificazione dell'offerta in ragione dell'innovazione;

2)un 'Piano di creazione diretta di occupazione,,, attraverso una forte iniezione di risorse pubbliche verso settori dell'economia ad alto contenuto di conoscenza, non esposti a concorrenza internazionale e non sviluppati dal mercato, che aumentino crescita potenziale e occupazione, soprattutto giovanile e femminile, producendo al tempo stesso nuovi beni e servizi pubblici, beni comuni,

3) un piano per <nuovo welfare> per l'estensione, l'allargamento a l'innovazione dello Stato sociale, a partire da priorità non universali (quali la povertà, la non autosufficienza a servizi per l’infanzia), ferme restando le riforme necessarie sulle politiche del lavoro, sul sistema previdenziale e sul sistema di ammortizzatori sociali.

Tutto ciò naturalmente richiede come condizione sine qua non un processo di modernizzazione della Pubblica Amministrazione e una nuova «politica delle entrate, ovvero una politica di (re)distribuzione dei redditi e della ricchezza, e una riforma organica del sistema fiscale che preveda una più intensa ed efficace lotta all'evasione e alla corruzione, una forte riorganizzazione del prelievo per sostenere i redditi da lavoro e l'occupazione, oltre che per recuperare le risorse necessarie all'attuazione delle suddette tre linee di intervento.

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Come nel. 1950 il Piano del Lavoro richiede una puntuale valutazione economica e, oggi più di prima, una specifica elaborazione econometrica per la simulazione,

Al fine di verificare le potenzialità macroeconomiche del Piano del Lavoro, occorre perciò stimare le elasticità del P1L, della domanda interna e dell’occupazione in ordine alle suddette direttrici e, in particolare, rispetto a un aumento o a una riorganizzazione della spesa pubblica in funzione dei nuovi investimenti e della creazione diretta di occupazione qualificata. Tutto ciò va posto, infine, a confronto con gli interventi più ordinari, anche per non prescindere da una stima degli effetti delle diverse misure economiche sui saldi di finanza pubblica.

In uno schema di sintesi:

Risorse

riforma del sistema fiscale; riordino agevolazioni e trasferimenti alle imprese razionalizzazione e ricomposizione della spesa pubblica; riordino agevolazioni e trasferimenti alle imprese; parte delle risorse delle fondazioni bancarie; utilizzo dei Fondi pensione; riordino dei Fondi europei; investimenti fissi pubblici esclusi dal Patto di stabilità interno e dal Fiscal Compact; parte delle risorse di Cassa Depositi e Prestiti e Golden Shore.

Impieghi

progetti prioritari (10 miliardi di euro l'anno): programmi del Piano straordinario di creazione diretta di lavoro (20 miliardi l'anno); sostegno all'occupazione, riforma del mercato del lavoro e ammortizzatori sociali

(10 miliardi ogni anno); piano per un nuovo welfare (15 miliardi ogni anno); restituzione fiscale (20 miliardi ogni anno).

In altre parole, dalla simulazione del CER del diversi effetti della composizione della spesa in termini di redditi, consumi intermedi o investimenti pur non distinguendo tra spesa pubblica produttiva e improduttiva si pub dedurre una misura approssimativa del contributo di 1 euro di spesa pubblica selettiva, in innovazione e Beni comuni, alla variazione dei principali aggregati macroeconomici, rispetto a quel]o di 1 euro di spesa pubblica tradizionale in incentivi “a pioggia” o di riduzione della pressione fiscale, senza considerate gli effetti della congiuntura internazionale e un cambiamento del fondamentali a livello globale e degli scenari di politica economica sovranazionale.

Appare evidente, dunque, che to svolgimento di tali simulazioni rappresenta un contributo originale. anche rispetto allo sviluppo dell'elaborazione e del dibattito in materia a cui si e giunti (prima della crisi), anche perché è necessario un ampliamento dello schema analitico visto che il Piano del Lavoro si propone di determinare non solo effetti quantitativi immediati (spesa), ma anche effetti qualitativi (migliore spesa) che tipicamente determinano impulsi rilevanti, ma dilazionati nel tempo.

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Riferimenti bibliografici

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